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IL FOGLIO
Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1
ANNO XII NUMERO 8
Raid aerei
L’America inizia la caccia
ad al Qaida in Somalia
Critiche da Europa e Onu
Una trentina di vittime. Tra loro forse
l’attentatore delle ambasciate in Kenya
e Tanzania del 1998 (200 morti)
La brigata globale delle Corti
Roma. Gli Stati Uniti hanno compiuto raid
aerei sul sud della Somalia, vicino al confine
con il Kenya con l’obiettivo di colpire una
delle più pericolose cellule di al Qaida nel
Corno d’Africa, che ruota intorno a tre super
ricercati vicini alla rete di Osama bin Laden
e nascosti insieme con le Corti islamiche nella “Tora Bora” somala. Ci sarebbero circa
trenti civili uccisi, ma non sono stati dati numeri definitivi – fonti mediche parlano di
quattro vittime – anche perché le operazioni
durano dalla notte di lunedì e, secondo molti analisti, sono destinate a continuare per
giorni. Stando a fonti dell’intelligence americana, almeno uno dei leader islamista sarebbe stato ucciso. Si tratterebbe di Fazul
Abdullah Mohammed, il
jihadista delle Comore, che
pianificò l’attacco terroristico alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania nel
1998, nel quale morirono
200 persone. Il Pentagono
non ha né confermato né
smentito la notizia, così come non è certo se nel blitz
sia stato coinvolto anche GEORGE W. BUSH
Abu Talha al Sudani, l’esperto di esplosivi proveniente dal Sudan
nonché uno dei terroristi più noti dell’Africa, e Ali Saleh Nabhan, un keniota molto attivo in tutta la regione da tempo. Di certe ci
sono invece le polemiche che il raid americano – preparato grazie alla sorveglianza via
satellite, l’utilizzo di aerei spia e informazioni di intelligence “credibili”, secondo il Pentagono – ha scatenato, soprattutto in Europa,
all’Onu e in Italia.
L’Ac-130 americano che ha fatto i raid –
quello di ieri forse è stato fatto da elicotteri
etiopi – è partito dalla base delle operazioni
speciali di Gibuti, dove “Enduring freedom”
ha a disposizione 1.800 uomini. La “cannoniera” volante – utilizzata anche contro i talebani e al Qaida in Afghanistan – ha investito soprattutto il villaggio di Hayo. L’area,
fitta di vegetazione e difficile da espugnare
via terra, è sotto il controllo di Hassan Turki,
il capo delle Corti islamiche a Kisimaio, prima che l’avanzata dell’esercito somalo ed
etiope lo facesse fuggire. Turki è il reclutatore della cosiddetta “brigata internazionale”
composta da volontari della guerra santa
islamica giunti dal Pakistan, dalla penisola
arabica e dal Nord Africa. (segue nell’inserto I)
Enduring Freedom
Dal Corno d’Africa al Waziristan
riparte la guerra al terrore,
con più alleati e più intelligence
L’interforza da esportare. L’ammiraglio
Mike McConnell, nominato il 5 gennaio scorso direttore della National Intelligence, l’agenzia che coordina tutti i servizi segreti
FOGGY BOTTOM
americani sia civili sia militari, ha iniziato
bene il suo lavoro. Dal suo ufficio, nel palazzo della Defence Intelligence Agency (Dia),
sulle rive del Potomac, il successore di John
Negroponte nella notte di domenica ha seguito le operazioni americane in Somalia.
Operazioni congiunte – Cia-Pentagono-intelligence militare di ogni tipo – per catturare
alcuni uomini di al Qaida, sfuggiti alla cattura a Mogadisco da parte delle truppe etiopi,
a sostegno dell’esercito somalo, e rifiugiati
con le Corti islamiche alla frontiera con il
Kenya. L’America, uccidendo e catturando
con l’uso di specialisti terrestri, aerei da
bombardamento e sorveglianza marittima,
ha chiuso o quasi un vecchio conto con l’estremismo islamico somalo. Al Pentagono e
alla Cia, ma anche alla Casa Bianca e a
Foggy Bottom, ricordano con rabbia la terribile giornata del 3 ottobre 1993 (18 soldati uccisi e trascinati nella polvere a Mogadiscio),
il ritiro dalla Somalia deciso dall’allora presidente Bill Clinton il 31 marzo 1994, gli attacchi sanguinosi di al Qaida alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania (coordinati proprio da Mogadiscio). L’operazione è
stata festeggiata non soltanto a Washington,
ma anche sulla portaerei Eisenhower, centrale operativa in mare, nella base americana di Gibuti, all’ambasciata americana di
Addis Abeba, vera struttura organizzativa
dell’operazione in Somalia, partita prima di
Natale e finita con la liberazione del paese
dai terroristi delle Corti islamiche. L’ammiraglio Mike McConnel spera che questa unità
operativa interforze, realizzata con il blitz alla frontiera col Kenya, possa continuare in
tutti gli altri scenari della lotta al terrorismo,
dall’Iraq al Waziristan all’Afghanistan. McConnell è d’accordo con il presidente George W. Bush: “I terroristi li dobbiamo catturare ovunque si trovino”. Gli Stati Uniti d’ora
in poi andranno con la mano pesante. Chi a
Washington si occupa di questi argomenti
ritiene che le prossime settimne la scena
della lotta ai criminali islamisti si scalderà
parecchio.
(Foggy Bottom segue nell’inserto I)
quotidiano
Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO
MERCOLEDÌ 10 GENNAIO 2007 - € 1
DIRETTORE GIULIANO FERRARA
La Giornata
* * *
In Italia
* * *
Nel mondo
CHITI ANNUNCIA: “RIFORMA DEL SISTEMA ELETTORALE ENTRO L’ANNO”.
Ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, ha detto che la riforma della legge elettorale dovrà essere fatta
“entro l’anno” anche per scongiurare il referendum. L’esponente dei Ds ha spiegato
che varare una riforma partendo da una
“larga condivisione tra maggioranza e opposizione è compito del Parlamento”.
Il segretario della Quercia, Piero Fassino: “Sulla riforma il centrodestra fa un uso
strumentale del referendum”. Il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi: “Non
l’abbiamo neppure promosso noi”.
RAID AMERICANI IN SOMALIA CONTRO MILIZIANI DI AL QAIDA. Ieri gli attacchi dell’aviazione statunitense contro i
soldati delle Corti islamiche rifugiate nel
sud del paese avrebbero provocato decine
di morti, compreso – secondo fonti anonime
dell’intelligence di Washington – un fondamentalista coinvolto negli attentati del 1998
alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Un secondo attacco nella regione tra
Afmadow, Dhoble e Kisimaio ha ucciso venti miliziani. A Mogadisco sono stati arrestati nove predicatori in una moschea vicino
alla sede del governo.
Il ministro degli Esteri italiano, Massimo
D’Alema, ha dichiarato: “L’Italia è contraria a iniziative unilaterali”.
* * *
Una fondazione azionista Rai di riferimento.
Il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, ha presentato le linee guida per la
riforma della Rai che cercherà di rendere
l’azienda più autonoma. Azionista di riferimento dovrebbe diventare una fondazione –
che sarà riconducibile a tre società Rai – con
un Cda di sei membri, quattro di nomina parlamentare e due indicati dalle regioni.
* * *
“Tfr subito anche per pubblico impiego”.
Lo ha detto il ministro per le Riforme, Luigi Nicolais, annunciando che entro la fine
del mese anche i lavoratori pubblici potranno avvalersi della nuova normativa sul
Tfr. “C’è un gruppo di lavoro con il ministero del Tesoro, la commissione dovrebbe
completare il lavoro in un paio di giorni”.
Luigi Angeletti, segretario generale della
Uil: “Ci aspettiamo che il governo renda
giustizia ai lavoratori pubblici”. Dal vertice
di Caserta Angeletti auspica che venga la
conferma dell’impegno assunto dal governo, l’abolizione del cosiddetto scalone.
* * *
Pronto il piano straordinario per ospedali.
Il ministro della Sanità, Livia Turco, dopo
le ispezioni compiute dai Nas ha detto che
“bisogna rimodernare le strutture sanitarie
con un piano straordinario”.
* * *
Alibi debole per i coniugi di Erba fermati
due giorni fa. Gli inquirenti stanno valutando l’attendibilità di una fotografia scatta la sera del delitto nella quale compare il
profilo di un uomo che potrebbe essere
Olindo Romano. Se così fosse, cadrebbe l’alibi che i coniugi hanno avanzato finora, di
non trovarsi a casa all’ora della strage, ma
di essere stati in una pizzeria a Como.
* * *
Betori: “La poligamia è un problema reale”.
Il segretario generale della Cei, Giuseppe
Betori, ha detto che la poligamia “non può
essere giustificata in nome della libertà religiosa”. Lo ha spiegato a Montecitorio nell’audizione sui temi della libertà religiosa.
Secondo il portavoce della comunità
ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, “qualora l’obiettivo di Betori fosse che una religione prevalga sulle altre sarebbe un fatto
inaccettabile che favorirebbe i laicisti”.
* * *
Prodi e Berlusconi testimoni su Abu Omar.
La difesa del generale Nicolò Pollari sul
caso del rapimento dell’imam ha annunciato che saranno chiamati a testimoniare
sia il premier sia Silvio Berlusconi. L’udienza è stata aggiornata al 29 gennaio.
Il presidente del Copaco, Claudio Scajola: “Credo che si possa avere in primavera
una buona riforma dei servizi che garantisca la sicurezza del paese”.
* * *
Angela Merkel critica la Russia per la decisione di interrompere le forniture di petrolio alla Germania e ad altri paesi dell’Europa centrale e orientale. Il presidente
di turno dell’Unione europea ha detto che
la mossa del Cremlino non fa che “distruggere la fiducia degli europei” verso Mosca.
Articolo nell’inserto III
* * *
Uccisi cinquanta islamisti a Baghdad. Ieri c’è stato un violento scontro tra l’esercito
iracheno appoggiato dalle truppe americane e un gruppo di terroristi. Secondo il ministero della Difesa, sono stati uccisi cinquanta miliziani. Ventuno, tra cui tre siriani e un sudanese, sono stati catturati. Un
aereo moldavo si è schiantato durante la fase di atterraggio, 35 morti.
Ieri è apparso un nuovo video che mostrerebbe il cadavere di Saddam Hussein.
* * *
In Venezuela Chávez nazionalizza il privato. E’ iniziato ufficialmente il secondo mandato, con “leggi rivoluzionarie” per realizzare il “socialismo del XXI secolo”.
La Borsa di Caracas è crollata di sei punti percentuali dopo l’annucio di Chávez.
* * *
Eta rivendica l’attentato all’aeroporto di
Madrid, ma ritiene ancora valido il cessate
il fuoco permanente siglato col governo nel
marzo 2006. Il ministro dell’Interno, Perez
Rubalcaba, ha detto: “Eta ha chiaramente
interrotto il processo di pace”.
Arrestati in Francia due membri del
gruppo armato coinvolti nell’attentato.
* * *
In Canada passa la legge “doppia madre”.
Ieri la Corte d’appello dell’Ontario ha riconosciuto come “madre” di un bambino di
cinque anni sia quella biologica sia la sua
compagna. Il padre biologico è stato legalmente riconosciuto come papà del bimbo.
* * *
Hamas fa sapere che Gilad Shalit sta bene,
ma che potrebbe rimanere prigioniero per
anni. Il soldato israeliano è stato rapito dalla milizia islamica lo scorso giugno a Gaza.
* * *
Il francese Daul è il nuovo leader del Ppe.
Joseph Daul ha ottenuto 88 voti. Attuale
presidente della commissione Agricoltura
del Pe, sostituirà il tedesco Pöttering, candidato alla presidenza del Pe.
* * *
Tokyo ripristina il ministero della Difesa.
Il premier Abe vuole aumentare le prestazioni militari in reazione alle ambizioni nucleari avanzate da Pyongyang.
Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21.00
Giù il cappello davanti alla chiesa polacca
E’ stata perseguitata dal nazismo e dal comunismo. E’ stato il fattore
unificante del popolo, anche dei non credenti. Ha dato al Novecento
due giganti come Wyszynski e Wojtyla. Parla Luigi Geninazzi
Milano. “Come non ringraziare oggi Dio
per quanto si è realizzato nella vostra patria
e nel mondo intero durante il pontificato di
Giovanni Paolo II? Davanti ai nostri occhi
sono avvenuti cambiamenti di interi sistemi
politici, economici e sociali. La gente in diversi paesi ha riacquistato la libertà e il
senso della dignità”. Disse così – e non
avrebbe potuto essere più esplicito – Benedetto XVI durante la sua visita in Polonia, il
26 maggio 2006, nell’omelia della messa celebrata sulla piazza Pilsudski di Varsavia. A
raccontare l’evento, un’altra volta ancora,
c’era anche Luigi Geninazzi, giornalista di
Avvenire che da quasi trent’anni segue le vicende politiche e religiose della Polonia,
che per molti aspetti è come dire un tutt’uno. Un tutt’uno che nel 1979 fece dire a Giovanni Paolo II, in quella stessa piazza: “Discenda il tuo Spirito e rinnovi la faccia della terra”. E aggiunse: “Di questa terra!”.
Geninazzi conosce e ama la Polonia da
allora; negli anni caldi di Solidarnosc, dello scontro tra la società e la dittatura comunista, è stato corrispondente da Varsavia per il quotidiano dei vescovi italiani.
Ciò che rimarrà nella storia, e non solo in
quella del Novecento, sarà la storia di questa chiesa polacca, la chiesa che ha resistito al nazismo prima e al comunismo poi, e
non certo “le meschinità e il risentimento
che animano il presente”. Ne è convinto,
Luigi Geninazzi. Lo ha scritto ieri in un bell’editoriale sulla prima pagina di Avvenire,
lo ripete oggi al Foglio: “La grandezza della chiesa polacca, ciò di cui è doveroso e
necessario conservare la memoria, e io mi
auguro che così sia, è questa sua storia gloriosa. Sì, se vuoi lo si può anche chiamare
‘eccezionalismo’ polacco, non so se è il termine migliore. Ma di certo è ciò che colpì il
mondo – la chiesa intera e anche tutto il
mondo – soprattutto in quegli anni 70 e poi
negli anni 80: la sua forza, la sua libertà, la
sua capacità di essere tutt’uno col popolo,
con la nazione, di esserne la voce. Per meglio dire, colpì per due aspetti congiunti:
perché era una chiesa viva, popolare, di
fronte alla grande secolarizzazione delle
società occidentali, ma anche di quelle del
blocco comunista, basti pensare all’Ungheria o alla Cecoslovacchia. Inoltre colpì per
la sua identità forte, in cui tutta una nazione si riconosceva. Ricordo ancora la prima
volta che arrivai a Danzica, ai cantieri, nell’agosto del 1980. L’impressione che ricevetti vedendo migliaia di operai, tute blu,
che cantavano l’inno nazionale e pregavano senza soluzione di continuità. Da noi era
letteralmente inimmaginabile”.
Da dove nasceva, secondo lei, questa capacità unica, non riscontrabile altrove, del
cattolicesimo polacco? “Nasceva dal cardinale Wyszynski, il padre della chiesa polacca. Lui ebbe la grande intuizione di legare tradizione cattolica e identità nazionale, ed è da questa unità che nacque quella grande forza etica, quell’orgoglio nazionale che ha saputo resistere al comunismo,
tenergli testa. Di quegli anni ricordo la consapevolezza diffusa che la chiesa era il bastione della nazione”.
(segue nell’inserto IV)
Bombaroli bestiali
ATTIVISMI E ATTENDISMI
La terribile storia dei terroristi
qaidisti imprigionati nelle catene
dell’amore (in scena a Los Angeles)
Continua la marcia su Romano
di CDB. Chiti tratta con Veltroni
e accelera sulla legge elettorale
Comunque vada, al Cav. conviene
rimanere immobile. Il dialogo
(semmai) dopo le amministrative
on sprezzo del pericolo, ci hanno provato. I due eroi si chiamano Julien
C
Nitzberg e Roger Neill, rispettivamente
Roma. Se lunedì Veltroni è andato a Palazzo Chigi, martedì Palazzo Chigi è andato
da Veltroni. Nella persona di Vannino Chiti,
ministro ds incaricato da Prodi di fare da
esploratore sul terreno delle celebri “riforme istituzionali condivise”. Incaricato, cioè,
di trovare un accordo con almeno un pezzo
dell’opposizione su come cambiare la legge
elettorale, senza mettere in crisi la maggioranza. Il problema è che la maggioranza si
mette in crisi da sé. Il quadro che ne emerge
è dunque piuttosto articolato, ma si può sintetizzare così: sabato Franco Marini dice a
Repubblica, parlando ai Ds, che sul Partito
democratico bisogna accelerare, che per farlo sarà necessario pagare dei prezzi ed è meglio pagarli subito. E lunedì, dicevamo, Veltroni va a Palazzo Chigi. Al profilarsi di un
possibile asse Margherita-Ds, Romano Prodi
sembra dunque rispondere secondo uno
schema antico: Marini e D’Alema da una parte, Prodi e Veltroni dall’altra. Ma da allora
molta acqua è passata sotto i ponti, e anche
sotto i partiti. E’ un fatto però che
ieri, e cioè dopo la visita di Veltroni a Palazzo Chigi e prima della visita di Chiti al Campidoglio,
sul Messaggero un prodiano come
il ministro Giulio Santagata diceva al Messaggero che “Veltroni
è uno dei leader più attrezzati a sostituire Prodi
nel 2011”. Una risposta,
evidentemente, indirizzata
tanto all’asse D’Alema-Marini quanto a
Piero Fassino (in questa fase Francesco Rutelli appare decisamente
più defilato). Alle ore 12 di
ieri, in Campidoglio, il ministro-esploratore Chiti incontrava dunque Walter Veltroni. E poco dopo le 15 dettava alle agenzie la dichiarazione del giorno: “Riforma della legge elettorale entro l’anno”. Se due più due fa quattro, se
ne deduce: primo, che lo schema di “crisi pilotata” del governo Prodi (secondo il binomio nuova legge elettorale-elezioni anticipate) ha subito un’improvvisa accelerazione. E
secondo, che il sindaco di Roma viene ormai
consultato da Prodi come fosse il leader del
partito di maggioranza. Al contrario di Fassino. E ieri sera, a Otto e mezzo, Fassino ha
detto chiaramente che il candidato del 2011
il centrosinistra lo sceglierà con le primarie.
Ma soprattutto: “Ci saranno uno o più candidati, tra cui è evidente che c’è Veltroni come
Rutelli e D’Alema”.
La riunione di Caserta che si aprirà domani, laddove Prodi conta di serrare le file
della maggioranza, si annuncia non poco movimentata. Sui giornali di ieri il ministro Emma Bonino sollevava il “caso Di Pietro” e
chiedeva al presidente del Consiglio di sconfessarne apertamente le dichiarazioni contro
l’Unione europea (e più in generale tutta la
linea seguita sul caso Autostrade), mentre il
ministro Rosy Bindi sconfessava di fatto il
ministro Barbara Pollastrini, da tempo al lavoro sul tema dei diritti delle coppie di fatto,
dicendosi intenta a mettere a punto un proprio testo in merito. Dopo il piano delle liberalizzazioni proposto da Rutelli, pure il piano delle convivenze della Bindi, per i Ds era
davvero troppo. “Se vogliamo giocare a questo gioco, da domani possiamo cominciare
anche noi a presentare le nostre proposte,
dalla A alla Z: A come Autonomie locali, B
come Beni culturali, C come Comunicazioni…” dicevano i dirigenti diessini, snocciolando l’elenco dei ministeri guidati da esponenti della Margherita (quelli con cui dovrebbero presto fondersi nel nuovo Partito
democratico, per capirsi).
Roma. Attendere paga. Non sempre è così ma in questo momento a Silvio Berlusconi conviene decisamente rimanere fermo e
acquartierato aspettando che nell’Unione
qualcuno muova un passo verso di lui inciampando magari nella camminata di
qualche collega di maggioranza. Un primo
cenno l’aveva fatto Giuliano Amato alla fine
della settimana scorsa, senza enorme fortuna, con la proposta di una Convenzione per
riscrivere le riforme. Soprattutto quella del
sistema elettorale sul quale grava la prospettiva di un referendum (quello di Giovanni Guzzetta) che rivoluzionerebbe il paesaggio politico in senso bipartitico. Il Cav. è
storicamente tediato dal dibattito su questo
tema – se pure ha già detto no al doppio turno alla francese – perché considera la legge
elettorale un mezzo fra i tanti possibili per
irrobustire quanto gli sta più a cuore: la governabilità del sistema bipolare. E il ritorno personale al governo. Stabilito l’obiettivo, qualunque mezzo può dimostrarsi interessante. Berlusconi ha tre opzioni e tende a mantenerle tutte
in vita mentre il centrosinistra
ci si macera sopra frammentato: partecipare alla superbicamerale proposta da Amato; allestire una bicameralina vecchio stile con i più affidabili degli avversari, cioè
i dalemiani; ovvero, ma la cosa non contraddice le altre, assecondare il passo pensante e
cadenzato degli ultras referendari. Chi lo ha incontrato nelle ultime ore sostiene che
Berlusconi stia manovrando con lo stesso spirito
dell’aprile scorso, quando
all’indomani del voto si
rivolse in conferenza
stampa ai dirigenti dell’Unione usando il paradosso
del perdente vincitore: la Cdl ha quasi vinto, perciò il centrosinistra ha quasi perso e
difficilmente saprà governare autarchicamente. Sicché il centrodestra rimane in attesa di un’offerta per aprire il dialogo.
Oggi non sembra più tempo di grandi coalizioni, ma ogni rimescolamento non può che
giovare al Polo perché dirige verso nuove
elezioni (o nuove maggioranze). Su questa via
l’alleato più disponibile si sta dimostrando
Gianfranco Fini, politico dalla vocazione
maggioritaria e comprensibilmente infastidito dal progetto neocentrista portato avanti
dall’Udc di Pier Ferdinando Casini. Ma siccome l’invasività della prospettiva bipartitica rischia di produrre danni anche a destra
– dove la Lega ha deciso solidarizzare con
l’Udeur di Clemente Mastella in un comitato
antireferendum – il Cav. sceglie il profilo basso e ha lasciato a Fini il compito di pronunciarsi in una direzione precisa. Del resto non
spetta alla ex Cdl fare un’offerta. Infatti ieri
il ministro per le Riforme Vannino Chiti (Ds),
a due giorni dall’incontro con la delegazione
di Forza Italia, è tornato a manifestarsi per
allontanare i dubbi di chi non crede alla
possibilità di riformare il sistema elettorale in tempi rapidi. Chiti ha detto che la
riforma della legge dovrà essere fatta “entro l’anno” anche per scongiurare il referendum che secondo lui “deve essere solo
una sollecitazione”. Dello stesso parere è la
dalemiana Anna Finocchiaro, capogruppo
ulivista a Palazzo Madama.
librettista e compositore di un’operetta
(in senso tecnico: il modello è “Mikado”,
giapponeseria ottocentesca di Gilbert &
Sullivan) intitolata “The Beastly Bombing – A Terrible Tale of Terrorists Tamed by the Tangled of True Love”. Più o
meno: Bombaroli bestiali – Una terribile
storia di terroristi imprigionati dalle catene dell’amore. Tornerà in scena il prossimo 19 gennaio allo Steve Allen Theater
di Los Angeles. Luogo un po’ sospetto:
appartiene a un centro fondato da Carl
Sagan e da Isaac Asimov, sfoggia nella ragione sociale l’equivoca parola “umanesimo” (di solito si accoppia all’esperanto,
e non promette mai bene). Ma uno spettacolo che inizia con un ingorgo di terroristi sotto il ponte di Brooklyn è troppo
curioso per lasciarselo scappare.
Patrick e Frank, bombaroli neonazisti,
vorrebbero manifestare il loro dissenso
contro il presidente degli Stati Uniti distruggendo il ponte. Arrivano sul posto, e
scoprono che Adbul e Khalid, terroristi
di al Qaeda, hanno avuto la stessa idea.
Segue colluttazione, le due bombe finiscono in acqua. I quattro litigano furiosamente, ognuno invocando i propri buoni motivi. Per chiarire le rispettive posizioni, prendono a cantare “Our Ideology”, e trovano un punto d’accordo nell’odio per gli ebrei, che come sostiene
Mel Gibson sono all’origine di tutti i mali del mondo. Il motivetto, ascoltabile su
myspace, oltre che sul sito “Thebeastlybombing”, fa da perfetto contrappunto
vittoriano a “Throw the Jews Down the
Well” di Borat il kazaco. Per sfuggire alla polizia, i nazi e gli islamici entrano in
un negozio di palandrane e si travestono
da ebrei chassidici. A questo punto si aggiunge al coro il proprietario dell’emporio, che ha il dente avvelenato contro gli
ebrei non abbastanza ortodossi.
Come “Primavera per Hitler”
Julien Nitzberg – che è anche regista
dello spettacolo, ha una madre sopravvissuta all’Olocausto, vanta una discendenza da un musicista che dirigeva a
Vienna le operette di Franz Lehar – cita
Mel Brooks tra i suoi numi tutelari. E
spera che “The Beastly Bombing” diventi il “Primavera per Hitler” di questi anni: l’oltraggioso musical che nei “Producers” di Mel Brooks un produttore e un
contabile fantasioso decidono di mettere
in scena. Hanno scelto il copione tra un
mucchio di schifezze perché fallisca la
sera della prima, così potranno intascare
i soldi delle vecchiette finanziatrici. Accade il contrario: il musical con le svastiche ha successo, rimane in cartellone,
porta in galera per truffa i due furbetti di
Broadway.
Tra gli spettatori entusiasti, Liev Schreiber, che ha diretto “Ogni cosa è illuminata” tratto dal romanzo di Jonathan
Safran Foer, e Stephen Gaghan (bravissimo come sceneggiatore in “Traffic” di
Soderbergh, un po’ meno come regista di
“Syriana”). L’operetta, sempre tra balli,
canti e travestimenti – Gilbert & Sullivan
si rivoltano nelle rispettive tombe – prosegue con la separazione delle coppie
bombarole, ognuna formata da un terrorista sveglio e da uno tonto. Entrano in
scena due gemelle, Elissa e Clarissa, figlie del presidente americano e piuttosto
inclini agli stupefacenti, che girano in incognito. Vorticosamente, si riformano tre
coppie, di cui una gay, mentre viene avvistato un sottomarino giapponese nell’East River: il solito combattente ignaro
del fatto che la Seconda guerra mondiale è finita da un pezzo. Roger Neill e Julien Nitzberg sperano ora in un teatro di
Broadway (va bene anche anche un po’
off). Ma farebbero bene a guardarsi ogni
tanto le spalle.
Ho la febbre, il raffreddore, il mal di testa, il catarro nei seni
frontali, la tosse mezza
secca, l’otite, quasi
completamente sordo,
ormai rispondo sempre: come? eh?, sembra a volte che passi, poi non passa, si trascina, perdo i pezzi e devo ammettere che le
palle girano anche perché non era questo,
forse, il momento migliore per smettere di
fumare. Si dice che è l’età. Fregnacce, quale
età? Più o meno alla mia età Piero Fassino
si lancia verso una nuova e luminosa stagione di riforme, D’Alema sembra più furbo
che mai, Veltroni si appresta a fare il mazzo
un’altra volta a tutti e due. Si parva licet. Più
o meno alla mia età Harrison Ford farà una
nuova puntata di Indiana Jones. “Alla ricerca del gabinetto maledetto”, sostengono i
maligni che sarà il titolo. Indiana Jones si
recherà in Egitto tormentato dalla prostata,
riuscirà a entrare dopo mille peripezie nella tomba del Faraone, una sala, un’altra sala, poi giunto in fondo si chiederà: “Ohilà,
che cazzo stavo cercando?”. Mentre è lecito
supporre che nella Villa di Caserta ci sarà
senz’altro più di un bagno.
Lo “schema 2000” dell’Ing.
Questa è dunque la situazione degli ufficiali e delle truppe impegnati sul terreno del
Partito democratico. Non molto diversa da
quella degli Stati Uniti in Iraq, con Veltroni
e Parisi nel ruolo della commissione BakerHamilton (almeno nelle loro aspirazioni).
Dal referendum e dal conseguente cambiamento di legge elettorale entrambi attendono la svolta strategica: ritiro graduale delle
truppe dalemiane e mariniane, sostituzione
degli attuali stati maggiori di Ds e Margherita (Fassino e Rutelli), ridefinizione degli
obiettivi e dei confini del Partito democratico – per ridimensionare i primi e allargare i
secondi, va da sé. L’articolo della rivista dei
padri dehoniani Il Regno, segnalato ieri dalla Stampa, rilanciava sin troppo esplicitamente le tesi parisiane: “Riprendere la strada delle riforme istituzionali, del cambiamento della legge elettorale”, questo dovrebbe fare Prodi, ma soprattutto prendere
in mano la costruzione “in proprio” del Partito democratico (altrimenti, non gli resterebbe che “la linea di galleggiamento. Ma
per quanto tempo ancora?”). Quanto a Veltroni, da tempo gode di sostegni assai più pesanti della rivista dei dehoniani. A cominciare dal suo sponsor ufficiale, Carlo De Benedetti, da tempo impegnato in una campagna
quasi porta a porta per la sua ascesa a Palazzo Chigi. E per la rapida discesa di Prodi, soprattutto. Non certo una novità, per l’autonominata tessera numero uno del Partito democratico, nella cui dimora romana – come è
noto – nel 2000 fu deciso che il presidente del
Consiglio uscente non sarebbe stato ricandidato e che al suo posto il centrosinistra avrebbe presentato l’ex sindaco di Roma.
Gruppi federati e presidi riformisti della Cdl
Comunque vada l’incontro fra legati, se il
centrodestra gioca con sapienza la propria
mano di poker dovrebbe ottenere dei risultati. Perfino una rottura dei rapporti diplomatici in Parlamento potrebbe essere presentata agli elettori – e all’attentissimo presidente Giorgio Napolitano – come l’ennesimo insuccesso di una maggioranza destinata semmai a modificare da sola, e chissà
quando, la legge elettorale. Se invece le cose andassero diversamente – per quanto difficile – si comincerà a dire che il governo
Prodi ha un anno di vita a partire dalla dichiarazione di Chiti. Se ieri il portavoce del
Cav., Paolo Bonaiuti, poteva permettersi di
definire “capitale della sceneggiata” la città
di Caserta – dove domani si riunisce in conclave l’Unione – significa che le aspettative
di un confronto sono basse, e che Berlusconi considera la moltiplicazione dei tavoli e
dei confronti bipartisan come “un diversivo” per spargere caligine sopra gli insuccessi e le incertezze del governo. I sondaggi dicono che al Polo conviene semmai trattare
dopo le amministrative di maggio. Anche
per questo aspettare paga, ma è soltanto un
espediente tattico. Temporeggiare non vuol
dire privarsi d’una strategia di reconquista.
Una volta realizzata la grande manifestazione romana del 2 dicembre scorso, gli osservatori più capaci (come Lodovico Festa sul
Giornale di ieri) colgono la necessità di collegarsi con le basi sociali di riferimento. Come? Investendo in un presidio riformista a
difesa della legge Biagi (mercato del lavoro)
e di quella firmata dall’ex ministro Roberto
Maroni (previdenza). La risposta di Forza
Italia è positiva, il coordinamento nazionale
annuncia che formerà “comitati in tutti i
centri italiani per la difesa delle leggi e delle riforme varate dal governo Berlusconi”.
Intanto i finiani domani riuniranno l’esecutivo, e cercheranno con Maurizio Gasparri
d’incoraggiare la nascita d’una federazione
tra gruppi parlamentari di An e FI.