L`800 italiano - UTE Cinisello

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L`800 italiano - UTE Cinisello
UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ
fondata dal Lions Club di Cinisello Balsamo
patrocinata dal Comune
ANNO ACCADEMICO 2015-2016
CORSO:
L’EUROPA NELLA PRIMA META' DELL''800
L'800 italiano
Docente: Pinuccia Roberto Indovina
Lezione del 25 gennaio 2016
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L’Ottocento Italiano
L’Italia dei primi anni del secolo sembra subire passivamente il decorso della storia: intorno
alle imprese di Napoleone, ruota la cultura, l’economia, la politica del continente.
Dal punto di vista artistico, si diffonde e si afferma il neo-classicismo con personalità del
calibro di Canova, in scultura, e Andrea Appiani in pittura.
Le istanze pre-romantiche sono meno sentite che negli altri paesi europei; del tutto assenti,
in Italia, le tensioni mistico-religiose degli artisti inglesi e tedeschi, il gusto per l’orrido e il
tenebroso caratteristico della pittura del Nord Europa, la potenza lirica ed evocativa di
quella francese.
D’altra parte la situazione politica italiana è, specie nella prima metà dell’800, ben diversa da
quella delle altre potenze Europee. Il congresso di Vienna del 1815, indetto per ridefinire gli
equilibri europei dopo Waterloo, vede l’Italia ancora una volta, spartita come un bottino di
guerra, tra le varie potenze vincitrici.
La delusione e l’umiliazione cui essa è sottoposta, però, fa sorgere negli animi degli Italiani la
coscienza di appartenenza ad una “nazione” e si cerca, nella propria storia e nell’orgoglio per
l’immenso patrimonio artistico, la forza per un riscatto morale e politico dalle dominazioni
straniere.
Il sentimento civile e nazionalistico, la voglia di libertà e di affermazione, caratterizzano il
movimento Romantico italiano che coincide, pertanto, in questa prima fase, con la stagione
ricca di fermenti, del nostro Risorgimento. Il recupero degli episodi eroici della nostra storia
accomuna tutte le manifestazioni della cultura romantica: dalla letteratura, al teatro alla
musica, alla pittura.
Figura fondamentale per questa prima fase dell’arte romantica Italiana è Francesco Hayez
(1791-1882) la cui influenza è amplissima nel cuore dell’ottocento insieme con l’opera
letteraria del Manzoni e col melodramma di Verdi.
Francesco Hayez nasce a Venezia nel 1791 da padre francese e madre veneziana di Murano.
Ultimo di cinque figli è allevato da una sorella della madre, sposata a un ricco armatore,
mercante d’arte e proprietario di una discreta collezione di dipinti. Sin da piccolo viene
avviato agli studi artistici. Dopo tre anni di apprendistato presso un pittore locale, nel 1809
è ammesso all’accademia di Venezia e poi a quella di S. Luca a Roma, dove conosce Canova,
che intuendone le qualità, diventerà il suo nume protettore. Nel 1822 viene chiamato a
insegnare all’Accademia di Brera, si trasferisce quindi a Milano, dove rimane, tranne qualche
breve viaggio di studio, fino alla sua morte che avviene nel 1882.
Nonostante la sua formazione neoclassica, Hayez è un pittore “romantico” per le
appassionate rievocazioni storiche così ricche di sentimenti esibiti, di esortazioni alle virtù
civili e patriottiche, ma anche per le immagini di soggetti amorosi ricchi di colore, pathos e
sensualità.
La sua produzione pittorica, allusiva agli episodi politici contemporanei, viaggia all’unisono
con i temi dibattuti in ambienti culturali. Egli è amico del Manzoni, del Grossi, del Berchet e
condivide con loro sentimenti e ideali.
La grande composizione Pietro Rossi Prigioniero degli Scaligeri esposto a Brera nel 1820
viene considerata dai critici profondamente innovativa non solo per la scelta del soggetto
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storico e non mitologico, ma anche per il cromatismo acceso accostato a toni scuri e ombrosi
che volutamente intendono trasmettere emozione e partecipazione al dramma
rappresentato. Il quadro si rifà ad un episodio avvenuto a Venezia nel XIV secolo e ritrae il
condottiero Pietro Rossi, nell’atto di abbandonare la famiglia per combattere al fianco del
Doge Dandolo.
Hayez cerca di trasmettere, attraverso la sua pittura, il dramma dell’eroe moderno
combattuto tra l’amore di patria e quello per gli affetti familiari. L’episodio, narrato con
dovizia di particolari e verosimiglianza storica, è subito salutato dalla critica come il
manifesto della pittura romantica italiana.
A questi seguono altre maestose composizioni come I vespri Siciliani o I due Foscari dove al
tema storico si aggiunge una grossa carica di partecipazione sentimentale. Dal punto di vista
tecnico entrambe le opere si rifanno alla pittura neoclassica mostrando un disegno, limpido,
dai contorni nitidi e dal chiaroscuro sapiente, ma le pose, studiate e fortemente teatrali,
risentono degli echi del melodramma e delle opere letterarie del periodo.
Hayez si dedica anche a soggetti amorosi o patetico religiosi dal forte impatto romantico e
dall’acceso tono coloristico L’addio di Giulietta e Romeo -- La maddalena penitente che fanno
salire i consensi per le sue opere non solo a Milano ma nei circoli culturali di tutta la
penisola.
Dopo la metà del secolo, forse anche a causa del cattivo esito dei moti rivoluzionari del 48 e
della conseguente sfiducia nella possibilità di liberazione dalla dominazione straniera, la
pittura di Hayez cambia tono e diventa più meditativa e melanconica.
I soggetti sono principalmente figure femminili che adombrano inquietudini e sensualità.
Melanconia - Odalisca - Meditazione. La bellezza di questi dipinti sta, più che nel retorico
valore simbolico che ad esse si è voluto attribuire, nella straordinaria tecnica con cui il
pittore rende l’incarnato e lo splendore dei tessuti e delle sete che ricordano, nei i colori, il
500 veneziano.
Il bacio esposto a Brera nel 1859 è una delle opere più celebri di Hayez: la scena, che
rappresenta un bacio caldo e appassionato all’interno di un castello medioevale, mette
ancora una volta in primo piano sentimenti patriottico- risorgimentali.
Hayez riscatta la posa troppo retorica e teatrale grazie ad una magistrale resa della qualità
pittorica molto accurata, qualità pittorica che si riscontra anche nella costruzione degli
effetti della luce che rende cangiante la seta del vestito della ragazza e proietta l’ombra del
giovane sugli scalini.
La parte migliore della produzione di Hayez va però ricercata nel ritratto nel quale
raggiunge vertici di grande maestria immortalando, in splendide tele, volti noti e meno noti
dell’aristocrazia liberale milanese. Le figure sono ben delineate e nei volti alla
caratterizzazione dei lineamenti si aggiunge una sottile introspezione psicologica. Matilde
Juva Branca - Teresa Borri Stampa - La Contessa Belgioioso.
Il ritratto di Alessandro Manzoni viene giustamente considerato il suo capolavoro. Alla salda
impostazione della figura dello scrittore, Hayez affianca una pennellata leggera ed efficace
con pochi colori che sfumano alle spalle quasi creando un alone luminoso.
Vaso di fiori sulla finestra di un Harem uno dei suoi ultimi dipinti, mostra una straordinaria
resa pittorica e una vivace gamma di tonalità coloristiche.
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Nella seconda metà del secolo la pittura romantica è caratterizzata dal sorgere di scuole e
correnti che hanno come denominatore comune la voglia di superare i limiti del
neoclassicismo e del romanticismo accademico per creare un’arte capace di farsi interprete
delle istanze reali della società contemporanea.
Non possono essere, però, ignorate figure solitarie, fondamentali per lo sviluppo della
pittura Italiana dell’ottocento, come: Giovanni Carnevali e Antonio Fontanesi.
Giovanni Carnovali - detto Il Piccio - attraverso una pittura originale e libera da ogni schema
e imposizione accademica giunge ad un suo personalissimo stile caratterizzato da una
esecuzione rapida fatta di vibranti stesure di colore.
Nelle pitture di paesaggio la sua pennellata, ricca di tonalità accese, crea atmosfere liriche e
luminose dagli scorci arditamente prospettici. Paesaggio dai grandi alberi.
Il Piccio dà, inoltre, nuova impostazione ai ritratti cogliendo i personaggi in atteggiamenti
spontanei e fortemente caratterizzanti. Ritratto della Contessa Anastasia Spini
Raggiunge vette di grande pittura nei soggetti a carattere biblico o mitologico dove spicca la
sua prodigiosa capacità di esaltare i valori cromatici e luministici dell’atmosfera, attraverso
una pennellata sottile e farinosa che avvolge i corpi in uno straordinario pulviscolo
luminoso. La Bagnante - Salmace ed Ermafrodito
Antonio Fontanesi, emiliano di nascita ma torinese di adozione, è considerato il più
importante pittore italiano di paesaggio. Egli viaggia moltissimo e partecipa anche, da
volontario, alla prima guerra di indipendenza. Sulla scia dei pittori della Scuola di Barbizon e
dei paesaggisti inglesi porta avanti la ricerca sul paesaggio dando vita ad una pittura
pervasa da un costante vena di intimismo romantico, espressa con una pennellata fluida e
sottile dai toni sommessi tendenti al monocromo.
Giacinto Gigante e la scuola di Posillipo
Sin dalla metà del XVIII sec. nell’Italia meridionale la pittura di paesaggio è esercitata da una
folta schiera di artisti che trovano in questo genere pittorico motivo di sopravvivenza grazie
al mercato dei turisti stranieri che, soprattutto dopo la scoperta degli scavi di Pompei e
Ercolano, includono la Campania tra le tappe obbligate del Grand Tour e amano ritornare
indietro portando, come souvenir, una veduta di Napoli o delle isole del Golfo.
Agli inizi dell’800 questa tradizione si rinnova profondamente in senso romantico grazie
all’influenza di molti pittori stranieri, tra cui Turner e lo stesso Corot, che soggiornano a
Napoli per lunghi periodi attirati dalla dolcezza del clima e dalla bellezza dei paesaggi
campani.
E’ proprio nell’atelier di un paesaggista olandese Anton Sminck van Pitlo (Antonio Pitloo),
che, intorno agli anni 20, si ritrova un gruppo di giovani pittori desiderosi di innovare la
pittura paesaggistica di tradizione partenopea attraverso una resa più moderna e lirica, in
sintonia con le ricerche romantiche d’oltralpe. Ne viene fuori una pittura spontanea,
eseguita dal vero con le tecniche più disparate: dalla tempera, all’olio, all’acquarello
realizzate su tela o su materiale di recupero come legno, carta o cartone. Pertanto i pittori
accademici, legati agli schemi neoclassici, dediti a dipingere su tele di grandi dimensioni
trovano ridicole e “turistiche”, queste vedute realizzate in tono minore con linee
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prospettiche imprecise, e indicano, come Scuola di Posillipo, questo gruppo di pittori,
associando al termine un significato dispregiativo.
Succede, invece, che quelle piccole opere che rappresentano la bellezza del territorio
campano con vedute di paesaggi incantati, scorci di spiagge dorate, movimentate e
spontanee scene di vita quotidiana, prendono forza e integrano prepotentemente la cultura
napoletana incontrando il favore non solo dei turisti, che vengono ad acquistare i quadri da
ogni parte di Europa, ma anche dell’aristocrazia e delle case regnanti italiane e straniere.
Il merito principale dei pittori della Scuola di Posillipo è quello di non accontentarsi mai dei
risultati raggiunti: la loro ricerca è continua. Visitano gli atelier dei pittori stranieri residenti
a Napoli o a Roma, visitano mostre, alcuni di loro si recano in Francia e in Inghilterra per
osservare da vicino la produzione dei grandi paesaggisti romantici, altri arrivano fino in
Oriente per captare nuova linfa vitale al movimento.
Le personalità di maggior spicco della scuola è Giacinto Gigante che, specialmente con la
tecnica dell’acquerello, raggiunge risultati eccelsi guadagnandosi il favore dell’aristocrazia
locale ed estera in particolare quella francese e russa.
La pittura di Giacinto Gigante, pur essendo simile nei soggetti a quella degli altri membri
della scuola è molto differente nella realizzazione. Egli supera il limite dato dalla veduta
senza tradirlo, e, pur rendendolo riconoscibile, lo arricchisce del tocco lirico e creativo della
sua fantasia. Nonostante la ricchezza di suggestioni immaginarie, le sue realizzazioni
paesaggistiche hanno una costante chiarezza naturalistica e non scadono mai nel retorico e
nello scenografico.
Questo grazie alle pennellate guizzanti di colori e alla sua tecnica vivace resa ancora più
efficace da tocchi di tempera o biacca posta sulla carta prima dell’acquerello in modo da
dare corposità alle forme. Tempio di Venere a Baia - la campagna di Caserta.
L’impresa garibaldina e l’unità d’Italia sono per lui, pittore legato alla discendenza
borbonica, un duro colpo; pur tuttavia egli si adatta al nuovo corso della storia.
Nel 1863, in seguito alla richiesta del sovrano Vittorio Emanuele II, dipinge per le gallerie
sabaude La cappella di S. Gennaro che è uno dei suoi capolavori. Qui la tecnica è mirabile per
gli effetti della luce cangiante che illumina la folla variopinta e fa scintillare l’oro della
navata. I bianchi sono resi ancor più luminosi da gocce di biacca posate qui e là per
aumentarne l’effetto. Morirà settantenne venerato da tutto l’ambiente artistico.
La scuola di Posillipo esaurisce la sua vitalità tra il 1850 e il 60 per l’avvento di nuovi
movimenti forse meno lirici e romantici ma più aderenti al gusto moderno della nuova
nazione.
Sono scuole senza grande seguito, come la scapigliatura, il verismo, il simbolismo ma che
indicano con forza la voglia di staccarsi da un isolamento nazionalistico per partecipare al
clima di rinnovamento pittorico degli altri grandi paesi europei.
Anche il Risorgimento, dopo la delusione dei primi moti rivoluzionari, ha preso coscienza di
sé ed è diventato un movimento di lotta aperto e popolare. La spinta democratica e liberale
dei moti del 1848 ha maturato, anche negli ambienti culturali, la necessità di rispondere con
i propri mezzi a quella carica eversiva che porterà all’unificazione dell’Italia.
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Molti artisti partecipano attivamente alle guerre di indipendenza e trasportano nella loro
pittura l’entusiasmo degli ideali, la tragicità degli eventi, le delusioni della sconfitta, il
disagio sociale.
A questo clima così ricco di fermenti rivoluzionari si fa risalire la nascita e l’evoluzione del
più importante gruppo di pittori della seconda metà dell’800: I Macchiaioli.
Attivi tra Firenze e le coste della Maremma artisti come Fattori, Lega e Signorini, dipingono
situazioni e paesaggi tratti dal vero con una tecnica di grande ricchezza cromatica ottenuta
con l’accostamento di macchie di colore. Le origini del movimento vanno ricercate tra il
1850 e il 1860 al caffè Michelangelo, a due passi dall’Accademia di Belle arti di Firenze,
luogo di incontro di scrittori, intellettuali, artisti, accomunati dagli ideali patriottici che
alimentano gli animi giovanili del tempo. La ricerca parte dalla stessa storia pittorica delle
scuole Italiane del primo ottocento: da Fontanesi, da Morelli, dalla scuola lombarda dei
fratelli Induno via via fino alla scuola napoletana di Posillipo. A tutto questo bagaglio
pittorico nostrano dà un contributo straordinario la scoperta della scuola francese di
Barbizon con la sua paesaggistica staccata da ogni idealismo e simbolismo trascendentale.
Su queste premesse i macchiaioli cercano di ricreare sulla tela la realtà, così come appare ai
loro occhi, nel modo più diretto e immediato possibile e teorizzano una soluzione che li porti
ad esprimere valori assoluti nella loro essenzialità:
“…Il vero come è e come si presenta non è altro che una serie di macchie di colore e di
chiaroscuro” (A. Cecioni)
La tecnica di dipingere per macchie di colore costituisce, per questi pittori, il modo per
rendere reale la loro visione semplificandola al massimo con l’abolizione del chiaroscuro. Ne
deriva una struttura compositiva estremamente sobria e scarnificata dove il disegno
costituisce l’elemento equilibrante tra rapporti cromatici e rapporti tonali.
I pittori appartenenti al gruppo, per questo loro modo di dipingere, vengono definiti
ironicamente I Macchiaioli da un critico della “Gazzetta del Popolo”.
Le personalità più complete del gruppo sono: Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Telemaco
Signorini ma attorno a queste figure lavorano artisti meno conosciuti ma altrettanto efficaci
nella loro narrazione della realtà e nella tecnica pittorica. Non vanno peraltro dimenticati
Giovanni Boldini e Federico Zandomenghi che, dopo un avvio artistico nel movimento
toscano, svilupperanno la loro arte a contatto con le atmosfere parigine degli Impressionisti.
Adriano Cecioni e Diego Martelli sono i teorici del gruppo. Cecioni è un modesto pittore ma
uno scultore di grande talento: Bambino con galletto - La madre. Diego Martelli è un
appassionato critico d’arte e fervente patriota. A lui va il merito di aver tenuto rapporti con
gli impressionisti, dei quali era amico, e di avere promosso le opere dei macchiaioli fuori i
confini dell’Italia.
Giovanni Fattori, il caposcuola del gruppo, nasce a Livorno nel 1825 da una famiglia di
artigiani; ben presto decide di dedicarsi alla pittura e si iscrive l’Accademia di Belle Arti a
Firenze. Partecipa alla prima guerra di Indipendenza e collabora col partito di azione
mazziniano. La sua prima produzione pittorica si rifà ad avvenimenti in gran parte desunti
dai romanzi storici di Sir Walter Scott, di cui era appassionato lettore. Maria Stuarda sul
campo di battaglia di Cook-stone del 1858/59.
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La svolta decisiva, sia per quanto riguarda i soggetti sia per quanto riguarda lo stile
pittorico, avviene nel 1862 con La battaglia di Magenta che può considerarsi il primo quadro
di genere storico moderno della pittura italiana. Quello che risalta maggiormente è la reale e
attenta ricostruzione del campo di battaglia, frutto di una serie di sopralluoghi fatti
personalmente dall’artista. Importante, inoltre, la scelta del momento narrato poiché non si
tratta dell’apice della battaglia, bensì di un episodio minore e doloroso: il rientro dei feriti
sotto lo sguardo partecipativo degli alleati francesi. L’opera non si può definire ancora
pienamente macchiaiola perché convivono il disegno e l’uso del chiaroscuro secondo la
concezione accademica. Anche se l’utilizzo della “macchia” inizia a emergere in alcuni
particolari.
Fattori si dedica, inoltre, ai ritratti, e alla paesaggistica, e alle piccole tele, dove rivela doti di
straordinario colorista. Diego Martelli a Castiglioncello.
La celebre Rotonda Palmieri del 1866 testimonia il radicale cambiamento della pittura di
Fattori e costituisce quasi il manifesto delle teorie macchiaiole in generale.
Il quadro è di dimensioni ridotte e di forma rettangolare-12x35; la scena è ambientata in
una giornata luminosissima presso uno stabilimento balneare della marina livornese. Un
gruppo di signore, ognuna ripresa in atteggiamento diverso, sosta all’ombra di una tenda
gialla. Le figure sono nitidamente definite nonostante ogni cosa sia rappresentata da
macchie di colore. La costruzione formale si basa sull’equilibrio cromatico che da volume
alle forme. La luce, l’acqua, l’atmosfera, l’immediatezza dell’immagine fanno pensare a un
quadro realizzato in modo spontaneo. In effetti, è stato attentamente costruito e pensato
come testimoniano i molti disegni preparatori.
Contemporaneamente egli però lavora anche a grandi opere monumentali come Ultimo
assalto alla Madonna della scoperta capolavoro di organizzazione spaziale e abilità
compositive realizzato con lo stile che ormai lo caratterizza.
Fattori, dal 1870 in poi, amareggiato nell’animo per una serie di disgrazie familiari ritorna
alla sua Maremma e qui realizza una serie di capolavori che costituiscono la parte più
completa ed epica della sua produzione pittorica. Barrocci Romani - Il carro rosso - La
vedetta.- Lo staffato.
Anche nella pittura di paesaggio raggiunge momenti di grande liricità: ne La libecciata ferma
uno scorcio della marina livornese battuta dal libeccio che sconvolge la natura, piega i
tronchi e le fronde e agita la superficie del mare. Anche qui l’atmosfera cupa è resa con
pennellate monocrome che rendono l’immediatezza della scena.
La sua costante disposizione alla ricerca lo sprona a lavorare fino alla fine alternando opere di
pittura Ritratto della figliastra alla realizzazione di acque-forti. Nel 1903 si sposa per la terza
volta ed esegue un toccante ritratto della donna nel suo studio: sulla parete I butteri una delle
sue opere più amate. Muore nel 1908 a Firenze.
Silvestro Lega, nasce a Modigliana in provincia di Forlì nel 1826. Frequenta a Firenze
l’Accademia di belle arti e partecipa come altri artisti alla prima guerra di Indipendenza.
Tornato a Firenze inizia a frequentare il Caffè Michelangelo e pian piano abbandona lo stile
accademico di purista storico per una pittura più spontanea legata alla realtà.
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Dal 1857 si trasferisce a Piagentina, un piccolo borgo vicino a Firenze ospite della famiglia
Batelli e si lega sentimentalmente con la figlia maggiore Virginia. Qui inizia la stagione più
serena e produttiva della sua vita. Nel 61 inizia le ricerche pittoriche en plein air e
promuove con Telemaco Signorini e altri membri del caffè Michelangelo La scuola di
Piagentina che diventa subito un laboratorio nella fase centrale della pittura macchiaiola cui
ora, Lega, aderisce senza riserve.
Il paesaggio delle colline toscane e la poetica immagine di scene quotidiane sono i soggetti
prediletti dal pittore, nel cui stile rimane sempre l’eco della grande pittura classica, per i
colori chiari, il disegno nitido e la ricchezza di particolari. Primo dolore.
Il canto dello stornello una delle sue opere più belle è una rappresentazione d’intimità
domestica; rappresenta Virginia Batelli al pianoforte e le sorelle Isolina e Maria dietro di lei.
C’è una perfetta corrispondenza tra interni ed esterni caratterizzata da una proporzione
delle forme. La rappresentazione è quieta e serena grazie all’equilibrio visivo basato sul
colore, e alla luce che dà al quadro un’alternanza di chiari e scuri.
La visita: la composizione è di grande equilibrio tra le figure e il paesaggio che, qui, è
semplicemente la corte di una casa di campagna.
Il concetto di macchia-luce-colore su cui si fonda la pittura dei macchiaioli trova una perfetta
dimostrazione ne Il pergolato. In un assolato pomeriggio estivo delle donne aspettano di
prendere il caffè all’ombra del pergolato della terrazza di una villa di campagna. Il sole,
abbagliante sulla pavimentazione della terrazza, inonda di luce i campi che si estendono di là
dalla recinzione della villa e fanno risaltare i colori vividi dei fiori nei vasi di coccio. Alla
semplicità del tema si contrappone un’accurata osservazione degli spazi di luce e ombra che
il sole disegna sulle figure.
Nel 1870 muore di tubercolosi Virginia e ciò gli provoca una profonda depressione
aggravata da una seria malattia agli occhi e da serie difficoltà economiche. La società
Italiana, infatti, disillusa dalle lotte risorgimentali, non apprezza più l’aneddotica
rappresentazione dei buoni sentimenti, la critica lo ignora, e i suoi quadri rimangono
invenduti.
Nel 1886 è ospitato dalla famiglia Bandini a Gabbro. Qui ridipinge con innato vigore. La sua
pittura è carica di una straordinaria forza espressiva ma priva del lirismo delle sue opere
migliori. Gabriggiana che cuce - Gabriggiana in piedi. Muore di cancro a Firenze nel1895
Telemaco Signorini nasce a Firenze nel 1835 da un pittore della corte ducale e inizia la sua
prima formazione pittorica presso l’Accademia Fiorentina. A differenza di Lega e Fattori
approda giovanissimo alla pittura di macchia e ne diventa una personalità di spicco
proiettando, grazie ai suoi numerosi spostamenti, la conoscenza del gruppo anche su un
piano internazionale.
Dopo un soggiorno a Parigi, nel 61, dove conosce Courbet, Corot e alcuni pittori della scuola
di Barbizon, Signorini ritorna a Firenze e frequenta i ritrovi di Piagentina e Castiglioncello,
nel periodo di grande formazione della pittura macchiaiola, e diviene subito il coordinatore
dei due gruppi. In questo periodo sperimenta la pittura di macchia nella rappresentazione di
paesaggi assolati Piagentina - Pascoli a Castiglioncello o altri di ambientazione domestica
secondo l’ispirazione di Lega. La lettera - Bambina che scrive.
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Con Alzaia del 1864 si conclude per Signorini la fase idillica con la macchia e subentra
l’attenzione ai problemi sociali. Nella tela cinque uomini trascinano con grande fatica una
barca lungo un’alzaia: la posizione dei soggetti, l’espressione di stanchezza nei visi degli
uomini, la luce del tramonto amplifica la massacrante fatica dei lavoratori.
Si spinge anche a rappresentare temi di disagi nascosti ma le sue tele sono aspramente
criticate non solo per i soggetti affrontati con crudezza ma anche per lo stile scarno ed
essenziale che dà l’idea di una pittura poco curata. Bagno penale a Portoferraio - La sala delle
agitate nel manicomio di S. Bonifacio. Dagli anni 70 in poi Signorini fa dei viaggi in giro per
l’Europa e la sua pittura perde la luminosità delle opere del primo periodo e s’indirizza
verso nuovi canoni espressivi.
Trascorre gli ultimi anni della sua vita a Settignano dove la sua vena di paesaggista si
traduce in un cromatismo prezioso e in quadretti lirici ricchi di grande poesia. Processione a
Settignano - Ulivi a Settignano - Collina a Settignano. Muore a Firenze nel 1901
Il Divisionismo è un movimento che si sviluppa in Italia quasi parallelamente al pointillisme
francese di Seurat e Signac ma, pur avendo come base tecnica l’accostamento di tratti di
colore puro, il divisionismo italiano non si rifà a leggi ottiche o scientifiche ma piuttosto
affonda le sue origini nella pittura lombarda del Fontanesi e del Piccio aderendo alla ricerca
luministica del paesaggio e alla tecnica sfumata dei pittori della Scapigliatura lombarda.
L’affermazione del divisionismo in Italia avviene, grazie soprattutto all’impegno di Vittore
Gubricy de Dragon, pittore e critico d’arte e titolare col fratello di una galleria d’arte, punto
di ritrovo e di ricerca di tanti giovani artisti. Ciascuno di essi applica la tecnica divisionista in
modo originale e personale, alcuni si dedicano al paesaggio, altri alla realizzazioni di vedute
simboliste, altri in composizioni che affrontano tematiche sociali sulla scia di Telemaco
Signorini.
Inoltre Vittore Gubricy manterrà sempre i contatti con la Francia e farà conoscere all’estero i
lavori degli artisti italiani. Amico ed estimatore di Segantini lo sosterrà economicamente e
psicologicamente per tutta la vita.
Il divisionismo esploderà a Milano nel 1891 con l’esposizione, a Brera, di due dipinti
fondamentali per il movimento: Maternità di Gaetano Previati e Le due madri di Giovanni
Segantini. Malgrado trattino entrambi lo stesso soggetto, le due grandi tele sono
profondamente diverse tra loro: infatti in quella di Previati domina l’astrattismo e il
simbolismo mentre quella di Segantini è strettamente legata alla natura. Entrambe le opere,
però, sono dipinte con la tecnica divisionista basata sullo scomposizione del colore per
ottenere il massimo della luminosità. La pennellata del Previati più lunga e filamentosa
rende la visione evanescente e le figure trattate riportano a immagini mistiche o simboliche.
Segantini con piccole macchie di colore applicate con una pennellata breve e decisa ottiene
uno straordinario effetto di luce artificiale in un interno rendendo la visione nitida e
vibrante.
Gaetano Previati è il teorico del movimento: le sue traduzioni delle leggi scientifiche del
pointillisme e i suoi scritti specifici sul divisionismo italiano serviranno a far assumere al
movimento un’importanza fondamentale per le generazioni dei pittori del nuovo secolo
specie per i futuristi. Dopo varie esperienze accademiche Previati approda al movimento
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divisionista con una personale originalità sia nei contenuti sia nella tecnica. Quasi tutti i suoi
soggetti, perlopiù di chiaro riferimento letterario o allegorico, sono eseguiti con pennellate
verticali e sottili che catturano la luce dando alle tele una diffusa luminescenza. Le figure
languide ed evanescenti richiamano le immagini simboliste dei Preraffaelliti e serviranno da
chiaro riferimento al decorativismo decadente dell’Art Nouveau. Il Re Sole - Paolo e
Francesca.
La figura più nota dell’ambito divisionista è Giovanni Segantini. Alle prime esperienze
pittoriche di auto didatta, seguono brevi studi all’Accademia di Brera durante i quali
condivide le esperienze dei pittori della Scapigliatura. Profondo ammiratore della poetica
pittorica di Meillet egli si ritira a Pusiano, in Brianza, e, a contatto con la natura, realizza
opere di grande poesia e intimismo, di stampo impressionista.
Negli anni 80 inizia la sua svolta divisionista. Per nulla interessato alle formulazioni
scientifiche Segantini trova nel divisionismo uno strumento efficace per risolvere il
problema della luce che diviene il respiro vivificante nelle sue solenni rappresentazioni della
natura.
Una delle sue opere più famose, Alla stanga, eseguita a Caglio nasce da una lunga
elaborazione all’aria aperta. Le montagne, la pianura e l’altipiano sono disposti su piani
paralleli di differente intensità luminosa. Il cielo è una sola striscia di azzurro, dove
s’intravedono i raggi del sole che creano nei primi piani un caldo effetto di controluce. La
gamma cromatica è impostata sui colori del giallo, verde e marrone che cambiano tonalità
secondo la luce che li investe. Ma come sfondo domina il maestoso panorama alpino e la
natura assume la dimensione sacra dell’eterna forza creatrice. Segantini trascorre gli ultimi
anni della sua vita a Maloja, un piccolo villaggio alpestre in Engadina dove inizia a concepire
Il trittico delle Alpi. L’opera consiste di tre enormi tele realizzate con la tecnica divisionista:
La Vita - La Natura - La Morte che hanno come sfondo lo scenario crepuscolare, montano e
invernale delle zone del Maloja. La natura domina nei tre quadri e assume una dimensione
di eterna sacralità. Nel primo La vita è evocata dalla rappresentazione della maternità, nel
secondo La natura dallo scorrere di una giornata lavorativa dei montanari, nel terzo La
morte da un semplice funerale di montagna. Il trittico costituisce il summa della pittura di
Segantini e anche il suo testamento spirituale. Infatti, a settembre del 99 la sua ricerca lo
spinge a salire sul monte Schaffberg dove muore, colpito da un attacco di peritonite, a soli 48
anni.
Al divisionismo deista e naturalista come viene definita dai critici la corrente a cui
appartengono Previati e Segantini si contrappone il divisionismo Ideologico o socialista
caratterizzato dalla rappresentazione di tematiche sociali
Quest’ultimo aspetto, l’attenzione verso i nuovi aspetti della società, è il filone prevalente
degli ultimi anni del secolo. Dopo l’unità d’Italia si spengono gli ardori Risorgimentali e si
scopre lo stato di arretratezza in cui si trova gran parte della Nazione che fa ancora fatica a
trovare il suo ruolo tra le grandi potenze europee. Il disagio dei poveri, la necessità di una
rapida conversione dell’economia verso l’industria, il crearsi di un nuovo ceto operaio
offrono l’occasione per una pittura nuova non priva di un senso di denuncia di cui Angelo
Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo sono le due figure di maggior spicco.
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Angelo Morbelli dopo un periodo di adesione al verismo si converte alla tecnica pittorica del
divisionismo divenendone un convinto assertore. Le sue opere del periodo migliore
riguardano scene di vita degli emarginati a Milano. Affitta una stanza all’interno del Pio
Albergo Trivulzio e realizza dei quadri che pur nella loro tragica realtà sono di grande
poesia. Natale al Pio Albergo Trivulzio – Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio. Le sue
pennellate di tocchi ravvicinati di colore puro danno all’ambiente una potente luminosità
creando straordinari effetti di chiaro scuro.
Giuseppe Pellizza da Volpedo, seguace di Hayez a Brera, diventa amico dei macchiaioli e
alunno di Fattori. Le sue prime opere come Ricordo di un dolore risentono della loro
influenza. Aderisce poi al divisionismo adottando una tecnica originale fatta di pennellate,
puntini, segni, macchie per definire le forme e dare solennità al soggetto rappresentato. Egli
affronta temi e formati molto diversi facendosi sedurre persino dai ritratti e dalle nature
morte.
Approda finalmente al verismo sociale dove trova la più piena e personale espressione.
Sospinto dalla lettura delle opere di Marx e di Enghel, Pellizza elabora in lunghi anni di studi
diverse versioni del suo capolavoro Il Quarto Stato dove raggiunge la sintesi tra le sue idee
socialiste e la nuova tecnica pittorica. La versione più nota, rappresenta una massa di
contadini capeggiata da tre figure “simbolo” che rappresentano le tre età della vita.
L’immagine è frontale per dare maestosità e tragicità alla scena. Anche Pelizza da Volpedo
come molti arti artisti di questo periodo, in seguito alla scomparsa della moglie, muore
suicida.
Siamo agli ultimi anni del secolo e la scena artistica europea viene scossa e rinnovata dalla
marea impressionista.
A cura di Giuseppina Roberto Indovina
25 gennaio 2016
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