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Autorizzazione Tribunale di Pisa n. 1 del 19-01-2015 - Marzo 2015 Periodico di Scienze Riabilitative e Motorie Anno I ∙ 1 - 2015 L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento in atleti anziani Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta intensità nel settore giovanile Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo Disfunzione tiroidea e attività fisica: implicazioni cliniche e terapeutiche La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta. Nuove prospettive e applicazioni in calciatori professionisti L’interazione tra terapie rieducative “a secco” e “in acqua” Ruolo delle proteine nella pratica sportiva Intervista ad Antonio Stecco ACIDO IALURONICO CROSS-LINKATO induce rapido sollievo dal dolore e il recupero della funzionalità articolare del ginocchio IN MONOSOMMINISTRAZIONE Abiogen Pharma S.p.A. Dispositivo Medico 0086 per ciclo terapeutico semestrale Una siringa da 5 ml pre-riempita con 4 ml di Hylastan SGL-80 Prezzo: Euro 150,00 powered by websonica.it ISSN 2421-3292 Periodico di Scienze Riabilitative e Motorie Anno I ∙ 1 - 2015 Direttore Scientifico Eugenio Gaudio Direttore Editoriale Marco Gesi Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini Edizione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca 1 • 56121 Pisa Tel. 050 31 30 11 • Fax 050 31 30 300 [email protected] • www.pacinimedicina.it Marketing Dpt Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli Medical Project - Marketing Director Tel. 050 31 30 255 • [email protected] Fabio Poponcini Sales Manager Tel. 050 31 30 218 • [email protected] Manuela Mori Advertising Manager Tel. 050 31 30 217 • [email protected] Redazione Lucia Castelli - Erika Calvani Tel. 050 31 30 224 • [email protected] Grafica e impaginazione Massimo Arcidiacono Tel. 050 31 30 231 • [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini • Pisa © Copyright by Pacini Editore SpA Edizione Pacini Editore SpA Via Gherardesca, 1 · 56121 Pisa www.pacinimedicina.it editorial board Andersen Per Nymann (Tromsø - Norway) Bernardi Marco (Roma - Italy) Boden Nicholas (Kuala Lumpur - Malaysia) Busoni Francesco (Pisa - Italy) Capelli Carlo (Verona - Italy) Castagna Carlo (Ancona - Italy) Cocco Lucio (Bologna - Italy) d’Almeida Neto Antonio (Rio de Janeiro - Brasil) de Labareyre Hervé (Paris - France) Di Baldassarre Angela (Chieti - Italy) Fornai Francesco (Pisa - Italy) Först Andreas (Bamberg - Germany) Franzoni Ferdinando (Pisa - Italy) Genty Marc (Yverdon les Bains - Switzerland) Gerdesmeyer Ludger (Kiel- Germany) Guido Giulio (Pisa - Italy) Gulisano Massimo (Firenze - Italy) Inglese Francesco (Forlì - Italy) Kertzman Paulo F (Sao Paulo - Brasil) Magaudda Ludovico (Messina - Italy) Maier Markus (Starnberg - Germany) Manetti Paolo (Firenze - Italy) Mangiarotti Marco (Roma - Italy) Manzoli Lucia (Bologna - Italy) Mondardini Paolo (Bologna - Italy) Montagnani Stefania (Napoli - Italy) Montella Andrea (Sassari - Italy) Moxham Bernard (Cardiff - United Kingdom) Muzio Marisa (Milano - Italy) Natale Gianfranco (Pisa - Italy) Nicolini Ida (Pisa - Italy) Palma Antonio (Palermo - Italy) Pellegrino Raffaello (Lecce - Italy) Pöttgen Klaus (Darmstadt - Germany) Rigardo Sergio (Alessandria - Italy) Ruffoli Riccardo (Pisa - Italy) Santoro Gino (Pisa - Italy) Schmitz Christoph (Munich - Germany) Soldani Paola (Pisa - Italy) Stecco Antonio (Padova - Italy) Stecco Carla (Padova - Italy) Vitale Marco (Parma - Italy) Sommario EDITORIALE 1 di M. Gesi articoli originali 2 L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento in atleti anziani J. Fusi, E. Guidotti, A. Innocenti, L. Tocchini, E. Ricciardi, M. Rossi, F. Galetta, G. Santoro, F. Franzoni 8 Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta intensità nel settore giovanile - Studio preliminare A. Nonnato, G. Belli, R. di Michele Review 14 20 Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico G. Ceccarini, A. Basolo, M. Maffei, P. Vitti, F. Santini Disfunzione tiroidea e attività fisica: implicazioni cliniche e terapeutiche E. Sabini, A. Biagini, E. Molinaro Approfondimenti 25 L’interazione tra terapie rieducative “a secco” e “in acqua” S. Rigardo 28 Ruolo delle proteine nella pratica sportiva M. Ceriani 33 Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo F. Nocchi 38 La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta. Nuove prospettive e applicazioni in calciatori professionisti C. Schmitz notizie 41 Intervista ad Antonio Stecco “La fascia è il tessuto dimenticato, ma fondamentale nella regolazione delle afferenze propriocettive” a cura di E. Calvani Anno I ∙ 1 - 2015 JSA 2015;1:1 Marco Gesi Alla presenza delle massime autorità dell’Università di Pisa, dei Colleghi, degli Allievi e degli Amici di “Sport and Anatomy”, il 23 gennaio u.s. si è svolta la presentazione ufficiale di “The Journal of Sport and Anatomy”. La giornata, iniziata nel “Palazzo alla Giornata” con il Magnifico Rettore dell’Università di Pisa, è proseguita nell’Aula Magna della Scuola Medica Pisana davanti a molte persone appassionate del mondo sportivo. Abbiamo voluto condividere l’importante evento con alcuni amici che in questi anni hanno creduto nel nostro progetto e che hanno condiviso parte di questo lungo cammino: Gianni Rivera, presidente del settore tecnico federale della Figc (Federazione Italiana Giuoco Calcio), Renzo Ulivieri, presidente della AIAC (Associazione Italiana Allenatori Calcio), Giovanni Bonocore, preparatore atletico personale di Alessandro Del Piero e Salvatore Sanzo, presidente del Coni Toscana. A far gli onori di casa il prof. Giulio Guido, direttore del Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, il clinico medico prof. Gino Santoro, il prof. Paolo Mancarella, prorettore per la didattica dell’Università di Pisa e il dottor Pierfrancesco Pacini storico editore e imprenditore pisano. “The Journal of Sport and Anatomy”, prosegue il suo progetto editoriale con la pubblicazione del primo numero del 2015 con articoli che trattano molte tematiche appartenenti allo sport moderno. In primo piano due studi originali: il primo si occupa del ruolo dell’attività fisica per contrastare lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento; il secondo è uno studio preliminare sulla relazione tra il carico interno e carico esterno durante esercitazioni tecnico-tattiche a elevato impegno fisico in calciatori di giovane età. A seguire due Editoriale review, la prima fornisce una panoramica in merito all’influenza del sistema leptina-melanocortina sulle diverse componenti dell’attività fisica, mentre la seconda prende in considerazione le implicazioni cliniche e terapeutiche in soggetti sportivi con disfunzione tiroidea, una problematica che colpisce molte persone che praticano attività sportiva. Gli approfondimenti che sono trattati in questo numero sono dedicati ad argomenti particolarmente moderni in ambito di riabilitazione e prestazione sportiva: saper integrare terapie in acqua e a secco; il ruolo delle proteine nella pratica sportiva e, infine, un richiamo all’antica medicina tradizionale cinese, il più antico sistema medico conosciuto. Spero che gli argomenti trattati in questo numero possano portare “quel qualcosa in più” non solo a chi ha il compito di gestire al meglio lo sportivo ma anche a chi vuole praticare sport sapendo quali possono essere i benefici e quali gli eventuali danni. Vi auguro una buona lettura. SportandAnatomy | 1 JSA 2015;1:2-7 Jonathan Fusi, Emanuele Guidotti, Augusto Innocenti, Leonardo Tocchini, Emiliano Ricciardi, Marco Rossi, Fabio Galetta, Gino Santoro, Ferdinando Franzoni Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale e Dipartimento di Patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica, Università di Pisa L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento in atleti anziani Riassunto L’invecchiamento è associato a una maggiore suscettibilità al danno tissutale mediato da radicali liberi. Una delle più importanti classi di radicali generati nei sistemi viventi è rappresentata dai radicali liberi dell’azoto (RNS), responsabili del danno cellulare definito come stress nitrosativo. È stato dimostrato che l’attività fisica regolare migliori i sistemi antiossidanti dell’organismo, contribuendo a prevenire e contrastare lo stress ossidativo. L’obiettivo del presente studio è quello di valutare se l’attività fisica sia in grado di contrastare lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento. A tale scopo sono stati reclutati 30 atleti master di sesso maschile (età media 70,8 ± 6,1 anni, VO2max 59,07 ± 8,5 ml/kg/min) e 30 soggetti di controllo (età media 71,5 ± 4,3 anni, VO2max 25,6 ± 8,2 ml/kg/min) sani, ma con stile di vita sedentario. La capacità antiossidante plasmatica nei confronti del perossinitrito, uno dei principali RNS, è stata valutata mediante tecnica gascromatografica Total Oxyradical Scavenging Capacity Assay (TOSCA). I risultati ottenuti dimostrano che gli atleti anziani presentano una più alta attività scavenger plasmatica nei confronti del perossinitrito rispetto ai soggetti di controllo (22,94 ± 1,85 vs 15,41 ± 1,24 units/ml, p < 0,001). Negli atleti è stata inoltre osservata una correlazione diretta tra la capacità scavenger del plasma e il VO2max (r = 0,44, p < 0,05). Tali risultati confermano che l’attività fisica regolare condotta per molti anni è in grado di determinare una miglior risposta allo stress nitrosativo indotto dal perossinitrito. Parole chiave: attività fisica - stress ossidativo - radicali liberi - perossinitrito Abstract Ageing is associated with an increased susceptibility to free radical-induced tissue damage. One of the most important class of free radicals generated in living systems is represented by reactive nitrogen species (RNS), responsible for the so-called nitrosative stress. It has been shown that physical activity is able to induce up-regulation of antioxidant systems contributing to prevent oxidative stress. Aim of the present study was to assess whether regular physical activity is able to counteract age-induced nitrosative stress. Thirty male endurance athletes (age 70.8 ± 6.1 years, VO2max 59.07 ± 8.5 ml/kg/min) and thirty age-sexmatched sedentary controls (age 71.5 ± 4.3 years, VO2max 25.6 ± 8.2 ml/kg/min) were studied. Plasma free radicals antioxidant capacity against peroxynitrite, one of the most important RNS, was evaluated as Total Oxyradical Scavenging Capacity (TOSC) units. Results. Plasma TOSC values against peroxynitrite was higher in athletes than in sedentary controls (22,94 ± 1,85 vs 15,41 ± 1,24 units/ml, p < 0.001). In the athletes group, TOSC values were related to VO2max (r = 0.44, p < 0.05). In conclusion, these results suggest that regular physical activity is associated with increased antioxidant defences in elderly athletes. Key words: physical activity - oxidative stress - free radicals - peroxynitrite Introduzione L’invecchiamento è uno dei fattori di rischio indipendenti più importanti per le patologie cardiovascolari. Esso è associato a una maggiore suscettibilità al danno tissutale mediato da radicali liberi causata da una progressiva 2 | SportandAnatomy perdita delle naturali capacità antiossidanti con conseguente aumento dello stress ossidativo 1. I radicali liberi sono molecole instabili e altamente reattive prodotte nei sistemi organici dalla fosforilazione ossidativa o come risposta agli stati infiammatori. Sebbene ARTICOLO ORIGINALE esista una moltitudine di radicali liberi, quelli derivanti dall’ossigeno o dall’azoto, definiti complessivamente RONS (Reactive Oxygen and Nitrogen Species), rappresentano la più grande classe di radicali generati nei sistemi viventi 2. Normalmente esiste un delicato equilibrio tra la produzione di fattori ossidanti, rappresentati dai radicali liberi dell’ossigeno (ROS), e la loro eliminazione attraverso un elaborato sistema di difese antiossidanti, composto sia da enzimi deputati alla conversione dei radicali liberi sia da molecole antiossidanti in grado di neutralizzarli, gli scavenger. Quando questo equilibrio viene alterato in favore dell’espressione dei radicali liberi, si instaura una condizione denominata stress ossidativo che, alterando la struttura e la funzionalità di proteine, lipidi e acidi nucleici, induce danno cellulare 3 4. Allo stesso modo anche i radicali liberi dell’azoto (RNS) sono in equilibrio con un sistema tampone formato da scavenger e come per i ROS quando questo equilibrio viene meno si instaura una condizione di danno cellulare che, proprio in relazione al tipo di specie coinvolte, è descritto come stress nitrosativo. In vivo l’alterazione dell’equilibrio RNS/scavenger è stata associata a processi infiammatori, neurotossicità e ischemia. Inoltre, frequentemente lo stress nitrosativo coesiste con lo stress ossidativo e le due condizioni si sovrappongono 5. Tra gli RNS il radicale maggiormente associato alle patologie neurodegenerative e cardiovascolari è stato individuato nel perossinitrito (ONOO-) 6-8. È stato dimostrato che l’attività fisica, sebbene da un lato determini un aumento della produzione di RONS, soprattutto attraverso l’incremento dei processi ossidativi mitocondriali, dall’altro stimola fenomeni adattativi di up-regulation dei sistemi antiossidanti dell’organismo. Tale fenomeno concorre nel mantenere l’equilibrio tra produzione di RONS e sistemi scavenger contribuendo a prevenire e contrastare lo stress ossidativo 9 10. La capacità dell’attività fisica di migliorare la risposta scavenger dell’organismo umano nei confronti dello stress ossidativo è stata evidenziata in un precedente lavoro nei confronti di due specie di ROS: i radicali perossilici (ROO-) e idrossilici (OH-) 11. L’obiettivo del presente studio è stato quello di valutare come l’attività fisica sia in grado di contrastare lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento, confrontando l’attività antiossidante plasmatica rispetto al perossinitrito in un gruppo di anziani sportivi amatoriali e un gruppo di controllo composto da sedentari della stessa età. Materiali e metodi Soggetti Trenta podisti master (maschi, età media di 70,8±6,1 anni) appartenenti al Marathon Club di Pisa e praticanti attività di endurance da molti anni (media 28,4±10,5 anni) sono stati arruolati nello studio. Essi praticavano almeno 5 sedute settimanali di allenamento per un totale di circa 7 ore alla settimana, oltre a una maratona o mezza maratona competitiva almeno una domenica al mese. Trenta volontari sani (età media 71,5±4,3 anni) con stile di vita sedentario sono stati selezionati dall’ambulatorio cardiologico del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa per formare il gruppo di controllo. Tutti i soggetti erano sani ed esenti dai principali fattori di rischio cardiovascolare sulla base di un’accurata anamnesi, una visita clinica completa e un ECG basale e da sforzo. Nessuno era fumatore o assumeva farmaci o qualsiasi tipo di supplementazione vitaminica. Gli atleti e i controlli presentavano un massimo consumo di ossigeno (VO2max), valutato mediante test ergospirometrico (QUARK PFT ERGO, Cosmed, ITALIA) rispettivamente maggiore di 50 ml/kg/min e inferiore a 35 ml/kg/min. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico di Area Vasta Nord Ovest (CEAVNO) per la Sperimentazione clinica e tutti i soggetti hanno firmato consenso scritto all’esecuzione dello studio. Disegno sperimentale Dopo incannulamento della vena antecubitale, i soggetti sono stati sottoposti a un prelievo ematico (50 ml) in condizioni ambientali controllate (temperatura di 22-24°C) a distanza di almeno 48h dall’ultimo impegno sportivo. Il campione ottenuto e raccolto in provette contenenti acido dipotassio-etilendiaminotetracetico (EDTA, 10 μl/CC) è stato immediatamente centrifugato a 3.000 g per 10 min per ricavare campioni di plasma suddivisi in aliquote da 500 μl e conservati in Eppendorf a -80°C per le successive analisi. La valutazione della capacità antiossidante plasmatica è stata eseguita mediante saggio TOSCA (Total Oxyradical Scavenging Capacity Assay) 12. In breve, il saggio si basa sulla genesi artificiale di derivati del perossinitrito a 35°C a partire dalla decomposizione del SIN-1 (3-morpholinosydnonimine N-ethylcarbamide) in un tampone fosfato di potassio 100 mM (pH 7,4) con 0,1 mM di DTPA (diethylene-triamine-pentaacetic acid) 8. Le reazioni con KMBA (α-cheto-γ-(methylthiol)butyric acid) 0,2 mM sono state effettuate in vials da 10 ml sigillate con valvole a tenuta di gas Mininert® (Supelco, Bellefonte, PA) in un volume finale di 1 ml 16. Il plasma analizzato è stato diluito 1/100 in tampone fosfato di potassio 100 mM (pH 7.4) in un volume finale di 1 ml (10 μl plasma + 990 μl tampone fosfato di potassio). La produzione di etilene è stata misurata tramite analisi gascromatografica di un’aliquota di 200 μl presa dallo spazio di testa dei vials a intervalli di tempo regolari durante tutta la durata della corsa. L’analisi è stata effettuata con un gascromatografo Hewlett-Packard (HP 7820A Series, Andoven, MA) equipaggiato con una colonna capillare Supelco DB-1 (30 × 0,32× 0,25 mm) e un detector ionizzatore di fiamma (FID). Le temperature del forno, dell’iniettore e del FID erano rispettivamente 35, 160 e 220 L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento in atleti anziani SportandAnatomy | 3 °C. Come gas carrier è stato usato l’idrogeno (a un flusso di 1 ml/min). I valori TOSCA sono stati calcolati dall’equazione: TOSCA = 100 - (∫SA/∫CA × 100), dove ∫SA e ∫CA rappresentano gli integrali delle aree per il campione e la reazione di controllo, rispettivamente. I risultati sono stati espressi in unità TOSCA per ml di plasma. Un valore TOSCA di 0 corrisponde a un campione senza capacità scavenger (nessuna inibizione della formazione di etilene rispetto alla reazione di controllo, ∫SA/∫CA = 1), mentre un valore TOSCA di 100 corrisponde alla massima efficienza del campione analizzato. La linearità della curva dose-risposta tra il plasma (in ml) e la risposta antiossidante (valore TOSCA) è stata testata e sono stati ottenuti buoni coefficienti di correlazione (generalmente superiore a 0,9) per le diverse dosi di plasma utilizzate per testare la validità dei nostri esperimenti. Ogni esperimento è stato eseguito due volte. Il coefficiente di variazione (CV) del metodo è < al 5%. Analisi statistica I risultati sono stati espressi come media ± deviazione standard. Le differenze tra le due popolazioni sono state valutate con il test t di Student. Le differenze sono state considerate statisticamente significative quando p < 0,05. Per valutare eventuali correlazioni tra le variabili è stata utilizzata la regressione lineare con analisi univariata e multivariata. Risultati I due gruppi studiati sono risultati sovrapponibili per età, peso, altezza, BMI, pressione sistolica e diastolica, glicemia, colesterolo totale e colesterolo LDL (Tab. I). Come atteso, gli atleti presentavano una frequenza cardiaca significativamente più bassa (53,9 ± 5,2 vs 65,3 ± 9,2, p < 0,001) e un VO2max significativamente più elevato (59,07 ± 8,5 vs 25,6 ± 8,2, p < 0,001) rispetto ai controlli sedentari. Inoltre, è stato rilevato che il gruppo degli atleti presentava una concentrazione plasmatica di colesterolo HDL significativamente più elevata rispetto al gruppo di controllo (59,7 ± 11,3 vs 43,4 ± 8,7, p < 0,01) (Tab. I). Come riportato in Figura 1 nel gruppo degli atleti è stata rilevata una capacità antiossidante per il perossinitrito significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo (TOSCA value: 22,94 ± 1,85 vs 15,41 ± 1,24 units/ml, p < 0,001). L’analisi di correlazione tra le variabili ha inoltre evidenziato una correlazione diretta nell’intera popolazione studiata tra la capacità antiossidante verso il perossinitrito e il VO2max (r = 0,44, p < 0,05) (Fig. 2). Nessuna correlazione è stata trovata tra le altre variabili misurate. Discussione Il nostro gruppo ha precedentemente dimostrato che l’attività fisica è in grado di migliorare la risposta dell’organismo umano nei confronti dello stress ossidativo indotto dai ROS, in particolare dai radicali perossilici (ROO-) e idrossilici (OH-) 11. Tuttavia, per nostra conoscenza, non ci sono dati sull’efficacia dell’esercizio fisico nel miglioramento delle capacità dell’organismo umano di contrastare lo stress nitrosativo. Il presente lavoro documenta che l’attività fisica regolare è efficace anche nel ridurre lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento. Il perossinitrito è stato correlato a varie patologie a carico dell’apparato cardiovascolare e del sistema nervoso centrale 6-8. Nell’organismo umano esso è prevalentemente generato attraverso un processo di diffusione controllata tra l’ossido nitrico (NO) e il superossido (O2·⁻) secondo la seguente reazione: O2·⁻ + NO ––––> ONOO- Tabella I. Caratteristiche cliniche della popolazione di studio (media ± SD). Atleti Controlli Età (anni) 70,8 ± 6,1 71,5 ± 4,3 Altezza (cm) 172,1 ± 5,8 173,5 ± 6,2 Peso (kg) 75,9 ± 5,4 77,2 ± 6,9 23,8 ± 2,1 25 ± 1,6 BMI (kg/m ) 2 FC (bpm) 53,9 ± 5,2* 65,3 ± 9,2 PAS (mmHg) 126,3 ± 4,2 128,2 ± 5,4 PAD (mmHg) 78,2 ± 5,2 79,7 ± 5,8 Glicemia (mg/dL) 93,0 ± 9,1 92,2 ± 10,0 Colesterolemia totale (mg/dL) 185,9 ± 21,3 187,4 ± 17,0 Colesterolemia HDL (mg/dL) 59,7 ± 11,31 43,4 ± 8,7 Colesterolemia LDL (mg/dL) 111,8 ± 12,8 117,5 ± 10,2 VO2max (ml/kg/min) 59,07 ± 8,5 25,6 ± 8,2 * p < 0,001; 1 p < 0,01 vs sedentari. 4 | SportandAnatomy J. Fusi et al. Figura 1. Attività antiossidante plasmatica verso perossinitrite nel gruppo degli atleti e dei controlli sedentari. * p < 0,001. Tale reazione è una delle più rapide conosciute in chimica, tanto da superare la dismutazione catalizzata dall’enzima superossido dismutasi, uno degli antiossidanti endogeni più rappresentati 13. Il perossinitrito, in relazione alle sue proprietà chimiche, è considerato un importante ossidante biologico e un mediatore centrale di molti processi patologici sia a carico dell’apparato cardiovascolare che del sistema nervoso centrale 14. Infatti, data la sua natura radicalica, può interagire con tutte le componenti cellulari, compreso il DNA, alterandone la struttura e conseguentemente la funzione. A livello cellulare una delle maggiori sedi di produzione del perossinitrito è rappresentata dal mitocondrio 15 il quale costituisce la principale fonte di O2·⁻ che si combina con NO in relazione alla facile diffusione di quest’ultimo dal citosol verso questa sede 6 16. La successiva reazione del perossinitrito con le compo- Figura 2. Analisi di correlazione tra massimo consumo di ossigeno e attività antiossidante plasmatica verso perossinitrite nell’intera popolazione di studio. nenti mitocondriali altera irreversibilmente l’attività dei complessi I e II della catena di trasporto degli elettroni e dell’ATPasi modificando di conseguenza la bioenergetica mitocondriale e l’omeostasi del calcio, promuovendo in definitiva l’ulteriore formazione di O2·⁻ 6 17 18. I dati raccolti in questo studio hanno evidenziato, per la prima volta, che l’attività antiossidante plasmatica per i derivati del perossinitrito è significativamente superiore in un gruppo di anziani che svolgono da molti anni attività podistica amatoriale ad alto livello rispetto a soggetti di controllo sedentari. Dai risultati ottenuti si può quindi presumere che l’esercizio fisico sia in grado di contrastare gli effetti dannosi indotti dallo stress nitrosativo associato all’invecchiamento. Questa evidenza è supportata dalla correlazione diretta tra la capacità di scavenger del plasma verso i perossinitriti e il VO2max, mostrando come lo stato di forma fisica e di allenamento e quindi il grado di fitness siano il principale correlato della miglior risposta allo stress nitrosativo. Del resto l’attività fisica viene universalmente riconosciuta come un importante fattore di prevenzione primaria e secondaria. L’esercizio fisico regolarmente eseguito, infatti, non solo è un fondamentale fattore di riduzione del rischio di insorgenza e progressione dell’ipertensione arteriosa, delle dislipidemie, del diabete e dei disordini metabolici in genere, ma si è rivelata anche essere estremamente importante per l’impatto diretto sulla mortalità 19-23. Tuttavia si suppone che questi effetti possano essere ottenuti pienamente soltanto quando i RONS siano prodotti in quantità fisiologica o di poco superiore 24. L’eccessiva produzione di RONS può essere il risultato di una grande varietà di stressors che vanno dall’esposizione a sostanze inquinanti all’esagerato o inappropriato apporto di nutrienti 25. Più in generale, ogni situazione nella quale si riscontri un aumento del consumo di ossigeno può condurre a uno stato acuto di stress ossidativo. Tale condizione si può quindi manifestare anche durante un esercizio fisico intenso e/o prolungato 26. Quindi, da un lato l’esercizio fisico determina un aumento della produzione di RONS, soprattutto attraverso l’incremento dei processi ossidativi mitocondriali, ma dall’altro esso stimola fenomeni adattativi rispetto agli insulti ossidativi proprio grazie all’incrementata produzione delle specie reattive. Una ripetuta esposizione dei sistemi cellulari a un’incrementata produzione di RONS derivante dall’esercizio fisico conduce, infatti, a una upregulation dei sistemi antiossidanti dell’organismo 9 10. È proprio l’alterazione dell’equilibrio ossidoriduttivo associata a un ambiente più ridotto che sembrerebbe comportare un adattamento protettivo verso i RONS durante le sessioni di allenamento sequenziali, così come in caso di esposizione a condizioni non associate all’esercizio fisico. I risultati ottenuti con il presente lavoro sono quindi a favore dell’ipotesi secondo cui l’esercizio fisico regolare migliori la capacità antiossidante plasmatica e L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento in atleti anziani SportandAnatomy | 5 riduca lo stress ossidativo e nitrosativo indotto dall’invecchiamento. Presumibilmente l’incremento dell’attività antiossidante in seguito a un allenamento fisico è frutto di un processo di adattamento secondo i principi dell’ormesi: in risposta a una ripetuta esposizione a tossine o stressors di varia origine in quantità limitata l’organismo va incontro a un adattamento favorevole che risulta in un miglioramento della performance fisica e dello stato di salute generale 27 28. Il livello intermedio di RONS prodotti, che risulta perciò ottimale, conduce apparentemente a una condizione di equilibrio e di vantaggio per la salute generale, laddove invece una produzione troppo bassa o troppo elevata porta a un’alterazione delle capacità di difesa dell’organismo o a un esteso danno ossidativo e infiammazione. Sebbene l’esatta comprensione del rapporto esistente tra RONS ed esercizio fisico rimanga ancora aperta a interpretazioni e approfondimenti, è ormai evidente che sia l’esercizio fisico aerobico 29 che quello anaerobico 30 possono potenzialmente determinare uno stress ossidativo e nitrosativo acuto mediante meccanismi biochimici di vario tipo. Differenti protocolli di esercizio possono indurre diversi livelli di produzione di RONS in quanto il danno ossidativo da essi indotto ha dimostrato essere dipendente da intensità e durata dell’esercizio stesso 31. Si deve comunque tener conto che anche altri fattori tra i quali l’età 32, il grado di allenamento 10 e la dieta 33 rivestono un ruolo determinante nell’eventuale alterazione dell’equilibrio tra difese antiossidanti ed elementi pro-ossidanti. Bibliografia Beckman K, Ames B. The free radical theory of aging matures. Physiol Rev 1998;78:547-81. 2 Halliwell B. Reactive oxygen species in living systems: source, biochemistry, and role in human disease. Am J Med 1991;91:14S-22S. 3 Sies H. Oxidative stress: introductory remarks. In: Sies H, ed. Oxidative Stress. London: Academic Press 1985, pp. 1-7. 4 Darley-Usmar V, Starke-Reed P. Antioxidants: strategies for interventions in aging and age-related diseases. A workshop sponsored by the National Institute on Aging and by the Office of Dietary Supplements. Antioxid Redox Signal 2000;2:375-7. 5 Klatt P, Lamas S. Regulation of protein function by S-glutathiolation in response to oxidative and nitrosative stress. Eur J Biochem 2000;267:4928-44. 6 Szabò C, Ischiropoulos H, Radi R. Peroxynitrite: biochemistry, pathophysiology and development of therapeutics. Nat Rev Drug Discov 2007;6:662-80. 7 Peluffo G, Radi R. Biochemistry of protein tyrosine nitration in cardiovascular pathology. Cardiovasc Res 2007;75:291-302. 1 6 | SportandAnatomy Da un punto di vista molecolare è necessario considerare che gli effetti vantaggiosi dell’attività fisica regolare potrebbero essere mediati in parte dall’aumentata biodisponibilità di NO conseguente a esercizio fisico e in parte da un’attivazione RONS-mediata delle vie di trascrizione genica che determinano in ultima analisi una maggiore produzione di enzimi antiossidanti. I RONS, infatti, sembrano in grado di agire da segnale di attivazione di una serie di molecole che a loro volta attivano fattori di trascrizione nucleare sensibili allo stato redox come il Nuclear Factor kB (NF-kB). Le regioni geniche promoter di vari enzimi antiossidanti come la superossido dismutasi, iNOS (Inducible Nitric Oxyde Synthase) e glutamilcisteina sintetasi contengono siti di legame per NF-kB e sono perciò potenziali target per l’up-regulation indotta dall’esercizio fisico mediante la via NF-kB con i RONS come secondi messaggeri 26 34 35. In conclusione, data la dimostrazione di correlazione tra attività fisica, meccanismi di trascrizione genica e attività antiossidante plasmatica, è auspicabile che le future ricerche in questo campo conducano a individuare con maggiore precisione e completezza i meccanismi molecolari alla base dell’adattamento dell’attività antiossidante indotto dall’attività fisica, ottenendo una migliore quantificazione del grado di attività sportiva (e di conseguenza dell’attività antiossidante) necessaria affinché si generi un effetto vantaggioso per la salute. Levrand S, Vannay-Bouchiche C, Pesse B, et al. Peroxynitrite is a major trigger of cardiomyocyte apoptosis in vitro and in vivo. Free Radic Biol Med 2006;41:886-95. 9 Elosua R, Molina L, Fito M, et al. Response of oxidative stress biomarkers to a 16-week aerobic physical activity program, and to acute physical activity, in healthy young men and women. Atherosclerosis 2003;167:327-34. 10 Fatouros IG, Jamurtas AZ, Villiotou V, et al. 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CORRISPONDENZA Ferdinando Franzoni [email protected] L’attività fisica regolare previene lo stress nitrosativo indotto dall’invecchiamento in atleti anziani SportandAnatomy | 7 JSA 2015;1:8-13 Andrea Nonnato1, Guido Belli2, Rocco di Michele3 Preparatore Atletico Allievi Biancoscudati, Padova PhD, Preparatore Atletico Allievi Biancoscudati, Padova 3 PhD, Ricercatore universitario, Università di Bologna 1 2 Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta intensità nel settore giovanile Studio preliminare Riassunto Questo studio preliminare ha analizzato il carico di allenamento di due esercitazioni tecnico-tattiche a elevato impegno fisico in calciatori di età differenti. 8 calciatori Under 16 e 8 Under 15 hanno eseguito 2 SSGs (Small Sided Games) in diverse modalità: un 4 vs 4 in “doppio quadrato” (3 x 4’) e mini-partite, con la presenza del portiere, in “gabbia” (20’ totali, dal 2 vs 2 al 4 vs 4). Gli indici di carico esterno sono stati monitorati attraverso un sistema GPS, ed è stata registrata la fatica percepita (RPE). Il 4 vs 4 ha mostrato un’intensità complessivamente maggiore rispetto alla gabbia per potenza metabolica media, distanza al minuto, distanza equivalente al minuto ed RPE. Al contrario, un’intensità maggiore è emersa nella “gabbia” per percentuale di distanza equivalente e accelerazione/decelerazione ad alta intensità. Tali differenze tra le esercitazioni sono risultate pressoché simili negli Under 15 rispetto agli Under 16. Infine, l’intensità delle 2 modalità di SSGs è risultata complessivamente maggiore negli Under 16 per tutte le variabili esaminate. In conclusione, il 4 vs 4 è più intenso della “gabbia”, essendo un lavoro più focalizzato su aspetti fisici che tecnici. I calciatori di categoria Under 16 riescono a esprimere un impegno maggiore nel 4 vs 4 e appaiono quindi più pronti a svolgere in modo ottimale tale esercitazione. Parole chiave: calcio - potenza metabolica - GPS - RPE Abstract The aim of this preliminary study was to analyse the training load produced by two physically demanding technical-tactical drills in soccer players of different age groups. Sixteen male players (U16: n = 8, U15: n = 8) performed 2 small-sided games (SSGs) drills: a 4 vs 4 possession in a “double square” pitch (3 x 4-min), and an “in/out” possession with regular goals and goalkeepers (20-min total duration, 2 vs 2 to 4 vs 4). The external load was monitored using a GPS device, and the rate of perceived exertion (RPE) was recorded at the end of each session. The 4 vs 4 possession showed a higher training intensity than the “in/out” drill as revealed by higher average metabolic power, distance covered per minute, equivalent distance per minute, and RPE. On the contrary, the percentage equivalent distance, and high intensity acceleration/deceleration were higher in the “in/out” possession. These differences between examined drills were observed both in the U15 and U16 age group. Finally, in both the drills and for all examined load variables, the training intensity was overall higher in the U16 than in the U15 group. In conclusion, the 4 vs. 4 possession is more physically challenging than the “in/out” possession, being more focused on physical than on technical aspects. U16 players are more capable than U15 to produce the maximum effort in the 4 vs 4, and thus are more ready to perform optimally that kind of drill. Key words: soccer - metabolic power - GPS - RPE Introduzione Questo studio presenta un’indagine preliminare in cui sono state esaminate due esercitazioni ad alta intensità 8 | SportandAnatomy in calciatori di due fasce di età differenti. Non essendoci in letteratura dati specifici sulle variabili esaminate nelle esercitazioni proposte, non è possibile fare confron- ARTICOLO ORIGINALE ti con studi precedenti, ma solo commentare in base a considerazioni generali dettate dall’esperienza pratica ciò che è stato osservato. Come riportato da Hill-Haas et al. 1, gli Small Sided Games (SSGs) sono usualmente considerati un mezzo di allenamento specifico per il calcio. Si tratta in pratica di esercitazioni nelle quali, rispetto al classico 11 vs 11, vengono modificate le dimensioni del campo, il numero dei giocatori e alcune regole del gioco per dare stimoli di allenamento diversi ai giocatori, a seconda che l’obiettivo sia più incentrato sulle capacità condizionali o su quelle tecnico-tattiche. L’allenamento con gli SSGs comporta numerosi vantaggi: in primo luogo è possibile, nello stesso momento, allenare le qualità tecnico-tattiche e fisiche del calciatore con esercizi che rispecchiano la situazione di gara reale; inoltre, gli SSGs sono più motivanti per i giocatori rispetto ad allenamenti senza palla e garantiscono una buona flessibilità per la modulazione del carico grazie alla possibilità di variare i diversi parametri che li caratterizzano (numero di giocatori, dimensioni del campo, regole, ecc.). Gli SSGs hanno anche però dei limiti, ovvero l’effetto plateau difficile da raggiungere per i giocatori molto allenati, la difficoltà di replicare i momenti più intensi della gara, l’aumento della possibilità delle lesioni da contatto e la necessaria presenza di più allenatori per controllare e tenere alta l’intensità. Quando si utilizzano gli SSGs in allenamento è tuttavia fondamentale misurare in modo preciso e sistematico il carico di allenamento ottenuto, soprattutto in riferimento all’intensità dell’esercizio. Esistono diversi indici per la valutazione del carico: 1)indici di carico interno, come la frequenza cardiaca (FC, di solito valutata rispetto alla FCmax), la concentrazione ematica di acido lattico, e il livello di fatica percepita (Rate of Perceived Exertion, RPE). Peraltro, tutti i metodi attualmente disponibili per valutare l’intensità durante gli SSGs hanno specifici vantaggi, ma anche delle limitazioni. Per questo è stato suggerito che gli SSGs siano meglio monitorati attraverso una combinazione di diverse misure di intensità del carico interno 2. Analizzando gli studi precedenti che hanno valutato l’intensità del carico negli SSGs attraverso i parametri sopracitati (si veda ad esempio la Review di Hill-Haas et al. 1), è possibile osservare che l’aumento delle dimensioni del campo e la diminuzione del numero di giocatori portino all’aumento della Frequenza Cardiaca (FC), del Lattato e della RPE 2. Interessante risulta anche l’effetto combinato delle due variabili. Sembra infatti che l’intensità di gioco diminuisca quando aumenta il numero di giocatori e quando diminuiscono le dimensioni del campo. Un altro aspetto che può incidere sull’intensità dell’esercizio è la tipologia di regole adottate e la presenza o meno dei portieri. Gli effetti di quest’ultima variabile, però, non sono ancora del tutto chiari: ad esempio alcuni autori hanno mostrato che la presenza dei portieri comporta una diminuzione della FC dei giocatori 3 mentre altri studi mostrano un effetto opposto 4. Infine l’intensità degli SSGs è molto influenzata anche dal rapporto lavoro-recupero e dall’incitamento da parte dello staff tecnico 2; 2)da qualche anno si sono introdotti anche indici di carico esterno, attraverso misurazione con GPS prima a 1 Hz, per arrivare a oggi dove si arriva già a misurare a 20 Hz. Uno degli aspetti derivanti da queste misurazioni è la possibilità di valutare come la variazione della superficie di gioco, mantenendo sempre lo stesso numero di giocatori (5 vs 5 più il portiere), comporti una variazione della distanza totale percorsa, della velocità media e di altre variabili di spostamento misurate attraverso sistemi GPS, compresi alcuni comportamenti tecnico-motori 5. In un recente studio di Gaudino et al. 6, è stato principalmente osservato che la distanza totale, la distanza corsa ad alta velocità così come la velocità massima assoluta, le accelerazioni e le decelerazioni aumentano con l’aumentare delle dimensioni del campo (10 vs 10 > 7 vs 7 > 5 vs 5). Inoltre, la distanza totale percorsa, le distanze percorse a velocità molto elevata e massima, la massima velocità assoluta e la massima accelerazione e decelerazione assolute sono risultate superiori negli SSGs con portieri e goal (SSG-G) rispetto agli SSG finalizzati al possesso palla (SSG-P). D’altra parte, il numero di accelerazioni e decelerazioni a intensità moderata e il numero totale delle variazioni di velocità erano maggiori quando le dimensioni del campo diminuivano (5 vs 5 > 7 vs 7 > 10 vs 10) sia negli SSG-G che negli SSG-P. Scopo dello studio Anche nel settore giovanile gli SSGs sono ampiamente utilizzati modulando l’intensità del carico attraverso le dimensioni del campo, l’utilizzo di regole specifiche, il numero di giocatori e l’incitamento dell’allenatore. Come mostrato da McMillan et al. 7 è possibile ottenere, attraverso gli SSGs, intensità di carico anche molto elevate (fino al 90% e oltre della FCmax) paragonabili a quelle di allenamenti di resistenza a secco come l’interval training, e producendo gli stessi adattamenti nel tempo 8. In letteratura non ci sono ancora studi che hanno analizzato esercitazioni uguali in differenti fasce d’età, e non ci sono evidenze a riguardo. Tuttavia è fondamentale dal punto di vista pratico conoscere le caratteristiche delle esercitazioni più adatte a seconda delle varie fasce d’età, per poi proporle in modo il più possibile adeguato e specifico. Pertanto, nella nostra indagine abbiamo perseguito i seguenti obiettivi: 1)valutare le differenze d’impatto fisiologico di due esercitazioni tecnico-tattiche (SSGs) a elevato impegno metabolico, mediante la misurazione del carico esterno e del carico interno; 2)valutare l’impatto delle singole esercitazioni in due fasce d’età differenti: Under 15 e Under 16. Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta intensità nel settore giovanile SportandAnatomy | 9 Tabella I. Dati antropometrici dei calciatori nelle due fasce di età esaminate (media e dev. st.). U 15 U 16 Altezza (m) Peso (kg) BMI Media 1,70 57,40 17,13 Dev. st. 0,08 7,74 6,08 Materiali e metodi 16 giocatori delle categorie U15 (n = 8) e U16 (n = 8) (Tab. I), dopo una familiarizzazione di due sedute, hanno eseguito, in sedute differenti e non in giorni consecutivi, due esercitazioni con palla usate per lo sviluppo delle componenti metaboliche e tecnico-tattiche. L’intensità del carico è stata monitorata attraverso la valutazione della fatica percepita (RPE), misurata attraverso la Scala di Borg (CR 10). La RPE è stata raccolta 10 minuti dopo la fine dell’esercitazione per il dentrofuori e, sia dopo ogni serie che alla fine, per il doppio quadrato. Il carico esterno invece è stato misurato attraverso un sistema GPS (K-sport, 10 Hz, software K-fitness). Le esercitazioni erano: 1Il “doppio quadrato” (Tab. II), che consiste in un 4 vs 4 in quadrato di 15 x 15 m per 1’ dopo il quale l’allenatore chiamava il cambio di quadrato, posto a 15 m, e si passava a un quadrato di 20 x 20 m per 1’, il tutto ripetuto 2 volte (tot. 4’). Il riposo tra le ripetizioni era di 2’. Le ripetizioni erano tre, ognuna rispettivamente di 4’, per un totale di 16’; 2il dentro-fuori in “gabbia” (Tab. III) (proposto da Capanna), che prevedeva due squadre composte da 6 giocatori. A turno secondo lo schema riportato sotto, venivano chiamati a giocare nel campo (30 x 20m) 2-3-4 coppie di giocatori che si sfidavano in un possesso con finalizzazione. Se si giocava un 2 vs 2 il tempo di gioco era 60”, se si giocava un 3 vs 3 il tempo di gioco era 75”, se si giocava un 4 vs 4 il tempo di gioco era 90”. Per il cambio tra i giocatori nel rettangolo di gioco erano previsti 15”. Il lavoro complessivo era di 20’, mentre quello per ogni giocatore era di 570” per i giocatori 2-3-4-5-6, mentre per il giocatore 1 era di 495”. Le tabelle seguenti riportano alcuni dettagli sulle caratteristiche delle esercitazioni utilizzate. Le variabili di carico esterno analizzate, in accordo con Osgnach et al. 9, sono state: 1 potenza metabolica media (W/kg); 2 distanza al minuto (m); 3 distanza equivalente al minuto (m); 4 percentuale della distanza equivalente (%); 5 velocità ad alta intensità (m), > 5 m/s; 6 accelerazione ad alta intensità (m), > 2 m/s*2; 7 decelerazione ad alta intensità (m), < -2 m/s*2; 8 potenza metabolica ad alta intensità (m), > 20 w/kg. 10 | SportandAnatomy Altezza (m) Peso (kg) BMI Media 1,80 69,50 21,35 Dev. st. 0,04 4,57 0,98 Tabella II. Caratteristiche dell’esercitazione “doppio quadrato” (4 vs 4). 1° Possesso doppio quadrato Campo 1° (m) 15 x 15 Campo 1° (m2) 225 Area (m ) x giocatore campo n°1 28,1 2 Campo n° 2 (m) 20 x 20 Campo n° 2 (m ) 400 Area (m2) x giocatore campo n° 2 50 Distanza (m) 15 N° giocatori 16 (2 x 4 vs 4) 2 N° giocatori (squadra) 4 Durata tot (min) 16 Durata netta (min) 12,5 Durata esercizio (min) 4 Recupero (min) 2 2° Dentro/fuori in gabbia porte regolari Campo (m) 30 x 20 Campo (m ) 600 2 Area (m ) x giocatore campo 2 75-100-150 N° giocatori 12 N° giocatori (squadra) 6 Durata tot (min) 20 Durata netta (min) Durata esercizio (min) Recupero (min) 17 1,5-1,25-1 0,15 La variabile analizzata, rappresentativa del carico interno, è stata 10: RPE (punti, unità arbitrarie). Per verificare l’effetto delle due esercitazioni (4 vs 4 e gabbia), dell’età dei calciatori (Under 15 e Under 16) e della loro interazione sulle diverse variabili dipendenti osservate, sono state eseguite delle ANOVA 2 x 2 per misure ripetute, con la fascia d’età come fattore tra i soggetti ed il tipo di esercitazione come fattore entro i soggetti. Le analisi sono state eseguite con il Software SPSS, versione 14. Il livello di significatività è stato posto a p < 0,05. A. Nonnato et al. Tabella III. Descrizione dell’esercitazione “gabbia” (Rec. = recupero) (Capanna). Gioco Rec. 1 Giocatori R 1 R 1 R 1 Partite R 1 1 R 1 R 1 495” 375” 2 R 2 R 2 R 2 R 2 2 R 2 R 2 570” 450” 3 3 R 3 R 3 3 R 3 R 3 R 3 R 570” 450” 4 4 R 4 R 4 R 4 R 4 R 4 4 R 570” 450” 5 5 R 5 R 5 5 R 5 R 5 R 5 R 570” 450” 6 R 6 6 R 6 R 6 R 6 R 6 R 6 570” 450” 75” 75” 90” 60” 90” 90” 60” 90” 90” 60” 90” 75” 75” Tempo di gioco Tabella IV. Statistiche descrittive (media e dev. st.) delle variabili analizzate. 4 vs 4 U15 Potenza metabolica media (W/kg) Gabbia U16 U15 U16 7,52 ± 1,38 8,49 ± 0,98 6,6 ± 1,42 7,33 ± 1,04 distanza al minuto (m) 79,89 ± 12,21 87,86 ± 8,49 66,83 ± 11,79 73,39 ± 8,94 distanza equivalente al minuto (m) 97,06 ± 17,86 109,8 ± 12,49 85,19 ± 18,21 94,89 ± 13,45 Percentuale di dist. equival. (%) 20,82 ± 4,92 24,88 ± 3,8 26,92 ± 4,38 29,07 ± 3,52 Velocità ad HI (m) 117,41 ± 82,67 146 ± 74,46 128,4 ± 108,3 165,3 ± 87,76 Accelerazione ad HI (m) 78,24 ± 32,2 98,84 ± 21,69 104,6 ± 35,5 118 ± 24,13 Decelerazione ad HI (m) 79,24 ± 29,99 99,17 ± 22,89 104,6 ± 36,8 120,2 ± 24,9 Potenza metabolica ad HI (m) 261,06 ± 103,9 317,7 ± 60,36 279,5 ± 121,7 340,1 ± 93,07 4 vs 4 RPE (punti) Gabbia U15 U16 U15 U16 3,95 ± 0,52 6,44 ± 1,09 3,68 ± 0,74 5,34 ± 0,77 Risultati La Tabella IV riporta le statistiche descrittive per le diverse variabili di carico analizzate, suddivise in base alla fascia d’età e alla tipologia di esercitazione. Nelle Tabelle V, VI, e VII sono invece riportate, per ciascuna delle variabili, le significatività degli effetti principali e dell’interazione, come le differenze in percentuale tra i due gruppi di età e tra i due tipi di esercitazione. Dai risultati è emerso che l’esercitazione 4 vs 4 ha comportato valori di intensità dell’esercizio complessivamente maggiori rispetto alla “gabbia” per quanto riguarda le seguenti variabili: potenza metabolica media, distanza al minuto, distanza equivalente al minuto e RPE (Tab. V). Al contrario, valori maggiori sono stati osservati nell’esercitazione “gabbia” rispetto al 4 vs 4 per la percentuale di distanza equivalente e per accelerazione e decelerazione ad alta intensità. Non sono invece state osservate differenze significative tra le due tipologie di esercitazione (p > 0,05) per quanto riguarda la potenza metabolica e la velocità ad alta intensità. Tali differenze tra le esercitazioni sono risultate nel complesso simili negli Under 15 e negli Under 16 in quanto per nessu- na variabile (a eccezione della RPE), è stata osservata un’interazione significativa tra fascia di età e tipologia di esercitazione. Nel caso dell’RPE, il livello di fatica percepita è risultato simile tra le due esercitazioni negli Under 15, mentre gli Under 16 hanno percepito come più impegnativo il 4 vs 4 rispetto alla gabbia. Per quanto riguarda l’effetto attribuibile all’età (indipendentemente dalla tipologia di esercitazione) l’intensità è risultata maggiore negli Under 16 in riferimento a tutte le variabili di carico esaminate. Variabili di carico esterno Vedere Tabelle V, VI e VII. Variabile rappresentativa del carico interno Vedere Tabelle VIII, IX e X. Discussione e conclusioni Questo studio ha presentato un’indagine preliminare in cui sono state esaminate due esercitazioni ad alta intensità in calciatori di due fasce di età (U15 e U16). Non essendoci in letteratura dati specifici sulle variabili esa- Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta intensità nel settore giovanile SportandAnatomy | 11 Tabella V. Differenze percentuali tra le esercitazioni per le variabili di carico esterno. Il valore è riportato nella colonna riferita alla tipologia di esercitazione che ha mostrato il valore maggiore. Tabella VIII. Differenze percentuali tra le esercitazioni per la variabile di carico interno. Il valore è riportato nella colonna riferita alla tipologia di esercitazione che ha mostrato il valore maggiore. Per esercitazione 4 vs 4 > gabbia Potenza metabolica media (W/kg) gabbia > 4 vs 4 Per esercitazione p 14% p = 0,000 Distanza al minuto (m) 18% p = 0,000 Distanza equivalente al minuto (m) 14% p = 0,000 Percentuale di dist. equival. (%) 24,2% p = 0,000 Velocità ad HI (m) 2,4% p = 905 Accelerazione ad HI (m) 24,9% p = 0,001 Decelerazione ad HI (m) 24% p = 0,002 Potenza metabolica ad HI (m) 2,6% p = 0,732 Tabella VI. Differenze percentuali tra le fasce di età per le diverse variabili di carico esterno. RPE (punti) p 16% p = 0,000 Distanza al minuto (m) 13,3% p = 0,000 Distanza equivalente al minuto (m) 16,3% p = 0,000 Percentuale di dist. equival. (%) 14,1% p = 0,005 Velocità ad HI (m) 43,2% p = 0,000 Accelerazione ad HI (m) 24% p = 0,004 Decelerazione ad HI (m) 25% p = 0,003 27,7% p = 0,002 Tabella VII. Significatività delle interazioni tra la fascia di età e tipologia di esercitazione per le diverse variabili di carico esterno analizzate. Interazione p Potenza metabolica media (W/kg) p = 0,630 Distanza al minuto (m) p = 0,518 Distanza equivalente al minuto (m) p = 0,621 Percentuale di dist. equival. (%) p = 0,444 Velocità ad HI (m) p = 0,354 Accelerazione ad HI (m) p = 0,857 Decelerazione ad HI (m) p = 0,717 Potenza metabolica ad HI (m) p = 0,500 minate nelle esercitazioni proposte, non è possibile fare confronti con studi precedenti, ma solo commentare in base a considerazioni generali dettate dall’esperienza 12 | SportandAnatomy p 14% p = 0,001 Per età RPE (punti) U16 > U15 p 50,4% p = 0,000 Tabella X. Significatività delle interazioni tra la fascia di età e tipologia di esercitazione per la variabile di carico interno. Interazione U16 > U15 Potenza metabolica ad HI (m) gabbia > 4 vs 4 Tabella IX. Differenze percentuali tra le fasce di età per la variabile di carico interno. Per età Potenza metabolica media (W/kg) 4 vs 4 > gabbia p RPE (punti) p = 0,008 pratica ciò che è stato osservato e ragionare rispetto agli studi condotti fino a questo momento. Quello che principalmente emerge è che un’esercitazione come il 4 vs 4, in cui è previsto un lavoro di 4 minuti senza pausa, è più impegnativa sotto tutti i punti di vista rispetto alla “gabbia”: si tratta quindi di un lavoro più focalizzato su aspetti fisici che tecnici e probabilmente meno motivante per i calciatori visto che non comprende la finalizzazione. Tuttavia le accelerazioni (> 2 m/ s2) e le decelerazioni ad alta intensità (<-2 m/s2) hanno mostrato valori maggiori nella “gabbia” rispetto che nel 4 vs 4. Si può supporre che ciò sia dovuto alla presenza dei portieri e quindi del goal, così come alle dimensioni del campo e al fatto che si doveva attaccare e difendere e non solo mantenere il possesso di palla. Per entrambe le tipologie di esercitazione l’intensità espressa è stata maggiore negli U16 rispetto agli U15. Probabilmente gli U16 sono più pronti per sopportare un certo tipo di richiesta rispetto agli U15, come sicuramente sono stati più abituati a un certo tipo di intensità, data dalla diversità delle proposte degli allenatori delle squadre utilizzate in questo studio. Per quanto riguarda l’RPE gli U15 hanno percepito una minore fatica in entrambe le esercitazioni. Pertanto la proposta del 4 vs 4 in questa fascia d’età non ha portato a ottenere il livello di intensità atteso. Ciò è legato probabilmente a un limite di questo studio preliminare, ovvero al fatto che gli U15 coinvolti in questo studio erano A. Nonnato et al. poco abituati a svolgere un’esercitazione come il 4 vs 4 e di conseguenza non sono riusciti a esprimere il massimo dell’impegno fisico. In riferimento agli studi condotti fino a oggi, notiamo che ci sono più similitudini con la “gabbia” (Capanna), perché molte esercitazioni hanno adottato uno spazio di 30 x 20 m nell’esecuzione degli SSGs, anche se con minutaggi, numero di giocatori e ripetizioni differenti. Questi studi hanno evidenziato come più aumenta il numero di giocatori in uno spazio predefinito, più diminuisce l’intensità, anche se nella nostra proposta la differente età dei partecipanti ha influito sulla risposta allo sforzo. In entrambe le esercitazioni non vi erano limiti di tocco di palla, altro fattore che influisce nell’aumentare del carico interno individuale. Anche l’incitamento influisce sull’aumento dell’intensità, come dimostrato da Coutts 10 e Rampinini 2, e nelle due esercitazioni proposte vi era questo tipo di stimolo. Per quanto riguarda i parametri di carico esterno, non Bibliografia Hill-Haas SV, Dawson B, Impellizzeri FM, et al. Physiology of small-sided games training in football: a systematic review. Sports Med 2011;1;41:199-220. 2 Rampinini E, Impellizzeri FM, Castagna C, et al. Factors influencing physiological responses to small-sided soccer games. Journal of Sports Sciences 2007;25:659-66. 3 Mallo J, Navarro E. Physical load imposed on soccer players during smallsided training games. J Sports Med Phys Fitness 2008;48:166-71. 4 Dellal A, Chamari K, Pintus A, et al. Heart rate responses during small-sided games 1 5 6 7 sono stati analizzati il numero e l’intensità di accelerazioni e decelerazioni nei due differenti campi dell’esercitazione “doppio quadrato” e neanche nella “gabbia”. La differenza di RPE ci può però suggerire che queste eseritazioni siano in linea con quanto osservato da Gaudino at al. 6. Un’ulteriore tematica che sarà interessante sviluppare riguarda l’analisi del carico interno ed esterno in esercitazioni con palla che prevedono temi di gioco e specifiche regole adatte per le diverse fasce di età del settore giovanile. Studi futuri dovranno inoltre essere orientati verso un tentativo di programmazione e propedeutica riguardo alle esercitazioni con palla. Ringraziamenti Un ringraziamento speciale va a Duccio Ferrari Bravo, PhD, Preparatore Atletico Juventus FC che mi ha dato lo spunto per sviluppare questo elaborato, contribuendo in modo importante allo sviluppo pratico e metodologico. and short intermittent running training in elite soccer players: a comparative study. J Strength Cond Res 2008;22:1449-57. Casamichana D, Castellano J. Timemotion, heart rate, perceptual and motor behavior demands in small-sides soccer games: effects of pitch size. J of Sport Sciences 2010;28:1615-23. Gaudino P, Alberti G, Iaia M. 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CORRISPONDENZA Andrea Nonnato [email protected] Relazione tra carico interno e carico esterno in esercitazioni con la palla ad alta intensità nel settore giovanile SportandAnatomy | 13 JSA 2015;1:14-19 Giovanni Ceccarini, Alessio Basolo, Margherita Maffei, Paolo Vitti, Ferruccio Santini Centro Obesità - U.O. Endocrinologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico Riassunto Ai fini di un adeguato controllo del peso corporeo, l’apporto nutrizionale e l’attività fisica sono integrate attraverso un sistema regolatorio comune all’interno del quale il sistema leptina-melanocortina riveste un ruolo di grande rilievo. Questo sistema è deputato a controllare l’equilibrio calorico attraverso un meccanismo a feed-back che segnala al sistema nervoso centrale l’entità delle scorte contenute nel tessuto adiposo al fine di ottimizzare l’introito alimentare e la spesa energetica. Nei roditori, la riduzione dei livelli di leptina che si verifica in seguito alla deprivazione di cibo o alla riduzione della massa grassa è associata a uno stimolo sull’appetito, a una diminuzione dell’attività locomotoria complessiva e a un simultaneo aumento dell’attività anticipatoria del pasto, una specifica attività motoria che riflette l’attitudine alla ricerca di risorse nutrizionali. Questa attività può essere modulata dalla somministrazione di leptina ed è almeno in parte mediata dai neuroni del sistema melanocortinico. Nell’uomo, gli studi sui gemelli hanno attribuito a fattori genetici almeno il 50% della variabilità nella propensione all’attività fisica. In particolare, alcuni polimorfismi del recettore 4 della melanocortina e della leptina sono associati a variazioni dei livelli di attività motoria. Chiarire la complessità dei meccanismi che intervengono nella regolazione dell’attività fisica e le connessioni tra le diverse vie coinvolte nell’omeostasi dell’energia potrebbe consentire di comprendere la natura delle differenze che esistono tra individuo e individuo in termini di propensione all’attività fisica e di dispendio energetico a essa associato. In considerazione delle storiche difficoltà incontrate nello sviluppo di farmaci contro l’obesità che siano nel contempo sicuri ed efficaci, lo sfruttamento dei molteplici effetti favorevoli prodotti dall’attività fisica rappresenta una componente imprescindibile nel contesto di una strategia comportamentale multidimensionale finalizzata al contrasto dell’obesità e delle malattie ad essa associate. Parole chiave: attività locomotoria - leptina - attività fisica - obesità - sistema melanocortinico - anoressia nervosa Abstract Twin studies indicate that genetic factors are important determinants of the variance of physical activity. Several genes or loci which may affect physical activity are also involved in body weight homeostasis. Polymorphisms of the melanocortin-4 and leptin receptors have repeatedly been associated with the level of physical activity. Clearly, the regulation of locomotor behavior is closely inter-connected with the pathways involved in energy homeostasis. In rodents, the reduction in leptin levels that physiologically occur in the event of acute food deprivation or shrinkage of the fat mass consequent to prolonged caloric restrictions is associated with a decrease in total activity and an increase in food anticipatory activity; these actions are likely aimed at minimizing energy wasting, while stimulating at the same time the locomotor behavior necessary to the acquisition of nutrient resources for survival. Key words: locomotor activity - leptin - physical activity - obesity - melanocortin system - anorexia nervosa 14 | SportandAnatomy REVIEW Introduzione In condizioni naturali l’omeostasi energetica e il peso corporeo sono regolate mantenendo in sintonia l’introito e il consumo calorico. Quest’ultimo è principalmente determinato dal dispendio energetico a riposo, dall’attività motoria non collegata all’esercizio fisico e dall’attività fisica volontaria 1. L’appetito e il metabolismo sono variabili regolate da meccanismi neurobiologici molto efficienti. Le mutazioni di singoli geni alla base di questo sistema omeostatico sono responsabili di circa il 5% delle cause di obesità precoce 2. Tali mutazioni influiscono su proteine che sono principalmente espresse a livello del sistema nervoso centrale. Studi condotti in gemelli adottati e sulle loro famiglie, sia biologiche che adottive, hanno stabilito che nel 5070% dei casi l’indice di massa corporea è geneticamente determinato 3 4. Ma quanto il contributo della genetica influisca sull’introito calorico e quanto si manifesti sulla spesa energetica attraverso l’attività motoria non è a oggi ben chiaro. In particolare, il fatto che il comportamento motorio e la propensione all’attività fisica siano modulati da regolatori neuroormonali è molto spesso sottovalutato. L’attività locomotoria è un comportamento complesso influenzato da fattori sociali, demografici e ambientali 5. Dati sperimentali ottenuti sia nell’animale che nell’uomo mostrano inoltre che l’attività locomotoria può variare anche su base genetica. Il riconoscimento di questi meccanismi di regolazione assume sempre maggiore importanza di fronte a una vera e propria epidemia dell’obesità. Quando si parla di attività fisica ci si riferisce di solito a due componenti: l’esercizio volontario e l’attività fisica spontanea. L’esercizio volontario è definito come quell’attività locomotoria non direttamente richiesta per la sopravvivenza e non direttamente motivata da eventi esterni 6: in altri termini l’esercizio volontario consiste nell’attività sportiva e nelle attività assimilabili. L’attività fisica spontanea consiste di tutte le rimanenti attività svolte nella vita di tutti i giorni (ad es. mantenimento della postura, gesticolazione) 6 7. È peraltro vero che molte attività motorie rientrano in una zona grigia a metà tra attività volontaria e attività spontanea. Nei mammiferi si sono sviluppati complessi meccanismi regolatori che consentono di integrare in modo ottimale l’attività fisica nel mantenimento dell’omeostasi energetica. Una restrizione calorica a breve termine e il digiuno diminuiscono l’attività locomotoria complessiva mentre una modesta restrizione calorica sostenuta per lungo tempo aumenta tale attività, sia nei topi che nei primati non umani 8 9. Le varianti di alcuni geni (peroxisome proliferator-activated receptor-γ, ipocretina, recettori beta adrenergici di tipo 2, uncoupling protein 3, fat mass and obesity (FTO) gene) sono associati a differenti livelli di attività fisica 10 11. Inoltre numerosi peptidi gastrointesinali di natura ormonale, quali grelina, PYY, colecistochinina, incretina e insulina sembrano contribuire in maniera importante alla regolazione del comportamento locomotorio. Anche alcuni componenti del sistema di ‘reward’ (gratificazione) come i recettori della dopamina, gli oppioidi endogeni e gli endocannabinoidi possono influenzare l’esercizio volontario in modo importante. Lo scopo principale di questo articolo è quello di fornire una panoramica in merito all’influenza del sistema leptina-melanocortina sulle diverse componenti dell’attività locomotoria. Studi sui roditori La selezione naturale ha portato a continui adattamenti evolutivi al fine di facilitare l’acquisizione delle sostanze nutritive necessarie per la riproduzione e la sopravvivenza. Numerosi studi hanno mostrato che è possibile selezionare linee murine che si caratterizzano per alti o bassi livelli di attività locomotoria 12 13. I modelli di roditori hanno inoltre permesso di analizzare i fattori maggiormente coinvolti nella regolazione dell’attività locomotoria, grazie a metodi di oggettiva valutazione dell’attività e all’assenza dei fattori confondenti che sono inevitabilmente presenti negli studi condotti nell’uomo. Modelli murini hanno fornito importanti informazioni attraverso lo studio di topi knockout, knockdown o alla valutazione dell’iper-espressione genica consentendo di studiare con successo i meccanismi neurobiologici alla base del comportamento locomotorio. L’attività locomotoria volontaria è solitamente misurata dal numero di rotazioni della ruota presente nella gabbia (“running wheel activity”, RWA) ed esprime un’attività gratificante e un comportamento auto-motivato simile all’attività fisica volontaria degli esseri umani. L’attività in gabbia (“home cage activity”, HCA) descrive l’attività locomotoria spontanea 7 e può essere misurata con raggi infrarossi o attraverso video-registrazione. A questo proposito è necessario osservare che la resistenza all’esercizio (influenzata dalla qualità delle componenti delle fibre muscolari) e i livelli totali di attività fisica, non sono probabilmente evoluti in modo sinergico e non sono tra loro correlati 14. Effetto della leptina e del sistema melanocortinico sull’attività locomotoria La leptina è un ormone secreto dagli adipociti in quantità proporzionale alla loro massa e regola l’omeostasi del peso corporeo attraverso l’inibizione dell’assunzione degli alimenti e l’aumento del dispendio 15 16. I topi leptino-deficienti (ob/ob) sono obesi e ipoattivi 17; la somministrazione di leptina normalizza il loro peso corporeo e i livelli di attività fisica 18. Questo riscontro sembrerebbe in linea con l’idea prevalente per cui l’ipoattività è secondaria all’obesità. Ci sono tuttavia risultati sperimentali che indicano come basse dosi di leptina siano in grado di aumentare sia la RWA che l’HCA durante il primo giorno di trattamento, prima cioè che si manifesti il calo ponderale, a dimostrazione del fatto che l’azione della leptina sull’attività motoria non è un effetto Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico SportandAnatomy | 15 secondario alla perdita di peso 19 20. È da notare come nel topo normale la somministrazione periferica di dosi sopra-fisiologiche di leptina non aumenti l’attività locomotoria 18 19. In linea con questo effetto della leptina, topi magri che iperesprimono leptina transgenica non mostrano variazioni dell’attività motoria; quest’ultima però si riduce quando la secrezione dell’ormone viene interrotta 20. In topi esposti a un regime alimentare a basso contenuto calorico in cui le concentrazioni sieriche di leptina vengono mantenute normali attraverso la continua somministrazione dell’ormone, l’improvvisa interruzione dell’infusione provoca una riduzione del 50% dell’attività motoria. Questa diminuzione dell’attività non si osserva quando i livelli di leptina sono ripristinati dal libero accesso al cibo 21. Nel loro complesso questi dati indicano che una riduzione delle concentrazioni fisiologiche di leptina, come quella che si realizza durante il digiuno, può essere uno dei meccanismi che mediano la riduzione dell’attività fisica che si osserva nei soggetti che presentano una marcata perdita di peso. Il ripristino di livelli fisiologici di leptina favorisce un aumento dell’attività locomotoria, mentre livelli di leptina sovrafisiologici non hanno effetti addizionali. La carenza di leptina che riflette un bilancio energetico negativo è dunque responsabile di una riduzione dell’attività motoria totale che appare finalizzata al risparmio energetico e alla conservazione del peso corporeo. Tuttavia, questo effetto di riduzione dell’attività motoria potrebbe risultare controproducente qualora provocasse un’inibizione della ricerca del cibo. A questo proposito è interessante notare che quando l’animale è abituato a ricevere il pasto a orari stabiliti, subito prima di tale evento manifesta un aumento dei livelli di RWA. Questo fenomeno viene comunemente indicato come attività anticipatoria del pasto 22. Il comportamento dei roditori in cui la disponibilità del cibo è ridotta e limitata ad alcune ore della giornata, è caratterizzato da perdita di peso, ipotermia e aumentata attività anticipatoria 23. Il modo in cui la somministrazione di leptina influenza l’attività anticipatoria del cibo è stato oggetto di specifici studi che ne hanno evidenziato un effetto inibitorio 24. In accordo con questa azione della leptina, topi ob/ob completamente privi dell’ormone, nonostante abbiano una riduzione dell’attività motoria totale, mostrano una marcata attività anticipatoria che viene abolita dalla somministrazione dell’ormone 19. Tutte le azioni della leptina sulle attività fisiche possono essere riprodotte quando questa viene somministrata a basse dosi direttamente nei ventricoli cerebrali, indicando che gli effetti della leptina sull’attività motoria sono mediati a livello del sistema nervoso centrale 19 25. Il sistema della melanocortina include vari effettori: neuropetide Y (NPY), agouti gene-related protein (AgRP), proopiomelanocortina (POMC) e α-melanocyte stimulating hormone (αMSH) con i suoi specifici recettori (MC3R e MC4R). I recettori della leptina (LepR) sono 16 | SportandAnatomy diffusamente espressi nel sistema nervoso centrale, in modo particolare nell’ipotalamo, dove la leptina regola l’alimentazione e il dispendio energetico. Nel nucleo arcuato la leptina stimola i neuroni POMC che esercitano un’azione anoressizzante mediata da αMSH. Nel medesimo tempo la leptina inibisce i neuroni che esprimono NPY e AgRP, potenti peptidi oressizzanti. Alfa-MSH è un agonista di MC4R e MC3R mentre AgRP è un antagonista ad alta affinità per entrambi i recettori 26. Nel modello murino l’obesità può essere causata da un difetto del gene POMC, dall’iperespressione di AgRP o da una ridotta funzione del MC4R 27. Il ripristino della trasduzione del segnale del recettore della leptina nel nucleo arcuato dei topi db/db, geneticamente privi del LepR e pertanto obesi come i topi ob/ob, normalizza la loro attività locomotoria prima che si manifestino gli effetti sul peso 28. La stessa azione si ottiene quando il segnale trasmesso dal recettore della leptina è ripristinato esclusivamente nel nucleo arcuato di neuroni POMC, a indicare che questi neuroni sono tra i principali mediatori degli effetti della leptina sul comportamento locomotorio 29. Il trasduttore del segnale STAT-3 è uno dei maggiori effettori intracellulari dell’azione della leptina. Topi che mostrano un’attivazione costitutiva di STAT-3 nei neuroni AgRP sono magri e iperattivi 30. Al contrario, topi con inattivazione del segnale di STAT-3 in neuroni LepR mostrano una ridotta attività locomotoria 31. La somministrazione di NPY in corso di restrizione alimentare aumenta l’attività anticipatoria del pasto 32 ma non modifica l’attività totale nei ratti normali. Questi dati enfatizzano gli effetti comportamentali dell’NPY, che sono modulati da cambiamenti dello stato energetico, e identificano l’NPY come possibile mediatore dell’azione della leptina sull’attività anticipatoria del cibo. Non è chiaro quali ulteriori centri a valle regolino le risposte locomotorie alla leptina ma probabilmente il segnale converge su reti neuronali come quelle del sistema dopaminico-mesolimbico, coinvolto nei processi di gratificazione e motivazione 33, e su quelle del sistema nervoso simpatico 34. Topi maschi knockout per MC4R hanno minore attività locomotoria nella fase di buio rispetto a topi normali 35. La somministrazione di MC4R antagonisti diminuisce l’attività locomotoria nei ratti 36. Di interesse è il fatto che topi knockout per MC4R hanno minore attività totale e maggiore massa adiposa in confronto a topi normali 37. I neuroni POMC sono bersagli degli estrogeni 38 e forniscono input sinaptici ai neuroni che esprimono l’ormone stimolante le gonadotropine (GnRH). Questo potrebbe rappresentare una spiegazione dell’effetto che gli estrogeni esercitano sull’attività locomotoria e del dimorfismo tra i sessi che talora si osserva nei modelli murini. Topi knockout per MC3R mostrano un’attenuata attività anticipatoria del pasto associata con ridotta espressione di AgRP e NPY nel nucleo arcuato 39. Queste osservazioni rinforzano l’impressione che AgRP e NPY influenzino l’attività anticipatoria. A tal proposito è interessante osservare come topi knockout per il fattore di trascrizione NHLH-2 G. Ceccarini et al. (nescient helix loop helix 2) presentino obesità ad insorgenza tardiva dovuta ad una riduzione dell’attività fisica spontanea. Questi animali riducono ulteriormente la loro attività dopo restrizione calorica, un effetto non reversibile anche dopo ripristino del normale accesso al cibo 40. Se documentato nell’uomo, questo fenomeno potrebbe essere uno dei meccanismi che contribuiscono a riguadagnare il peso dopo interruzione della dieta 41. Di interesse è il fatto che l’omologo umano di NHLH-2 è implicato nel controllo trascrizionale di MC4R. Si ipotizza inoltre che il fattore BDNF (brain derived neurotrophic factor), uno dei principali regolatori della plasticità neuronale, sia uno degli effettori del sistema leptina/melanocortina 42. Topi esposti ad un arricchimento ambientale mediante gabbie particolari che favoriscono l’attività fisica e aumentano lo stimolo sensoriale, le attività cognitive e sociali, mostrano un incremento della sensibilità alla leptina e aumentata espressione del BDNF ipotalamico, aumentata stimolazione dei neuroni anoressizzanti POMC e inibizione dei neuroni oressizzanti NPY 43 44. In altre parole, sembra che nel momento in cui l’animale viene esposto a uno stile di vita più naturale, il suo ipotalamo subisca modificazioni che producono un abbassamento del set point per la leptina e favoriscono una ristrutturazione delle connessioni sinaptiche, orchestrata da BDNF, con un conseguente potenziamento dei sistemi inibitori dell’appetito e di quelli promotori dell’attività motoria. Quindi, in un ambiente naturale il sistema verrebbe orientato per limitare un eccessivo accumulo di grasso corporeo che ostacolerebbe gli animali nell’esercizio delle proprie funzioni naturali (competizione per il cibo, fuga, espansione territoriale). È ipotizzabile che l’arricchimento ambientale, tradotto nella fisiologia umana, possa avere un ruolo rilevante nella promozione dell’attività motoria spontanea e rappresenti un mezzo ulteriore per combattere l’epidemia dell’obesità. In conclusione, la riduzione dei livelli di leptina che fa seguito alla deprivazione di cibo o a una riduzione della massa grassa è associata a una diminuzione della attività motoria totale e a un aumento dell’attività anticipatoria del pasto. Nel momento in cui la disponibilità di alimenti è limitata tali azioni sarebbero finalizzate a minimizzare lo spreco di energia, stimolando nel contempo il comportamento motorio relativo alla ricerca di cibo e all’acquisizione delle risorse necessarie per sopravvivere (Fig. 1). Questi aspetti sono almeno in parte mediati dal sistema della melanocortina. Possibili meccanismi di regolazione dell’attività fisica nell’uomo Nell’uomo, la valutazione dell’esercizio volontario può essere effettuata attraverso strumenti come accelerometri, auto-reports, questionari, osservazione diretta, valutazione continua dell’attività cardiaca, calorimetrie. In uno studio nel quale sono stati utilizzati dispositivi multisensoriali per il monitoraggio dell’attività motoria 45 è stato dimostrato che, paragonati a controlli normope- Figura 1. In uno stato di restrizione calorica, i livelli circolanti di leptina sono ridotti per segnalare all’ipotalamo una condizione di bilancio energetico negativo, con conseguente attivazione dei neuroni AgRP/NPY e inibizione dei neuroni POMC. Tali effetti provocano una riduzione dell’attività locomotoria totale e un aumento dell’attività anticipatoria del pasto, al fine di contrastare gli effetti della deprivazione energetica durante situazioni di carestia. Da [1], modificata. so, soggetti moderatamente obesi spendevano una media di 2 ore in più al giorno nella posizione seduta e conseguentemente due ore in meno nella posizione eretta o nella deambulazione. Questo comportamento motorio non cambiava quando i volontari obesi perdevano peso o i soggetti magri aumentavano di peso. Sulla base di queste osservazioni è quindi ipotizzabile che una ridotta attività motoria spontanea preceda la comparsa dell’obesità e ne rappresenti un fattore predisponente. Altri studi hanno dimostrato come l’iperalimentazione, in acuto, causi una riduzione dell’attività locomotoria 46. Tale effetto sarebbe più accentuato nei soggetti predisposti all’obesità 47. Nell’uomo, l’iperattività si può associare alla restrizione calorica in alcune condizioni estreme, come l’anoressia nervosa 48. È ipotizzabile che quest’ultimo fenomeno coinvolga meccanismi implicati nell’attività anticipatoria del pasto. In alcune situazioni, l’effetto stimolatorio esercitato dalla riduzione dei livelli di leptina sull’attività anticipatoria del pasto potrebbe essere dominante su quello inibitorio esercitato sull’attività motoria totale. Uno studio effettuato utilizzando il registro svedese dei gemelli ha mostrato che all’interno delle coppie, i livelli di attività fisica sono molto più simili quando si tratta di gemelli monozigoti rispetto agli eterozigoti 49, a dimostrazione di un’influenza dei fattori genetici sull’attività motoria. Si calcola che la variabilità di attività motoria attribuibile a fattori genetici sia fra il 50% e il 78% 49-51. Numerosi studi hanno valutato le basi genetiche dell’attività fisica (intesa come intensità e durata) utilizzando differenti approcci: studi di linkage, di associazione e Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico SportandAnatomy | 17 di wide genome scan 52. Nel Quebec Family Study 53, un polimorfismo (C-2745T) localizzato in prossimità del gene dell’MC4R risultava associato all’intensità dell’attività fisica. Un limite di questi studi consiste nell’impossibilità a stabilire un nesso di causalità tra le variabili esaminate e negli strumenti utilizzati per valutare la natura e l’intensità dell’attività fisica; molti di essi sono infatti basati su questionari compilati autonomamente. Due studi di linkage genetico hanno peraltro confermato una correlazione tra l’attività fisica e loci che sono localizzati a livello dell’MC4R 54 55. Un altro studio ha identificato un polimorfismo in posizione 1704 nella regione 3’ di MC4R, che interferisce con un sito di legame per un micro-RNA con marcato effetto sull’attività motoria valutata attraverso l’uso di accelerometri 56. Gli indiani Pima, omozigoti per il polimorfismo Arg223 del recettore della leptina, mostrano bassi livelli di attività fisica, calcolata come rapporto tra spesa energetica totale e metabolismo basale, utilizzando una camera metabolica 57 58. I livelli di leptina spiegano il 37% della variazione di attività motoria nei pazienti affetti da ano- Bibliografia Ceccarini G, Maffei M, Vitti P, et al. Fuel homeostasis and locomotor behavior: role of leptin and melanocortin pathways. J Endocrinol Invest 2014 Dec 13 [Epub ahead of print]. 2 Farooqi S, O’Rahilly S. Genetics of obesity in humans. 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In considerazione delle storiche difficoltà incontrate nello sviluppo di farmaci contro l’obesità che siano nel contempo sicuri ed efficaci, lo sfruttamento dei molteplici effetti favorevoli prodotti dall’attività fisica rappresenta una componente imprescindibile nel contesto di una strategia comportamentale multidimensionale finalizzata al contrasto dell’obesità e delle malattie a essa associate. and prevents decrease of physical activity during aging in rhesus monkeys. Exp Gerontol 2013;48:1226-35. 10 Kotz CM. Integration of feeding and spontaneous physical activity: role for orexin. Physiol Behav 2006;88:294-301. 11 Qi L, Cho YA. Gene-environment interaction and obesity. Nutr Rev 2008;66:684-94. 12 Swallow JG, Carter PA, Garland T Jr. Artificial selection for increased wheelrunning behavior in house mice. Behav Genet 1998;28:227-37. 13 Lightfoot JT, Turner MJ, Daves M, et al. Genetic influence on daily wheel running activity level. 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CORRISPONDENZA Giovanni Ceccarini [email protected] Omeostasi energetica e attività locomotoria: il ruolo della leptina e del sistema melanocortinico SportandAnatomy | 19 JSA 2015;1:20-24 Elena Sabini, Agnese Biagini, Eleonora Molinaro Unità Operativa di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa Disfunzione tiroidea e attività fisica: implicazioni cliniche e terapeutiche Riassunto Le disfunzioni tiroidee e, in particolare, l’ipotiroidismo sono malattie complesse caratterizzate da segni e sintomi che possono aver un impatto notevolmente negativo sulla qualità della vita e sulla performance in corso di attività fisica. L’intolleranza all’esercizio fisico in condizioni di ipotiroidismo non trattato è multifattoriale e dipende dall’insieme di limitazioni funzionali dei diversi apparati. Gli ormoni tiroidei preservando le funzioni cardiovascolari, respiratorie e muscolari a riposo e durante l’esercizio rappresentano il fattore limitante per la tolleranza all’esercizio in condizioni di ipotiroidismo. Un’adeguata terapia ormonale sostitutiva in condizioni di ipotiroidismo, oltre a migliorare la qualità della vita concorre a garantire buoni risultati sportivi durante l’attività fisica. Tuttavia, l’intolleranza all’esercizio nei pazienti con ipotiroidismo conclamato e, in misura minore, in pazienti con ipotiroidismo subclinico, non è sempre reversibile in seguito ad una adeguata terapia ormonale sostitutiva. Infatti, in tali pazienti si assiste ad una minor tolleranza all’attività fisica che porta a sua volta ad una minor attività fisica praticata con conseguente peggioramento della qualità della vita in tali pazienti in quanto viene meno il beneficio psico-fisico di cui si giovano i soggetti che praticano un’attività fisica regolare. In generale uno stile di vita attivo basato su una regolare attività fisica di tipo aerobio è raccomandata in tutti i soggetti ed in particolare in pazienti con ipotiroidismo in quanto in grado di migliorare la qualità della vita indipendentemente dalla condizione di ipotiroidismo. Parole chiave: tiroide – attività fisica – ormoni tiroidei Abstract Thyroid dysfunctions and, in particular, hypothyroidism are complex diseases characterized by signs and symptoms that may have a significant negative impact on quality of life and performance in the course of physical activity. The exercise intolerance in conditions of untreated hypothyroidism is multifactorial and is dependent on the functional limitations of the various system organ class. Thyroid hormones preserving the functions of cardiovascular, respiratory and muscle systems during relaxation and during exercise and they are responsible for the limitation of exercise tolerance in conditions of hypothyroidism. Adequate hormone replacement therapy in conditions of hypothyroidism, in addition to improving the quality of life, helps to achieve good results during physical activity. However, exercise intolerance in patients with overt hypothyroidism and in patients with subclinical hypothyroidism, is not always reversible following an appropriate hormone replacement therapy. In fact, in these patients there is a loss of tolerance to physical activity, consequently they perform a lower physical activity resulting deterioration in the quality of life. These patients do not enjoy the psychophysical benefits who instead are available to individuals who practice regular physical activity. In general an active lifestyle based on regular physical activity of aerobic type is recommended in all subjects, in particular in patients with hypothyroidism as it can improve the quality of life regardless of the condition of hypothyroidism Key words: thyroid - physical activity - hypothyroidism 20 | SportandAnatomy REVIEW Introduzione La tiroide è una ghiandola endocrina, situata nella regione anteriore del collo che, attraverso la sintesi e la secrezione in circolo di 2 ormoni, la triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4), ricopre un ruolo fisiologico estremamente importante: influenza direttamente lo sviluppo scheletrico e cerebrale, partecipa alla regolazione del metabolismo corporeo e allo sviluppo di pelle, apparato pilifero e organi genitali. Gli ormoni tiroidei vengono prodotti dalle cellule follicolari della tiroide in risposta all’ormone ipofisario TSH, la cui produzione è a sua volta regolata dall’ormone ipotalamico TRH. La secrezione di ormoni tiroidei è pulsatile e segue un ritmo circadiano; i livelli più alti di T3 e T4 si raggiungono durante la notte e le prime ore del mattino, mentre i livelli più bassi si rilevano tra le 12 e le 21. Azione degli ormoni tiroidei Gli ormoni tiroidei nel feto e nel lattante sono indispensabili per il normale accrescimento e per la maturazione dei vari apparati, mentre nell’adulto condizionano la funzione di ogni organo e tessuto attraverso un aumento generalizzato dei processi metabolici. In particolare gli ormoni tiroidei: • regolano direttamente il metabolismo basale attraverso l’aumento del consumo di ossigeno a riposo, della produzione di calore e della spesa energetica (per effetto dell’aumento del metabolismo ossidativo mitocondriale e degli enzimi respiratori). Infatti, in condizioni normali, il consumo di O2 è di circa 250 ml/min, in condizioni di ipotiroidismo scende a 150 ml/min e sale a 400 ml/min in condizioni di ipertiroidismo; • favoriscono la glicogenolisi e la gluconeogenesi (attraverso un aumento della produzione epatica di glucosio e della sintesi degli enzimi coinvolti nella sua ossidazione); • stimolano sia la lipolisi (utilizzo di grasso a scopo energetico), sia la lipogenesi (sintesi di tessuto adiposo), con effetto prevalente sulla lipolisi e, quindi, conseguente aumento della disponibilità di acidi grassi, la cui ossidazione genera ATP, utilizzato per la termogenesi; • aumentano la sintesi proteica ed hanno pertanto un effetto trofico sul muscolo; • regolano lo sviluppo e la differenziazione del sistema nervoso centrale durante la vita fetale e nelle prime settimane di vita; • aumentano la contrattilità miocardica (effetto inotropo positivo), la frequenza cardiaca (effetto cronotropo positivo) e il ritorno venoso al cuore; sono quindi essenziali per la funzionalità cardiaca; • hanno un ruolo determinante nello sviluppo scheletrico, infatti: stimolano l’ossificazione endocondrale, la crescita lineare e la maturazione dei centri epifisari, favoriscono la maturazione e l’attività dei condrociti nella cartilagine della lamina di accrescimento, nell’adulto, accelerano il rimodellamento osseo con effetto prevalente sul riassorbimento. Attività fisica e tiroide Gli ormoni tiroidei hanno, inoltre, altri svariati effetti metabolici: aumentano la motilità intestinale; favoriscono l’assorbimento della cianocobalamina (vit. B12) e del ferro; aumentano la sintesi di eritropoietina, il flusso renale e la filtrazione glomerulare; stimolano la produzione endogena di altri ormoni (GH); hanno ruolo permissivo sulle funzioni riproduttive e regolano il trofismo di cute e annessi. Una disfunzione della ghiandola tiroide si traduce in due sindromi cliniche ben definite: • l’ipotiroidismo: sindrome clinica conseguente a un deficit degli ormoni tiroidei a livello tissutale che comporta una riduzione generalizzata di tutti i processi metabolici dell’organismo; • l’ipertiroidismo: condizione morbosa conseguente all’aumento delle concentrazioni sieriche delle frazioni libere degli ormoni tiroidei che determina un aumento generalizzato dei processi metabolici. Effetti degli ormoni tiroidei sull’apparato osteo-muscolare Azione degli ormoni tiroidei a livello muscolare Gli ormoni tiroidei controllano la produzione di energia e numerosi aspetti della fisiologia dell’unità neuromuscolare attraverso la modulazione della sintesi proteine contrattili e la regolazione flussi ionici transmembrana. In particolare: • regolano la sintesi delle catene pesanti di miosina (attraverso l’aumento dell’isoenzima alfa e la riduzione dell’isoenzima beta con conseguente prevalenza delle fibre di tipo II, a elevata attività ATP-asica ed efficienza contrattile); • aumentano la Ca-ATPasi (potenziamento dell’uptake del calcio nel reticolo sarco-plasmatico con aumento della contrattilità); • aumentano la Na/K-ATPasi (aumento dell’efflusso cellulare di sodio con potenziamento della contrazione e aumento del consumo di O2 e della termogenesi). In generale gli effetti delle disfunzioni tiroidee sull’apparato osteo-muscolare, si traducono in una ridotta tolleranza allo sforzo. Nell’ipotiroidismo ciò è dovuto a una ridotta riserva cardio-vascolare (riduzione VO2 max, riduzione gittata cardiaca, aumento del lattato), a una ridotta riserva polmonare, a una alterata distribuzione del flusso sanguigno e a una riduzione della capacità di ossidazione dei substrati. I meccanismi alla base della ridotta efficienza muscolare sono riconducibili all’aumento delle fibre lente (tipo I); all’alterata funzione ossidativa mitocondriale con conseguente riduzione di ATP e di fosfocreatina; alla diminuzione del pH intracellulare e al precoce esaurimento di glicogeno. Nell’ipertiroidismo, invece, la ridotta tolleranza allo sforzo dipende da un aumento della velocità di flusso sanguigno e dell’output cardiaco a riposo; da una diminuzione dell’efficienza di utilizzo di O2, della soglia anaerobica, della riserva SportandAnatomy | 21 contrattile e della capacità di lavoro. Tali effetti sono la conseguenza di un aumento della frequenza e della gettata cardiaca. Questi effetti metabolici si traducono clinicamente in un quadro di debolezza, astenia, dispnea da sforzo e intolleranza all’esercizio fisico nei pazienti ipotiroidei. Nei pazienti ipertiroidei, invece, l’attività fisica porta a manifestazioni quali: tachicardia a riposo, ridotta tolleranza allo sforzo, debolezza muscolare (specialmente dei muscoli prossimali ed estensori), riduzione delle masse muscolari. Effetti dell’esercizio fisico sulla funzione tiroidea L’esercizio fisico oltre a determinare una serie di effetti benefici sul sistema cardiovascolare, influenza anche un’ampia gamma di funzioni endocrine e metaboliche. A causa della nota influenza degli ormoni tiroidei sul sistema cardiovascolare, vari studi sono stati condotti per esaminare le variazioni della funzione tiroidea e di altre ghiandole endocrine durante l’esercizio fisico. La mancanza di coerenza di questi studi risiede in diversi aspetti: ampia varietà della tipologia di esercizio fisico messo in relazione alla funzione tiroidea, variabilità individuale e non omogeneità delle condizioni di funzione tiroidea iniziale. In particolare Smallridge et al. hanno presentato uno studio in cui venivano valutate tre condizioni diverse di esercizio (sedentari, corridori amatoriali e maratoneti); in tali categorie non venivano rilevate sostanziali differenze della funzione tiroidea in condizioni basali e dopo stimolo con TRH (TRH test). L’unica differenza significativa riguardava, infatti, i livelli basali di prolattina dosati nell’immediato post-esercizio e dopo un’ora dal termine dell’esercizio che risultavano più bassi nei soggetti sedentari rispetto a coloro che effettuavano un’attività Segni e sintomi dell’ipotiroidismo Sistema Nervoso Centrale: perdita della memoria, scarsa concentrazione e sordità Faringe: raucedine Ormoni tiroidei Cuore: bradicardia e versamento pericardico Muscolatura: riflesso di rilassamento ritardato Estremità: sensazione di freddo Polmoni: fiato corto e versamento pleurico Intestino: costipazione e ascite Apparato riproduttivo: menorragia Pelle: parestesie e mixedema Perdita di capelli 22 | SportandAnatomy fisica regolare, mentre non si erano riscontrate differenze significative tra corridori amatoriali e agonisti, anche il picco della prolattina dopo stimolo con TRH risultava più elevato in questo secondo gruppo. Da questo studio emergerebbe che, mentre gli effetti dell’attività fisica sugli ormoni tiroidei sono trascurabili, l’esercizio fisico avrebbe, tuttavia, un’azione su altri ormoni, in particolare, sulla prolattina i cui valori sono modificati dall’attività fisica, senza una modulazione dovuta all’intensità dell’attività fisica. Alcuni autori hanno, infatti, ipotizzato che l’iperprolattinemia intermittente prodotta dall’esercizio fisico può giocare un ruolo nell’amenorrea che spesso si riscontra nelle atlete giovani 1. Anche secondo altri autori l’esercizio fisico di breve durata sembrerebbe esercitare solo modeste influenze sull’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide: è stato, infatti, dimostrato che bassi carichi di lavoro non determinano variazioni del TSH né durante l’esercizio né durante le 24 ore successive 2; mentre, in caso di esercizio submassimale di lunga durata, altri studi dimostrano un continuo innalzamento dei livelli di TSH sia durante che nei 15 minuti dopo l’esercizio. Il consistente aumento di TSH, registrabile dopo stress fisico prolungato, è molto probabilmente dovuto al minore livello periferico degli ormoni tiroidei, molto utilizzati a livello tessutale, con conseguente stimolazione (attraverso le vie fisiologiche di feedback) della sintesi di TRH a livello ipotalamico e di conseguenza di TSH a livello ipofisario. Ciò è stato dimostrato in uno studio condotto in Norvegia in cui sono stati evidenziati elevati livelli plasmatici di T3, T4, TSH e della proteina che lega gli ormoni tiroidei (TBG), in atleti che praticavano sci di fondo subito dopo una prestazione: i livelli plasmatici di T3, T4 e TSH ritornavano entro i limiti iniziali solo dopo vari giorni dalla fine della sessione di esercizio 2. Pertanto, mentre un’intensa ma breve attività fisica non è in grado di determinare modificazioni significative dei livelli plasmatici degli ormoni tiroidei, prolungate sedute di allenamento portano a un marcato aumento dei livelli di T3 e T4 come conseguenza dell’azione del feedback positivo sull’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide. L’attività fisica protratta è dunque in grado di influenzare l’attività biosintetica della tiroide e di far aumentare i livelli di T3 e T4 senza però creare gli effetti tossici che avvengono in caso di ipertiroidismo. Alcuni studi, tuttavia, hanno, dimostrato una riduzione della T3 circolante, probabilmente come conseguenza dell’aumentata conversione periferica in reverse T3 3. Inoltre va considerato che l’attività fisica, pur non condizionando direttamente l’attività tiroidea, modificando lo stato nutrizionale, condiziona indirettamente la sintesi e la produzione di ormoni tiroidei. Infatti la funzionalità tiroidea, regolando il metabolismo energetico, risente moltissimo dello stato nutrizionale: la sua attività si riduce in condizioni di bilancio energetico negativo, come durante il digiuno, in cui cala la produzione di ormoni tiroidei e la sensibilità dei tessuti nei confronti di tali ormoni, ciò coE. Sabini et al. stituisce un meccanismo di difesa che consente di ridurre il metabolismo tessutale al fine di limitare il consumo energetico. Infatti secondo Uribe et al. 4 l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide si riduce in condizioni di bilancio energetico negativo ma l’effetto dell’esercizio cronico sull’asse è controverso e non noto a livello ipotalamico. Ipotiroidismo e attività fisica L’ipotiroidismo è una malattia complessa caratterizzata da segni e sintomi che possono aver un impatto notevolmente negativo sulla qualità della vita 5 e sulla performance in corso di attività fisica. L’esercizio fisico, infatti, richiede il funzionamento coordinato di cuore, polmoni, circolazione periferica e muscoli. Gli ormoni tiroidei preservando le funzioni cardiovascolari, respiratorie e muscolari a riposo e durante l’esercizio 6 rappresentano il fattore limitante per la tolleranza all’esercizio in condizioni di ipotiroidismo. In generale, un’adeguata terapia sostitutiva in condizioni di ipotiroidismo, oltre a migliorare la qualità della vita concorre a garantire buoni risultati sportivi durante l’attività fisica. Tuttavia, un numero significativo di pazienti continua a sperimentare una ridotta prestazione fisica anche durante un’adeguata terapia ormonale sostitutiva 3; non esistono, però, studi clinici randomizzati che abbiano valutato la ridotta tolleranza all’esercizio nei pazienti ipotiroidei adeguatamente trattati con Levo-tiroxina. In una recente revisione della letteratura 3 è stato dimostrato che l’intolleranza all’esercizio fisico in condizioni di ipotiroidismo non trattato è multifattoriale e dipende dall’insieme di limitazioni funzionali dei diversi apparati (cardiovascolare, cardiopolmonare, polmo- Sistema endocrino tiroideo Ipotalamo Adenoipofisi Feedback negativo Fattore di rilascio della tireotropina (TRH) Tireotropina (TSH) Tiroide Ormoni tiroidei (T3 eT4) Attività fisica e tiroide nare, muscolo-scheletrico, neuromuscolare). Inoltre, l’intolleranza all’esercizio nei pazienti con ipotiroidismo conclamato e, in misura minore, in pazienti con ipotiroidismo subclinico, non è sempre reversibile in seguito ad una adeguata terapia ormonale sostitutiva 7. Da questa analisi è emerso che la condizione di ipotiroidismo può portare a significativi effetti negativi sul benessere fisico sia nei pazienti non trattati che in quelli adeguatamente trattati con Levo-tiroxina, rendendoli più intolleranti all’esercizio fisico rispetto ai soggetti sani. Secondo questa revisione, esistono dati contraddittori sugli effetti dell’attività fisica in pazienti con ipotiroidismo primario, ciò che emerge è che l’ipotiroidismo si associa a una peggiore qualità della vita e di conseguenza a un benessere fisico inferiore, sia in pazienti trattati che in quelli non adeguatamente trattati con Levo-tiroxina. In particolare questi pazienti presentano una minore tolleranza all’esercizio che, in un circolo vizioso porta a praticare meno attività fisica con la perdita del beneficio che invece si osserva in tutti coloro che praticano esercizio fisico regolare. In generale uno stile di vita attivo basato su una regolare attività fisica di tipo aerobico è raccomandato in tutti i soggetti anche in pazienti con ipotiroidismo che comunque traggono giovamento da una attività fisica regolare. Le potenziali limitazioni fisiche che si osservano nei pazienti ipotiroidei e in quelli trattati con terapia sostituiva non rappresentano un impedimento a una attività fisica regolare. È importante che endocrinologi e medici dello sport collaborino per limitare gli effetti negativi della disfunzione tiroidea, senza escludere dall’attività fisica regolare questi soggetti, promuovendo uno stile di vita attivo con tutti i vantaggi che ne conseguono. Conclusioni L’attività fisica regolare si è dimostrata come uno dei principali fattori capace di ridurre la mortalità e le comorbidità cardiovascolari. Limitate sessioni di esercizio fisico su base regolare rappresentano la migliore terapia non farmacologia per prevenire e ridurre le complicanze delle malattie cardiovascolari. I soggetti con disfunzione tiroidea rappresentano un sottogruppo particolare che nonostante le limitazioni note (astenia, facile affaticamento etc.) traggono beneficio in termini di qualità di vita e di benessere psico-fisico da una attività fisica regolare. Messaggi importanti: rassicurare i pazienti che non esistono controindicazioni ad una regolare attività fisica a fronte di una minore performance rispetto ai soggetti con funzione normale; coinvolgere i medici dello sport nelle decisioni terapeutiche; promuovere l’attività fisica come si farebbe in soggetti senza disfunzione tiroidea. Esistono, tuttavia, ancora larghe falle nella conoscenza dei meccanismi metabolici dei soggetti con disfunzione tiroidea che fanno esercizio fisico. La ricerca in questo settore deve offrire risposte attraverso studi controllati che mettano in relazione performance fisica e stato ormonale tiroideo. SportandAnatomy | 23 Bibliografia 1 2 Smallridge RC, Goldman MH, Raines K, et al. Rest and exercise left ventricular ejection fraction before and after therapy in young adults with hyperthyroidism and hypothyroidism. Am J Cardiol 1987;60:929-31. Refsum HE, Stromme SB. Serum thyroxine, triiodothyronine and thyroid stimulating hormone after prolonged heavy exercise. Scand J Clin Lab Invest 1979;39:455-9. 3 4 5 Lankhaar JA, de Vries WR, Jansens JA, et al. Impact of overt and subclinical hypothyroidism on exercise tolerance: a systematic review. Res Q Exerc Sport 2014;85:365-89. Uribe RM, Jaimes-Hoy L, et al., Voluntary exercise adapts the hypothalamuspituitary-thyroid axis in male rats. Endocrinology 2014;155:2020-30. McMillan CV, Bradley C, Woodcock A, et al. 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Solo adeguando i programmi rieducativi in acqua a quelli a secco si ottiene il “completamento terapeutico”, questo aspetto è spesso il punto debole del progetto, che rischia di abortire se l’integrazione non è ben studiata. Molte sono le patologie che possono trarre giovamento dalla combinazione chinesi-idrochinesiterapia (KT+IKT) e l’associazione tra le varie terapie può amplificare l’efficacia di ognuna di esse. Se si considera che il trattamento in acqua viene somministrato solo a pazienti con particolari condizioni cliniche e che solo pochi centri specializzati hanno una piscina riabilitativa, è necessario inserire l’idrochinesiterapia nel progetto riabilitativo con modalità e tempi ben codificati. Quando il programma rieducativo evolve con lentezza e gli ostacoli diventano sempre più difficoltosi, se il paziente è idoneo ad un trattamento in acqua, è necessario studiare quale modalità adottare per articolare nel tempo il trattamento a secco con quello in acqua. Diventa importantissimo non solo “che cosa fare” ma “come” e “quando farlo”. In acqua vanno sfruttate le caratteristiche fisiche del fluido, che favoriscono rilassamento dei tessuti, drenaggio linfatico e vascolare, decongestionamento articolare e scarico gravitazionale, ma anche gli effetti antalgici specifici (Fig. 1). Attualmente sono disponibili protocolli rieducativi in acqua, come a secco, che però non considerano l’integrazione tra le due modalità operative. Le proposte riabilitative possono variare fortemente in base alle condizioni del paziente e in funzione degli obiettivi a breve e medio/ lungo termine che ci proponiamo. In condizioni ideali il programma viene concordato tra fisiatra e terapista in accordo con il paziente e non segue schemi rigidi, ma suscettibili di variazioni quotidiane. Troppo spesso si creano modalità chiuse di trattamento, che sono comode, ma non proiettate al futuro e inade- Approfondimento guate a tenere il passo dell’evoluzione delle tecniche di chirurgia ortopedica. L’acqua permette di resettare la maggior parte delle informazioni ricevute dal proprio corpo attraverso la variazione dell’azione gravitaria, il contatto con l’acqua, il galleggiamento, la temperatura ecc. L’acqua permette di esplorare uno spazio tridimensionale attraverso movimenti che, alcuni disabili, non possono realizzare a terra. In acqua si attiva un massiccio “bombardamento” di stimoli per il training di percezioni propriocettive, visive, uditive; i recettori cutanei vengono iperstimolati, sia per gli effetti della turbolenza e del calore, sia della pressione idrostatica; inoltre si realizza anche un miglioramento della respirazione e dell’equilibrio, aspetti non trascurabili della riabilitazione (Fig. 2). Durante il trattamento riabilitativo, talvolta, ci si trova di fronte ad adattamenti posturali, disallineamenti e/o compensi funzionali, sviluppati dal paziente nel corso dell’evoluzione del processo rieducativo. Se questi adattamenti contrastano con il raggiungimento degli obiettivi rieducativi diventa indispensabile resettarli, azzerando e confondendo le risposte attese dal paziente, fornendogli un corredo di ulteriori stimoli, attraverso l’e- Figura 1. SportandAnatomy | 25 Figura 2. laborazione dei quali, si potranno successivamente ricostruire le sequenze motorie corrette. Come creature terrestri, noi sviluppiamo adattamenti subcoscienti agli effetti della gravità sulla terra che sono in pratica inutili in acqua e viceversa, ma se questi adattamenti vengono strutturati in un protocollo rieducativo integrato KT/IKT, si viene a condizionare l’evoluzione del processo riabilitativo in maniera determinante, accorciando i tempi di recupero. Infatti la ricostruzione di specifiche sequenze motorie, il perfezionamento delle sensibilità profonde, ecc., subiscono un notevole incremento sia per un’abbondanza di stimoli diversificati sia per la possibilità di sperimentazione realizzabile in ambienti a diversa gravità (Fig. 3). La seduta di idrochinesiterapia, può essere ridotta o protratta, a seconda dell’effetto che si vuole ricercare, inoltre può essere inserita prima o dopo il lavoro in palestra. Nel caso di rigidità articolari, ad esempio, è preferibile inserirla prima della KT, per poter sfruttare l’acqua al fine di “ammorbidire” i tessuti e prepararli al lavoro in palestra anche attraverso una migliore vascolarizzazione. Quando il programma rieducativo volge al termine, i carichi di lavoro diventano impegnativi: ecco allora che il lavoro in va- Figura 3. 26 | SportandAnatomy sca può servire per decongestionare l’articolazione, defaticare la muscolatura e permettere al paziente di chiudere il trattamento con una positiva condizione di libertà. L’idrokinesiterapia permette di preparare l’articolazione al lavoro del terapista in palestra; l’immersione produce infatti un automatico drenaggio linfatico e vascolare. I tessuti periarticolari si rilassano e si distendono, permettendo di arrivare in profondità con le manovre manuali. Anche le lesioni muscolari traggono notevole vantaggio dal lavoro in vasca. A seguito di una permanenza in acqua calda, anche piuttosto breve (20/30) minuti, l’apparato muscolo-tendineo si trova in condizione di ipotonia, quindi più predisposto a ricevere un massaggio o effettuare dello stretching. La vasca costituisce in questo caso, una preparazione al lavoro in palestra o sul lettino. Quando invece è necessario dosare la progressione del ritorno al carico e alla deambulazione, l’acqua ci consente di effettuare le prime esercitazioni a peso corporeo ridotto, variando il livello di profondità della vasca e il grado di immersione del corpo. La concessione del carico viene così decisamente anticipata in pazienti che, ad esempio, per fratture o lesioni cartilaginee, avrebbero dovuto astenervisi molto più a lungo. Sotto questo aspetto invece, l’acqua costituisce la parte fondamentale del programma riabilitativo. Un discorso a parte merita la spalla, dove l’incremento di escursione articolare, nelle prime settimane, è quasi sempre maggiore in vasca, sia con esercizi passivi che “attivi controllati” dalla stessa presenza dell’acqua, rispetto alle manovre chinesiterapiche somministrate dal terapista a secco. L’acqua, per le patologie di spalla, nelle fasi iniziali, è, ancora una volta, il fulcro del programma riabilitativo, mentre a secco si controllano i progressi ottenuti integrandoli con esercizi specifici. Possiamo scegliere inoltre, di suddividere le esercitazioni, destinando un gruppo di proposte solo al lavoro in palestra e un altro solo in immersione. Nelle patologie tendinee, ad esempio, può essere consigliabile eseguire il lavoro in carico prima in immersione, in modo da proteggere l’apparato muscolo-tendineo da pericolosi sovraccarichi. Per lo stesso motivo, nelle patologie che prevedono un programma riabilitativo molto lungo (ricostruzioni legamentose, fratture gravi), le prime attività dinamiche possono venire agevolate e anticipate, dalla loro esecuzione in acqua. Questo può essere utile, a maggior ragione, tutte le volte che dobbiamo reinserire un atleta al ritmo di allenamento e gara. Le capacità di stare in piedi, camminare in tutte le direzioni, saltare e ruotare nell’acqua devono essere acquisite come base indispensabile per raggiungere l’autonomia e per preparare il soggetto al nuoto. Tutte le attività dovrebbero iniziare con la posizione stabile “raccolta” e, progressivamente, con il migliorare del controllo, si può incoraggiare l’“aprire” il corpo nella posizione “distesa” (Fig. 4). S. Rigardo Figura 4. Il galleggiamento può essere usato come una forza in acqua per aiutare il movimento e agire contro gli effetti gravitazionali. Per capire il galleggiamento il paziente può essere invitato a spingere sott’acqua oggetti meno densi dell’acqua stessa e a notare il loro ritorno alla superficie appena vengono liberati. Quando il paziente avrà imparato a espirare dentro l’acqua e a controllarne la rotazione, si possono introdurre le attività subacquee integrate all’attività a secco. Tali attività richiederanno ancora un buon controllo respiratorio e il respiro non dovrà mai essere trattenuto. Inoltre per cercare oggetti in acqua i pa- Bibliografia di riferimento Arms W, Pope MH, Johnson RJ, et al. The biomechanics of anterior cruciate ligament rehabilitation and reconstruction. Am J Sports Med 1984;12:848. Bracco D. Ergonomia e tecnologia aggiornano le tecniche e le metodiche in idrochinesiterapia. Europ Med Fis 1984;20:173-7. Davis BC, Harrison RA. Hydrotherapy in pratice. Hedimburgh: Churcill Livingstone 1988. Franchimont P, Juchmes J, Lecomte J. Hydrotherapy-mechanism and indications. Pharmacol Ther 1983;20:79-93. Gasco P, et al. Analisi della dinamica del movimento applicata alla riabilitazione in acqua. Atti XVI° Congresso nazionale SIMFER 1988, vol. I, Chianciano Terme. Gazzi A, et al. L’idrochinesiterapia: suoi benefici effetti per diminuire la resistenza dei tessuti molli. La Riabilitazione 1981:14:102-9. Harrison RA. A quantitative approach to strengthening exercises in the hydrother- zienti devono tenere gli occhi aperti in immersione, questa è un’ulteriore importantissima abilità per ogni nuotatore. È solo dopo aver raggiunto la cosiddetta “acquaticità integrata”, cioè la capacità di sviluppare sequenze motorie specifiche frutto dell’integrazione delle attività a secco e in acqua, che il paziente potrà iniziare a inserire quelle stesse sequenze per ricostruire azioni complesse come camminare nell’acqua e nuotare compatibilmente con le sue capacità. Non c’è limite alle attività che possono essere escogitate in piscina per raggiungere l’integrazione fra KT e FKT, l’importante è rispettare il principio che il programma rieducativo deve essere chiaro, noto, condiviso e in evoluzione, cosicché ogni attività del paziente in acqua sia finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo e abbia un preciso contenuto terapeutico. Un altro aspetto favorevole è quello di una terapia di gruppo sia a secco che in acqua perché il paziente trae ulteriore vantaggio dalla socializzazione, dall’emulazione e competitività che ne derivano, inoltre è spesso sollecitato a lavorare più a lungo ed a concentrarsi maggiormente. Riassumendo, una vera interazione tra le terapie a secco e in acqua deve, in ogni caso, prevedere una coordinazione e un completamento reciproco delle proposte riabilitative. L’inserimento e il protrarsi delle terapie in acqua non devono seguire dei protocolli rigidi, ma rispondere alle nostre esigenze di outcome e soprattutto a quelle del paziente. Per far questo è necessaria la massima collaborazione tra le varie figure professionali che interagiscono nel processo riabilitavo. apy pool. Physiotherapy 1980;66:2-60. Iannilli M, Dalla Corte G, Ballotta M, et al. Nostra esperienza di trattamento riabilitativo in piscina terapeutica. 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Corrispondenza Sergio Rigardo [email protected] L’interazione tra terapie rieducative “a secco” e “in acqua” SportandAnatomy | 27 JSA 2015;1:28-32 Marco Ceriani Esperto in Scienze delle Preparazioni Alimentari, Consulente Scientifico GENSAN Ruolo delle proteine nella pratica sportiva Gli integratori alimentari a base di proteine sono inseriti nella legislazione italiana nelle categorie elencate nell’allegato 1 del D.L. 111/92 (già trattato nell’articolo «Definizione di integratori alimentari e loro uso nella pratica sportiva», in Sport & Anatomy 2014;00:38-42) relativo a “condizioni fisiologiche particolari per alimenti adatti ad un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi”. Lo stato di un organismo come quello di chi pratica sport, infatti, è diretto in senso prevalentemente anabolico, determinando un rilevante incremento fisiologico in toto del fabbisogno nutrizionale a supporto delle richieste plastiche e dell’intenso impegno metabolico. Per questo motivo nell’etichettatura degli integratori alimentari viene proposta nell’elenco delle indicazioni sulla salute (Regolamento UE 432/2012) la dicitura “le proteine contribuiscono al mantenimento e alla crescita della massa muscolare e al mantenimento di ossa normali”. Le proteine, i composti aminoacidici e loro derivati (come creatina, idrossi beta metil butirrato) sono certamente molecole di rilevante importanza nella dieta dello sportivo. L’attività fisica è infatti per prima cosa un’espressione muscolare che, seppur dipendendo dalla presenza di substrati energetici, richiede efficienza muscolare massimale (resistenza, potenza e forza fisica). Non solo: non introdurre un quantitativo di nutrienti proteici sufficiente con la dieta può diminuire le capacità di difesa dell’organismo (la carenza di composti azotati provoca, come noto, un indebolimento del sistema immunitario). Il ruolo principale delle proteine è quindi quello di fornire le basi aminoacidiche per la sintesi di nuove cellule e tessuti. A livello chimico, le proteine risultano composte da aminoacidi legati tra loro per mezzo di legami peptidici, formando polipeptidi ad alto peso molecolare, che rendono la configurazione molecolare delle proteine particolarmente complessa (struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria). Una configurazione lineare composta fino a 100 aminoacidi viene definita con il termine 28 | SportandAnatomy di “polipeptide”, mentre molecole più lunghe vengono indicate come “proteine”. Il ruolo delle proteine nello sport La prestazione fisica non è strettamente dipendente dall’apporto proteico. I fattori noti in grado di condizionare il metabolismo energetico muscolare sono infatti dovuti alla via metabolica energetica i cui fattori limitanti sono, in estrema sintesi, costituiti da disponibilità dei substrati energetici, efficienza della funzione cardiocircolatoria e respiratoria, fibre muscolari e attività enzimatica. Ma non vi è ombra di dubbio che la percentuale di massa magra, i caratteri funzionali delle diverse tipologie di fibre muscolari (lente e veloci) impiegate nell’attività fisica e il metabolismo muscolare risultino essenziali per produrre performance massimali e vincenti. L’esatta conoscenza e felice interpretazione delle vie metaboliche bioenergetiche seguite nelle differenti tipologie di prestazioni sportive (sforzi massimali brevi, resistenza e attività aerobiche) permettono di valutare l’entità del ricorso ai macronutrienti, carboidrati, grassi e proteine. Le proteine, all’interno dell’organismo umano, svolgono una funzione prevalentemente plastica, essendo le principali componenti della massa magra (circa il 20% della componente corporea). Sono inoltre costituenti di enzimi e vitamine. Nell’attività sportiva le proteine più richieste sono quelle a più alto apporto di aminoacidi essenziali. Gli aminoacidi, come è noto, sono classificati in essenziali (l’organismo umano non riesce a sintetizzarli e devono quindi essere apportati con l’alimentazione) e non essenziali (definizione che non deve ridurne l’importanza, ma veicolare il concetto che possono essere prodotti a, livello metabolico, a partire da altri precursori). Gli aminoacidi essenziali sono: isoleucina, leucina, lisina, istidina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano e valina (oltre all’arginina, essenziale nei bambini, e a cisteina e tirosina in assenza di metionina e fenilalanina). Approfondimento Nello sportivo la glutammina viene considerata un aminoacido essenziale o “condizionatamente essenziale”, data la sua rilevante presenza nei gruppi muscolari. Le proteine a elevato valore biologico (presenti in alimenti comuni come uova, latte, carne e pesce) contengono tutti gli aminoacidi essenziali in quantità ottimale per mantenere il bilancio azotato e permettere la riparazione e crescita dei tessuti. In regimi alimentari particolari legati a stili di vita come l’alimentazione vegana che vede i soli cereali e legumi come fonti proteiche prevalenti, possono verificarsi carenze quali-quantitative verso gli aminoacidi essenziali 1. Nell’alimentazione vegetariana invece, essendo inclusi i derivati animali (latte e uova), la possibile carenza verso gli aminoacidi essenziali viene di molto ridotta, purché in presenza di un’alimentazione variata e normocalorica. In particolare una dieta “lattovegetariana”, oltre a non comportare il rischio di carenze proteiche, è in grado di assicurare anche una adeguata assunzione di minerali (calcio e fosforo) e vitamine (in particolare la vitamina B12) (Tab. I). Tabella I. Principali funzioni delle proteine. Compongono le strutture ormonali ed enzimatiche (regolatori metabolici) Mantengono la struttura muscolare e promuovono l’anabolismo proteico Prevengono stati infiammatori e infezioni (azione immunitaria da anticorpi) Neutralizzano numerose sostanze tossiche (sistemi enzimatici detossificanti) Rappresentano una primaria fonte di azoto organico Svolgono funzioni plastiche e di regolazione Promuovono l’accrescimento, il mantenimento e la riparazione delle cellule e dei tessuti Svolgono funzioni energetiche durante l’esercizio fisico (ciclo glucosio-alanina) Indici di qualità proteica I metodi utilizzati per la valutazione del fabbisogno proteico possono essere riassunti in due tipologie: bilancio azotato (Protein Efficency Ratio, PER, Net Protein Utilization, NPU) e metodo fattoriale. Mentre quest’ultimo determina tutte le perdite dei composti azotati dopo un periodo di dieta priva di proteine, i metodi analitici legati al bilancio dell’azoto determinano la quantità minima di proteine alimentari in grado di mantenere in parità il bilancio dell’azoto nel soggetto di corporatura media (a esclusione di situazioni metaboliche particolari come gravidanza e allattamento). Il bilancio azotato prevede diverse espressioni di determinazione, come: • Protein Efficency Ratio (PER, tasso di efficienza della proteina), indicatore utilizzato per valutare la qualità delle proteine alimentari e che rappresenta il rapporto Ruolo delle proteine nella pratica sportiva tra l’incremento di peso (negli animali) e la quantità di proteina (espressa in grammi) somministrata; • NPU (Utilizzazione proteica netta), rappresentato dal rapporto tra l’azoto trattenuto dall’organismo e quello introdotto con la dieta moltiplicato per un fattore pari a 100. Il PDCAAS rappresenta invece un metodo di valutazione della digeribilità delle proteine valutato in funzione del punteggio aminoacidico corretto da un indice di digeribilità delle proteine. La caseina derivata dal latte, l’albume d’uovo in polvere, le proteine isolate della soia sono tutti composti proteici caratterizzati da un elevato indice di PDCAAS (1,00), al contrario delle proteine del grano (glutine) che hanno un punteggio pari a 0,25 2. Assorbimento e digestione delle proteine Le proteine di origine alimentare sono digerite e assorbite dall’intestino in grandi quantità giornaliere. Non tutte sono di provenienza alimentare; alcune, di provenienza endogena (sieroalbumina, mucoproteine, enzimi digestivi), vengono secrete nel tratto gastroenterico e riversate nell’intestino come succhi enterici. Calcolando in 100 grammi le proteine assunte, sono circa 170 grammi la quantità complessiva assorbita e circa 10 grammi quella escreta (perdita fecale) 3. Quotidianamente vengono quindi digerite dai 50 ai 70 g di proteine endogene, all’incirca equivalenti alla quantità media di proteine ingerite 4. La digestione proteica avviene nello stomaco, ove la secrezione acida denatura le proteine esponendole all’attacco delle pepsine (endopeptidasi: tripsina, pepsina, chimotripsina, elastasi), carbossi e amminopeptidasi che scindono le catene polipeptidiche in frammenti di ridotte dimensioni (aminoacidi) che vengono assorbiti dalle cellule della mucosa intestinale. La digestione (idrolisi) delle proteine avviene in tre fasi: gastrica, pancreatica e intestinale mediante disgregazione meccanica, chimica ed enzimatica che porta all’ottenimento di molecole più semplici (peptidi e aminoacidi). Nella fase gastrica l’acido cloridrico, contenuto nei succhi gastrici dello stomaco, e specifici enzimi (pepsine, tripsina, elastasi e chimotripsine) denaturano le proteine (il processo interessa solo il 10-15% delle proteine ingerite che in questa fase vengono scomposte in polipeptidi). Nella fase pancreatica, che avviene nel duodeno, si ha l’idrolisi delle proteine (circa il 50-60%) a opera di alcune proteasi contenute nel succo pancreatico: le endopeptidasi (tripsina e chimotripsina), attive sui legami peptidici interni alla molecola proteica, e le esopeptidasi (carbossipeptidasi), che portano alla liberazione di aminoacidi. La fase intestinale riguarda la quasi totalità dell’idrolisi proteica (80-90%) e porta a termine la denaturazione delle proteine grazie all’azione di specifiche peptidasi che liberano aminoacidi. Questa fase porta all’idrolisi sia delle proteine ingerite che a quelle endogene (enzimi digestivi, cellule epiteliali desquamate e altre). SportandAnatomy | 29 Per quanto riguarda l’assorbimento delle proteine è importante non trascurare come gli alimenti proteici tradizionali (carni e pesci), una volta cotti, possano presentare una più o meno marcata denaturazione a carico delle strutture proteiche. Se da un lato il riscaldamento termico può peggiorare la qualità delle proteine contenute nella carne, dall’altro alcuni alimenti vegetali (cereali, legumi e tuberi) possono migliorare l’apporto in funzione di una diminuzione dei fattori anti-nutritivi. Stabilire l’effettivo livello di positività o negatività della cottura dei cibi sulla biodisponibilità delle proteine è un tema complesso e denso di variabili, essendo strettamente legato alla tipologia di alimento e al trattamento termico subito (grigliatura, frittura, bollitura, microonde…). Aminoacidi ramificati Gli aminoacidi sono molecole complesse che differiscono tra loro per proprietà chimico-fisiche (solubilità, pH e struttura molecolare) e destino metabolico (glucogenetici e chetogenetici). Gli aminoacidi non solo sono i costituenti delle proteine, ma rivestono un prezioso ruolo di precursori di molecole biologiche fondamentali come ormoni, pigmenti, purine e coenzimi. Di tutti gli aminoacidi noti, cinque da soli (leucina, isoleucina, valina, lisina e istidina) coprono il 75% dei fabbisogni dell’organismo umano. Questi aminoacidi sono però presenti in piccole concentrazioni nei cibi (meno del 20% nelle proteine a elevato valore biologico). Nell’integrazione alimentare dell’atleta questo fattore risulta di grande importanza, e dovrebbe indurre a ridurre la presenza degli altri aminoacidi a favore di leucina, isoleucina, valina, lisina e istidina, favorendo la diminuzione dell’accumulo di urea sintetizzata nel sangue. La definizione di aminoacidi “essenziali”, come già esposto, non è univoca poiché “essenziali” possono esserlo non solo per l’organismo in toto ma, in modo più selettivo, limitatamente ad alcuni organi (solo il fegato, ad esempio, possiede una idrossilasi specifica, assente nelle cellule degli altri organi, ed è in grado di operare la sintesi della fenilalanina in tirosina) 5. I tre aminoacidi ramificati (noti anche come “neutri” o BCAA) L-Leucina, L-Isoleucina e L-Valina, rappresentano il gruppo di molecole più studiato a livello di integrazione clinica e sportiva. In ambito prestativo il razionale d’utilizzo degli aminoacidi ramificati è dovuto alla loro ossidazione che avviene, di preferenza, nei muscoli scheletrici piuttosto che nel fegato, diminuendo i tempi di assimilazione. Gli aminoacidi permettono l’apporto di molecole attive nella costruzione/ricostruzione muscolare, senza produrre scorie metaboliche e senza fornire un surplus calorico (Tab. II). Fabbisogno di proteine Il fabbisogno proteico è in funzione di numerosi fattori come età, sesso, attività lavorativa e sportiva, e di condizioni fisiologiche particolari (accrescimento, gravi30 | SportandAnatomy Tabella II. Gli aminoacidi ramificati (indicati anche con la sigla “BCCA”: Branched Chain Amino Acids) sono i tre aminoacidi essenziali L-Isoleucina, L-Leucina e L-Valina Vengono utilizzati soprattutto in condizioni di stress, infortunio, esercizio fisico intenso La L-Leucina, che viene utilizzata in misura doppia rispetto agli altri due aminoacidi ramificati (essendo l’aminoacido più ossidato durante le performance d’endurance), agisce come stimolatore della sintesi proteica nella fase di recupero plastico, al termine di esercizi muscolari intensi. È tra i promotori del rilascio dell’ormone della crescita (GH) e insulina I BCAA non vengono metabolizzati a livello epatico (il fegato a differenza del muscolo, non ha le transaminasi specifiche che permettono di ottenere i corrispondenti alfa-chetoacidi) Gli aminoacidi ramificati competono con fenilananina e triptofano per il medesimo trasportatore a livello della barriera ematoencefalica. La conseguenza è che, nell’esercizio fisico, tendendo a esaurire nel plasma gli aminoacidi ramificati prima degli altri aminoacidi, triptofano e tirosina vengono veicolati a livello cerebrale con maggiore efficienza, con benefici effetti sui sistemi serotoninergici e adrenergici che controllano sonno, umore e senso di fatica Sono utilizzati come integratori per gli sport di potenza e di resistenza e nei regimi alimentari ipocalorici danza, terza età). In genere viene definito in relazione al peso corporeo fisiologico (nell’atleta viene sempre inteso come peso forma), all’età, al sesso e al carico di lavoro svolto in allenamento. Per definire correttamente il fabbisogno di proteine giornaliero di un atleta (che deve ovviamente essere sempre tale da pareggiare il bilancio azotato), è indispensabile poter valutare il peso, il livello di idratazione e i singoli costituenti della massa corporea (magra e grassa), oltre ovviamente alla durata e all’intensità dell’attività fisica giornaliera. È inoltre opportuno valutare la percentuale di aminoacidi essenziali apportati con la dieta che dovrebbe essere pari al 36% dell’apporto aminoacidico totale 6 (Tabb. III-IV). Negli atleti risulta quindi di particolare importanza mantenere un apporto energetico sufficiente per sostenere l’attività muscolare. In caso di apporto energetico insufficiente con la dieta, le proteine corporee vengono infatti metabolizzate per supplire al deficit energetico. Con la riduzione delle riserve energetiche nell’organismo (dieta ipocalorica o digiuno), si ha una minor disponibilità di glicogeno e il glucosio viene quindi sintetizzato a partire dai composti proteici e dagli acidi grassi (glucogenesi). Il problema della corretta determinazione del fabbisogno proteico è dato dal fatto che la risposta del bilancio d’azoto verso quantità crescenti di proteine di buona qualità nutritiva non è lineare. In caso di apporto proteico scarso, il miglioramento è proporzionale alla quantità di proteine apportate con gli M. Ceriani Tabella III. Sport a rischio di alimentazione carente. Criteri Disciplina sportiva Basso peso Entrata energetica cronicamente bassa per mantenere peso e definizione muscolare Ginnasti, ballerini, danzatori, fitness e aerobica Peso da competizione rapida Rapida e drastica perdita di peso per accedere alle categorie di gara Sport da ring e tatami Aumento della massa magra definizione muscolare accentuata (drastica perdita d grasso e acqua corporea) ass. vit. liposolubili/crampi Body building, pugilato Dieta vegetariana (atleti strettamente vegetariani o vegani) Endurance e pesistica Tabella IV. Livelli proteici giornalieri (fabbisogno medio espresso in g/kg/die). Adulti 0,8 g Persone attive 1,0 g Atleti di endurance 1,0-1,6 g Sport di squadra (calcio) 1,4-1,7 g Sport di forza 1,6-2,0 g Fonti: International Society of Sports Nutrition e ISSN . Nota: i valori riportati si intendo riferiti al peso corporeo inteso come peso forma. 2 7 alimenti, ma per quantità di proteine in grado di mantenere l’organismo non lontano da un bilancio di equilibrio, l’efficienza delle proteine diminuisce. I bisogni proteici appaiono quindi maggiori rispetto a quelli che si evidenziano in caso di basse assunzioni proteiche (Ardenti, p. 118) 3. Integratori proteici e tecnologia di produzione Oggi in ambito sportivo è in uso la pratica di integrare l’alimentazione con proteine concentrate in polvere da fonti alimentari differenti. Le fonti proteiche maggiormente diffuse sono quelle del latte che vengono prodotte tramite processi tecnologici (essiccazione e concentrazione). Mentre l’essiccazione avviene in genere tramite la tecnica dello “spray-dried” (nebulizzazione in camere di aria calda), i processi di concentrazione avvengono tramite scambio ionico (resine che separano le proteine in funzione della loro carica elettrica) o ultrafiltrazione (tramite membrane filtranti). Le proteine alimentari in forma di integratori (concentrate) sono spesso la risultante di due o più costituenti proteici differenti e danno luogo a risposte nutrizionali non omogenee in base alla risultante del profilo aminoacidico. Si possono stabilire quattro situazioni 8: 1)effetto complementare nullo (nel caso di identici aminoacidi mancanti o carenti); Ruolo delle proteine nella pratica sportiva 2)effetto complementare scarso (uguale carenza di aminoacidi limitanti ma in misura quantitativamente differente); 3)effetto complementare limitato (fonti proteiche con comune carenza di un aminoacido, dove a prevalere è la fonte proteica con l’apporto più alto dell’aminoacido carente); 4)effetto complementare elevato (sinergia dei componenti della miscela proteica dove la qualità proteica risultante supera quella di ciascun singolo componente). Proteine del latte (siero e caseina) Le sieroproteine (definite anche con il termine “whey protein”) sono proteine a elevato valore biologico di elevata qualità, solubili nei liquidi e prontamente digeribili. La frazione proteica risulta composta da albumine (75%) e globuline (15%). Le sieroproteine sono considerate proteine veloci 2, contengono una elevata percentuale di aminoacidi ramificati e aminoacidi solforati (cistina e metionina). La tendenza attuale è di produrre proteine delattosate (più compatibili con le esigenze di molti consumatori con problematiche di assorbimento verso il lattosio). La caseina invece è il costituisce maggiore (circa l’80% delle proteine del latte). Chimicamente è una fosfoproteina che con l’acido fosforico e l’acido citrico lega il calcio favorendone l’assimilazione (è per questo motivo che il latte risulta essere un alimento essenziale per l’assorbimento del calcio). La caseina viene considerata una proteina a lento rilascio 2 poiché nell’intestino crea un gel che rallenta il transito intestinale, favorendone l’assorbimento proteico. In commercio si trovano dei composti proteici da proteine del siero del latte e caseina con vari rapporti: • isolato delle proteine del latte: costituisce una miscela di proteine del siero e caseina in rapporto variabile, che è caratterizzato da un tempo specifico di rilascio e assorbimento (spesso la formula è protetta da esclusività da parte del produttore); • proteine totali del latte: rappresentano la frazione SportandAnatomy | 31 proteica del latte tal quale (80% caseine coniugate e 20% di sieroproteine); • concentrato di proteine: la frazione proteica è realizzata con rapporti proteici personalizzati dal produttore (che possono comprendere più fonti come, ad esempio, albume dell’uovo, soia e legumi) in base a specifiche esigenze di assorbimento o intolleranze verso uno o più componenti forniti dalle tradizionali proteine del latte. Oltre alle proteine derivate dal latte vengono prodotte altre fonti proteiche come: • proteine dell’uovo: ottenute dall’albume dell’uovo (ovoalbumina). Pur essendo caratterizzate da un profilo aminoacidico ottimale non risultano particolarmente gradite ai consumatori a causa del loro aroma e sapore ritenuto poco, o per nulla, gradevole; • proteine della soia: sono principalmente richieste da coloro che risultano intolleranti verso le proteine del latte o non vogliono assumere proteine derivate da animali (vegetariani e vegani). Di recente, grazie al miglioramento dei processi d’estrazione e concentrazione, questo tipo di proteine è migliorato sotto l’aspetto della palatabilità e ciò ha contribuito a una miglior accettazione; • proteine idrolizzate del frumento: sono poco diffuse in virtù del loro minore valore biologico (anche se possono arrivare ad apportare, a livello di aminoacidi, circa un 40% di glutammina), oltre a un gusto giudicato con poco favore dai consumatori e una bassa solubilità nei liquidi che le rendono poco adatte alla preparazione di bevande a elevato apporto proteico; • proteine da legumi: sono proteine che possono fornire una buona percentuale proteica (e relativa quota aminoacidica); sono indicate nelle intolleranze al latte (lattosio) e possono costituire una base per una miscela proteica (ad esempio proteine concentrate da albume dell’uovo, soia e piselli). • gainers proteici: i “Weight Gainer” rappresentano una tipologia di integratori destinati all’incremento di peso Bibliografia Nieman D. Vegetarian dietary practices and endurance performance. Am J Clin Nutr 1988;48:754. 2 Campbell B, Kreider RB, Ziegenfuss T, et al. International Society of Sports Nutrition position stand: protein and exercise. J Int Soc Sports Nutr 2007;4:8. 3 Ardenti G. Le basi molecolari della nutrizione, Padova: Piccin 1996, p. 122. 1 corporeo e a migliorare l’apporto calorico complessivo della dieta giornaliera. Si tratta di prodotti formulati in polvere con una base di carboidrati e grassi a rilascio medio (grassi MCT), proteine da diverse fonti e loro derivati (creatina, glutammina, aminoacidi ramificati), vitamine e minerali a seconda del timing di utilizzo (prima, durante o dopo l’allenamento). Conclusioni Le proteine e i loro derivati (aminoacidi ramificati) risultano una fonte alimentare di grande valore nutrizionale riconosciuta anche dalla normativa italiana che regola la produzione e il commercio degli integratori alimentari (alimenti adatti ad un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi). Come gli altri macronutrienti, carboidrati e grassi, le proteine richiedono un apporto minimo giornaliero (quantificabile in 0,8-1 grammo per chilo di peso corporeo, inteso come peso forma) per soggetti “medi” che non praticano attività fisica. Gli atleti rappresentano quindi una fascia di popolazione particolarmente attenta e sensibile nei confronti di maggiori esigenze in termini di apporto giornaliero. L’apporto raccomandato varia in considerazione del peso corporeo e dell’attività fisica praticata. Gli sport brevi e intensi strettamente legati alla potenza muscolare e alla forza richiedono un fabbisogno proteico più elevato (fino ai 2 g/kg/die). La dieta rappresenta la base per garantire un apporto di proteine sufficiente (da fonti proteiche differenti), e, in ambito sportivo, viene spesso integrata con l’utilizzo di prodotti appositamente formulati (integratori alimentari) a base di proteine del latte e suoi derivati (whey e caseine), uova o legumi. Oltre a questo, molecole proteiche come gli aminoacidi ramificati costituiscono per l’atleta una significativa fonte di nutrienti anabolici (incremento della massa muscolare) se associate, ovviamente, ad attività fisica adeguata. L’atleta e la persona attiva rappresentano in conclusione una fascia di popolazione con richieste energetiche e proteiche più alte della popolazione sedentaria e non attiva. Pasquale M. Amino acids and proteins for the athlete. The anabolic edge. Florida: CRC Press Inc 1997. 5 Dioguardi FS. Gli aminoacidi: lettere di un alfabeto più antico della vita. Bologna: Lombar Key 2008. 6 Siani V. Sport Energia Alimenti. Bologna: Zanichelli 1993, p. 125. 7 Kreider RB, Wilborn CD, Taylor L, et al. ISSN exercise & sport nutrition review: 4 research & recommendations. J Int Soc Sports Nutr 2010;7:7. 8 Bressani R, Elias LG, Gomez Brenes RA. Improvement of protein quality by amino acid and protein supplementation. In: Bigwood EJ, editor. Protein and amino acid functions. Vol. 11. Oxford UK: Pergamon Press 1972, pp. 475-540. CORRISPONDENZA Marco Ceriani [email protected] 32 | SportandAnatomy M. Ceriani JSA 2015;1:33-37 Franco Nocchi Docente a contratto, Università di Pisa e di Firenze Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo Introduzione alla medicina cinese La medicina cinese, riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e annoverata tra le medicine non convenzionali, è ritenuta il più antico sistema medico conosciuto. È un sistema medico complesso, la cui versione più diffusa (quella, per l’appunto, riconosciuta dall’OMS) è il modello della medicina tradizionale cinese, nota anche con la sigla MTC, la cui fondazione e sistematizzazione, però, risale solamente all’epoca di Mao Tse-Tung (più precisamente nel decennio tra il 1950 ed il 1960). Quando invece si parla di antica medicina cinese (AMC) si fa riferimento a modelli medici più antichi. La prima opera di AMC risale al 2600 a.C., il Huang Ti Nei Ching Su Wen. Si tratta di iscrizioni fatte su gusci di tartaruga e su scapole di bovini, che raccontano di una forma di massaggio praticato dagli sciamani. Quando l’organismo è in stato di agitazione, i canali o meridiani sono impediti; conseguentemente il corpo perde di sensibilità e deve essere trattato con il massaggio (cap. V: Energia vitale, sangue, costituzione fisica e mentale dell’opera sopracitata). L’AMC, aspetto espressivo del taoismo prima e del buddismo chan poi, nasce come sistema fondato sul massaggio, sulla digitopressione e su “manovre di tipo osteopatico”. L’utilizzo degli aghi, della moxa, delle coppette era, e dovrebbe ancora essere, integrativo e mai interamente sostitutivo del contatto diretto delle mani e delle dita dell’operatore con il corpo dello “yin” (di chi, cioè, fruisce del trattamento). Poiché ogni trattamento di AMC è finalizzato ad armonizzare le energie di una persona, nessun sistema e nessun attrezzatura può essere più adatto a questo scopo della fonte diretta dell’energia vitale: le mani dell’operatore. Approfondimento Gli antichi maestri da sempre invitano a essere molto cauti nell’utilizzo degli aghi da agopuntura, pratica purtroppo assai inflazionata da parte degli agopuntori moderni. La pratica delle arti mediche nell’antichità era portata avanti necessariamente in parallelo con la pratica delle cosiddette “arti marziali”, in piena ottemperanza alla necessaria complementarietà degli opposti, nell’espressione della legge dello yin e dello yang. I nomi dei primi tecnici del massaggio conosciuti in Cina, vissuti secondo la tradizione cinese tra il 2600 e il 2100 a.C., sono Chi Bo, Dai Ji, Yu Fu. Da allora il massaggio cinese è stato sempre più utilizzato e sistematizzato. Nel V secolo a.C. visse Hua To, un medico che codificò le tecniche, tramandate fino ai giorni nostri, dei 5 animali terapeutici (scimmia, orso, serpente, tigre, airone). Dette tecniche sono esercizi posturali energetici che si ispirano alle movenze dei 5 animali sopracitati, eseguite al “ritmo” della respirazione funzionale (una respirazione effettuata con il movimento del diaframma, che deve anticipare sia in fase inspiratoria che in quella SportandAnatomy | 33 espiratoria, quello del torace) e finalizzati all’ottenimento del benessere e della longevità. Pao Pu Tzu Nei Pian (Il Maestro che abbraccia la semplicità del bambino), di Ge Hong (281-341 d.C.), è un prezioso manuale di alchimia interiore per l’ottimizzazione del consumo dell’energia vitale e un prontuario di prescrizioni per le emergenze. Esseziale ricordare Chang San Feng (Wudang, 1296 d.C.) e il suo Long Lun Nei Ching (Canone di medicina interna del drago e della fenice). È da questo trattato che vado a prendere spunto per la materia di insegnamento da me svolta all’interno del Master di Fisioterapia Sportiva, vale a dire il protocollo “Long Lun Shu Lao Tuina” (il massaggio dell’antico ruscello del Drago e della Fenice). Durante la dinastia Ming (1368-1644), il “tui na” e la medicina cinese furono introdotte come materia fondamentale d’esame alla Scuola Imperiale di Medicina. In questo periodo avvenne, per volere imperiale, una grande diffusione popolare della pratica del tui na e un imponente sviluppo delle tecniche di tui na (massaggio e digitopressione) pediatriche. Nella successiva dinastia Ching (1644-1911) si ritenne che il tui na fosse inadatto ai gusti raffinati della famiglia imperiale e quindi fu eliminato dalla corte e dalla Scuola Imperiale di Medicina. Ogni forma di proibizionismo, però, scatena sempre un fisiologico rebound, così il popolo ne continuò segretamente la pratica e ne sviluppò gli aspetti pratico-applicativi legati alla divulgazione popolare delle arti marziali, avvenuta sempre in gran segreto in quel periodo: un’enciclopedia medica del tempo, a opera di autori vari, parla de “gli 8 metodi per curare le fratture ossee” (“duànliè gu pa fa”). Nel XX secolo, l’inferiorità tecnica che il celeste impero sperimentò nell’incontro con l’Occidente (guerre dell’oppio, rivolta dei boxer) minò l’autostima del popolo cinese. Inizia così, da parte del popolo cinese, il crollo della fiducia nella propria cultura (AMC compresa) fino al momento in cui, nel 1949, con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese di Mao Tse-Tung, iniziò il periodo della “rivoluzione culturale” che, nei suoi diversificati aspetti, andò anche ad attivare un vero e proprio processo di epurazione di ogni aspetto delle antiche arti taoiste. Come fu immediatamente proibita la pratica delle “arti marziali”, furono anche distrutti migliaia di testi di antica medicina e ne fu proibito l’utilizzo da parte del popolo. Solo alla fine degli anni ’50, conseguentemente alla posizione assunta dalla Cina rispetto alla “guerra fredda” (evento che andò a delineare i blocchi contrapposti oriente/occidente), nacque l’esigenza di riproporre i prodotti dell’antica cultura cinese per dare al mondo intero l’immagine della potenza del “paese di mezzo” attraverso espressioni autoctone. In pochi anni furono ricodificati e risistematizzati sia la pratica delle arti marziali (proponendo quello che oggi vediamo, cioè delle pratiche spettacolari ma prive di qualsiasi nesso con la pratica antica originale) che i protocolli della moderna medicina tradizionale cinese (ricostruendo e riarrangiando ciò che degli antichi era scampato alla distruzione 34 | SportandAnatomy dell’epurazione culturale), offrendo una versione dunque “annacquata” dell’antica medicina, sterile di gran parte dell’efficacia terapeutica. Il mio maestro Huang Wan De ne è stato testimone e sofferente narratore. Fu infatti costretto a fuggire dalla Cina nel 1950 all’età di 42 anni per non finire ucciso dalle armi dell’esercito maoista, al tempo in “piena attività” per portare a realizzazione quello squallido esempio di scempio umano che prese per l’appunto il nome di “epurazione culturale”. Il padre del grande maestro non fu altrettanto fortunato e morì fucilato, “reo” solamente di essere uno dei maestri delle arti antiche, quelle arti antiche (mediche e di combattimento) che rappresentavano per l’appunto una delle radici più profonde della millenaria cultura cinese e che proprio per questo dovevano essere – ed effettivamente lo furono – estirpate con inumana violenza. In rispetto del maestro e di questo triste spartiacque storico, volontariamente adotto i termini della traslitterazione Wade Giles, e non quelli del pinyin, il sistema di trascrizione introdotto dalla Repubblica Popolare Cinese e a oggi ancora in uso (parlerò di “chi” e non di “qi”, di “tai chi chuan” e non di “tai ji quan”, ecc.). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha comunque riconosciuto la medicina tradizionale cinese all’interno delle medicine non convenzionali. L’MTC è considerata composta dai “5 pilastri”: il tui na, l’agopuntura, la terapia farmacologica, la dietetica, le terapie del movimento (tai chi chuan, chi kung). Restano in ogni caso le profonde differenze della MTC rispetto all’antica medicina. Società moderna e discipline orientali La società occidentale del terzo millennio è diventata, in questi ultimi tre decenni, estremamente permeabile a ogni tipo di concezione derivante dalle cosiddette discipline orientali antiche. In una società afflitta da problematiche dilaganti quali la microcriminalità in costante sviluppo da un lato e lo stress implodente dall’altro, tendiamo sempre più a importare le componenti culturali dell’antico oriente nel tentativo di integrarle alla mentalità e agli stili di vita occidentali per ottenerne un beneficio e un aiuto, riuscendo molto spesso, a operare solamente un processo di adattamento, che svilisce e impoverisce l’essenza originale di dette componenti. Il concetto di discipline orientali comprende tutta la gamma di attività incentrate sulla ricerca di una connessione psico-fisico-emozionale profonda e che compongono un continuum che parte dalle pratiche maggiormente indirizzate all’acquisizione di abilità nelle tecniche di combattimento (kung fu, karate, ju jitsu, ecc.) per arrivare alle pratiche maggiormente introspettive e finalizzate alla ricerca dell’equilibrio e della calma del dialogo interiore (chi kung, yoga, meditazione, ecc.). Lungo questo continuum si vanno a collocare altre attività che vanno a integrare i due aspetti dicotomici (ad esempio, il tai chi chuan) ed alcune pratiche più indirizzate agli aspetti medico terapeutici (tui na, shiatsu, agopuntura, ecc.). È proprio nell’importazione degli aspetti medico F. Nocchi terapeutici, soprattutto nell’applicazione della medicina tradizionale cinese, che l’impoverimento dell’essenza delle antiche arti mostra i suoi aspetti più paradossali. Molti sarebbero gli aspetti degni di attenzione e di approfondimento ma, per esigenze di sintesi espositiva tralasceremo per ora ogni riferimento agli aspetti storici, alle metodologie applicative e soprattutto al rapporto tra scienza moderna e antica medicina, per poterci concentrare su un concetto fondamentale ma dimenticato, e oggi poco o per niente conosciuto: la biotipicità energetica soggettiva. È un concetto che parte (e al tempo stesso arriva a dimostrare…) da un postulato fondamentale: ogni individuo possiede delle caratteristiche energetiche ed organiche uniche e diverse da quelle di ogni altro; conseguentemente a ciò ogni pratica terapeutica efficace solo parzialmente (o persino dannosa…) se non viene svolta tenendo conto delle suddette caratteristiche soggettive del paziente. Questo concetto viene definito a partire dallo Huang Dao, il calendario cinese. I postulati fondamentali dell’antica medicina cinese Vediamo sinteticamente alcuni degli assunti che costituivano le fondamenta stesse dell’intero sistema teoricopratico dell’antica medicina cinese: • tutto è uno, concetto basilare che parte dalla consapevolezza che non esiste in natura nessuna cosa considerata antitetica ad un’altra ma solamente ad essa complementare e integrante; il concetto viene espresso dalla legge yin/yang; • l’uomo è un OLOS composto da 4 sfere indipendenti e al tempo stesso interdipendenti l’una dall’altra. Queste 4 sfere sono: la sfera corporea, quella energetica, quella psico-emozionale e quella spirituale. Ogni intervento su una delle 4 sfere non può non avere effetti diretti sulle altre 3; • ogni uomo è un microcosmo facente parte integrante e indispensabile del macrocosmo natura; • ogni uomo vive in relazione ai flussi energetici della natura ed è governato dai ritmi delle leggi che governano la natura stessa. Così come la natura è in continuo mutamento, pur nella ripetitiva ciclicità dei ritmi che la regolano, pure l’uomo ha delle caratteristiche in ciclica variazione che sono regolate dalle leggi del cosmo; • conoscere le leggi che governano la natura ci permette di conoscere meglio le leggi che sostengono l’uomo nel suo essere nel mondo; • il profondo nesso che lega l’uomo alla natura, il fatto che l’uomo stesso è alimentato dalla stessa energia che alimenta la natura: il chi (pronuncia “cì”), l’energia vitale; • ogni uomo nasce con una sorta di serbatoio precostituito di chi (lo yuan chi, il chi dell’origine, che gli proviene dall’incontro delle energie dei genitori rafforzate o indebolite dalle energie naturali del giorno – o del periodo del concepimento. Nessuno può aumentare ma solo ottimizzare il consumo dello yuan chi, il quale, una volta terminato, sancisce la fine della vita terrena. Per ottimizzare il consumo dello yuan chi, gli antichi maestri utilizzavano tecniche psico-corporee particolari (meditazione, chi kung, tai chi chuan, ecc.) e adottavano un’alimentazione sana e una respirazione corretta basata prevalentemente sull’utilizzo del diaframma e della piena consapevolezza nell’atto respiratorio. La circolazione del chi nell’uomo è continua e garantita da un sistema di 12 meridiani (o canali ordinari ed 8 straordinari (per l’antica medicina qualsiasi malattia è soltanto uno squilibrio del flusso del chi, squilibrio che può essere ristabilito dal terapista con opportuni interventi sui punti di accesso all’energia, i punti dell’agopuntura, per capirsi). Il chi scorre, nel ciclo circadiano, in tutti i meridiani ordinari contemporaneamente ma raggiunge l’apice dell’energia per 2 ore circa in ognuno dei 12 meridiani secondo la Tabella I sotto riportata. Tabella I. Meridiani e picco massimo energia nella circolazione circadiana. Circolazione circadiana Orario picco max energia Polmone 03-05 Intestino crasso 05-07 Stomaco 07-09 Milza 09-11 Cuore 11-13 Intestino tenue 13-15 Vescica 15-17 Rene 17-19 Ministro del cuore 19-21 Triplice riscaldatore 21-23 Vescica biliare 23-01 Fegato 01-03 Ritmi della natura, ritmi dell’uomo Il 19 febbraio è stato il primo giorno del 2015 (anno della pecora) secondo il calcolo del calendario antico cinese e quindi, mentre il capodanno occidentale è convenzionalmente stabilito ogni anno nello stesso giorno (il 1° gennaio), il capodanno cinese varia a seconda degli anni, e questo perché il primo giorno dell’anno del nostro calendario gregoriano fu stabilito convenzionalmente rapportandosi alla data di nascita di Cristo (una settimana dopo la natività il popolo di Israele circoncideva i bambini), quello del calendario antico cinese invece è rapportato ai flussi energetici della natura, essendo stabilito all’indomani del novilunio più vicino alla data del 4 febbraio. Il capodanno cinese segna il primo giorno di primavera e le altre stagioni si rapportano a questa data: il 19 maggio 2015 inizierà dunque l’estate, il 19 agosto inizierà l’autunno e il 19 novembre l’inverno (un inverno corto, per- Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo SportandAnatomy | 35 Tabella II. Alcune delle corrispondenze più significative associate ai 5 mutamenti. Legno Fuoco Terra Metallo Acqua Organo Fegato Cuore Milza Polmoni Reni Viscere Cistifellea Int. tenue Stomaco Int. crasso Vescica Stagione Primavera Estate 5A stagione Autunno Inverno Corpo Tendini Muscoli Sistema cardiocircol. Tessuto connettivo Pelle Ossa midollo Emozioni Collera Gioia Preoccupazione Dolore Paura Senso Fasi vita Vista Tatto Gusto Olfatto Udito Nascita Crescita Trasformazione Declino Morte ché nel 2016 il capodanno, e quindi la primavera, avrà inizio – nell’anno della scimmia – l’8 febbraio). La comprensione di questo passaggio è essenziale da un punto di vista terapeutico. Ogni intervento deve essere impostato in stretta relazione con la legge dei 5 mutamenti (Tab. II), che diventa applicabile a partire proprio dalla sua connessione con la stagione e con i relativi organi e visceri. Pensiamo ad esempio che il 20 agosto 2010, per noi in piena estate, da un punto di vista di flussi energetici naturali era già in autunno, con la conseguenza che gli organi dovevano essere stimolati da parte del terapista in modo completamente diverso (estate = cuore/intestino tenue/vasi sanguigni/ecc.; mentre autunno = polmone/intestino crasso/pelle/ecc.). Il calendario cinese era stato costruito dagli antichi maestri per la comprensione delle energie della natura ed era stato strutturato riferendosi alle ritmiche interazioni tra le energie del cielo e quelle della terra, interazioni che si basano sulla conoscenza dei 10 tronchi celesti e dei 12 rami terrestri In particolare, i 12 rami terrestri esprimono sia la divisione della giornata in cicli biorari sia le cosiddette 6 energie fondamentali della natura (vento, umidità, aridità, freddo, fuoco ministeriale, fuoco imperiale) le quali vanno a collegarsi direttamente ai 12 meridiani energetici dell’uomo: ognuno dei 12 rami terrestri abbinato a un meridiano energetico dell’uomo ne esprime la relativa energia nel ciclo circadiano che abbiamo precedentemente visto scorrere nell’uomo in un flusso continuo di 2 ore in 2 ore. A ognuno dei 12 rami terrestri è correlato uno solo dei 12 animali del calendario cinese (Tab. III). I tronchi celesti sono 10 perché corrispondono ai 5 mutamenti (e quindi agli organi e visceri ai mutamenti correlati, rivedere Tab. II), in corrispondenza ed in combinazione coi 12 rami terrestri nel calendario antico, e determinano lo stato di energia di ogni anno. Poiché il minimo comune multiplo tra 12 e 10 è 60, è evidente che dopo 60 anni è possibile ripetere la combinazione di un’accoppiata ramo/tronco con identiche caratteristiche energetiche (Tab. IV). È importante osservare come l’animale topo, ad esempio, torna ogni 13 anni, ma avendo una combinazione diversa tronco/ramo due persone-topo ricevono Tabella III. Meridiani e circolazione energia in relazione agli animali del calendario antico e ai rami terrestri. Meridiano Orario picco max energia Animale corrispondente Ramo terrestre Polmoni 03-05 Tigre yin Intestino crasso 05-07 Coniglio mao Stomaco 07-09 Drago chen Milza 09-11 Serpente si Cuore 11-13 Cavallo wu Intestino tenue 13-15 Pecora wei Vescica 15-17 Scimmia shen Rene 17-19 Gallo you Ministro del cuore 19-21 Cane xu Triplice riscaldatore 21-23 Maiale hai Vescica biliare 23-01 Topo zi Fegato 01-03 Bue chou 36 | SportandAnatomy F. Nocchi Tabella IV. Anno Capodanno Animale Elemento Tronchi Rami 1924 5 febbraio Topo Legno Jia Zi 1925 24 gennaio Bue Legno Yi Chou 1926 13 febbraio Tigre Fuoco Bing Yin 1927 2 febbraio Coniglio Fuoco Ding Mao 1928 23 gennaio Drago Terra Wu Chen 1929 10 febbraio Serpente Terra Ji Si 1930 30 gennaio Cavallo Metallo Geng Wu 1931 17 febbraio Pecora Metallo Xin Wei 1932 6 febbraio Scimmia Acqua Ren Shen 1933 26 gennaio Gallo Acqua Gui You 1934 14 febbraio Cane Legno Jia Xu 1935 4 febbraio Maiale Legno Yi Hai 1936 24 gennaio Topo Fuoco Bing Zi 1937 11 febbraio Bue Fuoco Ding Chou 1938 31 gennaio Tigre Terra Wu Yin caratteristiche energetiche completamente diverse (jia/zi e bing zi). Un topo può avere potenzialmente le caratteristiche identiche alla persona-topo del 1924 nel 1984, anno in cui si ripresentano topo/jia-zi. Da ricordare che i 10 tronchi celesti permettono di calcolare le energie in mutamento giornaliero: il primo giorno del nuovo anno sarà jia, il secondo yi, l’undicesimo di nuovo jia, e così via per tutto il passare dell’anno. Di conseguenza, almeno in linea teorica, è evidente che: 1)dal momento stesso in cui vede la luce, ogni Uomo acquisisce una personalissima biotipicità energetica che lo rende unico ed irripetibile. Questa irripetibile biotipicità energetica è la risultante delle biotipicità energetiche dei genitori, dell’energia naturale dominante nel giorno del concepimento, dell’energia naturale dominante nell’anno, nel giorno e nel minuto della nascita del soggetto in questione; 2)la biotipicità energetica rappresenta la motivazione fondamentale, al di là di ogni altro aspetto prettamente teoretico/filosofico, del perché l’approccio terapeutico e l’attenzione dell’antica medicina sono rivolti costantemente al paziente e mai alla malattia: non solo una stessa malattia ha cause diverse in pazienti diversi, ma la stessa sintomatologia nello stesso paziente può avere cause diverse se manifestata in stagioni ed addirittura in cicli giornalieri differenti; 3)la biotipicità energetica, una volta calcolata, rappresenta un valore essenziale di riferimento per ogni intervento terapeutico che voglia essere realmente efficace. In base al tipo di Equilibrio energetico evidenziato dal soggetto, e in relazione al periodo dell’anno (stagione) in cui detto squilibrio si manifesta, si dovrà agire negli orari della giornata più idonei ad assecondare e soddisfare le esigenze energetiche del paziente. Ne consegue che ogni terapista dovrebbe esser disposto alla programmazione di un piano di interventi che si basi non sulla propria agenda (definita cioè sugli impegni del terapista) ma bensì su quella che può essere definita “l’agenda bioenergetica del paziente” (definita sulle reali esigenze energetiche del paziente) che non può tener conto né di giorni festivi, né di orari scomodi (a me è capitato di dover dare appuntamento la mattina del giorno di Pasqua alle 06.00!). Nell’antica medicina viene tramandato un unico trattamento che può essere applicabile a qualunque persona, al di là delle caratteristiche energetiche soggettive: è il “Long Lun Shu Lao Tuina” (“il massaggio dell’antico ruscello del Drago e della Fenice”). Si tratta di un intervento di armonizzazione energetica generale che la medicina tradizionale cinese di “maoista concezione” ha totalmente perduto. Il grande maestro Huang Wan De era solito dire: Non si può pensare di operare un qualsiasi trattamento al corpo senza che venga coinvolta anche la sfera energetica e quella psicoemozionale della persona: solo il sentiero tracciato dagli Shu Lao è esente da rischi… CORRISPONDENZA Franco Nocchi [email protected] Antica medicina cinese: capire le leggi della natura per capire e curare l’uomo SportandAnatomy | 37 JSA 2015;1:38-40 Christoph Schmitz MD, Dipartimento di Neuroanatomia, Università Ludwig-Maximilians, Monaco di Baviera, Germania La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta. Nuove prospettive e applicazioni in calciatori professionisti La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta è utilizzata anche per i giocatori dell’ACF Fiorentina. L’assistenza medica e fisioterapica a calciatori professionisti, nel corso della stagione agonistica, è una sfida enorme per tutti i soggetti coinvolti. La maggior parte dei giocatori vogliono recuperare ed essere in forma il più presto possibile dopo un infortunio perché vogliono tornare a giocare per mantenere il loro posto in squadra. Allo stesso modo è importante che i giocatori ritornino 38 | SportandAnatomy in piena forma il più rapidamente possibile anche durante una partita, ad esempio nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo. La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta è un metodo interessante e innovativo per contribuire a raggiungere questo obiettivo. Questo articolo si propone di essere una sorta di introduzione a questa nuova prospettiva. Approfondimento Essendo un anatomista specializzato e abilitato, oltre che un medico, ho coltivato per molti anni un interesse scientifico per le onde d’urto extracorporee. È diventato il mio lavoro quotidiano quando ho lavorato come Responsabile Internazionale dello Sviluppo Commerciale presso la EMS – Electro Medical Systems dal 2008 al 2009. Nel periodo trascorso presso la EMS, ho lavorato con medici e fisioterapisti di società di calcio professionistiche sullo sviluppo di nuovi approcci per l’impiego della RSWT nel trattamento di giocatori durante la stagione agonistica, che si discostassero notevolmente dalle normali pratiche di RSWT pubblicati in letteratura ortopedica, ad esempio, per il dolore al tallone o per il gomito del tennista. Gli elementi chiave della RSWT in fase acuta, oltre al trattamento quotidiano con RSWT stessa, si concentrano sull’obiettivo primario del miglioramento delle prestazioni del giocatore senza ricorso a doping e sulla scomparsa dal dolore senza mirare ad una pronta guarigione, così come sull’uso di RSWT nell’arco di pochi giorni, o addirittura ore, dopo un infortunio. Queste nuove pratiche vengono utilizzate con grande successo da club di alto livello negli Stati Uniti, in Brasile, Ecuador, Inghilterra, Italia e Norvegia, e più recentemente nella Bundesliga tedesca. N.B. Lo scopo di questa pratica non è la pronta guarigione ma la possibilità di permettere al calciatore di proseguire a giocare, idealmente senza alcuna interruzione. Per questo motivo, la RSWT in fase acuta, viene applicata sia durante la partita, tra il primo e il secondo tempo, che subito dopo la partita, così come durante gli allenamenti giornalieri. Quanto segue non descrive alcun trattamento specifico, ma piuttosto alcuni aspetti importanti al fine di creare le condizioni per l’utilizzo della RSWT in fase acuta in calciatori professionisti. 1) Fiducia Il primo passo è sempre un colloquio personale per superare molti dubbi fondati e alcune diffidenze. Le domande più comuni sono: “Funziona davvero?”, “Questo non è doping sotto mentite spoglie?”, “Il trattamento comporta qualche rischio collaterale non prevedibile per il giocatore?”, “Come faccio a spiegare al giocatore che alcuni trattamenti RSWT devono essere fastidiosi per poter essere efficaci?”, “Che tipo di terapie potrebbero essere efficacemente combinate con il trattamento RSWT?” e “Quali sono i limiti del trattamento RSWT?”. Le risposte a tutte queste domande si basano principalmente sulla nostra attuale conoscenza dei meccanismi molecolari e cellulari di azione delle onde d’urto sul sistema muscolo-scheletrico (vedi sotto). 2) Dotazione infrastrutturale Quando abbiamo iniziato ad utilizzare la RSWT in fase acuta sui calciatori della ACF Fiorentina, squadra della La terapia con onde d’urto radiali (RSWT) in fase acuta Steffen Tröster, fisioterapista presso il club tedesco FSV Mainz 05, attualmente militante nella Bundesliga, mentre sottopone alcuni calciatori a trattamento con RSWT in fase acuta serie A italiana, circa un anno fa, è stata sollevata la questione circa la necessità o meno di imaging medico. Le mie esperienze ai Giochi Olimpici di Atene 2004, Pechino 2008 e in particolare di Londra 2012 (vedi anche Henne M, Schmitz C. Stoßwellentherapie. Mythos oder Evidenz? Medicalsportsnetwork, Ausgabe 5.11; http://www.medicalsportsnetwork.com/archive/110338/Stosswellentherapie.html), mi hanno insegnato quanto sia importante una diagnosi chiara, soprattutto per gli atleti di élite, e come si debba avere la più grande cautela, in particolare in caso di rotture parziali di tendini e legamenti. Perciò, nel caso dell’ACF Fiorentina, quasi tutte le applicazioni di RSWT sono state precedute da un’ecografia. Naturalmente, questo non sostituisce l’uso di risonanza magnetica per immagini (RMI), di altre tecniche di imaging o di altre procedure diagnostiche, quando indicato. 3) Esperienza Una volta che la fiducia nelle possibilità della RSWT di fase acuta è consolidata, gli aspetti più importanti chiariti, e sono stati installati un’unità diagnostica ad ultrasuoni e un dispositivo SWT, il team di medici e fisioterapisti necessita di acquisire gradualmente esperienza e di consolidare le proprie competenze. In questo lasso di tempo sono sempre a disposizione via mail, telefono, SMS o WhatsApp per rispondere immediatamente a qualsiasi quesito, ad esempio durante l’intervallo di una partita. Questa è probabilmente la fase più importante nell’implementazione della RSWT in fase acuta ed è praticamente impossibile definire standard di carattere generale. Ogni club ha sviluppato una propria infrastruttura medico-fisioterapica, ogni medico o fisioterapista ha il proprio background, le proprie esperienze e percorsi terapeutici. Di conseguenza, qualsiasi club che utilizza la RSWT in fase acuta tenderà a creare un proprio approccio, fortemente personalizzato. SportandAnatomy | 39 4) Meccanismi di azione Di solito, durante la fase di acquisizione di competenze e consolidamento di esperienze, è normale che sorgano vari quesiti principalmente per quanto riguarda le modalità di trattamento e la durata. Raramente esistono risposte dirette a queste domande, a causa della impossibilità pratica di una validazione scientifica della RSWT in fase acuta in conformità con i criteri della evidencebased medicine. In realtà, molte ipotesi possono essere formulate sulla base della nostra attuale conoscenza dei meccanismi molecolari e cellulari di azione delle onde d’urto sul sistema muscolo-scheletrico, e mi piace fare riferimento a queste. Alcuni corsi organizzati dalla Swiss Dolor-Clast Academy (www.swissdolorclastacade-my. com) sono una fonte affidabile di elaborazione e divulgazione delle conoscenze attuali e sono aperti a tutti gli interessati. Tutti i formatori presso la stessa Academy hanno ricevuto un training estensivo. 5) Stabilire e sviluppare concetti e nozioni Determinate condizioni e lesioni, particolarmente comuni nei calciatori, possono essere trattate in modo rapido ed efficace con RSWT in fase acuta; in alcuni casi possono perfino essere del tutto prevenute. È estremamente stimolante vedere giocatori, per i quali la stagione si sarebbe dovuta concludere anzitempo a causa di achillodinia cronica o tendinopatia rotulea, continuare a giocare fino alla fine della stagione stessa, grazie alla RSWT in fase acuta. L’investimento iniziale per la RSWT in fase acuta ripaga sicuramente i club, perfino nel caso in cui siano costretti ridurre la rosa di un solo giocatore, semplicemente grazie alla riabilitazione più veloce e a una migliore prevenzione degli infortuni. Conclusioni La RSWT in fase acuta apre prospettive del tutto nuove per il trattamento dei calciatori professionisti, sia per la riabilitazione post- che per la prevenzione degli infortuni, a vantaggio di tutti i soggetti interessati, vale a dire giocatori, dirigenti e club. L’approccio terapeutico della RSWT in fase acuta differisce in modo considerevole dalle “normali” pratiche di trattamento con RSWT, che hanno l’obiettivo principale di una pronta guarigione, mentre il target primario della RSWT in fase acuta è quello di migliorare le prestazioni dei giocatori e l’eliminazione del dolore. Le tradizionali pratiche di trattamento con RSWT del sistema muscolo-scheletrico sono state documentate in numerose pubblicazioni scientifiche. Se volete scegliere, tra questa pletora di pubblicazioni, una selezione dei migliori e più significativi studi clinici realizzata da un organismo realmente indipendente (paragonabile ad una organizzazione di tutela dei consumatori), vale la pena di dare uno sguardo alla banca dati PEDro del Centre for Evidence Physiotherapy del George Institute for Global Health presso l’Università di Sydney (www. pedro.org.au). Ad oggi, la banca dati PEDro contiene un totale di circa 20 pubblicazioni sulla RSWT. Quindici di questi studi sono stati condotti con il dispositivo Swiss DolorClast® della Electro Medical Systems che ha sede a Nyon, in Svizzera*. Molti di questi 15 pubblicazioni sono state curate dai colleghi Jan-Dirk Rompe (Alzey, Germania), Ludger Gerdesmeyer (Kiel, Germania) e Markus Maier (Starnberg, Germania). L’autore è stato coinvolto in 2 di questi 15 studi. Queste pubblicazioni hanno in comune i seguenti concetti di fondo relativi al trattamento: 1) un approccio controllato e randomizzato, cioè il confronto con un trattamento con terapia alternativa o placebo; 2) l’utilizzo di RSWT solo dopo un periodo di attesa di diverse settimane o mesi di infruttuosa terapia conservativa convenzionale; 3) l’utilizzo sistematico di tecniche di imaging come ultrasuoni e MRI prima del trattamento con RSWT; 4) l’applicazione di RSWT per tre volte con regolari intervalli settimanali; 5) l’impiego di altri tipi di trattamento oltre la RSWT; 6) riposo del paziente durante il periodo di trattamento. In pratica, tale metodologia di trattamento è fuori questione per calciatori professionisti durante la stagione agonistica. Numerosi colloqui con medici e fisioterapisti di squadre di calcio professionistiche hanno dimostrato che la conduzione di studi randomizzati e controllati per la valutazione di nuovi approcci di trattamento è praticamente impossibile nel calcio professionistico. Questo è anche il motivo per cui queste sperimentazioni sono assai complicate da aggiungere a database di eccellenza come PEDro. Inoltre, raramente viene utilizzata un’unica terapia nel trattamento di lesioni in calciatori professionisti. Immagini: © www.violachannel.tv; © Steffen Tröster * Una raccolta dei contenuti dal database PEDro è disponibile presso l’autore. 40 | SportandAnatomy C. Schmitz JSA 2015;1:41-42 Intervista ad Antonio Stecco “La fascia è il tessuto dimenticato, ma fondamentale nella regolazione delle afferenze propriocettive” Xa X cura di Erika Calvani La fascia è una struttura membranosa composta da tessuto connettivo, estesa su tutto il corpo al di sotto della cute. Essa mette in rapporto i vari distretti corporei, riveste i muscoli e si invagina tra le fibre muscolari, coordinando un’articolazione con l’altra, correlando ogni parte del corpo con l’intero organismo e sincronizzando l’azione di ognuna con la totalità. Luigi Stecco, fisioterapista dal 1975, dopo aver maturato una pratica professionale trentennale ha messo in luce l’importanza della fascia nel trattamento delle affezioni muscolo-scheletriche, elaborando i fondamenti tecnici della Manipolazione Fasciale. Il fasciaterapeuta non concentra l’attenzione sull’area di manifestazione sintomatica o sull’articolazione, ma su particolari aree della fascia definite centri di coordinazione. Il trattamento della sintomatologia dolorosa avviene attraverso l’intervento manipolativo sulle densificazioni fasciali localizzate sui rispettivi Centri di Coordinazione responsabili della disfunzione o del dolore. Analizziamo il metodo della manipolazione fasciale insieme ad Antonio Stecco, attuale Presidente dell’Associazione Manipolazione Fasciale (A.M.F.). Qual è il concetto primario su cui si fonda il metodo della manipolazione fasciale? Il principio base della manipolazione fasciale è il ripristino del normale scorrimento sia intrafasciale che tra fascia ed epimisio, in specifici punti corporei che abbiamo codificato. Il pregio di questo metodo è la lunga durata dei risultati. Ciò è permesso da una specifica valutazione del paziente tramite la compilazione di una cartella elettronica, che ordina e guida il terapeuta nella scelta dei punti da trattare. Tale cartella elettronica è apprezzata un po’ in tutte le quaranta nazioni in cui stiamo tuttora insegnando la manipolazione fasciale. Tutti i partecipanti si stupiscono per la metodologicità dalla MF e delle chiare linee guida che vengono fornite per aiutare notizie il terapeuta a raccogliere i dati utili a decidere il piano terapeutico. Che cosa è la densificazione della fascia e come può causare alterazioni strutturali fino all’insorgere di sindromi dolorose? La densificazione è un aumento della viscosità della sostanza collagenica lassa presente in diversi compartimenti del corpo. Un aumento della viscosità intrafasciale, tra fascia ed epimisio, genera una diminuzione di scorrimento, riducendo il range articolare e iperattivando i meccanorecettori, i quali invieranno al SNC una informazione errata (tipiche sintomatologie legate alla sindrome di dolore muscoloscheletrico non specifico). Come la manovra manipolativa può riportare l’equilibrio tensionale del sistema fasciale? Abbiamo pubblicato due articoli che mostrano ecograficamente la modificazione del tessuto fasciale pre- e post-trattamento della fascia. In un articolo abbiamo evidenziato l’inspessimento della fascia dovuto a un aumento intrafasciale della sostanza collagenica lassa. Nei controlli post trattamento e di follow-up si è notato una normalizzazione dello spessore della fascia, maggiore rispetto al gruppo di controllo. Nel secondo articolo abbiamo dimostrato come, con la MF, siamo riusciti a diminuire la “rigidità” della fascia tramite una valutazione elastosonograpica. Tale valutazione, mediante un particolare software ecografico, valuta la rigidezza dei tessuti. Da anni l’AMF studia le potenzialità terapeutiche della manipolazione fasciale. Quali sono le ultime evidenze scientifiche circa la funzione anatomica della fascia? Abbiamo pubblicato lo scorso anno l’efficacia della manipolazione fasciale per il tunnel carpale e per la cifosi SportandAnatomy | 41 funzionale nell’adolescente. In merito al primo articolo abbiamo confermato come l’intrappolamento del nervo mediano può avvenire a diversi livelli e non solo al legamento del carpo. Per tale motivo la manipolazione fascialE, agendo in più segmenti corporei, riesce a diminuire l’intrappolamento che si genera tra nervo ed epinevrio (il tessuto fasciale che circonda il nervo). Tale studio conferma il ruolo della fascia nell’intrappolamento nervoso e avvalora la manipolazione fasciale come metodo di diagnosi e trattamento. Il risultato che ci entusiasma di più è la durata dei risultati stessi, che si mantengono nel lungo termine. Gli ultimi studi sulla fascia in ambito di trattamento delle affezioni muscolo-scheletriche? Stiamo ora completando un lavoro sulla lombalgia cronica con l’università di Bologna. Sarà pubblicato entro la fine dell’anno. Si tratta di uno studio clinico randomizzato che evidenzia la superiorità dalla Manipolazione Fasciale in confronto a un altro trattamento, con risultati che si mantengono nel tempo. Con l’università di New York NYU abbiamo fatto prima uno studio preclinico, e ora clinico, sul trattamento della fascia in soggetti con rigidità muscolare. Lo studio preclinico è già stato pubblicato. Non nego l’entusiasmo presente tra i mie colleghi del Motor Recovery Lab del Rusk Institute. Abbiamo generato un brevetto che ci permetterà di approfondire ancora di più gli studi su questo nuovo campo di applicazione della manipolazione fasciale. Abbiamo già introdotto alcune applicazioni nel III livello del corso di manipolazione fasciale, ma il nostro intento è di migliorare ancora di più le linee guida nell’edizione 2016. Come si comporta il fasciaterapeuta di fronte a un segnale di dolore a livello muscoloscheletrico? Chi usa MF deve valutare il paziente tramite le nostre linee guida, che comportano l’uso della cartella di MF. Questa cartella (ora anche in formato elettronico) aiuta il terapeuta nel collezionare le informazioni necessarie per arrivare a un corretto Per approfondimenti Luomala T, Pihlman M, Heiskanen J, et al. Case study: could ultrasound and elastography visualized densified areas inside the deep fascia? J Bodyw Mov Ther 2014;18:462-8. Stecco A, Meneghini A, Stern R, et al. Ultrasonography in myofascial neck pain: randomized clinical trial for diagnosis and followup. Surg Radiol Anat 2014;36:243-53. 42 | SportandAnatomy trattamento. Certo il ragionamento clinico non può essere dettato dal software. Quando è consigliata la manipolazione fasciale? In ambito sportivo in quali quadri algido-disfunzionali trova maggiori risultati? Abbiamo formato diversi fisioterapisti che lavorano in ambito sportivo, non per ultimo il team che segue Juventus, Diamonds baseball team in USA, Worcester Rugby Team in UK, Net basketball team di NYC e molti altri. L’applicazione della MF è la più svariata. È indicata nelle sintomatologie dolorose quanto in quelle legate al deficit di propriocettività. Diversi articoli dimostrano come la fascia sia la struttura chiave che regola le afferenze propriocettive. Il rapporto tra manipolazione fasciale e prevenzione? Con diverse squadre sportive stiamo applicando un protocollo di valutazione pre-stagione sportiva per diminuire i traumi maggiori. Stiamo raccogliendo risultati preliminari molto incoraggianti. Il rapporto tra manipolazione della fascia e riabilitazione? Diversi organismi internazionali, come la ISPRM (Società internazionale di fisiatria), stanno sostenendo l’applicazione della MF in ambito riabilitativo come strumento valido per questa branca della medicina. Quanto è importante per un professionista in ambito sportivo e riabilitativo conoscere la fisiologia della fascia nello svolgimento del proprio lavoro quotidiano? Purtroppo la fascia è “il tessuto dimenticato”. Non conoscere l’anatomia e la fisiologia della fascia equivale ad avere una lacuna nelle basi scientifiche che supportano tutto il lavoro clinico. In tutti i congressi internazionali viene data sempre più attenzione a tale tessuto, ma queste nuove informazioni non potranno essere a disposizione di tutti finché non verranno inserite nel curriculum formativo professionale. Pratelli E, Pintucci M, Cultrera P, et al. Conservative treatment of carpal tunnel syndrome: comparison between laser therapy and fascial manipulation(®). J Bodyw Mov Ther 2015;19:113-8. Ćosić V, Day JA, Iogna P, et al. Fascial Manipulation(®) method applied to pubescent postural hyperkyphosis: a pilot study. J Bodyw Mov Ther. 2014;18:608-15. E. Calvani Sport and Anatomy Non cercare avventure inutili scegli il titolo universitario La fascia è il tessuto dimenticato SportandAnatomy | 43