L`800 italiano - UTE Cinisello
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L`800 italiano - UTE Cinisello
UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ fondata dal Lions Club di Cinisello Balsamo patrocinata dal Comune ANNO ACCADEMICO 2015-2016 CORSO: L’EUROPA NELLA PRIMA META' DELL''800 L'800 italiano Docente: Pinuccia Roberto Indovina Lezione del 25 gennaio 2016 1 L’Ottocento Italiano L’Italia dei primi anni del secolo sembra subire passivamente il decorso della storia: intorno alle imprese di Napoleone, ruota la cultura, l’economia, la politica del continente. Dal punto di vista artistico, si diffonde e si afferma il neo-classicismo con personalità del calibro di Canova, in scultura, e Andrea Appiani in pittura. Le istanze pre-romantiche sono meno sentite che negli altri paesi europei; del tutto assenti, in Italia, le tensioni mistico-religiose degli artisti inglesi e tedeschi, il gusto per l’orrido e il tenebroso caratteristico della pittura del Nord Europa, la potenza lirica ed evocativa di quella francese. D’altra parte la situazione politica italiana è, specie nella prima metà dell’800, ben diversa da quella delle altre potenze Europee. Il congresso di Vienna del 1815, indetto per ridefinire gli equilibri europei dopo Waterloo, vede l’Italia ancora una volta, spartita come un bottino di guerra, tra le varie potenze vincitrici. La delusione e l’umiliazione cui essa è sottoposta, però, fa sorgere negli animi degli Italiani la coscienza di appartenenza ad una “nazione” e si cerca, nella propria storia e nell’orgoglio per l’immenso patrimonio artistico, la forza per un riscatto morale e politico dalle dominazioni straniere. Il sentimento civile e nazionalistico, la voglia di libertà e di affermazione, caratterizzano il movimento Romantico italiano che coincide, pertanto, in questa prima fase, con la stagione ricca di fermenti, del nostro Risorgimento. Il recupero degli episodi eroici della nostra storia accomuna tutte le manifestazioni della cultura romantica: dalla letteratura, al teatro alla musica, alla pittura. Figura fondamentale per questa prima fase dell’arte romantica Italiana è Francesco Hayez (1791-1882) la cui influenza è amplissima nel cuore dell’ottocento insieme con l’opera letteraria del Manzoni e col melodramma di Verdi. Francesco Hayez nasce a Venezia nel 1791 da padre francese e madre veneziana di Murano. Ultimo di cinque figli è allevato da una sorella della madre, sposata a un ricco armatore, mercante d’arte e proprietario di una discreta collezione di dipinti. Sin da piccolo viene avviato agli studi artistici. Dopo tre anni di apprendistato presso un pittore locale, nel 1809 è ammesso all’accademia di Venezia e poi a quella di S. Luca a Roma, dove conosce Canova, che intuendone le qualità, diventerà il suo nume protettore. Nel 1822 viene chiamato a insegnare all’Accademia di Brera, si trasferisce quindi a Milano, dove rimane, tranne qualche breve viaggio di studio, fino alla sua morte che avviene nel 1882. Nonostante la sua formazione neoclassica, Hayez è un pittore “romantico” per le appassionate rievocazioni storiche così ricche di sentimenti esibiti, di esortazioni alle virtù civili e patriottiche, ma anche per le immagini di soggetti amorosi ricchi di colore, pathos e sensualità. La sua produzione pittorica, allusiva agli episodi politici contemporanei, viaggia all’unisono con i temi dibattuti in ambienti culturali. Egli è amico del Manzoni, del Grossi, del Berchet e condivide con loro sentimenti e ideali. La grande composizione Pietro Rossi Prigioniero degli Scaligeri esposto a Brera nel 1820 viene considerata dai critici profondamente innovativa non solo per la scelta del soggetto 2 storico e non mitologico, ma anche per il cromatismo acceso accostato a toni scuri e ombrosi che volutamente intendono trasmettere emozione e partecipazione al dramma rappresentato. Il quadro si rifà ad un episodio avvenuto a Venezia nel XIV secolo e ritrae il condottiero Pietro Rossi, nell’atto di abbandonare la famiglia per combattere al fianco del Doge Dandolo. Hayez cerca di trasmettere, attraverso la sua pittura, il dramma dell’eroe moderno combattuto tra l’amore di patria e quello per gli affetti familiari. L’episodio, narrato con dovizia di particolari e verosimiglianza storica, è subito salutato dalla critica come il manifesto della pittura romantica italiana. A questi seguono altre maestose composizioni come I vespri Siciliani o I due Foscari dove al tema storico si aggiunge una grossa carica di partecipazione sentimentale. Dal punto di vista tecnico entrambe le opere si rifanno alla pittura neoclassica mostrando un disegno, limpido, dai contorni nitidi e dal chiaroscuro sapiente, ma le pose, studiate e fortemente teatrali, risentono degli echi del melodramma e delle opere letterarie del periodo. Hayez si dedica anche a soggetti amorosi o patetico religiosi dal forte impatto romantico e dall’acceso tono coloristico L’addio di Giulietta e Romeo -- La maddalena penitente che fanno salire i consensi per le sue opere non solo a Milano ma nei circoli culturali di tutta la penisola. Dopo la metà del secolo, forse anche a causa del cattivo esito dei moti rivoluzionari del 48 e della conseguente sfiducia nella possibilità di liberazione dalla dominazione straniera, la pittura di Hayez cambia tono e diventa più meditativa e melanconica. I soggetti sono principalmente figure femminili che adombrano inquietudini e sensualità. Melanconia - Odalisca - Meditazione. La bellezza di questi dipinti sta, più che nel retorico valore simbolico che ad esse si è voluto attribuire, nella straordinaria tecnica con cui il pittore rende l’incarnato e lo splendore dei tessuti e delle sete che ricordano, nei i colori, il 500 veneziano. Il bacio esposto a Brera nel 1859 è una delle opere più celebri di Hayez: la scena, che rappresenta un bacio caldo e appassionato all’interno di un castello medioevale, mette ancora una volta in primo piano sentimenti patriottico- risorgimentali. Hayez riscatta la posa troppo retorica e teatrale grazie ad una magistrale resa della qualità pittorica molto accurata, qualità pittorica che si riscontra anche nella costruzione degli effetti della luce che rende cangiante la seta del vestito della ragazza e proietta l’ombra del giovane sugli scalini. La parte migliore della produzione di Hayez va però ricercata nel ritratto nel quale raggiunge vertici di grande maestria immortalando, in splendide tele, volti noti e meno noti dell’aristocrazia liberale milanese. Le figure sono ben delineate e nei volti alla caratterizzazione dei lineamenti si aggiunge una sottile introspezione psicologica. Matilde Juva Branca - Teresa Borri Stampa - La Contessa Belgioioso. Il ritratto di Alessandro Manzoni viene giustamente considerato il suo capolavoro. Alla salda impostazione della figura dello scrittore, Hayez affianca una pennellata leggera ed efficace con pochi colori che sfumano alle spalle quasi creando un alone luminoso. Vaso di fiori sulla finestra di un Harem uno dei suoi ultimi dipinti, mostra una straordinaria resa pittorica e una vivace gamma di tonalità coloristiche. 3 Nella seconda metà del secolo la pittura romantica è caratterizzata dal sorgere di scuole e correnti che hanno come denominatore comune la voglia di superare i limiti del neoclassicismo e del romanticismo accademico per creare un’arte capace di farsi interprete delle istanze reali della società contemporanea. Non possono essere, però, ignorate figure solitarie, fondamentali per lo sviluppo della pittura Italiana dell’ottocento, come: Giovanni Carnevali e Antonio Fontanesi. Giovanni Carnovali - detto Il Piccio - attraverso una pittura originale e libera da ogni schema e imposizione accademica giunge ad un suo personalissimo stile caratterizzato da una esecuzione rapida fatta di vibranti stesure di colore. Nelle pitture di paesaggio la sua pennellata, ricca di tonalità accese, crea atmosfere liriche e luminose dagli scorci arditamente prospettici. Paesaggio dai grandi alberi. Il Piccio dà, inoltre, nuova impostazione ai ritratti cogliendo i personaggi in atteggiamenti spontanei e fortemente caratterizzanti. Ritratto della Contessa Anastasia Spini Raggiunge vette di grande pittura nei soggetti a carattere biblico o mitologico dove spicca la sua prodigiosa capacità di esaltare i valori cromatici e luministici dell’atmosfera, attraverso una pennellata sottile e farinosa che avvolge i corpi in uno straordinario pulviscolo luminoso. La Bagnante - Salmace ed Ermafrodito Antonio Fontanesi, emiliano di nascita ma torinese di adozione, è considerato il più importante pittore italiano di paesaggio. Egli viaggia moltissimo e partecipa anche, da volontario, alla prima guerra di indipendenza. Sulla scia dei pittori della Scuola di Barbizon e dei paesaggisti inglesi porta avanti la ricerca sul paesaggio dando vita ad una pittura pervasa da un costante vena di intimismo romantico, espressa con una pennellata fluida e sottile dai toni sommessi tendenti al monocromo. Giacinto Gigante e la scuola di Posillipo Sin dalla metà del XVIII sec. nell’Italia meridionale la pittura di paesaggio è esercitata da una folta schiera di artisti che trovano in questo genere pittorico motivo di sopravvivenza grazie al mercato dei turisti stranieri che, soprattutto dopo la scoperta degli scavi di Pompei e Ercolano, includono la Campania tra le tappe obbligate del Grand Tour e amano ritornare indietro portando, come souvenir, una veduta di Napoli o delle isole del Golfo. Agli inizi dell’800 questa tradizione si rinnova profondamente in senso romantico grazie all’influenza di molti pittori stranieri, tra cui Turner e lo stesso Corot, che soggiornano a Napoli per lunghi periodi attirati dalla dolcezza del clima e dalla bellezza dei paesaggi campani. E’ proprio nell’atelier di un paesaggista olandese Anton Sminck van Pitlo (Antonio Pitloo), che, intorno agli anni 20, si ritrova un gruppo di giovani pittori desiderosi di innovare la pittura paesaggistica di tradizione partenopea attraverso una resa più moderna e lirica, in sintonia con le ricerche romantiche d’oltralpe. Ne viene fuori una pittura spontanea, eseguita dal vero con le tecniche più disparate: dalla tempera, all’olio, all’acquarello realizzate su tela o su materiale di recupero come legno, carta o cartone. Pertanto i pittori accademici, legati agli schemi neoclassici, dediti a dipingere su tele di grandi dimensioni trovano ridicole e “turistiche”, queste vedute realizzate in tono minore con linee 4 prospettiche imprecise, e indicano, come Scuola di Posillipo, questo gruppo di pittori, associando al termine un significato dispregiativo. Succede, invece, che quelle piccole opere che rappresentano la bellezza del territorio campano con vedute di paesaggi incantati, scorci di spiagge dorate, movimentate e spontanee scene di vita quotidiana, prendono forza e integrano prepotentemente la cultura napoletana incontrando il favore non solo dei turisti, che vengono ad acquistare i quadri da ogni parte di Europa, ma anche dell’aristocrazia e delle case regnanti italiane e straniere. Il merito principale dei pittori della Scuola di Posillipo è quello di non accontentarsi mai dei risultati raggiunti: la loro ricerca è continua. Visitano gli atelier dei pittori stranieri residenti a Napoli o a Roma, visitano mostre, alcuni di loro si recano in Francia e in Inghilterra per osservare da vicino la produzione dei grandi paesaggisti romantici, altri arrivano fino in Oriente per captare nuova linfa vitale al movimento. Le personalità di maggior spicco della scuola è Giacinto Gigante che, specialmente con la tecnica dell’acquerello, raggiunge risultati eccelsi guadagnandosi il favore dell’aristocrazia locale ed estera in particolare quella francese e russa. La pittura di Giacinto Gigante, pur essendo simile nei soggetti a quella degli altri membri della scuola è molto differente nella realizzazione. Egli supera il limite dato dalla veduta senza tradirlo, e, pur rendendolo riconoscibile, lo arricchisce del tocco lirico e creativo della sua fantasia. Nonostante la ricchezza di suggestioni immaginarie, le sue realizzazioni paesaggistiche hanno una costante chiarezza naturalistica e non scadono mai nel retorico e nello scenografico. Questo grazie alle pennellate guizzanti di colori e alla sua tecnica vivace resa ancora più efficace da tocchi di tempera o biacca posta sulla carta prima dell’acquerello in modo da dare corposità alle forme. Tempio di Venere a Baia - la campagna di Caserta. L’impresa garibaldina e l’unità d’Italia sono per lui, pittore legato alla discendenza borbonica, un duro colpo; pur tuttavia egli si adatta al nuovo corso della storia. Nel 1863, in seguito alla richiesta del sovrano Vittorio Emanuele II, dipinge per le gallerie sabaude La cappella di S. Gennaro che è uno dei suoi capolavori. Qui la tecnica è mirabile per gli effetti della luce cangiante che illumina la folla variopinta e fa scintillare l’oro della navata. I bianchi sono resi ancor più luminosi da gocce di biacca posate qui e là per aumentarne l’effetto. Morirà settantenne venerato da tutto l’ambiente artistico. La scuola di Posillipo esaurisce la sua vitalità tra il 1850 e il 60 per l’avvento di nuovi movimenti forse meno lirici e romantici ma più aderenti al gusto moderno della nuova nazione. Sono scuole senza grande seguito, come la scapigliatura, il verismo, il simbolismo ma che indicano con forza la voglia di staccarsi da un isolamento nazionalistico per partecipare al clima di rinnovamento pittorico degli altri grandi paesi europei. Anche il Risorgimento, dopo la delusione dei primi moti rivoluzionari, ha preso coscienza di sé ed è diventato un movimento di lotta aperto e popolare. La spinta democratica e liberale dei moti del 1848 ha maturato, anche negli ambienti culturali, la necessità di rispondere con i propri mezzi a quella carica eversiva che porterà all’unificazione dell’Italia. 5 Molti artisti partecipano attivamente alle guerre di indipendenza e trasportano nella loro pittura l’entusiasmo degli ideali, la tragicità degli eventi, le delusioni della sconfitta, il disagio sociale. A questo clima così ricco di fermenti rivoluzionari si fa risalire la nascita e l’evoluzione del più importante gruppo di pittori della seconda metà dell’800: I Macchiaioli. Attivi tra Firenze e le coste della Maremma artisti come Fattori, Lega e Signorini, dipingono situazioni e paesaggi tratti dal vero con una tecnica di grande ricchezza cromatica ottenuta con l’accostamento di macchie di colore. Le origini del movimento vanno ricercate tra il 1850 e il 1860 al caffè Michelangelo, a due passi dall’Accademia di Belle arti di Firenze, luogo di incontro di scrittori, intellettuali, artisti, accomunati dagli ideali patriottici che alimentano gli animi giovanili del tempo. La ricerca parte dalla stessa storia pittorica delle scuole Italiane del primo ottocento: da Fontanesi, da Morelli, dalla scuola lombarda dei fratelli Induno via via fino alla scuola napoletana di Posillipo. A tutto questo bagaglio pittorico nostrano dà un contributo straordinario la scoperta della scuola francese di Barbizon con la sua paesaggistica staccata da ogni idealismo e simbolismo trascendentale. Su queste premesse i macchiaioli cercano di ricreare sulla tela la realtà, così come appare ai loro occhi, nel modo più diretto e immediato possibile e teorizzano una soluzione che li porti ad esprimere valori assoluti nella loro essenzialità: “…Il vero come è e come si presenta non è altro che una serie di macchie di colore e di chiaroscuro” (A. Cecioni) La tecnica di dipingere per macchie di colore costituisce, per questi pittori, il modo per rendere reale la loro visione semplificandola al massimo con l’abolizione del chiaroscuro. Ne deriva una struttura compositiva estremamente sobria e scarnificata dove il disegno costituisce l’elemento equilibrante tra rapporti cromatici e rapporti tonali. I pittori appartenenti al gruppo, per questo loro modo di dipingere, vengono definiti ironicamente I Macchiaioli da un critico della “Gazzetta del Popolo”. Le personalità più complete del gruppo sono: Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Telemaco Signorini ma attorno a queste figure lavorano artisti meno conosciuti ma altrettanto efficaci nella loro narrazione della realtà e nella tecnica pittorica. Non vanno peraltro dimenticati Giovanni Boldini e Federico Zandomenghi che, dopo un avvio artistico nel movimento toscano, svilupperanno la loro arte a contatto con le atmosfere parigine degli Impressionisti. Adriano Cecioni e Diego Martelli sono i teorici del gruppo. Cecioni è un modesto pittore ma uno scultore di grande talento: Bambino con galletto - La madre. Diego Martelli è un appassionato critico d’arte e fervente patriota. A lui va il merito di aver tenuto rapporti con gli impressionisti, dei quali era amico, e di avere promosso le opere dei macchiaioli fuori i confini dell’Italia. Giovanni Fattori, il caposcuola del gruppo, nasce a Livorno nel 1825 da una famiglia di artigiani; ben presto decide di dedicarsi alla pittura e si iscrive l’Accademia di Belle Arti a Firenze. Partecipa alla prima guerra di Indipendenza e collabora col partito di azione mazziniano. La sua prima produzione pittorica si rifà ad avvenimenti in gran parte desunti dai romanzi storici di Sir Walter Scott, di cui era appassionato lettore. Maria Stuarda sul campo di battaglia di Cook-stone del 1858/59. 6 La svolta decisiva, sia per quanto riguarda i soggetti sia per quanto riguarda lo stile pittorico, avviene nel 1862 con La battaglia di Magenta che può considerarsi il primo quadro di genere storico moderno della pittura italiana. Quello che risalta maggiormente è la reale e attenta ricostruzione del campo di battaglia, frutto di una serie di sopralluoghi fatti personalmente dall’artista. Importante, inoltre, la scelta del momento narrato poiché non si tratta dell’apice della battaglia, bensì di un episodio minore e doloroso: il rientro dei feriti sotto lo sguardo partecipativo degli alleati francesi. L’opera non si può definire ancora pienamente macchiaiola perché convivono il disegno e l’uso del chiaroscuro secondo la concezione accademica. Anche se l’utilizzo della “macchia” inizia a emergere in alcuni particolari. Fattori si dedica, inoltre, ai ritratti, e alla paesaggistica, e alle piccole tele, dove rivela doti di straordinario colorista. Diego Martelli a Castiglioncello. La celebre Rotonda Palmieri del 1866 testimonia il radicale cambiamento della pittura di Fattori e costituisce quasi il manifesto delle teorie macchiaiole in generale. Il quadro è di dimensioni ridotte e di forma rettangolare-12x35; la scena è ambientata in una giornata luminosissima presso uno stabilimento balneare della marina livornese. Un gruppo di signore, ognuna ripresa in atteggiamento diverso, sosta all’ombra di una tenda gialla. Le figure sono nitidamente definite nonostante ogni cosa sia rappresentata da macchie di colore. La costruzione formale si basa sull’equilibrio cromatico che da volume alle forme. La luce, l’acqua, l’atmosfera, l’immediatezza dell’immagine fanno pensare a un quadro realizzato in modo spontaneo. In effetti, è stato attentamente costruito e pensato come testimoniano i molti disegni preparatori. Contemporaneamente egli però lavora anche a grandi opere monumentali come Ultimo assalto alla Madonna della scoperta capolavoro di organizzazione spaziale e abilità compositive realizzato con lo stile che ormai lo caratterizza. Fattori, dal 1870 in poi, amareggiato nell’animo per una serie di disgrazie familiari ritorna alla sua Maremma e qui realizza una serie di capolavori che costituiscono la parte più completa ed epica della sua produzione pittorica. Barrocci Romani - Il carro rosso - La vedetta.- Lo staffato. Anche nella pittura di paesaggio raggiunge momenti di grande liricità: ne La libecciata ferma uno scorcio della marina livornese battuta dal libeccio che sconvolge la natura, piega i tronchi e le fronde e agita la superficie del mare. Anche qui l’atmosfera cupa è resa con pennellate monocrome che rendono l’immediatezza della scena. La sua costante disposizione alla ricerca lo sprona a lavorare fino alla fine alternando opere di pittura Ritratto della figliastra alla realizzazione di acque-forti. Nel 1903 si sposa per la terza volta ed esegue un toccante ritratto della donna nel suo studio: sulla parete I butteri una delle sue opere più amate. Muore nel 1908 a Firenze. Silvestro Lega, nasce a Modigliana in provincia di Forlì nel 1826. Frequenta a Firenze l’Accademia di belle arti e partecipa come altri artisti alla prima guerra di Indipendenza. Tornato a Firenze inizia a frequentare il Caffè Michelangelo e pian piano abbandona lo stile accademico di purista storico per una pittura più spontanea legata alla realtà. 7 Dal 1857 si trasferisce a Piagentina, un piccolo borgo vicino a Firenze ospite della famiglia Batelli e si lega sentimentalmente con la figlia maggiore Virginia. Qui inizia la stagione più serena e produttiva della sua vita. Nel 61 inizia le ricerche pittoriche en plein air e promuove con Telemaco Signorini e altri membri del caffè Michelangelo La scuola di Piagentina che diventa subito un laboratorio nella fase centrale della pittura macchiaiola cui ora, Lega, aderisce senza riserve. Il paesaggio delle colline toscane e la poetica immagine di scene quotidiane sono i soggetti prediletti dal pittore, nel cui stile rimane sempre l’eco della grande pittura classica, per i colori chiari, il disegno nitido e la ricchezza di particolari. Primo dolore. Il canto dello stornello una delle sue opere più belle è una rappresentazione d’intimità domestica; rappresenta Virginia Batelli al pianoforte e le sorelle Isolina e Maria dietro di lei. C’è una perfetta corrispondenza tra interni ed esterni caratterizzata da una proporzione delle forme. La rappresentazione è quieta e serena grazie all’equilibrio visivo basato sul colore, e alla luce che dà al quadro un’alternanza di chiari e scuri. La visita: la composizione è di grande equilibrio tra le figure e il paesaggio che, qui, è semplicemente la corte di una casa di campagna. Il concetto di macchia-luce-colore su cui si fonda la pittura dei macchiaioli trova una perfetta dimostrazione ne Il pergolato. In un assolato pomeriggio estivo delle donne aspettano di prendere il caffè all’ombra del pergolato della terrazza di una villa di campagna. Il sole, abbagliante sulla pavimentazione della terrazza, inonda di luce i campi che si estendono di là dalla recinzione della villa e fanno risaltare i colori vividi dei fiori nei vasi di coccio. Alla semplicità del tema si contrappone un’accurata osservazione degli spazi di luce e ombra che il sole disegna sulle figure. Nel 1870 muore di tubercolosi Virginia e ciò gli provoca una profonda depressione aggravata da una seria malattia agli occhi e da serie difficoltà economiche. La società Italiana, infatti, disillusa dalle lotte risorgimentali, non apprezza più l’aneddotica rappresentazione dei buoni sentimenti, la critica lo ignora, e i suoi quadri rimangono invenduti. Nel 1886 è ospitato dalla famiglia Bandini a Gabbro. Qui ridipinge con innato vigore. La sua pittura è carica di una straordinaria forza espressiva ma priva del lirismo delle sue opere migliori. Gabriggiana che cuce - Gabriggiana in piedi. Muore di cancro a Firenze nel1895 Telemaco Signorini nasce a Firenze nel 1835 da un pittore della corte ducale e inizia la sua prima formazione pittorica presso l’Accademia Fiorentina. A differenza di Lega e Fattori approda giovanissimo alla pittura di macchia e ne diventa una personalità di spicco proiettando, grazie ai suoi numerosi spostamenti, la conoscenza del gruppo anche su un piano internazionale. Dopo un soggiorno a Parigi, nel 61, dove conosce Courbet, Corot e alcuni pittori della scuola di Barbizon, Signorini ritorna a Firenze e frequenta i ritrovi di Piagentina e Castiglioncello, nel periodo di grande formazione della pittura macchiaiola, e diviene subito il coordinatore dei due gruppi. In questo periodo sperimenta la pittura di macchia nella rappresentazione di paesaggi assolati Piagentina - Pascoli a Castiglioncello o altri di ambientazione domestica secondo l’ispirazione di Lega. La lettera - Bambina che scrive. 8 Con Alzaia del 1864 si conclude per Signorini la fase idillica con la macchia e subentra l’attenzione ai problemi sociali. Nella tela cinque uomini trascinano con grande fatica una barca lungo un’alzaia: la posizione dei soggetti, l’espressione di stanchezza nei visi degli uomini, la luce del tramonto amplifica la massacrante fatica dei lavoratori. Si spinge anche a rappresentare temi di disagi nascosti ma le sue tele sono aspramente criticate non solo per i soggetti affrontati con crudezza ma anche per lo stile scarno ed essenziale che dà l’idea di una pittura poco curata. Bagno penale a Portoferraio - La sala delle agitate nel manicomio di S. Bonifacio. Dagli anni 70 in poi Signorini fa dei viaggi in giro per l’Europa e la sua pittura perde la luminosità delle opere del primo periodo e s’indirizza verso nuovi canoni espressivi. Trascorre gli ultimi anni della sua vita a Settignano dove la sua vena di paesaggista si traduce in un cromatismo prezioso e in quadretti lirici ricchi di grande poesia. Processione a Settignano - Ulivi a Settignano - Collina a Settignano. Muore a Firenze nel 1901 Il Divisionismo è un movimento che si sviluppa in Italia quasi parallelamente al pointillisme francese di Seurat e Signac ma, pur avendo come base tecnica l’accostamento di tratti di colore puro, il divisionismo italiano non si rifà a leggi ottiche o scientifiche ma piuttosto affonda le sue origini nella pittura lombarda del Fontanesi e del Piccio aderendo alla ricerca luministica del paesaggio e alla tecnica sfumata dei pittori della Scapigliatura lombarda. L’affermazione del divisionismo in Italia avviene, grazie soprattutto all’impegno di Vittore Gubricy de Dragon, pittore e critico d’arte e titolare col fratello di una galleria d’arte, punto di ritrovo e di ricerca di tanti giovani artisti. Ciascuno di essi applica la tecnica divisionista in modo originale e personale, alcuni si dedicano al paesaggio, altri alla realizzazioni di vedute simboliste, altri in composizioni che affrontano tematiche sociali sulla scia di Telemaco Signorini. Inoltre Vittore Gubricy manterrà sempre i contatti con la Francia e farà conoscere all’estero i lavori degli artisti italiani. Amico ed estimatore di Segantini lo sosterrà economicamente e psicologicamente per tutta la vita. Il divisionismo esploderà a Milano nel 1891 con l’esposizione, a Brera, di due dipinti fondamentali per il movimento: Maternità di Gaetano Previati e Le due madri di Giovanni Segantini. Malgrado trattino entrambi lo stesso soggetto, le due grandi tele sono profondamente diverse tra loro: infatti in quella di Previati domina l’astrattismo e il simbolismo mentre quella di Segantini è strettamente legata alla natura. Entrambe le opere, però, sono dipinte con la tecnica divisionista basata sullo scomposizione del colore per ottenere il massimo della luminosità. La pennellata del Previati più lunga e filamentosa rende la visione evanescente e le figure trattate riportano a immagini mistiche o simboliche. Segantini con piccole macchie di colore applicate con una pennellata breve e decisa ottiene uno straordinario effetto di luce artificiale in un interno rendendo la visione nitida e vibrante. Gaetano Previati è il teorico del movimento: le sue traduzioni delle leggi scientifiche del pointillisme e i suoi scritti specifici sul divisionismo italiano serviranno a far assumere al movimento un’importanza fondamentale per le generazioni dei pittori del nuovo secolo specie per i futuristi. Dopo varie esperienze accademiche Previati approda al movimento 9 divisionista con una personale originalità sia nei contenuti sia nella tecnica. Quasi tutti i suoi soggetti, perlopiù di chiaro riferimento letterario o allegorico, sono eseguiti con pennellate verticali e sottili che catturano la luce dando alle tele una diffusa luminescenza. Le figure languide ed evanescenti richiamano le immagini simboliste dei Preraffaelliti e serviranno da chiaro riferimento al decorativismo decadente dell’Art Nouveau. Il Re Sole - Paolo e Francesca. La figura più nota dell’ambito divisionista è Giovanni Segantini. Alle prime esperienze pittoriche di auto didatta, seguono brevi studi all’Accademia di Brera durante i quali condivide le esperienze dei pittori della Scapigliatura. Profondo ammiratore della poetica pittorica di Meillet egli si ritira a Pusiano, in Brianza, e, a contatto con la natura, realizza opere di grande poesia e intimismo, di stampo impressionista. Negli anni 80 inizia la sua svolta divisionista. Per nulla interessato alle formulazioni scientifiche Segantini trova nel divisionismo uno strumento efficace per risolvere il problema della luce che diviene il respiro vivificante nelle sue solenni rappresentazioni della natura. Una delle sue opere più famose, Alla stanga, eseguita a Caglio nasce da una lunga elaborazione all’aria aperta. Le montagne, la pianura e l’altipiano sono disposti su piani paralleli di differente intensità luminosa. Il cielo è una sola striscia di azzurro, dove s’intravedono i raggi del sole che creano nei primi piani un caldo effetto di controluce. La gamma cromatica è impostata sui colori del giallo, verde e marrone che cambiano tonalità secondo la luce che li investe. Ma come sfondo domina il maestoso panorama alpino e la natura assume la dimensione sacra dell’eterna forza creatrice. Segantini trascorre gli ultimi anni della sua vita a Maloja, un piccolo villaggio alpestre in Engadina dove inizia a concepire Il trittico delle Alpi. L’opera consiste di tre enormi tele realizzate con la tecnica divisionista: La Vita - La Natura - La Morte che hanno come sfondo lo scenario crepuscolare, montano e invernale delle zone del Maloja. La natura domina nei tre quadri e assume una dimensione di eterna sacralità. Nel primo La vita è evocata dalla rappresentazione della maternità, nel secondo La natura dallo scorrere di una giornata lavorativa dei montanari, nel terzo La morte da un semplice funerale di montagna. Il trittico costituisce il summa della pittura di Segantini e anche il suo testamento spirituale. Infatti, a settembre del 99 la sua ricerca lo spinge a salire sul monte Schaffberg dove muore, colpito da un attacco di peritonite, a soli 48 anni. Al divisionismo deista e naturalista come viene definita dai critici la corrente a cui appartengono Previati e Segantini si contrappone il divisionismo Ideologico o socialista caratterizzato dalla rappresentazione di tematiche sociali Quest’ultimo aspetto, l’attenzione verso i nuovi aspetti della società, è il filone prevalente degli ultimi anni del secolo. Dopo l’unità d’Italia si spengono gli ardori Risorgimentali e si scopre lo stato di arretratezza in cui si trova gran parte della Nazione che fa ancora fatica a trovare il suo ruolo tra le grandi potenze europee. Il disagio dei poveri, la necessità di una rapida conversione dell’economia verso l’industria, il crearsi di un nuovo ceto operaio offrono l’occasione per una pittura nuova non priva di un senso di denuncia di cui Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo sono le due figure di maggior spicco. 10 Angelo Morbelli dopo un periodo di adesione al verismo si converte alla tecnica pittorica del divisionismo divenendone un convinto assertore. Le sue opere del periodo migliore riguardano scene di vita degli emarginati a Milano. Affitta una stanza all’interno del Pio Albergo Trivulzio e realizza dei quadri che pur nella loro tragica realtà sono di grande poesia. Natale al Pio Albergo Trivulzio – Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio. Le sue pennellate di tocchi ravvicinati di colore puro danno all’ambiente una potente luminosità creando straordinari effetti di chiaro scuro. Giuseppe Pellizza da Volpedo, seguace di Hayez a Brera, diventa amico dei macchiaioli e alunno di Fattori. Le sue prime opere come Ricordo di un dolore risentono della loro influenza. Aderisce poi al divisionismo adottando una tecnica originale fatta di pennellate, puntini, segni, macchie per definire le forme e dare solennità al soggetto rappresentato. Egli affronta temi e formati molto diversi facendosi sedurre persino dai ritratti e dalle nature morte. Approda finalmente al verismo sociale dove trova la più piena e personale espressione. Sospinto dalla lettura delle opere di Marx e di Enghel, Pellizza elabora in lunghi anni di studi diverse versioni del suo capolavoro Il Quarto Stato dove raggiunge la sintesi tra le sue idee socialiste e la nuova tecnica pittorica. La versione più nota, rappresenta una massa di contadini capeggiata da tre figure “simbolo” che rappresentano le tre età della vita. L’immagine è frontale per dare maestosità e tragicità alla scena. Anche Pelizza da Volpedo come molti arti artisti di questo periodo, in seguito alla scomparsa della moglie, muore suicida. Siamo agli ultimi anni del secolo e la scena artistica europea viene scossa e rinnovata dalla marea impressionista. A cura di Giuseppina Roberto Indovina 25 gennaio 2016 11