un punto di forza per la vostra salute
Transcript
un punto di forza per la vostra salute
TEL. DIRETTI 06 8082536 06 8080514 IL CENTRO BIOS DELLA MEDICINA FISICA, DELLA RIABILITAZIONE E DELLA GINNASTICA POSTURALE VIA FRANCESCO DENZA 27 (NELLE IMMEDIATE VICINANZE DELLA BIOS S.P.A.) www.fisiobios.net [email protected] FISIATRIA - DIAGNOSI E CURA DI: ↳ PATOLOGIE OSTEOARTICOLARI ↳ DISORDINI POSTURALI ↳ ALTERAZIONE DELL’APPOGGIO PLANTARE ↳ PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE DELL’ETÀ EVOLUTIVA ↳ ESAMI BAROPODOMETRICI E ORTESI PLANTARI IN COLLABORAZIONE CON L’OFFICINA ORTOPEDICA RONCONI, anche in convenzione con il S.S.N. per i pazienti fino ai 18 anni e per gli esenti per patologia. FISIOTERAPIA (ANCHE A DOMICILIO) ↳ TERAPIE RIABILITATIVE MANUALI ↳ TERAPIE RIABILITATIVE STRUMENTALI ↳ RIEDUCAZIONE POSTURALE GLOBALE PALESTRA RIABILITATIVA UNA LEZIONE DI PROVA GRATUITA ↳ ↳ ↳ ↳ ↳ GINNASTICA POSTURALE FELDENKRAIS GYROTONIC® KUNDALINI YOGA BREAK PANCAFIT® UN PUNTO DI FORZA PER LA VOSTRA SALUTE bimestrale di informazione e aggiornamento medico La sclerodermia: dalla descrizione clinica di von Jurgensen all’arte di Paul Klee Patologia della cuffia dei rotatori Il sodio: né troppo né troppo poco Edizioni bios S.p.A. n. 2 - 2013 SISTEMA QUALITÀ CERTIFICATO UNI EN ISO 9001:2000 CUP - CENTRO UNIFICATO DI PRENOTAZIONE - 06 809641 [email protected] www.bios-spa.it BIOS S.P.A. - STRUTTURA SANITARIA POLISPECIALISTICA FAX - 06 8082104 00197 ROMA - VIA D. CHELINI, 39 APERTO TUTTO L’ANNO. ANCHE IL MESE DI AGOSTO * IN REGIME DI ACCREDITAMENTO PER TUTTI GLI ESAMI PREVISTI DAL SSR • PER INFORMAZIONI SU TUTTI I SERVIZI E PRENOTAZIONI: INFO CUP 06 809641 DIRETTORE SANITARIO: Dott. Francesco Leone DIAGNOSTICA DI LABORATORIO Direttore Tecnico Dott. Francesco Leone * ANALISI CLINICHE ESEGUITE CON METODICHE AD ALTA TECNOLOGIA PRELIEVI DOMICILIARI • LABORATORIO DI ANALISI IN EMERGENZA (DEAL) - ATTIVO 24h su 24h - 365 GIORNI L’ANNO CON REFERTI DISPONIBILI DI NORMA ENTRO 2 ORE DAL RICEVIMENTO DEL CAMPIONE PRESSO LA STRUTTURA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Direttore Tecnico Prof. Vincenzo Di Lella Direttore Sanitario Dott. Francesco Leone • DIAGNOSTICA RADIOLOGICA * • RADIOLOGIA GENERALE TRADIZIONALE E DIGITALE* • ORTOPANORAMICA DENTALE DIGITALE* • SENOLOGIA • TC MULTISTRATO • R.M.N. (RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE) • DENTASCAN • MINERALOMETRIA OSSEA COMPUTERIZZATA (M.O.C.) • DIAGNOSTICA ECOGRAFICA • ECOGRAFIA INTERNISTICA: singoli organi e addome completo • DIAGNOSTICA ECOGRAFICA CARDIOLOGICA E VASCOLARE: ecocardiogramma, ecocolordoppler • ECOGRAFIA GINECOLOGICA: sovrapubica, endovaginale • ECOGRAFIA OSTETRICO-GINECOLOGICA IN 3D E 4D DI ULTIMA GENERAZIONE: - TRANSLUCENZA NUCALE O PLICA NUCALE - ECOGRAFIA MORFOLOGICA - FLUSSIMETRIA • ECOGRAFIE PEDIATRICHE DIAGNOSTICA SPECIALISTICA Direttore Sanitario Dott. Francesco Leone • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • ALLERGOLOGIA ANDROLOGIA ANGIOLOGIA AUDIOLOGIA CARDIOLOGIA DERMATOLOGIA DIABETOLOGIA E MALATTIE DEL RICAMBIO DIETOLOGIA EMATOLOGIA ENDOCRINOLOGIA GASTROENTEROLOGIA GENETICA MEDICA - DIAGNOSI PRENATALE GINECOLOGIA - OSTETRICIA IMMUNOLOGIA CLINICA MEDICINA DELLO SPORT MEDICINA INTERNA NEFROLOGIA NEUROLOGIA OCULISTICA ODONTOIATRIA ONCOLOGIA MEDICA ORTOPEDIA • • • • • • OSTETRICIA - GINECOLOGIA OTORINOLARINGOIATRIA PNEUMOLOGIA PSICOLOGIA CLINICA REUMATOLOGIA UROLOGIA CENTRI E SERVIZI MULTIDISCIPLINARI Direttore Sanitario Dott. Francesco Leone • - CHECK-UP PERSONALIZZATI MIRATI: Sui principali fattori di rischio VELOCI: Nell’arco di una sola mattinata Convenzioni con le aziende • SERVIZIO DIAGNOSTICA RAPIDA: con referti e diagnosi in 24-48 ore • CENTRO ANTITROMBOSI: monitoraggio e counseling del paziente in terapia antitrombotica • CENTRO PER LA DIAGNOSI E CURA DELL’IPERTENSIONE • CENTRO PER LO STUDIO, DIAGNOSI E CURA DEL DIABETE • CENTRO PER LO STUDIO DELLE CEFALEE • SERVIZIO DI MEDICINA E BIOLOGIA DELLA RIPRODUZIONE: studio dell’infertilità di coppia, fecondazione assistita di I livello • SERVIZIO DI DIAGNOSTICA PRE E POST NATALE, MONITORAGGIO DELLA GRAVIDANZA • SERVIZIO DI ANDROLOGIA E PREVENZIONE DELLE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE • SERVIZIO VACCINAZIONI Periodico della BIOS S.p.A. fondata da Maria Grazia Tambroni Patrizi ” L’EDITORIALE Vita lunga e di buona qualità, ma attenzione alle sciocchezze che “girano” in rete Patologia della cuffia dei rotatori Vincenzo Candela La sindrome della bambola e del soldato Carolina Aranci 2 3 9 12 A TUTTO CAMPO a cura della redazione 15 SELECTIO Direzione Scientifica Giuseppe Luzi Segreteria di Redazione Gloria Maimone Coordinamento Editoriale Licia Marti MIXING Alessandro Ciammaichella IL PUNTO Patologie correlate alle IgG4: una nuova malattia? Giuseppe Luzi Direttore Responsabile Fernando Patrizi Comitato Scientifico Armando Calzolari Carla Candia Vincenzo Di Lella Francesco Leone Giuseppe Luzi Gilnardo Novellli Giovanni Peruzzi Augusto Vellucci Anneo Violante Hanno collaborato a questo numero: Carolina Aranci, Vincenzo Candela, Alessandro Ciammaichella, Barbara De Paola, Silvana Francipane, Francesco Leone, Giuseppe Luzi, Maria Giuditta Valorani, Lelio R. Zorzin La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli è dei singoli autori. 1 Direzione, Redazione, Amministrazione BioS S.p.A. Via D. Chelini, 39 00197 Roma Tel. 06 80964245 [email protected] 18 24 Grafica e Impaginazione Vinci&Partners srl Impianti e Stampa ArtColorPrinting srl via Portuense, 1555 - 00148 Roma Edizioni BIOS S.p.A. Autorizzazione del Tribunale di Roma: n. 186 del 22/04/1996 LEGGERE LE ANALISI Il sodio: né troppo, né troppo poco Francesco Leone In copertina: Paul Klee, Croci e colonne, part. 25 In merito ai diritti di riproduzione la BIOS S.p.A. si dichiara disponibile per regolare eventuali spettanze relative alle immagini delle quali non sia stato possibile reperire la fonte Pubblicazione in distribuzione gratuita. IMPARARE DALLA CLINICA Lelio R. Zorzin, Silvana Francipane Giuseppe Luzi 28 BIOS – NOVITÀ PER IL MEDICO Il test del D-dimero nella diagnosi di esclusione della tromboembolia venosa Barbara De Paola 32 Un punto di forza per la vostra salute 33 Gli utenti che, per chiarimenti o consulenza professionale, desiderano contattare gli autori degli articoli pubblicati sulla rivista Diagnostica Bios, possono telefonare direttamente alla sig.ra Pina Buccigrossi al numero telefonico 06 809641. FROM BENCH TO BEDSIDE a cura di Maria Giuditta Valorani Finito di stampare nel mese di maggio 2013 BIOS S.p.A. Struttura Sanitaria Polispecialistica Via D. Chelini, 39 - 00197 Roma Dir. Sanitario: dott. Francesco Leone CUP 06.809.641 VITA LUNGA E DI BUONA qUALITÀ, MA ATTENzIONE ALLE SCIOCCHEzzE CHE “GIRANO” IN RETE Giuseppe Luzi 2 L’EDITORIALE U n importante ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Lancet (J.A. Salomon et al. Healthy life expectancy for 187 countries, 19902012: a systematic analysis for the Global Burden Disease Study 2010 – Lancet 2012; 380: 2144-62) offre lo spunto per alcune considerazioni. Il lavoro, effettuato in un ampio periodo di tempo in 187 nazioni, analizza l’attesa di vita in varie popolazione e dimostra che in Italia l’aspettativa di vita è alta, la seconda al mondo dopo il Giappone. È probabile che questi risultati siano legati al tipo di dieta, alla così detta dieta mediterranea. Si mangia con olio d’oliva, si beve vino ai pasti evitando clamorosi “binge drinking”, si evitano grassi di origine animale. Ma è proprio così? Se andiamo a vedere la classifica nel gruppo dei primi dieci paesi con maggiore longevità e analizziamo i primi cinque, si vede che le differenze sono minime: Giappone 82,6 anni; Italia 81,5; Spagna 81,4; Israele 81,1; Francia 80,9. Quindi, al di là delle accurate analisi di statistica, ci troviamo di fronte a un trend abbastanza unificante. Ma proprio questo successo europeo, con una Gran Bretagna un po’ defilata con i suoi 79,9 anni, informa su aspetti non sempre “matematicamente” riconducibili a fattori di cut-off. I risultati sulla longevità vanno sempre analizzati nell’ambito della longevità ben vissuta. E anche per questo parametro sembra che noi ce la caviamo bene, con una durata media della disabilità piuttosto contenuta. Qualità della vita non è aggiungere anni alla vita ma soprattutto vita agli anni. E un merito non sempre quantificabile per questo successo nazionale lo si deve sia alla sanità pubblica sia alla sanità privata, a un’informazione sempre più estesa e fruibile per la popolazione. I check-up, le visite di controllo, la maggiore consapevolezza del rischio “malattia” sono un punto di partenza fondamentale per impostare una politica sanitaria futura che si pro- ponga con ampia prospettiva a incidere sulle cause che pesano di più per un’accettabile qualità di vita: diabete, sovrappeso, scarsa attività fisica, fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa, inquinamento atmosferico, riabilitazione. D’altro canto è ben noto dalla recente esperienza europea (crollo dell’Unione Sovietica in primis, attuale crisi economica finanziaria in Europa) che un default, anche parziale, della gestione sanitaria causa un sistema di ricadute negative sulla gestione della salute. Pertanto, in un’Italia che vedrà i prossimi anni in recessione e con una ridotta disponibilità di risorse, è quanto mai necessario utilizzare al meglio le diverse fonti economiche disponibili per la sanità (prevenzione prima di tutto e azione sia sullo stile di vita sia sui determinanti sociali della salute). In questa prospettiva è perciò tanto più drammatico quanto emerge da Internet dove si trovano farneticanti dichiarazioni in merito, per esempio, al danno conseguente all’uso dei vaccini e alle implicazioni che ne derivano. Si resta soprattutto spaventati dal peso che dichiarazioni prive di ogni significato scientifico possano essere acquisite in rete e recepite da persone che, prive di senso critico, le fanno proprie preparando la strada a un contagioso neo-oscurantismo. Non si deve confondere libertà di stampa e di pensiero con indiscriminata diffusione di pericolose false informazioni che possono provocare danni irreparabili (si pensi soltanto al successo storico della vaccinazione antipoliomielite e alla sofferenza dei bambini che in un passato non tanto lontano, prima della vaccinazione di massa, finivano i loro giorni con protesi degli arti o, peggio ancora, nei “polmoni d’acciaio”). La memoria storica decade per cui sia le istituzioni sia i professionisti della salute debbono contrastare ogni affermazione falsa e pericolosa proveniente da qualsiasi fonte. PATOLOGIA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI Vincenzo Candela 3 INTRODUzIONE Con il termine di “periartrite scapolo omerale” Duplay nel 1872 volle identificare l’insieme di patologie riguardanti i tessuti molli periarticolari della spalla. Nel 1972 Neer riuscì a definire in maniera più organica questa patologia, coniando il termine di “impingement syndrome” con il quale intendeva il conflitto meccanico primario dei tendini della cuffia dei rotatori e della borsa sottoacromiale sotto l’arco rigido acromion-coracoideo favorito da alterazioni di morfologia, dimensioni ed orientamento dell’acromion (fig.1). Sulla base di queste considerazioni Neer propose una classificazione anatomopatologica che prevede tre stadi cronologicamente successivi: stadio I caratterizzato dall’infiammazione acuta, edema ed iperemia della borsa e del tendine prevalentemente del sovraspinoso; stadio II, fibrosi (degenerazione) della borsa e del tendine; stadio III o della rottura tendinea e delle modificazioni ossee. In realtà studi successivi hanno dimostrato che, soprattutto negli atleti e comunque nelle persone sotto i quarant’anni, le alterazioni patologiche della cuffia dei rotatori più che da un conflitto sottoacromiale primario, come ipotizzato un primo tempo da Neer, possono essere causate da una tendinopatia primitiva della cuffia e che le sindromi conflittuali, se presenti, vanno interpretate come un fenomeno secondario. Queste ipotesi possono essere adottate per spiegaFig. 1 - Articolazione sottoacromion-coracoidea re l’insorgenza di una sindrome dolorosa di spalla negli atleti nei quali, almeno nelle fasi iniziali, la gestualità tipica della disciplina sportiva praticata può indurre una tendinopatia primitiva della cuffia (soprattutto del sovraspinoso) per prevalenti sovraccarichi trazionali di tipo eccentrico, come avviene in tutti gli sport dove il gesto tecnico prevede l’utilizzo del braccio e della mano sopra la testa (ad esempio il servizio e la schiacciata nel tennis e nella pallavolo, il tiro nella pallamano e nella pallanuoto, il lancio nel baseball e in alcune discipline dell’atletica leggera). TENDINOPATIA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI 4 È una patologia da sovraccarico funzionale e spesso rappresenta lo stadio iniziale di una sindrome dolorosa di spalla. L’etiopatogenesi va ricercata nell’iperuso funzionale, che si realizza con la ripetizione di gestualità tecniche, che prevedono un atteggiamento del braccio in abduzione, extrarotazione e retroproiezione oltre i 90°. Questo determina, nel tempo, una reazione infiammatoria con edema e iperemia tissutale alla quale segue, perdurando il meccanismo lesivo, la fase degenerativa con microlacerazioni e tendinosi della cuffia di rotatori. DIAGNOSI Il dolore è il sintomo fondamentale che si localizza nella regione antero-laterale della spalla, aumenta durante l’attività sportiva e regredisce con il riposo. La diagnosi di questa forma è prevalentemente clinica, basandosi sull’anamnesi e soprattutto sull’esame obiettivo. L’anamnesi deve essere quanto più possibile accurata; bisogna indagare sulle caratteristiche del dolore, se è a insorgenza lenta e graduale oppure se ha un esordio acuto e improvviso; è utile inoltre conoscere quali sono i gesti tecnici che causano il riacutizzarsi della sintomatologia dolorosa. L’esame obiettivo si basa sulle manovre semeiologiche e sulle indagini strumentali. L’ispezione è solitamente negativa, mentre la palpazione può mettere in evidenza il dolore alla digitopressione in corrispondenza della grande tuberosità della spalla. I test contro resistenza dei muscoli affetti sono di fondamentale importanza per poter formulare una corretta diagnosi. Quelli che lo specialista usa più frequentemente sono descritti in seguito. Test di Jobe: braccia atteggiate a 90° di abduzione, 30° di flessione anteriore e intrarotazione con i pollici rivolti al suolo. L’esaminatore deve invitare l’atleta a sollevare le braccia, mantenendo il gomito in estensione, verso l’alto, esercitando una controspinta verso il basso. Se il paziente avverte dolore il test è positivo per una tendinopatia del sopraspinoso (fig. 2). Test del sottospinoso: braccio addotto al corpo, posizione intermedia di rotazione, gomito flesso e avambraccio supinato. Il medico si pone di fronte al paziente e offre resistenza al movimento di extrarotazione del braccio; in caso di dolore il test è positivo per patologia del sottospinoso e del piccolo rotondo (fig. 3). Fig. 3 - Test del sottospinoso Lift off test: il medico è posto alle spalle dell’atleta e lo invita a effettuare una adduzione, retro posizione e intrarotazione a gomito flesso; l’arto viene stabilizzato al gomito, il paziente viene invitato ad allontanare la mano dalla schiena contro resistenza. La comparsa del dolore è significativa per una tendinopatia del sottoscapolare (fig. 4). L’esame radiografico standard è di solito negativo. Può, tuttavia, mettere in evidenza calcificazioni della borsa sotto acromiale e dei tendini della cuffia, irregolarità delle superfici articolari o sclerosi tuberositaria. Molto utile l’esame ecografico capace di dimostrare sia alterazioni morfologiche sia di struttura delle formazioni tendinee della cuffia dei rotatori. TRATTAMENTO Il trattamento della tendinopatia della cuffia dei rotatori è conservativo, riservandosi quello chirurgico (toilette artroscopia) a quei casi resistenti al trattamento incruento o nei quali la motivazione dell’atleta a proseguire l’attività sportiva è molto elevata. Il trattamento conservativo consiste nel riposo atletico per un periodo sufficiente, durante il quale l’atleta viene sottoposto a terapia medica, fisioterapia e kinesiterapia; in questa fase può continuare a svolgere attività fisica mirata a mantenere allenato il sistema cardiocircolatorio e respiratorio evitando tutti i movimenti che creano dolore. Di fondamentale importanza è la kinesiterapia che attraverso esercizi specifici con elastici potenzia la muscolatura della cuffia dei rotatori in modo da riequilibrare il rapporto di forza tra deltoide e rotatori. A queste esercitazioni vanno aggiunte la ginnastica propriocettiva e quella di allungamento per evitare la rigidità da non uso ed elasticizzare le strutture capsulo-legamentose. SINDROME DA CONFLITTO SOTTOACROMIALE È caratterizzata dall’attrito fra gli elementi scheletrici e legamentosi della volta acromioncoracoidea e la porzione tendinea della cuffia di rotatori con braccio abdotto ed extra ruotato. Le cause che possono determinare una riduzione dello spazio sottoacromiale sono la tendinopatia della cuffia e la borsite sottoacromdeltoidea, le varianti anatomiche dell’acromion, alterazioni di posizione della scapola, l’artrosi acromion- clavicolare, la presenza di osteofiti della giunzione osteo-legamentosa (acromion-legamento coraco-acromiale) e lo squilibrio di forza tra deltoide e cuffia dei rotatori. 5 DIAGNOSI La diagnosi, viene posta attraverso test clinici capaci di riprodurre il meccanismo conflittuale, tra questi i più utilizzati nella pratica clinica sono descritti in seguito, Test di Neer: il medico è posto dietro l’atleta, con una mano solleva passivamente il braccio, mentre con l’altra stabilizza la scapola. In tal modo si provoca una flessione anteriore in moderata abduzione; in caso di conflitto anteriore l’atleta avverte dolore in un arco di movimento compreso tra 70° e 120° gradi (fig. 5). Fig. 4 Lift off test Fig. 5 Test di Neer 6 Fig. 6 - Test di Hawkins Fig. 7 - Test di Jocum Test di Hawkins: si esegue con braccio abdotto a 90° e gomito flesso; in tale posizione il medico imprime un movimento di rotazione interna all’articolazione gleno-omerale. In caso di impingement l’atleta avverte dolore (fig. 6). Test di Jocum: la mano della spalla esaminata va posta sulla controlaterale e si chiede al paziente di alzare il gomito contro resistenza, senza muovere la spalla. In caso di positività del test si pone diagnosi di conflitto sottoacromiale (fig. 7). Da ricordare, comunque, che nell’atleta le sindromi da conflitto sottoacromiale sono eventi rari, incostanti e tardivi, mentre sono di più frequente riscontro forme dolorose secondarie a una tendinopatia primitiva della cuffia dei rotatori. dei rotatori che nella maggior parte di casi interessa prevalentemente il sopraspinoso. La patogenesi va ricercata nella persistenza della sindrome conflittuale e nel continuo e progressivo indebolimento del tessuto tendineo determinato dal prolungato sovraccarico funzionale. Le rotture della cuffia dei rotatori sono distinte in complete e parziali. Le prime, a seconda della entità della lesione, sono classificate in piccole (diametro fino a 3 cm), medie (diametro fra 3 e 5 cm), massive (diametro oltre 5 cm). Le seconde, in considerazione della sede della rottura, in inferiori (superficie articolare), superiori (superficie bursale) e intraparenchimali. Le rotture complete sono evenienze rare negli atleti; si riscontrano, con una certa frequenza, negli ultraquarantenni dediti ad attività sportive di tipo amatoriale. TRATTAMENTO La terapia del conflitto anteriore non si discosta, almeno nelle fasi iniziali, da quella della tendinopatia della cuffia dei rotatori e prevede riposo atletico, terapia medica, infiltrazioni di prodotti cortisonici, fisioterapia e kinesiterapia; quest’ultima è particolarmente importante perche permette, attraverso esercizi specifici con elastici, di riequilibrare il rapporto tra deltoide e cuffia dei rotatori. Il trattamento chirurgico (acromionplastica per via artroscopia) va riservato alle forme resistenti al trattamento fisioterapico. ROTTURE DELLA CUFFIA DEI ROTATORI Sono caratterizzate da una perdita della continuità più o meno estesa dei tendini della cuffia DIAGNOSI La sintomatologia clinica è caratterizzata dal dolore presente sia durante attività sportiva sia a riposo. È molto spesso presente dolore notturno e limitazione funzionale dell’arto interessato, che nelle forme più acute e gravi può portare a impotenza funzionale. I test clinici sono gli stessi sia della tendinopatia della cuffia sia del conflitto sottoacromiale; tra questi i più significativi sono il test di Neer (conflitto) e il test di Jobe (cuffia) che talvolta sono sufficienti per porre una diagnosi certa di rottura della cuffia dei rotatori. Per quanto riguarda la diagnostica strumentale può essere di aiuto un esame ecografico ma soprattutto la RMN che, oltre all’identificazione della lesione, è in grado di quantificare l’entità del danno tendineo. Utile anche un esame radiografico che permette di evidenziare, come segno indiretto di una rottura completa, la risalita della testa omerale dovuta all’azione del deltoide e la presenza di eventuali calcificazioni. TRATTAMENTO Nelle lesioni parziali il trattamento iniziale è conservativo, basato sul riposo per almeno tre mesi, sulla fisioterapia e soprattutto sulla kinesiterapia; la tendenza attuale è quella di operare anche queste lesioni soprattutto in rapporto alle motivazioni agonistiche dell’atleta. Nelle lesioni complete il trattamento è esclusivamente chirurgico e può essere eseguito sia per via artrotomica sia per via artroscopia. Quest’ultimo tipo di intervento, se correttamente eseguito, fornisce garanzie totali, rispetto dell’anatomia e tempi di recupero più brevi. PATOLOGIA DEL LABBRO GLENOIDEO SUPERIORE – SLAP LESION: SUPERIOR LABRUM ANTERIOR TO POSTERIOR Costituisce una patologia di spalla che coinvolge in vario grado le strutture di quello che viene indicato come complesso capsulare glenoomerale superiore (ancoraggio bicipitale). La lesione interessa la porzione superiore del labbro glenoideo e il segmento giunzionale del tendine del capo lungo del bicipite brachiale (CLB), unico tendine di tutti quelli della spalla che non origina direttamente dall’osso ma da una struttura “ debole” come è il cercine glenoideo (fig. 8). Il meccanismo lesivo più frequentemente invocato è quello del sovraccarico funzionale, in ragione di sollecitazioni razionali ripetute e massimali, come si verifica negli sport di lancio, determinando, nel tempo, l’insorgenza di fenomeni degenerativi a carico del cercine glenoideo superiore e del tendine del capo lungo del bicipite brachiale (ancoraggio bicipitale) Fig. 8 - Ancoraggio bicipitale che possono evolvere in alterazioni del tipo SLAP lesion. Ulteriore possibilità patogenetica è un evento traumatico unico, caratterizzato da una forza di trazione-compressione esercitata sul cercine glenoideo superiore e sul capo lungo del bicipite quale conseguenza di una caduta sul braccio disteso, con la spalla in leggera abduzione e in leggera flessione in avanti al momento dell’impatto (fig. 9). Artroscopicamente la lesione è stata suddivisa in quattro stadi: • stadio I: degenerativo; • stadio II: della disinserzione del labbro glenoideo superiore coinvolgente parzialmente il CLB; Fig. 9 7 • stadio III: lesione a manico di secchio del cercine e lesione vera del CLB; • stadio IV, con lesione del cercine che si prolunga nello spessore del tendine del capo lungo del bicipite. La diagnosi clinica presenta difficoltà tra i vari test proposti: quello che oggigiorno riscuote maggiori consensi da parte degli specialisti è il test di O’Brien; la RMN (fig. 10) e soprattutto la artro-RMN è l’indagine d’elezione in queste patologie assumendo valore dirimente rispetto a una lesione della cuffia dei rotatori e di certezza diagnostica. Il trattamento nelle lesioni di I° grado è fisioterapico, mentre nelle altre lesioni (II, III, IV grado) è per via artroscopica. Fig. 10 - quadro RM di SLAP lesion 8 Presso la FisioBIOS di Roma, il dott. Vincenzo Candela svolge attività di consulenza ortopedica e fisiatrica. Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641 LA SINDROME DELLA BAMBOLA E DEL SOLDATO Carolina Aranci 9 LE ASPETTATIVE EGOISTICHE RIPOSTE SUL PARTNER DETERIORANO IL RAPPORTO DI COPPIA L a sera è uno dei momenti in cui la famiglia si riunisce; per alcune coppie, da occasione di dialogo costruttivo e di coccole, diviene momento di scontro. Colpa del non sapersi mettere nei panni del coniuge, idealizzando lei come una bella bambola sempre sorridente e lui come un soldato pronto a tutto. Ecco cosa fare per ritrovare la tenerezza dell’incontrarsi Tardo pomeriggio di un giorno feriale, come tanti. L’automobile parcheggiata nel suo riquadro bianco di sempre; l’uomo scende, prende la valigetta e inserisce l’antifurto, trae di tasca le chiavi del portone e, dopo aver salito le scale, fa per aprire la porta d’ingresso di casa. L’immagine che ha in mente, una volta varcata la soglia, è quella di sua moglie, bella come il sole, sorridente, serena, che al suo arrivo gli dia il bentornato con baci e abbracci e che magari lo accompagni a dare la buonanotte ai bimbi già pronti per la nanna. La cena, pronta e fumante, sarà in tavola ad aspettarlo; silenzio e calma regneranno tra le mura domestiche. Tardo pomeriggio di un giorno feriale, come tanti. La lavatrice continua a mescolare i panni, mentre la pentola è sul fuoco e i bambini litigano per un cartone animato che a uno piace, all’altro no. Si danno spintoni fino a farsi male e la mamma, abbandonate le faccende domestiche, i capelli ancora arruffati e il grembiale addosso, è costretta a intervenire per calmarli e consolarli. In quel momento sente aprire la porta di casa. L’immagine che ha in mente, una volta che il marito avrà varcato la soglia, è quella di un uomo che la abbracci e la sollevi da qualcuna delle sue 10 occupazioni, tanto da tranquillizzarla e darle l’opportunità di svolgere le altre attività con più calma e concentrazione e magari riuscire a rendersi più presentabile. Tardo pomeriggio di un giorno feriale, come tanti. Il marito rincasa e c’è confusione nell’aria: i bimbi piangono e urlano e si sente ancora il rumore della centrifuga della lavatrice. La moglie gli volge appena lo sguardo salutandolo con aria sommessa: ha tutta l’aria di non poterne più, è stanchissima. La pentola bolle sul fuoco ma la tavola non è ancora apparecchiata. Lui ha bisogno di una doccia, deve rilassarsi dopo il lavoro, e si chiude in bagno; lei non riesce a gestire tutto da sola e comincia a urlare, prima con i bambini, poi con il marito, che a sua volta le risponde per le rime. Il nervosismo invade la casa, ciascuno dei genitori prende la sua porzione di cibo e la mangia in uno spazio che ha apparecchiato solo per sé, senza pensare – volutamente – all’altro. Non c’è condivisione, non c’è dialogo; la serata termina con lui che mette a dormire i piccoli e lei che continua le faccende in cucina. Al momento di ritrovarsi, sono entrambi troppo delusi dal partner e adirati, scocciati, maldisposti al dialogo, tanto che è meglio far silenzio e addormentarsi, ognuno quando ritiene più opportuno, ma entrambi rigorosamente col muso lungo. Per poi svegliarsi al mattino successivo, uscire di casa e al rientro terminare la giornata con modalità simili a quelle della sera precedente. La “sindrome della bambola” è quella situazione immaginifica nella quale si idealizza la moglie (o il marito nella corrispondente “sindrome del soldato”) scontornandola dalla vita reale e immergendone i lati più piacevoli in una sorta di vita virtuale, dove tutto funziona secondo i nostri desideri, dunque… alla perfezione. L’impatto con la vita realmente vissuta, con difficoltà, ostacoli, ansietà, nervosismi, stanchezze, crea uno scompenso tale da non riuscire più a riconoscerla. Lo stesso avviene per la donna che idealizza il marito come un uomo pronto a tutto pur di renderla felice: quanto più emerge la vera natura dell’essere umano, tanto meno lei ne è attratta. A determinare una situazione così spiacevole è di certo la mancanza di disponibilità nei confronti dell’altro, ma soprattutto l’aspettativa che ci si crea su di lui e su di lei. Non ci si mette nei panni del partner, non ci si adegua a parlare il suo stesso linguaggio. Difficile che un marito appena rientrato dopo ore e ore di ufficio, traffico, richiami e scadenze, riesca immediatamente a cogliere le implicite richieste d’aiuto della moglie; allo stesso modo è impossibile per la moglie essere bella, piacevole e sorridente, immersa com’è nei problemi della vita familiare, senza poter mai “staccare” come invece avviene – o meglio, dovrebbe avvenire – per lui al termine della giornata d’ufficio. Spesso, anzi, anche la donna ha trascorso diverse ore al lavoro, per poi immergersi a capofitto nell’attività casalinga (a volte più faticosa di quella professionale). In maniera forse ancora adolescenziale si pensa egoisticamente che il momento dell’incontro con il partner a fine giornata sia bellissimo, che l’altro/a sappia certamente rendersi gradevole e aiutarci; ma questo è ciò che noi stessi vorremmo da lui o da lei, la proiezione del nostro volere e dei nostri desideri sul partner. Tale visione non tiene conto della giornata del coniuge, ma solo di quanto noi abbiamo in prima persona vissuto e di ciò che ci aspettiamo. Come uscire dall’empasse? Pensando non a “cosa voglio io”, ma a “cosa desidererà l’altro ora che mi vedrà”; quali saranno le sue necessità, come potrò aiutarlo/a, come la stanchezza della mia giornata possa non gravare su di lui o su di lei ma semplicemente essere superata per dare conforto alla mia “dolce metà”, che magari sarà ancora più stanco (o stanca) di me. Evitando la proiezione dei nostri desideri sul partner, ma calandoci col pensiero in quella che deve essere stata la sua realtà quotidiana, saremo più vicini a lui/lei, ne capiremo meglio le necessità, spingendolo/a a sua volta a essere più costruttivo/a e disponibile a capire le nostre. Senza l’infantile egoismo iniziale del “desidero che lui/lei sia così…”, anzi trasformandolo in un “co- me lui/lei desidererà che io sia? Cosa gli/le farebbe più piacere?”, la coppia ritrova l’armonia e la capacità di fare fronte comune alle difficoltà. Ciascuno dei due si sente spalleggiato dall’altro, compreso, protetto, in una parola amato. Se lui riesce a prendere il bimbo dalle braccia della moglie e a consolarlo al suo posto concedendo a lei di rilassarsi, e se lei pensa ad accogliere il marito che torna a casa come un uomo stanco e bisognoso di cure, piuttosto che come un soldato indefesso, la tenerezza riemerge e la coppia è di nuovo un tutt’uno, un punto di forza e non di debolezza. Lasciamo pure bambole e soldatini al mondo plastificato dei giochi dei bambini; meglio comportarsi da veri mariti e vere mogli, uomini e donne ben formati, saldi sulle proprie gambe, inseriti nella vita reale e non più in una proiezione adolescenziale dell’innamoramento. E ci si immergerà sempre più nell’amore adulto, ossia nell’amore vero, autenticamente e pienamente vissuto. 11 Presso la BIOS S.p.A. di Roma, in via Chelini 39, la dott.ssa Carolina Aranci svolge attività di consulenza analitico-transazionale. Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641 12 MIXING SPORT E INSULINA L’attività fisica stimola l’ingresso delle fonti di energia dentro i muscoli, con azione analoga all’insulina. Già pochi minuti dopo l’inizio dell’attività muscolare il pancreas riduce la secrezione di insulina: ne deriva aumentata produzione di glucosio nel fegato (glicolisi epatica) e quindi ingresso di glucosio in maggior quantità nei muscoli. L’attività fisica stimola la glicolisi epatica anche tramite la produzione di ormoni che aumentano la glicogenesi epatica affinché il glucosio possa entrare nei muscoli: possibile una ipoglicemia. L’attività fisica aerobica – specie quella di lunga durata, come la corsa e il ciclismo – è preferibile poiché il muscolo utilizza a scopo energetico più grassi che glucosio: è pertanto evitata l’ipoglicemia. Tale attività aumenta la sensibilità all’insulina sia endogena che esogena: nel diabete tipo 1 pertanto va pianificata. Il diabetico l nello sport è facilitato se usa il microinfusore. MALFORMAzIONI RESPIRATORIE: TECNICA “EXIT” Con questa nuova metodica, grazie alla collaborazione fra Policlinico Gemelli e Ospedale Bambin Gesù, nascerà a Roma il primo Centro europeo che è in grado – durante il taglio cesa- reo – di intubare il neonato all’inizio del parto, onde garantire con continuità la sua ossigenazione. In particolare, il feto viene parzialmente estratto dall’utero, senza distaccarlo dalla placenta che continua a ossigenarlo. Il vantaggio di questa tecnica, indicata soprattutto nelle malformazioni delle vie respiratorie (diagnosticate con l’ecografia), è quello di consentire ai medici di operare con calma per correggere dismorfismi altrimenti letali, con il feto “a metà” tra il mondo e l’utero materno. Queste malformazioni in Italia incidono all’incirca in un neonato su 15 mila, per cui si prevede una media di 20-30 interventi in un anno. INTOLLERANzA AL LATTOSIO Viene denominata anche ipolattasia in quanto dovuta a deficit di lattasi, l’enzima che nella mucosa del tenue idrolizza il lattosio in glucosio e galattosio. L’ipolattasia primaria, geneticamente determinata, interessa oltre il 50% della popolazione mondiale, con incidenza diversa tra i vari gruppi etnici. La quantità massima di lattosio tollerata è molto variabile tra i diversi individui: solo il 30-50% degli ipolattasici lamenta meteorismo, dolenzia addominale o diarrea (quante volte si dà poca importanza ai soggetti che non tollerano il latte!). L’ipolattasia secondaria è dovuta a infezioni batteriche o parassitarie, farmaci, malattia celiaca, morbo di Crohn. Il test del respiro all’idrogeno è semplice, non invasivo, poco costoso, ripetibile. Si somministra lattosio per os, in acqua al 10% o come latte parzialmente scremato: il lattosio, non digerito dalla flora del colon, passa nel sangue, nei polmoni e da qui nell’aria espirata. Può talora causare malessere. Ha una sensibilità dell’80 % circa. Il test genetico, con prelievo ematico, ben tollerato ma più costoso, rivela soltanto la predisposizione alla malattia. ATEROMI CAROTIDEI E P.E.T. L’ispessimento mediointimale della carotide extracranica, misurabile con l’ecocolordoppler, è un utile indice di aterosclerosi e di eventuali eventi cardiovascolari. Tale ispessimento, che cresce con l’età ed è maggiore nel sesso maschile, va considerato un precursore della placca ateromasica carotidea. La tomografia a emissione di positroni (P.E.T.) della carotide extracranica è in grado di valutare l’attività metabolica della parete arteriosa circostante la placca: si noti al riguardo che l’aterosclerosi (e non l’arteriosclerosi propriamente detta) deve essere considerata un processo “attivo”, infiammatorio. La cura medica comprende anzitutto gli antiaggreganti piastrinici, ai quali si possono associare le statine normolipemizzanti, e non solo. In caso di stenosi importante, può essere indicata la rivascolarizzazione, che richiede però un attento esame del quadro clinico generale del paziente, onde ridurre al minimo il rischio operatorio. BETA-BLOCCANTI E ANASTOMOSI A.V. Il microcircolo è formato da arteriole, capillari, venule, anastomosi artero-venose e collettori linfatici. Massima è l’importanza delle anastomosi a.v. i cui sfinteri, all’origine del tratto ar- teriolare, regolano l’afflusso ematico ai capillari. Quando questi sfinteri si chiudono, favoriscono il massimo afflusso di sangue ai capillari: è un evento che si verifica nei muscoli durante l’attività fisica e nell’apparato digerente durante la digestione. Se invece questi sfinteri si aprono, avviene nel microcircolo un corto-circuito del sangue verso il tratto venulare, con conseguente ischemia, parziale o totale, del tessuto locale. Ciò costituisce un fatto positivo per la termoregolazione nella difesa contro il freddo: arrivando una minima quantità di sangue alla cute, viene evitata la dispersione del calore. Ma vi è anche un effetto negativo. I beta-bloccanti – mediante l’apertura di questi sfinteri – inibiscono la vasodilatazione capillare e scatenano o aggravano la crisi asfittica del fenomeno di Raynaud, e inoltre peggiorano la “claudicatio intermittens” nelle arteriopatie stenosanti degli arti inferiori. POLINEUROPATIA SENSITIVOMOTORIA SIMMETRICA DISTALE Propria del diabete mellito tipo 1, inizia dalle estremità degli arti superiori e inferiori, per poi estendersi prossimalmente. I sintomi variano a seconda del tipo di fibre interessate, distinte in fibre “sensitive”, piccole, e “sensitivo-motorie” più grandi. Fibre sensitive: diminuita soglia per stimoli tattili, termici e dolorifici, parestesie e dolori muscolari profondi e distali, anche a riposo 13 (di notte); in fase avanzata compare insensibilità ai traumi. Fibre sensitivo-motorie: cinestesi e pallestesia ridotte, diminuita sensibilità di pressione, iporeflessia tendinea (specie achillea), difettoso coordinamento motorio con instabilità posturale: Romberg positivo. ALCOOL CARCINOGENO Questo effetto interessa soprattutto la mammella e il fegato. L’etanolo stimola la produzione di estrogeni che sono carcinogeni per la mammella, e in particolare per quelle neoplasie mammarie che hanno i recettori per gli estrogeni. L’azione carcinogena sul fegato non è diretta, bensì mediata dalla cirrosi epatica: è questa che predispone alla neoplasia cioè alla cancro-cirrosi. Se viene diagnosticata per tempo, prima della comparsa di metastasi, la guarigione è possibile con un trapianto di fegato. In entrambi i casi l’insorgenza del tumore è favorita dal fumo. 14 ULTIMISSIMA: LA “COLESTEROLODERMIA” Una novità assoluta dell’ultima ora: la colesterolemia senza prelievo di sangue. Questa ricerca, condotta recentemente da ingegneri indiani, si basa sul presupposto che il colesterolo, oltre a essere presente nel sangue, è anche concentrato nella cute. Un piccolo strumento a forma di penna viene semplicemente appoggiato sul dorso della mano. Con una fotocamera digitale si ottiene una foto che viene poi inviata a una banca “on line” e qui elaborata. Trattandosi però di dosare il colesterolo non nel sangue, bensì nella cute, il termine corretto è quello di “colesterolodermia”. L’indagine, ovviamente, è ancora confinata nella stanze di laboratorio: occorrerà un po’ di tempo per l’impiego clinico. a cura di A. Ciammaichella OSTEITE CONDENSANTE DEGLI ILEI Fig. 1 - TC articolazioni sacroiliache: evidente addensamento del solo versante iliaco della sincondrosi, bilateralmente L’osteite condensante degli ilei è una condizione morbosa, di rilevanza radiologica, spesso asintomatica; è un’affezione self-limiting, non associata alla presenza dell’antigene HLA-B27, a insorgenza prevalente in giovani multipare. Radiologicamente l’osteite è riconoscibile per la presenza di un’area triangolare di osteosclerosi densa nelle ossa iliache del bacino all’altezza della porzione inferiore della sincondrosi, risparmiando il versante sacrale e la rima articolare; generalmente questa lesione è bilaterale (fig. 1). La diagnosi radiologica si pone con le sacroileiti di varia natura. L a diagnosi di neoplasia maligna effettuata prima che si presentino i sintomi chiari è una condizione critica che può costituire la base per un miglior successo terapeutico e salvare la vita (quando possibile) al malato. Uno screening adeguato si basa su una serie di elementi di natura clinica, strumentale e di laboratorio. Senza entrare nel dettaglio di procedure che devono essere proposte e/o gestite caso per caso, o secondo protocolli oncologici definiti di area specialistica, attualmente la letteratura medica consente di precisare alcune realtà scientificamente acquisite e costruttivamente applicabili “sul campo”, come di seguito riportato. SEDE DI NEOPLASIA TEST CONSIGLIATO Mammella mammografia, con ecografia (in combinazione, soprattutto in donne che abbiano alta densità del tessuto mammario o rischio elevato); in alcuni casi utile anche la risonanza magnetica. Cervice uterina Pap test e screening del DNA di HPV (i tipi di HPV 16 e 18 sono responsabili di oltre il 70% dei carcinomi della cervice) Colon retto colonscopia (precisando che altri approcci integrati con la colonscopia prevedono la ricerca del sangue occulto nelle feci, la sigmoidoscopia sempre associata con la ricerca del sangue occulto nelle feci e, in taluni casi, la colongrafia con TC, la così detta colonscopia virtuale). Non viene consigliato come screening il clisma opaco. Polmone tomografia computerizzata a basso dosaggio (in soggetti che sono a rischio perché fumatori – più di 30 pacchetti di sigarette l’anno – o perché hanno smesso di fumare nel corso degli ultimi 15 anni); non sembra di grande efficacia sulla riduzione della mortalità la radiografia del torace di tipo standard o l’esame citologico dell’espettorato. Prostata esame digitale per via rettale e PSA (per quanto riguarda il PSA va considerato il rapporto con il PSA-libero e l’andamento nel tempo del valore di PSA, prendendo in esame la velocità di variazione; l’integrazione con ecografia transrettale completa le indagini di identificazione del rischio); l’isoforma [-2]proPSA è una molecola associata al carcinoma prostatico che sembra completare l’accuratezza di uno screening (in associazione al PSA totale e/o al PSA-libero); nel cancro della prostata va posta particolare attenzione alla familiarità (infatti il rischio raddoppia nei soggetti che abbiano avuto un parente di primo grado con neoplasia prostatica) e alla provenienza etnica (negli afro-americani, per esempio, il rischio è più alto rispetto a quanto osservato negli americani di pelle chiara). In questo caso il controllo è opportuno già dopo i 40 anni di età. Ovaio CA-125 con ecografia transvaginale; particolare attenzione va osservata nelle donne con mutazione in BRCA1 e BRCA2, che ne corso della vita hanno un rischio elevatissimo di sviluppare un cancro ovarico. Secondo alcuni è opportuno iniziare il controllo dai 5 ai 10 anni prima dell’età più “precoce” riferita alla prima diagnosi segnalata in famiglia. A TUTTO CAMPO DIAGNOSTICARE PRECOCEMENTE IL CANCRO 15 STILE HOLLywOOD PER COMBATTERE IL CANCRO I 16 l cancro causa negli USA circa 600.000 decessi l’anno e per il 2013 si prevede che un milione e settecentomila nuovi casi saranno diagnosticati. Nell’articolo sulla rivista Time, sul primo numero del mese di aprile 2013, Bill Saporito traccia un panorama di grande interesse sul “nuovo metodo” per affrontare la lotta ai tumori (“The conspiracy to end cancer”, Time 2013; v. 181- n. 12: 22-27). La copertina della rivista rinforza il contenuto dell’articolo che abbraccia gli aspetti più attuali del rapporto tra ricerca di base e implicazioni a vantaggio del paziente. L’esempio di come si affrontano i progetti di studio negli USA è il messaggio fondamentale, magari proponibile anche in Italia. Come il presidente John Kennedy propose alla nazione americana il progetto “Apollo” per andare sulla Luna, così è necessario che si attivi ai nostri giorni un’iniziativa “strategica” per la lotta al cancro. Oggi viviamo in un mondo di sigle e di acronimi. Da ricordare in questo caso è SU2C: Stand Up to Cancer. Un’organizzazione che deriva dall’impegno dell’industria del divertimento. Nel 2008 un gruppo di personalità del mondo cinematografico diede vita a una sorta di “dream team” mettendo a disposizione una consistente quantità di danaro. La filosofia che ha guidato questa iniziativa ricorda, in pratica, quanto fatto per andare sulla Luna: conosciute le leggi fisiche era necessario dar vita a una tecnologia che realizzasse l’impresa. In qualche modo, e fatte le debite osservazioni di prudenza, conosciamo abbastanza bene la “fisica” del cancro. Ora è necessario lavorare per porsi finalità operative all’interno di un progetto integrato. Il salto di qualità è avvenuto proprio per l’attuazione di una nuova forma cooperativa di gruppi di scienziati esperti in vari settori. Il titolo dell’articolo è infatti: The hero scientist who defeats cancer will likely never exist. Immaginare il ricercatore affermato, leader di un settore di nicchia, è ancora possibile ma il suo sforzo finirà inevitabilmente nel confluire verso un’area di vari ricercatori che affrontano problemi analoghi o assimilabili. Il metodo Hollywood sembra aver funzionato non solo per fare film ma anche per impostare un sistema efficace: …attacking cancer the way you make a movie; bring the best and most talented possible people together, fund them generously, oversee their progress rigorously and shoot for big payoffs – on a tight schedule. Copertina del Time http://healthland.time.com/2013/04/01/theconspiracy-to-end-cancer/ MEGLIO AVERE FIGLI qUANDO SI è GIOVANI L’ autismo (definito in passato Sindrome di Kanner) è una malattia che riguarda la funzione cerebrale, con sintomi caratterizzati da una forte diminuzione delle capacità comunicative e dell’integrazione sociale. Il termine fu utilizzato originalmente da Hans Asperger, e in seguito venne impiegato per descrivere una sindrome specifica (autismo precoce infantile) da Leo Kanner. Per la varietà dei sintomi e la difficoltà di definire una forma clinica unitaria si utilizza ai nostri giorni l’espressione Disturbi dello Spettro Autistico (in lingua inglese con le iniziali ASD, Autistic Spectrum Disorders). La gravità nella sintomatologia dell'autismo varia da soggetto a soggetto e, in linea generale, con l’età i sintomi possono migliorare. Se non c’è ritardo mentale o questo presenta aspetti minimi, e se è presente linguaggio verbale che consente un trattamento precoce, gli aspetti prognostici migliorano. È ben noto che l’autismo è associato spesso ad altri disturbi, e come alcuni individui possiedano notevoli capacità di calcolo matematico, una marcata sensibilità per la musica, o un’eccezionale memoria audio-visiva. Sulle cause dell’autismo si è molto dibattuto e il problema è ancora aperto. Un recente lavoro pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry on line richiama l’attenzione su un particolare aspetto del rischio genetico. Secondo quanto riportato nel paper “Autism risk develops across generations: a population based study advancing grandpaternal and paternal age” (Emma M. Fans et al.) diventare genitori in età avanzata fa aumentare il rischio di avere nipoti affetti da autismo. Se alcune muta- zioni possono avere impatto diretto sui figli, si è però visto che alcune forme “silenti” possono viaggiare direttamente verso i nipoti. Nella ricerca si è osservato che gli uomini divenuti padri dopo i cinquant’anni di età hanno un rischio più alto di avere nipoti affetti da autismo, rispetto a coloro che sono diventati padri tra i 20 e i 24 anni di età. Il rischio è aumentato è di 1,79 volte se la figlia è femmina mentre se il figlio è maschio il rischio è leggermente più basso (1,67). Indubbiamente i numeri sono esigui, come fattore di rischio definito, ma l’indagine ha il pregio di dimostrare come i fattori di rischio si accumulino nelle generazioni. Il prestigio degli istituti (lo svedese Karolinska Institutet, il King’s College di Londra e il Queensland Brain Institute australiano) coinvolti nella ricerca rappresenta un valido punto di riferimento e consente di riflettere ancora sul tema della paternità/maternità quando si superano i 50 anni. Ne deriva un’importante implicazione sociale e individuale. Il problema dell’autismo ha una forte complessità patogenetica e sono stati analizzati fattori genetici e ambientali quali cause convergenti verso la manifestazione clinica obiettivabile. Non è chiarito il legame tra i fattori concomitanti ed è possibile che le mutazioni si manifestino nelle cellule spermatiche del maschio. Il concetto emergente da questa indagine riguarda proprio il “salto” del rischio che può estendersi verso le generazioni future nelle quali alcuni individui possono manifestare il disturbo in forma conclamata. a cura della readazione (G.L.) 17 PATOLOGIE CORRELATE ALLE IgG4: UNA NUOVA MALATTIA? 18 IL PUNTO Giuseppe Luzi G razie alla disponibilità di progredite metodiche di laboratorio e all’incremento delle conoscenze biomediche nel corso degli ultimi due decenni sono state identificate diverse nuove forme morbose e per un certo numero di esse è stata definita una migliore comprensione della patogenesi. In questo ambito un particolare interesse ha assunto una serie di patologie correlate all’immunoglobulina IgG4. Prima di analizzare questo interessante aspetto dell’immunopatologia vediamo una serie di punti essenziali per capire innanzi tutto il ruolo delle immunoglobuline. ANTICORPI: STRUTTURA E FUNzIONE Le immunoglobuline hanno struttura glicoproteica in grado di combinarsi con l’antigene specifico, assumendo la funzione operativa di anticorpo. Gli anticorpi circolano nel sangue dove possono neutralizzare antigeni potenzialmen- te patogeni. Essi risultano alquanto eterogenei e sono in grado di combinarsi con i rispettivi determinanti antigenici (policlonalità della risposta naturale). Il modello acquisito sulla natura strutturale dell’anticorpo deriva da numerosi studi di biochimica che hanno permesso di valutare la struttura primaria, secondaria e terziaria della molecola. Trattando l’anticorpo con papaina fu possibile ottenere tre frammenti separati del dimero nativo: una frazione Fc (frammento cristallizzabile) e due frazioni Fab (fragment antigen-binding). Se viene utilizzata la pepsina rimane un frammento dell’anticorpo in grado di precipitare l’antigene e siglato con il termine F(ab’)2. Grazie agli studi di Edelman e Porter si sviluppò il modello della molecola anticorpale a forma di Y (in modo specifico della IgG). Successive indagini hanno consentito di descrivere in modo più definito la composizione catenaria dell’immunoglobulina, e ne è derivato lo schema di riferimento che comprende due catene leggere k e l (frazione costante) e 5 isotipi del- la catene H (m, g, a, d, e). Variazioni minori identificabili nelle sequenze delle catene g e a permettono di differenziare anche 4 sottoclassi g (g1, g2, g3, g4) e 2 sottoclassi a (a1 e a2). In ogni individuo della specie umana sono rappresentate classi e sottoclassi di immunoglobuline. Loci genetici separati consentono la sintesi delle catene H ed L e delle sottoclassi, tuttavia alcuni particolari loci possono essere presenti in più di una forma all’interno della stessa specie (per la variazione all’interno della stessa specie si parla di allotipia). In particolare, nell’uomo, allotipi sono stati identificati per le catene g, a (CH) e per la k (della catena leggera CL). Il peso molecolare di una catena leggera è di circa 23.000, mentre per le catene pesanti le variazioni oscillano tra 50.000 e 70.000 dalton. Cinque domain (domini) di forma globulare sono presenti nelle catene m ed e, mentre g, a e d ne contengono quattro. La percentuale dei carboidrati presenti nelle diverse immunoglobuline è variabile (attorno al 4% per le IgG con un massimo del 16-18% per IgD e IgE). Le cinque classi immunoglobuliniche dell’uomo possono inoltre differire in base al coefficiente di sedimentazione, mobilità elettroforetica e numero delle unitàbase con le quali le molecole vengono assemblate. La distribuzione normale (mg/dL) nel siero dell’individuo adulto varia in ordine decre- scente secondo la sequenza IgG>IgA>IgM>IgE>IgD. Anche l’emivita delle immunoglobuline non è la stessa per le diverse sottoclassi: IgG (giorni 24), IgA (giorni 12), IgM giorni (5-6), IgE e IgD (giorni 2). Nell’ambito delle sottoclassi, l’emivita delle IgG può variare ancora: in particolare le IgG3 non superano i 7 giorni rispetto alle 4 settimane delle altre IgG. Un ulteriore aspetto caratteristico delle immunoglobuline riguarda la distribuzione dei ponti disolfuro tra le catene leggere, tra le catene leggere e pesanti e tra le catene pesanti. La IgA2 presenta una particolare natura del legame in quanto le catene leggere L sono tra loro legate in modo covalente, mentre è di tipo non covalente la relazione L-H. Studiando alcune caratteristiche biologiche (in prima approssimazione un anticorpo è divisibile in due parti: quella -NH terminale che lega l’antigene e l’altra, la -COOH terminale, che risulta depositaria delle proprietà “operative”), le immunoglobuline possono essere ulteriormente distinte dal punto di vista funzionale: le IgG attraversano la placenta (non le altre), la capacità di fissare il complemento (via classica) è massima per le IgM ed è presente sulle IgG tranne che nelle IgG4, le IgG4 e le IgA in particolare (in minor misura le IgD e le IgE) attivano la via alternativa del complemento, la capacità di lisare batteri è presente su IgG, IgA ed IgM ma fortemente espressa dalle IgA, le IgE so- 4 SOTTOCLASSI IgG1/IgG2/IgG3/IgG4 IMMUNOGLOBULINE MAGGIORMENTE PRESENTI NEL SIERO (80%) ATTRAVERSAMENTO DELLA PLACENTA MEDIATO DA RECETTORE (FcRn) FISSAZIONE DEL COMPLEMENTO LEGAME CON MACROFAGI, MONOCITI E PMN FcR (internalizzazione dell’Ag/protezione da batteri e virus) IgG1/IgG2/IgG4 IgG3 19 Proprietà delle sottoclassi IgG1 IgG2 IgG3 IgG4 Catena pesante g1 g2 g3 g4 Peso molecolare (x 1000) 146 146 170 146 Numero aminoacidi in regione cerniera 15 12 62 12 21-24 21-24 7-8 21-24 50 11-15 3-6 1-4 Attivazione del complemento +++ + ++++ no Trasferimento via placentare ++ + ++ ++ Emivita in giorni Percentuale nel siero 20 no immunoglobuline di spiccata attività reaginica (ruolo nelle risposte allergiche anticorpo-mediate). Le IgM costitutivamente precedono la sintesi delle IgG sia filogeneticamente sia nell’ontogenesi della risposta immunitaria propria dei vertebrati: esse sono il fulcro della reazione primaria all’antigene e circolano nel torrente ematico come polimero formato da 5 subunità tetrapeptidiche. La concentrazione di IgG4 varia in modo significativo nella popolazione sana. Il range normale va da meno di 10mg/mL a 0,4 mg/mL, con valori che tendono a crescere nella popolazione adulta e con l’invecchiamento. Le IgG4 si caratterizzano perché in vivo presentano un “half-antibody exchange”, acquisendo due differenti specificità di legame. La sintesi è regolata da citochine tipo Th2. Un ruolo biologico significativo è stato dimostrato in corso di lesioni bollose, nell’eczema atopico, nell’ambito della risposta a diversi parassiti. Le IgG4 e le sindromi correlate. È ben noto nella letteratura come alterazioni di immunoglobuline si accompagnino a diverse forme morbose, sono stati descritti deficit congeniti e acquisiti nella risposta anticorpale e, nella storia naturale delle malattie infettive, ovviamente, l’andamento nella concentrazione di anticorpi è la risposta dell’organismo che “si difende”. D’altro canto uno dei capitoli relativi alle patologie autoimmuni è l’espressione del ruolo svolto da anticorpi in grado di provocare danni progressivi e talora letali nei tessuti attaccati. In una prospettiva storica la definizione di IgG4-Related Disease (malattia correlata a IgG4, in sigla IgG4-RD) risale al 2003. Con questa definizione viene descritto un partico- lare stato fibroinfiammatorio caratterizzato da lesioni, un denso infiltrato linfoplasmocitario ricco di plasmacellule igG4-positive, una fibrosi, e non costantemente un rialzo dei valori delle IgG4. Questa patologia dal 2003 viene riconosciuta come malattia sistemica, potendo colpire quasi tutti gli organi: l’albero biliare, le ghiandole salivari, i tessuti periorbitali, i reni, la mammella, i polmoni, i linfonodi, le meningi, l’aorta, la prostata, la tiroide, il pericardio e la cute. Indipendentemente dal sito della malattia le caratteristiche istopatologiche sono del tutto simili e per tale motivo la “IgG4-Related Disease” viene accostata alla sarcoidosi, un’altra malattia sistemica nella quale le manifestazioni d’organo sono legate dalle medesime caratteristiche istopatologiche. Il salto di “qualità” ai fini definitori si verificò quando manifestazioni extrapancreatiche furono osservate in pazienti con pancreatite autoimmune. La nomenclatura della patologia IgG4 correlata è in continua evoluzione e per praticità è opportuno adottare la definizione, proposta da ricercatori giapponesi, che suggeriscono la terminologia di igG4Related Disease (IgG4-RD). Secondo il paper “Comprehensive Diagnostic Criteria for IgG4RD, 2011” per una diagnosi di IgG4-RD sono necessari i seguenti parametri: 1. presenza di massa o tumefazione in un singolo o più organi; 2. elevate concentrazioni sieriche di IgG4 (> 135 mg/dL); 3. marcata infiltrazione di linfociti e plasmacellule IgG4 positive e fibrosi evidente all’esame istologico (il rapporto tra IgG4+/IgG+ > 50%). In verità la letteratura sul ruolo delle IgG4 in diverse patologie ha generato qualche problema, soprattutto nell’approccio patogenetico alle diverse forme morbose. Il fatto stesso che siano stati proposti diversi nomi per descrivere questa patologia mostra una qualche incertezza sia nell’ambito della descrizione nosologica sia nella comprensione del ruolo patogenetico. Per esempio, leggiamo tutte le definizioni acquisite dalla letteratura: ❑ IgG4-related disease ❑ IgG4-related systemic disease ❑ IgG4-syndrome ❑ IgG4-associated disease ❑ IgG4-related sclerosing disease ❑ IgG4-related systemic sclerosing disease ❑ IgG4-related autoimmune disease ❑ IgG4-positive multiorgan lymphoproliferative syndrome ❑ Hyper-IgG4 disease ❑ Systemic IgG4-related plasmacytic syndrome ❑ Systemic IgG4-related sclerosing syndrome ❑ Multifocal fibrosclerosis ❑ Multifocal idiopathic fibrosclerosis Come regolarci? Un buon ancoraggio lo fornisce il lavoro di Stone. In questo paper del 2012 è effettuata una disamina a tutto campo con un adeguato aggiornamento della letteratura. Per esempio, gli autori riportano una serie di sindromi che, prima separate, possono confluire nel contesto della IgG4-RD: • syndrome di Mikulicz (a carico delle ghiandole salivari e lascrimali); • tumore di Kuttner (a carico delle ghiandole sottomandibolari); • tiroidite di Riedel; • eosinophilic angiocentric fibrosis; • fibrosi multifocale (a carico di diversi distretti anatomici, tra i quali il retroperitoneo e il mediastino); • pseudotumore infiammatorio; • fibrosi del mediastino; • malattia di Ormond (fibrosi retroperitoneale); • periarteriti e periaortite; • aneurisma infiammatorio dell’aorta; • nefrite idiopatica ipocomplementemica tubulo interstiziale con estesi depositi tubulointerstiziali. Per comprendere la patogenesi e tentare un inquadramento della/e IgG4-RD dobbiamo ricordare alcune caratteristiche morfofunzionali delle IgG4. Le IgG4 sono prodotte, come si verifica per tutti gli anticorpi, dalle plasmacellule. A causa della marcata instabilità a carico dei legami disolfuro fra le due catene pesanti, alcune molecole di IgG4 formano legami disolfuro intracatena nella così detta regione cerniera, dando luogo a interazioni non covalenti. Si osserva poi una fase intermedia o transitoria che precede la formazione di molecole di IgG4 asimmetricamente strutturate, con lo scambio del tratto Fab. Pertanto si formano IgG4 bispecifiche grazie allo scambio di mezza molecola proveniente da altre IgG4. Ne consegue che le IgG4 con due differenti siti combinatori per l’antigene si comportano come un anticorpo monovalente. Il risultato netto è che il “Fab-arm exchange” fa perdere la capacità di cross-legare l’antigene e formare immunocomplessi. La patologia di “riferimento” nella storia recente delle forme IG4-RD è la pancreatite cronica, malattia infiammatoria del pancreas a carattere progressivo con danno non reversibile a carico del tessuto pancreatico esocrino e insufficienza endocrina. In particolare dobbiamo considerare la pancreatite cronica autoimmune, che presenta aspetti clinici distinti, con caratteri sierologici, istologici e di imaging ben definiti e inserita, oggi, nel gruppo delle patologie da iperIgG4. La pancreatite autoimmune è caratterizzata clinicamente da ittero (con o senza massa pancreatica), istologicamente da infiltrato linfoplasmocitario e fibrosi, terapeuticamente da risposta favorevole al trattamento con steroidi. Nell’ambito della pancreatite autoimmune si distingue un tipo 1 (pancreatite sclerosante linfoplasmocitaria, istologicamente caratterizzata da infiltrato di plasmacellule e linfociti, fibrosi, vascolite e presenza di numerose plasmacellule IgG4 positive) e un tipo 2 (pancreatite idiopatica duttocentrica 21 22 caratterizzata da neutrofili intraduttali e intraepiteliali, con plasmacellule IgG4 positive assenti o scarsamente rappresentate). Alla luce degli studi effettuati il tipo 1 può considerarsi una manifestazione pancreatica di una malattia sistemica correlata alle IgG4, caratterizzata da elevati livelli sierici di IgG4 e lesioni extrapancreatiche (colangite sclerosante, scialoadenite sclerosante, fibrosi retroperitoneale, nefrite interstiziale). Ha una maggiore prevalenza in regioni asiatiche, si presenta con ittero ostruttivo e colpisce soggetti maschi in età avanzata. Le manifestazioni pancreatiche ed extrapancreatiche rispondono bene agli steroidi. Il passaggio “concettuale” dalla patologia d’organo (pancreatite autoimmune) alla variante sistemica ha portato all’accumularsi di numerose osservazioni che solo in parte, malgrado l’autorevolezza dei report, rendono del tutto chiara la relazione tra IgG4 e patologia correlata. Pur con questa limitazione e nell’ambito del dibattito in corso sul tema alcune considerazioni acquisite debbono essere tenute presenti sia nel profilo della ricerca sia per le implicazioni cliniche pratiche che ne derivano. La IgG4-RD presenta varie manifestazioni cliniche come la pancreatite sclerosante, la colangite sclerosante, la nefrite tubulointerstiziale, la prostatite, la pneumonite interstiziale, l’allargamento delle ghiandole salivari. In passato queste entità cliniche erano considerate del tutto scollegate. Il comun denominatore che associa queste manifestazioni è l’elevato livello delle IgG4, l’infiltrazione dei tessuti con plasmacellule IgG4 positive, l’evoluzione fibrotica sclerosante. Un esempio è l’ingrossamento delle ghiandole salivari, con incremento delle IgG4 sieriche e plasmacellule IgG4 positive presenti negli infiltrati delle ghiandole salivari, quadro patologico prima identificato come malattia di Mikulicz o tumore di Kuttner (sialoadenite sclerosante) e per lungo tempo valutato come sottogruppo della sindrome di Sjogren Osservazioni pratiche. Quale riferimento deve avere il medico per sospettare e/o inquadrare, almeno in prima approssimazione, questa “nuova” malattia, che poi tanto nuova non è? I punti essenziali sono di seguito riportati da una sintesi della letteratura: IgG4-RD riguarda soprattutto uomini di mezza età e include una serie di alterazioni in diversi organi e apparati; molte manifestazioni cliniche erano in passato entità cliniche non correlate. Il prototipo della patologia è la pancreatite autoimmune di tipo 1. La malattia di Mikulicz, la sialoadenite sclerosante, lo pseudotumore infiammatorio periorbitale e la dacrioadenite sclerosante fanno parte delle patologie associate. Inserire nelle condizioni IgG4-RD i seguenti quadri: • nefrite tubulo interstiziale; • aortite e periaortite sclerosante; • fibrosi retroperitoneale; • tiroidite di Riedel; • pneumonite interstiziale e pseudotumori polmonari infiammatori. I punti base da tenere presente sono: infiltrazione plasmacellulare IgG4-positiva, tessuti con carattere sclerotico, flebite obliterante e incremento nella maggior parte dei casi di IgG4 nel siero (dato non costante). Non è ben chiaro quale meccanismo patogenetico sia alla base delle manifestazioni cliniche e consenta di inquadrare l’aspetto sistemico del processo morboso e non è ben definito il ruolo svolto dalle stesse IgG4. Tuttavia i risultati terapeutici non sono sfavorevoli. Di solito si inizia il trattamento con glicocorticoidi (prednisone al dosaggio di 40 mg/die) per un paio di mesi. I risultati, oltre al beneficio clinico prevedono una riduzione delle masse e un decremento del volume dell’organo colpito, con miglioramento delle funzioni e spesso con un ritorno dei valori delle IgG4 nella norma. Se il trattamento con gli steroidi non va a buon fine la letteratura prevede azatioprina o micofenolato mofetile. In forme resistenti si ricorre al rituximab. La storia naturale non è facilmente riassumibile: talora il miglioramento clinico può essere spontaneo, talora si osservano ricadute al decremento della terapia con steroidi. Il maggior rischio di evo- Bibliografia • • • • • Stone JH, zen y, Deshpande V IgG4-related disease. N Engl J Med 2012; 366:539. Kamisawa T, Funata N, Hayashi y, et al. A new clinicopathological entity of IgG4-related autoimmune disease. J Gastroenterol 2003; 38:982. Khosroshahi A, Stone JH A clinical overview of IgG4-related systemic disease. Curr Opin Rheumatol 2011; 23:57. Okazaki K, Uchida K, Koyabu M, et al. Recent advances in the concept and diagnosis of autoimmune pancreatitis and IgG4-related disease. J Gastroenterol 2011; 46:277. Stone JH, Khosroshahi A, Deshpande V, et al. Recommendations for the nomenclature of IgG4related disease and its individual organ system manifestations. Arthritis Rheum 2012; 64:3061. • • • • • Umehara H, Okazaki K, Masaki y, et al. A novel clinical entity, IgG4-related disease (IgG4RD): general concept and details. Mod Rheumatol 2012; 22:1. Cheuk w, Chan JK IgG4-related sclerosing disease: a critical appraisal of an evolving clinicopathologic entity. Adv Anat Pathol 2010; 17:303. Deheragoda MG, Church NI, Rodriguez-Justo M, et al. The use of immunoglobulin g4 immunostaining in diagnosing pancreatic and extrapancreatic involvement in autoimmune pancreatitis. Clin Gastroenterol Hepatol 2007; 5:1229. Okazaki K, Chiba T Autoimmune related pancreatitis. Gut 2002; 51:1. Smyrk TC. Pathological features of IgG4-related sclerosing 23 Presso la BIOS S.p.A. di Roma, in via Chelini 39, il prof. Giuseppe Luzi svolge attività di consulenza specialistica in qualità di immunologo clinico. Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641 Una nota malinconica [Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi] Per chi è molto solo, il rumore è già una consolazione. nessUna falsa modestia [Joseph Rochefort, La guerra dei codici - Ed. Garzanti, 2002] Per essere un crittoanalista non è necessario essere pazzi, ma aiuta. siamo seri 24 SELECTIO [Arthur Schopenhauer, L’arte di essere felici - Ed. Adelphi, 2002[ Ciò che nei nostri progetti di vita trascuriamo più spesso, quasi di necessità, sono le trasformazioni che il tempo produce in noi stessi; ne deriva che molto spesso miriamo a cose che, quando alla fine le raggiungiamo, non ci si adattano più, oppure passiamo gli anni con i lavori preparatori a un’opera, i quali, senza che ce ne accorgiamo, ci sottraggono nel contempo le forze per l’opera in quanto tale. Un po’ di sano distacco [Legge di Murphy sulla termodinamica] Sotto pressione, le cose peggiorano. senza dUbbio [Oscar Wilde, il ritratto di Dorian Gray] La giovinezza sorride senza motivo. È una delle sue principali attrattive. ben detto [Karl Popper, La lezione di questo secolo - Ed. Marsilio, 1992] Dobbiamo renderci conto che una grande quantità di speranze culturali è stata distrutta dalla televisione. IL SODIO: Nè TROPPO, Nè TROPPO POCO I l sodio è il catione principale presente nel fluido extracellulare. È, tra gli elettroliti, quello che ha la concentrazione maggiore. Il ruolo del sodio è importante nei parametri che regolano l’equilibrio acido-base e nella funzione neuromuscolare. Vari meccanismi ne modulano la concentrazione nel sangue: ormoni che incrementano (peptidi natruretici) o fanno diminuire la perdita di sodio con le urine (aldosterone), l’ormone antidiuretico che previene la perdita di acqua. Un elemento fondamentale di regolazione del sodio è la quantità di acqua presente, che determina il senso della sete: in pratica quando i livelli di sodio crescono nel sangue si comincia ad avvertire la necessità di bere; bevendo ne ripristiniamo i valori necessari all’equilibrio dell’organismo. I reni svolgono in tal senso un ruolo fondamentale: se nel volume dei liquidi corporei c’è un aumento della quantità d’acqua, la concentrazione del sodio scende e i reni reagi- scono eliminando acqua per ripristinare l’equilibrio. Gli ioni di sodio svolgono un ruolo importante in numerosi processi fisiologici. Cellule eccitabili, ad esempio, si basano sull’azione del Na+ per attivarsi con una depolarizzazione della membrana cellulare: questo fenomeno, detto potenziale d’azione, consiste in rapide variazioni nel potenziale elettrico di membrana che cambia, dal normale valore negativo verso un valore positivo, e termina con un ripristino del potenziale negativo. Il potenziale d’azione nelle cellule del sistema nervoso permette, ad esempio, attraverso un processo di depolarizzazione/ripolarizzazione, di spostare il segnale dalla sua origine alla cellula effettrice. In sintesi, il significato clinico del sodio nel nostro organismo si fonda su questi punti fondamentali: • il sodio è presente negli spazi extracellulari; • il sodio è il principale soluto osmoticamente attivo; LEGGERE LE ANALISI Francesco Leone 25 • se il contenuto del sodio si riduce ne consegue un’ipotensione arteriosa; • un aumento del contenuto del sodio nell’organismo causa un incremento del volume extracellulare, fino alla genesi dell’edema, condizione clinicamente pericolosissima. In termini fisiologici la sodiemia o, meglio, la natriemia (sodio nel circolo ematico) non identifica automaticamente la quantità di sodio presente nell’organismo, ma si può considerare più propriamente un indicatore dello stato di idratazione. Nell’organismo è essenziale mantenere entro limiti fisiologici i valori della natriemia. Il range di normalità è abbastanza ristretto: 135 mEq/L145 mEq/L. IPERNATRIEMIA 26 In caso di ipernatriemia (concentrazione sodio > 145 mEq/L) è necessario correggere la concentrazione plasmatica somministrando soluzioni di sodio cloruro ipo/isotoniche o sottoponendo il paziente a dialisi (se la concentrazione di sodio è particolarmente elevata, al di sopra dei 155-180 mEq/L). Il sodio è un importante regolatore dell’osmolarità del plasma e del liquido extracellulare. Quando la concentrazione di sodio supera il range di normalità (eccesso di sodio o ipernatriemia) si assiste a un aumento più o meno significativo del volume di sangue e liquido interstiziale, ponendo le basi per creare edema e ipertensione. Contemporaneamente, si riduce l’acqua intracellulare e la cellula “raggrinzisce” (disidratazione intracellulare). L’ipernatriemia ha un elevato rischio di mortalità sia nella forma acuta sia in quella cronica. La disidratazione dei tessuti che induce l’ipernatriemia provoca una redistribuzione dei liquidi corporei a causa dell’ipertonicità degli stessi, generando gravi effetti tossici (in modo particolare a carico del sistema nervoso centrale e cardiovascolare). Le cause sono legate a un ridotto introito d’acqua, a una perdita pura di acqua o a perdita di acqua prevalente rispetto alla perdita di sodio. Cli- nicamente si descrivono: convulsioni, confusione mentale, incremento dell’eccitabilità neuromuscolare, stupore, aumento della frequenza cardiaca, decremento del volume vascolare, fino all’instaurarsi di coma con exitus. L’ipernatriemia è un reperto laboratoristico piuttosto frequente nella pratica clinica, anche se, fortunatamente, nella maggior parte dei casi non si osservano livelli di ipersodiemia molto alti. Questi ultimi, infatti, come già detto, possono essere letali. IPONATRIEMIA È la riduzione della concentrazione di sodio nel sangue al disotto della norma. Si possono differenziare iposodiemie ipo- normo- o iper-volemiche. Le iposodiemie ipovolemiche si manifestano quando la perdita di sodio, di solito dal tratto gastrointestinale o renale (diuretici, morbo di Addison), supera la perdita di acqua. Le manifestazioni cliniche riflettono lo stato di ipovolemia. L’iposodiemia normovolemica si verifica nella sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (ADH o vasopressina), nella quale l’eccessivo riassorbimento di acqua è causa di iposodiemia da diluizione. Le cause più comuni sono: produzione ectopica di ADH da parte di neoplasie, iperproduzione endogena da pneumopatie, malattie del sistema nervoso centrale, condizioni di stress. L’iposodiemia ipervolemica si manifesta quando l’aumento dell’acqua corporea totale supera l’incremento del sodio. Si riscontra nello scompenso cardiaco congestizio grave, nelle cirrosi e nella sindrome nefrosica. Si può avere anche una falsa iposodiemia in corso di iperlipidemia. I sintomi, che compaiono quando la sodiemia scende sotto livelli critici, sono soprattutto neurologici: stato confusionale, sonnolenza fino al coma, crampi, convulsioni. La terapia è diversa a seconda delle diverse cause e, comunque, nei casi gravi il paziente va posto in osservazione ospedaliera. Iponatriemia è, nel comune linguaggio medico, il termine che indica che la sodiemia infe- riore a 135 mEq/L. In base alla gravità si distinguono: • iponatriemia lieve (sodiemia compresa tra 131 e 134 mEq/L); • iponatriemia moderata (sodiemia compresa tra 126 e 134 mEq/L); • iponatriemia grave (sodiemia <126 mEq/L). L’iponatriemia è una condizione di eccessiva quantità di acqua rispetto al quantitativo totale di sodio contenuto nell’organismo. È importante ricordare le modalità con le quali si arriva all’iponatriemia: • forme da perdita di sodio primitiva (ridotto apporto, incremento delle perdite renali, insufficienza renale con poliuria, perdite gastrointestinali con vomito e diarrea, perdite transcutanee con introduzione d’acqua); • forme da ritenzione d’acqua (eccesso di li- quidi introdotti, scompenso cardiaco, cirrosi epatica, ridotta escrezione d’acqua per esempio correlata all’ormone antidiuretico, stati di iperglicemia, ecc.). Un aspetto importante dell’iponatriemia riguarda le sue relazioni con l’attività sportiva. Infatti l’iponatriemia è all’origine di numerosi collassi collegati all’attività sportiva di impegno elevato, anche se non necessariamente “particolarmente” elevato. Sono imputati i prodotti che vengono assunti da chi pratica l’attività sportiva, prodotti che hanno talora poco sodio e che servono, in prima approssimazione, a contenere le perdite di sudore. In generale le forme più importanti sono associate a sforzi fisici di lunga durata. 27 Struttura di un cristallo di sale LA SCLERODERMIA: DALLA DESCRIzIONE CLINICA DI TEODORO VON JURGENSEN, ALL’ARTE DI PAUL KLEE 28 IMPARARE DALLA CLINICA Lelio R. Zorzin e Silvana Francipane L a sclerodermia, già segnalata nel 1888 nel Manuale di Patologia Speciale Medica del dr. Teodoro von Jurgensen, come “nevrosi diffusa senza nota base anatomica”, trova successivamente un’accurata descrizione clinica da parte del medico napoletano Carlo Curzio. Possiamo attualmente definire la sclerodermia un disordine generalizzato del tessuto connettivo, con riferimento sia alla cute sia agli organi interni; si associa a specifici anticorpi (anticentromero e anto Scl-70). È una caratteristica clinica di questa malattia l’ispessirsi del tegumento delle mani, con secondaria rigidità delle dita, dei piedi, della faccia e del tronco; coesiste il fenomeno di Raynaud e l’interessamento degli organi interni è irreversibile. Una recente esposizione a Roma di opere di Paul Klee ha stimolato una riflessione sul parallelismo tra la sclerodermia di questo famoso pittore e la sua produzione artistica, in altre parole la possibile correlazione tra l’infermità e la creatività pittorica dell’ultimo periodo della sua vita (fig. 1). Klee, riconosciuto affetto da sclerodermia nel 1935, si spegneva cinque anni più tardi a Berna, dove si era rifugiato per motivi politici; la sua arte era considerata “degenerata” Fig. 1 - Negli ultimi anni di vita Paul Klee, consapevole della progressiva trasformazione del suo aspetto esteriore, sembra trasfondere nei soggetti dipinti quella plasticità lineare che ormai sta compromettendo il suo corpo. dal nazismo. La sclerodermia digitale e il volto amimico dell’artista hanno senz’altro inciso negativamente sulla sua vita di relazione, ma anche sulla sua pittura; secondo Ricardo Cenci la “sua iconografia perde dinamismo e si popola di forme inorganiche e scarnificate; il suo figurativo non fa più riferimento sia alla Natura con i suoi credibili contrasti di luce e ombra, sia ad una geometrica rappresentazione di forme e alternanza di colori”. MACCHIE PERICOLOSE: PREVENIRE IL MELANOMA Giuseppe Luzi La cute è formata da: • EPIDERMIDE (derivazione ectodermica); • DERMA (derivazione mesodermica); • IPODERMA o tessuto adiposo sottocutaneo (derivazione mesodermica). L’epidermide è formata da un epitelio di rivestimento pavimentoso, pluristratificato, corneificato di origine ectodermica. In una sezione che descrive gli strati da quello più esterno fino al confine con il derma, possiamo distinguere 5 strati (corneo, lucido, granuloso, spinoso, basale). Lo strato basale è quello germinativo, dal quale derivano le cellule che evolveranno verso lo strato corneo. Interposti allo strato basale troviamo i melanociti, cellule dendritiche di origine ectodermica, evidenziabili alla colorazione argentica, presenti con un rapporto di 1:4-1:10 rispetto ai cheratinociti. Essi producono melanina. I melanociti derivano dalla cresta neurale (melanoblasti migrati nello strato basale dell’epidermide durante il periodo embrionario). Queste cellule hanno un aspetto tondeggiante e sono dotate di alcuni prolungamenti con i quali formano una sorta di reticolo che si estende alla giunzione dermo-epidermica. Grazie ai numerosi processi citoplasmatici, distribuiscono la melanina nello strato dei cheratinociti. Il pigmento di melanina si trova in granuli citoplasmatici dei melanociti che vengono definiti melanosomi. Sono i melanosomi a definire il colore della pelle. Il temibile tumore maligno che ha origine dai melanociti è il melanoma (fig. 1). Ha un incidenza di circa 7 casi per 100.000 abitanti. Si può sviluppare dai melanociti che si trovano nella cute e nelle mucose, ma anche dai melanociti presenti nei nevi e, in rarissimi casi, anche con insorgenza da sedi extracutanee (per esempio, occhio o meningi). Caratterizzano, classicamente, il melanoma quattro distinte varietà: Fig. 1 - Esempio di melanoma a diffusione superficiale (gentile concessione del dr. Massimo Alotto) 29 1. 2. 3. 4. 30 melanoma a diffusione superficiale; lentigo maligna melanoma; melanoma lentigginoso acrale; melanoma nodulare. L’andamento iniziale delle prime lesioni ha una morfologia piana, a crescita orizzontale sulla cute. Nel corso del tempo si osserva un graduale andamento nodulare e si parla di melanoma piano-cupoliforme. La variante propriamente nota come melanoma nodulare ha, sin dal suo primo manifestarsi, la caratteristica del nodulo e tende a svilupparsi in profondità. Questa distinzione non ha solo una valenza didattica, ma esprime una precisa implicazione clinica. Infatti la prognosi della neoplasia correla significativamente con lo spessore che assume il melanoma durante la crescita. Molti studi, epidemiologici, clinici, di sperimentazione sono stati effettuati su questo tipo di tumore e i dati statistici tendono a dimostrare un’incidenza in costante crescita. Sono colpiti prevalentemente individui tra i 30 e i 60 anni. Il melanoma cutaneo è, in particolare, più frequente nei soggetti di ceppo europeo (caucasici) rispetto ad altre etnie. I tassi di incidenza più elevati si osservano nelle aree molto soleggiate e in popolazioni di ceppo nordeuropeo, con la pelle particolarmente chiara. Nelle regioni italiane settentrionali Fig. 2 - Nevo melanocitico congenito (gentile concessione del dr. Massimo Alotto) la mortalità per melanoma cutaneo è – per entrambi i sessi – circa il doppio di quella registrata nelle regioni meridionali. Il melanoma cutaneo ha una prognosi strettamente dipendente dallo spessore raggiunto nello strato cutaneo al momento della sua diagnosi. Se il melanoma ha solo coinvolto gli strati più superficiali la sua asportazione chirurgica significa guarigione. Lo stesso non si può dire se il melanoma ha aggredito gli strati più profondi, avendo avuto tempo per accrescersi ed essendo stato diagnosticato tardi. Una prima fase nell’approccio medico al controllo del melanoma si è basata sull’identificazione delle lesioni precoci. Ma si è visto che in termini strategici ha più valore una prevenzione di tipo primario, mirata a identificare le persone con significativi fattore di rischio. In particolare evidenza è la familiarità: una neoplasia si definisce familiare quando nella stessa famiglia vi sono almeno due membri parenti di primo grado affetti dalla stessa neoplasia. Anche se il melanoma colpisce prevalentemente le classi dell’età matura (picco di incidenza tra 60-70 anni), è importante attivare la prevenzione già in età giovanile: è significativa la correlazione tra esposizione in forma intensa e breve all’irraggiamento solare (con comparsa di ustioni) in età infantile e/o giovanile e la comparsa di melanoma in età adulta. Dal registro dei tumori nel Veneto si evince che il 35% dei casi di melanoma viene diagnosticato entro i 50 anni d’età e che è il 3° tipo di tumore nei maschi e il 2° nelle femmine. Quali sono i parametri del rischio per melanoma? Si possono riassumere facilmente: 1) cute chiara, parenti di primo grado con il melanoma; 2) nevi cutanei a rischio di essere o diventare un melanoma; 3) elevato numero di nevi (non esiste sostanzialmente chi è del tutto privo di nevi); particolare attenzione ai nevi di forma irregolare e con dimensioni superiori ai 5 mm; 4) presenza di uno o più nevi congeniti di dimensioni superiori ai 6 cm. (fig. 2). Ma cosa dobbiamo intendere per nevi: i nevi o nei, termine usato nel linguaggio comune, sono disembrioplasie, cioè malformazioni cutanee di origine embrionale, dovute ad anomalie di sviluppo di un qualsiasi componente della cute. Si dicono congenite se si presentano precocemente o acquisite se si presentano durante l’infanzia o in età adulta. Di particolare interesse sono i nevi melanocitici, derivanti dalla proliferazione di melanociti. L’importanza dei nevi melanocitici riguarda la diagnosi differenziale con il melanoma. Si avvicina l’estate e già in primavera, in alcune aree dell’Italia, comincia l’esposizione al sole. Sui giornali compaiono le solite “raccomandazioni” che, pur essendo abbastanza accu- rate, spesso mancano di semplificazione. Con poche informazioni si può fare veramente molto. Esiste una regola che suggerisca di valutare il rischio, per esempio con la stessa autovalutazione? Si, e si ricorda facilmente perché utilizza le prime cinque lettere dell alfabeto, A B C D E: A → ASIMMETRIA forma irregolare; B → BORDI irregolari, frastagliati, non ben definiti; C → COLORAZIONE disomogenea, a macchie, dal grigio-rosa al marrone-nero; D →DIAMETRO ≥ 5 mm; E →EVOLUZIONE cambiamento nella dimensione, forma, colore, spessore, superficie. Nel dubbio andare subito dal dermatologo! 31 Presso la BIOS S.p.A. di Roma in via Chelini 39, è attivo un servizio di dermatologia clinica. Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641 32 BIOS NOVITÀ PER IL MEDICO IL TEST DEL D-DIMERO NELLA DIAGNOSI DI ESCLUSIONE DELLA TROMBOEMBOLIA VENOSA Barbara De Paola Strumento diagnostico per il dosaggio del D-dimero I l D-dimero plasmatico è un prodotto di degradazione della fibrina stabilizzata. La sua presenza nel sangue dipende dall’attivazione della coagulazione con formazione di fibrina, stabilizzazione della fibrina per azione del fattore XIII e successiva proteolisi da parte del sistema fibrinolitico. Il D-dimero è presente in basse concentrazioni nel sangue di soggetti anziani, ma la sua concentrazione aumenta in tutte le circostanze associate o caratterizzate da fibrino-formazione e fibrinolisi. I principali determinanti della sua concentrazione plasmatica sono dunque l’entità della formazione di fibrina stabilizzata, l’entità dell’attivazione del sistema fibrinolitico e infine la clearance dei prodotti di degradazione della fibrina. Il principale impiego clinico del dosaggio del D-dimero plasmatico è rappresentato dalla diagnostica di esclusione di trombosi venosa profonda o embolia polmonare (tromboembolia venosa, TEV). Si tratta di patologie potenzialmente fatali e frequenti sia nei pazienti ambulatoriali sia in quelli ospedalizzati. La trombosi venosa profonda (TVP) consiste in un’occlusione completa o parziale di un tratto del sistema venoso profondo, più spesso quello degli arti inferiori. L’incidenza annua di nuovi casi nella popolazione è stimata tra 1 e 2 casi ogni 1.000 abitanti. Superata la fase acuta compare frequentemente la cosiddetta “sindrome post-flebitica”, una condizione altamente invalidante caratterizzata da dolore, edema cronico, distrofia e discromia cutanea e dalla possibile insorgenza di ulcere trofiche croniche. L’embolia polmonare è una patologia molto frequente e molto spesso fatale. La sua incidenza si aggira intorno a 100 nuovi casi per 100.000 abitanti ed è la causa principale di morte nel 10% dei decessi intra-ospedalieri. Si stima che la mortalità per embolia polmonare raggiunga il 30% qualora non sia adeguatamente trattata. Purtroppo i sintomi e segni clinici di queste patologie non sono specifici per cui il sospetto clinico va sempre confermato da risultati di test diagnostici oggettivi. Sono attualmente disponibili diversi metodi per il dosaggio del D-dimero plasmatico, tutti basati sull’impiego di anticorpi monoclonali che riconoscono specifici epitopi della molecola. La difficoltà di standardizzare metodi diversi purtroppo non consente di comparare risultati ottenuti con metodi diversi. Per questo motivo è stato necessario individuare livelli decisionali per ogni sistema diagnostico che permettano di identificare pazienti con alta probabilità di essere indenni da patologia trombotica. I metodi per il dosaggio del D-dimero plasmatico applicati alla diagnostica delle tromboembolie venose hanno un’elevata sensibilità ma purtroppo una bassa specificità e dunque so- no utilizzati soprattutto per l’elevato valore predittivo negativo ossia servono per escludere (in caso di risultato normale), ma non per confermare (in caso di risultato alterato) una diagnosi di TEV. È stato dimostrato che l’accuratezza del test è maggiore se il paziente viene esaminato precocemente rispetto all’insorgenza dei sintomi e se non è stato sottoposto a trattamenti anticoagulanti, che inducono una riduzione del livello del D-dimero. Va inoltre ricordato che il livello di D-dimero può essere aumentato in numerose condizioni fisiologiche e patologiche: nell’anziano, in età neonatale, in gravidanza, in corso di infezioni, traumi o ustioni, nel paziente con neoplasie, in presenza di cardiopatia ischemica, di malattie epatiche, renali o malattie infiammatorie croniche. Nel nostro laboratorio il dosaggio del D-dimero plasmatico viene eseguito utilizzando il metodo VIDAS (bioMerieux) semi-automatico che fornisce risultati in tempi molto rapidi. Si tratta del metodo che presenta la più alta sensibilità e valore predittivo negativo tra tutti quelli che attualmente sono disponibili in commercio. Presso la BIOS S.p.A. di Roma in via Chelini 39, si eseguono quotidianamente esami di laboratorio di routine e specialistici. Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641 33 34 FROM BENCH TO BEDSIDE I BENEFICI CLINICI DELLA RICERCA: SELEzIONE DALLA LETTERATURA SCIENTIFICA MONITO DA “SAVE THE CHILDREN”: “ALTOLÀ AL LATTE ARTIFICIALE, CON L’ALLATTAMENTO AL SENO 95 BAMBINI IN PIù SALVATI OGNI ORA” http://www.savethechildren.org.uk/news-andcomment/news/2013-02/breastfeeding-could-save830000-lives-year Report “Superfood for babies”: http://www.savethechildren.org.uk/sites/default/files/images/Superfood_for_Babies_UK_version.pdf” “Superfood for babies” (“Supercibo per bambini”) è il nuovo rapporto presentato dall’Organizzazione umanitaria “Save the Children” che segnala le discutibili politiche di promozione dei produttori di latte artificiale sostitutivo nei Paesi in via di sviluppo o emergenti. Ogni ora potrebbero essere salvati 95 bambini in più, 830.000 in un anno, se le mamme li allattassero al seno immediatamente dopo la nascita. Se i neonati ricevessero entro la prima ora di vita il colostro – il primissimo latte materno – si attiverebbe infatti rapidamente il sistema immunitario, rendendoli tre volte più capaci di sopravvivere alle condizioni avverse. Inoltre, se l’allattamento esclusivo al seno dei neonati nei Paesi meno sviluppati proseguisse anche nei 6 mesi successivi, li renderebbe 15 volte più forti contro il rischio di morire per malattie letali frequenti (in alcuni Paesi) come la polmonite o la diarrea. “Nonostante il valore e la gratuità dell’allattamento esclusivo al seno siano ben noti nei Paesi meno sviluppati, esistono e persistono vere e proprie barriere che ne ostacolano l’adozione”, ha dichiarato il dr. Valerio Neri, dirigente di “Save the Children Italia”. Secondo la Onlus i progressi fatti a livello globale contro la mortalità infantile sarebbero ancora più rapidi se le mamme fossero adeguatamente incoraggiate e sostenute nell’allatta- Foto da www.savethechildren.it mento naturale, mentre invece le statistiche indicano che la diffusione di questa pratica fondamentale non solo è in stallo, ma nell’Asia orientale e in alcuni tra i più popolosi Paesi africani come Etiopia e Nigeria, sta addirittura regredendo. Una prima barriera è costituita dalla scarsa educazione e responsabilizzazione delle madri, spesso legata a contesti culturali nei quali non sono loro a decidere liberamente su come allattare i neonati e dove, in alcuni casi, nella prima ora di vita, al posto del colostro viene somministrato caffè, burro di karitè o cenere. Una seconda barriera è rappresentata dalla grave carenza di ostetriche o operatori sanitari che possano informare e sostenere le neomamme verso l’allattamento naturale. Un terzo ostacolo è posto dall’inadeguatezza, o nel caso di molti Paesi in via di sviluppo, dalla totale assenza di una legislazione di tutela economica delle mamme lavoratrici. Tra le barriere che attivamente penalizzano la diffusione dell’allattamento naturale il Rapporto segnala le discutibili politiche di marketing per alcuni dei produttori di latte artificiale che, violando le norme del Codice internazionale dell’OMS, possono far credere alle mamme che quello sia il modo migliore per allattare i propri figli, anche se non possono permetterselo economicamente. D’altra parte, il Codice internazionale è stato recepito completamente solo da 37 Paesi, altri 47 lo hanno recepito in buona parte, ma i restanti Paesi hanno accolto solo una minima parte delle raccomandazioni o ne stanno ancora valutando l’attuazione legislativa. “Superfood for babies” mette in luce, in particolare, quello che avviene nei mercati emergenti, come quello asiatico, particolarmente attraente per l’industria del latte sostitutivo artificiale, dove la diminuzione del numero di madri che ha scelto l’allattamento naturale specificatamente nell’Asia Orientale e Pacifico, è sceso dal 45% del 2006 al 29% del 2012. Le ricerche condotte da “Save the Children” in Asia hanno raccolto testimonianze dirette di mamme sulla violazione del Codice internazionale da parte di alcune aziende produttrici come nel caso della Cina, dove il 40% delle intervistate ha dichiarato di aver ricevuto campioni di latte artificiale direttamente dai rappresentanti delle aziende stesse (per il 60%) o dagli operatori sanitari (per il 30%). “Save the Children” chiede oggi che tutti i governi adottino in pieno le raccomandazioni del Codice internazionale nella legislazione e ne garantiscano il rafforzamento e il controllo indipendente, mentre rivolge un appello ai produttori di latte artificiale perché rendano più chiare le raccomandazioni sanitarie sulle confezioni in vendita, con una indicazione dell’inferiorità del prodotto rispetto al latte materno, e che queste indicazioni occupino almeno 1/3 dell’involucro, continua il dr. Valerio Neri. L’Organizzazione si appella inoltre a tutti i governi perché vengano dedicate più risorse alla lotta alla malnutrizione infantile che colpisce circa 200 milioni di bambini sotto i 5 anni ed è responsabile di più di 1/3 delle morti infantili nel mondo, e che l’allattamento al seno sia parte integrante degli interventi. Infine, “Save the Children” chiede ai Paesi in via di sviluppo di adottare piani specifici che possano aumentare significativamente la percentuale di adozione dell’allattamento al seno. AIDS: CON CURE PRECOCI GUARISCE UNA NEONATA htp://www.hopkinschildrens.org/deborah-persaudmd.aspx Una bimba nata nel Mississippi con il virus dell’AIDS sembra essere guarita dopo essere stata curata con un cocktail di medicine sin dalle prime ore dopo la nascita. Lo hanno reso noto i ricercatori che hanno seguito il suo caso che potrebbe aprire la strada alla cura di migliaia di bambini nati affetti dall’AIDS, soprattutto in Africa. Il caso di questa bambina, che ora ha due anni e mezzo, se confermato, scrive il “New York Times”, sarà il secondo documentato di un paziente guarito dall’HIV. Il primo è quello di un uomo adulto, Timothy Brown, noto come il paziente di Berlino, guarito nel 2007 dopo un trapianto di midollo osseo. La bimba, hanno riferito i medici, è stata curata con medicinali antiretrovirali sin da 30 ore dopo la sua nascita, una pratica inconsueta. “Per i pediatri si tratta del nostro Timothy Brown”, ha detto la dottoressa Deborah Persaud, del John Hopkins Children’s Center, che ha redatto il rapporto sulla bimba e secondo la quale si tratta della “prova di principio che possiamo curare l’HIV se riusciamo a riprodurre questo caso”. I ricercatori esortano però alla cautela, sottolineando che al momento si tratta di un caso unico. La pratica stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che un bambino nato da una mamma infetta dall’HIV venga curato con una quantità limitata di antiretrovirali per quattro o sei settimane, fino a che il bimbo non risulti a sua volta positivo ad un test, nel qual caso si aumentano le dosi. Nel caso della bambina del Mississippi, quando la mamma è andata a partorire in un piccolo ospedale di campagna non sapeva di avere l’HIV e, quando è risultata positiva al test, la bimba, che era nata da poco più di un giorno, è stata trasferita in un ospedale dove le è stato immediatamente a sua volta praticato il test. Secondo la dottoressa Hannah Gay, che ha esaminato il risultato, la bimba era stata infetta- 35 36 ta quando era ancora nel grembo della madre, piuttosto che durante il parto e poiché il livello di infezione era ancora basso ha immediatamente prescritto alla bimba tre differenti farmaci come trattamento, e non come profilassi. I livelli del virus, scrive ancora il “New York Times”, si sono ridotti rapidamente e dopo un mese non erano neanche più rilevabili. E ancora così fino a che la bambina non ha compiuto 18 mesi. Poi la madre ha smesso di farle fare i test per cinque mesi ma, quando ha ripreso di nuovo, i test sono risultati negativi. La dottoressa Guy ha quindi fatto sottoporre la bimba a una serie di test più sofisticati, che hanno rilevato solo piccole tracce del virus integrate nel materiale genetico, che però non sono in grado di replicarsi. Secondo i medici, la decisione di intervenire con i farmaci, sin da poche ore dopo la nascita, ha impedito la formazione della cosiddetta riserva virale che ospita il virus e, dal momento che il virus non è stato più rilevato nel sangue della bambina, il trattamento è stato sospeso. Poiché da allora non è stato più rilevato il virus, affermano i medici, evidentemente la bimba è guarita. menti giudiziari, a progetti sperimentali di navigazione a vela rivolti a ciechi e ipovedenti, a persone con sindrome di Down, ma anche semplicemente a chi ha più di 60 anni o è ospite di istituti geriatrici. La barca dei Tetragonauti è la “Lady Lauren”, un ketch di 22 metri a due alberi, capace di ospitare otto persone più l’equipaggio e di garantire una navigazione serena e sicura. A bordo gli ospiti trovano il comandante e operatori qualificati e specializzati sia dal punto di vista nautico, sia educativo. I partner e i finanziatori sono istituzionali e privati. Fra di essi moltissime amministrazioni comunali, regioni, il Ministero della Giustizia, banche, fondazioni, yacht club. “L’andar per mare – spiegano gli artefici di queste iniziative sul loro sito internet www.itetragonauti.it – non è solo un’esperienza di viaggio, ma un momento in cui si vive la possibilità di cambiare, magari in modo minimo, ma comunque significativo: poco importa se è il cambiamento infinitesimale del disabile che si convince a tenere il timone per tre minuti o il cambiamento di chi ha compiuto reati che dopo un viaggio per mare rivede se stesso e il suo copione di vita”. ASSOCIAzIONE TETRAGONAUTI: ANDARE PER MARE COME TERAPIA. 10 ANNI DI INIzIATIVE INDICE DI MASSA CORPOREA (BMI: BODy MASS INDEX) SUPERATO. ARRIVA IL NUOVO CALCOLO www.itetragonauti.it http://people.maths.ox.ac.uk/trefethen/bmi.html Compie 10 anni, l’Associazione dei “Tetragonauti”, Onlus che propone il mare come opportunità di cambiamento per tutti coloro che si trovano, per varie ragioni, in una situazione di fragilità: non vedenti, disabili, malati, bambini e giovani in difficoltà, anziani. Innumerevoli, in questi 10 anni, i progetti realizzati in tutti i mari d’Italia, tra la Riviera ligure, lo Stretto di Messina, la Sardegna. E vanno dai corsi di acquaticità e subacquea per minori disabili, a interventi di educazione per mare rivolti a minori disagiati in carico ai Servizi Sociali; da iniziative dedicate alle comunità che ospitano ragazzi con procedi- I ricercatori della Oxford University hanno aggiornato il calcolo del BMI, l’indice di massa corporea usato per calcolare lo stato di “peso forma”, con una nuova formula più accurata che identifica la quantità di grasso effettiva del proprio corpo. Il calcolo classico (peso/altezza al quadrato) è una semplice operazione matematica che risale al 1830, ideata dallo scienziato belga Adolphe Quetelet. “Si tratta di una stima approssimativa che non tiene conto delle persone basse e di quelle molto alte” spiega il professor Nick Trefethen docente di analisi numerica all’università di Oxford e autore del nuovo calcolo: “Il no- stro algoritmo è invece preciso perché bilancia più accuratamente il peso con l’altezza”. Il nuovo calcolo, più complesso rispetto al precedente, si realizza così: 1,3 moltiplicato per il peso; il risultato deve essere diviso per l’altezza elevato a 2,5. “Con il calcolo classico i bassi pensano di essere più magri del reale e i molto alti credono di essere più grassi di quanto non siano in realtà. Col nuovo calcolo”, precisa il matematico, “chi misura meno di 1 metro e 52 guadagna 1 punto di BMI (e risulterà quindi più grasso) chi si avvicina ai 2 metri di altezza perde 1 punto (risultando quindi al calcolo con meno grasso)”. MALATTIE RARE: 30 MILIONI I PAzIENTI IN EUROPA. DALL’UE 144 MILIONI EURO PER RICERCA PER FINANzIARE 26 PROGETTI Uno stanziamento di 144 milioni di euro diretto per finanziare 26 progetti di ricerca sulle malattie rare è stato annunciato dalla Commissione Europea. I progetti aiuteranno a migliorare la vita di circa 30 milioni di europei, in gran parte bambini, che soffrono di queste malattie. Nella ricerca sono coinvolti 300 partecipanti, di 29 paesi tra Unità Europea e non. L’obiettivo è raggiungere una migliore comprensione delle malattie rare e trovare le terapie adeguate. ITALIA PAESE INDENNE DA RABBIA: ULTIMO CASO NEL 2011 L’Italia ha riacquisito lo status di Paese indenne da rabbia. Lo status di Paese indenne da rabbia, come stabilito dalle procedure dalla World Organisation for Animal Health (OIE), (Organizzazione Mondiale della Salute Animale), può essere riacquisito, trascorsi due anni dall’accertamento dell’ultimo caso di malattia che in Italia risale al 14 febbraio del 2011. Il risultato è stato conseguito a seguito dell’applicazione delle misure previste dalle Ordinanze che il Ministero della Salute ha emanato nel novembre 2009 e nel febbraio del 2012 la cui applicazione è stata curata dalla Direzione Generale della Sanità Animale. Un esteso piano di vaccinazione orale antirabbico nelle volpi e l’obbligo di vaccinazione dei cani presenti nelle zone a rischio e degli animali condotti al pascolo in diversi parti dei territori del Nord Est d’Italia, effettuati col sostegno finanziario dall’Unione Europea, sono stati efficacemente attuati nei territori interessati con la collaborazione del centro nazionale di referenza presso l’Istituto Zooprofilattico di Padova e dai veterinari sia pubblici sia privati. Nonostante la favorevole situazione epidemiologica l’Italia, rende noto il ministero della Salute, manterrà un piano di vaccinazione nelle volpi nella Regione Friuli Venezia Giulia, lungo il confine italo-sloveno, in considerazione del permanere della situazione di rischio nell’area balcanica. RIPOSARE BENE AIUTA A VIVERE MEGLIO. IL 30% DEGLI ITALIANI HA PROBLEMI Dormire bene aiuta a vivere meglio e a prevenire le malattie. È questo il messaggio lanciato in occasione della giornata mondiale del sonno, promossa dalla “World Association of Sleep Medicine” (WASM). L’attenzione quest’anno è stata puntata in particolare modo sulla terza età e su i ricorrenti disturbi del sonno: secondo recenti studi, infatti, circa il 50% degli anziani ha difficoltà a dormire a causa dell’invecchiamento in sé, ma prevalentemente per disturbi respiratori, malattie e assunzione di medicinali. In generale, in Italia la mancanza di un riposo adeguato colpisce secondo gli esperti circa il 30% della popolazione, con effetti negativi nel lungo e breve termine, come obesità, diabete, indebolimento del sistema immunitario e predisposizione all’ansia e alla depressione. Per tutti coloro che hanno difficoltà a dormire la WASM ha realizzato il decalogo del sonno perfetto, che prevede regole come darsi un orario fisso per il sonno e il risveglio, non esagera- 37 re con i riposi durante il giorno, rinunciare ad alcol e fumo nelle quattro ore prima di andare a dormire, evitare a cena cibi pesanti, speziati o troppo zuccherati, non bere caffè nelle sei ore che precedono il riposo e non fare esercizio fisico subito prima di andare a dormire. Inoltre, viene consigliato di indossare biancheria confortevole, curare il microclima della stanza, che deve sempre essere ventilata, evitare rumori, attenuare la luce e, se possibile, non lavorare a letto. TUMORI AL SENO: UN NUOVO TEST GENETICO EVITA LA CHEMIOTERAPIA INUTILE E EVIDENzIA CASI NEI qUALI è INVECE NECESSARIA 38 Un nuovo test genetico, disponibile anche in Italia, ma non ancora rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale, potrebbe evitare la chemioterapia a un quarto delle donne malate di tumore al seno. Lo affermano gli esperti durante la St. Gallen international Breast Cancer Conference tenutasi nella città svizzera. L’esame si basa sui livelli di espressione di 21 geni e su un algoritmo che, in base a questi, elabora una probabilità che il tumore si ripresenti o dia luogo a metastasi entro 10 anni. Se il rischio è basso, sottolineano gli esperti, la chemioterapia non serve, e l’analisi funziona particolarmente per tumori allo stadio iniziale, positivi ai recettori ormonali estrogenici o progestinici e senza interessamento dei linfonodi ascellari, quelli per cui è più difficile stabilire una terapia dopo l’intervento chirurgico. “Questo specifico test diagnostico permette di selezionare in maniera accurata coloro che potrebbero trarre un reale beneficio da una chemioterapia – spiega il professor Paolo Pronzato, Direttore della Divisone di Oncologia Medica dell’Istituto San Martino-IST di Genova – evitandone il ricorso nei casi in cui essa potrebbe rappresentare soltanto un danno in termini di peggioramento di qualità di vita o, al contrario, di trascurarne l’impiego laddove sarebbe necessaria”. Grazie al test, hanno spiegato gli esperti, in un terzo delle pazienti l’oncologo ha potuto modificare il piano terapeutico, evitando la chemioterapia in un quarto e aggiungendola invece nel 5-10% delle pazienti. GUARDARE LA TV ALIMENTA AGGRESSIVITÀ NEI BAMBINI. I GENITORI DOVREBBERO LIMITARE IL TEMPO DEI LORO FIGLI DAVANTI ALLA TELEVISIONE E SCEGLIERE I PROGRAMMI ADATTI PER I FIGLI http://pediatrics.aappublications.org/content/131/3/439.full.pdf Uno studio su bambini e adolescenti mostra che, per ogni ora di TV in più vista tardi la sera da bambini e adolescenti, cresce del 30% il rischio di avere guai con la giustizia nella prima età adulta. Inoltre, vedere la TV è risultato ancora una volta associato a comportamenti antisociali e a tendenza all’aggressività. Lo studio è stato condotto su circa 1.000 bambini e adolescenti di età compresa tra i 5 e i 15 anni seguiti nell’arco del loro sviluppo, quindi un vero studio di osservazione sul campo. Pubblicato sulla rivista Pediatrics, lo studio è stato diretto dal professor Bob Hancox ed è il primo a dimostrare in modo concreto che esiste una causalità tra visione della TV e certi comportamenti aggressivi e antisociali, indipendentemente da altri fattori che possono inficiare il dato, come l’estrazione socio-culturale dei genitori. Un altro lavoro, sempre apparso su la stessa rivista Pediatrics, firmato dal professor Dimitri Christakis della University of Washington, mostra invece che sensibilizzando i genitori a seguire i propri figli che guardano la TV e a scegliere per loro programmi didattici (che spronano all’empatia e insegnano il valore di aiutare il prossimo), nel giro di alcuni mesi i bambini risultano meno aggressivi dei coetanei che, a parità di ore davanti allo schermo, guardano quello che vogliono. L’Accademia Americana di Pediatria raccomanda di evitare che i bambini guardino la TV più di 1-2 ore al giorno e comunque invita a vedere solo programmi adatti a loro. I genitori, suggeriscono gli autori di questo studio, dovrebbero limitare l’uso della TV per i propri figli. RAGAzzI CHE FANNO SPORT HANNO UNA PAGELLA PIù BRILLANTE. CHI è IN FORMA RENDE MEGLIO A SCUOLA http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23187329 I teenager che fanno sport non solo stanno meglio in salute ma prendono anche voti migliori a scuola. Lo dimostra una ricerca che conferma scientificamente quanto invocato già nell’antichità dai romani, “mens sana in corpore sano”. Lo studio, svolto al Dipartimento di Kinesiologia in collaborazione con quello di Epidemiologia dell’Università del Tennessee, a Knoxville, è stato condotto su 312 studenti delle scuole medie. Pubblicato sul Journal of sports medicine and physical fitness, fa luce sul rapporto fra rendimento scolastico e livello di fitness dei ragazzi, valutandolo attraverso le loro pagelle ma anche attraverso l’uso di test standardizzati di valutazione delle capacità di apprendimento, che non dipendono dal giudizio soggettivo dei professori. È stato quindi anche monitorato il livello di fitness fisico dei ragazzi calcolando la quantità di grasso corporeo, la forza muscolare, la flessibilità e la resistenza e sottoponendoli a corse in staffetta, flessioni ed esercizi vari. “Al più alto punteggio di fitness corrispondono migliori capacità di apprendimento e di rendimento scolastico” spiega il professor Dawn Coe che ha diretto l’indagine. “Gli studenti con il più basso punteggio di fitness, invece, avevano anche le peggiori performance in classe e voti più bassi”. Gli autori sottolineano che eliminare l’ora di ginnastica nelle scuole sia un errore gravissimo. L’attività fisica è essenziale perché propedeutica alle altre materie, il fitness è fortemente connesso con il successo dei ragazzi a scuola. IL PRESIDENTE AMERICANO OBAMA LANCIA UN PIANO DECENNALE DI MAPPATURA DELLA MENTE UMANA L’amministrazione Obama sta lanciando un piano di studi scientifici di durata decennale allo scopo di esaminare il lavoro della mente umana e tracciare una mappa della sua attività, analogamente a quello che i genetisti fecero anni fa con il genoma grazie allo “Human Genome Project”. Come anticipa il “New York Times” in prima pagina, il piano – denominato “Brain Activity Map Project” – verrà concretamente presentato e prevede una stretta collaborazione pubblico-privato. Molte agenzie federali, assieme a fondazioni scientifiche, aiuteranno un team di neurologi e “nanoscienziati” nei loro sforzi per portare avanti la conoscenza dei miliardi di neuroni presenti nel nostro cervello, per capire meglio come funziona la nostra percezione sensoriale e in ultima analisi il nostro stato di coscienza. Con questo progetto si spera anche di acquisire nuovi sviluppi scientifici e tecnologici per trovare terapie a malattie gravi come l’Alzheimer e il morbo di Parkinson. REALIzzATO PRIMO VACCINO CON DNA IN FORMATO CEROTTO. RILASCIA GRADUALMENTE IL FARMACO PER INTERE SETTIMANE http://www.nature.com/nmat/journal/v12/n4/full/nmat 3550.html Supplementary information http://www.nature.com/nmat/journal/v12/n4/extref/n mat3550-s1.pdf Realizzato il primo vaccino contenente un tratto di DNA, il tutto nel formato di un cerotto: si tratta di uno strato di minuscoli aghi che rilasciano gradualmente il farmaco per intere settimane, garantendo così un dosaggio continuo al paziente e una maggiore risposta alla terapia; si è inoltre riscontrata con l’uso di questo metodo 39 una buona conservazione del farmaco. Questa modalità di rilascio del vaccino, realizzata da un gruppo di ricercatori coordinato dall’Istituto di Tecnologia del Massachusetts (MIT) e descritta su Nature Materials, potrebbe risultare importante per i Paesi in via di sviluppo perché non richiede refrigerazione e risulta facile da immagazzinare e trasportare. Il cerotto realizzato dai ricercatori statunitensi potrebbe dunque aprire la strada all’utilizzo degli economici e innovativi “vaccini a DNA”, una nuova tipologia di farmaci candida- ta a sostituire i vaccini tradizionali. A differenza di questi ultimi, realizzati normalmente iniettando virus o batteri “depotenziati”, i vaccini a DNA prevedono direttamente l’inserimento nelle cellule di un tratto di DNA con le istruzioni per combattere l’infezione. Una soluzione teoricamente molto semplice ed economica ma che ha prodotto finora scarsi risultati e si è rivelata molto difficile da attuare. a cura di Maria Giuditta Valorani 40 HANNO COLLABORATO A qUESTO NUMERO dr. Carolina Aranci Counsellor professionista analitico-transazionale Presidente Associazione Internazionale Donne dr. Vincenzo Candela Specialista in Ortopedia e Fisiatria FisioBIOS prof. Alessandro Ciammaichella Medico chirurgo, Specialista in Medicina Interna già Primario medico ospedaliero dr. Barbara De Paola Biologa Reparto Patologia Clinica BIOS - Sezione Ematologia prof. Francesco Leone Specialista in Malattie Infettive Docente presso “Sapienza” – Università di Roma Direttore sanitario Bios S.p.A. prof. Giuseppe Luzi Specialista in Allergologia e Immunologia Clinica Professore associato di Medicina Interna (f. r.) Docente presso “Sapienza” – Università di Roma Facoltà di Medicina e Psicologia dr. Maria Giuditta Valorani, PhD Research Associate Institute of Child Health University College of London – London, GB prof. Lelio R. Zorzin dr. Silvana Francipane Medico chirurgo Specialista in Reumatologia Professore associato di Reumatologia (f.r.) DIAGNOSTICA PER IMMAGINI AD ALTA TECNOLOGIA RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE - RMN ANGIOTAC UROTAC COLONSCOPIA VIRTUALE: UN ESAME NON INVASIVO E CON PREPARAZIONE RIDOTTA TAC POLMONARE PER LA PREVENZIONE DEL TUMORE NEI FUMATORI: RADIAZIONE ↪ BASSA POCHI SECONDI ↪ SENZA MEZZO DI CONTRASTO ↪ LESIONI FINO A 2/3MM ↪ UN PUNTO DI FORZA PER LA VOSTRA SALUTE