Apprendere a fare l`insegnante. La pratica del mentoring

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Apprendere a fare l`insegnante. La pratica del mentoring
Apprendere a fare l’insegnante.
La pratica del mentoring
Laura Sara Agrati
Università di Bari Aldo Moro
[email protected]
Abstract
Nel presente contributo, prendendo spunto da una serie di riflessioni espresse
sull’argomento (Agrati, 2010 a & b), affronteremo nel dettaglio la pratica del mentoring - l’affiancamento tra docente-accogliente
e studente-insegnante durante il tirocinio
attivo - inserita nei percorsi di formazione
all’insegnamento.
Nella prima parte effettueremo una panoramica sulle pratiche di mentoring all’interno
dei curricoli di formazione in Paesi come
Italia, Canada e Gran Bretagna e, dopo aver
fatto emergere le peculiarità, ne tenteremo
una sintesi.
Nella seconda parte ci soffermeremo nella
descrizione dell’e-mentoring come ultima frontiera della formazione insegnante: verranno
presentati degli esempi rappresentativi e
collaudati nell’ambito della formazione adulta in generale, successivamente ne verranno
tracciate le caratteristiche emergenti, nello
specifico della formazione insegnante, attraverso le riflessioni della ricerca più attuale
circa le criticità e i vantaggi.
Abstract
This paper, inspired by a series of reflections
on the subject (Agrati, 2010 a & b), addresses the details of the practice of mentoring
as included in teacher training courses.
The first part of the paper offers an overview
of mentoring practices within training curricula in countries such as Italy, Canada and
Great Britain. In this section, their main features will be highlighted and then summarized.
The second part focuses in the description
of e-mentoring as the last frontier of teacher
training: relevant illustrative examples in the
context of adult education, in general, will be
presented and then its emerging features
will be dealt with in the particular context
of teacher training, through the reflections
about its strengths and weaknesses as included in the latest research.
Parole chiave: Formazione degli insegnanti,
mentoring, e-mentoring.
Keywords: teacher training, mentoring, ementoring.
Roig Vila, R. & Laneve, C. (Eds.) (2011). La práctica educativa en la sociedad de la información. Innovación a través de
la investigación. La pratica educativa nella società dell’informazione. L’innovazione attraverso la ricerca (pp. 33-45).
Alcoy - Brescia: Marfil & La Scuola Editrice.
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LAURA SARA AGRATI
1.
MENTORING E FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI
Come il senso comune definisce il mentore ora la guida esperta ora il consigliere fidato,
anche la ricerca educativa non è ancora giunta a descriverne unanimemente i caratteri, le
competenze e le funzioni, tanto da definirla apertamente come una figura “complessa, sfuggente, misteriosa” (Gay, 1994, p. 4.).
Il mentore, al di là delle precisazioni di ambito, rappresenterebbe un punto di riferimento
per l’inesperto, per il novizio in quanto garantisce:
a) il passaggio delle informazioni, relative al lavoro e al contesto e normalmente inaccessibili (e per questo contribuirebbe alla costruzione del sapere del soggetto in formazione);
b) il trasferimento di abilità complesse (come l’analisi delle situazioni, il problem finding e
il problem posing), apice per l’elaborazione del saper fare;
c) l’espressione di modi di essere, criteri di scelta e valori che attengono alla dimensione
del saper essere.
Ed è all’incrocio di queste tre aree che si colloca lo sfaccettato profilo del mentore; è nel
differente dosaggio di tali componenti (sapere, saper fare, saper essere) che si differenziano
gli studi e le riflessioni sulle caratteristiche del mentoring e i tentativi di una sua definizione1.
Per quanto riguarda la possibilità di individuare le competenze caratterizzanti il mentore,
alcuni studiosi sostengono l’inutilità dell’impresa richiamando gli aspetti intrinseci della relazione di mentoring – l’essere situata, temporale e strettamente personale; altri (Clutterbuck,
2004), al contrario, caldeggiano la necessità di una loro precisazione per evitare del generalismo deleterio e la confusione con altre relazioni formative come il tutoring, il coaching, in
primis. Proponiamo il seguente schema come una delle possibili sintesi delle competenze del
mentore (fig. 1).
Figura 1. Fonte: rielab. di Agrati (2010) da Perchiazzi (2009) e Clutterbuck-Lane (2004).
1
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Fermento sembrerebbe caratterizzare la letteratura interessata a stabilire quali siano le azioni che svolge prevalentemente il mentore, le funzioni che assolve, le competenze che possiede, gli effetti che si hanno sull’allievo: tali livelli
sono spesso sovrapposti e quasi mai definiti con chiarezza. Per ragione di sintesi indichiamo solo: Clutterbuck, 1995;
Clutterbuck & Lane, 2004; Caruso, 1992.
Apprendere a fare l’insegnante. La pratica del mentoring
Osserviamo due macro-categorie: la prima riguarda la gestione della situazione, l’aspetto,
potremmo definire, “puntuale” del rapporto con l’allievo – la capacità di rispondere appropriatamente ai suoi bisogni mutevoli e di conciliare gli scopi che ciascuno dei due pone al termine
del rapporto; la seconda è quella attinente la gestione del rapporto, sotto l’aspetto della sua
durata temporale – la capacità di abbrivio, di stabilire una direzione e una progressione, il
saper concludere il rapporto e gestire la fase del “post”.
Il Progetto Maitre2 ha indicato, inoltre, quali dotazioni caratterizzanti il mentore efficace:
– lo story telling: l’abilità di raccontare una storia rilevante ed evocativa tratta dalla propria
esperienza passata o dalla letteratura, che sia esemplificativa o importante per la situazione che sta attraversando l’allievo;
– l’intelligenza emotiva: essere consapevole, da un lato, delle proprie emozioni per aiutare il
mentée a capire gli effetti che queste hanno nel comportamento; dall’altro, dell’influenza
personale, ossia di tutto quel livello sommerso della comunicazione (retorica, sensibile,
per cenni ecc.) così incidente a livello di animazione, motivazione e consolidamento del
rapporto.
– le competenze pedagogiche: ovvero – in estrema sintesi – la capacità di identificare
il know-how da trasferire al mentée e di preparare situazioni di apprendimento favorevoli; di fornire istruzioni e indicare metodi di gestione delle situazioni; di stimolare
l’autovalutazione della propria esperienza.
Queste, en gross, le caratteristiche del mentoring in generale. Quali le specificità del
mentoring nella formazione dell’insegnante? Prima di rispondere al quesito, formulato nelle
sue declinazioni internazionali, ci soffermiamo brevemente sui presupposti storici ed epistemologici che hanno consentito l’introduzione di tale pratica nel curricolo di formazione
all’insegnamento.
Il mentoring inteso come l’affiancamento tra insegnante-esperto ed insegnante-inesperto
nasce di fatto col tirocinio e deve, come questo, il suo riconoscimento epistemico alla rivalutazione del sapere pratico quale componente indispensabile del futuro insegnante3. Quando,
poi, è stata riconosciuta la necessità di costruire programmi di induzione professionale4 che
garantissero non solo il trasferimento di conoscenze ma, soprattutto, l’elaborazione di abilità
complesse quali, tra le altre, il problem-finding e problem-posing, è stata colta sempre più nitidamente la rilevanza del mentore, l’insegnante veterano, quale figura in grado di garantire la
qualità stessa dell’imprinting professionale.
Nel corso del tempo tale figura del mentore (o teacher-mentor, nei paesi anglofoni) ha
assunto un’identità più precisa: si passa da un primo abbozzo centrato sulla soddisfazione dei
bisogni del novizio – emotivi, sociali e amministrativi – fino ad esplicitare un profilo più definito
con determinati requisiti di tipo personale e professionale (Elliott & Calderhead, 1995, pp.
35-55). Si è giunti, di fatto, a percepire la differenza di ruolo tra mentore – interno alla scuola,
con funzione di accoglienza – e tutor, con il compito di facilitare, attraverso un impegno di
decontestualizzazione, la presa di coscienza dei processi di adattamento e aprire allo sviluppo
professionale. Il primo con funzione di chi accompagna nelle classi di sua responsabilità lo stu2
Mentoring training materials and resources, progetto del 2005 del Programma Leonardo curato da studiosi di diversi
paesi europei. Per un approfondimento, cfr. Perchiazzi, (2009, pp. 225-32).
3 Su questo aspetto cfr. Damiano, (1998, 2004, 2006).
4 S. Veenman coniò a tale proposito la fortunata espressione «shock da realtà», l’impatto con la realtà della scuola dei
novizi insegnanti. In Veenman (1984).
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dente e futuro collega, lasciandosi osservare all’opera e dedicandosi ad osservarlo in prove più
o meno impegnative; il secondo con la funzione di chi promuove presso il tirocinante, appunto,
la decontestualizzazione dell’esperienza.
L’ETUCE, European Trade Union Committee for Education, ha prodotto nel 2008 un documento, Teacher Education in Europe. An etuce Policy Paper, in cui vengono confrontati i
programmi di formazione all’insegnamento dei Paesi europei e analizzata la loro ricaduta in
termini economici5. Emerge, tra le diverse figure preposte alla formazione dell’insegnante, la
centralità del mentore, un insegnante veterano col compito di introdurre il tirocinante nella
pratica dell’insegnamento durante la fase induttiva del tirocinio pratico. Tale momento, definito espressamente di mentoring, assume un ruolo importante nella formazione professionale
del futuro insegnante perché rappresenta la prima esperienza di analisi della pratica in classe,
ossia di osservazione della pratica reale dell’esperto, di discussione delle scelte e dei criteri
di azione6.
Su come il mentore debba introdurre il tirocinante nella pratica di insegnamento, però, il
documento non fa alcun cenno. L’approfondimento di alcune esperienze nazionali ed internazionali ci servirà per entrare nel merito delle strategie, là dove indicate, senza tuttavia, per
ragioni di sintesi, soffermarci su aspetti come l’organizzazione del curricolo, il raffronto con le
altre figure della formazione insegnante.
Italia
In Italia la normativa ha indicato per la prima volta la figura del mentore, definito “tutoraccogliente”, nel 19987, distinguendola dal supervisore di tirocinio definendola, successivamente come “figura di rilievo per l’espletamento del tirocinio presso la scuola [...] indispensabile come riferimento per la progettazione e lo svolgimento di quelle fasi del tirocinio, attive e
qualificanti sul versante specifico dell’esercizio professionale, che sono condotte in classe”8.
Non si entra, di fatto, nello specifico dei compiti che tutor-accogliente deve assumere, tanto
meno nel tipo di relazione (frequenza degli incontri, gestione dei ruoli ecc.) che intrattiene
col tirocinante.
La vaghezza normativa e l’autonomia organizzativa degli Ateneo ha consentito il proliferare
di modus operandi specifici9 che, sulle funzioni del tutor-accogliente, possono essere sintetizzate come di seguito:
a) ottimizzazione, ossia di accordo e mediazione tra le indicazioni del supervisore e le
5
Teacher Education in Europe. An ETUCE Policy Paper (2008). European Trade Union Committee for Education, Brussels. Recuperato da www.etuce.homestead.com
6 È posto particolare accento sulle caratteristiche del mentore: non solo avere una fondata esperienza di insegnamento, pieno possesso delle conoscenze disciplinari, ma soprattutto avere la capacità di elaborare tale esperienza e tale
sapere, soprattutto nei risvolti propriamente pedagogici e didattici e nelle interconnessioni tra teoria e pratica. Deve,
inoltre, dimostrare attitudine alla condivisione della conoscenza ed accoglienza nei confronti dei futuri insegnanti. Per
questo il documento manifesta la necessità di prevedere un adeguata formazione post-laurea per il mentore (master
di II livello o dottorato).
7 D.M. 26 maggio 1998, Criteri generali per la disciplina da parte delle Università degli ordinamenti dei Corsi di laurea
in Scienze della formazione primaria e delle Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario, Allegato B e C.
8 C.M. 21 aprile 2000, n. 130, Schema di decreto legislativo concernente “Definizione delle norme generali in materia
di formazione degli insegnanti ai fini dell’accesso all’insegnamento, ai sensi dell’articolo 5 della legge 28 marzo 2003,
n. 53, corretto successivamente dal d.r. del 25 febbraio 2005, art. 5”.
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Apprendere a fare l’insegnante. La pratica del mentoring
esigenze/bisogni dello studente; questo si esplica sia nella fase della progettazione
dell’intervento didattico sia in quelle del suo svolgimento e verifica;
b) training, ossia di esercitazione nell’azione didattica dello studente;
c) supporto epistemico, ovvero di confronto tra il sapere teorico e il sapere pratico, proprio
e dello studente;
d) educazione, ossia di promozione della crescita in autonomia e della maturazione critica.
I documenti di Ateneo riconoscono il peso del tutor-accogliente nella formazione del futuro
insegnante senza, tuttavia, fornire indicazioni operative. Quale trend sembrerebbe inaugurare
la recente riforma della formazione insegnante10?
Si imparerà ad insegnare insegnando e attraverso una riflessione critica e sistematica
sull’esperienza, è stato detto, o, com’è per bocca dello stesso Ministro, “si passa dal sapere
al sapere insegnare con il nuovo tirocinio ci si forma soprattutto sul campo. Il tirocinio avverrà
direttamente in classe sotto la guida di un docente tutor per avere maggiori garanzie di risultato”11. Perché tale sottolineatura? Cosa garantirebbe, secondo le intenzioni, il docente turor?
I tutor dei tirocinanti, così ribattezzati e designati dal dirigente scolastico tra i docenti di ruolo che ne fanno domanda, “hanno il compito di orientare gli studenti rispetto all’organizzazione
istituzionale e didattica e rispetto alle diverse attività e pratiche in classe, di accompagnare
e monitorare l’inserimento in classe e la gestione diretta dei processi di insegnamento degli
studenti tirocinanti”.
Se leggiamo più nel dettaglio il documento prodotto dal Gruppo di lavoro incaricata di redigere il documento per la riforma12, in merito agli obbiettivi generali del tirocinio e le misure previste per il loro raggiungimento, notiamo che per l’acquisizione delle “capacità pedagogiche,
didattiche, relazionali e gestionali” sono considerate di primaria importanza l’osservazione e
l’esperienza attiva nell’istituto scolastico ospitante “sotto la guida del tutor”. Alla figura del
tutor-accogliente è accordato di fatto un ruolo contrale – quello di contribuire all’acquisizione
delle componenti trasversali (le capacità pedagogico/relazionali). Egli partecipa attivamente
alla formazione dei tirocinanti guidando la sua esperienza concreta che si realizza nella forma
passiva – di osservatore – e attiva – quando comincia ad assumere quel minimo di responsabilità come insegnante alle prime armi e intrattiene relazioni concrete con alunni portatori di
vissuti e bisogni formativi reali.
9
Nel Regolamento generale. Tirocinio studenti, Corso di laurea in Scienze della formazione primaria, Università di
Reggio Emilia, a.a. 2007/2008 si legge: “il tutor [...] accompagna lo studente durante l’attività di tirocinio all’interno
della propria classe/sezione, fornendo eventuali spiegazioni, dando suggerimenti, rispondendo a dubbi e domande;
conferma la presenza in classe/sezione dello studente controfirmando apposito modulo; valuta il comportamento e
l’attività dello studente all’interno della scuola esprimendo un sintetico giudizio sull’apposita modulistica consegnata
dal spv [supervisore]”.
10 Schema di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, recante regolamento concernente “Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale del personale docente del sistema
educativo di istruzione e formazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n.244”. Tra le
novità: ampliamento e maggiore organizzazione del tirocinio; istituzione del Consiglio di corso di tirocinio; peso decisivo della valutazione del dirigente scolastico e dei docenti senior; peso significativo delle scuole nella programmazione
e gestione dei futuri corsi di formazione; l’introduzione di attività di ricerca e riflessioni critica sulle esperienze, a fianco
delle discipline base.
11 Conferenza stampa, Palazzo Chigi alla firma del Regolamento sulla formazione iniziale dei docenti, 10 settembre
2010.
12 Bozza di regolamento per la formazione e reclutamento dei docenti, 23 febbraio 2009. www.istruzione.it
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LAURA SARA AGRATI
Né legge né documento preparatorio entrano nel merito del “come”, non forniscono indicazioni sulla maniera di realizzare l’osservazione e l’attività del tirocinante e, soprattutto, non
dicono nulla sulle forme di intervento del “tutor dei tirocinanti”. C’è da attendere la maniera
che ogni Ateneo deciderà di darsi...
Nell’attesa che i tempi maturino, rivolgiamo, la nostra attenzione ad alcune delle esperienze più significative dell’estero, dove si è giunti a un grado più elaborato di definizione dei
rapporti tra teacher-mentor e student-teacher.
Canada
Senza poterci soffermare sulle caratteristiche dell’intero curricolo di formazione13, indichiamo brevemente le funzioni del mentore durante il tirocinio.
Il suo ruolo è definito “cruciale per la crescita del futuro insegnante, in quanto lo introduce
nella vita dell’insegnante professionista, lo assiste nello sviluppo delle sue abilità e lo aiuta
a comprendere il percorso di formazione” (Teacher Education Program, 2009): egli modella,
riflette e articola buone pratiche di insegnamento restando aperto alle alternative; mette a
disposizione il proprio tempo e le proprie risorse per discutere; supervisiona la condotta dello
studente fornendo supporto e feedback; va alla ricerca dei punti di forza nella pratica del formando, incoraggiando “con garbo” quando è necessario.
Perché tale ruolo definito “vitale” sia di effettiva preparazione, la relazione deve seguire
un preciso tracciato, un dialogo che scandisce momenti di osservazione e riflessione a due
livelli.
Il primo. Quando lo student-teacher (s-t) comincia ad assumere la responsabilità della
classe il teacher mentor (t-m) monitora la sua attività attraverso un ciclo fatto di a) dialogo
preliminare (s-t espone le intenzioni; t-m chiede precisazioni), b) osservazione (da parte del
t-m), c) dialogo successivo (sulla basa dei dati raccolti dal t-m si attiva la discussione su
quanto è avvenuto)14. Quest’ultimo rappresenta il primo vero momento di formazione riflessiva del futuro insegnante chiamato a descrive dal suo punto di vista e le eventuali modifiche rispetto alle intenzioni iniziali, ma soprattutto a dar conto delle scelte e delle decisioni
operate.
Il secondo. L’obbiettivo non è più quello di analizzare la pratica dello s-t ma di rendersi
conto di come tale analisi sia stata condotta e quali effetti abbia generato. Ci si concentra,
tra l’altro, su: a) la distribuzione, i tipi e i livelli di approfondimento delle domande; b) il numero e il tipo di risposte (volontarie o sollecitate, dirette o indirette ecc.); c) i tempi di attesa
tra domanda e risposta, i silenzi; d) le forme di chiarimento, feedback, rinforzi ecc.).
Sottolineiamo due aspetti del dialogo “a spirale” descritto:
a) non parte dall’osservazione della pratica del mentore, l’azione esemplare dell’esperto,
tutto, invece, è incentrato sull’azione dello s-t e sulla sua capacità autoriflessiva;
b) non si rifà al modello imitativo tradizionale, basato sull’esempio proposto dall’esperto15
13 Diciamo solo che nel percorso di due anni post-laurea dell’insegnamento primario, lo student-teacher canadese incontra il teacher mentor dal secondo semestre durante il tirocinio nella fase, definita, di “integrazione tra conoscenze
e pratica” quando, lavorandoci a stretto contatto, assume gradatamente i doveri da insegnante.
14 Della discussione che si svolge successivamente all’osservazione viene presentato un report da inserire tra i
materiali utili alla valutazione finale dell’esperienza di tirocinio.
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Apprendere a fare l’insegnante. La pratica del mentoring
ma ad un modello argomentativo basato non sulla correttezza delle azioni ma sul modo
in cui queste sono ricostruite, significate e giustificate.
Il ruolo del mentore canadese, allora, sembrerebbe più che di maestro, di maieuta che,
attraverso il dialogo, riesce a condurre l’inesperto lungo un tragitto che parte da se stesso
(l’analisi della propria pratica) e conduce a se stesso (la presa di coscienza su tale analisi)16.
Gran Bretagna
In un documento17 si legge che “la buona qualità del mentoring fornisce un importante contributo allo sviluppo delle competenze professionali dei novizi” e “assicura la migliore qualità
per l’apprendimento degli alunni”.
Le abilità riconosciute come indispensabili nel mentore sono: osservare la pratica dello s-t;
rivolgere domande; offrire consigli e feedback; fornire istruzioni pratiche; ascoltare per comprendere; offrire una guida, essere da esempio, e poi, su un livello espressamente... riflettere,
sintetizzare, raccontare, parafrasare.
Anche la relazione di mentoring dev’essere caratterizzata da una serie di elementi come:
una continua conversazione a scopo apprenditivo, dei momenti di riflessione e di condivisione
sull’accaduto, di valutazione delle conseguenze delle scelte effettuate, di focalizzazione sul
processo di insegnamento e apprendimento, un mutuo beneficio e, in particolare, la riservatezza sulle informazioni personali.
Tale relazione ha inizio già nella prima fase del tirocinio e l’assegnazione del mentore
al novizio è svolta dal consiglio universitario che ne raccoglie i profili. Il novizio svolge la
sua attività in classe alla presenza del mentore e si incontra frequentemente18 con lui/lei
per discutere dei suoi progressi e ricevere consigli. Negli incontri si stabiliscono le attività
da svolgere, vengono valutate le osservazioni svolte in classe e, interessante sottolineare,
discutono sulle abilità e competenze già o non ancora acquisite rispetto al profilo indicato
dal consiglio universitario.
È importante che nelle discussioni relative alle attività e agli step successivi del percorso
formativo il mentore sia in grado di fornire feedback utili e sappia porsi nei confronti dell’allievo
in maniera empatica, incoraggiante e disponibile senza eccessive enfatizzazioni ma attraverso
uno sguardo realista sulle effettive possibilità. Il livello della discussione, infatti, non verte
esclusivamente sulle azione compiute ma sui criteri che le hanno guidate. Queste sono considerati elementi indispensabili per migliorare l’intera pratica di formazione.
Il mentore incoraggia, inoltre, l’allievo a prendere parte ad una serie di attività, come
delle opportunità di sviluppo, tra le quali le visite nelle classi della scuole o di altre scuole; lo
svolgimento di una lezione sulla base delle indicazioni date; la partecipazione agli incontri
tra colleghi.
15 Facciamo riferimento all’approccio costruttivista del cognitive apprenticeship, in Brown, Collins & Duguid (1989, pp.
32-42).
16 Per un approfondimento cfr. Agrati, (2010 b).
17 Il Mentoring in teacher education, pubblicato nel 2008 dall’ufficio dell’educazione del governo scozzese, è una sintesi
delle buone pratiche di formazione dell’insegnante in Scozia. In particolare segnaliamo il caso della St Vincent’s Primary School di East Kilbride nel South Lanarkshire. Per uno studio scientifico a tale proposito rimandiamo a McNally
(2006, pp. 79-90).
18 Non solo sulla base di un calendario stabilito formalmente ma anche in occasioni spontanee e informali.
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LAURA SARA AGRATI
Il profilo del mentore britannico si correda, pertanto, di aspetti che vanno al di là
dell’esclusivo supporto delle attività didattiche in aula e nella riflessione sulla propria esperienza (es. Canada); egli stabilisce le fasi di un progetto di crescita professionale e si presenza
come facilitatore d’ingresso o passepartout all’interno dell’organizzazione scolastica. Per assolvere tale funzione che potremmo definire semi-dirigenziale il mentore è supportato da uno
staff scolastico e da fondi finanziari esclusivamente destinati a tale scopo19.
Sulla base delle caratteristiche appena accennate è possibile attivare un confronto minimo
che possa far emergere alcune costanti nella pratica del mentoring proprie della formazione
insegnante.
In linea generale possiamo notare come esse siano strutturate sulla base di un ciclo continuo di osservazione e discussione che porta il mentore e l’allievo ad approfondire le esperienze vissute o quelle a cui si è assistito. È opportuno specificare, inoltre, almeno tre aspetti.
a) Tutte presentano un modello argomentativo che porta il focus della discussione dalle
azioni compiute alla loro giustificazione. L’analisi parte dall’azione per giungere ai criteri
che l’hanno ispirata. Il dispositivo canadese del ciclo di osservazione-discussione, in particolare, sembrerebbe lo strumento che agevola, più di altri, l’elaborazione dell’esperienza
e la costruzione di quel sapere pratico che si attiva nell’incontro tra mentore-esperto e
insegnante-principiante. Presenta numerose affinità con la tecnica della conversazione riflessiva20 in cui mentore facilita il raggiungimento della consapevolezza su alcune
questioni e soprattutto sul proprio operato, attraverso domande volte a fare interrogare
l’allievo sui punti di forza e sulle aree di miglioramento, sulle attitudini e le carenze. Si
tratta di tecniche particolarmente efficaci per la comprensione-riflessione delle paure,
delle pulsioni e dei criteri di scelta alla base delle proprie azioni.
b) Mentre il ruolo del mentore canadese è più discreto – si limita, come è stato scritto, a
formulare domande sulla base delle descrizioni fatte dal tirocinante e a rilevare aspetti
che sfuggono –, il mentore scozzese tende a stabilire una relazione anche dal punto di
vista emotivo tramite strategie quali l’ascolto attivo e la schiettezza dell’espressione. Il
primo, abbiamo chiarito, sembrerebbe il maieuta che conduce l’inesperto ad elaborare
il giudizio su ciò che è accaduto partendo dalla sua esperienza; il secondo non evita
di svolgere il compito di giuda che valuta e corregge gli errori dell’inesperto e fornisce
reali occasioni di apprendimento e di crescita professionale. Questi, infatti, interviene
direttamente nella gestione del percorso formativo dell’insegnante inesperto: egli è, al
contempo, attore – nel momento in cui si pone come modello attraverso le condotte e le
azioni – e autore del processo – capace di pianificare e modificare le situazioni a tutto
vantaggio dell’allievo.
19 Gestiti, come nel caso delle scuole primarie di Edimburgo, da un responsabile del tirocinio, lo School Induction
Manager (SIM).
20 Essa si compone di due momenti: a) Personal Reflective Space: il mentore si pone, nei confronti dell’allievo, come
uno specchio; non espone il proprio punto di vista, non assolve la funzione di “antagonista”, ma induce l’altro ad
ingaggiare un dialogo con se stesso attraverso semplici indicazioni e la richiesta di esplicitazioni. Il procedimento
cognitivo alla base è l’analisi, ossia la suddivisione delle questioni in aspetti particolari. b) Dyadic Reflective Space:
l’allievo stabilisce un dialogo con se stesso e col mentore, che si fa, questa volta, come controparte. Il mentore ha la
funzione di fornire un’altra prospettiva alla posizione dell’allievo: formula domande che l’allievo non ha considerato,
mettendo sul campo anche la propria esperienza, fornendo alternative ulteriori alla ricerca della risoluzione del problema. Cfr. Clutterbuck & Megginson (1999, pp. 8-10).
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c) L’osservazione svolta dal mentore canadese è focalizzata su aspetti particolari
dell’operato del tirocinante (ad es. il piano della lezione e, nello specifico, lo scarto tra le
intenzioni dichiarate e la lezione di fatto svolta), quella condotta da mentore scozzese
sembrerebbe più globale, non eccessivamente curvata sul particolare quasi a conferma
del carattere di guida e di gestione dell’intero percorso formativo che gli assolve – si
ricordi la funzione di passepartout, del tutto assente nel mentore canadese.
2. L’E-MENTORING. UNA REALE DERIVAZIONE?
In questa seconda sezione del contributo presenteremo in prima battuta gli aspetti che
aiutano ad identificare la recentissima pratica di e-mentoring riportando alcuni esempi significativi; successivamente passeremo ad individuare quelle caratteristiche specifiche dell’ementoring nell’ambito della formazione insegnante.
Tali precisazioni, nel raffronto con le costanti emerse sulla pratica del mentoring “faccia a
faccia” sintetizzate nella prima parte del contributo, indurranno ad una riflessione sui vantaggi e i limiti. Senza voler tuttavia esprimere considerazioni troppo facilmente entusiastiche o
scarsamente favorevoli su quest’ultima frontiera della pratica di formazione dell’insegnante,
tenteremo, piuttosto, di lasciare la questione volutamente aperta ossia capace di accogliere gli
apporti di ulteriori ricerche e di più serene riflessioni. È risaputo, infatti, quanto l’e-mentoring
sia “un terreno ancora molto da esplorare, sia dal punto di vista della ricerca, sia dal punto
di vista dei costrutti teorici, che per ora rimangono quelli del mentoring tradizionale” (cfr.
Perchiazzi, 2009, p. 115).
L’espressione e-mentoring (lett. electronic mentoring) può essere considerato lo sviluppo del
mentoring tradizionale che, avvalendosi del supporto dei moderni strumenti di comunicazione
elettronica (rete internet, e-mail, software online), favorisce il contatto tra esperto ed inesperto21.
Ha fatto ingresso nelle riflessioni della ricerca internazionale sin dai primi anni 90’ con le
prime esperienze di programmi di formazione a distanza volte principalmente al recupero dello
svantaggio sociale di categorie a rischio di esclusione attraverso training di conoscenze ed
abilità per l’inserimento lavorativo. È diventato, successivamente, sempre più popolare grazie
alla diffusione e il raffinamento dei software tanto da favorirne l’introduzione dell’ambito della
formazione scolastica e aziendale.
Tra le prime esperienze di e-mentoring può essere annoverata quella condotta nel 1990 in
Canada dove insegnanti delle scuole secondarie della Colombia Britannica, per ragioni limitatamente logistiche, diedero supporto e realizzarono un addestramento ai loro pari attraverso
un regolare scambio di e-mail (cfr. Miller, 2002).
Molti programmi di e-mentoring nati sotto questa forma si sono poi dotati di strumenti
tecnologici che potenziassero le opportunità e le forme di comunicazione ed interazione, dalle
tradizionali modalità asincrone (forum, email ecc.) a quelle più interattive e sincrone come le
chat room, videoconferenze ecc. Oggi si tende a ricorrere a soluzioni blanded22 che prevedono
l’integrazione fra modalità didattiche in presenza e on-line, o di e-mentoring puro esclusivamente web-based.
21 Per un primo orientamento cfr. Kasprisin, Single, Single & Muller, (2003, pp. 67-78).
22 Prevede una combinazione tra contatti faccia a faccia e contatti indiretti tramite e-mail, forum, sms e piattaforme
ecc. e cerca di ridurre gli svantaggi e ottimizzare le potenzialità di entrambe le forme. Cfr. Jones, Jones, Packham,
Thomas & Miller (2007, pp. 124 -142).
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Un esempio significativo di e-mentoring è la MentorNet, un’organizzazione non-profit che
si occupa del sostegno allo studio universitario di donne e minoranze etniche nelle facoltà
scientifica (ingegneria, matematica ecc.). Gli/le allievi/e usufruiscono per otto mesi di un rapporto uno a uno, tramite accesso riservato, con un mentore selezionato tra esperti laureati
nel settore di competenza con almeno due anni di esperienza professionale; possono, inoltre,
accedere a forum di discussione su tematiche specifiche “incontrando” altri studenti e ad una
community che raccoglie anche ex-studenti.
Nel panorama italiano citiamo il caso dell’“Ex Allievi scuole militari Mentoring Onlus” nato
con la funzione di orientamento in ingresso all’Università e al mercato del lavoro per i giovani
ex-allievi delle scuole militari23. L’aspetto che qui mettiamo in evidenza è il modo in cui nasce il
rapporto uno a uno, sulla base delle caratteristiche peculiari della coppia: il mentore è selezionato tra gli ex-allievi delle scuole con esperienza professionale, capace, pertanto, di fornire
consigli sul percorso di carriera (militare e non); la scelta di assegnare il mentore all’allievo
avviene dopo il vaglio dei CV rispettivi e il raffronto delle aspettative. L’avvio del rapporto,
tuttavia, è sempre su base libera e volontaria da parte del mentore e dell’allievo che sottoscrivono precisi criteri deontologici. Un’altri elemento degno di nota è la modalità di valutazione
del rapporto di mentoring, effettuato ogni tre mesi sui dati numerici della durata, le modalità
frequenti di scambio, ma soprattutto i temi trattati, la frequenza del contatto, l’applicazione
dell’allievo, il gradimento del mentore, il tipo di progettualità attivata.
Questi sono solo due esempi di e-mentoring nel campo della formazione a distanza per
l’inserimento lavorativo e sociale di minoranze e per l’orientamento post-universitario. Quali
caratteristiche possiede l’e-mentoring nello specifico della formazione insegnante? Presentiamo alcune indagini svolte in proposito per cercare poi le caratteristiche identificative.
L’e-mentoring realizzato nei programmi di formazione all’insegnamento è solitamente nella forma blanded e diffusa sin dalla metà degli anni 90’, non solo per la formazione iniziale
(solitamente come attività integrativa al tirocinio attivo) ma anche per la reintegrazione degli
insegnanti attraverso il recupero di abilità professionali24.
Il pionieristico studio di Boyle e Boice25 ha inteso indicare quali criteri di qualità per
un’efficace relazione di mentoring on-line: a) la possibilità di stilare un indice dei contatti svoltisi tra e-mentor e allievo (frequenza, costanza, prontezza, reciprocità) nei quali poter b) valutare, inoltre, i contenuti affrontati (risposte a domande precise, supporto alla motivazione,
scambio di idee e commenti ecc.). Una più recente indagine (Livengood & Moon Merchant,
2004, pp. 2420-2425) sull’e-mentoring come attività integrata al tirocinio attivo ha confermato quale garanzia di efficacia la comunicazione chiara, approfondita e frequente in ambiente
protetto dove mentore e allievo posano confidare incertezze o perplessità. Alla medesima considerazione è giunto lo studio (Kilburg & Hockett, 2007, pp. 2021-2025) teso a monitorare il
23 La piattaforma telematica utilizzata prevede l’accesso riservato per la coppia mentore-allievo e strumenti vari
come chat, e-mail, webcam, viva voce, documenti, il forum di discussione. Cfr. Perchiazzi (2009, p. 31).
24 Citiamo lo studio di Taiwanna e Kritsonis. In questo caso l’e-mentoring è utilizzato per garantire livelli accettabili di
formazione per insegnanti reinseriti nell’attività dopo un periodo di assenza. Le motivazioni sono ovviamente logistiche (raggiungere le regioni periferiche e spesso degradate) ed economiche (abbattere i costi di organizzazione e
allestimento dei corsi di formazione professionale). Taiwanna & Kritsonis (2006).
25 Boyle & Boice (1998, pp.157-179). È risultato indispensabile la cura nell’assegnazione del mentore all’allievo sulla
base di esperienze pregresse o interessi comuni ricavate dai profili (data-base, CV, lettera di presentazione, cfr. es.
MentorNet e Ex-allievi militati).
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Apprendere a fare l’insegnante. La pratica del mentoring
programma di e-mentoring su piattaforma Moodle rivolto a insegnanti novizi provenenti da
scuole private della cosa occidentale degli USA. È stato possibile, inoltre, verificare l’effettiva
collaborazione tra mentore e allievo sulla base delle modifiche quali-quantitative dei contenuti
editoriali e della frequenza e le categorie di messaggi scambiati. Anche lo studio sperimentale (Wheeler & Lambert-Heggs, 2009, pp. 323-331) sul MentorBlog project ha confermato che
il blogging è in grado di assicurare un tipo di comunicazione reale sulla base di caratteristiche
quali la persistenza, l’immediatezza, la reciprocità ecc.
Altri studi26, invece, si concentrano sulla componente community nei programmi
e-mentoring. Tra insegnanti in formazione, mentori e altri utilizzatori dell’ambiente online si stabilisce un’effettiva comunità di apprendimento capace di mettere in atto procedure
di induzione supplementari al tirocinio. L’accesso a risorse rilevanti (esperienze pregresse,
esempi concrete ma anche materiale didattico personale), la possibilità di ottenere feedback
immediati sono i fattori che assicurano uno sviluppo professionale “on-going” secondo modalità mai immaginate precedentemente.
Altre tipologie di indagini (Masullo & Tsantis, 2004) toccano un aspetto centrale e complesso della questione ossia il tipo di conoscenza che il futuro insegnante apprenderebbe in
merito all’insegnamento in ambiente on-line.
L’utilizzo delle nuove tecnologie ha, di fatto, grandi implicazioni:
– nella modalità di gestione del rapporto uno ad uno tra mentore e allievo tra le quali, ad
esempio, la possibilità di accedere ad ambienti on-line sicuri per poter conversare e
approfondire il dialogo, le nuove competenze richieste al mentore e la relativa formazione e preparazione27 - che potremmo definire livello base della questione;
– nell’organizzazione stessa del programma di formazione, dall’assistenza alla coppie da
parte dei moderatori del processo alla possibilità da parte dei supervisori del programma
di gestire il data-base di informazioni di ritorno- ovvero il livello meta della questione.
Il limite principale attribuito a questa “estensione” di mentoring sarebbe di fatto lo strumento comunicativo che limiterebbe il rapporto personale e la relazione immediata tra mentore e allievo e renderebbe la relazione impersonale. È innegabile che l’aspetto principale del
mentoring ossia la relazione “calda” che si stabilisce tra mentore e allievo basata sull’ascolto
attivo e la presenza fisica (e quindi livello comunicativo strettamente personale – il non verbale, la postura, il tono vocale ecc.) nel rapporto a distanza è inesistente. Sarebbe del tutto impossibile verificare la genuinità e l’intensità emotiva di chi parla e leggere I significati nascosti
dietro le parole scritte.
Altro limite “invalicabile” dell’e-mentoring sarebbe la ridotta possibilità di sviluppare competenze sociali ed interpersonali indispensabili all’insegnante, competenze che è possibile elaborare esclusivamente all’interno di contesti di apprendimento reali innervati spessi di regole
non scritte e di cultura materiale.
L’e-mentoring rappresenta, tuttavia, allo stato attuale, l’unica forma di accompagnamento
là dove vi sono limiti logistici oggettivi e difficilmente superabili come la distanza spaziale e
temporale o l’impossibilità fisica28.
Il tipo di relazione mentore-allievo assume, inoltre, delle caratteristiche sue proprie. L’e26 Gutke & Albion (2008, pp. 1416-1423); Israel, Pattison, Moshirnia & Newton (2008, pp. 5101-5108). Nelle università
del Midwest è stato condotto uno studio per testare il programma di supporto alla transizione degli insegnanti novizi
in educazione speciale nella pratica effettiva.
27 Su quest’aspetto cfr. Miller, A. Mentoring Students and Young People, op.cit.
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LAURA SARA AGRATI
mentoring di per sé non esclude la possibilità da parte dei soggetti coinvolti di un rapporto
vero basato su reali richieste di sostegno e risposte concrete (Walther, 1992, pp. 52-90). Il
livello qualitativo del rapporto sarebbe rispettato – come dimostrato dalle indagini presentate
- da elementi di non secondaria importanza come la condivisione degli interessi tra mentore
e allievo (alla base delle scelta dell’assegnazione tre mentore e allievo), la fedeltà stessa dei
contatti (costanza, frequenza). Nel caso degli strumenti asincroni (forum, e-mail) la coppia ha
del tempo per valutare le risposte da dare e il tipo di comunicazione da offrire oltre che per
ricercare e approfondire le informazioni scambiate. Ma c’è dell’altro.
Nell’e-mentoring avverrebbe un particolare scambio di informazioni attraverso cui si strutturerebbe quel sapere informale incidente, poi, nelle scelte pratiche dell’insegnante, un mix di
azioni esemplari, suggerimenti degli esperti, riconsiderazioni personali forgiato concretamente
tramite l’elaborazione di contenuti scambiati, la condivisione di materiali e idee. L’e-mento-
ring si rivelerebbe, di fatto, un’esperienza che consente all’insegnante in formazione
di accedere ad aspetti originali della pratica di insegnamento, una forma tutta particolare e originale di insight professionale29, altrimenti non sperimentabile.
Riteniamo, pertanto, del tutto sterile continuare a contrapporre mentoring tradizionale e
e-mentoring, dato che si tratta di modalità e pratiche di formazione peculiari; sarebbe utile, al
contrario, approfondirne le dinamiche di realizzazione alla ricerca dei vantaggi – ancora tutti
da scoprire - per la formazione dell’insegnante.
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28 Oltre ai giù citati Miller (2002) e Clutterbuck (2004) rimando a Tammy & Eby (2007).
29 Watson (2006, pp.168-179). Lo studio è stato condotto con 17 studenti delle università del sud-est degli USA e i loro
mentore sulla base dei loro scambi via mail e le interviste per e post attività.
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Apprendere a fare l’insegnante. La pratica del mentoring
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