Un secolo di Amarena

Transcript

Un secolo di Amarena
Un secolo di Amarena
Mostra del centenario di Amarena Fabbri - Premio Fabbri quinta edizione
Bologna, Palazzo Pepoli Campogrande
8 novembre – 8 dicembre 2015
Rassegna promossa da Fabbri 1905 S.p.A.
in collaborazione con il Polo Museale dell’Emilia Romagna
Ulteriori informazioni ed immagini: www.studioesseci.net
Vernice per la Stampa: venerdì 6 novembre, ore 12
Comunicato Stampa
I cent’anni di un dolce mito italiano.
Celebrati a Bologna con la nuova edizione del
Premio Fabbri, quest’anno tutto al femminile,
e con un secolo di testimonianze tra arte, gusto e storia del costume
Quello dell’Amarena Fabbri è un nome che accomuna le generazioni, un gusto
socialmente trasversale, che sa di famiglia, di piacevoli momenti, di bella
normalità.
Per questo ricordare, anzi “celebrare” un secolo di Amarena non è azione
commerciale ma sociale, è il vivere insieme, con gioia e buon sapore, un modello
di vita che continua ad essere nel cuore di tutti. E’ qualcosa che fa bene e che fa
star bene.
L’invenzione di donna Rachele Fabbri merita certo una mostra.
Niente di paludato e nemmeno smaccatamente pubblicitario, ma un felice
momento di conferma e di certezza. La certezza che quando c’è Amarena c’è
vera empatia e nulla, in tempi di solitudini tecnologiche, può essere più ambito
della bella normalità di condividere serenamente un piccolo, grande piacere.
La Fabbri ha da poco celebrato i suoi primi cento anni. Ma la vera celebrazione
del “secolo insieme” più che alla realtà burocratica, al compimento del secolo da
atto notarile, va legata al prodotto che per il pubblico è il simbolo di Fabbri nel
mondo, indiscutibilmente l’Amarena.
La mostra, allestita con freschezza, con semplicità nella qualità, con un pizzico di
giocosità, con un taglio da Famiglia per le famiglie, deve essere una occasione
per rivivere, attraverso Amarena, i propri ricordi personali e familiari.
I Caroselli, le pubblicità, i celebri vasi: fotogrammi di una storia che appartiene a
tutti.
Non solo “Amarcord”. Ma anche Fabbri oggi nel mondo, da Bologna ai cinque
continenti, una grande storia di successo italiano. Fatta di tradizione e capacità di
guardare sempre avanti, di orgoglio e intraprendenza. Di capacità di mettere a
frutto il patrimonio del passato, di cogliere il presente e anticipare il futuro.
Con mente aperta. La stessa che portò Fabbri ad anticipare i tempi scegliendo
Guttuso e Capogrossi come propri testimonial e che recentemente ha dato vita al
Premio Fabbri per l’arte contemporanea. Quest’anno, non a caso, tutto al
femminile, dalle artiste alla curatrice.
“Le artiste sono state chiamate a pensare un’opera che fosse in qualche modo –
ma ognuna a suo modo – collegata alla storia della Fabbri, afferma Lea
Mattarella che del Premio è il coordinatore artistico. “Da un po’ di tempo a
questa parte non si fa che parlare di arte e cibo, un connubio che certamente
offre grandi suggestioni. Il Premio Fabbri per l’arte le ha scoperte ben dieci anni
fa. Questa volta siamo arrivati alla quinta edizione. E insieme all’azienda,
abbiamo voluto declinarla dalla parte di lei”.
E le opere selezionate per Il Premio Fabbri 2015 entrano da protagoniste nella
grande mostra per i cent’anni dell’Amarena. Compongono anzi una vera e
propria mostra nella mostra, per unire l’arte strettamente intesa, ad un’altra
straordinaria arte: quella del bel vivere, di cui Amarena Fabbri, da cent’anni, è un
piccolo, meraviglioso ingrediente.
Orario: tutti i giorni escluso il lunedì dalle 9 alle 19
Ingresso libero
Inaugurazione: domenica 8 novembre, ore 17,30
Per informazioni:
www.premiofabbri.com
335.8159218, tutti i giorni esclusi sabato, domenica e festivi dalle 11 alle 14 e dalle 16 alle 19.
Visite guidate gratuite su prenotazione: 335.8159218
Produzione: Anonima Talenti Srl
Catalogo edito da Silvana Editoriale
Ufficio stampa
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo – Padova
tel. 049.663499 [email protected] www.studioesseci.net
Un secolo di Amarena
Mostra del centenario di Amarena Fabbri - Premio Fabbri quinta edizione
Bologna, Palazzo Pepoli Campogrande
8 novembre – 8 dicembre 2015
Nota Informativa
Il famoso vaso dell'Amarena
A crearlo, la Bottega Gatti di Faenza
All’inizio, era il 1915, la "Marena" – questo il nome originale del celebre frutto veniva prodotta solo nei mesi di giugno e luglio e venduta in damigiana.
Ma presto si capì l’importanza di esporla in contenitori che risultassero ben
riconoscibili. Come materiale venne individuata la ceramica. Igienica innanzitutto, ma
anche preziosa, elegante, decorativa. Insomma il contenitore perfetto per valorizzare
il contenuto e per far bella mostra di sé sul bancone dei luoghi di mescita.
I primi vasi pubblicitari della Fabbri portano la firma del ceramista Angelo
Minghetti di Bologna. Le sue creazioni, simili per forma e decori agli esemplari da
farmacia, furono presto abbandonate e sostituite dal famoso e storico vaso bianco
e blu, a corpo sagomato su base anulare, originale creazione del ceramista
Riccardo Gatti di Faenza, che riprendeva forma e decori dell'arte cinese.
La decorazione "alla porcellana" (motivi floreali blu su fondo bianco) si rifaceva
infatti agli antichi ornati di origine Medio ed Estremo Orientale, giunti in Italia sin
dalla metà del '500 con le prime porcellane cinesi portate dalla "Compagnia delle
Indie".
Una preferenza, quella per il ceramista faentino, del resto non casuale, visto che la
sua produzione si distingueva per l'elevata qualità e la costante inclinazione alla
sperimentazione e alla ricerca: le stesse peculiarità che erano alla base del successo
della ditta Fabbri. La tradizione vuole che il vaso fosse un affettuoso regalo di
Gennaro alla moglie Rachele, per ringraziarla del fatto che da una sua ricetta a base
di amarene avesse avuto l'idea di quel nuovo prodotto, la "Marena con frutto".
Nel 1930, accanto alle amarene, iniziarono ad essere utilizzate anche le ciliegie,
conservate in raffinato liquore, ugualmente destinate ad un straordinario successo.
Per continuare sul tema del famoso contenitore, va detto che la ditta Fabbri fece
realizzare altri prototipi di vasi sempre negli anni Venti: uno uscì dalla Fornace
Bubani ed aveva i motivi ornamentali in colore nero su sfondo bianco, mentre un
secondo tipo fu prodotto dalle Ceramiche Trerè con i motivi di colore rosso
ruggine su sfondo bianco.
Va inoltre segnalato che in occasione del 75° anniversario dell'azienda (1980), la
Fabbri fece realizzare dalla ditta C.A.C.F. di Faenza una versione maggiormente
decorativa, arricchita con lumeggiature in oro del vaso "classico". Infine, per
celebrare il centenario dell’azienda, nel 2005 venne ideata da Ceramiche Gatti di
Faenza una speciale edizione del vaso interamente decorata in oro zecchino.
Negli anni Trenta, l'azienda passò interamente nelle mani dei figli di Gennaro,
tanto che nel 1933 il nome fu cambiato in "Ditta G. Fabbri di Aldo e Romeo
Fabbri". La produzione continuò ad ampliarsi e differenziarsi, fino a comprendere
le marmellate, le gelatine, le conserve di frutta ed i "succhi zuccherati di frutta".
Gennaro Fabbri morì a Bologna per "influenza polmonite" a 75 anni, il 28 gennaio
1935. Il suo epitaffio ne celebra il "culto della famiglia" e la "passione del lavoro".
La moglie Rachele Buriani morì all'età di 80 anni il 4 luglio 1949.
Poco prima di morire, Gennaro aveva acquistato il Bar Centrale, all'angolo fra via Ugo
Bassi e via Indipendenza, che Romeo ed Aldo trasformarono in un elegante locale
dove si potevano acquistare e degustare tutti i prodotti Fabbri, ivi compresi i gelati di
produzione artigianale realizzati da un maestro gelatiere napoletano. Unica marca
"estranea" ammessa era la Campari con il suo famoso bitter.
Il locale, che i Fabbri avevano affidato ad un bravissimo direttore di Rimini, aveva una
prerogativa veramente unica per quei tempi: era aperto 24 ore su 24. Fu luogo di
incontro della gioventù cittadina, oltre che dell'alta borghesia, fino al Secondo
Dopoguerra, dopodiché, nel 1949, venne scorporato dalla ditta e venduto.
Amarena: nome comune di cosa, femminile, singolare
di Lea Mattarella
Da un po’ di tempo a questa parte non si fa che parlare di arte e cibo, un connubio
che certamente offre grandi suggestioni. Il Premio Fabbri per l’arte le ha scoperte
ben dieci anni fa. Questa volta siamo arrivati alla quinta edizione. E insieme
all’azienda, abbiamo voluto declinarla dalla parte di lei.
È una rassegna tutta al femminile perché si festeggia il centenario dell’amarena
Fabbri, creata da una donna, Rachele, alla quale il marito Gennaro donò subito dopo
il celebre contenitore decorato di blu, rimasto lo stesso – familiare, amico,
inconfondibile – per un secolo.
Anche in quest’occasione le artiste sono state chiamate a pensare un’opera che
fosse in qualche modo – ma ognuna a suo modo – collegata alla storia della Fabbri. E
ancora una volta è stato soprattutto il vaso il protagonista di questa mostra dalla
composizione musicale varia e vitale, che lo ha visto trasformarsi in una testa nella
storia per immagini di Silvia Argiolas, oppure nasconderla nello scatto di Alice Pavesi
Fiori.
Si è anche stagliato come una luminosa sagoma quasi architettonica nel dipinto
ricamato di Kaori Miyayama e lo si è visto poi vibrare in un bianco e nero che ha il
profumo della memoria, rassicurante come la sigla di un vecchio Carosello, nella
fotografia di Francesca Rao. Nelle sue continue metamorfosi il nostro vaso ha
addirittura assunto le sembianze del mondo nell’invenzione che mette in moto
l’immaginazione di Tamara Ferioli ed è diventato uno scrigno prezioso capace di
diffondere nell’aria l’aroma di amarena in quella di Gaia Scaramella. Se il rapporto
così fecondo tra arte e cibo presuppone il coinvolgimento della vista e del gusto,
Scaramella ha voluto includervi anche l’olfatto come se a guidarla fosse il ricordo
della sinestesia baudelairiana o una nuova forma, ironica e alleggerita da qualsiasi
componenti retoriche, di opera d’arte totale.
Chizu Kobayashi circonda il vuoto con il suo filo nero che disegna e anima: plasma
così un vaso che non può contenere nulla, ma ha il compito trattenere e incantare lo
sguardo grazie alla sua levità. La vanitas di Iole Capasso inquadra oggetti che parlano
di persone, ne narrano immaginari azioni e pensieri, come accade qui, non solo al
vaso ma anche a uno specchio tenuto languidamente in mano dalla figura
malinconica vestita in rosso-amarena. La natura morta di un azzurro persistente
dipinta da Francesca Ceccarelli lascia invece che a rintracciare segni di vita siano
tazze e ciotole. Se Ceccarelli ama i dettagli senza farsene sopraffare, avendo ben
chiaro l’insieme, il tutto, Nazzarena Poli Maramotti li tiene lontani, cerca
un’immagine che si impone per la sua rapidità e pretende dall’occhio una visione
non univoca perché ogni cosa è in movimento.
Tra quelli che un tempo erano i ‘generi’ della pittura c’è anche la veduta. La
interpreta Alessandra Giovannoni, anche lei nemica del particolare che nella sua
strada dominata dall’edificio della Fabbri con il vaso in primo piano, è maestra nel
passaggio fluido e armonico da un tono all’altro. Paesaggio tipicamente italiano è
quello di Ana Kapor con una preziosa natura morta sul parapetto della finestra ad
arco che sembra un invito allo spettatore a entrare nello spazio del quadro, in quel
pianeta accogliente in cui ci conduce anche Isabella Molard. Confini, quelli delle due
pittrici, in cui tutto appare sotto controllo tra luminosità tersa e bagliori di ombre e
luci.
La bandiera del nudo la tiene salda tra le mani Sylvie Romieu. Dopo aver ricevuto
l’invito alla mostra ci ha scritto che da tanti anni regala il famoso vaso delle amarene
Fabbri agli amici francesi. Da dono è diventato parte di quest’opera che appare
come un sogno volontario. Lo ha infatti voluto sul proscenio del suo palcoscenico
misterioso e simbolico.
Spazi e tempi lontani sono quelli rintracciati dal dipinto di Anna Caruso dove, in un
continuo rinascere di immagini, compare l’infanzia che è un altro soggetto al quale
conduce il tema stesso di questo premio. Qui c’è posto per l’apparire multiplo di una
bambina, nell’opera di Amandine Samy c’è invece un fanciullo che scopre chissà
quale fantasticheria scrutando una biglia-amarena che in realtà è un buco.
C’è chi ha scelto l’immagine e chi la parola. Si dipana come un fregio, acceso dal
colore dell’amarena, il nome della ditta Fabbri nell’opera di Marina Sagona, costruita
da tanti tasselli che respirano autonomamente tra linee e onde ma sono pronti a
diventare una sola cosa. È un gioco di parole anche quello proposto da Enrica Borghi
e dalle sue sexy e forse amare amarene da amare. “Certi momenti dell’amore sono
fatti di serena inquietudine”, affermava René Char 1.
Una costellazione di forme, sulla parete come un allegro spartito, è quella pensata
da Luana Perilli, mentre Giulia Palombino ci offre un racconto animato in cui con
leggerezza si celebra un’invenzione.
Silvia Camporesi, Barbara Salvucci e Marisa Albanese hanno scelto di lavorare sulla
decorazione blu del vaso Fabbri.
Le prime due sembrano avere in mente la tradizione delle acquasantiere a cui
Camporesi unisce un soffio di vento orientale illuminato di rosso. Albanese con il suo
tatuaggio ci parla di guerriere, combattenti, donne vittoriose. In quest’opera c’è un
odore di accaduto e nello stesso tempo di ignoto e di indecifrabile che attira,
ipnotizzando proprio col silenzio.
Si può scavare a fondo e spingersi ancora più lontano: lo fa Gea Casolaro che va
indietro nel tempo, ma non in quello della sua storia personale, di un’infanzia di
gelati all’amarena. La sua immagine in trittico parla del lavoro che c’è dietro tutto
questo. Anzi, dietro ogni cosa.
Anche Donatella Spaziani e Maria Elisabetta Novello si guardano alle spalle. Per loro
mi è venuto in mente Jonathan Franzen che in una conferenza pubblicata nel volume
Più lontano ancora dichiara che la frase chiave per fare letteratura è “funzionare
sulla pagina”, ovvero rendere “plausibile, leggibile, congeniale, gradevole,
avvincente e soprattutto unico e originale” quello che si fa2. E questo appare ancora
più necessario se l’opera nasce da una riflessione autobiografica. Nel libro appena
uscito di Caterina Bonvicini e Alberto Garlini L’arte di raccontare lo stesso Garlini
dichiara: “Se ci pensiamo lo scopo di un artista si riduce a questo: riconoscere un
gesto in una tradizione e svilupparlo in modo originale”3. E in fondo è proprio questo
che abbiamo chiesto alla nostra squadra. Che ha risposto proprio nel modo in cui ci
aspettavamo. Alla domanda rivoltale dalla Bonvicini su cosa non bisogna fare nel
momento in cui si scrive un romanzo o un racconto Elizabeth Strouth ha risposto
“non rimanere in superficie, non cercare scorciatoie”4. Il nostro gruppo in rosa
sembra averla ascoltata. Ed è una delle ragioni per cui quest’avventura, per dirla con
Franzen, alla fine ha funzionato.
Lea Mattarella
1
R. Char,, A un sèrènitè, Gallimard, Paris, 1951, cit. in G. Steiner, La passione per l’assoluto, Garzanti,
Milano 2015, p. 71.
2
J. Franzen, Più lontano ancora, Einaudi, Torino 2012, p. 118.
3
C. Bonvicini, A. Garlini, L’arte di raccontare, Nottetempo, Roma 2015, p. 11.
4
Ivi, p. 55.
MARENA FABBRI
UNA PASSIONE LUNGA 100 ANNI.
Esattamente 100 anni fa, nel 1915, nasceva la celebre Amarena Fabbri
che da allora delizia i palati di grandi e piccini, accomunando le varie generazioni
in un gusto che sa famiglia e di dolci momenti di vita insieme.
Nata da una ricetta di Rachele Buriani, moglie di Gennaro Fabbri,
fondatore dell’azienda, la lavorazione della “Marena con Frutto” fu inizialmente
limitata ai soli mesi di giugno e luglio, ma divenne in breve tempo un successo
che oggi merita di essere celebrato. Un momento di felice conferma e certezza
che, quando c’è Amarena vi è condivisione e voglia di serena normalità.
Il prodotto venne originariamente venduto in damigiane, ma, nei decenni
successivi, all’idea del prodotto si aggiunse quel fondamentale valore aggiunto
che fu il vaso di ceramica, prezioso contenitore da tenere sul bancone per riporre
e servire l’Amarena.
La tradizione vuole che il primo esemplare di vaso fosse un regalo di
Gennaro alla moglie Rachele, per ringraziarla di aver ideato la ricetta di quel
nuovo, delizioso prodotto.
I primi vasi pubblicitari della Fabbri portano la firma del ceramista
bolognese Angelo Minghetti ma quelli che più di ogni altro hanno accompagnato
il successo di Amarena Fabbri sono senza dubbio le creazioni di Riccardo Gatti di
Faenza, il quale reinterpretava forma e decori dell’arte cinese con i classici motivi
floreali blu su fondo bianco, tecnicamente definiti “alla porcellana”.
Negli anni ’20 Fabbri fece realizzare altri esemplari di vasi: uno con motivi
ornamentali in colore nero su sfondo bianco prodotto dalla Fornace Bubani,
mentre un secondo tipo di vaso venne realizzato dalle Ceramiche Trerè con
motivi di colore rosso ruggine su sfondo bianco. In occasione del 75° anniversario
dell’azienda avvenuto nel 1980, la ditta C.A.C.F. di Faenza realizzò una versione
maggiormente decorativa arricchita con lumeggiature in oro. Per celebrare il
centenario dell’azienda, nel 2005, venne ideata da Ceramiche Gatti di Faenza una
speciale edizione del vaso interamente decorata in oro zecchino.
Quello della Fabbri con l’arte è un rapporto che ha una significativa e
convincente continuità, dalla nascita dell’ormai caratteristico vaso in ceramica
giunto alla sua foggia attuale dopo le diverse versioni di vari ceramisti, fino alla
presenza nelle serie di Carosello degli anni Sessanta attraverso una serie di
filmati pubblicitari considerati tra i primi della storia della televisione.
Incaricato della regia fu il celebre regista Luciano Emmer, che concepì
anche l’avveniristico progetto “Un pittore alla settimana”, in cui gli artisti invitati
venivano ripresi al lavoro nel loro studio. Ecco dunque Renato Guttuso, Giuseppe
Capogrossi, Corrado Cagli, Amerigo Bartoli, Carlo Levi, Franco Gentilini e Anna
Salvatore.
Non solo, dunque, “Amarcord”, ma anche Fabbri oggi nel mondo, con la
sua storia fatta di tradizione e capacità di guardare sempre avanti mettendo a
frutto il patrimonio del passato e cercando di anticipare il futuro. Con la mente
aperta, la stessa che portò Fabbri a scegliere importanti testimonial come
Guttuso e Capogrossi appunto, e ad istituire il Premio Fabbri per l’arte
contemporanea.
In mostra vasi (sia prototipi che oggetti poi immessi in produzione),
affiches, strumenti d’epoca per la lavorazione delle amarene, specchi
pubblicitari, foto d’epoca, che raccontano una storia, la storia di una passione
lunga cento anni.
Francesca Donnina