fascicolo italiano

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fascicolo italiano
Autorizzazione Tribunale di Pisa n. 1 del 19-01-2015 - Marzo 2015
Periodico di Scienze Riabilitative e Motorie
Anno I ∙ 1 - 2015
L’attività fisica regolare previene
lo stress nitrosativo indotto
dall’invecchiamento
in atleti anziani
Relazione tra carico interno
e carico esterno in esercitazioni
con la palla ad alta intensità
nel settore giovanile
Omeostasi energetica e attività
locomotoria: il ruolo della leptina
e del sistema melanocortinico
Antica medicina cinese:
capire le leggi della natura
per capire e curare l’uomo
Disfunzione tiroidea e attività fisica:
implicazioni cliniche e terapeutiche
La terapia con onde d’urto radiali
(RSWT) in fase acuta.
Nuove prospettive e applicazioni
in calciatori professionisti
L’interazione tra terapie rieducative
“a secco” e “in acqua”
Ruolo delle proteine nella pratica
sportiva
Intervista ad Antonio Stecco
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della funzionalità articolare del ginocchio
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ISSN 2421-3292
Periodico di Scienze Riabilitative e Motorie
Anno I ∙ 1 - 2015
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Sommario
EDITORIALE
1
di M. Gesi
articoli originali
2
L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento in atleti anziani
J. Fusi, E. Guidotti, A. Innocenti, L. Tocchini, E. Ricciardi, M. Rossi, F. Galetta, G. Santoro, F. Franzoni
8
Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta intensità
nel settore giovanile - Studio preliminare
A. Nonnato, G. Belli, R. di Michele
Review
14
20
Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico
G. Ceccarini, A. Basolo, M. Maffei, P. Vitti, F. Santini
Disfunzione tiroidea e attività fisica: implicazioni cliniche e terapeutiche
E. Sabini, A. Biagini, E. Molinaro
Approfondimenti
25
L’interazione tra terapie rieducative “a secco” e “in acqua”
S. Rigardo
28
Ruolo delle proteine nella pratica sportiva
M. Ceriani
33
Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo
F. Nocchi
38
La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta.
Nuove prospettive e applicazioni in calciatori professionisti
C. Schmitz
notizie
41
Intervista ad Antonio Stecco
“La fascia è il tessuto dimenticato, ma fondamentale nella regolazione delle afferenze propriocettive”
a cura di E. Calvani
Anno I ∙ 1 - 2015
JSA 2015;1:1
Marco Gesi
Alla presenza delle massime autorità dell’Università di
Pisa, dei Colleghi, degli Allievi e degli Amici di “Sport
and Anatomy”, il 23 gennaio u.s. si è svolta la presentazione ufficiale di “The Journal of Sport and Anatomy”.
La giornata, iniziata nel “Palazzo alla Giornata” con il
Magnifico Rettore dell’Università di Pisa, è proseguita
nell’Aula Magna della Scuola Medica Pisana davanti a
molte persone appassionate del mondo sportivo.
Abbiamo voluto condividere l’importante evento con alcuni amici che in questi anni hanno creduto nel nostro
progetto e che hanno condiviso parte di questo lungo
cammino: Gianni Rivera, presidente del settore tecnico
federale della Figc (Federazione Italiana Giuoco Calcio), Renzo Ulivieri, presidente della AIAC (Associazione
Italiana Allenatori Calcio), Giovanni Bonocore, preparatore atletico personale di Alessandro Del Piero e Salvatore Sanzo, presidente del Coni Toscana. A far gli onori
di casa il prof. Giulio Guido, direttore del Dipartimento di
Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, il clinico medico prof. Gino Santoro, il
prof. Paolo Mancarella, prorettore per la didattica dell’Università di Pisa e il dottor Pierfrancesco Pacini storico
editore e imprenditore pisano.
“The Journal of Sport and Anatomy”, prosegue il suo
progetto editoriale con la pubblicazione del primo numero del 2015 con articoli che trattano molte tematiche
appartenenti allo sport moderno.
In primo piano due studi originali: il primo si occupa del
ruolo dell’attività fisica per contrastare lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento; il secondo è uno studio
preliminare sulla relazione tra il carico interno e carico
esterno durante esercitazioni tecnico-tattiche a elevato
impegno fisico in calciatori di giovane età. A seguire due
Editoriale
review, la prima fornisce una panoramica in merito all’influenza del sistema leptina-melanocortina sulle diverse
componenti dell’attività fisica, mentre la seconda prende in considerazione le implicazioni cliniche e terapeutiche in soggetti sportivi con disfunzione tiroidea, una
problematica che colpisce molte persone che praticano
attività sportiva. Gli approfondimenti che sono trattati in
questo numero sono dedicati ad argomenti particolarmente moderni in ambito di riabilitazione e prestazione
sportiva: saper integrare terapie in acqua e a secco; il
ruolo delle proteine nella pratica sportiva e, infine, un
richiamo all’antica medicina tradizionale cinese, il più
antico sistema medico conosciuto.
Spero che gli argomenti trattati in questo numero possano portare “quel qualcosa in più” non solo a chi ha
il compito di gestire al meglio lo sportivo ma anche a
chi vuole praticare sport sapendo quali possono essere
i benefici e quali gli eventuali danni.
Vi auguro una buona lettura.
SportandAnatomy | 1
JSA 2015;1:2-7
Jonathan Fusi, Emanuele Guidotti, Augusto Innocenti, Leonardo Tocchini, Emiliano Ricciardi,
Marco Rossi, Fabio Galetta, Gino Santoro, Ferdinando Franzoni
Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale e Dipartimento di Patologia chirurgica, medica, molecolare
e dell’area critica, Università di Pisa
L’attività fisica regolare previene
lo stress nitrosativo indotto
dall’invecchiamento in atleti anziani
Riassunto
L’invecchiamento è associato a una maggiore suscettibilità al danno tissutale mediato da radicali liberi. Una delle più importanti
classi di radicali generati nei sistemi viventi è rappresentata dai radicali liberi dell’azoto (RNS), responsabili del danno cellulare
definito come stress nitrosativo. È stato dimostrato che l’attività fisica regolare migliori i sistemi antiossidanti dell’organismo,
contribuendo a prevenire e contrastare lo stress ossidativo. L’obiettivo del presente studio è quello di valutare se l’attività fisica
sia in grado di contrastare lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento. A tale scopo sono stati reclutati 30 atleti master
di sesso maschile (età media 70,8 ± 6,1 anni, VO2max 59,07 ± 8,5 ml/kg/min) e 30 soggetti di controllo (età media 71,5 ± 4,3
anni, VO2max 25,6 ± 8,2 ml/kg/min) sani, ma con stile di vita sedentario. La capacità antiossidante plasmatica nei confronti del
perossinitrito, uno dei principali RNS, è stata valutata mediante tecnica gascromatografica Total Oxyradical Scavenging Capacity Assay (TOSCA). I risultati ottenuti dimostrano che gli atleti anziani presentano una più alta attività scavenger plasmatica nei
confronti del perossinitrito rispetto ai soggetti di controllo (22,94 ± 1,85 vs 15,41 ± 1,24 units/ml, p < 0,001). Negli atleti è stata
inoltre osservata una correlazione diretta tra la capacità scavenger del plasma e il VO2max (r = 0,44, p < 0,05). Tali risultati confermano che l’attività fisica regolare condotta per molti anni è in grado di determinare una miglior risposta allo stress nitrosativo
indotto dal perossinitrito.
Parole chiave: attività fisica - stress ossidativo - radicali liberi - perossinitrito
Abstract
Ageing is associated with an increased susceptibility to free radical-induced tissue damage. One of the most important class of
free radicals generated in living systems is represented by reactive nitrogen species (RNS), responsible for the so-called nitrosative stress. It has been shown that physical activity is able to induce up-regulation of antioxidant systems contributing to prevent
oxidative stress. Aim of the present study was to assess whether regular physical activity is able to counteract age-induced
nitrosative stress. Thirty male endurance athletes (age 70.8 ± 6.1 years, VO2max 59.07 ± 8.5 ml/kg/min) and thirty age-sexmatched sedentary controls (age 71.5 ± 4.3 years, VO2max 25.6 ± 8.2 ml/kg/min) were studied. Plasma free radicals antioxidant
capacity against peroxynitrite, one of the most important RNS, was evaluated as Total Oxyradical Scavenging Capacity (TOSC)
units. Results. Plasma TOSC values against peroxynitrite was higher in athletes than in sedentary controls (22,94 ± 1,85 vs
15,41 ± 1,24 units/ml, p < 0.001). In the athletes group, TOSC values were related to VO2max (r = 0.44, p < 0.05). In conclusion,
these results suggest that regular physical activity is associated with increased antioxidant defences in elderly athletes.
Key words: physical activity - oxidative stress - free radicals - peroxynitrite
Introduzione
L’invecchiamento è uno dei fattori di rischio indipendenti
più importanti per le patologie cardiovascolari. Esso è
associato a una maggiore suscettibilità al danno tissutale mediato da radicali liberi causata da una progressiva
2 | SportandAnatomy
perdita delle naturali capacità antiossidanti con conseguente aumento dello stress ossidativo 1.
I radicali liberi sono molecole instabili e altamente reattive prodotte nei sistemi organici dalla fosforilazione ossidativa o come risposta agli stati infiammatori. Sebbene
ARTICOLO ORIGINALE
esista una moltitudine di radicali liberi, quelli derivanti
dall’ossigeno o dall’azoto, definiti complessivamente
RONS (Reactive Oxygen and Nitrogen Species), rappresentano la più grande classe di radicali generati nei
sistemi viventi 2.
Normalmente esiste un delicato equilibrio tra la produzione di fattori ossidanti, rappresentati dai radicali liberi
dell’ossigeno (ROS), e la loro eliminazione attraverso un
elaborato sistema di difese antiossidanti, composto sia
da enzimi deputati alla conversione dei radicali liberi sia
da molecole antiossidanti in grado di neutralizzarli, gli
scavenger. Quando questo equilibrio viene alterato in
favore dell’espressione dei radicali liberi, si instaura una
condizione denominata stress ossidativo che, alterando
la struttura e la funzionalità di proteine, lipidi e acidi nucleici, induce danno cellulare 3 4. Allo stesso modo anche
i radicali liberi dell’azoto (RNS) sono in equilibrio con un
sistema tampone formato da scavenger e come per i
ROS quando questo equilibrio viene meno si instaura
una condizione di danno cellulare che, proprio in relazione al tipo di specie coinvolte, è descritto come stress
nitrosativo. In vivo l’alterazione dell’equilibrio RNS/scavenger è stata associata a processi infiammatori, neurotossicità e ischemia. Inoltre, frequentemente lo stress
nitrosativo coesiste con lo stress ossidativo e le due
condizioni si sovrappongono 5. Tra gli RNS il radicale
maggiormente associato alle patologie neurodegenerative e cardiovascolari è stato individuato nel perossinitrito (ONOO-) 6-8.
È stato dimostrato che l’attività fisica, sebbene da un
lato determini un aumento della produzione di RONS,
soprattutto attraverso l’incremento dei processi
ossidativi mitocondriali, dall’altro stimola fenomeni adattativi di up-regulation dei sistemi antiossidanti
dell’organismo. Tale fenomeno concorre nel mantenere
l’equilibrio tra produzione di RONS e sistemi scavenger
contribuendo a prevenire e contrastare lo stress ossidativo 9 10. La capacità dell’attività fisica di migliorare la
risposta scavenger dell’organismo umano nei confronti
dello stress ossidativo è stata evidenziata in un precedente lavoro nei confronti di due specie di ROS: i radicali
perossilici (ROO-) e idrossilici (OH-) 11.
L’obiettivo del presente studio è stato quello di valutare
come l’attività fisica sia in grado di contrastare lo stress
nitrosativo indotto dall’invecchiamento, confrontando
l’attività antiossidante plasmatica rispetto al perossinitrito in un gruppo di anziani sportivi amatoriali e un gruppo di controllo composto da sedentari della stessa età.
Materiali e metodi
Soggetti
Trenta podisti master (maschi, età media di 70,8±6,1
anni) appartenenti al Marathon Club di Pisa e praticanti
attività di endurance da molti anni (media 28,4±10,5 anni)
sono stati arruolati nello studio. Essi praticavano almeno
5 sedute settimanali di allenamento per un totale di circa
7 ore alla settimana, oltre a una maratona o mezza maratona competitiva almeno una domenica al mese.
Trenta volontari sani (età media 71,5±4,3 anni) con stile
di vita sedentario sono stati selezionati dall’ambulatorio
cardiologico del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa per formare il gruppo di
controllo.
Tutti i soggetti erano sani ed esenti dai principali fattori di rischio cardiovascolare sulla base di un’accurata
anamnesi, una visita clinica completa e un ECG basale
e da sforzo. Nessuno era fumatore o assumeva farmaci
o qualsiasi tipo di supplementazione vitaminica.
Gli atleti e i controlli presentavano un massimo consumo di ossigeno (VO2max), valutato mediante test ergospirometrico (QUARK PFT ERGO, Cosmed, ITALIA)
rispettivamente maggiore di 50 ml/kg/min e inferiore a
35 ml/kg/min.
Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico di Area
Vasta Nord Ovest (CEAVNO) per la Sperimentazione
clinica e tutti i soggetti hanno firmato consenso scritto
all’esecuzione dello studio.
Disegno sperimentale
Dopo incannulamento della vena antecubitale, i soggetti sono stati sottoposti a un prelievo ematico (50
ml) in condizioni ambientali controllate (temperatura di
22-24°C) a distanza di almeno 48h dall’ultimo impegno
sportivo. Il campione ottenuto e raccolto in provette
contenenti acido dipotassio-etilendiaminotetracetico
(EDTA, 10 μl/CC) è stato immediatamente centrifugato
a 3.000 g per 10 min per ricavare campioni di plasma
suddivisi in aliquote da 500 μl e conservati in Eppendorf a -80°C per le successive analisi. La valutazione
della capacità antiossidante plasmatica è stata eseguita mediante saggio TOSCA (Total Oxyradical Scavenging Capacity Assay) 12.
In breve, il saggio si basa sulla genesi artificiale di derivati del perossinitrito a 35°C a partire dalla decomposizione
del SIN-1 (3-morpholinosydnonimine N-ethylcarbamide)
in un tampone fosfato di potassio 100 mM (pH 7,4) con
0,1 mM di DTPA (diethylene-triamine-pentaacetic acid) 8.
Le reazioni con KMBA (α-cheto-γ-(methylthiol)butyric
acid) 0,2 mM sono state effettuate in vials da 10 ml sigillate con valvole a tenuta di gas Mininert® (Supelco,
Bellefonte, PA) in un volume finale di 1 ml 16. Il plasma
analizzato è stato diluito 1/100 in tampone fosfato di potassio 100 mM (pH 7.4) in un volume finale di 1 ml (10 μl
plasma + 990 μl tampone fosfato di potassio). La produzione di etilene è stata misurata tramite analisi gascromatografica di un’aliquota di 200 μl presa dallo spazio di
testa dei vials a intervalli di tempo regolari durante tutta
la durata della corsa. L’analisi è stata effettuata con un
gascromatografo Hewlett-Packard (HP 7820A Series,
Andoven, MA) equipaggiato con una colonna capillare
Supelco DB-1 (30 × 0,32× 0,25 mm) e un detector ionizzatore di fiamma (FID). Le temperature del forno, dell’iniettore e del FID erano rispettivamente 35, 160 e 220
L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento
in atleti anziani
SportandAnatomy | 3
°C. Come gas carrier è stato usato l’idrogeno (a un flusso
di 1 ml/min). I valori TOSCA sono stati calcolati dall’equazione: TOSCA = 100 - (∫SA/∫CA × 100), dove ∫SA e
∫CA rappresentano gli integrali delle aree per il campione
e la reazione di controllo, rispettivamente. I risultati sono
stati espressi in unità TOSCA per ml di plasma. Un valore
TOSCA di 0 corrisponde a un campione senza capacità
scavenger (nessuna inibizione della formazione di etilene
rispetto alla reazione di controllo, ∫SA/∫CA = 1), mentre
un valore TOSCA di 100 corrisponde alla massima efficienza del campione analizzato.
La linearità della curva dose-risposta tra il plasma (in
ml) e la risposta antiossidante (valore TOSCA) è stata
testata e sono stati ottenuti buoni coefficienti di correlazione (generalmente superiore a 0,9) per le diverse dosi
di plasma utilizzate per testare la validità dei nostri esperimenti. Ogni esperimento è stato eseguito due volte. Il
coefficiente di variazione (CV) del metodo è < al 5%.
Analisi statistica
I risultati sono stati espressi come media ± deviazione
standard. Le differenze tra le due popolazioni sono state valutate con il test t di Student. Le differenze sono
state considerate statisticamente significative quando
p < 0,05. Per valutare eventuali correlazioni tra le variabili è stata utilizzata la regressione lineare con analisi
univariata e multivariata.
Risultati
I due gruppi studiati sono risultati sovrapponibili per età,
peso, altezza, BMI, pressione sistolica e diastolica, glicemia, colesterolo totale e colesterolo LDL (Tab. I). Come
atteso, gli atleti presentavano una frequenza cardiaca
significativamente più bassa (53,9 ± 5,2 vs 65,3 ± 9,2,
p < 0,001) e un VO2max significativamente più elevato
(59,07 ± 8,5 vs 25,6 ± 8,2, p < 0,001) rispetto ai controlli
sedentari. Inoltre, è stato rilevato che il gruppo degli atleti
presentava una concentrazione plasmatica di colesterolo
HDL significativamente più elevata rispetto al gruppo di
controllo (59,7 ± 11,3 vs 43,4 ± 8,7, p < 0,01) (Tab. I).
Come riportato in Figura 1 nel gruppo degli atleti è stata rilevata una capacità antiossidante per il perossinitrito
significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo (TOSCA value: 22,94 ± 1,85 vs 15,41 ± 1,24 units/ml,
p < 0,001).
L’analisi di correlazione tra le variabili ha inoltre evidenziato una correlazione diretta nell’intera popolazione
studiata tra la capacità antiossidante verso il perossinitrito e il VO2max (r = 0,44, p < 0,05) (Fig. 2). Nessuna
correlazione è stata trovata tra le altre variabili misurate.
Discussione
Il nostro gruppo ha precedentemente dimostrato che
l’attività fisica è in grado di migliorare la risposta dell’organismo umano nei confronti dello stress ossidativo
indotto dai ROS, in particolare dai radicali perossilici
(ROO-) e idrossilici (OH-) 11. Tuttavia, per nostra conoscenza, non ci sono dati sull’efficacia dell’esercizio fisico
nel miglioramento delle capacità dell’organismo umano
di contrastare lo stress nitrosativo. Il presente lavoro documenta che l’attività fisica regolare è efficace anche nel
ridurre lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento.
Il perossinitrito è stato correlato a varie patologie a carico dell’apparato cardiovascolare e del sistema nervoso
centrale 6-8. Nell’organismo umano esso è prevalentemente generato attraverso un processo di diffusione
controllata tra l’ossido nitrico (NO) e il superossido (O2·⁻)
secondo la seguente reazione:
O2·⁻ + NO ––––> ONOO-
Tabella I. Caratteristiche cliniche della popolazione di studio (media ± SD).
Atleti
Controlli
Età (anni)
70,8 ± 6,1
71,5 ± 4,3
Altezza (cm)
172,1 ± 5,8
173,5 ± 6,2
Peso (kg)
75,9 ± 5,4
77,2 ± 6,9
23,8 ± 2,1
25 ± 1,6
BMI (kg/m )
2
FC (bpm)
53,9 ± 5,2*
65,3 ± 9,2
PAS (mmHg)
126,3 ± 4,2
128,2 ± 5,4
PAD (mmHg)
78,2 ± 5,2
79,7 ± 5,8
Glicemia (mg/dL)
93,0 ± 9,1
92,2 ± 10,0
Colesterolemia totale (mg/dL)
185,9 ± 21,3
187,4 ± 17,0
Colesterolemia HDL (mg/dL)
59,7 ± 11,31
43,4 ± 8,7
Colesterolemia LDL (mg/dL)
111,8 ± 12,8
117,5 ± 10,2
VO2max (ml/kg/min)
59,07 ± 8,5
25,6 ± 8,2
* p < 0,001; 1 p < 0,01 vs sedentari.
4 | SportandAnatomy
J. Fusi et al.
Figura 1. Attività antiossidante plasmatica verso perossinitrite
nel gruppo degli atleti e dei controlli sedentari. * p < 0,001.
Tale reazione è una delle più rapide conosciute in chimica, tanto da superare la dismutazione catalizzata
dall’enzima superossido dismutasi, uno degli antiossidanti endogeni più rappresentati 13.
Il perossinitrito, in relazione alle sue proprietà chimiche, è considerato un importante ossidante biologico
e un mediatore centrale di molti processi patologici sia
a carico dell’apparato cardiovascolare che del sistema
nervoso centrale 14. Infatti, data la sua natura radicalica,
può interagire con tutte le componenti cellulari, compreso il DNA, alterandone la struttura e conseguentemente la funzione. A livello cellulare una delle maggiori
sedi di produzione del perossinitrito è rappresentata dal
mitocondrio 15 il quale costituisce la principale fonte di
O2·⁻ che si combina con NO in relazione alla facile diffusione di quest’ultimo dal citosol verso questa sede 6 16.
La successiva reazione del perossinitrito con le compo-
Figura 2. Analisi di correlazione tra massimo consumo di ossigeno e attività antiossidante plasmatica verso perossinitrite nell’intera popolazione di studio.
nenti mitocondriali altera irreversibilmente l’attività dei
complessi I e II della catena di trasporto degli elettroni e
dell’ATPasi modificando di conseguenza la bioenergetica mitocondriale e l’omeostasi del calcio, promuovendo
in definitiva l’ulteriore formazione di O2·⁻ 6 17 18.
I dati raccolti in questo studio hanno evidenziato, per la
prima volta, che l’attività antiossidante plasmatica per i
derivati del perossinitrito è significativamente superiore
in un gruppo di anziani che svolgono da molti anni attività podistica amatoriale ad alto livello rispetto a soggetti di controllo sedentari. Dai risultati ottenuti si può
quindi presumere che l’esercizio fisico sia in grado di
contrastare gli effetti dannosi indotti dallo stress nitrosativo associato all’invecchiamento. Questa evidenza è
supportata dalla correlazione diretta tra la capacità di
scavenger del plasma verso i perossinitriti e il VO2max,
mostrando come lo stato di forma fisica e di allenamento e quindi il grado di fitness siano il principale correlato
della miglior risposta allo stress nitrosativo.
Del resto l’attività fisica viene universalmente riconosciuta come un importante fattore di prevenzione primaria e secondaria. L’esercizio fisico regolarmente
eseguito, infatti, non solo è un fondamentale fattore di
riduzione del rischio di insorgenza e progressione dell’ipertensione arteriosa, delle dislipidemie, del diabete e
dei disordini metabolici in genere, ma si è rivelata anche
essere estremamente importante per l’impatto diretto
sulla mortalità 19-23.
Tuttavia si suppone che questi effetti possano essere
ottenuti pienamente soltanto quando i RONS siano prodotti in quantità fisiologica o di poco superiore 24. L’eccessiva produzione di RONS può essere il risultato di
una grande varietà di stressors che vanno dall’esposizione a sostanze inquinanti all’esagerato o inappropriato apporto di nutrienti 25.
Più in generale, ogni situazione nella quale si riscontri
un aumento del consumo di ossigeno può condurre a
uno stato acuto di stress ossidativo. Tale condizione si
può quindi manifestare anche durante un esercizio fisico
intenso e/o prolungato 26. Quindi, da un lato l’esercizio
fisico determina un aumento della produzione di RONS,
soprattutto attraverso l’incremento dei processi ossidativi mitocondriali, ma dall’altro esso stimola fenomeni
adattativi rispetto agli insulti ossidativi proprio grazie
all’incrementata produzione delle specie reattive. Una
ripetuta esposizione dei sistemi cellulari a un’incrementata produzione di RONS derivante dall’esercizio fisico
conduce, infatti, a una upregulation dei sistemi antiossidanti dell’organismo 9 10. È proprio l’alterazione dell’equilibrio ossidoriduttivo associata a un ambiente più ridotto
che sembrerebbe comportare un adattamento protettivo verso i RONS durante le sessioni di allenamento sequenziali, così come in caso di esposizione a condizioni
non associate all’esercizio fisico.
I risultati ottenuti con il presente lavoro sono quindi
a favore dell’ipotesi secondo cui l’esercizio fisico regolare migliori la capacità antiossidante plasmatica e
L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento
in atleti anziani
SportandAnatomy | 5
riduca lo stress ossidativo e nitrosativo indotto dall’invecchiamento. Presumibilmente l’incremento dell’attività antiossidante in seguito a un allenamento fisico è
frutto di un processo di adattamento secondo i principi
dell’ormesi: in risposta a una ripetuta esposizione a
tossine o stressors di varia origine in quantità limitata
l’organismo va incontro a un adattamento favorevole
che risulta in un miglioramento della performance fisica
e dello stato di salute generale 27 28. Il livello intermedio di RONS prodotti, che risulta perciò ottimale, conduce apparentemente a una condizione di equilibrio
e di vantaggio per la salute generale, laddove invece
una produzione troppo bassa o troppo elevata porta a
un’alterazione delle capacità di difesa dell’organismo o
a un esteso danno ossidativo e infiammazione.
Sebbene l’esatta comprensione del rapporto esistente
tra RONS ed esercizio fisico rimanga ancora aperta a interpretazioni e approfondimenti, è ormai evidente che sia
l’esercizio fisico aerobico 29 che quello anaerobico 30 possono potenzialmente determinare uno stress ossidativo e
nitrosativo acuto mediante meccanismi biochimici di vario tipo. Differenti protocolli di esercizio possono indurre
diversi livelli di produzione di RONS in quanto il danno ossidativo da essi indotto ha dimostrato essere dipendente da intensità e durata dell’esercizio stesso 31. Si deve
comunque tener conto che anche altri fattori tra i quali
l’età 32, il grado di allenamento 10 e la dieta 33 rivestono un
ruolo determinante nell’eventuale alterazione dell’equilibrio tra difese antiossidanti ed elementi pro-ossidanti.
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1
6 | SportandAnatomy
Da un punto di vista molecolare è necessario considerare che gli effetti vantaggiosi dell’attività fisica regolare
potrebbero essere mediati in parte dall’aumentata biodisponibilità di NO conseguente a esercizio fisico e in
parte da un’attivazione RONS-mediata delle vie di trascrizione genica che determinano in ultima analisi una
maggiore produzione di enzimi antiossidanti. I RONS,
infatti, sembrano in grado di agire da segnale di attivazione di una serie di molecole che a loro volta attivano
fattori di trascrizione nucleare sensibili allo stato redox
come il Nuclear Factor kB (NF-kB). Le regioni geniche
promoter di vari enzimi antiossidanti come la superossido dismutasi, iNOS (Inducible Nitric Oxyde Synthase) e
glutamilcisteina sintetasi contengono siti di legame per
NF-kB e sono perciò potenziali target per l’up-regulation
indotta dall’esercizio fisico mediante la via NF-kB con i
RONS come secondi messaggeri 26 34 35.
In conclusione, data la dimostrazione di correlazione tra
attività fisica, meccanismi di trascrizione genica e attività antiossidante plasmatica, è auspicabile che le future
ricerche in questo campo conducano a individuare con
maggiore precisione e completezza i meccanismi molecolari alla base dell’adattamento dell’attività antiossidante indotto dall’attività fisica, ottenendo una migliore
quantificazione del grado di attività sportiva (e di conseguenza dell’attività antiossidante) necessaria affinché si
generi un effetto vantaggioso per la salute.
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CORRISPONDENZA
Ferdinando Franzoni
[email protected]
L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento
in atleti anziani
SportandAnatomy | 7
JSA 2015;1:8-13
Andrea Nonnato1, Guido Belli2, Rocco di Michele3
Preparatore Atletico Allievi Biancoscudati, Padova
PhD, Preparatore Atletico Allievi Biancoscudati, Padova
3 PhD, Ricercatore universitario, Università di Bologna
1 2 Relazione tra carico interno e carico
esterno in esercitazioni con la palla
ad alta intensità nel settore giovanile
Studio preliminare
Riassunto
Questo studio preliminare ha analizzato il carico di allenamento di due esercitazioni tecnico-tattiche a elevato impegno fisico in
calciatori di età differenti. 8 calciatori Under 16 e 8 Under 15 hanno eseguito 2 SSGs (Small Sided Games) in diverse modalità:
un 4 vs 4 in “doppio quadrato” (3 x 4’) e mini-partite, con la presenza del portiere, in “gabbia” (20’ totali, dal 2 vs 2 al 4 vs 4). Gli
indici di carico esterno sono stati monitorati attraverso un sistema GPS, ed è stata registrata la fatica percepita (RPE). Il 4 vs 4
ha mostrato un’intensità complessivamente maggiore rispetto alla gabbia per potenza metabolica media, distanza al minuto,
distanza equivalente al minuto ed RPE. Al contrario, un’intensità maggiore è emersa nella “gabbia” per percentuale di distanza
equivalente e accelerazione/decelerazione ad alta intensità. Tali differenze tra le esercitazioni sono risultate pressoché simili
negli Under 15 rispetto agli Under 16. Infine, l’intensità delle 2 modalità di SSGs è risultata complessivamente maggiore negli
Under 16 per tutte le variabili esaminate. In conclusione, il 4 vs 4 è più intenso della “gabbia”, essendo un lavoro più focalizzato
su aspetti fisici che tecnici. I calciatori di categoria Under 16 riescono a esprimere un impegno maggiore nel 4 vs 4 e appaiono
quindi più pronti a svolgere in modo ottimale tale esercitazione.
Parole chiave: calcio - potenza metabolica - GPS - RPE
Abstract
The aim of this preliminary study was to analyse the training load produced by two physically demanding technical-tactical drills
in soccer players of different age groups. Sixteen male players (U16: n = 8, U15: n = 8) performed 2 small-sided games (SSGs)
drills: a 4 vs 4 possession in a “double square” pitch (3 x 4-min), and an “in/out” possession with regular goals and goalkeepers
(20-min total duration, 2 vs 2 to 4 vs 4). The external load was monitored using a GPS device, and the rate of perceived exertion
(RPE) was recorded at the end of each session. The 4 vs 4 possession showed a higher training intensity than the “in/out” drill
as revealed by higher average metabolic power, distance covered per minute, equivalent distance per minute, and RPE. On the
contrary, the percentage equivalent distance, and high intensity acceleration/deceleration were higher in the “in/out” possession. These differences between examined drills were observed both in the U15 and U16 age group. Finally, in both the drills
and for all examined load variables, the training intensity was overall higher in the U16 than in the U15 group. In conclusion, the
4 vs. 4 possession is more physically challenging than the “in/out” possession, being more focused on physical than on technical aspects. U16 players are more capable than U15 to produce the maximum effort in the 4 vs 4, and thus are more ready to
perform optimally that kind of drill.
Key words: soccer - metabolic power - GPS - RPE
Introduzione
Questo studio presenta un’indagine preliminare in cui
sono state esaminate due esercitazioni ad alta intensità
8 | SportandAnatomy
in calciatori di due fasce di età differenti. Non essendoci
in letteratura dati specifici sulle variabili esaminate nelle esercitazioni proposte, non è possibile fare confron-
ARTICOLO ORIGINALE
ti con studi precedenti, ma solo commentare in base a
considerazioni generali dettate dall’esperienza pratica
ciò che è stato osservato.
Come riportato da Hill-Haas et al. 1, gli Small Sided Games (SSGs) sono usualmente considerati un mezzo di
allenamento specifico per il calcio. Si tratta in pratica
di esercitazioni nelle quali, rispetto al classico 11 vs 11,
vengono modificate le dimensioni del campo, il numero
dei giocatori e alcune regole del gioco per dare stimoli di
allenamento diversi ai giocatori, a seconda che l’obiettivo
sia più incentrato sulle capacità condizionali o su quelle
tecnico-tattiche. L’allenamento con gli SSGs comporta
numerosi vantaggi: in primo luogo è possibile, nello stesso momento, allenare le qualità tecnico-tattiche e fisiche
del calciatore con esercizi che rispecchiano la situazione
di gara reale; inoltre, gli SSGs sono più motivanti per i
giocatori rispetto ad allenamenti senza palla e garantiscono una buona flessibilità per la modulazione del carico grazie alla possibilità di variare i diversi parametri
che li caratterizzano (numero di giocatori, dimensioni del
campo, regole, ecc.). Gli SSGs hanno anche però dei limiti, ovvero l’effetto plateau difficile da raggiungere per i
giocatori molto allenati, la difficoltà di replicare i momenti
più intensi della gara, l’aumento della possibilità delle lesioni da contatto e la necessaria presenza di più allenatori per controllare e tenere alta l’intensità.
Quando si utilizzano gli SSGs in allenamento è tuttavia
fondamentale misurare in modo preciso e sistematico il
carico di allenamento ottenuto, soprattutto in riferimento all’intensità dell’esercizio. Esistono diversi indici per
la valutazione del carico:
1)indici di carico interno, come la frequenza cardiaca
(FC, di solito valutata rispetto alla FCmax), la concentrazione ematica di acido lattico, e il livello di fatica
percepita (Rate of Perceived Exertion, RPE). Peraltro,
tutti i metodi attualmente disponibili per valutare l’intensità durante gli SSGs hanno specifici vantaggi, ma
anche delle limitazioni. Per questo è stato suggerito
che gli SSGs siano meglio monitorati attraverso una
combinazione di diverse misure di intensità del carico
interno 2. Analizzando gli studi precedenti che hanno
valutato l’intensità del carico negli SSGs attraverso i
parametri sopracitati (si veda ad esempio la Review di
Hill-Haas et al. 1), è possibile osservare che l’aumento
delle dimensioni del campo e la diminuzione del numero di giocatori portino all’aumento della Frequenza
Cardiaca (FC), del Lattato e della RPE 2. Interessante
risulta anche l’effetto combinato delle due variabili. Sembra infatti che l’intensità di gioco diminuisca
quando aumenta il numero di giocatori e quando diminuiscono le dimensioni del campo. Un altro aspetto che può incidere sull’intensità dell’esercizio è la
tipologia di regole adottate e la presenza o meno dei
portieri. Gli effetti di quest’ultima variabile, però, non
sono ancora del tutto chiari: ad esempio alcuni autori
hanno mostrato che la presenza dei portieri comporta
una diminuzione della FC dei giocatori 3 mentre altri
studi mostrano un effetto opposto 4. Infine l’intensità degli SSGs è molto influenzata anche dal rapporto
lavoro-recupero e dall’incitamento da parte dello staff
tecnico 2;
2)da qualche anno si sono introdotti anche indici di
carico esterno, attraverso misurazione con GPS
prima a 1 Hz, per arrivare a oggi dove si arriva già
a misurare a 20 Hz. Uno degli aspetti derivanti da
queste misurazioni è la possibilità di valutare come
la variazione della superficie di gioco, mantenendo
sempre lo stesso numero di giocatori (5 vs 5 più il
portiere), comporti una variazione della distanza
totale percorsa, della velocità media e di altre variabili
di spostamento misurate attraverso sistemi GPS,
compresi alcuni comportamenti tecnico-motori 5. In
un recente studio di Gaudino et al. 6, è stato principalmente osservato che la distanza totale, la distanza
corsa ad alta velocità così come la velocità massima
assoluta, le accelerazioni e le decelerazioni aumentano con l’aumentare delle dimensioni del campo
(10 vs 10 > 7 vs 7 > 5 vs 5). Inoltre, la distanza totale
percorsa, le distanze percorse a velocità molto elevata
e massima, la massima velocità assoluta e la massima
accelerazione e decelerazione assolute sono risultate
superiori negli SSGs con portieri e goal (SSG-G) rispetto agli SSG finalizzati al possesso palla (SSG-P).
D’altra parte, il numero di accelerazioni e decelerazioni a intensità moderata e il numero totale delle variazioni di velocità erano maggiori quando le dimensioni
del campo diminuivano (5 vs 5 > 7 vs 7 > 10 vs 10) sia
negli SSG-G che negli SSG-P.
Scopo dello studio
Anche nel settore giovanile gli SSGs sono ampiamente
utilizzati modulando l’intensità del carico attraverso le
dimensioni del campo, l’utilizzo di regole specifiche, il
numero di giocatori e l’incitamento dell’allenatore. Come
mostrato da McMillan et al. 7 è possibile ottenere, attraverso gli SSGs, intensità di carico anche molto elevate
(fino al 90% e oltre della FCmax) paragonabili a quelle
di allenamenti di resistenza a secco come l’interval training, e producendo gli stessi adattamenti nel tempo 8.
In letteratura non ci sono ancora studi che hanno analizzato esercitazioni uguali in differenti fasce d’età, e non
ci sono evidenze a riguardo. Tuttavia è fondamentale dal
punto di vista pratico conoscere le caratteristiche delle
esercitazioni più adatte a seconda delle varie fasce d’età, per poi proporle in modo il più possibile adeguato e
specifico.
Pertanto, nella nostra indagine abbiamo perseguito i seguenti obiettivi:
1)valutare le differenze d’impatto fisiologico di due
esercitazioni tecnico-tattiche (SSGs) a elevato impegno metabolico, mediante la misurazione del carico
esterno e del carico interno;
2)valutare l’impatto delle singole esercitazioni in due fasce d’età differenti: Under 15 e Under 16.
Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta
intensità nel settore giovanile
SportandAnatomy | 9
Tabella I. Dati antropometrici dei calciatori nelle due fasce di età esaminate (media e dev. st.).
U 15
U 16
Altezza (m)
Peso (kg)
BMI
Media
1,70
57,40
17,13
Dev. st.
0,08
7,74
6,08
Materiali e metodi
16 giocatori delle categorie U15 (n = 8) e U16 (n = 8)
(Tab. I), dopo una familiarizzazione di due sedute, hanno
eseguito, in sedute differenti e non in giorni consecutivi,
due esercitazioni con palla usate per lo sviluppo delle
componenti metaboliche e tecnico-tattiche.
L’intensità del carico è stata monitorata attraverso la
valutazione della fatica percepita (RPE), misurata attraverso la Scala di Borg (CR 10). La RPE è stata raccolta
10 minuti dopo la fine dell’esercitazione per il dentrofuori e, sia dopo ogni serie che alla fine, per il doppio
quadrato.
Il carico esterno invece è stato misurato attraverso un
sistema GPS (K-sport, 10 Hz, software K-fitness).
Le esercitazioni erano:
1Il “doppio quadrato” (Tab. II), che consiste in un 4 vs 4
in quadrato di 15 x 15 m per 1’ dopo il quale l’allenatore chiamava il cambio di quadrato, posto a 15 m, e
si passava a un quadrato di 20 x 20 m per 1’, il tutto
ripetuto 2 volte (tot. 4’). Il riposo tra le ripetizioni era di
2’. Le ripetizioni erano tre, ognuna rispettivamente di
4’, per un totale di 16’;
2il dentro-fuori in “gabbia” (Tab. III) (proposto da
Capanna), che prevedeva due squadre composte
da 6 giocatori. A turno secondo lo schema riportato sotto, venivano chiamati a giocare nel campo
(30 x 20m) 2-3-4 coppie di giocatori che si sfidavano
in un possesso con finalizzazione. Se si giocava un
2 vs 2 il tempo di gioco era 60”, se si giocava un 3 vs
3 il tempo di gioco era 75”, se si giocava un 4 vs 4 il
tempo di gioco era 90”. Per il cambio tra i giocatori
nel rettangolo di gioco erano previsti 15”. Il lavoro
complessivo era di 20’, mentre quello per ogni giocatore era di 570” per i giocatori 2-3-4-5-6, mentre
per il giocatore 1 era di 495”.
Le tabelle seguenti riportano alcuni dettagli sulle caratteristiche delle esercitazioni utilizzate.
Le variabili di carico esterno analizzate, in accordo con
Osgnach et al. 9, sono state:
1 potenza metabolica media (W/kg);
2 distanza al minuto (m);
3 distanza equivalente al minuto (m);
4 percentuale della distanza equivalente (%);
5 velocità ad alta intensità (m), > 5 m/s;
6 accelerazione ad alta intensità (m), > 2 m/s*2;
7 decelerazione ad alta intensità (m), < -2 m/s*2;
8 potenza metabolica ad alta intensità (m), > 20 w/kg.
10 | SportandAnatomy
Altezza (m)
Peso (kg)
BMI
Media
1,80
69,50
21,35
Dev. st.
0,04
4,57
0,98
Tabella II. Caratteristiche dell’esercitazione “doppio quadrato”
(4 vs 4).
1° Possesso doppio quadrato
Campo 1° (m)
15 x 15
Campo 1° (m2)
225
Area (m ) x giocatore campo n°1
28,1
2
Campo n° 2 (m)
20 x 20
Campo n° 2 (m )
400
Area (m2) x giocatore campo n° 2
50
Distanza (m)
15
N° giocatori
16 (2 x 4 vs 4)
2
N° giocatori (squadra)
4
Durata tot (min)
16
Durata netta (min)
12,5
Durata esercizio (min)
4
Recupero (min)
2
2° Dentro/fuori in gabbia porte regolari
Campo (m)
30 x 20
Campo (m )
600
2
Area (m ) x giocatore campo
2
75-100-150
N° giocatori
12
N° giocatori (squadra)
6
Durata tot (min)
20
Durata netta (min)
Durata esercizio (min)
Recupero (min)
17
1,5-1,25-1
0,15
La variabile analizzata, rappresentativa del carico interno, è stata 10: RPE (punti, unità arbitrarie).
Per verificare l’effetto delle due esercitazioni (4 vs 4 e
gabbia), dell’età dei calciatori (Under 15 e Under 16) e
della loro interazione sulle diverse variabili dipendenti
osservate, sono state eseguite delle ANOVA 2 x 2 per
misure ripetute, con la fascia d’età come fattore tra i
soggetti ed il tipo di esercitazione come fattore entro i
soggetti.
Le analisi sono state eseguite con il Software SPSS,
versione 14. Il livello di significatività è stato posto a
p < 0,05.
A. Nonnato et al.
Tabella III. Descrizione dell’esercitazione “gabbia” (Rec. = recupero) (Capanna).
Gioco
Rec.
1
Giocatori
R
1
R
1
R
1
Partite
R
1
1
R
1
R
1
495”
375”
2
R
2
R
2
R
2
R
2
2
R
2
R
2
570”
450”
3
3
R
3
R
3
3
R
3
R
3
R
3
R
570”
450”
4
4
R
4
R
4
R
4
R
4
R
4
4
R
570”
450”
5
5
R
5
R
5
5
R
5
R
5
R
5
R
570”
450”
6
R
6
6
R
6
R
6
R
6
R
6
R
6
570”
450”
75”
75”
90”
60”
90”
90”
60”
90”
90”
60”
90”
75”
75”
Tempo di gioco
Tabella IV. Statistiche descrittive (media e dev. st.) delle variabili analizzate.
4 vs 4
U15
Potenza metabolica media (W/kg)
Gabbia
U16
U15
U16
7,52 ± 1,38
8,49 ± 0,98
6,6 ± 1,42
7,33 ± 1,04
distanza al minuto (m)
79,89 ± 12,21
87,86 ± 8,49
66,83 ± 11,79
73,39 ± 8,94
distanza equivalente al minuto (m)
97,06 ± 17,86
109,8 ± 12,49
85,19 ± 18,21
94,89 ± 13,45
Percentuale di dist. equival. (%)
20,82 ± 4,92
24,88 ± 3,8
26,92 ± 4,38
29,07 ± 3,52
Velocità ad HI (m)
117,41 ± 82,67
146 ± 74,46
128,4 ± 108,3
165,3 ± 87,76
Accelerazione ad HI (m)
78,24 ± 32,2
98,84 ± 21,69
104,6 ± 35,5
118 ± 24,13
Decelerazione ad HI (m)
79,24 ± 29,99
99,17 ± 22,89
104,6 ± 36,8
120,2 ± 24,9
Potenza metabolica ad HI (m)
261,06 ± 103,9
317,7 ± 60,36
279,5 ± 121,7
340,1 ± 93,07
4 vs 4
RPE (punti)
Gabbia
U15
U16
U15
U16
3,95 ± 0,52
6,44 ± 1,09
3,68 ± 0,74
5,34 ± 0,77
Risultati
La Tabella IV riporta le statistiche descrittive per le diverse variabili di carico analizzate, suddivise in base
alla fascia d’età e alla tipologia di esercitazione. Nelle
Tabelle V, VI, e VII sono invece riportate, per ciascuna
delle variabili, le significatività degli effetti principali e
dell’interazione, come le differenze in percentuale tra i
due gruppi di età e tra i due tipi di esercitazione.
Dai risultati è emerso che l’esercitazione 4 vs 4 ha
comportato valori di intensità dell’esercizio complessivamente maggiori rispetto alla “gabbia” per quanto riguarda le seguenti variabili: potenza metabolica media,
distanza al minuto, distanza equivalente al minuto e RPE
(Tab. V). Al contrario, valori maggiori sono stati osservati
nell’esercitazione “gabbia” rispetto al 4 vs 4 per la percentuale di distanza equivalente e per accelerazione e
decelerazione ad alta intensità. Non sono invece state
osservate differenze significative tra le due tipologie di
esercitazione (p > 0,05) per quanto riguarda la potenza
metabolica e la velocità ad alta intensità. Tali differenze
tra le esercitazioni sono risultate nel complesso simili
negli Under 15 e negli Under 16 in quanto per nessu-
na variabile (a eccezione della RPE), è stata osservata
un’interazione significativa tra fascia di età e tipologia
di esercitazione. Nel caso dell’RPE, il livello di fatica
percepita è risultato simile tra le due esercitazioni negli
Under 15, mentre gli Under 16 hanno percepito come
più impegnativo il 4 vs 4 rispetto alla gabbia. Per quanto
riguarda l’effetto attribuibile all’età (indipendentemente dalla tipologia di esercitazione) l’intensità è risultata
maggiore negli Under 16 in riferimento a tutte le variabili
di carico esaminate.
Variabili di carico esterno
Vedere Tabelle V, VI e VII.
Variabile rappresentativa del carico interno
Vedere Tabelle VIII, IX e X.
Discussione e conclusioni
Questo studio ha presentato un’indagine preliminare in
cui sono state esaminate due esercitazioni ad alta intensità in calciatori di due fasce di età (U15 e U16). Non
essendoci in letteratura dati specifici sulle variabili esa-
Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta
intensità nel settore giovanile
SportandAnatomy | 11
Tabella V. Differenze percentuali tra le esercitazioni per le variabili di carico esterno. Il valore è riportato nella colonna riferita alla
tipologia di esercitazione che ha mostrato il valore maggiore.
Tabella VIII. Differenze percentuali tra le esercitazioni per la
variabile di carico interno. Il valore è riportato nella colonna riferita
alla tipologia di esercitazione che ha mostrato il valore maggiore.
Per esercitazione
4 vs 4
> gabbia
Potenza metabolica media (W/kg)
gabbia
> 4 vs 4
Per esercitazione
p
14%
p = 0,000
Distanza al minuto (m)
18%
p = 0,000
Distanza equivalente al minuto (m)
14%
p = 0,000
Percentuale di dist. equival. (%)
24,2%
p = 0,000
Velocità ad HI (m)
2,4%
p = 905
Accelerazione ad HI (m)
24,9%
p = 0,001
Decelerazione ad HI (m)
24%
p = 0,002
Potenza metabolica ad HI (m)
2,6%
p = 0,732
Tabella VI. Differenze percentuali tra le fasce di età per
le diverse variabili di carico esterno.
RPE (punti)
p
16%
p = 0,000
Distanza al minuto (m)
13,3%
p = 0,000
Distanza equivalente al minuto (m)
16,3%
p = 0,000
Percentuale di dist. equival. (%)
14,1%
p = 0,005
Velocità ad HI (m)
43,2%
p = 0,000
Accelerazione ad HI (m)
24%
p = 0,004
Decelerazione ad HI (m)
25%
p = 0,003
27,7%
p = 0,002
Tabella VII. Significatività delle interazioni tra la fascia di età e tipologia di esercitazione per le diverse variabili di carico esterno analizzate.
Interazione
p
Potenza metabolica media (W/kg)
p = 0,630
Distanza al minuto (m)
p = 0,518
Distanza equivalente al minuto (m)
p = 0,621
Percentuale di dist. equival. (%)
p = 0,444
Velocità ad HI (m)
p = 0,354
Accelerazione ad HI (m)
p = 0,857
Decelerazione ad HI (m)
p = 0,717
Potenza metabolica ad HI (m)
p = 0,500
minate nelle esercitazioni proposte, non è possibile fare
confronti con studi precedenti, ma solo commentare in
base a considerazioni generali dettate dall’esperienza
12 | SportandAnatomy
p
14%
p = 0,001
Per età
RPE (punti)
U16 > U15
p
50,4%
p = 0,000
Tabella X. Significatività delle interazioni tra la fascia di età e
tipologia di esercitazione per la variabile di carico interno.
Interazione
U16 > U15
Potenza metabolica ad HI (m)
gabbia
> 4 vs 4
Tabella IX. Differenze percentuali tra le fasce di età per la variabile di carico interno.
Per età
Potenza metabolica media (W/kg)
4 vs 4
> gabbia
p
RPE (punti)
p = 0,008
pratica ciò che è stato osservato e ragionare rispetto
agli studi condotti fino a questo momento.
Quello che principalmente emerge è che un’esercitazione come il 4 vs 4, in cui è previsto un lavoro di 4 minuti
senza pausa, è più impegnativa sotto tutti i punti di vista
rispetto alla “gabbia”: si tratta quindi di un lavoro più
focalizzato su aspetti fisici che tecnici e probabilmente meno motivante per i calciatori visto che non comprende la finalizzazione. Tuttavia le accelerazioni (> 2 m/
s2) e le decelerazioni ad alta intensità (<-2 m/s2) hanno
mostrato valori maggiori nella “gabbia” rispetto che nel
4 vs 4. Si può supporre che ciò sia dovuto alla presenza
dei portieri e quindi del goal, così come alle dimensioni
del campo e al fatto che si doveva attaccare e difendere
e non solo mantenere il possesso di palla.
Per entrambe le tipologie di esercitazione l’intensità
espressa è stata maggiore negli U16 rispetto agli U15.
Probabilmente gli U16 sono più pronti per sopportare
un certo tipo di richiesta rispetto agli U15, come sicuramente sono stati più abituati a un certo tipo di intensità,
data dalla diversità delle proposte degli allenatori delle
squadre utilizzate in questo studio.
Per quanto riguarda l’RPE gli U15 hanno percepito una
minore fatica in entrambe le esercitazioni. Pertanto la
proposta del 4 vs 4 in questa fascia d’età non ha portato
a ottenere il livello di intensità atteso. Ciò è legato probabilmente a un limite di questo studio preliminare, ovvero al fatto che gli U15 coinvolti in questo studio erano
A. Nonnato et al.
poco abituati a svolgere un’esercitazione come il 4 vs 4
e di conseguenza non sono riusciti a esprimere il massimo dell’impegno fisico.
In riferimento agli studi condotti fino a oggi, notiamo
che ci sono più similitudini con la “gabbia” (Capanna),
perché molte esercitazioni hanno adottato uno spazio di
30 x 20 m nell’esecuzione degli SSGs, anche se con minutaggi, numero di giocatori e ripetizioni differenti. Questi studi hanno evidenziato come più aumenta il numero
di giocatori in uno spazio predefinito, più diminuisce l’intensità, anche se nella nostra proposta la differente età
dei partecipanti ha influito sulla risposta allo sforzo. In
entrambe le esercitazioni non vi erano limiti di tocco di
palla, altro fattore che influisce nell’aumentare del carico
interno individuale.
Anche l’incitamento influisce sull’aumento dell’intensità,
come dimostrato da Coutts 10 e Rampinini 2, e nelle due
esercitazioni proposte vi era questo tipo di stimolo.
Per quanto riguarda i parametri di carico esterno, non
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5
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sono stati analizzati il numero e l’intensità di accelerazioni e decelerazioni nei due differenti campi dell’esercitazione “doppio quadrato” e neanche nella “gabbia”.
La differenza di RPE ci può però suggerire che queste
eseritazioni siano in linea con quanto osservato da Gaudino at al. 6.
Un’ulteriore tematica che sarà interessante sviluppare
riguarda l’analisi del carico interno ed esterno in esercitazioni con palla che prevedono temi di gioco e specifiche regole adatte per le diverse fasce di età del settore
giovanile. Studi futuri dovranno inoltre essere orientati
verso un tentativo di programmazione e propedeutica
riguardo alle esercitazioni con palla.
Ringraziamenti
Un ringraziamento speciale va a Duccio Ferrari Bravo,
PhD, Preparatore Atletico Juventus FC che mi ha dato lo
spunto per sviluppare questo elaborato, contribuendo in
modo importante allo sviluppo pratico e metodologico.
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CORRISPONDENZA
Andrea Nonnato
[email protected]
Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta
intensità nel settore giovanile
SportandAnatomy | 13
JSA 2015;1:14-19
Giovanni Ceccarini, Alessio Basolo, Margherita Maffei, Paolo Vitti, Ferruccio Santini
Centro Obesità - U.O. Endocrinologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Omeostasi energetica e attività
locomotoria: il ruolo della leptina
e del sistema melanocortinico
Riassunto
Ai fini di un adeguato controllo del peso corporeo, l’apporto nutrizionale e l’attività fisica sono integrate attraverso un sistema
regolatorio comune all’interno del quale il sistema leptina-melanocortina riveste un ruolo di grande rilievo. Questo sistema è deputato a controllare l’equilibrio calorico attraverso un meccanismo a feed-back che segnala al sistema nervoso centrale l’entità
delle scorte contenute nel tessuto adiposo al fine di ottimizzare l’introito alimentare e la spesa energetica.
Nei roditori, la riduzione dei livelli di leptina che si verifica in seguito alla deprivazione di cibo o alla riduzione della massa grassa
è associata a uno stimolo sull’appetito, a una diminuzione dell’attività locomotoria complessiva e a un simultaneo aumento
dell’attività anticipatoria del pasto, una specifica attività motoria che riflette l’attitudine alla ricerca di risorse nutrizionali. Questa
attività può essere modulata dalla somministrazione di leptina ed è almeno in parte mediata dai neuroni del sistema melanocortinico. Nell’uomo, gli studi sui gemelli hanno attribuito a fattori genetici almeno il 50% della variabilità nella propensione all’attività
fisica. In particolare, alcuni polimorfismi del recettore 4 della melanocortina e della leptina sono associati a variazioni dei livelli di
attività motoria. Chiarire la complessità dei meccanismi che intervengono nella regolazione dell’attività fisica e le connessioni tra
le diverse vie coinvolte nell’omeostasi dell’energia potrebbe consentire di comprendere la natura delle differenze che esistono
tra individuo e individuo in termini di propensione all’attività fisica e di dispendio energetico a essa associato. In considerazione
delle storiche difficoltà incontrate nello sviluppo di farmaci contro l’obesità che siano nel contempo sicuri ed efficaci, lo sfruttamento dei molteplici effetti favorevoli prodotti dall’attività fisica rappresenta una componente imprescindibile nel contesto di una
strategia comportamentale multidimensionale finalizzata al contrasto dell’obesità e delle malattie ad essa associate.
Parole chiave: attività locomotoria - leptina - attività fisica - obesità - sistema melanocortinico - anoressia nervosa
Abstract
Twin studies indicate that genetic factors are important determinants of the variance of physical activity. Several genes or loci
which may affect physical activity are also involved in body weight homeostasis. Polymorphisms of the melanocortin-4 and leptin
receptors have repeatedly been associated with the level of physical activity. Clearly, the regulation of locomotor behavior is closely
inter-connected with the pathways involved in energy homeostasis. In rodents, the reduction in leptin levels that physiologically
occur in the event of acute food deprivation or shrinkage of the fat mass consequent to prolonged caloric restrictions is associated
with a decrease in total activity and an increase in food anticipatory activity; these actions are likely aimed at minimizing energy
wasting, while stimulating at the same time the locomotor behavior necessary to the acquisition of nutrient resources for survival.
Key words: locomotor activity - leptin - physical activity - obesity - melanocortin system - anorexia nervosa
14 | SportandAnatomy
REVIEW
Introduzione
In condizioni naturali l’omeostasi energetica e il peso
corporeo sono regolate mantenendo in sintonia l’introito e il consumo calorico. Quest’ultimo è principalmente
determinato dal dispendio energetico a riposo, dall’attività motoria non collegata all’esercizio fisico e dall’attività fisica volontaria 1.
L’appetito e il metabolismo sono variabili regolate da
meccanismi neurobiologici molto efficienti. Le mutazioni
di singoli geni alla base di questo sistema omeostatico
sono responsabili di circa il 5% delle cause di obesità precoce 2. Tali mutazioni influiscono su proteine che
sono principalmente espresse a livello del sistema nervoso centrale.
Studi condotti in gemelli adottati e sulle loro famiglie,
sia biologiche che adottive, hanno stabilito che nel 5070% dei casi l’indice di massa corporea è geneticamente determinato 3 4. Ma quanto il contributo della genetica
influisca sull’introito calorico e quanto si manifesti sulla
spesa energetica attraverso l’attività motoria non è a
oggi ben chiaro. In particolare, il fatto che il comportamento motorio e la propensione all’attività fisica siano
modulati da regolatori neuroormonali è molto spesso
sottovalutato.
L’attività locomotoria è un comportamento complesso
influenzato da fattori sociali, demografici e ambientali 5.
Dati sperimentali ottenuti sia nell’animale che nell’uomo
mostrano inoltre che l’attività locomotoria può variare anche su base genetica. Il riconoscimento di questi
meccanismi di regolazione assume sempre maggiore importanza di fronte a una vera e propria epidemia
dell’obesità. Quando si parla di attività fisica ci si riferisce di solito a due componenti: l’esercizio volontario e
l’attività fisica spontanea. L’esercizio volontario è definito come quell’attività locomotoria non direttamente richiesta per la sopravvivenza e non direttamente motivata da eventi esterni 6: in altri termini l’esercizio volontario
consiste nell’attività sportiva e nelle attività assimilabili.
L’attività fisica spontanea consiste di tutte le rimanenti
attività svolte nella vita di tutti i giorni (ad es. mantenimento della postura, gesticolazione) 6 7. È peraltro vero
che molte attività motorie rientrano in una zona grigia a
metà tra attività volontaria e attività spontanea.
Nei mammiferi si sono sviluppati complessi meccanismi regolatori che consentono di integrare in modo ottimale l’attività fisica nel mantenimento dell’omeostasi
energetica. Una restrizione calorica a breve termine e il
digiuno diminuiscono l’attività locomotoria complessiva
mentre una modesta restrizione calorica sostenuta per
lungo tempo aumenta tale attività, sia nei topi che nei
primati non umani 8 9. Le varianti di alcuni geni (peroxisome proliferator-activated receptor-γ, ipocretina, recettori
beta adrenergici di tipo 2, uncoupling protein 3, fat mass
and obesity (FTO) gene) sono associati a differenti livelli
di attività fisica 10 11. Inoltre numerosi peptidi gastrointesinali di natura ormonale, quali grelina, PYY, colecistochinina, incretina e insulina sembrano contribuire in
maniera importante alla regolazione del comportamento
locomotorio. Anche alcuni componenti del sistema di
‘reward’ (gratificazione) come i recettori della dopamina,
gli oppioidi endogeni e gli endocannabinoidi possono
influenzare l’esercizio volontario in modo importante.
Lo scopo principale di questo articolo è quello di fornire
una panoramica in merito all’influenza del sistema leptina-melanocortina sulle diverse componenti dell’attività
locomotoria.
Studi sui roditori
La selezione naturale ha portato a continui adattamenti
evolutivi al fine di facilitare l’acquisizione delle sostanze
nutritive necessarie per la riproduzione e la sopravvivenza. Numerosi studi hanno mostrato che è possibile
selezionare linee murine che si caratterizzano per alti o
bassi livelli di attività locomotoria 12 13. I modelli di roditori
hanno inoltre permesso di analizzare i fattori maggiormente coinvolti nella regolazione dell’attività locomotoria, grazie a metodi di oggettiva valutazione dell’attività
e all’assenza dei fattori confondenti che sono inevitabilmente presenti negli studi condotti nell’uomo. Modelli
murini hanno fornito importanti informazioni attraverso
lo studio di topi knockout, knockdown o alla valutazione dell’iper-espressione genica consentendo di studiare con successo i meccanismi neurobiologici alla base
del comportamento locomotorio. L’attività locomotoria
volontaria è solitamente misurata dal numero di rotazioni della ruota presente nella gabbia (“running wheel
activity”, RWA) ed esprime un’attività gratificante e un
comportamento auto-motivato simile all’attività fisica
volontaria degli esseri umani. L’attività in gabbia (“home
cage activity”, HCA) descrive l’attività locomotoria
spontanea 7 e può essere misurata con raggi infrarossi
o attraverso video-registrazione. A questo proposito è
necessario osservare che la resistenza all’esercizio (influenzata dalla qualità delle componenti delle fibre muscolari) e i livelli totali di attività fisica, non sono probabilmente evoluti in modo sinergico e non sono tra loro
correlati 14.
Effetto della leptina e del sistema melanocortinico
sull’attività locomotoria
La leptina è un ormone secreto dagli adipociti in quantità proporzionale alla loro massa e regola l’omeostasi
del peso corporeo attraverso l’inibizione dell’assunzione
degli alimenti e l’aumento del dispendio 15 16. I topi leptino-deficienti (ob/ob) sono obesi e ipoattivi 17; la somministrazione di leptina normalizza il loro peso corporeo
e i livelli di attività fisica 18. Questo riscontro sembrerebbe in linea con l’idea prevalente per cui l’ipoattività
è secondaria all’obesità. Ci sono tuttavia risultati sperimentali che indicano come basse dosi di leptina siano
in grado di aumentare sia la RWA che l’HCA durante il
primo giorno di trattamento, prima cioè che si manifesti il calo ponderale, a dimostrazione del fatto che l’azione della leptina sull’attività motoria non è un effetto
Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico
SportandAnatomy | 15
secondario alla perdita di peso 19 20. È da notare come
nel topo normale la somministrazione periferica di dosi
sopra-fisiologiche di leptina non aumenti l’attività locomotoria 18 19. In linea con questo effetto della leptina, topi
magri che iperesprimono leptina transgenica non mostrano variazioni dell’attività motoria; quest’ultima però
si riduce quando la secrezione dell’ormone viene interrotta 20. In topi esposti a un regime alimentare a basso
contenuto calorico in cui le concentrazioni sieriche di
leptina vengono mantenute normali attraverso la continua somministrazione dell’ormone, l’improvvisa interruzione dell’infusione provoca una riduzione del 50%
dell’attività motoria. Questa diminuzione dell’attività non
si osserva quando i livelli di leptina sono ripristinati dal
libero accesso al cibo 21.
Nel loro complesso questi dati indicano che una riduzione delle concentrazioni fisiologiche di leptina, come
quella che si realizza durante il digiuno, può essere uno
dei meccanismi che mediano la riduzione dell’attività
fisica che si osserva nei soggetti che presentano una
marcata perdita di peso. Il ripristino di livelli fisiologici
di leptina favorisce un aumento dell’attività locomotoria,
mentre livelli di leptina sovrafisiologici non hanno effetti
addizionali. La carenza di leptina che riflette un bilancio
energetico negativo è dunque responsabile di una riduzione dell’attività motoria totale che appare finalizzata
al risparmio energetico e alla conservazione del peso
corporeo.
Tuttavia, questo effetto di riduzione dell’attività motoria
potrebbe risultare controproducente qualora provocasse un’inibizione della ricerca del cibo. A questo proposito è interessante notare che quando l’animale è abituato
a ricevere il pasto a orari stabiliti, subito prima di tale
evento manifesta un aumento dei livelli di RWA. Questo
fenomeno viene comunemente indicato come attività
anticipatoria del pasto 22. Il comportamento dei roditori
in cui la disponibilità del cibo è ridotta e limitata ad alcune ore della giornata, è caratterizzato da perdita di peso,
ipotermia e aumentata attività anticipatoria 23. Il modo in
cui la somministrazione di leptina influenza l’attività anticipatoria del cibo è stato oggetto di specifici studi che
ne hanno evidenziato un effetto inibitorio 24. In accordo
con questa azione della leptina, topi ob/ob completamente privi dell’ormone, nonostante abbiano una riduzione dell’attività motoria totale, mostrano una marcata
attività anticipatoria che viene abolita dalla somministrazione dell’ormone 19. Tutte le azioni della leptina sulle
attività fisiche possono essere riprodotte quando questa viene somministrata a basse dosi direttamente nei
ventricoli cerebrali, indicando che gli effetti della leptina
sull’attività motoria sono mediati a livello del sistema
nervoso centrale 19 25.
Il sistema della melanocortina include vari effettori: neuropetide Y (NPY), agouti gene-related protein (AgRP),
proopiomelanocortina (POMC) e α-melanocyte stimulating hormone (αMSH) con i suoi specifici recettori
(MC3R e MC4R). I recettori della leptina (LepR) sono
16 | SportandAnatomy
diffusamente espressi nel sistema nervoso centrale, in
modo particolare nell’ipotalamo, dove la leptina regola
l’alimentazione e il dispendio energetico. Nel nucleo arcuato la leptina stimola i neuroni POMC che esercitano
un’azione anoressizzante mediata da αMSH. Nel medesimo tempo la leptina inibisce i neuroni che esprimono
NPY e AgRP, potenti peptidi oressizzanti. Alfa-MSH è un
agonista di MC4R e MC3R mentre AgRP è un antagonista ad alta affinità per entrambi i recettori 26. Nel modello
murino l’obesità può essere causata da un difetto del
gene POMC, dall’iperespressione di AgRP o da una ridotta funzione del MC4R 27. Il ripristino della trasduzione
del segnale del recettore della leptina nel nucleo arcuato
dei topi db/db, geneticamente privi del LepR e pertanto
obesi come i topi ob/ob, normalizza la loro attività locomotoria prima che si manifestino gli effetti sul peso 28. La
stessa azione si ottiene quando il segnale trasmesso dal
recettore della leptina è ripristinato esclusivamente nel
nucleo arcuato di neuroni POMC, a indicare che questi
neuroni sono tra i principali mediatori degli effetti della
leptina sul comportamento locomotorio 29. Il trasduttore
del segnale STAT-3 è uno dei maggiori effettori intracellulari dell’azione della leptina. Topi che mostrano un’attivazione costitutiva di STAT-3 nei neuroni AgRP sono
magri e iperattivi 30. Al contrario, topi con inattivazione
del segnale di STAT-3 in neuroni LepR mostrano una
ridotta attività locomotoria 31. La somministrazione di
NPY in corso di restrizione alimentare aumenta l’attività
anticipatoria del pasto 32 ma non modifica l’attività totale
nei ratti normali. Questi dati enfatizzano gli effetti comportamentali dell’NPY, che sono modulati da cambiamenti dello stato energetico, e identificano l’NPY come
possibile mediatore dell’azione della leptina sull’attività
anticipatoria del cibo. Non è chiaro quali ulteriori centri a
valle regolino le risposte locomotorie alla leptina ma probabilmente il segnale converge su reti neuronali come
quelle del sistema dopaminico-mesolimbico, coinvolto
nei processi di gratificazione e motivazione 33, e su quelle
del sistema nervoso simpatico 34. Topi maschi knockout
per MC4R hanno minore attività locomotoria nella fase
di buio rispetto a topi normali 35. La somministrazione
di MC4R antagonisti diminuisce l’attività locomotoria
nei ratti 36. Di interesse è il fatto che topi knockout per
MC4R hanno minore attività totale e maggiore massa
adiposa in confronto a topi normali 37. I neuroni POMC
sono bersagli degli estrogeni 38 e forniscono input sinaptici ai neuroni che esprimono l’ormone stimolante le
gonadotropine (GnRH). Questo potrebbe rappresentare
una spiegazione dell’effetto che gli estrogeni esercitano sull’attività locomotoria e del dimorfismo tra i sessi
che talora si osserva nei modelli murini. Topi knockout
per MC3R mostrano un’attenuata attività anticipatoria
del pasto associata con ridotta espressione di AgRP e
NPY nel nucleo arcuato 39. Queste osservazioni rinforzano l’impressione che AgRP e NPY influenzino l’attività
anticipatoria. A tal proposito è interessante osservare
come topi knockout per il fattore di trascrizione NHLH-2
G. Ceccarini et al.
(nescient helix loop helix 2) presentino obesità ad insorgenza tardiva dovuta ad una riduzione dell’attività fisica
spontanea. Questi animali riducono ulteriormente la loro
attività dopo restrizione calorica, un effetto non reversibile anche dopo ripristino del normale accesso al cibo 40.
Se documentato nell’uomo, questo fenomeno potrebbe
essere uno dei meccanismi che contribuiscono a riguadagnare il peso dopo interruzione della dieta 41. Di interesse è il fatto che l’omologo umano di NHLH-2 è implicato nel controllo trascrizionale di MC4R. Si ipotizza
inoltre che il fattore BDNF (brain derived neurotrophic
factor), uno dei principali regolatori della plasticità neuronale, sia uno degli effettori del sistema leptina/melanocortina 42. Topi esposti ad un arricchimento ambientale mediante gabbie particolari che favoriscono l’attività
fisica e aumentano lo stimolo sensoriale, le attività cognitive e sociali, mostrano un incremento della sensibilità alla leptina e aumentata espressione del BDNF
ipotalamico, aumentata stimolazione dei neuroni anoressizzanti POMC e inibizione dei neuroni oressizzanti
NPY 43 44. In altre parole, sembra che nel momento in cui
l’animale viene esposto a uno stile di vita più naturale, il
suo ipotalamo subisca modificazioni che producono un
abbassamento del set point per la leptina e favoriscono
una ristrutturazione delle connessioni sinaptiche, orchestrata da BDNF, con un conseguente potenziamento dei
sistemi inibitori dell’appetito e di quelli promotori dell’attività motoria. Quindi, in un ambiente naturale il sistema
verrebbe orientato per limitare un eccessivo accumulo
di grasso corporeo che ostacolerebbe gli animali nell’esercizio delle proprie funzioni naturali (competizione
per il cibo, fuga, espansione territoriale). È ipotizzabile
che l’arricchimento ambientale, tradotto nella fisiologia
umana, possa avere un ruolo rilevante nella promozione
dell’attività motoria spontanea e rappresenti un mezzo
ulteriore per combattere l’epidemia dell’obesità.
In conclusione, la riduzione dei livelli di leptina che fa
seguito alla deprivazione di cibo o a una riduzione della
massa grassa è associata a una diminuzione della attività motoria totale e a un aumento dell’attività anticipatoria del pasto. Nel momento in cui la disponibilità di
alimenti è limitata tali azioni sarebbero finalizzate a minimizzare lo spreco di energia, stimolando nel contempo
il comportamento motorio relativo alla ricerca di cibo e
all’acquisizione delle risorse necessarie per sopravvivere (Fig. 1). Questi aspetti sono almeno in parte mediati
dal sistema della melanocortina.
Possibili meccanismi di regolazione
dell’attività fisica nell’uomo
Nell’uomo, la valutazione dell’esercizio volontario può
essere effettuata attraverso strumenti come accelerometri, auto-reports, questionari, osservazione diretta,
valutazione continua dell’attività cardiaca, calorimetrie.
In uno studio nel quale sono stati utilizzati dispositivi
multisensoriali per il monitoraggio dell’attività motoria 45
è stato dimostrato che, paragonati a controlli normope-
Figura 1. In uno stato di restrizione calorica, i livelli circolanti di
leptina sono ridotti per segnalare all’ipotalamo una condizione di bilancio energetico negativo, con conseguente attivazione dei neuroni
AgRP/NPY e inibizione dei neuroni POMC. Tali effetti provocano una
riduzione dell’attività locomotoria totale e un aumento dell’attività
anticipatoria del pasto, al fine di contrastare gli effetti della deprivazione energetica durante situazioni di carestia. Da [1], modificata.
so, soggetti moderatamente obesi spendevano una media di 2 ore in più al giorno nella posizione seduta e conseguentemente due ore in meno nella posizione eretta
o nella deambulazione. Questo comportamento motorio
non cambiava quando i volontari obesi perdevano peso
o i soggetti magri aumentavano di peso. Sulla base di
queste osservazioni è quindi ipotizzabile che una ridotta attività motoria spontanea preceda la comparsa
dell’obesità e ne rappresenti un fattore predisponente.
Altri studi hanno dimostrato come l’iperalimentazione,
in acuto, causi una riduzione dell’attività locomotoria 46. Tale effetto sarebbe più accentuato nei soggetti
predisposti all’obesità 47. Nell’uomo, l’iperattività si può
associare alla restrizione calorica in alcune condizioni
estreme, come l’anoressia nervosa 48. È ipotizzabile che
quest’ultimo fenomeno coinvolga meccanismi implicati
nell’attività anticipatoria del pasto. In alcune situazioni,
l’effetto stimolatorio esercitato dalla riduzione dei livelli di leptina sull’attività anticipatoria del pasto potrebbe
essere dominante su quello inibitorio esercitato sull’attività motoria totale. Uno studio effettuato utilizzando il
registro svedese dei gemelli ha mostrato che all’interno
delle coppie, i livelli di attività fisica sono molto più simili quando si tratta di gemelli monozigoti rispetto agli
eterozigoti 49, a dimostrazione di un’influenza dei fattori
genetici sull’attività motoria. Si calcola che la variabilità
di attività motoria attribuibile a fattori genetici sia fra il
50% e il 78% 49-51.
Numerosi studi hanno valutato le basi genetiche dell’attività fisica (intesa come intensità e durata) utilizzando
differenti approcci: studi di linkage, di associazione e
Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico
SportandAnatomy | 17
di wide genome scan 52. Nel Quebec Family Study 53,
un polimorfismo (C-2745T) localizzato in prossimità del
gene dell’MC4R risultava associato all’intensità dell’attività fisica.
Un limite di questi studi consiste nell’impossibilità a
stabilire un nesso di causalità tra le variabili esaminate
e negli strumenti utilizzati per valutare la natura e l’intensità dell’attività fisica; molti di essi sono infatti basati
su questionari compilati autonomamente. Due studi di
linkage genetico hanno peraltro confermato una correlazione tra l’attività fisica e loci che sono localizzati a livello dell’MC4R 54 55. Un altro studio ha identificato un polimorfismo in posizione 1704 nella regione 3’ di MC4R,
che interferisce con un sito di legame per un micro-RNA
con marcato effetto sull’attività motoria valutata attraverso l’uso di accelerometri 56.
Gli indiani Pima, omozigoti per il polimorfismo Arg223
del recettore della leptina, mostrano bassi livelli di attività fisica, calcolata come rapporto tra spesa energetica totale e metabolismo basale, utilizzando una camera
metabolica 57 58. I livelli di leptina spiegano il 37% della
variazione di attività motoria nei pazienti affetti da ano-
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18 | SportandAnatomy
ressia nervosa 59. È interessante osservare come l’esercizio fisico influenzi a sua volta la secrezione di leptina,
determinando una diminuzione acuta dei livelli circolanti 60, pur in assenza di modificazioni del peso corporeo 61.
Nell’uomo i geni candidati per spiegare la marcata variabilità inter-individuale dei livelli di attività fisica sono
quelli che controllano i sistemi di gratificazione e motivazione, come il gene del recettore dopaminergico D2 62.
In conclusione, chiarire la complessità dei meccanismi
che intervengono nella regolazione dell’attività fisica e
le connessioni tra le diverse vie coinvolte nell’omeostasi dell’energia potrebbe consentire di comprendere la
natura delle differenze che esistono tra individuo e individuo in termini di propensione all’attività fisica e di
dispendio energetico a essa associato. In considerazione delle storiche difficoltà incontrate nello sviluppo di
farmaci contro l’obesità che siano nel contempo sicuri
ed efficaci, lo sfruttamento dei molteplici effetti favorevoli prodotti dall’attività fisica rappresenta una componente imprescindibile nel contesto di una strategia comportamentale multidimensionale finalizzata al contrasto
dell’obesità e delle malattie a essa associate.
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Giovanni Ceccarini
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Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico
SportandAnatomy | 19
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Elena Sabini, Agnese Biagini, Eleonora Molinaro
Unità Operativa di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa
Disfunzione tiroidea e attività fisica:
implicazioni cliniche e terapeutiche
Riassunto
Le disfunzioni tiroidee e, in particolare, l’ipotiroidismo sono malattie complesse caratterizzate da segni e sintomi che possono aver un impatto notevolmente negativo sulla qualità della vita e sulla performance in corso di attività fisica. L’intolleranza
all’esercizio fisico in condizioni di ipotiroidismo non trattato è multifattoriale e dipende dall’insieme di limitazioni funzionali dei
diversi apparati. Gli ormoni tiroidei preservando le funzioni cardiovascolari, respiratorie e muscolari a riposo e durante l’esercizio rappresentano il fattore limitante per la tolleranza all’esercizio in condizioni di ipotiroidismo. Un’adeguata terapia ormonale
sostitutiva in condizioni di ipotiroidismo, oltre a migliorare la qualità della vita concorre a garantire buoni risultati sportivi durante
l’attività fisica. Tuttavia, l’intolleranza all’esercizio nei pazienti con ipotiroidismo conclamato e, in misura minore, in pazienti con
ipotiroidismo subclinico, non è sempre reversibile in seguito ad una adeguata terapia ormonale sostitutiva. Infatti, in tali pazienti
si assiste ad una minor tolleranza all’attività fisica che porta a sua volta ad una minor attività fisica praticata con conseguente
peggioramento della qualità della vita in tali pazienti in quanto viene meno il beneficio psico-fisico di cui si giovano i soggetti
che praticano un’attività fisica regolare. In generale uno stile di vita attivo basato su una regolare attività fisica di tipo aerobio è
raccomandata in tutti i soggetti ed in particolare in pazienti con ipotiroidismo in quanto in grado di migliorare la qualità della vita
indipendentemente dalla condizione di ipotiroidismo.
Parole chiave: tiroide – attività fisica – ormoni tiroidei
Abstract
Thyroid dysfunctions and, in particular, hypothyroidism are complex diseases characterized by signs and symptoms that may
have a significant negative impact on quality of life and performance in the course of physical activity. The exercise intolerance
in conditions of untreated hypothyroidism is multifactorial and is dependent on the functional limitations of the various system
organ class. Thyroid hormones preserving the functions of cardiovascular, respiratory and muscle systems during relaxation and
during exercise and they are responsible for the limitation of exercise tolerance in conditions of hypothyroidism.
Adequate hormone replacement therapy in conditions of hypothyroidism, in addition to improving the quality of life, helps to
achieve good results during physical activity. However, exercise intolerance in patients with overt hypothyroidism and in patients
with subclinical hypothyroidism, is not always reversible following an appropriate hormone replacement therapy.
In fact, in these patients there is a loss of tolerance to physical activity, consequently they perform a lower physical activity resulting deterioration in the quality of life. These patients do not enjoy the psychophysical benefits who instead are available to
individuals who practice regular physical activity. In general an active lifestyle based on regular physical activity of aerobic type
is recommended in all subjects, in particular in patients with hypothyroidism as it can improve the quality of life regardless of the
condition of hypothyroidism
Key words: thyroid - physical activity - hypothyroidism 20 | SportandAnatomy
REVIEW
Introduzione
La tiroide è una ghiandola endocrina, situata nella regione anteriore del collo che, attraverso la sintesi e la secrezione in circolo di 2 ormoni, la triiodotironina (T3) e la
tiroxina (T4), ricopre un ruolo fisiologico estremamente
importante: influenza direttamente lo sviluppo scheletrico e cerebrale, partecipa alla regolazione del metabolismo corporeo e allo sviluppo di pelle, apparato pilifero
e organi genitali.
Gli ormoni tiroidei vengono prodotti dalle cellule follicolari della tiroide in risposta all’ormone ipofisario TSH, la
cui produzione è a sua volta regolata dall’ormone ipotalamico TRH. La secrezione di ormoni tiroidei è pulsatile
e segue un ritmo circadiano; i livelli più alti di T3 e T4 si
raggiungono durante la notte e le prime ore del mattino,
mentre i livelli più bassi si rilevano tra le 12 e le 21.
Azione degli ormoni tiroidei
Gli ormoni tiroidei nel feto e nel lattante sono indispensabili per il normale accrescimento e per la maturazione dei vari apparati, mentre nell’adulto condizionano la
funzione di ogni organo e tessuto attraverso un aumento
generalizzato dei processi metabolici.
In particolare gli ormoni tiroidei:
• regolano direttamente il metabolismo basale attraverso l’aumento del consumo di ossigeno a riposo, della
produzione di calore e della spesa energetica (per effetto dell’aumento del metabolismo ossidativo mitocondriale e degli enzimi respiratori). Infatti, in condizioni normali, il consumo di O2 è di circa 250 ml/min,
in condizioni di ipotiroidismo scende a 150 ml/min e
sale a 400 ml/min in condizioni di ipertiroidismo;
• favoriscono la glicogenolisi e la gluconeogenesi (attraverso un aumento della produzione epatica di glucosio e della sintesi degli enzimi coinvolti nella sua
ossidazione);
• stimolano sia la lipolisi (utilizzo di grasso a scopo energetico), sia la lipogenesi (sintesi di tessuto adiposo),
con effetto prevalente sulla lipolisi e, quindi, conseguente aumento della disponibilità di acidi grassi, la cui
ossidazione genera ATP, utilizzato per la termogenesi;
• aumentano la sintesi proteica ed hanno pertanto un
effetto trofico sul muscolo;
• regolano lo sviluppo e la differenziazione del sistema
nervoso centrale durante la vita fetale e nelle prime
settimane di vita;
• aumentano la contrattilità miocardica (effetto inotropo positivo), la frequenza cardiaca (effetto cronotropo
positivo) e il ritorno venoso al cuore; sono quindi essenziali per la funzionalità cardiaca;
• hanno un ruolo determinante nello sviluppo scheletrico, infatti: stimolano l’ossificazione endocondrale,
la crescita lineare e la maturazione dei centri epifisari,
favoriscono la maturazione e l’attività dei condrociti
nella cartilagine della lamina di accrescimento, nell’adulto, accelerano il rimodellamento osseo con effetto
prevalente sul riassorbimento.
Attività fisica e tiroide
Gli ormoni tiroidei hanno, inoltre, altri svariati effetti metabolici: aumentano la motilità intestinale; favoriscono
l’assorbimento della cianocobalamina (vit. B12) e del
ferro; aumentano la sintesi di eritropoietina, il flusso renale e la filtrazione glomerulare; stimolano la produzione
endogena di altri ormoni (GH); hanno ruolo permissivo
sulle funzioni riproduttive e regolano il trofismo di cute
e annessi.
Una disfunzione della ghiandola tiroide si traduce in due
sindromi cliniche ben definite:
• l’ipotiroidismo: sindrome clinica conseguente a un
deficit degli ormoni tiroidei a livello tissutale che comporta una riduzione generalizzata di tutti i processi
metabolici dell’organismo;
• l’ipertiroidismo: condizione morbosa conseguente
all’aumento delle concentrazioni sieriche delle frazioni libere degli ormoni tiroidei che determina un aumento generalizzato dei processi metabolici.
Effetti degli ormoni tiroidei sull’apparato
osteo-muscolare
Azione degli ormoni tiroidei a livello muscolare
Gli ormoni tiroidei controllano la produzione di energia
e numerosi aspetti della fisiologia dell’unità neuromuscolare attraverso la modulazione della sintesi proteine
contrattili e la regolazione flussi ionici transmembrana.
In particolare:
• regolano la sintesi delle catene pesanti di miosina
(attraverso l’aumento dell’isoenzima alfa e la riduzione dell’isoenzima beta con conseguente prevalenza
delle fibre di tipo II, a elevata attività ATP-asica ed
efficienza contrattile);
• aumentano la Ca-ATPasi (potenziamento dell’uptake
del calcio nel reticolo sarco-plasmatico con aumento
della contrattilità);
• aumentano la Na/K-ATPasi (aumento dell’efflusso
cellulare di sodio con potenziamento della contrazione e aumento del consumo di O2 e della termogenesi).
In generale gli effetti delle disfunzioni tiroidee sull’apparato osteo-muscolare, si traducono in una ridotta
tolleranza allo sforzo. Nell’ipotiroidismo ciò è dovuto a
una ridotta riserva cardio-vascolare (riduzione VO2 max,
riduzione gittata cardiaca, aumento del lattato), a una
ridotta riserva polmonare, a una alterata distribuzione
del flusso sanguigno e a una riduzione della capacità di
ossidazione dei substrati. I meccanismi alla base della
ridotta efficienza muscolare sono riconducibili all’aumento delle fibre lente (tipo I); all’alterata funzione ossidativa mitocondriale con conseguente riduzione di ATP
e di fosfocreatina; alla diminuzione del pH intracellulare
e al precoce esaurimento di glicogeno. Nell’ipertiroidismo, invece, la ridotta tolleranza allo sforzo dipende da
un aumento della velocità di flusso sanguigno e dell’output cardiaco a riposo; da una diminuzione dell’efficienza di utilizzo di O2, della soglia anaerobica, della riserva
SportandAnatomy | 21
contrattile e della capacità di lavoro. Tali effetti sono la
conseguenza di un aumento della frequenza e della gettata cardiaca. Questi effetti metabolici si traducono clinicamente in un quadro di debolezza, astenia, dispnea
da sforzo e intolleranza all’esercizio fisico nei pazienti
ipotiroidei. Nei pazienti ipertiroidei, invece, l’attività fisica porta a manifestazioni quali: tachicardia a riposo,
ridotta tolleranza allo sforzo, debolezza muscolare (specialmente dei muscoli prossimali ed estensori), riduzione delle masse muscolari.
Effetti dell’esercizio fisico
sulla funzione tiroidea
L’esercizio fisico oltre a determinare una serie di effetti benefici sul sistema cardiovascolare, influenza anche
un’ampia gamma di funzioni endocrine e metaboliche.
A causa della nota influenza degli ormoni tiroidei sul
sistema cardiovascolare, vari studi sono stati condotti
per esaminare le variazioni della funzione tiroidea e di
altre ghiandole endocrine durante l’esercizio fisico. La
mancanza di coerenza di questi studi risiede in diversi
aspetti: ampia varietà della tipologia di esercizio fisico
messo in relazione alla funzione tiroidea, variabilità individuale e non omogeneità delle condizioni di funzione
tiroidea iniziale.
In particolare Smallridge et al. hanno presentato uno
studio in cui venivano valutate tre condizioni diverse di
esercizio (sedentari, corridori amatoriali e maratoneti); in
tali categorie non venivano rilevate sostanziali differenze
della funzione tiroidea in condizioni basali e dopo stimolo con TRH (TRH test). L’unica differenza significativa riguardava, infatti, i livelli basali di prolattina dosati
nell’immediato post-esercizio e dopo un’ora dal termine dell’esercizio che risultavano più bassi nei soggetti
sedentari rispetto a coloro che effettuavano un’attività
Segni e sintomi dell’ipotiroidismo
Sistema Nervoso Centrale: perdita della memoria,
scarsa concentrazione e sordità
Faringe: raucedine
Ormoni
tiroidei
Cuore: bradicardia e versamento
pericardico
Muscolatura: riflesso
di rilassamento ritardato
Estremità: sensazione di freddo
Polmoni: fiato corto
e versamento pleurico
Intestino: costipazione e ascite
Apparato riproduttivo:
menorragia
Pelle: parestesie e mixedema
Perdita di capelli
22 | SportandAnatomy
fisica regolare, mentre non si erano riscontrate differenze significative tra corridori amatoriali e agonisti, anche
il picco della prolattina dopo stimolo con TRH risultava
più elevato in questo secondo gruppo. Da questo studio emergerebbe che, mentre gli effetti dell’attività fisica
sugli ormoni tiroidei sono trascurabili, l’esercizio fisico
avrebbe, tuttavia, un’azione su altri ormoni, in particolare, sulla prolattina i cui valori sono modificati dall’attività fisica, senza una modulazione dovuta all’intensità
dell’attività fisica. Alcuni autori hanno, infatti, ipotizzato che l’iperprolattinemia intermittente prodotta dall’esercizio fisico può giocare un ruolo nell’amenorrea che
spesso si riscontra nelle atlete giovani 1.
Anche secondo altri autori l’esercizio fisico di breve
durata sembrerebbe esercitare solo modeste influenze
sull’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide: è stato, infatti, dimostrato che bassi carichi di lavoro non determinano
variazioni del TSH né durante l’esercizio né durante le
24 ore successive 2; mentre, in caso di esercizio submassimale di lunga durata, altri studi dimostrano un
continuo innalzamento dei livelli di TSH sia durante che
nei 15 minuti dopo l’esercizio.
Il consistente aumento di TSH, registrabile dopo stress
fisico prolungato, è molto probabilmente dovuto al minore livello periferico degli ormoni tiroidei, molto utilizzati a livello tessutale, con conseguente stimolazione
(attraverso le vie fisiologiche di feedback) della sintesi
di TRH a livello ipotalamico e di conseguenza di TSH
a livello ipofisario. Ciò è stato dimostrato in uno studio
condotto in Norvegia in cui sono stati evidenziati elevati
livelli plasmatici di T3, T4, TSH e della proteina che lega
gli ormoni tiroidei (TBG), in atleti che praticavano sci di
fondo subito dopo una prestazione: i livelli plasmatici di
T3, T4 e TSH ritornavano entro i limiti iniziali solo dopo
vari giorni dalla fine della sessione di esercizio 2.
Pertanto, mentre un’intensa ma breve attività fisica non
è in grado di determinare modificazioni significative dei
livelli plasmatici degli ormoni tiroidei, prolungate sedute
di allenamento portano a un marcato aumento dei livelli
di T3 e T4 come conseguenza dell’azione del feedback
positivo sull’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide.
L’attività fisica protratta è dunque in grado di influenzare l’attività biosintetica della tiroide e di far aumentare i
livelli di T3 e T4 senza però creare gli effetti tossici che
avvengono in caso di ipertiroidismo.
Alcuni studi, tuttavia, hanno, dimostrato una riduzione
della T3 circolante, probabilmente come conseguenza
dell’aumentata conversione periferica in reverse T3 3.
Inoltre va considerato che l’attività fisica, pur non condizionando direttamente l’attività tiroidea, modificando lo
stato nutrizionale, condiziona indirettamente la sintesi e
la produzione di ormoni tiroidei. Infatti la funzionalità tiroidea, regolando il metabolismo energetico, risente moltissimo dello stato nutrizionale: la sua attività si riduce in
condizioni di bilancio energetico negativo, come durante
il digiuno, in cui cala la produzione di ormoni tiroidei e la
sensibilità dei tessuti nei confronti di tali ormoni, ciò coE. Sabini et al.
stituisce un meccanismo di difesa che consente di ridurre il metabolismo tessutale al fine di limitare il consumo
energetico. Infatti secondo Uribe et al. 4 l’attività dell’asse
ipotalamo-ipofisi-tiroide si riduce in condizioni di bilancio energetico negativo ma l’effetto dell’esercizio cronico
sull’asse è controverso e non noto a livello ipotalamico.
Ipotiroidismo e attività fisica
L’ipotiroidismo è una malattia complessa caratterizzata
da segni e sintomi che possono aver un impatto notevolmente negativo sulla qualità della vita 5 e sulla performance in corso di attività fisica. L’esercizio fisico, infatti,
richiede il funzionamento coordinato di cuore, polmoni, circolazione periferica e muscoli. Gli ormoni tiroidei
preservando le funzioni cardiovascolari, respiratorie e
muscolari a riposo e durante l’esercizio 6 rappresentano
il fattore limitante per la tolleranza all’esercizio in condizioni di ipotiroidismo. In generale, un’adeguata terapia
sostitutiva in condizioni di ipotiroidismo, oltre a migliorare la qualità della vita concorre a garantire buoni risultati
sportivi durante l’attività fisica. Tuttavia, un numero significativo di pazienti continua a sperimentare una ridotta prestazione fisica anche durante un’adeguata terapia
ormonale sostitutiva 3; non esistono, però, studi clinici
randomizzati che abbiano valutato la ridotta tolleranza
all’esercizio nei pazienti ipotiroidei adeguatamente trattati con Levo-tiroxina.
In una recente revisione della letteratura 3 è stato dimostrato che l’intolleranza all’esercizio fisico in condizioni di ipotiroidismo non trattato è multifattoriale e
dipende dall’insieme di limitazioni funzionali dei diversi
apparati (cardiovascolare, cardiopolmonare, polmo-
Sistema endocrino tiroideo
Ipotalamo
Adenoipofisi
Feedback
negativo
Fattore di rilascio
della tireotropina
(TRH)
Tireotropina
(TSH)
Tiroide
Ormoni tiroidei
(T3 eT4)
Attività fisica e tiroide
nare, muscolo-scheletrico, neuromuscolare). Inoltre,
l’intolleranza all’esercizio nei pazienti con ipotiroidismo conclamato e, in misura minore, in pazienti con
ipotiroidismo subclinico, non è sempre reversibile in
seguito ad una adeguata terapia ormonale sostitutiva 7. Da questa analisi è emerso che la condizione di
ipotiroidismo può portare a significativi effetti negativi
sul benessere fisico sia nei pazienti non trattati che in
quelli adeguatamente trattati con Levo-tiroxina, rendendoli più intolleranti all’esercizio fisico rispetto ai
soggetti sani. Secondo questa revisione, esistono dati
contraddittori sugli effetti dell’attività fisica in pazienti
con ipotiroidismo primario, ciò che emerge è che l’ipotiroidismo si associa a una peggiore qualità della vita
e di conseguenza a un benessere fisico inferiore, sia in
pazienti trattati che in quelli non adeguatamente trattati con Levo-tiroxina. In particolare questi pazienti presentano una minore tolleranza all’esercizio che, in un
circolo vizioso porta a praticare meno attività fisica con
la perdita del beneficio che invece si osserva in tutti coloro che praticano esercizio fisico regolare. In generale
uno stile di vita attivo basato su una regolare attività
fisica di tipo aerobico è raccomandato in tutti i soggetti anche in pazienti con ipotiroidismo che comunque
traggono giovamento da una attività fisica regolare. Le
potenziali limitazioni fisiche che si osservano nei pazienti ipotiroidei e in quelli trattati con terapia sostituiva
non rappresentano un impedimento a una attività fisica
regolare. È importante che endocrinologi e medici dello sport collaborino per limitare gli effetti negativi della
disfunzione tiroidea, senza escludere dall’attività fisica
regolare questi soggetti, promuovendo uno stile di vita
attivo con tutti i vantaggi che ne conseguono.
Conclusioni
L’attività fisica regolare si è dimostrata come uno dei principali fattori capace di ridurre la mortalità e le comorbidità cardiovascolari. Limitate sessioni di esercizio fisico
su base regolare rappresentano la migliore terapia non
farmacologia per prevenire e ridurre le complicanze delle
malattie cardiovascolari. I soggetti con disfunzione tiroidea rappresentano un sottogruppo particolare che nonostante le limitazioni note (astenia, facile affaticamento
etc.) traggono beneficio in termini di qualità di vita e di benessere psico-fisico da una attività fisica regolare. Messaggi importanti: rassicurare i pazienti che non esistono
controindicazioni ad una regolare attività fisica a fronte di
una minore performance rispetto ai soggetti con funzione
normale; coinvolgere i medici dello sport nelle decisioni
terapeutiche; promuovere l’attività fisica come si farebbe
in soggetti senza disfunzione tiroidea. Esistono, tuttavia,
ancora larghe falle nella conoscenza dei meccanismi metabolici dei soggetti con disfunzione tiroidea che fanno
esercizio fisico. La ricerca in questo settore deve offrire
risposte attraverso studi controllati che mettano in relazione performance fisica e stato ormonale tiroideo.
SportandAnatomy | 23
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CORRISPONDENZA
Eleonora Molinaro
[email protected]
24 | SportandAnatomy
E. Sabini et al.
JSA 2015;1:25-27
Sergio Rigardo
Medico Fisiatra, Docente Master “Fisioterapia Sportiva”, Università di Pisa
Direttore Fisiokinesiterapia - Gruppo LARC, Torino
L’interazione tra terapie rieducative
“a secco” e “in acqua”
L’interazione tra terapie a secco e terapie in acqua rappresenta il valore aggiunto nello sviluppo di un progetto
riabilitativo per patologie di diversa origine. Solo adeguando i programmi rieducativi in acqua a quelli a secco
si ottiene il “completamento terapeutico”, questo aspetto è spesso il punto debole del progetto, che rischia di
abortire se l’integrazione non è ben studiata.
Molte sono le patologie che possono trarre giovamento
dalla combinazione chinesi-idrochinesiterapia (KT+IKT)
e l’associazione tra le varie terapie può amplificare l’efficacia di ognuna di esse.
Se si considera che il trattamento in acqua viene somministrato solo a pazienti con particolari condizioni cliniche
e che solo pochi centri specializzati hanno una piscina
riabilitativa, è necessario inserire l’idrochinesiterapia nel
progetto riabilitativo con modalità e tempi ben codificati.
Quando il programma rieducativo evolve con lentezza e gli
ostacoli diventano sempre più difficoltosi, se il paziente è
idoneo ad un trattamento in acqua, è necessario studiare
quale modalità adottare per articolare nel tempo il trattamento a secco con quello in acqua. Diventa importantissimo non solo “che cosa fare” ma “come” e “quando farlo”.
In acqua vanno sfruttate le caratteristiche fisiche del fluido, che favoriscono rilassamento dei tessuti, drenaggio
linfatico e vascolare, decongestionamento articolare e
scarico gravitazionale, ma anche gli effetti antalgici specifici (Fig. 1).
Attualmente sono disponibili protocolli rieducativi in acqua, come a secco, che però non considerano l’integrazione tra le due modalità operative. Le proposte riabilitative possono variare fortemente in base alle condizioni
del paziente e in funzione degli obiettivi a breve e medio/
lungo termine che ci proponiamo.
In condizioni ideali il programma viene concordato tra fisiatra e terapista in accordo con il paziente e non segue
schemi rigidi, ma suscettibili di variazioni quotidiane.
Troppo spesso si creano modalità chiuse di trattamento,
che sono comode, ma non proiettate al futuro e inade-
Approfondimento
guate a tenere il passo dell’evoluzione delle tecniche di
chirurgia ortopedica.
L’acqua permette di resettare la maggior parte delle informazioni ricevute dal proprio corpo attraverso la variazione
dell’azione gravitaria, il contatto con l’acqua, il galleggiamento, la temperatura ecc. L’acqua permette di esplorare
uno spazio tridimensionale attraverso movimenti che, alcuni disabili, non possono realizzare a terra. In acqua si attiva
un massiccio “bombardamento” di stimoli per il training di
percezioni propriocettive, visive, uditive; i recettori cutanei
vengono iperstimolati, sia per gli effetti della turbolenza e
del calore, sia della pressione idrostatica; inoltre si realizza
anche un miglioramento della respirazione e dell’equilibrio,
aspetti non trascurabili della riabilitazione (Fig. 2).
Durante il trattamento riabilitativo, talvolta, ci si trova
di fronte ad adattamenti posturali, disallineamenti e/o
compensi funzionali, sviluppati dal paziente nel corso dell’evoluzione del processo rieducativo. Se questi
adattamenti contrastano con il raggiungimento degli
obiettivi rieducativi diventa indispensabile resettarli, azzerando e confondendo le risposte attese dal paziente,
fornendogli un corredo di ulteriori stimoli, attraverso l’e-
Figura 1.
SportandAnatomy | 25
Figura 2.
laborazione dei quali, si potranno successivamente ricostruire le sequenze motorie corrette.
Come creature terrestri, noi sviluppiamo adattamenti
subcoscienti agli effetti della gravità sulla terra che sono
in pratica inutili in acqua e viceversa, ma se questi adattamenti vengono strutturati in un protocollo rieducativo
integrato KT/IKT, si viene a condizionare l’evoluzione
del processo riabilitativo in maniera determinante, accorciando i tempi di recupero. Infatti la ricostruzione di
specifiche sequenze motorie, il perfezionamento delle
sensibilità profonde, ecc., subiscono un notevole incremento sia per un’abbondanza di stimoli diversificati sia
per la possibilità di sperimentazione realizzabile in ambienti a diversa gravità (Fig. 3).
La seduta di idrochinesiterapia, può essere ridotta o protratta, a seconda dell’effetto che si vuole ricercare, inoltre
può essere inserita prima o dopo il lavoro in palestra.
Nel caso di rigidità articolari, ad esempio, è preferibile inserirla prima della KT, per poter sfruttare l’acqua al fine di
“ammorbidire” i tessuti e prepararli al lavoro in palestra
anche attraverso una migliore vascolarizzazione. Quando
il programma rieducativo volge al termine, i carichi di lavoro diventano impegnativi: ecco allora che il lavoro in va-
Figura 3.
26 | SportandAnatomy
sca può servire per decongestionare l’articolazione, defaticare la muscolatura e permettere al paziente di chiudere
il trattamento con una positiva condizione di libertà. L’idrokinesiterapia permette di preparare l’articolazione al
lavoro del terapista in palestra; l’immersione produce infatti un automatico drenaggio linfatico e vascolare.
I tessuti periarticolari si rilassano e si distendono, permettendo di arrivare in profondità con le manovre manuali.
Anche le lesioni muscolari traggono notevole vantaggio
dal lavoro in vasca. A seguito di una permanenza in acqua calda, anche piuttosto breve (20/30) minuti, l’apparato muscolo-tendineo si trova in condizione di ipotonia,
quindi più predisposto a ricevere un massaggio o effettuare dello stretching. La vasca costituisce in questo
caso, una preparazione al lavoro in palestra o sul lettino.
Quando invece è necessario dosare la progressione del
ritorno al carico e alla deambulazione, l’acqua ci consente di effettuare le prime esercitazioni a peso corporeo ridotto, variando il livello di profondità della vasca
e il grado di immersione del corpo. La concessione del
carico viene così decisamente anticipata in pazienti che,
ad esempio, per fratture o lesioni cartilaginee, avrebbero
dovuto astenervisi molto più a lungo.
Sotto questo aspetto invece, l’acqua costituisce la parte
fondamentale del programma riabilitativo.
Un discorso a parte merita la spalla, dove l’incremento
di escursione articolare, nelle prime settimane, è quasi
sempre maggiore in vasca, sia con esercizi passivi che
“attivi controllati” dalla stessa presenza dell’acqua, rispetto alle manovre chinesiterapiche somministrate dal
terapista a secco.
L’acqua, per le patologie di spalla, nelle fasi iniziali, è, ancora una volta, il fulcro del programma riabilitativo, mentre a secco si controllano i progressi ottenuti integrandoli
con esercizi specifici.
Possiamo scegliere inoltre, di suddividere le esercitazioni, destinando un gruppo di proposte solo al lavoro in
palestra e un altro solo in immersione.
Nelle patologie tendinee, ad esempio, può essere consigliabile eseguire il lavoro in carico prima in immersione,
in modo da proteggere l’apparato muscolo-tendineo da
pericolosi sovraccarichi.
Per lo stesso motivo, nelle patologie che prevedono un
programma riabilitativo molto lungo (ricostruzioni legamentose, fratture gravi), le prime attività dinamiche possono venire agevolate e anticipate, dalla loro esecuzione
in acqua. Questo può essere utile, a maggior ragione,
tutte le volte che dobbiamo reinserire un atleta al ritmo
di allenamento e gara.
Le capacità di stare in piedi, camminare in tutte le direzioni,
saltare e ruotare nell’acqua devono essere acquisite come
base indispensabile per raggiungere l’autonomia e per
preparare il soggetto al nuoto. Tutte le attività dovrebbero
iniziare con la posizione stabile “raccolta” e, progressivamente, con il migliorare del controllo, si può incoraggiare
l’“aprire” il corpo nella posizione “distesa” (Fig. 4).
S. Rigardo
Figura 4.
Il galleggiamento può essere usato come una forza in
acqua per aiutare il movimento e agire contro gli effetti
gravitazionali. Per capire il galleggiamento il paziente può
essere invitato a spingere sott’acqua oggetti meno densi
dell’acqua stessa e a notare il loro ritorno alla superficie
appena vengono liberati. Quando il paziente avrà imparato a espirare dentro l’acqua e a controllarne la rotazione, si possono introdurre le attività subacquee integrate
all’attività a secco. Tali attività richiederanno ancora un
buon controllo respiratorio e il respiro non dovrà mai essere trattenuto. Inoltre per cercare oggetti in acqua i pa-
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strengthening exercises in the hydrother-
zienti devono tenere gli occhi aperti in immersione, questa
è un’ulteriore importantissima abilità per ogni nuotatore.
È solo dopo aver raggiunto la cosiddetta “acquaticità integrata”, cioè la capacità di sviluppare sequenze motorie
specifiche frutto dell’integrazione delle attività a secco e
in acqua, che il paziente potrà iniziare a inserire quelle
stesse sequenze per ricostruire azioni complesse come
camminare nell’acqua e nuotare compatibilmente con le
sue capacità. Non c’è limite alle attività che possono essere escogitate in piscina per raggiungere l’integrazione
fra KT e FKT, l’importante è rispettare il principio che il
programma rieducativo deve essere chiaro, noto, condiviso e in evoluzione, cosicché ogni attività del paziente
in acqua sia finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo
e abbia un preciso contenuto terapeutico.
Un altro aspetto favorevole è quello di una terapia di gruppo sia a secco che in acqua perché il paziente trae ulteriore vantaggio dalla socializzazione, dall’emulazione e
competitività che ne derivano, inoltre è spesso sollecitato
a lavorare più a lungo ed a concentrarsi maggiormente.
Riassumendo, una vera interazione tra le terapie a secco e
in acqua deve, in ogni caso, prevedere una coordinazione
e un completamento reciproco delle proposte riabilitative.
L’inserimento e il protrarsi delle terapie in acqua non devono seguire dei protocolli rigidi, ma rispondere alle nostre
esigenze di outcome e soprattutto a quelle del paziente.
Per far questo è necessaria la massima collaborazione tra le varie figure professionali che interagiscono nel
processo riabilitavo.
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Corrispondenza
Sergio Rigardo
[email protected]
L’interazione tra terapie rieducative “a secco” e “in acqua”
SportandAnatomy | 27
JSA 2015;1:28-32
Marco Ceriani
Esperto in Scienze delle Preparazioni Alimentari, Consulente Scientifico GENSAN
Ruolo delle proteine nella pratica
sportiva
Gli integratori alimentari a base di proteine sono inseriti
nella legislazione italiana nelle categorie elencate nell’allegato 1 del D.L. 111/92 (già trattato nell’articolo «Definizione di integratori alimentari e loro uso nella pratica
sportiva», in Sport & Anatomy 2014;00:38-42) relativo a
“condizioni fisiologiche particolari per alimenti adatti ad
un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi”.
Lo stato di un organismo come quello di chi pratica
sport, infatti, è diretto in senso prevalentemente anabolico, determinando un rilevante incremento fisiologico in toto del fabbisogno nutrizionale a supporto delle
richieste plastiche e dell’intenso impegno metabolico.
Per questo motivo nell’etichettatura degli integratori alimentari viene proposta nell’elenco delle indicazioni sulla
salute (Regolamento UE 432/2012) la dicitura “le proteine contribuiscono al mantenimento e alla crescita della
massa muscolare e al mantenimento di ossa normali”.
Le proteine, i composti aminoacidici e loro derivati (come
creatina, idrossi beta metil butirrato) sono certamente
molecole di rilevante importanza nella dieta dello sportivo. L’attività fisica è infatti per prima cosa un’espressione muscolare che, seppur dipendendo dalla presenza di
substrati energetici, richiede efficienza muscolare massimale (resistenza, potenza e forza fisica). Non solo: non
introdurre un quantitativo di nutrienti proteici sufficiente
con la dieta può diminuire le capacità di difesa dell’organismo (la carenza di composti azotati provoca, come
noto, un indebolimento del sistema immunitario).
Il ruolo principale delle proteine è quindi quello di fornire
le basi aminoacidiche per la sintesi di nuove cellule e
tessuti.
A livello chimico, le proteine risultano composte da
aminoacidi legati tra loro per mezzo di legami peptidici,
formando polipeptidi ad alto peso molecolare, che rendono la configurazione molecolare delle proteine particolarmente complessa (struttura primaria, secondaria,
terziaria e quaternaria). Una configurazione lineare composta fino a 100 aminoacidi viene definita con il termine
28 | SportandAnatomy
di “polipeptide”, mentre molecole più lunghe vengono
indicate come “proteine”.
Il ruolo delle proteine nello sport
La prestazione fisica non è strettamente dipendente
dall’apporto proteico. I fattori noti in grado di condizionare il metabolismo energetico muscolare sono infatti
dovuti alla via metabolica energetica i cui fattori limitanti sono, in estrema sintesi, costituiti da disponibilità dei
substrati energetici, efficienza della funzione cardiocircolatoria e respiratoria, fibre muscolari e attività enzimatica. Ma non vi è ombra di dubbio che la percentuale di
massa magra, i caratteri funzionali delle diverse tipologie di fibre muscolari (lente e veloci) impiegate nell’attività fisica e il metabolismo muscolare risultino essenziali
per produrre performance massimali e vincenti.
L’esatta conoscenza e felice interpretazione delle vie metaboliche bioenergetiche seguite nelle differenti tipologie
di prestazioni sportive (sforzi massimali brevi, resistenza
e attività aerobiche) permettono di valutare l’entità del ricorso ai macronutrienti, carboidrati, grassi e proteine.
Le proteine, all’interno dell’organismo umano, svolgono una funzione prevalentemente plastica, essendo le
principali componenti della massa magra (circa il 20%
della componente corporea). Sono inoltre costituenti di
enzimi e vitamine.
Nell’attività sportiva le proteine più richieste sono quelle
a più alto apporto di aminoacidi essenziali. Gli aminoacidi, come è noto, sono classificati in essenziali (l’organismo umano non riesce a sintetizzarli e devono quindi
essere apportati con l’alimentazione) e non essenziali
(definizione che non deve ridurne l’importanza, ma veicolare il concetto che possono essere prodotti a, livello
metabolico, a partire da altri precursori).
Gli aminoacidi essenziali sono: isoleucina, leucina, lisina, istidina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano
e valina (oltre all’arginina, essenziale nei bambini, e a
cisteina e tirosina in assenza di metionina e fenilalanina).
Approfondimento
Nello sportivo la glutammina viene considerata un aminoacido essenziale o “condizionatamente essenziale”,
data la sua rilevante presenza nei gruppi muscolari.
Le proteine a elevato valore biologico (presenti in alimenti comuni come uova, latte, carne e pesce) contengono tutti gli aminoacidi essenziali in quantità ottimale
per mantenere il bilancio azotato e permettere la riparazione e crescita dei tessuti.
In regimi alimentari particolari legati a stili di vita come
l’alimentazione vegana che vede i soli cereali e legumi
come fonti proteiche prevalenti, possono verificarsi carenze quali-quantitative verso gli aminoacidi essenziali 1.
Nell’alimentazione vegetariana invece, essendo inclusi i
derivati animali (latte e uova), la possibile carenza verso gli
aminoacidi essenziali viene di molto ridotta, purché in presenza di un’alimentazione variata e normocalorica. In particolare una dieta “lattovegetariana”, oltre a non comportare
il rischio di carenze proteiche, è in grado di assicurare anche una adeguata assunzione di minerali (calcio e fosforo)
e vitamine (in particolare la vitamina B12) (Tab. I).
Tabella I. Principali funzioni delle proteine.
Compongono le strutture ormonali ed enzimatiche
(regolatori metabolici)
Mantengono la struttura muscolare e promuovono l’anabolismo proteico
Prevengono stati infiammatori e infezioni
(azione immunitaria da anticorpi)
Neutralizzano numerose sostanze tossiche
(sistemi enzimatici detossificanti)
Rappresentano una primaria fonte di azoto organico
Svolgono funzioni plastiche e di regolazione
Promuovono l’accrescimento, il mantenimento e la riparazione delle
cellule e dei tessuti
Svolgono funzioni energetiche durante l’esercizio fisico
(ciclo glucosio-alanina)
Indici di qualità proteica
I metodi utilizzati per la valutazione del fabbisogno proteico possono essere riassunti in due tipologie: bilancio
azotato (Protein Efficency Ratio, PER, Net Protein Utilization, NPU) e metodo fattoriale. Mentre quest’ultimo
determina tutte le perdite dei composti azotati dopo un
periodo di dieta priva di proteine, i metodi analitici legati al bilancio dell’azoto determinano la quantità minima
di proteine alimentari in grado di mantenere in parità il
bilancio dell’azoto nel soggetto di corporatura media (a
esclusione di situazioni metaboliche particolari come
gravidanza e allattamento).
Il bilancio azotato prevede diverse espressioni di determinazione, come:
• Protein Efficency Ratio (PER, tasso di efficienza della
proteina), indicatore utilizzato per valutare la qualità
delle proteine alimentari e che rappresenta il rapporto
Ruolo delle proteine nella pratica sportiva
tra l’incremento di peso (negli animali) e la quantità di
proteina (espressa in grammi) somministrata;
• NPU (Utilizzazione proteica netta), rappresentato dal
rapporto tra l’azoto trattenuto dall’organismo e quello
introdotto con la dieta moltiplicato per un fattore pari
a 100.
Il PDCAAS rappresenta invece un metodo di valutazione
della digeribilità delle proteine valutato in funzione del
punteggio aminoacidico corretto da un indice di digeribilità delle proteine. La caseina derivata dal latte, l’albume d’uovo in polvere, le proteine isolate della soia sono
tutti composti proteici caratterizzati da un elevato indice
di PDCAAS (1,00), al contrario delle proteine del grano
(glutine) che hanno un punteggio pari a 0,25 2.
Assorbimento e digestione delle proteine
Le proteine di origine alimentare sono digerite e assorbite dall’intestino in grandi quantità giornaliere. Non tutte
sono di provenienza alimentare; alcune, di provenienza
endogena (sieroalbumina, mucoproteine, enzimi digestivi), vengono secrete nel tratto gastroenterico e riversate
nell’intestino come succhi enterici.
Calcolando in 100 grammi le proteine assunte, sono circa 170 grammi la quantità complessiva assorbita e circa
10 grammi quella escreta (perdita fecale) 3.
Quotidianamente vengono quindi digerite dai 50 ai 70 g
di proteine endogene, all’incirca equivalenti alla quantità
media di proteine ingerite 4.
La digestione proteica avviene nello stomaco, ove la secrezione acida denatura le proteine esponendole all’attacco delle pepsine (endopeptidasi: tripsina, pepsina,
chimotripsina, elastasi), carbossi e amminopeptidasi
che scindono le catene polipeptidiche in frammenti di
ridotte dimensioni (aminoacidi) che vengono assorbiti
dalle cellule della mucosa intestinale.
La digestione (idrolisi) delle proteine avviene in tre fasi:
gastrica, pancreatica e intestinale mediante disgregazione meccanica, chimica ed enzimatica che porta all’ottenimento di molecole più semplici (peptidi e aminoacidi).
Nella fase gastrica l’acido cloridrico, contenuto nei succhi gastrici dello stomaco, e specifici enzimi (pepsine,
tripsina, elastasi e chimotripsine) denaturano le proteine (il processo interessa solo il 10-15% delle proteine
ingerite che in questa fase vengono scomposte in polipeptidi).
Nella fase pancreatica, che avviene nel duodeno, si ha
l’idrolisi delle proteine (circa il 50-60%) a opera di alcune
proteasi contenute nel succo pancreatico: le endopeptidasi (tripsina e chimotripsina), attive sui legami peptidici
interni alla molecola proteica, e le esopeptidasi (carbossipeptidasi), che portano alla liberazione di aminoacidi.
La fase intestinale riguarda la quasi totalità dell’idrolisi
proteica (80-90%) e porta a termine la denaturazione
delle proteine grazie all’azione di specifiche peptidasi
che liberano aminoacidi. Questa fase porta all’idrolisi
sia delle proteine ingerite che a quelle endogene (enzimi
digestivi, cellule epiteliali desquamate e altre).
SportandAnatomy | 29
Per quanto riguarda l’assorbimento delle proteine è importante non trascurare come gli alimenti proteici tradizionali (carni e pesci), una volta cotti, possano presentare una più o meno marcata denaturazione a carico delle
strutture proteiche. Se da un lato il riscaldamento termico può peggiorare la qualità delle proteine contenute nella carne, dall’altro alcuni alimenti vegetali (cereali,
legumi e tuberi) possono migliorare l’apporto in funzione
di una diminuzione dei fattori anti-nutritivi. Stabilire l’effettivo livello di positività o negatività della cottura dei
cibi sulla biodisponibilità delle proteine è un tema complesso e denso di variabili, essendo strettamente legato
alla tipologia di alimento e al trattamento termico subito
(grigliatura, frittura, bollitura, microonde…).
Aminoacidi ramificati
Gli aminoacidi sono molecole complesse che differiscono tra loro per proprietà chimico-fisiche (solubilità, pH e
struttura molecolare) e destino metabolico (glucogenetici e chetogenetici). Gli aminoacidi non solo sono i costituenti delle proteine, ma rivestono un prezioso ruolo
di precursori di molecole biologiche fondamentali come
ormoni, pigmenti, purine e coenzimi.
Di tutti gli aminoacidi noti, cinque da soli (leucina, isoleucina, valina, lisina e istidina) coprono il 75% dei fabbisogni dell’organismo umano. Questi aminoacidi sono
però presenti in piccole concentrazioni nei cibi (meno
del 20% nelle proteine a elevato valore biologico).
Nell’integrazione alimentare dell’atleta questo fattore risulta di grande importanza, e dovrebbe indurre a ridurre
la presenza degli altri aminoacidi a favore di leucina, isoleucina, valina, lisina e istidina, favorendo la diminuzione
dell’accumulo di urea sintetizzata nel sangue.
La definizione di aminoacidi “essenziali”, come già
esposto, non è univoca poiché “essenziali” possono esserlo non solo per l’organismo in toto ma, in modo più
selettivo, limitatamente ad alcuni organi (solo il fegato,
ad esempio, possiede una idrossilasi specifica, assente
nelle cellule degli altri organi, ed è in grado di operare la
sintesi della fenilalanina in tirosina) 5.
I tre aminoacidi ramificati (noti anche come “neutri” o
BCAA) L-Leucina, L-Isoleucina e L-Valina, rappresentano il gruppo di molecole più studiato a livello di integrazione clinica e sportiva.
In ambito prestativo il razionale d’utilizzo degli aminoacidi ramificati è dovuto alla loro ossidazione che avviene, di preferenza, nei muscoli scheletrici piuttosto
che nel fegato, diminuendo i tempi di assimilazione. Gli
aminoacidi permettono l’apporto di molecole attive nella costruzione/ricostruzione muscolare, senza produrre
scorie metaboliche e senza fornire un surplus calorico
(Tab. II).
Fabbisogno di proteine
Il fabbisogno proteico è in funzione di numerosi fattori come età, sesso, attività lavorativa e sportiva, e di
condizioni fisiologiche particolari (accrescimento, gravi30 | SportandAnatomy
Tabella II.
Gli aminoacidi ramificati (indicati anche con la sigla “BCCA”: Branched
Chain Amino Acids) sono i tre aminoacidi essenziali L-Isoleucina, L-Leucina e L-Valina
Vengono utilizzati soprattutto in condizioni di stress, infortunio, esercizio
fisico intenso
La L-Leucina, che viene utilizzata in misura doppia rispetto agli altri due
aminoacidi ramificati (essendo l’aminoacido più ossidato durante le performance d’endurance), agisce come stimolatore della sintesi proteica
nella fase di recupero plastico, al termine di esercizi muscolari intensi.
È tra i promotori del rilascio dell’ormone della crescita (GH) e insulina
I BCAA non vengono metabolizzati a livello epatico (il fegato a differenza
del muscolo, non ha le transaminasi specifiche che permettono di ottenere i corrispondenti alfa-chetoacidi)
Gli aminoacidi ramificati competono con fenilananina e triptofano per il
medesimo trasportatore a livello della barriera ematoencefalica. La conseguenza è che, nell’esercizio fisico, tendendo a esaurire nel plasma gli
aminoacidi ramificati prima degli altri aminoacidi, triptofano e tirosina
vengono veicolati a livello cerebrale con maggiore efficienza, con benefici effetti sui sistemi serotoninergici e adrenergici che controllano sonno,
umore e senso di fatica
Sono utilizzati come integratori per gli sport di potenza e di resistenza e
nei regimi alimentari ipocalorici
danza, terza età). In genere viene definito in relazione al
peso corporeo fisiologico (nell’atleta viene sempre inteso come peso forma), all’età, al sesso e al carico di
lavoro svolto in allenamento.
Per definire correttamente il fabbisogno di proteine giornaliero di un atleta (che deve ovviamente essere sempre
tale da pareggiare il bilancio azotato), è indispensabile
poter valutare il peso, il livello di idratazione e i singoli
costituenti della massa corporea (magra e grassa), oltre
ovviamente alla durata e all’intensità dell’attività fisica
giornaliera. È inoltre opportuno valutare la percentuale
di aminoacidi essenziali apportati con la dieta che dovrebbe essere pari al 36% dell’apporto aminoacidico
totale 6 (Tabb. III-IV).
Negli atleti risulta quindi di particolare importanza mantenere un apporto energetico sufficiente per sostenere
l’attività muscolare. In caso di apporto energetico insufficiente con la dieta, le proteine corporee vengono infatti
metabolizzate per supplire al deficit energetico.
Con la riduzione delle riserve energetiche nell’organismo
(dieta ipocalorica o digiuno), si ha una minor disponibilità
di glicogeno e il glucosio viene quindi sintetizzato a partire dai composti proteici e dagli acidi grassi (glucogenesi).
Il problema della corretta determinazione del fabbisogno proteico è dato dal fatto che la risposta del bilancio
d’azoto verso quantità crescenti di proteine di buona
qualità nutritiva non è lineare.
In caso di apporto proteico scarso, il miglioramento è
proporzionale alla quantità di proteine apportate con gli
M. Ceriani
Tabella III. Sport a rischio di alimentazione carente.
Criteri
Disciplina sportiva
Basso peso
Entrata energetica cronicamente bassa per mantenere peso
e definizione muscolare
Ginnasti, ballerini, danzatori, fitness e aerobica
Peso da competizione rapida
Rapida e drastica perdita di peso per accedere alle categorie di gara
Sport da ring e tatami
Aumento della massa magra
definizione muscolare accentuata (drastica perdita d grasso e acqua
corporea) ass. vit. liposolubili/crampi
Body building, pugilato
Dieta vegetariana
(atleti strettamente vegetariani o vegani)
Endurance e pesistica
Tabella IV. Livelli proteici giornalieri (fabbisogno medio espresso in g/kg/die).
Adulti
0,8 g
Persone attive
1,0 g
Atleti di endurance
1,0-1,6 g
Sport di squadra (calcio)
1,4-1,7 g
Sport di forza
1,6-2,0 g
Fonti: International Society of Sports Nutrition e ISSN .
Nota: i valori riportati si intendo riferiti al peso corporeo inteso come peso forma.
2
7
alimenti, ma per quantità di proteine in grado di mantenere l’organismo non lontano da un bilancio di equilibrio, l’efficienza delle proteine diminuisce. I bisogni
proteici appaiono quindi maggiori rispetto a quelli che si
evidenziano in caso di basse assunzioni proteiche (Ardenti, p. 118) 3.
Integratori proteici e tecnologia
di produzione
Oggi in ambito sportivo è in uso la pratica di integrare
l’alimentazione con proteine concentrate in polvere da
fonti alimentari differenti.
Le fonti proteiche maggiormente diffuse sono quelle del
latte che vengono prodotte tramite processi tecnologici
(essiccazione e concentrazione). Mentre l’essiccazione
avviene in genere tramite la tecnica dello “spray-dried”
(nebulizzazione in camere di aria calda), i processi di
concentrazione avvengono tramite scambio ionico (resine che separano le proteine in funzione della loro carica
elettrica) o ultrafiltrazione (tramite membrane filtranti).
Le proteine alimentari in forma di integratori (concentrate) sono spesso la risultante di due o più costituenti
proteici differenti e danno luogo a risposte nutrizionali
non omogenee in base alla risultante del profilo aminoacidico. Si possono stabilire quattro situazioni 8:
1)effetto complementare nullo (nel caso di identici aminoacidi mancanti o carenti);
Ruolo delle proteine nella pratica sportiva
2)effetto complementare scarso (uguale carenza di
aminoacidi limitanti ma in misura quantitativamente
differente);
3)effetto complementare limitato (fonti proteiche con
comune carenza di un aminoacido, dove a prevalere
è la fonte proteica con l’apporto più alto dell’aminoacido carente);
4)effetto complementare elevato (sinergia dei componenti della miscela proteica dove la qualità proteica
risultante supera quella di ciascun singolo componente).
Proteine del latte (siero e caseina)
Le sieroproteine (definite anche con il termine “whey
protein”) sono proteine a elevato valore biologico di
elevata qualità, solubili nei liquidi e prontamente digeribili. La frazione proteica risulta composta da albumine
(75%) e globuline (15%).
Le sieroproteine sono considerate proteine veloci 2, contengono una elevata percentuale di aminoacidi ramificati
e aminoacidi solforati (cistina e metionina). La tendenza
attuale è di produrre proteine delattosate (più compatibili con le esigenze di molti consumatori con problematiche di assorbimento verso il lattosio).
La caseina invece è il costituisce maggiore (circa l’80%
delle proteine del latte). Chimicamente è una fosfoproteina che con l’acido fosforico e l’acido citrico lega il
calcio favorendone l’assimilazione (è per questo motivo
che il latte risulta essere un alimento essenziale per l’assorbimento del calcio).
La caseina viene considerata una proteina a lento rilascio 2 poiché nell’intestino crea un gel che rallenta il transito intestinale, favorendone l’assorbimento proteico.
In commercio si trovano dei composti proteici da proteine del siero del latte e caseina con vari rapporti:
• isolato delle proteine del latte: costituisce una miscela di proteine del siero e caseina in rapporto variabile,
che è caratterizzato da un tempo specifico di rilascio e assorbimento (spesso la formula è protetta da
esclusività da parte del produttore);
• proteine totali del latte: rappresentano la frazione
SportandAnatomy | 31
proteica del latte tal quale (80% caseine coniugate e
20% di sieroproteine);
• concentrato di proteine: la frazione proteica è realizzata con rapporti proteici personalizzati dal produttore (che possono comprendere più fonti come, ad
esempio, albume dell’uovo, soia e legumi) in base a
specifiche esigenze di assorbimento o intolleranze
verso uno o più componenti forniti dalle tradizionali
proteine del latte.
Oltre alle proteine derivate dal latte vengono prodotte
altre fonti proteiche come:
• proteine dell’uovo: ottenute dall’albume dell’uovo
(ovoalbumina). Pur essendo caratterizzate da un profilo aminoacidico ottimale non risultano particolarmente gradite ai consumatori a causa del loro aroma
e sapore ritenuto poco, o per nulla, gradevole;
• proteine della soia: sono principalmente richieste da
coloro che risultano intolleranti verso le proteine del
latte o non vogliono assumere proteine derivate da
animali (vegetariani e vegani). Di recente, grazie al
miglioramento dei processi d’estrazione e concentrazione, questo tipo di proteine è migliorato sotto
l’aspetto della palatabilità e ciò ha contribuito a una
miglior accettazione;
• proteine idrolizzate del frumento: sono poco diffuse in virtù del loro minore valore biologico (anche se
possono arrivare ad apportare, a livello di aminoacidi,
circa un 40% di glutammina), oltre a un gusto giudicato con poco favore dai consumatori e una bassa
solubilità nei liquidi che le rendono poco adatte alla
preparazione di bevande a elevato apporto proteico;
• proteine da legumi: sono proteine che possono fornire una buona percentuale proteica (e relativa quota
aminoacidica); sono indicate nelle intolleranze al latte
(lattosio) e possono costituire una base per una miscela proteica (ad esempio proteine concentrate da
albume dell’uovo, soia e piselli).
• gainers proteici: i “Weight Gainer” rappresentano una
tipologia di integratori destinati all’incremento di peso
Bibliografia
Nieman D. Vegetarian dietary practices
and endurance performance. Am J Clin
Nutr 1988;48:754.
2
Campbell B, Kreider RB, Ziegenfuss
T, et al. International Society of Sports
Nutrition position stand: protein and exercise. J Int Soc Sports Nutr 2007;4:8.
3
Ardenti G. Le basi molecolari della nutrizione, Padova: Piccin 1996, p. 122.
1
corporeo e a migliorare l’apporto calorico complessivo della dieta giornaliera. Si tratta di prodotti formulati in polvere con una base di carboidrati e grassi a
rilascio medio (grassi MCT), proteine da diverse fonti
e loro derivati (creatina, glutammina, aminoacidi ramificati), vitamine e minerali a seconda del timing di
utilizzo (prima, durante o dopo l’allenamento).
Conclusioni
Le proteine e i loro derivati (aminoacidi ramificati) risultano una fonte alimentare di grande valore nutrizionale
riconosciuta anche dalla normativa italiana che regola
la produzione e il commercio degli integratori alimentari
(alimenti adatti ad un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi). Come gli altri macronutrienti, carboidrati e grassi, le proteine richiedono un apporto minimo giornaliero (quantificabile in 0,8-1 grammo per chilo
di peso corporeo, inteso come peso forma) per soggetti
“medi” che non praticano attività fisica. Gli atleti rappresentano quindi una fascia di popolazione particolarmente attenta e sensibile nei confronti di maggiori esigenze
in termini di apporto giornaliero. L’apporto raccomandato varia in considerazione del peso corporeo e dell’attività fisica praticata. Gli sport brevi e intensi strettamente
legati alla potenza muscolare e alla forza richiedono un
fabbisogno proteico più elevato (fino ai 2 g/kg/die). La
dieta rappresenta la base per garantire un apporto di
proteine sufficiente (da fonti proteiche differenti), e, in
ambito sportivo, viene spesso integrata con l’utilizzo di
prodotti appositamente formulati (integratori alimentari)
a base di proteine del latte e suoi derivati (whey e caseine), uova o legumi. Oltre a questo, molecole proteiche
come gli aminoacidi ramificati costituiscono per l’atleta
una significativa fonte di nutrienti anabolici (incremento della massa muscolare) se associate, ovviamente,
ad attività fisica adeguata. L’atleta e la persona attiva
rappresentano in conclusione una fascia di popolazione
con richieste energetiche e proteiche più alte della popolazione sedentaria e non attiva.
Pasquale M. Amino acids and proteins
for the athlete. The anabolic edge. Florida: CRC Press Inc 1997.
5
Dioguardi FS. Gli aminoacidi: lettere di
un alfabeto più antico della vita. Bologna: Lombar Key 2008.
6
Siani V. Sport Energia Alimenti. Bologna: Zanichelli 1993, p. 125.
7
Kreider RB, Wilborn CD, Taylor L, et al.
ISSN exercise & sport nutrition review:
4
research & recommendations. J Int Soc
Sports Nutr 2010;7:7.
8
Bressani R, Elias LG, Gomez Brenes RA.
Improvement of protein quality by amino
acid and protein supplementation. In:
Bigwood EJ, editor. Protein and amino
acid functions. Vol. 11. Oxford UK: Pergamon Press 1972, pp. 475-540.
CORRISPONDENZA
Marco Ceriani
[email protected]
32 | SportandAnatomy
M. Ceriani
JSA 2015;1:33-37
Franco Nocchi
Docente a contratto, Università di Pisa e di Firenze
Antica medicina cinese:
capire le leggi della natura per capire
e curare l’uomo
Introduzione alla medicina cinese
La medicina cinese, riconosciuta dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità e annoverata tra le medicine non
convenzionali, è ritenuta il più antico sistema medico
conosciuto. È un sistema medico complesso, la cui
versione più diffusa (quella, per l’appunto, riconosciuta
dall’OMS) è il modello della medicina tradizionale cinese, nota anche con la sigla MTC, la cui fondazione
e sistematizzazione, però, risale solamente all’epoca
di Mao Tse-Tung (più precisamente nel decennio tra il
1950 ed il 1960). Quando invece si parla di antica medicina cinese (AMC) si fa riferimento a modelli medici
più antichi.
La prima opera di AMC risale al 2600 a.C., il Huang Ti
Nei Ching Su Wen. Si tratta di iscrizioni fatte su gusci di
tartaruga e su scapole di bovini, che raccontano di una
forma di massaggio praticato dagli sciamani.
Quando l’organismo è in stato di agitazione, i canali
o meridiani sono impediti; conseguentemente il corpo perde di sensibilità e deve essere trattato con il
massaggio (cap. V: Energia vitale, sangue, costituzione fisica e mentale dell’opera sopracitata).
L’AMC, aspetto espressivo del taoismo prima e del
buddismo chan poi, nasce come sistema fondato sul
massaggio, sulla digitopressione e su “manovre di tipo
osteopatico”. L’utilizzo degli aghi, della moxa, delle coppette era, e dovrebbe ancora essere, integrativo e mai
interamente sostitutivo del contatto diretto delle mani e
delle dita dell’operatore con il corpo dello “yin” (di chi,
cioè, fruisce del trattamento). Poiché ogni trattamento di
AMC è finalizzato ad armonizzare le energie di una persona, nessun sistema e nessun attrezzatura può essere
più adatto a questo scopo della fonte diretta dell’energia
vitale: le mani dell’operatore.
Approfondimento
Gli antichi maestri da sempre invitano a essere molto
cauti nell’utilizzo degli aghi da agopuntura, pratica purtroppo assai inflazionata da parte degli agopuntori moderni. La pratica delle arti mediche nell’antichità era portata avanti necessariamente in parallelo con la pratica
delle cosiddette “arti marziali”, in piena ottemperanza
alla necessaria complementarietà degli opposti, nell’espressione della legge dello yin e dello yang.
I nomi dei primi tecnici del massaggio conosciuti in
Cina, vissuti secondo la tradizione cinese tra il 2600 e il
2100 a.C., sono Chi Bo, Dai Ji, Yu Fu. Da allora il massaggio cinese è stato sempre più utilizzato e sistematizzato. Nel V secolo a.C. visse Hua To, un medico che
codificò le tecniche, tramandate fino ai giorni nostri, dei
5 animali terapeutici (scimmia, orso, serpente, tigre, airone). Dette tecniche sono esercizi posturali energetici
che si ispirano alle movenze dei 5 animali sopracitati,
eseguite al “ritmo” della respirazione funzionale (una respirazione effettuata con il movimento del diaframma,
che deve anticipare sia in fase inspiratoria che in quella
SportandAnatomy | 33
espiratoria, quello del torace) e finalizzati all’ottenimento
del benessere e della longevità.
Pao Pu Tzu Nei Pian (Il Maestro che abbraccia la semplicità del bambino), di Ge Hong (281-341 d.C.), è un prezioso manuale di alchimia interiore per l’ottimizzazione
del consumo dell’energia vitale e un prontuario di prescrizioni per le emergenze. Esseziale ricordare Chang
San Feng (Wudang, 1296 d.C.) e il suo Long Lun Nei
Ching (Canone di medicina interna del drago e della fenice). È da questo trattato che vado a prendere spunto
per la materia di insegnamento da me svolta all’interno
del Master di Fisioterapia Sportiva, vale a dire il protocollo “Long Lun Shu Lao Tuina” (il massaggio dell’antico
ruscello del Drago e della Fenice).
Durante la dinastia Ming (1368-1644), il “tui na” e la
medicina cinese furono introdotte come materia fondamentale d’esame alla Scuola Imperiale di Medicina.
In questo periodo avvenne, per volere imperiale, una
grande diffusione popolare della pratica del tui na e un
imponente sviluppo delle tecniche di tui na (massaggio
e digitopressione) pediatriche. Nella successiva dinastia
Ching (1644-1911) si ritenne che il tui na fosse inadatto
ai gusti raffinati della famiglia imperiale e quindi fu eliminato dalla corte e dalla Scuola Imperiale di Medicina.
Ogni forma di proibizionismo, però, scatena sempre un
fisiologico rebound, così il popolo ne continuò segretamente la pratica e ne sviluppò gli aspetti pratico-applicativi legati alla divulgazione popolare delle arti marziali,
avvenuta sempre in gran segreto in quel periodo: un’enciclopedia medica del tempo, a opera di autori vari, parla de “gli 8 metodi per curare le fratture ossee” (“duànliè
gu pa fa”). Nel XX secolo, l’inferiorità tecnica che il celeste impero sperimentò nell’incontro con l’Occidente
(guerre dell’oppio, rivolta dei boxer) minò l’autostima del
popolo cinese. Inizia così, da parte del popolo cinese, il
crollo della fiducia nella propria cultura (AMC compresa) fino al momento in cui, nel 1949, con l’avvento della
Repubblica Popolare Cinese di Mao Tse-Tung, iniziò il
periodo della “rivoluzione culturale” che, nei suoi diversificati aspetti, andò anche ad attivare un vero e proprio
processo di epurazione di ogni aspetto delle antiche arti
taoiste. Come fu immediatamente proibita la pratica delle “arti marziali”, furono anche distrutti migliaia di testi
di antica medicina e ne fu proibito l’utilizzo da parte del
popolo. Solo alla fine degli anni ’50, conseguentemente alla posizione assunta dalla Cina rispetto alla “guerra
fredda” (evento che andò a delineare i blocchi contrapposti oriente/occidente), nacque l’esigenza di riproporre
i prodotti dell’antica cultura cinese per dare al mondo
intero l’immagine della potenza del “paese di mezzo”
attraverso espressioni autoctone. In pochi anni furono
ricodificati e risistematizzati sia la pratica delle arti marziali (proponendo quello che oggi vediamo, cioè delle
pratiche spettacolari ma prive di qualsiasi nesso con la
pratica antica originale) che i protocolli della moderna
medicina tradizionale cinese (ricostruendo e riarrangiando ciò che degli antichi era scampato alla distruzione
34 | SportandAnatomy
dell’epurazione culturale), offrendo una versione dunque
“annacquata” dell’antica medicina, sterile di gran parte dell’efficacia terapeutica. Il mio maestro Huang Wan
De ne è stato testimone e sofferente narratore. Fu infatti
costretto a fuggire dalla Cina nel 1950 all’età di 42 anni
per non finire ucciso dalle armi dell’esercito maoista,
al tempo in “piena attività” per portare a realizzazione
quello squallido esempio di scempio umano che prese
per l’appunto il nome di “epurazione culturale”. Il padre
del grande maestro non fu altrettanto fortunato e morì
fucilato, “reo” solamente di essere uno dei maestri delle
arti antiche, quelle arti antiche (mediche e di combattimento) che rappresentavano per l’appunto una delle
radici più profonde della millenaria cultura cinese e che
proprio per questo dovevano essere – ed effettivamente
lo furono – estirpate con inumana violenza.
In rispetto del maestro e di questo triste spartiacque
storico, volontariamente adotto i termini della traslitterazione Wade Giles, e non quelli del pinyin, il sistema di
trascrizione introdotto dalla Repubblica Popolare Cinese e a oggi ancora in uso (parlerò di “chi” e non di “qi”,
di “tai chi chuan” e non di “tai ji quan”, ecc.).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha comunque
riconosciuto la medicina tradizionale cinese all’interno
delle medicine non convenzionali. L’MTC è considerata
composta dai “5 pilastri”: il tui na, l’agopuntura, la terapia farmacologica, la dietetica, le terapie del movimento
(tai chi chuan, chi kung). Restano in ogni caso le profonde differenze della MTC rispetto all’antica medicina.
Società moderna e discipline orientali
La società occidentale del terzo millennio è diventata,
in questi ultimi tre decenni, estremamente permeabile
a ogni tipo di concezione derivante dalle cosiddette discipline orientali antiche. In una società afflitta da problematiche dilaganti quali la microcriminalità in costante
sviluppo da un lato e lo stress implodente dall’altro, tendiamo sempre più a importare le componenti culturali
dell’antico oriente nel tentativo di integrarle alla mentalità e agli stili di vita occidentali per ottenerne un beneficio e un aiuto, riuscendo molto spesso, a operare
solamente un processo di adattamento, che svilisce e
impoverisce l’essenza originale di dette componenti.
Il concetto di discipline orientali comprende tutta la
gamma di attività incentrate sulla ricerca di una connessione psico-fisico-emozionale profonda e che compongono un continuum che parte dalle pratiche maggiormente indirizzate all’acquisizione di abilità nelle tecniche
di combattimento (kung fu, karate, ju jitsu, ecc.) per arrivare alle pratiche maggiormente introspettive e finalizzate alla ricerca dell’equilibrio e della calma del dialogo interiore (chi kung, yoga, meditazione, ecc.). Lungo
questo continuum si vanno a collocare altre attività che
vanno a integrare i due aspetti dicotomici (ad esempio,
il tai chi chuan) ed alcune pratiche più indirizzate agli
aspetti medico terapeutici (tui na, shiatsu, agopuntura,
ecc.). È proprio nell’importazione degli aspetti medico
F. Nocchi
terapeutici, soprattutto nell’applicazione della medicina
tradizionale cinese, che l’impoverimento dell’essenza
delle antiche arti mostra i suoi aspetti più paradossali.
Molti sarebbero gli aspetti degni di attenzione e di approfondimento ma, per esigenze di sintesi espositiva
tralasceremo per ora ogni riferimento agli aspetti storici,
alle metodologie applicative e soprattutto al rapporto tra
scienza moderna e antica medicina, per poterci concentrare su un concetto fondamentale ma dimenticato, e
oggi poco o per niente conosciuto: la biotipicità energetica soggettiva. È un concetto che parte (e al tempo
stesso arriva a dimostrare…) da un postulato fondamentale: ogni individuo possiede delle caratteristiche energetiche ed organiche uniche e diverse da quelle di ogni
altro; conseguentemente a ciò ogni pratica terapeutica
efficace solo parzialmente (o persino dannosa…) se non
viene svolta tenendo conto delle suddette caratteristiche soggettive del paziente.
Questo concetto viene definito a partire dallo Huang
Dao, il calendario cinese.
I postulati fondamentali dell’antica medicina
cinese
Vediamo sinteticamente alcuni degli assunti che costituivano le fondamenta stesse dell’intero sistema teoricopratico dell’antica medicina cinese:
• tutto è uno, concetto basilare che parte dalla consapevolezza che non esiste in natura nessuna cosa
considerata antitetica ad un’altra ma solamente ad
essa complementare e integrante; il concetto viene
espresso dalla legge yin/yang;
• l’uomo è un OLOS composto da 4 sfere indipendenti e al tempo stesso interdipendenti l’una dall’altra.
Queste 4 sfere sono: la sfera corporea, quella energetica, quella psico-emozionale e quella spirituale. Ogni
intervento su una delle 4 sfere non può non avere effetti diretti sulle altre 3;
• ogni uomo è un microcosmo facente parte integrante
e indispensabile del macrocosmo natura;
• ogni uomo vive in relazione ai flussi energetici della natura ed è governato dai ritmi delle leggi che governano la natura stessa. Così come la natura è in continuo
mutamento, pur nella ripetitiva ciclicità dei ritmi che la
regolano, pure l’uomo ha delle caratteristiche in ciclica
variazione che sono regolate dalle leggi del cosmo;
• conoscere le leggi che governano la natura ci permette di conoscere meglio le leggi che sostengono
l’uomo nel suo essere nel mondo;
• il profondo nesso che lega l’uomo alla natura, il fatto che
l’uomo stesso è alimentato dalla stessa energia che alimenta la natura: il chi (pronuncia “cì”), l’energia vitale;
• ogni uomo nasce con una sorta di serbatoio precostituito di chi (lo yuan chi, il chi dell’origine, che gli
proviene dall’incontro delle energie dei genitori rafforzate o indebolite dalle energie naturali del giorno – o
del periodo del concepimento. Nessuno può aumentare ma solo ottimizzare il consumo dello yuan chi, il
quale, una volta terminato, sancisce la fine della vita
terrena. Per ottimizzare il consumo dello yuan chi, gli
antichi maestri utilizzavano tecniche psico-corporee
particolari (meditazione, chi kung, tai chi chuan, ecc.)
e adottavano un’alimentazione sana e una respirazione corretta basata prevalentemente sull’utilizzo del
diaframma e della piena consapevolezza nell’atto respiratorio.
La circolazione del chi nell’uomo è continua e garantita
da un sistema di 12 meridiani (o canali ordinari ed 8 straordinari (per l’antica medicina qualsiasi malattia è soltanto uno squilibrio del flusso del chi, squilibrio che può
essere ristabilito dal terapista con opportuni interventi
sui punti di accesso all’energia, i punti dell’agopuntura,
per capirsi). Il chi scorre, nel ciclo circadiano, in tutti i
meridiani ordinari contemporaneamente ma raggiunge
l’apice dell’energia per 2 ore circa in ognuno dei 12 meridiani secondo la Tabella I sotto riportata.
Tabella I. Meridiani e picco massimo energia nella circolazione
circadiana.
Circolazione circadiana
Orario picco max energia
Polmone
03-05
Intestino crasso
05-07
Stomaco
07-09
Milza
09-11
Cuore
11-13
Intestino tenue
13-15
Vescica
15-17
Rene
17-19
Ministro del cuore
19-21
Triplice riscaldatore
21-23
Vescica biliare
23-01
Fegato
01-03
Ritmi della natura, ritmi dell’uomo
Il 19 febbraio è stato il primo giorno del 2015 (anno della
pecora) secondo il calcolo del calendario antico cinese e
quindi, mentre il capodanno occidentale è convenzionalmente stabilito ogni anno nello stesso giorno (il 1° gennaio), il capodanno cinese varia a seconda degli anni, e questo perché il primo giorno dell’anno del nostro calendario
gregoriano fu stabilito convenzionalmente rapportandosi
alla data di nascita di Cristo (una settimana dopo la natività il popolo di Israele circoncideva i bambini), quello
del calendario antico cinese invece è rapportato ai flussi
energetici della natura, essendo stabilito all’indomani del
novilunio più vicino alla data del 4 febbraio.
Il capodanno cinese segna il primo giorno di primavera e
le altre stagioni si rapportano a questa data: il 19 maggio
2015 inizierà dunque l’estate, il 19 agosto inizierà l’autunno e il 19 novembre l’inverno (un inverno corto, per-
Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo
SportandAnatomy | 35
Tabella II. Alcune delle corrispondenze più significative associate ai 5 mutamenti.
Legno
Fuoco
Terra
Metallo
Acqua
Organo
Fegato
Cuore
Milza
Polmoni
Reni
Viscere
Cistifellea
Int. tenue
Stomaco
Int. crasso
Vescica
Stagione
Primavera
Estate
5A stagione
Autunno
Inverno
Corpo
Tendini
Muscoli
Sistema cardiocircol.
Tessuto connettivo
Pelle
Ossa midollo
Emozioni
Collera
Gioia
Preoccupazione
Dolore
Paura
Senso
Fasi vita
Vista
Tatto
Gusto
Olfatto
Udito
Nascita
Crescita
Trasformazione
Declino
Morte
ché nel 2016 il capodanno, e quindi la primavera, avrà
inizio – nell’anno della scimmia – l’8 febbraio).
La comprensione di questo passaggio è essenziale
da un punto di vista terapeutico. Ogni intervento deve
essere impostato in stretta relazione con la legge dei
5 mutamenti (Tab. II), che diventa applicabile a partire
proprio dalla sua connessione con la stagione e con i
relativi organi e visceri. Pensiamo ad esempio che il 20
agosto 2010, per noi in piena estate, da un punto di vista di flussi energetici naturali era già in autunno, con la
conseguenza che gli organi dovevano essere stimolati
da parte del terapista in modo completamente diverso (estate = cuore/intestino tenue/vasi sanguigni/ecc.;
mentre autunno = polmone/intestino crasso/pelle/ecc.).
Il calendario cinese era stato costruito dagli antichi maestri per la comprensione delle energie della natura ed
era stato strutturato riferendosi alle ritmiche interazioni
tra le energie del cielo e quelle della terra, interazioni che
si basano sulla conoscenza dei 10 tronchi celesti e dei
12 rami terrestri
In particolare, i 12 rami terrestri esprimono sia la divisione
della giornata in cicli biorari sia le cosiddette 6 energie
fondamentali della natura (vento, umidità, aridità, freddo, fuoco ministeriale, fuoco imperiale) le quali vanno a
collegarsi direttamente ai 12 meridiani energetici dell’uomo: ognuno dei 12 rami terrestri abbinato a un meridiano
energetico dell’uomo ne esprime la relativa energia nel
ciclo circadiano che abbiamo precedentemente visto
scorrere nell’uomo in un flusso continuo di 2 ore in 2 ore.
A ognuno dei 12 rami terrestri è correlato uno solo dei 12
animali del calendario cinese (Tab. III).
I tronchi celesti sono 10 perché corrispondono ai 5 mutamenti (e quindi agli organi e visceri ai mutamenti correlati,
rivedere Tab. II), in corrispondenza ed in combinazione
coi 12 rami terrestri nel calendario antico, e determinano
lo stato di energia di ogni anno. Poiché il minimo comune
multiplo tra 12 e 10 è 60, è evidente che dopo 60 anni
è possibile ripetere la combinazione di un’accoppiata
ramo/tronco con identiche caratteristiche energetiche
(Tab. IV). È importante osservare come l’animale topo,
ad esempio, torna ogni 13 anni, ma avendo una combinazione diversa tronco/ramo due persone-topo ricevono
Tabella III. Meridiani e circolazione energia in relazione agli animali del calendario antico e ai rami terrestri.
Meridiano
Orario picco max energia
Animale corrispondente
Ramo terrestre
Polmoni
03-05
Tigre
yin
Intestino crasso
05-07
Coniglio
mao
Stomaco
07-09
Drago
chen
Milza
09-11
Serpente
si
Cuore
11-13
Cavallo
wu
Intestino tenue
13-15
Pecora
wei
Vescica
15-17
Scimmia
shen
Rene
17-19
Gallo
you
Ministro del cuore
19-21
Cane
xu
Triplice riscaldatore
21-23
Maiale
hai
Vescica biliare
23-01
Topo
zi
Fegato
01-03
Bue
chou
36 | SportandAnatomy
F. Nocchi
Tabella IV.
Anno
Capodanno
Animale
Elemento
Tronchi
Rami
1924
5 febbraio
Topo
Legno
Jia
Zi
1925
24 gennaio
Bue
Legno
Yi
Chou
1926
13 febbraio
Tigre
Fuoco
Bing
Yin
1927
2 febbraio
Coniglio
Fuoco
Ding
Mao
1928
23 gennaio
Drago
Terra
Wu
Chen
1929
10 febbraio
Serpente
Terra
Ji
Si
1930
30 gennaio
Cavallo
Metallo
Geng
Wu
1931
17 febbraio
Pecora
Metallo
Xin
Wei
1932
6 febbraio
Scimmia
Acqua
Ren
Shen
1933
26 gennaio
Gallo
Acqua
Gui
You
1934
14 febbraio
Cane
Legno
Jia
Xu
1935
4 febbraio
Maiale
Legno
Yi
Hai
1936
24 gennaio
Topo
Fuoco
Bing
Zi
1937
11 febbraio
Bue
Fuoco
Ding
Chou
1938
31 gennaio
Tigre
Terra
Wu
Yin
caratteristiche energetiche completamente diverse (jia/zi
e bing zi). Un topo può avere potenzialmente le caratteristiche identiche alla persona-topo del 1924 nel 1984,
anno in cui si ripresentano topo/jia-zi.
Da ricordare che i 10 tronchi celesti permettono di calcolare le energie in mutamento giornaliero: il primo giorno del nuovo anno sarà jia, il secondo yi, l’undicesimo di
nuovo jia, e così via per tutto il passare dell’anno.
Di conseguenza, almeno in linea teorica, è evidente che:
1)dal momento stesso in cui vede la luce, ogni Uomo
acquisisce una personalissima biotipicità energetica
che lo rende unico ed irripetibile. Questa irripetibile
biotipicità energetica è la risultante delle biotipicità
energetiche dei genitori, dell’energia naturale dominante nel giorno del concepimento, dell’energia naturale dominante nell’anno, nel giorno e nel minuto
della nascita del soggetto in questione;
2)la biotipicità energetica rappresenta la motivazione fondamentale, al di là di ogni altro aspetto prettamente teoretico/filosofico, del perché l’approccio
terapeutico e l’attenzione dell’antica medicina sono
rivolti costantemente al paziente e mai alla malattia:
non solo una stessa malattia ha cause diverse in pazienti diversi, ma la stessa sintomatologia nello stesso paziente può avere cause diverse se manifestata
in stagioni ed addirittura in cicli giornalieri differenti;
3)la biotipicità energetica, una volta calcolata, rappresenta un valore essenziale di riferimento per ogni intervento terapeutico che voglia essere realmente efficace.
In base al tipo di Equilibrio energetico evidenziato dal
soggetto, e in relazione al periodo dell’anno (stagione)
in cui detto squilibrio si manifesta, si dovrà agire negli
orari della giornata più idonei ad assecondare e soddisfare le esigenze energetiche del paziente. Ne consegue che ogni terapista dovrebbe esser disposto alla
programmazione di un piano di interventi che si basi
non sulla propria agenda (definita cioè sugli impegni
del terapista) ma bensì su quella che può essere definita “l’agenda bioenergetica del paziente” (definita sulle
reali esigenze energetiche del paziente) che non può
tener conto né di giorni festivi, né di orari scomodi (a
me è capitato di dover dare appuntamento la mattina
del giorno di Pasqua alle 06.00!).
Nell’antica medicina viene tramandato un unico trattamento che può essere applicabile a qualunque persona, al di là delle caratteristiche energetiche soggettive:
è il “Long Lun Shu Lao Tuina” (“il massaggio dell’antico
ruscello del Drago e della Fenice”). Si tratta di un intervento di armonizzazione energetica generale che la
medicina tradizionale cinese di “maoista concezione”
ha totalmente perduto.
Il grande maestro Huang Wan De era solito dire:
Non si può pensare di operare un qualsiasi trattamento al corpo senza che venga coinvolta anche
la sfera energetica e quella psicoemozionale della
persona: solo il sentiero tracciato dagli Shu Lao è
esente da rischi…
CORRISPONDENZA
Franco Nocchi
[email protected]
Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo
SportandAnatomy | 37
JSA 2015;1:38-40
Christoph Schmitz
MD, Dipartimento di Neuroanatomia, Università Ludwig-Maximilians, Monaco di Baviera, Germania
La terapia con onde d’urto radiali
(RSWT) in fase acuta.
Nuove prospettive e applicazioni
in calciatori professionisti
La terapia con onde d’urto
radiali (RSWT) in fase
acuta è utilizzata
anche per i giocatori
dell’ACF Fiorentina.
L’assistenza medica e fisioterapica a calciatori professionisti, nel corso della stagione agonistica, è una sfida
enorme per tutti i soggetti coinvolti. La maggior parte
dei giocatori vogliono recuperare ed essere in forma il
più presto possibile dopo un infortunio perché vogliono
tornare a giocare per mantenere il loro posto in squadra.
Allo stesso modo è importante che i giocatori ritornino
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in piena forma il più rapidamente possibile anche durante una partita, ad esempio nell’intervallo tra il primo
e il secondo tempo. La terapia con onde d’urto radiali
(RSWT) in fase acuta è un metodo interessante e innovativo per contribuire a raggiungere questo obiettivo.
Questo articolo si propone di essere una sorta di introduzione a questa nuova prospettiva.
Approfondimento
Essendo un anatomista specializzato e abilitato, oltre
che un medico, ho coltivato per molti anni un interesse
scientifico per le onde d’urto extracorporee. È diventato
il mio lavoro quotidiano quando ho lavorato come Responsabile Internazionale dello Sviluppo Commerciale
presso la EMS – Electro Medical Systems dal 2008 al 2009.
Nel periodo trascorso presso la EMS, ho lavorato con
medici e fisioterapisti di società di calcio professionistiche sullo sviluppo di nuovi approcci per l’impiego della
RSWT nel trattamento di giocatori durante la stagione
agonistica, che si discostassero notevolmente dalle normali pratiche di RSWT pubblicati in letteratura ortopedica, ad esempio, per il dolore al tallone o per il gomito del tennista. Gli elementi chiave della RSWT in fase
acuta, oltre al trattamento quotidiano con RSWT stessa,
si concentrano sull’obiettivo primario del miglioramento
delle prestazioni del giocatore senza ricorso a doping e
sulla scomparsa dal dolore senza mirare ad una pronta
guarigione, così come sull’uso di RSWT nell’arco di pochi giorni, o addirittura ore, dopo un infortunio. Queste
nuove pratiche vengono utilizzate con grande successo
da club di alto livello negli Stati Uniti, in Brasile, Ecuador,
Inghilterra, Italia e Norvegia, e più recentemente nella
Bundesliga tedesca.
N.B. Lo scopo di questa pratica non è la pronta guarigione ma la possibilità di permettere al calciatore di
proseguire a giocare, idealmente senza alcuna interruzione. Per questo motivo, la RSWT in fase acuta, viene
applicata sia durante la partita, tra il primo e il secondo
tempo, che subito dopo la partita, così come durante gli
allenamenti giornalieri.
Quanto segue non descrive alcun trattamento specifico,
ma piuttosto alcuni aspetti importanti al fine di creare
le condizioni per l’utilizzo della RSWT in fase acuta in
calciatori professionisti.
1) Fiducia
Il primo passo è sempre un colloquio personale per superare molti dubbi fondati e alcune diffidenze. Le domande più comuni sono: “Funziona davvero?”, “Questo
non è doping sotto mentite spoglie?”, “Il trattamento
comporta qualche rischio collaterale non prevedibile
per il giocatore?”, “Come faccio a spiegare al giocatore
che alcuni trattamenti RSWT devono essere fastidiosi
per poter essere efficaci?”, “Che tipo di terapie potrebbero essere efficacemente combinate con il trattamento
RSWT?” e “Quali sono i limiti del trattamento RSWT?”.
Le risposte a tutte queste domande si basano principalmente sulla nostra attuale conoscenza dei meccanismi
molecolari e cellulari di azione delle onde d’urto sul sistema muscolo-scheletrico (vedi sotto).
2) Dotazione infrastrutturale
Quando abbiamo iniziato ad utilizzare la RSWT in fase
acuta sui calciatori della ACF Fiorentina, squadra della
La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta
Steffen Tröster, fisioterapista presso il club tedesco FSV Mainz 05,
attualmente militante nella Bundesliga, mentre sottopone alcuni
calciatori a trattamento con RSWT in fase acuta
serie A italiana, circa un anno fa, è stata sollevata la questione circa la necessità o meno di imaging medico. Le
mie esperienze ai Giochi Olimpici di Atene 2004, Pechino
2008 e in particolare di Londra 2012 (vedi anche Henne
M, Schmitz C. Stoßwellentherapie. Mythos oder Evidenz?
Medicalsportsnetwork, Ausgabe 5.11; http://www.medicalsportsnetwork.com/archive/110338/Stosswellentherapie.html), mi hanno insegnato quanto sia importante
una diagnosi chiara, soprattutto per gli atleti di élite, e
come si debba avere la più grande cautela, in particolare
in caso di rotture parziali di tendini e legamenti. Perciò,
nel caso dell’ACF Fiorentina, quasi tutte le applicazioni
di RSWT sono state precedute da un’ecografia. Naturalmente, questo non sostituisce l’uso di risonanza magnetica per immagini (RMI), di altre tecniche di imaging o di
altre procedure diagnostiche, quando indicato.
3) Esperienza
Una volta che la fiducia nelle possibilità della RSWT di
fase acuta è consolidata, gli aspetti più importanti chiariti, e sono stati installati un’unità diagnostica ad ultrasuoni e un dispositivo SWT, il team di medici e fisioterapisti necessita di acquisire gradualmente esperienza
e di consolidare le proprie competenze. In questo lasso
di tempo sono sempre a disposizione via mail, telefono, SMS o WhatsApp per rispondere immediatamente a
qualsiasi quesito, ad esempio durante l’intervallo di una
partita. Questa è probabilmente la fase più importante
nell’implementazione della RSWT in fase acuta ed è praticamente impossibile definire standard di carattere generale. Ogni club ha sviluppato una propria infrastruttura
medico-fisioterapica, ogni medico o fisioterapista ha il
proprio background, le proprie esperienze e percorsi terapeutici. Di conseguenza, qualsiasi club che utilizza la
RSWT in fase acuta tenderà a creare un proprio approccio, fortemente personalizzato.
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4) Meccanismi di azione
Di solito, durante la fase di acquisizione di competenze
e consolidamento di esperienze, è normale che sorgano
vari quesiti principalmente per quanto riguarda le modalità di trattamento e la durata. Raramente esistono risposte dirette a queste domande, a causa della impossibilità pratica di una validazione scientifica della RSWT
in fase acuta in conformità con i criteri della evidencebased medicine. In realtà, molte ipotesi possono essere
formulate sulla base della nostra attuale conoscenza dei
meccanismi molecolari e cellulari di azione delle onde
d’urto sul sistema muscolo-scheletrico, e mi piace fare
riferimento a queste. Alcuni corsi organizzati dalla Swiss
Dolor-Clast Academy (www.swissdolorclastacade-my.
com) sono una fonte affidabile di elaborazione e divulgazione delle conoscenze attuali e sono aperti a tutti gli
interessati. Tutti i formatori presso la stessa Academy
hanno ricevuto un training estensivo.
5) Stabilire e sviluppare concetti e nozioni
Determinate condizioni e lesioni, particolarmente comuni nei calciatori, possono essere trattate in modo rapido ed efficace con RSWT in fase acuta; in alcuni casi
possono perfino essere del tutto prevenute. È estremamente stimolante vedere giocatori, per i quali la stagione si sarebbe dovuta concludere anzitempo a causa di
achillodinia cronica o tendinopatia rotulea, continuare a
giocare fino alla fine della stagione stessa, grazie alla
RSWT in fase acuta.
L’investimento iniziale per la RSWT in fase acuta ripaga
sicuramente i club, perfino nel caso in cui siano costretti
ridurre la rosa di un solo giocatore, semplicemente grazie alla riabilitazione più veloce e a una migliore prevenzione degli infortuni.
Conclusioni
La RSWT in fase acuta apre prospettive del tutto nuove
per il trattamento dei calciatori professionisti, sia per la
riabilitazione post- che per la prevenzione degli infortuni, a vantaggio di tutti i soggetti interessati, vale a dire
giocatori, dirigenti e club.
L’approccio terapeutico della RSWT in fase acuta differisce in modo considerevole dalle “normali” pratiche di
trattamento con RSWT, che hanno l’obiettivo principale
di una pronta guarigione, mentre il target primario della
RSWT in fase acuta è quello di migliorare le prestazioni
dei giocatori e l’eliminazione del dolore.
Le tradizionali pratiche di trattamento con RSWT del
sistema muscolo-scheletrico sono state documentate
in numerose pubblicazioni scientifiche. Se volete scegliere, tra questa pletora di pubblicazioni, una selezione dei migliori e più significativi studi clinici realizzata
da un organismo realmente indipendente (paragonabile
ad una organizzazione di tutela dei consumatori), vale
la pena di dare uno sguardo alla banca dati PEDro del
Centre for Evidence Physiotherapy del George Institute
for Global Health presso l’Università di Sydney (www.
pedro.org.au). Ad oggi, la banca dati PEDro contiene un
totale di circa 20 pubblicazioni sulla RSWT. Quindici di
questi studi sono stati condotti con il dispositivo Swiss
DolorClast® della Electro Medical Systems che ha sede
a Nyon, in Svizzera*.
Molti di questi 15 pubblicazioni sono state curate dai
colleghi Jan-Dirk Rompe (Alzey, Germania), Ludger Gerdesmeyer (Kiel, Germania) e Markus Maier (Starnberg,
Germania). L’autore è stato coinvolto in 2 di questi 15
studi. Queste pubblicazioni hanno in comune i seguenti
concetti di fondo relativi al trattamento: 1) un approccio
controllato e randomizzato, cioè il confronto con un trattamento con terapia alternativa o placebo; 2) l’utilizzo di
RSWT solo dopo un periodo di attesa di diverse settimane o mesi di infruttuosa terapia conservativa convenzionale; 3) l’utilizzo sistematico di tecniche di imaging
come ultrasuoni e MRI prima del trattamento con RSWT;
4) l’applicazione di RSWT per tre volte con regolari intervalli settimanali; 5) l’impiego di altri tipi di trattamento
oltre la RSWT; 6) riposo del paziente durante il periodo
di trattamento.
In pratica, tale metodologia di trattamento è fuori questione per calciatori professionisti durante la stagione
agonistica. Numerosi colloqui con medici e fisioterapisti
di squadre di calcio professionistiche hanno dimostrato
che la conduzione di studi randomizzati e controllati per
la valutazione di nuovi approcci di trattamento è praticamente impossibile nel calcio professionistico. Questo
è anche il motivo per cui queste sperimentazioni sono
assai complicate da aggiungere a database di eccellenza come PEDro. Inoltre, raramente viene utilizzata
un’unica terapia nel trattamento di lesioni in calciatori
professionisti.
Immagini: © www.violachannel.tv; © Steffen Tröster
* Una raccolta dei contenuti dal database PEDro è disponibile
presso l’autore.
40 | SportandAnatomy
C. Schmitz
JSA 2015;1:41-42
Intervista ad Antonio Stecco
“La fascia è il tessuto dimenticato,
ma fondamentale nella regolazione
delle afferenze propriocettive”
Xa
X cura di Erika Calvani
La fascia è una struttura membranosa composta da tessuto connettivo, estesa su tutto il corpo al di sotto della
cute. Essa mette in rapporto i vari distretti corporei, riveste i muscoli e si invagina tra le fibre muscolari, coordinando un’articolazione con l’altra, correlando ogni
parte del corpo con l’intero organismo e sincronizzando
l’azione di ognuna con la totalità.
Luigi Stecco, fisioterapista dal 1975, dopo aver maturato una pratica professionale trentennale ha messo in
luce l’importanza della fascia nel trattamento delle affezioni muscolo-scheletriche, elaborando i fondamenti
tecnici della Manipolazione Fasciale. Il fasciaterapeuta
non concentra l’attenzione sull’area di manifestazione
sintomatica o sull’articolazione, ma su particolari aree
della fascia definite centri di coordinazione. Il trattamento della sintomatologia dolorosa avviene attraverso l’intervento manipolativo sulle densificazioni fasciali localizzate sui rispettivi Centri di Coordinazione responsabili
della disfunzione o del dolore.
Analizziamo il metodo della manipolazione fasciale insieme ad Antonio Stecco, attuale Presidente dell’Associazione Manipolazione Fasciale (A.M.F.).
Qual è il concetto primario su cui si fonda il metodo
della manipolazione fasciale?
Il principio base della manipolazione fasciale è il ripristino del normale scorrimento sia intrafasciale che tra
fascia ed epimisio, in specifici punti corporei che abbiamo codificato. Il pregio di questo metodo è la lunga durata dei risultati. Ciò è permesso da una specifica
valutazione del paziente tramite la compilazione di una
cartella elettronica, che ordina e guida il terapeuta nella
scelta dei punti da trattare. Tale cartella elettronica è apprezzata un po’ in tutte le quaranta nazioni in cui stiamo
tuttora insegnando la manipolazione fasciale. Tutti i partecipanti si stupiscono per la metodologicità dalla MF e
delle chiare linee guida che vengono fornite per aiutare
notizie
il terapeuta a raccogliere i dati utili a decidere il piano
terapeutico.
Che cosa è la densificazione della fascia e come può
causare alterazioni strutturali fino all’insorgere di
sindromi dolorose?
La densificazione è un aumento della viscosità della
sostanza collagenica lassa presente in diversi compartimenti del corpo. Un aumento della viscosità intrafasciale, tra fascia ed epimisio, genera una diminuzione
di scorrimento, riducendo il range articolare e iperattivando i meccanorecettori, i quali invieranno al SNC una
informazione errata (tipiche sintomatologie legate alla
sindrome di dolore muscoloscheletrico non specifico).
Come la manovra manipolativa può riportare l’equilibrio tensionale del sistema fasciale?
Abbiamo pubblicato due articoli che mostrano ecograficamente la modificazione del tessuto fasciale pre- e
post-trattamento della fascia. In un articolo abbiamo
evidenziato l’inspessimento della fascia dovuto a un aumento intrafasciale della sostanza collagenica lassa. Nei
controlli post trattamento e di follow-up si è notato una
normalizzazione dello spessore della fascia, maggiore
rispetto al gruppo di controllo.
Nel secondo articolo abbiamo dimostrato come, con la
MF, siamo riusciti a diminuire la “rigidità” della fascia tramite una valutazione elastosonograpica. Tale valutazione, mediante un particolare software ecografico, valuta
la rigidezza dei tessuti.
Da anni l’AMF studia le potenzialità terapeutiche della
manipolazione fasciale. Quali sono le ultime evidenze
scientifiche circa la funzione anatomica della fascia?
Abbiamo pubblicato lo scorso anno l’efficacia della manipolazione fasciale per il tunnel carpale e per la cifosi
SportandAnatomy | 41
funzionale nell’adolescente. In merito al primo articolo
abbiamo confermato come l’intrappolamento del nervo mediano può avvenire a diversi livelli e non solo al
legamento del carpo. Per tale motivo la manipolazione
fascialE, agendo in più segmenti corporei, riesce a diminuire l’intrappolamento che si genera tra nervo ed epinevrio (il tessuto fasciale che circonda il nervo). Tale studio
conferma il ruolo della fascia nell’intrappolamento nervoso e avvalora la manipolazione fasciale come metodo
di diagnosi e trattamento. Il risultato che ci entusiasma
di più è la durata dei risultati stessi, che si mantengono
nel lungo termine.
Gli ultimi studi sulla fascia in ambito di trattamento
delle affezioni muscolo-scheletriche?
Stiamo ora completando un lavoro sulla lombalgia
cronica con l’università di Bologna. Sarà pubblicato entro la fine dell’anno. Si tratta di uno studio
clinico randomizzato che evidenzia la superiorità
dalla Manipolazione Fasciale in confronto a un altro trattamento, con risultati che si mantengono nel
tempo. Con l’università di New York NYU abbiamo
fatto prima uno studio preclinico, e ora clinico, sul
trattamento della fascia in soggetti con rigidità muscolare. Lo studio preclinico è già stato pubblicato.
Non nego l’entusiasmo presente tra i mie colleghi
del Motor Recovery Lab del Rusk Institute. Abbiamo generato un brevetto che ci permetterà di approfondire ancora di più gli studi su questo nuovo
campo di applicazione della manipolazione fasciale. Abbiamo già introdotto alcune applicazioni nel
III livello del corso di manipolazione fasciale, ma il
nostro intento è di migliorare ancora di più le linee
guida nell’edizione 2016.
Come si comporta il fasciaterapeuta di fronte a un
segnale di dolore a livello muscoloscheletrico?
Chi usa MF deve valutare il paziente tramite le nostre linee guida, che comportano l’uso della cartella di MF. Questa cartella (ora anche in formato
elettronico) aiuta il terapeuta nel collezionare le
informazioni necessarie per arrivare a un corretto
Per approfondimenti
Luomala T, Pihlman M, Heiskanen J, et al. Case study: could ultrasound and elastography visualized densified areas inside the
deep fascia? J Bodyw Mov Ther 2014;18:462-8.
Stecco A, Meneghini A, Stern R, et al. Ultrasonography in myofascial neck pain: randomized clinical trial for diagnosis and followup. Surg Radiol Anat 2014;36:243-53.
42 | SportandAnatomy
trattamento. Certo il ragionamento clinico non può
essere dettato dal software.
Quando è consigliata la manipolazione fasciale? In
ambito sportivo in quali quadri algido-disfunzionali
trova maggiori risultati?
Abbiamo formato diversi fisioterapisti che lavorano in ambito sportivo, non per ultimo il team che
segue Juventus, Diamonds baseball team in USA,
Worcester Rugby Team in UK, Net basketball team
di NYC e molti altri.
L’applicazione della MF è la più svariata. È indicata nelle sintomatologie dolorose quanto in quelle
legate al deficit di propriocettività. Diversi articoli
dimostrano come la fascia sia la struttura chiave
che regola le afferenze propriocettive.
Il rapporto tra manipolazione fasciale e prevenzione?
Con diverse squadre sportive stiamo applicando
un protocollo di valutazione pre-stagione sportiva
per diminuire i traumi maggiori. Stiamo raccogliendo risultati preliminari molto incoraggianti.
Il rapporto tra manipolazione della fascia e riabilitazione?
Diversi organismi internazionali, come la ISPRM (Società internazionale di fisiatria), stanno sostenendo
l’applicazione della MF in ambito riabilitativo come
strumento valido per questa branca della medicina.
Quanto è importante per un professionista in ambito
sportivo e riabilitativo conoscere la fisiologia della fascia nello svolgimento del proprio lavoro quotidiano?
Purtroppo la fascia è “il tessuto dimenticato”. Non
conoscere l’anatomia e la fisiologia della fascia
equivale ad avere una lacuna nelle basi scientifiche che supportano tutto il lavoro clinico. In tutti
i congressi internazionali viene data sempre più
attenzione a tale tessuto, ma queste nuove informazioni non potranno essere a disposizione di
tutti finché non verranno inserite nel curriculum
formativo professionale.
Pratelli E, Pintucci M, Cultrera P, et al. Conservative treatment of
carpal tunnel syndrome: comparison between laser therapy and
fascial manipulation(®). J Bodyw Mov Ther 2015;19:113-8.
Ćosić V, Day JA, Iogna P, et al. Fascial Manipulation(®) method
applied to pubescent postural hyperkyphosis: a pilot study. J
Bodyw Mov Ther. 2014;18:608-15.
E. Calvani
Sport and Anatomy
Non cercare avventure inutili
scegli il titolo universitario
La fascia è il tessuto dimenticato
SportandAnatomy | 43