Intervista all`attrice e autrice di teatro, Isabella Carloni

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Intervista all`attrice e autrice di teatro, Isabella Carloni
22 LUGLIO !
NUMERO 3
Il Giornalino
SCUOLA ITALIANA / MIDDLEBURY COLLEGE / ESTATE 2011
Intervista all’attrice e autrice di
teatro, Isabella Carloni
Dove e quando ti sei
trovata 'catturata' dal
teatro? Perché hai deciso
di dedicarti alle arti
teatrali?
Il mio è stato uno strano
percorso: mi sono laureata
in Filosofia ad Urbino ed
ero avviata alla carriera
accademica.
Ma
la
passione per lo sport
prima e la danza poi mi
hanno
fatto
venire
nostalgia dell’uso del
corpo
e
della
sua
espressività. A un certo
punto mi sentii spezzata
tra la curiosità intellettuale
e
il
desiderio
di
esprimermi artisticamente
con il corpo e con la voce.
Allora pensai che il teatro
metteva insieme tutto e
poteva essere per me la
cosa giusta. Frequentavo
già i Festival di teatro off
e di ricerca e mi colpiva il
In questo numero:
Pallavolo. Italia batte Spagna 2-1
Va a rapinare le poste con la nonna
Piana degli Albanesi
A proposito di ritorni……..
La gente non mangia di cultura, ma…
Calcio: pareggio contro gli spagnoli
!
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linguaggio che ha il teatro
per comunicare, l’intensità
con cui può dirti qualcosa,
farti pensare lasciandoti
libera. E così, con un po’
di coraggio, ho fatto la
valigia e ho ricominciato
tutto da capo. Mi sono
diplomata alla Scuola di
Teatro di Alessandra
Galante
Garrone
a
Bologna e ho iniziato la
mia carriera artistica, che
mi ha fatto incontrare
grandi maestri e registi
italiani. Poi nel tempo la
mia passione per la
filosofia è stata utile anche
per il mio percorso
artistico, specie nella
creazione drammaturgica.
Nel mio teatro l’attore è
anche autore, anche nel
caso in cui c’è un regista e
un testo: l’attore porta
sempre qualcosa di sé e
del suo mondo.
Per
quanto
riguarda
la
'controversia' del soggetto, in
particolare l'elemento della
sessualità di Pina, come viene
accettato lo spettacolo dai
diversi pubblici in Italia? In
Sicilia? In America?
Lo spettacolo, pur avendo
debuttato da poco, ha incontrato
ovunque un grande successo, in
Sicilia come a Bologna. Quella
di Middlebury era una prima
americana e l’accoglienza è stata
fantastica.
Una parte del pubblico spesso si
dimentica
addirittura
dell’identità sessuale di Pina:
come se la storia, la sua passione
amorosa e il suo lottare per la
sua
libertà
prendesse
il
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gioco di parole:
-Carlo Indahl
M.A., Middlebury Co"ege, 2010
Questionario di Proust
Recensione di Minchia di Re
Sondaggio all’italiana
Alla cantina locale
La rotatoria di Middlebury
Il digiuno
Alla ricerca dei professori
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NUMERO 3
INTERVISTA
A
CARLONI, CONT.
ISABELLA si sacrifica per la libertà. Ci potresti
approfondire quest'idea?
In “Minchia di re” la questione
sopravvento
e
acquistasse
una dell’identità sessuale e della libertà è
dimensione universale, al di là del centrale e ne comprende non solo la
dimensione fisica ed emotiva, ma anche
maschile e femminile.
quella sociale e politica, che vi è
Ma per un’altra parte di pubblico, inevitabilmente connessa. Lo spettacolo
specie quello giovanile e femminile, il difende il diritto alla propria identità al
dibattito sulla questione dell’identità è di là delle differenze e credo che questo
piuttosto acceso: segno che il mio esprima una grande attualità.
padre incide anche lei sulle regole del
suo tempo: pur con i suoi errori anche
lei paga un prezzo alto per la sua libertà
e per quella di tutte le donne.
Da quando fai “Minchia di re”? Hai
intenzione di portare avanti e
continuare lo spettacolo nel futuro?
Come dicevo lo spettacolo ha debuttato
da poco in Italia ed ha fatto solo 10
repliche. Quest’anno girerà in Italia e
spero poi anche all’estero. Sono periodi
durissimi da noi per il teatro e per la
cultura. Ma spero di riuscire a portarlo
in giro per tanto tempo, anche nelle
piccole città e tra i più giovani.
intento di parlare anche dell’oggi, pur
partendo da una storia dell’800, è Ci sono molti modi di difendere e
lottare per la libertà: a volte può
riuscito.
diventare necessario prendere le armi
Per le donne più grandi è importante come è accaduto per la Resistenza
che
si
parli
della
questione partigiana in Italia o per il Risorgimento
dell’omosessualità femminile, che è italiano (il periodo in cui è ambientata Come ti sei trovata a Middlebury?
ancora oggi meno espressa e la storia del romanzo di Giacomo Quale sono i tuoi pensieri su questo
programma
in
italiano
fuori
rappresentata. Le più giovani invece Pilati, da cui è tratto lo spettacolo).
dall’Italia?
spesso pensano che affermare la propria
diversità sia ancora più difficile per un Altre volte il muro contro muro non E’ stata davvero una gioia per me poter
porta altro che sangue e solo attraverso avere un pubblico così vario e diverso
uomo.
Qui a Middlebury è emerso anche un una mediazione si riesce a incidere sul sia per età che per provenienza ed
dibattito sull’efficacia sociale dell’agire sociale, specie quando la società non è esperienze. Attraverso lo spettacolo e il
di Pina/Pino. La discussione è proprio pronta per cambiamenti radicali. Per me workshop teatrale ho avuto la possibilità
ciò che volevo provocare: un sono certamente eroi i magistrati che di entrare intensamente nella vita del
personaggio funziona in teatro quando sono morti per difendere la legalità in campus, di un incontro ampio e diretto
esprime dei conflitti e pone domande Italia ma lo sono anche tante donne e con gli insegnanti e gli studenti di
senza pretendere di dare risposte uomini sconosciuti che giorno per Middlebury, uno scambio reale e un
giorno lottano per cambiare le grande arricchimento: sono felice
univoche.
consuetudini sociali e affermare la poiché questo è il motivo per cui ho
scelto di dedicarmi al teatro. Ringrazio
Personalmente a me incuriosiva giustizia.
sinceramente per questo il professor
l'aspetto della libertà, sia la libertà di
Nel
suo
travestimento
anche
Pina
è
Antonio Vitti, il vostro direttore, che mi
Pina che la libertà italiana e quello che
eroica e con la sua ribellione rispetto al ha invitato.
Pallavolo. Italia ba,e Spagna 2-­‐1
di Furi Ghemea
So&o il sole torrido e intenso dell’estate middleburiana, la squadra di pallavolo della scuola italiana ha riportato la seconda vi&oria consecu8va del campionato. La se;mana scorsa gli azzurri hanno le&eralmente stracciato una debole ed immo8vata squadra tedesca vincendo i primi due set in meno di 40 minu8. La par8ta era apparsa agli occhi di tu; una passeggiata al parco: era chiaro sin dall’inizio che i tedeschi stavano soffrendo la superiorità italiana e che il risultato finale sarebbe stato a vantaggio dei ragazzi di Spani. !
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Pallavolo, cont.
Il clima pre-­‐par8ta contro gli spagnoli invece era teso. Storicamente la squadra spagnola (che tu&avia negli ul8mi qua&ro anni ha perduto tu&e le sfide contro gli azzurri) è sempre stata forte. “Noi”, -­‐sos8ene Spani-­‐, “ci abbiamo creduto dall’inizio alla fine. Quando abbiamo perso il secondo set dopo essere sta8 in vantaggio per la maggior parte della gara, ho de&o ai ragazzi che se avessimo perso l’incontro non avrei più allenato la squadra. Evidentemente mi hanno preso in parola!”.
Che gli spagnoli dunque siano un osso duro e che riservino sempre ina&ese sorprese lo si sapeva, tu&avia la squadra italiana ha dimostrato professionalità e coraggio e alla fine gli sforzi degli atle8 sono sta8 pienamente ripaga8 da una bellissima (e sofferta) vi&oria.
Quest’anno il campionato è una cosa seria: i gironi fanno passare solo le squadre prime classificate che avranno quindi la possibilità di ba&ersi in finale per il primo e secondo posto. Con il risultato di ieri la squadra italiana è la capolista del girone A. Ma che cosa pensano i ragazzi della pallavolo? Lo abbiamo chiesto ad Adam Sawamura: “Io non ho mai giocato a pallavolo e la squadra è molto divertente. Mi piacciono i miei compagni, Alani e Carrie sono grandi giocatrici. È bello incontrarsi per giocare perché posso conoscere altre persone e parlare italiano”. Anche Maren Granstorm è alla prima esperienza nella pallavolo. Per lei è importante imparare un nuovo sport e conoscere altri studen8. Quando le chiediamo che cosa pensi dell’allenatore, risponde “Chiaramente Spani è bravissimo, abbiamo vinto tu&e le par8te, ho imparato molto e le sue strategie funzionano”. Chi invece non parla di strategie è Mark Horn. Per lui il merito delle vi&orie è dell’allenatore che “chiede sempre intercessioni dall’alto”. Quale sia il segreto vincente di questa squadra non si sa, alcuni sostengono che si tra; dell’allenatore, altri della fortuna. Elizabeth Forgiel invece dice: “Sono sicura che il mio tatuaggio in onore di Spani sia il segreto vincente”, ma scherzi a parte lei è convinta che “siamo la migliore squadra al mondo!”. Insomma, tatuaggi, fortuna, allenatore.... staremo a vedere come andrà a finire il campionato. Nel fra&empo, domenica prossima ci aspe&a la par8ta contro la scuola ebraica. In bocca al lupo ragazzi!
Va a rapinare le poste con la nonna
81enne per non lasciarla sola: arrestato
ROMA - È andato con coltello, chiave inglese,
casco e passamontagna per rapinare le poste, ma
ha portato con sè anche la nonna, un'anziana
81enne e con tanto di stampelle, «per non
lasciarla sola a casa». È successo a Bellegra, in
provincia di Roma, dove i carabinieri hanno
sventato la rapina un uomo di 34 anni con
precedenti, originario di Lecce e residente a
Olevano Romano, che è stato bloccato dai militari
mentre era ancora all'interno dell'ufficio postale.
e
x
impiegato:
il primo è
stato ferito
al braccio
con
il
coltello, il www.tg1.rai
secondo
colpito alla testa con la chiave inglese. Un'altra
dipendente dell'ufficio, che era fuori al bar in un
momento di pausa, si è accorta della rapina e ha
Il 34enne si era prima presentato davanti agli avvisato i carabinieri della stazione di Bellegra,
sportelli per chiedere un prestito e dopo aver che sono intervenuti disarmando e bloccando il
a p p r e s o c h e n o n p o t e v a o t t e n e r l o h a 34enne.
accompagnato a un vicino bar la nonna, con la
quale vive a Olevano Romano. Poi è andato a La nonna del rapinatore, che lo aspettava al bar
casa e in seguito è tornato negli uffici col volto ignara di tutto, è stata accompagnata al pronto
coperto da un passamontagna e un casco.
soccorso per un malore a causa del caldo. Dietro
le sbarre, invece, è finito suo nipote.
Armato di pistola e chiave inglese, il rapinatore ha Martedì 12 Luglio 2011
avuto una colluttazione con il direttore e con un http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?
id=155914&sez=LEALTRE
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Piana degli
Albanesi
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gente ancora si parla in
albanese e mantiene la loro
identità. Siamo rimasti colpiti
Sylvie Scholvin
studentessa, 3o livello
Vicino a Palermo, a circa
trenta minuti in macchina,
oltre le montagne che
circondano la città, si trova un
piccolo paese che si chiama
Piana degli Albanesi con
6.500 abitanti. È situato sul
fianco della montagna presso
un lago, con le viste
bellissime della campagna. Io
e mio marito siamo arrivati in
questo paese per caso, e ci
siamo fermati a gironzolare e
pranzare. Camminando per il
centro ci siamo accorti che i
segnali stradali erano in due
lingue: italiano e un’altra
lingua misteriosa. Dopo aver
chiesto a della gente locale,
abbiamo capito che questo
posto era albanese, così come
suggerisce il suo nome. La
quando abbiamo scoperto che
il paese era stato fondato dagli
immigranti di Albania 500
anni fa! Che straordinario! Da
secoli questo paese riesce a
rimanere un’isola culturale
dentro la Sicilia e vicino a una
città principale, lasciandosi
influenzare solo fino a un
certo punto dalla cultura dei
paesi circostanti. In effetti, la
lingua parlata è un dialetto
albanese vecchio. E
continuano a praticare
la loro fede. Due
nonni ci hanno
consigliato di
pranzare in un buon
ristorante nel centro.
Accadde che il
proprietario e suo
figlio erano apparsi in
un programma di
cucina alla TV, la
“Prova del Cuoco,” in una
competizione regionale.
Eravamo felicissimi di
provare lo
stesso piatto
che avevano
preparato
alla TV. Se
vi interessa,
e c c o
l’episodio
nel sito web
di
Rai
(http://
www.rai.tv/
dl/RaiTV/
programmi/media/
ContentItem-56011d0c-05ba4b75-97f4-c11d1cb16c4c.html
La Sicilia contro le Marche).
Dopo, viaggiando per la
Sicilia, ci siamo accorti che
c’erano altri paesi con un
patrimonio mescolato o delle
minoranze che conservavano
il loro patrimonio, ad esempio
Contessa Entellina o Palazzo
Adriano, un paese dove hanno
filmato il “Nuovo Cinema
Paradiso” del 1988.
Naturalmente c’è un museo
con gli artefatti e foto delle
riprese e quasi tutti erano
felici di mostrarci il loro posto
e chiacchiere del film, in cui
molti hanno partecipato come
comparse.
Sopra, adestra: Un uomo cammina davanti alla società agricola in Piana degli Albanesi.
Sotto, a sinistra: I segni stradali in italiano e in albanese.
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La gente non mangia di cultura, ma… A proposito di ritorni……..
di Angelo Diaz
studente di M.A.
Mercoledi 13 luglio su
gentile invito della Prof.ssa
Daniela Privitera che insegna
un corso di Letteratura
siciliana ho assistito, con
grande piacere, allla visione
del
film documentario
(“Lʼisola in me “) su Vincenzo
Consolo , scrittore siciliano
legato al tema del Ritorno. La visione del film mi ha
commosso e mi ha fatto
riflettere in
modo molto
particolare sul
tema
dellʼemigrazione (su cui
lʼAmerica stessa è stata
fondata). Consolo lamenta
volontaria che obbligatoria-si ripete parecchie volte nella
l u n g a S t o r i a u m a n a . Ricordiamoci dellʼespulsione
degli Arabi e degli Ebrei dalla
Spagna. Gli arabi del
Maghreb cantano ancora
oggi un lamento che dice “Ya
rayeh weyn safart, trooh
t a y a a d w t w a l i ? “ / O h ,
viaggiatore, dove sei andato,
che vai, ritorni, e te ne vai
ancora?/ Ricordiamoci
anche dello scambio di popoli
tra la Grecia e la Turchia del
1923. Anche I Greci ripetono
un lamento
in canzoni e
poesie attraverso queste
parole: “Tora pou pas sti
xenitia” [Ora che te ne vai
immaginario, nella loro
fantasia, nella memoria di Patrizio Murray
collettiva, in realtà non esiste studente, 2o livello
più. Infatti, i cubani dellʼesilio
scoprono
che non hanno ...
niente in comune con i
cubani di oggi. Quel ricordo Nell’opera La Traviata vive
dunque
s o l o la protagonista, Violetta Valery, n e l l ʼ i m m a g i n a r i o dopo il suo combattimento con dellʼemigrante. Per questo la tubercolosi, muore mentre motivo esiste nella coscienza canta un fortefortissimo Bb e dellʼemigrante una continua così :inisce il viaggio di due ore opposizione tra speranza e e mezzo. Così sono le opere; realtà: la speranza della luce grandi, esagerate e qualche che
porta peroʼ anche il volta non realistiche ma rimpianto ed il lutto; la ricerca sempre rivelano la bellezza della felicità che
è anche della musica. E nel paese dove p i e n a d i d o l o r e p e r l’opera è nata, in cui la bellezza lʼallontanamento dalla madre sempre ha importanza, l’opera terra. La distanza, pertanto, sta morendo. Un bilancio in http://www.nazioneindiana.com/2009/10/18/l’isola-in-me/
che Itaca (il ricordo della “
sua Sicilia” ) non cʼè più. Rimane solo il desiderio di
ritornare, ma non si sa più
dove tornare, e, tante volte
non si puo' nemmeno
tornare. Queste parole
hanno risvegliato in me
ricordi personali e familiari . Il marito di mia madre, che
per me era come un secondo
padre, è uscito da Cuba nel
1958, nel momento della
rivoluzione . La sua idea,
come quella di
tanti
emigranti esiliati, era quella
di poter ritornare un giorno al
suo paese. Mi ricordo, infatti,
che ne parlava ogni giorno. Invece è morto otto mesi fa
senza aver mai realizzato il
sogno di tornare, quasi come
una tragedia greca.
Il tema dellʼemigrazione –sia
!
allʼestero] di Nana Mouskouri;
mentre
il poeta Giorgos
Seferis quasi piangendo dice:
“Opou kai na taxidepso i
Ellada me plighoni” /
Dovunque io vada, la Grecia
mi ferisce/. Anche
gli
Spagnoli cantano il loro
lamento nel testo
“El
emigrante”. Questi sono solo
pochi esempi tra tanti.
Il lamento dellʼesule
è un
discorso universale. È
unʼesperienza ecumenica. Mi viene subito in mente il
caso dei Cubani che vivono
in esilio (profughi politici): nel
loro immaginario, è ancora
viva quella Cuba di più di 50
anni fa. E tuttavia, se
riescono a ritornare nellʼisola
dove sono nati, trovano che
non è più la stessa, che quel
paese che esiste nel loro
fissa i ricordi e li congela in
un tempo immobile in cui
ogni popolo esiliato rivede sé
stesso.
Il ritorno eʼ un tema
universale che riguarda
lʼamore per la madre terra,
dove lʼemigrante frustrato
sogna di ritornare un giorno,
anche se spesso moriraʼ ʼin
esilio. Questa È la tragica
condizione
di una gente
senza terra: che canta il
desiderio di ritornare ma,
come scrisse De Céspedes,
“Nessuno torna indietro”. Questa eʼ la tragica realtà
dellʼemigrante : anelare al
ritorno ma, come Sisifo,
anche lʼemigrante non
riusciraʼ mai a realizzare il
suo scopo. La memoria
mitica e storica diventa anche
la sua condanna.
diminuzione ed un popolo che preferirebbe il cinema. Queste due cose contribuiscono a meno vendite di biglietti di opera. Il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e il ministro delle :inanze, Giulio Tremonti, hanno diminuito i contribuiti alle arti del 40%. I teatri, per i quali i contribuiti sono stati tagliati del 70%, sono stati gettati nel panico. Tremonti ha detto che “La gente non mangia di cultura.” Ricardo Muti, il musicista italiano più famoso oggi giorno, ha convinto Tremonti di mantenere lo stesso bilancio dell’anno scorso. È vero che la gente non mangia di cultura ma è anche vero che non mangia di calcio. Quando un paese non aiuta la sua cultura, che esiste più del paese? Nel corso della seconda guerra mondiale quando al primo ministro del Regno Unito Winston Churchill è stato chiesto di chiudere i teatri per appoggiare la guerra, lui ha detto “che combattiamo a progettare?” Se gli italiani, q u e l l i c h e h a n n o c re a to l’opera, non vogliono questo caposaldo della loro cultura che succederà all’opera?
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CALCIO: PAREGGIO CONTRO GLI SPAGNOLI
Damon Hatheway,
studente, 2o livello
Ottanta minuti non
erano abbastanza per
trovare un vincitore tra
la squadra italiana e la
squadra spagnola
sabato mattina. Prima
della partita gli azzurri
avevano avuto due
vittorie su due partite
ma non hanno potuto
trovare la rete contro
gli spagnoli. Invece,
malgrado alcune
buone opportunità per le due squadre la partita è finita
0-0. Dopo questo pareggio, gli azzurri hanno un record
di due vittorie, un pareggio e nessuna sconfitta per
sette punti in totale. La squadra spagnola e gli azzurri
sono le uniche due squadre imbattute, ma la squadra
italiana è l’unica con due vittorie. Nel primo tempo
non ci sono state molte buone opportunità per un gol
perché le difese delle due squadre erano molto forti.
Alla fine del primo tempo l’allenatore della squadra
italiana, Antonio Nicaso, ha avuto un messaggio per la
sua squadra: “Dovete credere che potete vincere!”
Nicaso ha detto. “Siete più forti di questa squadra, ma
se non credete di poter vincere non farete un gol.”
Nel secondo tempo il ritmo della partita era più veloce
e ci sono state alcune opportunità pericolose per le due
QUESTIONARIO DI PROUST:
!
!
squadre. In particolare gli azzurri hanno cominciato a
giocare meglio nel centro campo e in attacco. Il gioco
migliorato degli italiani ha creato più opportunità per
fare un gol ma gli attaccanti non
hanno tirato in rete abbastanza.
“Sabato mattina abbiamo
giocato una bella partita contro
una forte squadra,” ha detto
Julian Colili, uno studente di
postlaurea. “Abbiamo creato
molte opportunità e abbiamo
quasi segnato qualche volta. La
scuola spagnola è sempre una
squadra difficile da affrontare
quindi sono contento con il
risultato, ma avremmo potuto vincere la partita.”
La prima partita tra gli spagnoli e gli azzurri è stato un
pareggio, ma è probabile che le due squadre giochino
nel futuro per la finale della coppa del mondo.
Dopo tre partite, ogni squadra ha giocato contro tutte
le altre squadre e questa è la classifica:
La Classifica del Campionato
Squadra
V
S
Italia
2
0
Spagna
1
0
Francia
1
2
Germania
0
2
P
1
2
0
1
Punti
7
5
3
1
LUCIA LIEBERT
CORSO D’ITALIANO PER ADULTI
Quali sono tre aggettivi che descrivono la tua personalità?
--Simpatica, socievole e paziente.
Qual è l'ultimo libro che hai letto?
--”Il Cammello conosce la via” di Lorna Kelly
Qual è un personaggio con cui ti identifichi? Perché?
--La mia nonna, era fedele a se stessa e cercava di aiutare i bisognosi.
Chi è la persona che più ammiri? Perché?
--Madre Teresa, ha curato i più bisognosi.
Quali sono tre cose che ti fanno arrabbiare?
--Spinaci, cibo e vino cattivi e uragani.
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Recensione di Minchia di Re
Noah Berman
studente, 3o livello
Martedì
scorso alla
s c u o l a
italiana,
abbiamo
avuto il
piacere di
accogliere
l’attrice
Isabella
Carloni con
la
sua
produzione
di Minchia
di re, uno
spettacolo
basato sul romanzo di Giacomo Pilati. La signora
Carloni ha dato una brava prova di recitazione che
ha catturato il nostro interesse da solo per un’ora
intera. La storia era di una donna, Pina, che abita
in Sicilia nel diciannovesimo secolo.
Lei si
innamora di una donna, e poiché la sua famiglia
non può accettarla, lei decide di vivere la sua vita
travestita da uomo. Ma lei non poteva sapere le
conseguenze della sua decisione; secondo la
locandina “il prezzo della ribellione sarà un
irrimediabile esilio da sé” che la affligge per il
resto della sua vita. E noi possiamo vedere come
la Carloni, nello stesso modo in cui lei recita
personaggi differenti, porta Pina da donna a
qualcosa di nuovo e stranamente familiare, che
non è esattamente un uomo, ma neanche una
donna. Il viaggio fisico da Pina a Pino permette
che questa storia sia meravigliosa e, allo stesso
tempo, straziante. Anche se io, del livello tre, ho
capito meno di cinquanta per cento della lingua,
che era elevata per le parti che ho capito e
bellissima per le altre, la storia mi ha colpito con
molta forza. Per portare in vita una storia così
complessa, lei ha bisogno di sapere sempre
esattamente che cosa vuole in ogni secondo, e io
potevo vedere i suoi sforzi. Le transizioni tra i
personaggi erano sottili, e in dei casi non sapevo
che c’era un cambiamento fino a che non era
completo. Lo spettacolo apre senza monologo,
solo con la musica che suona mentre la Carloni,
che comincia mezza svestita, lentamente si veste.
Da quella prima immagine della Carloni che si
infila volutamente una calza arrotolata nei
pantaloni, alla fine dello spettacolo (che non
voglio dirvi), il pubblico si chiede se Pina può
continuare a esistere allo stesso tempo di Pino.
Quando siamo lasciati con le parole “cambiare
tutto,” ci dà un senso di aver visto un trauma
psicologico, ma anche ci sentiamo come se il
commediografo ci volesse suoi complici.
Malgrado tutto quello che Pino dice, noi siamo
sicuri che Pina continuerà a tormentare Pino per il
resto della sua vita.
Sondaggio all’italiana
Noi studenti del primo livello (Ital 3151-­‐A) abbiamo realizzato un sondaggio* per scoprire le vostre preferenze per quanto riguarda l’Italia e la cultura italiana. Ecco quello che abbiamo trovato:
Il vostro cantante italiano preferito è:
1. Nek 2. Bocelli 3. Pavarotti
4. Elisa / Luna Pop / Fabri Nibra
5. Altri
Il vostro Nilm preferito è: 1. La vita è bella
2. La dolce vita
3. Ladri di biciclette
4. Mediterraneo / Divorzio !
all’italiana / Notti di Cabiria
5. Gomorra 3. Ferrara
4. Venezia
5. Siena
Il vostro stilista preferito è:
1. Senza preferenza
2. Dolce & Gabbana
3. Prada 4. Armani / Valentino
5. Ferragamo
La vostra città preferita è:
1. Roma
2. Firenze
La vostra celebrità preferita è: 1. Benigni
2. De Niro / Snooki
3. SoNia Loren
4. Lady Gaga
5. Altre
*Abbiamo intervistato 40 studenti della Scuola Italiana.
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Alla can7na locale
di Rosa Mondo, studentessa di M.A.,
e Mallory Nardin, studentessa di M.A.
Sabato pomeriggio 16 luglio, gli studen8 del corso di Storia ed Evoluzione del Vino hanno visitato con il Professore Sangiorgi il Lincoln Peak Vineyard, un’azienda a cara&ere famigliare che si trova a pochi chilometri dalla Scuola Italiana. Abbiamo avuto la fortuna di avere come guida una nostra collega italofona del terzo livello, Maren Granstrom. Lei, sua sorella, il suo papà e il nostro professore ci hanno portato in giro per i vigne8 e ci hanno accompagnato in can8na. La nostra gita è iniziata tra le pi&oresche vigne. Per più di vent’anni, in questo luogo, il proprietario col8vava fragole. Dieci anni fa ha deciso di cambiare e cominciare a col8vare vi8 per fare vino. Date le condizioni clima8che di questa zona, u8lizzano vi8gni ibridi che sono il risultato della contaminazione tra pollini europei e statunitensi nei laboratori delle Università di Michigan e Wisconsin. Queste varietà rela8vamente nuove sono cara&erizzate da grappoli piccoli che resistono meglio alle temperature basse. !
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C o m e a v e v a c o n s i g l i a t o perfino Columella (Cadice 4-­‐70 d.C.), uno dei grandi scri&ori di agricoltura della Roma an8ca, in alcuni dei tes8 che abbiamo le&o in classe, loro fanno la potatura verde per ridurre il peso sulla pianta e assisterla nella maturazione dei grappoli. Sara, la sorella di Maren, ci ha fa&o notare l’importanza dell’inerbimento nello spazio tra i filari che consuma azoto creando concorrenza tra le piante e rendendo i fru; più sapori8. Il professor Sangiorgi ci ha mostrato tu&e le par8 della vite, che sono: il piede, il tralcio, la foglia, il grappolo, il raspo, l ’a c i n o ( c h i c c o ) , l a buccia, la polpa e le sue celle, dalle quali esce il s u c c o , e i n fi n e i l vinacciolo (il seme).
P o i s i a m o torna8 alla can8na dove ci ha spiegato come si fa il vino. Per prima cosa si deve decidere quando fare la vendemmia. Di s o l i t o , v e r s o se&embre, si eseguono gli esami organole;ci degli acini e alcune analisi chimiche per seguire l’acido malico che, insieme ad altre sostanze come l o z u c c h e r o , i n d i c a l a maturazione dei grappoli. A p p e n a ra c c o l t e , l e u v e des8nate a fare il vino bianco vengono trasportate in modo m o l t o d e l i c a t o a l l a pigiadiraspatrice per staccare i raspi dagli acini. Questo passo serve a ridurre i tannini che impedirebbero la maturazione del vino. Poi vanno dentro la pressa pneuma8ca che “abbraccia” i grappoli esercitando una pressione equilibrata in modo che esca il succo dalla polpa senza toccare b u c c i a . Q u e s t a m a n o v r a è indispensabile per il vino bianco perché la buccia ha solo tannini e non ha sostanze coloran8, una condizione che non aiuta mol8 vini bianchi a p r o t e g g e r s i d a l l ’o s s i g e n o e a conservarsi corre&amente. Per questo mo8vo il colore dei vini bianchi è così chiaro. Dopo la pressatura, il mosto fiore viene trasportato nella vasca di acciaio inossidabile dove inizia la fermentazione, che può essere spontanea o a;vata con lievi8 aggiun8. Terminato questo processo, il vino può entrare nelle bo; di legno o in altri 8ni di acciaio, dove affronta la fase di maturazione; oppure essere i m b o ; g l i a t o d o p o u n a filtrazione ed e s s e r e c o s ì p r o n t o p e r a n d a r e s u l m e r c a t o , magari vivendo u n b r e v e p e r i o d o d i affinamento.
Abbiamo avuto l'opportunità di degustare un vino rosso, il “Marque&e,” in due maniere: sia
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Alla cantina locale, cont.
dire&amente dalla bo&e sia dalla vasca di acciaio. Questo assaggio ci ha fa&o capire come il legno influisce sul sapore del vino. Quindi siamo entra8 nell’enoteca per assaggiare altri vini bianchi prodo; dall’azienda. Durante la degustazione, il nostro professore ci ha spiegato il ruolo dei solfi8 che vengono aggiun8 spesso al vino, in base al pH, per stabilizzare e conservare il prodo&o. (È proprio questa sostanza che è responsabile del male di testa di cui tan8 consumatori di vino soffrono.) Dopo aver ringraziato i nostri ospi8 per la loro generosità siamo torna8 a casa con un nuovo apprezzamento per la vi8coltura in generale e, sopra&u&o, di questo vigneto Vermontese. Se avete la possibilità, andate pure a fare visita! La rotatoria di Middlebury e riflessioni
all’italiana
Anna Clara Ionta
professoressa del 1º livello
La sorpresa che Middlebury ci ha riservato
quest’anno è l’apertura del ponte che era ancora in
costruzione l’anno passato e la fiorita rotatoria che ne
fa da disimpegno.
In Italia la rotatoria è oramai diffusissima. D’altronde
un sistema all’americana di incroci con segnale di
stop sulle quattro direzioni, in cui passa per primo chi
per primo è arrivato, sarebbe pura utopia.....
C’è anche chi approfondisce la questione e formula
pensieri esistenziali: il mio amico Paolo è convinto
che le rotonde siano davvero una cosa giusta, perché
il semaforo ti costringe a prendere delle decisioni
radicali ed improrogabili, cioè girare a destra, a
sinistra o tirare dritto, insomma non è cosa per chi è
incerto e tentenna nella vita. La rotonda invece ti
permette di procrastinare, di rimandare la tua
decisione su quale direzione prendere, quasi quasi di
mediare con la tua propria coscienza, chiedendo
tempo per fare una simile cosa. Ideale per chi è
diplomatico e per chi preferisce temporeggiare, una
volta giunto alla rotonda puoi continuare a girarci
intorno fino a quando non ti raccapezzi e ti rendi
conto di dove sei e dove vuoi andare, specie se ti
trovi in una città sconosciuta. Puoi continuare a girare
senza l’assillo di quelli che al semaforo ti stanno
dietro ed impazienti ti suonano il clacson nel preciso
istante in cui scatta il verde, cogliendoti di sorpresa
perché tu intanto non hai idea se tirare dritto o girare
a sinistra o a destra.
Grazie alla sua forma circolare, la rotatoria permette
agli autoveicoli di immettersi direttamente lungo
l’anello, evita le code e le attese al semaforo e
garantisce il fluire del traffico. Basta immettersi nella
rotonda dando precedenza “non convenzionale”, cioè
dando la precedenza a chi si trova già all’interno
della rotatoria e quindi giunge da sinistra, e
proseguire poi tutto intorno fino a raggiungere la
propria direzione, disimpegnarsi dal circolo e
prendere la strada che vogliamo. Pare che questo
semplice principio snellisca il traffico e soprattutto
riduca gli incidenti agli incroci. Inoltre la rotonda
assolve anche a una funzione importante per l’arredo
urbano: al centro c’è posto per piantare belle piante
da fiore, un verde praticello tutto intorno, o
semplicemente pavimentarla a “sanpietrini” come
hanno scelto di fare qui a Middlebury.
Nota in calce: il mio amico Paolo fa carriera in
politica.
!
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Il digiuno
Daniel Cooper
Corso 6601, Prof.ssa Giulia Tellini
...
C’era una volta una nuova giornata, che sorse molto
presto in una splendida vallata delle Dolomiti. Sebbene
fossero appena spuntate le prime luci dell’alba, alcuni abitanti
di uno dei villaggi della valle si erano già alzati ed erano alle
prese con i loro più vari mestieri. Uno di questi operosi
abitanti, che viveva in una vecchia casupola a sud del
villaggio, era un frate, di nome Domenico. La luce del sole
penetrava nella casetta, colmandola di calore.
Nella modesta casupola del frate c’era a malapena lo
spazio per una sola persona. Disteso sul pavimento, c’era un
lettuccio di paglia, con una coperta di lana grezza ben
piegata. A completare l’arredamento era una vecchia
scrivania di legno con una sedia traballante. La scrivania era
disseminata di carte e di penne, di quaderni e di libri:
adagiata sui libri, si trovava la testa di Domenico.
Appena fuori dalla povera abitazione di Domenico,
si potevano sentire i passi lenti e felpati di un anziano che si
stava avvicinando alla porta. Il vecchio era vestito
ordinatamente, con il mantello nero e l’abito bianco del suo
ordine. Indossava i sandali di cuoio duro, legati intorno ai
polpacci fino alle ginocchia. Giunto sul limitare della casetta
di Domenico, il vecchietto voltò la testa e tese l’orecchio.
Non avendo udito nessun rumore, l’anziano
appoggiò la sua mano rugosa sulla porta, la aprì con
delicatezza, fece un passo in avanti e si guardò intorno.
Osservò con piacere che tutto era pulito e in ordine, salvo un
curioso mucchio di coperte di lana grigia accatastato sui libri
sparsi sulla scrivania. Si schiarì la gola e disse: «Sic non
potuistis una hora vigilare mecum?». Come un fulmine,
Domenico si svegliò.
«Fra Domenico, è già la terza volta che ti trovo
addormentato quando vengo a controllare il progresso dei
tuoi studi. Non si deve prendere l’abitudine di dormire
durante lo studio. La tua conoscenza spirituale non migliorerà
se vai avanti così».
Domenico era più alto del vecchio di almeno trenta
centimetri, con i capelli ricci e scuri, gli occhi castani e la
pelle abbronzata. Mentre il giovane frate fissava
sconsolatamente il pavimento, Fra Agostino lo guardò in viso
e gli mise una mano su una spalla. «Non te ne preoccupare
troppo, Domenico, tutti commettiamo degli errori. Anch’io
sbaglio ogni tanto, per carità; però il Signore ci giudicherà
proprio per lo sforzo che facciamo per superare i nostri
sbagli».
Domenico annuì.
«Ma se ti trovo un’altra volta a dormire durante l’ora
di studio ti picchio in testa con un bastone, hai capito?».
Domenico fece tanto d’occhi per la sorpresa, e vide
con suo grande sollievo che l’altro frate stava sorridendo.
«Mi dispiace tanto, fra Agostino, è solo che il freddo
del mattino mi mette tanto sonno che riesco a malapena a
tenere gli occhi aperti».
«Freddo? Macché!», esclamò il frate anziano mentre
dava a Domenico una pacca sulla spalla. «Non siamo
nemmeno arrivati all’autunno, mio giovane amico, aspetta
!
che arrivi il tuo primo inverno qui al nord, allora la mattina
sentirai davvero i brividi».
Uscirono insieme dalla casupola di Domenico.
«Vieni, Domenico, andiamo dal panettiere a vedere
se si può ottenere una fetta di pane per la colazione. Mentre
saremo lì, vedremo se...».
«No, no, non è necessario», disse Domenico in
fretta.
«Che cosa?» disse Agostino meravigliato. «Non
vuoi mangiare niente? Non hai cenato ieri sera, avrai tanta
fame, dài, vieni! che ti troviamo qualcosa da mangiare».
«No, veramente fra Agostino, non ce n’è bisogno,
oggi non mangio».
«Che c’è? Sei malato?».
«No, fra Agostino, non sono malato», rispose
Domenico ridendo, «ho deciso di digiunare. Ho un grande
bisogno di forza spirituale per abituarmi meglio ai doveri e a
questo nuovo ambiente. Ieri pomeriggio stavo studiando gli
insegnamenti del profeta Isaia e ho sentito che un digiuno
sarebbe stato per me molto utile».
«Ah, un digiuno, ottimo Domenico, e non te l’ho
nemmeno consigliato io. Stai progredendo come frate, sai.
Bon, fino a quando farai questo digiuno?».
«Digiunerò per tre giorni».
«Tre giorni. Sei bravo, allora» disse Agostino.
«Digiunare ogni tanto fa bene alla salute spirituale, lo sai. Il
digiuno e la preghiera».
«Sì, fra Agostino, e al fine di spendere il più tempo
possibile in preghiera e in meditazione, trascorrerò gli ultimi
due giorni del mio digiuno in completa solitudine. Partirò dal
villaggio alle otto e me ne andrò nella foresta per comunicare
da solo con Dio».
Agostino guardò l'orologio e disse: «mancano soli
dieci minuti, frate mio. Sei pronto? Hai ancora da preparare
qualcosa?».
«No, frate, non ho da fare, sono pronto. Non porterò
niente con me, tranne la fede».
«Molto bene, Domenico. Stai diventando un buon
frate, sai?».
«Grazie, fra Agostino», disse Domenico.
«Allora, Domenico, in bocca al lupo nel bosco, mi
raccomando».
Domenico sorrise e cominciò a camminare verso la
montagna, che stava al nord del villaggio.
*****
Mentre camminava, Domenico vide molti degli
abitanti del villaggio e li salutò. Il fabbro, che batteva il
metallo già caldo, forgiando le pentole e gli strumenti per gli
agricoltori; il sarto, che riparava gli abiti; il panettiere, in
piedi davanti al suo forno, pronto a tirar fuori la prima
infornata di quell’anno del suo squisito pandoro.
Quest’uomo, secondo Domenico, era veramente un maestro
del suo mestiere. Il pandoro che creava era il più dolce,
morbido e delizioso di tutti i pandori che si facevano nei
dintorni e Domenico era da tutto l’anno che aspettava di
poterlo mangiare.
Peccato che oggi, proprio nel mezzo del suo
digiuno, il panettiere avesse deciso di fare la prima infornata.
Domenico pensò quasi di cambiare idea; forse avrebbe potuto
finire di digiunare dopodomani e avere ora il gran piacere di
mangiare quel pandoro. «No!» pensò d’un tratto, «non
posso». Si ricordò del digiuno e sapeva che, per osservarlo in
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piena regola, avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi cibo fino
alla fine. Era rassicurato anche dal fatto che il prezioso
pandoro del fornaio sarebbe stato lì anche al suo ritorno, e per
esserne più sicuro, pronunciò una silenziosa preghiera.
Domenico proseguì il cammino e, dopo
mezzogiorno, aveva già attraversato la foresta ed era arrivato
alla base del versante meridionale della montagna. Salì
dunque diverse centinaia di metri e, giunto a una rupe
piuttosto piatta, cominciò a cercare un buon posto per sedersi
e trovò infine un pezzo di terreno che faceva proprio al caso
suo. Si sedette, ammirò il panorama della valle, chiuse gli
occhi e cominciò a pregare e a meditare. Si schiarì la mente e
cercò di scacciare tutti i suoi pensieri.
Mentre si trovava in questa condizione di spirito, a
meditazione appena iniziata, una brezza calda salì
rapidamente su per il fianco della montagna e proseguì fino
alla vetta. Domenico sentì il venticello, che un attimo dopo
non c’era già più.
Prima di raggiungere la grande montagna, questa
brezza particolare aveva soffiato sopra al piccolo villaggio in
cui abitava Domenico, e quindi portava con sé il profumo di
piatti appena cucinati, di pesce fresco e, fra le altre cose, del
buonissimo pandoro.
Per caso, proprio nel momento in cui il profumo
meraviglioso del pandoro entrava nelle narici di Domenico, il
suo stomaco brontolò molto rumorosamente, senza dubbio
perché erano due giorni che non mangiava. Lo shock
dell’inatteso profumo e la violenza del ringhio affamato dello
stomaco causarono una breccia nel muro meditativo che
aveva eretto nella sua testa. L’immagine del pandoro
succulento, accompagnata da un intenso desiderio di
consumarlo, riempì la sua mente. Questo pensiero, tuttavia,
non durò a lungo: qualche secondo dopo, il frate lo scacciò
via e continuò a meditare e a pregare fino al tramonto.
Dopo il calar del sole, il frate riaprì gli occhi per
ammirare il panorama notturno della valle, dove si vedevano
i piccoli fuochi dei caminetti degli abitanti del villaggio.
Domenico osservò la valle finché tutti i fuochi non
furono spenti e la gente non si fosse addormentata. Si alzò, si
guardò un po’ intorno e decise che sarebbe stato meglio
trovarsi un riparo per la notte. Dopo un po’, trovò una grotta
che prima non aveva notato e ci gettò dentro un sasso per
assicurarsi che fosse disabitata. Non sentendo niente, entrò e
accese velocemente un piccolo fuoco. Non era una caverna
grande, ma era comoda e asciutta. Contento di dormire, dopo
la giornata lunga e faticosa, si stese per terra di fronte al
fuoco.
Il crepitìo del fuoco e il dolce fischio di un
venticello cantavano insieme un dolce duetto, e proprio nel
momento in cui Domenico stava per abbandonarsi al sonno,
sentì un forte rumore, come il fruscìo di un grosso animale,
che stava fuori della grotta. Aprì subito gli occhi per vedere
che tipo di creatura fosse, se cattiva o buona.
Un’ombra camminava su e giù, fuori dall’ingresso
della caverna: guardava Domenico, che, senza paura, si
sedette, in attesa dell’animale. Non riusciva però a capire che
tipo di animale fosse, perché stava fuori dalla portata della
luce del fuoco e lui, nel buio, non poteva nemmeno
distinguere la sua forma. Intuiva, però, dal modo guardingo
in cui si nascondeva nell’ombra, che doveva essere una bestia
pericolosa.
!
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La creatura fissava il frate e anche il frate la fissava,
aspettando con pazienza ciò che gli sarebbe capitato quella
notte. Dopo un po’ di questo curioso guardarsi a vicenda, la
creatura avanzò, lentamente, fuori dall’oscurità ed entrò nella
grotta: mentre si avvicinava, la sua forma cominciò a
materializzarsi davanti agli occhi del frate, ma ciò nonostante
egli non riusciva a riconoscere che tipo di bestia fosse. Nel
buio, gli pareva una grande, scura, massa informe, e così gli
apparve anche sotto la luce. Nel giro di pochi secondi, era
completamente illuminata dal fuoco e Domenico stava lì a
osservarla: rimase però sbigottito, non potendo credere ai
suoi occhi. La creatura che gli stava davanti era... un
gigantesco pandoro, alto un metro e mezzo e largo un metro:
a Domenico sembrava che galleggiasse alcuni centimetri
sopra la terra. Non poteva far altro che continuare a guardare
il pandoro galleggiante, non sapendo come reagire.
Passarono alcuni minuti e alla fine, con grande
stupore del frate, il pandoro gli parlò:
«Mangiami».
Il frate lo guardò, tacito.
«Mangiami» disse il pandoro.
Il frate prese un rametto dal fuoco e se lo avvicinò al
piede: bruciava, quindi sapeva che non stava sognando.
«Mangiami» ripetè il pandoro un’altra volta a voce
più alta.
«Che cosa... che cosa sei?» chiese Domenico
esitante.
«Un pandoro» gli ribadì, senza fornire altre
spiegazioni.
«Sei uno spirito?» chiese il frate.
«No».
«Sei un demonio?»
«No».
«Allora che cosa sei?»
«Un pandoro» gli disse ancora una volta, con
evidente irritazione.
«Sei stato mandato da Dio?»
«No».
«Sei stato mandato dal diavolo?»
«No».
«Come sei arrivato qua su questa montagna?»
«Sono sempre stato qui».
«Come hai imparato a parlare?» chiese il frate,
confuso.
«Non ho imparato. L’ho sempre saputo fare».
«Ma tu sei un pandoro».
«Eccomi».
«Va bene, e che cosa vuoi?»
«Voglio che tu mi mangi».
«E perché?»
«È il mio scopo».
«Il tuo scopo?», chiese Domenico. «Mi puoi
spiegare questo tuo scopo?»
«Lo scopo per cui fui creato».
«Ah» disse il frate, imbattutosi finalmente in un’idea
che gli era familiare, «lo scopo, dici, per il quale fosti
creato?»
«Sì».
«E chi è il tuo creatore?»
«Sei tu».
Il frate si accigliò. I progressi che stava facendo si
dissolsero subito. «Io?!», chiese.
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«Sì».
«Che cosa vuoi dire?».
«Voglio dire che sei stato tu a crearmi».
«No, non è possibile, non sono creatore io. Sarai
un sogno, o meglio, un incubo».
«Non sono un sogno. Esisto veramente».
«Ma che cosa sei, allora?»
«Un pandoro, te l’ho già detto mille volte, e tu
mi hai creato».
«Cosa vuoi dire che ti ho creato?»
«Mi mettesti tu in questa esistenza nel mondo».
«Sì, conosco il significato delle parole che hai
detto» disse il frate, «ma come? Quando?»
«Non lo so».
«Ma da quanto tempo esisti?»
«Da sempre. Per quanto ne so, sono sempre
stato al tuo fianco».
«No, questo no. Sei qui solo da qualche minuto,
non da sempre» disse il frate al dolce.
«Ma sono stato con te fin dall’inizio. Ero al tuo
fianco da quando i cieli erano pieni di luce, prima che
facessse buio, quando soffiarono i venti ed eri seduto là
fuori in santa contemplazione, sull’orlo del mondo».
«Ah, va bene, ho capito», disse Domenico, «sei
nato oggi pomeriggio? È stato allora il tuo inizio, volevi
dire questo?»
«Sì, fu l’inizio».
«Giusto, quindi: perché ti ho creato? Non ho
ancora capito»
«Il mio scopo è di essere mangiato... da te».
«Perché da me?»
«Non lo so, ma è il mio scopo», disse il pandoro.
«Allora, sei venuto al mondo questo
pomeriggio, mentre io stavo meditando, e ora vuoi che io
ti mangi? Giusto?»
«Sì».
«Ma io non ti posso mangiare» disse il frate.
«Lo devi fare, è il mio scopo».
«Ma non posso» disse Domenico, «io sto
digiunando».
«Non ho capito» disse il pandoro.
«Allora, quando si digiuna, per un certo periodo
di tempo non si mangia e non si beve».
«Sì, sì, so cosa vuol dire digiunare. Sono
pandoro, ma non sono mica scemo», gli disse con
risentimento, «quello che non ho capito è perché mi hai
creato con il preciso scopo di essere mangiato, da te,
quando è ovvio che non lo farai».
«Io...» disse Domenico, colto alla sprovvista.
«Ero perfettamente contento di stare al di fuori
dell’esistenza, sai, galleggiando pigramente nelle secche
dell’universo con tutti gli altri sogni irrealizzati; senza
una sola preoccupazione nel mondo, ero. Poi,
all’improvviso, tu mi hai creato, e soltanto per dirmi che
non mi vuoi più. Hai una bella faccia tosta, te lo dico io!»
NUMERO 3
«Non...» disse Domenico, cercando invano le
parole migliori per questa situazione, «non lo so. Sai che
io, a dirti la verità, non intendevo crearti».
«Cosa? Non volevi crearmi?», domandò il pane, quasi
urlando. «Mi stai dicendo, allora, che io sono stato un
incidente? Beh, questo fa molto per l’autostima, sei
veramente bravo, sai».
«Quello che ti volevo dire» disse Domenico un
po’ impaurito, «è che non avevo nessuna idea di essere in
grado di creare i grandi pandori parlanti».
Udite queste parole, il pandoro si arrabbiò
moltissimo.
«Dopo tutti i guai, tutti i dolori che ho provato
nella mia vita, mi stai dicendo ora che sono stato posto in
essere da un creatore principiante, da un... novizio, da
un...bambino?»
«Beh, non sono proprio un bambino», replicò il
frate a bassa voce.
«Il mio scopo, il mio unico scopo è di essere
mangiato da te», disse il pandoro, urlando, «tu mi
mangerai questa notte o uno di noi morirà!».
Poi, il pandoro si scagliò contro il frate e
cominciarono a lottare ferocemente.
Gli echi fragorosi dei ruggiti, delle urla e dei
boati raccapriccianti della battaglia mortale scesero giù
nella valle e svegliarono tutti quando raggiunsero il
villaggio. Durarono poi tutta la notte e nessuno riuscì a
dormire. Si svegliò anche il vecchio fra Agostino,
spaventato dal rumore, e pensò al suo giovane amico, per
cui fece silenziosamente il segno della croce.
*****
Due giorni dopo, il villaggio era ancora in
fermento e non si parlava d’altro che della lotta dei
mostri sulla montagna. Però, fra Agostino, preoccupato
com’era, pensava soltanto al giovane Domenico che non
era ancora tornato.
«Che cosa gli sarà capitato? È stato ucciso dai mostri?
Forse si accapigliavano per il piacere di mangiare il suo
corpo?». Così parlava, fra sé e sé, Agostino quando,
all’improvviso, vide Domenico che stava in piedi sul
limitare del villaggio.
«Domenico, frate, sei sano e salvo! Ben tornato.
Ma, hai sentito il rumore terribile sulla montagna l’altro
ieri? Mi stavo preoccupando molto per te, ma si vede che
Dio ti ha protetto. Dai, vieni con me, che ti troviamo
qualcosa da mangiare».
Domenico, con faccia smorta e senza dire una
parola, seguì Agostino nel villaggio.
«Caro signor Pasta» disse Agostino al panettiere,
«le spiacerebbe dare qualche fetta di pane al nostro
giovane fra Domenico, che digiuna ora da tre giorni?».
«Certo, fra Agostino. Anzi, gli dò qualcosa di
meglio, gli dò una fetta del mio famoso pandoro, appena
uscito dal forno. Che ne dice, fra Domenico?», chiese il
fornaio porgendo a Domenico un pezzo di pandoro caldo.
Domenico, pallido e quieto, fissò il pandoro e
disse: «No grazie, non ho fame».
Lasciateci dei commenti, delle foto, degli articoli o qualsiasi altra cosa sul nostro
blog!! http://blogs.middlebury.edu/ilgiornalino
!
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NUMERO 3
ALLA RICERCA DEI PROFESSORI: Sandro Sangiorgi
! ! ! ! ! ! ! ! !
(e Luna)
Sono nato a Friburgo, in Svizzera, il 31
ottobre 1962. La mia famiglia è un
miscuglio di diverse radici: friulana,
romagnola, ciociara ed emiliana.
Ho due figli, Lavinia di quasi 21 anni
che studia lingue orientali e Flavio, di
17, che è qui con me e fa parte della
squadra di calcio della scuola italiana.
Grazie a Dio, sono due figli
meravigliosi, un vero dono per me e la
mia ex-moglie.
Abito a Roma in un bel quartiere,
Monteverde, con una meticcia di
prevalente sangue Husky di nome Luna;
siamo vicinissimi a Villa Panphili, un
parco molto esteso e vario, nel quale
facciamo lunghe passeggiate.
poesia e saggi, o al cinema. Nella mia
stanza da letto ho un piccolo sistema
con proiettore e computer per guardare i
film in lingua originale e godermeli nel
formato più ampio possibile. Un'altra
cosa che faccio quando posso è
ascoltare la radio che, per me, è ancora
oggi il vero e proprio mezzo
rivoluzionario per la condivisione delle
emozioni e delle conoscenze.
Seguo lo sport, in televisione
naturalmente, soprattutto gli eventi
americani, il tennis, il calcio inglese e
spagnolo.
Per la verità, dopo 25 anni di questa
città, vorrei cercare un abitazione in
campagna, per esempio nel territorio tra
Sora e Atina, in provincia di Frosinone,
a sud di Roma; oppure, a nord della
città, vicino a Terni, nelle prime colline
dell'Umbria.
Dovrei muovermi di più, come si evince
dalle dimensioni della mia pancia...
Non ho molto tempo per stare con gli
amici; un po' perché sono pigro e da
Monteverde mi muovo molto poco – in
fondo la sede e redazione di Porthos e la
casa dei miei ragazzi sono vicine – un
po' perché viaggio molto per il mio
lavoro e, quando torno a Roma, sento
che prendere la macchina è una cosa
assurda,
visto
il
traffico
e
l'inquinamento che ci sono.
Quando non faccio il mio lavoro, che è
insegnare, degustare e scrivere,
incontrare persone del mondo del vino,
mi dedico alla lettura, in particolare
Il mio sogno è continuare a insegnare,
soprattutto in situazioni e condizioni
come quelle che sto vivendo a
Middlebury. Alunne a alunni avidi di
!
conoscenze, strumenti all'avanguardia e
spazi per prepararsi e ricercare. Per non
parlare dell'ambiente – direzione molto
presente e colleghi disponibili al
confronto – e del cibo. Probabilmente,
però, è il primo aspetto quello che mi
consente di andare avanti, di non fare
mai la stessa lezione nonostante
l'argomento sia il medesimo; penso che
sopporterei
molte
ristrettezze,
economiche e ambientali, pur di poter
condividere le conoscenze che sto
coltivando e maturando, da ormai 33
anni, con persone interessate e curiose.
Il mio grande privilegio è vivere di
quello che amo, una benedizione nella
società di oggi nella quale la
maggioranza delle persone si lamenta di
fare un lavoro che non piace. Inoltre,
l'argomento che tratto, il vino, si presta
a una tale quantità di collegamenti
culturali da essere nello stesso tempo
mezzo e centro della conoscenza. Oltre
a rappresentare una gioia per chi ne
gode consapevolmente.
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FOTO DELLA SETTIMANA
Baffiuomo