un`analisi comparata - Centro Documentazione Europea

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un`analisi comparata - Centro Documentazione Europea
La tutela
delle minoranze
etnico-linguistiche
in relazione
alla rappresentanza politica:
un’analisi comparata
Seminario
Trento, 17 novembre 1997
CARLO CASONATO
1
GIUNTA DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO – 1998
Copyright: © Giunta della Provincia Autonoma di Trento, 1998
Centro Documentazione Europea
Coordinamento redazionale: Giuliana Bassetti
Casonato, Carlo
La tutela delle minoranze etnico-linguistiche in relazione alla rappresentanza politica : un’analisi comparata : Seminario :
Trento, 17 novembre 1997 Carlo Casonato. - [Trento] : Provincia Autonoma di Trento. Giunta, 1998 - 65 p. ; 22 cm. (Quaderni del CDE ; 1)
1. Minoranze etniche - Attività politica - Aspetti giuridici
323.11
Presentazione
Prende il via con questa pubblicazione la collana “Quaderni del CDE”, edita dalla Provincia
Autonoma di Trento, che intende ribadire e rafforzare il suo coinvolgimento al processo di integrazione
europea.
Giusto dieci anni fa la Commissione europea pubblicava un famoso rapporto che prese il nome del
suo autore: Paolo Cecchini. Tale rapporto si fondava su una ricerca commissionata dalla Commissione dal
titolo significativo “Costo della non-Europa” ed era teso a porre gli Stati membri di fronte alle nuove sfide
degli anni novanta, che rappresentavano per l’Europa una grande scommessa.
In questi dieci anni l’evoluzione che si è avuta in Europa è stata davvero notevole.
Con il Trattato di Maastricht il concetto di Unione europea è entrato a far parte della vita di tutti i
giorni. Ma non solo, all’inizio del 1999, si aprirà quella importantissima fase di introduzione della moneta
unica, che non ha un risvolto solo economico, ma rappresenterà un formidabile strumento di unione,
andando ben oltre al semplice aspetto di avere a disposizione un unico mezzo di pagamento comune.
In questa nuova ottica la Provincia Autonoma di Trento si è già mossa da tempo per offrire a tutti gli
interessati l’opportunità di conoscere ed approfondire varie tematiche del processo di unificazione,
attraverso l’organizzazione di specifici momenti seminariali e convegnistici curati dal Centro di
Documentazione Europea (CDE), struttura realizzata in stretta collaborazione con l’Università degli Studi di
Trento e promossa dalla Commissione europea.
Il CDE infatti oltre a favorire l’accesso alle informazioni sull’attività delle Istituzioni dell’Unione
europea, ha la funzione di promuovere studi e ricerche in materia comunitaria, qualificandosi dunque per
una attiva partecipazione al dibattito sull’integrazione europea, avvalendosi del qualificato supporto
accademico dell’Università di Trento.
Gli incontri realizzati hanno riscontrato una partecipazione folta ed interessata. I temi proposti alla
discussione hanno consentito di approfondire situazioni in cui l’applicazione delle normative europee
influisce direttamente sullo svolgimento di attività quotidiane.
Quindi materie che vedono la necessità, non solo da parte dell’Ente pubblico, ma anche da parte
del cittadino comune, di raffrontarsi giornalmente con quanto stabilito a livello europeo.
Mentre l’attività seminariale programmata dal CDE continua il proprio percorso si vuole lasciare un
segno tangibile di quanto fatto.
Le varie pubblicazioni della collana “Quaderni del CDE” intendono dunque raccogliere i contributi
presentati negli incontri tematici, per poter offrire agli interessati un utile strumento di consultazione e per
permettere quella diffusione, tra tutti i cittadini, di una sempre più ampia conoscenza dell’azione dell’Unione
europea, che rappresenta il compito prioritario affidato ai Centri di Documentazione Europea.
avv. Carlo Andreotti
Presidente della Provincia
Autonoma di Trento
1
Considerazioni preliminari:
le ragioni della rappresentanza politica
delle minoranze etniche
Si intende in questa sede svolgere alcune riflessioni in merito all’istituto della rappresentanza politica
visto come strumento di tutela delle minoranze etniche. In una serie di ordinamenti europei e non, infatti, le
modalità di protezione dei gruppi minoritari non si limitano alla previsione di regimi linguistici particolari o
alla attribuzione di specifiche competenze di autonomia ad entità territoriali in cui la minoranza vive costituendo talvolta la maggioranza della popolazione locale - ma contemplano forme di partecipazione
diretta da parte di rappresentanti della minoranza agli organi assembleari. Tale strategia risponde a ragioni
individuabili nel riconoscimento del pluralismo, anche etnico, come valore da tutelare all’interno
dell’ordinamento giuridico complessivo in virtù del fatto che gli interessi minoritari costituiscono una
ricchezza per l’intera cittadinanza. All’interno di quest’ottica, ad esempio, vanno letti alcuni dati giuridicocostituzionali quali l’inclusione della tutela delle minoranze linguistiche locali entro gli interessi nazionali
espressamente riconosciuta dall’art. 4 dello Statuto speciale di autonomia del Trentino-Alto Adige e
confermata da costante giurisprudenza della Corte costituzionale italiana1, oppure l’esplicito riconoscimento
ad opera della Costituzione ungherese delle minoranze nazionali ed etniche come “elementi costitutivi” dello
Stato2.
In stretto collegamento con quanto detto, si può individuare un secondo ordine di motivi alla base
della rappresentanza minoritaria: se gli interessi della minoranza costituiscono una ricchezza ed un valore
giuridicamente riconosciuto e protetto si renderà opportuna una loro presenza nei luoghi della decisione
politica, in modo che possano contribuire alla formazione dell’indirizzo generale. Una serie di ordinamenti
europei e non, così, prevede che all’interno del Parlamento sia favorita o addirittura garantita la
partecipazione di rappresentanti propri della minoranza; si pensi al Senato belga, alla composizione dei
Consigli regionale del Trentino Alto-Adige e provinciale di Bolzano, ad alcune particolarità del sistema
elettorale tedesco come di quello neozelandese, all’assemblea nazionale slovena, ecc.
Ecco che allora il pluralismo etnico viene a collegarsi, sul versante istituzionale, con le strategie della
democrazia consociativa la quale, in quest’ottica, vuole che anche le componenti etniche della nazione
partecipino in prima persona al momento della decisione politica generale.
Una terza ragione alla base dell’istituto che ci accingiamo ad affrontare sta nella intrinseca possibilità
di costituire un canale attraverso cui dare una risoluzione civile a tensioni di carattere etnico. Organi in cui i
gruppi minoritari possano fare presenti, rappresentare appunto, le proprie istanze ed entro cui possano
partecipare alla formazione dell’indirizzo politico nazionale consentono, a determinate condizioni, di
scaricare attriti altrimenti difficilmente gestibili. La rappresentanza politica delle minoranze, in altri termini,
può offrire la possibilità di una soluzione pacifica e concordata a situazioni, non estreme, in cui le
componenti etniche della nazione siano in conflitto fra loro3 3.
1
Cfr. Corte cost. sent. n. 438 del 14 dicembre 1993, sent. n. 233 del 10 giugno 1994, sent. n. 15 del 29 gennaio 1996.
L’art. 68 della vigente Costituzione ungherese detta: “Le minoranze nazionali e etniche stanziate nella Repubblica
ungherese partecipano del potere sovrano del popolo; esse rappresentano una parte costitutiva dello Stato”.
3
Si tratta, evidentemente, solo di una possibilità che dipende da una serie di variabili di carattere storico, politico, sociale
ed anche economico. In ogni caso, come dimostra il fallimento della Costituzione del 1993 della Bosnia Erzegovina che
pure comprendeva un sistema sofisticato e molto equilibrato di rappresentanza dei diversi gruppi etnici ai vari livelli del
2
Da ultimo e ad un livello più generale, una rappresentanza specifica delle popolazioni di etnia
minoritaria può inquadrarsi all’interno della più ampia crisi della rappresentanza politica nel suo complesso.
In un momento in cui gli Stati vedono moltiplicare le caratteristiche nazionali della popolazione ed in cui la
classe politica stenta a rendersi credibile ed efficace interprete dei vari interessi presenti nella società, il
concetto stesso di “rappresentanza nazionale” entra in crisi ed emergono spontaneamente circuiti di
rappresentanza di interessi sociali (neocorporativi) che tendono a sostituirsi a quelli istituzionali di carattere
politico generale.
Si assiste, quindi, ad un’opera di by-passing in cui i singoli interessi particolaristici, in funzione potremmo dire - di supplenza, tentano di porsi all’attenzione immediata del momento politico4. E in questa
crisi generalizzata della rappresentanza “classica”, anche le minoranze etniche cercano un riconoscimento
specifico che, non trovando nei rappresentanti nazionali, tentano di realizzare attraverso l’elezione di
rappresentanti propri.
Già da quanto detto, risulta evidente come uno studio degli aspetti giuridico-costituzionali legati alla
rappresentanza politica delle minoranze etniche non possa prescindere dall’analisi di una serie di
ordinamenti; se dedicheremo particolare attenzione alla situazione italiana, e del Trentino-Alto Adige in
particolare, sarà così il diritto comparato a fornire il quadro generale entro cui la presente indagine si
muoverà. Trattando della rappresentanza politica come strumento di tutela delle minoranze, inoltre, è
necessario introdurre da subito alcuni concetti, come l’accezione di “minoranza” ed alcuni significati di
“rappresentanza politica”.
potere politico, la capacità di incanalare i conflitti etnici entro soluzioni istituzionali di rappresentanza e di dialogo si
poggia, perlomeno, su un condiviso rispetto delle regole alla base di tali istituti di rappresentanza.
44
Fra gli altri, cfr. G. PASQUINO, Rappresentanza e democrazia, Bari, 1988.
2
La minoranza:
un concetto relativo
e convenzionale
È facilmente dimostrabile il fatto che “le minoranze, in quanto tali, non esistono” visto che, per
essere minoranze, devono esserlo in riferimento ad una maggioranza5. E’ solo sulla base del rapporto di un
gruppo determinato rispetto ad un altro egualmente determinato che si può quindi parlare di minoranza. In
questo senso, il concetto di minoranza si dimostra essere intrinsecamente relativo in quanto si costruisce
unicamente grazie alla relazione con un altro concetto.
Inoltre, a seconda che si scelga un criterio di riferimento oppure un altro, si può pensare ad un
numero infinito di minoranze contrapposte ad un numero altrettanto infinito di maggioranze. Possono
individuarsi, così, minoranze religiose, razziali, culturali, linguistiche, nazionali, ma anche le donne,
numericamente in maggioranza, possono essere considerate, da un punto di vista sociale, professionale,
politico o economico, una minoranza e perfino i miliardari costituiscono una minoranza della popolazione.
Risulta allora necessario scegliere un elemento di riferimento comune grazie al quale giungere alla
definizione delle diverse collettività (minoritaria e maggioritaria), realizzando un’operazione meramente
convenzionale di selezione del criterio attraverso cui riconoscere la minoranza6.
Per quanto ci riguarda, prenderemo in specifico esame le minoranze etniche cui il diritto dei vari
Stati riconosce, di volta in volta, una posizione di favore in materia di accesso alla rappresentanza politica.
Su questa linea, potremo individuare, in fase di conclusioni, le caratteristiche oggettive e soggettive che il
gruppo minoritario deve assumere al fine di vedersi riconosciuta una rappresentanza propria. In prima
approssimazione, comunque, possiamo definire l’oggetto della ricerca come quel gruppo numericamente
inferiore al resto della popolazione e in posizione non dominante, i cui membri siano cittadini dello Stato,
possiedano caratteristiche etniche, culturali, linguistiche che differiscono da quelle del resto della
popolazione, e dimostrino un senso di solidarietà e di identità inteso a preservare le loro caratteristiche
specifiche7.
5
Cfr. R. TONIATTI, Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, in T. BONAZZI, M. DUNNE (a cura
di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, 1994, 273, 283.
6
A. PIZZORUSSO , Le minoranze nel diritto pubblico interno, Milano, 1967, 193; IDEM, Minoranze etnico-linguistiche, in
Enciclopedia del diritto, vol. XXVI, Milano, 1976, 527, 530 e ss.; R. TONIATTI, Minoranze (diritti delle), in Enciclopedia
delle scienze sociali, 1996, Roma, 703 e ss.; M. STIPO, Minoranze etnico-linguistiche. I) Diritto pubblico, in Enciclopedia
giuridica, XX, Roma, 1990, 3; E. PALICI DI SUNI PRAT , Minoranze, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. IX,
Torino, 1994, 546, 547; M.N. SHAW , The definition of Minorities in International Law, in Israel Yearbook on Human
Rights, 1991, 35; N. GIRASOLI, National Minorities. Who Are They?, Budapest, 1995; B. DE W ITTE, Minorités nationales:
reconnaissance et protection, in Pouvoirs, 1991, 113 e ss.
Per l’analisi di nuove prospettive, cfr. G. DE VERGOTTINI, Verso una nuova definizione del concetto di minoranza, in
Regione e governo locale, 1995, 9 e ss.; S. ORTINO, La tutela delle minoranze nel diritto internazionale: evoluzione o
mutamento di prospettiva? relazione illustrata a Trento in data 18 dicembre 1996, ora in AA.VV., Giornata delle minoranze,
Trento, 1997, 19 e ss.
7
Ci poniamo sulla falsariga di quanto sostenuto a suo tempo da Francesco Capotorti in seno alla Sottocommissione delle
Nazioni Unite per la protezione delle minoranze. Cfr. Nazioni Unite, Doc. E/CN. 4 Sub 2/384, 1979.
3
Due modelli
di rappresentanza politica
Anche il concetto di rappresentanza non è di facile individuazione: sua funzione specifica, in primo
luogo, consiste nel difficile compito di rendere presente ciò che è assente. Per la rappresentanza politica,
inoltre, le cose si complicano, in quanto l’elemento assente (da rendere presente) è, a seconda degli
orientamenti, la nazione, il popolo, il corpo elettorale, la volontà generale, l’interesse della collettività, le
istanze della società, ecc. E partecipando al processo di legittimazione democratica del potere, in terzo
luogo, la rappresentanza politica si ritrova al centro di una tensione lacerante che vuole la molteplicità degli
interessi sociali ridotta all’unità della volontà politica8.
Da un punto di vista storico, su questa linea, possiamo individuare due principali modi di intendere
la rappresentanza politica i quali, rispettivamente, privilegiano il momento dell’unità del rappresentante a
scapito della sensibilità verso i diversi interessi sociali, ovvero, a scapito della formazione dell’unica volontà
generale, sottolineano il rispecchiamento della molteplicità delle istanze della società rappresentata.
a) Il primo concetto di rappresentanza politica risale all’epoca della rivoluzione francese in cui, in
contrapposizione con la presenza di corpi intermedi e con la rappresentanza per ceti dell’ancien régime, si
è affermato un unico concetto di cittadinanza e di sovranità nazionale (e di conseguente eguaglianza
formale) e si sono poste le basi per individuare nella rappresentanza nazionale l’unitaria e fedele interprete
della volontà generale.
Dietro tale formula si nascondeva un disconoscimento dei diversi interessi sociali e l’unico interesse
realmente rappresentato diveniva quello della borghesia. Tale accezione semplificata (e semplificante) di
rappresentanza nazionale fu però dotata di un’autonomia e di un potere decisivi attraverso il principio del
divieto di mandato imperativo, l’eguaglianza formale e la superiorità della legge nella gerarchia delle fonti.
Altro profilo decisivo del nuovo concetto di rappresentanza, anch’esso collegato all’eliminazione dei corpi
intermedi, fu il computo dei voti “par tête” e non più “par ordre”, aspetto che costituì un corollario del più
ampio principio individualistico che andava caratterizzando tutto il periodo.
Le radici di quella che potremmo chiamare rappresentanza di derivazione liberale, in estrema sintesi,
affondano in un terreno ideologico e istituzionale in cui la proiezione del pluralismo degli interessi è del tutto
trascurato ed in cui la complessità sociale è artificialmente ricondotta ad unità attraverso l’assolutizzazione
dell’interesse della classe dominante sulla cui base si forma la volontà generale9.
8
8
Al riguardo, fra gli altri, C. GREWE, H. RUIZ FABRI , Droits constitutionnels européens, Paris, 1995, 193; G. LEIBHOLZ,
La rappresentazione nella democrazia, Milano, 1989, 69 e ss.; N. BOBBIO, Rappresentanza ed interessi, in G. PASQUINO
(a cura di), Rappresentanza e democrazia, Bari, 1988, 3, 7; H.F. PITKIN , The Concept of Representation, Berkley - Los
Angeles - London, 1967, 241 e ss.; M. COTTA, Rappresentanza politica, in N. BOBBIO, N. M ATTEUCCI , G. PASQUINO,
Dizionario di politica, Torino, 1990, 929; G. LEIBHOLZ, Die Repräsentation in der Demokratie, ora in La
rappresentazione nella democrazia, Milano, 1989; G.U. RESCIGNO, Democrazia e principio maggioritario, in Quaderni
costituzionali, 1994, 187.
9
La letteratura in materia è vastissima; per quanto più da vicino ci interessa, cfr. P. RIDOLA, Rappresentanza e
associazionismo, in G. PASQUINO (a cura di), Rappresentanza e democrazia, cit., 101; D. NOCILLA, Brevi note in tema di
rappresentanza e responsabilità politica, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, II, 1985, Padova, 568 e ss.; J.H. KAISER,
La rappresentanza degli interessi organizzati, Milano, 1993, 64, 107; G. FERRARA, Rappresentanza e governo
nazionale, in Democrazia e diritto, 1988, 91; D. FISICHELLA (a cura di), La rappresentanza politica, Milano, 1983; H.
La ragione di questo rapido excursus storico è dovuta al fatto che tutti gli Stati di derivazione
liberale, fra cui l’Italia, hanno fatto proprio un concetto di rappresentanza nazionale che deriva
dall’evoluzione dell’esperienza rivoluzionaria francese. E anche se il modello originario è stato arricchito e
modificato in senso pluralista - basti già pensare al modello bicamerale britannico o alle speculazioni di
Madison - tali ordinamenti accolgono di quell’accezione alcune conseguenze fondamentali: la
rappresentanza della nazione unitariamente intesa e non delle sue componenti sociali (anche etniche); il
divieto di mandato imperativo; una rappresentanza che parte dall’individuo anziché dal gruppo sociale
di appartenenza; la conseguente importanza attribuita all’eguaglianza del voto su base individuale; la
centralità nelle procedure di selezione dei rappresentanti anziché nell’esito dei risultati delle stesse.
b) Tutte tali caratteristiche vengono in varia misura contraddette da un altro modello di
rappresentanza: la rappresentanza descrittiva o rappresentanza-specchio.
Secondo tale concezione, ogni Parlamento dovrebbe costituire un modello in scala, una fotografia o
uno specchio, appunto, in grado di riflettere a livello politico-istituzionale la natura composita della società.
In questo senso, i corpi rappresentativi devono rispecchiare tutte le principali caratteristiche politiche,
culturali, religiose, economiche, professionali, sessuali, ma anche razziali e etnico-linguistiche presenti nella
società10.
Così, però, l’attenzione passa da una rappresentanza su base nazionale ad una “rappresentazione”
che deve farsi espressamente carico delle diverse componenti della società; dalla dimensione nazionale
unitaria si passa alla dimensione multinazionale pluralista. E i rappresentanti, svolgendo una funzione
descrittiva, sembrano doversi fare portavoce degli interessi particolaristici del gruppo di cui sono
espressione piuttosto che di un interesse generale, contraddicendo almeno in principio il divieto di mandato
imperativo. Ancora, non è più l’individuo il punto di partenza dei meccanismi rappresentativi, ma sono le
singole componenti della società che devono essere rappresentate; e in questa prospettiva in cui si
sottolinea la natura collettiva della rappresentanza, l’attenzione passa dalle procedure di selezione ai
risultati che, almeno tendenzialmente, devono assicurare la corrispondenza fra società rappresentata e
corpo rappresentante. E per garantire tale corrispondenza - lo vedremo proprio in materia di
rappresentanza minoritaria - si dovrà talvolta derogare allo stesso principio di eguaglianza individuale del
voto.
Anticipiamo così come all’interno dello Stato contemporaneo le regole specifiche a favore di una
rappresentanza politica propria delle minoranze etniche si inquadrino più nel secondo modello esaminato
piuttosto che nel primo, rivelando una contraddizione o comunque una deroga forte ai principi costituzionali
in materia di nazione e di rappresentanza generalmente accolti11.
KELSEN, La democrazia, Bologna, 1981; N. BOBBIO, Rappresentanza e interessi, cit., 12; E.W. BÖCKENFÖRDE,
Democrazia e rappresentanza, in Quaderni costituzionali, 1985, 250.
10
Un corpo rappresentativo, così, dovrebbe essere, per la nazione, quello che una carta geografica è per il suo territorio;
parzialmente o integralmente la copia dovrà sempre avere le stesse proporzioni dell’originale. Fra gli altri, cfr. H.F. PITKIN ,
The Concept of Representation, cit., 60; G. PASQUINO, Rappresentanza e decisione, in G. PASQUINO (a cura di),
Rappresentanza e democrazia, cit., 31, 33.
11
Tale assetto derogatorio non costituisce che una conseguenza del diverso modo di intendere il concetto di nazione. Al
riguardo, cfr. G.E. RUSCONI, Ripensare la nazione. Tra suggestioni etnodemocratiche e costruzione europea, in M.
LUCIANI (a cura di), La democrazia alla fine del secolo, Bari, 1994, 69 e ss. In quest’ottica, ci pare significativa, al fine di
sottolineare la distanza fra i due modelli di rappresentanza analizzati, la distinzione tra forme di governo, proposta a suo
tempo da Ernst Fränkel, che fa leva sulla tendenza ad una “identificazione aprioristica di una volontà popolare
unitariamente intesa con l’interesse generale” di fronte ad una “volontà popolare ipoteticamente risultante da un
procedimento dialettico”: E. FRÄNKEL, Demokratie und Öffentliche Meinung (1963) ora in Deutschland und die
westlichen demokratien, Frankfurt, 1991, 154 e ss.
4
I presupposti della rappresentanza politica delle minoranze etniche:
eguaglianza formale e non discriminazione
Gli esempi di rappresentanza specifica delle minoranze etniche offerti dal diritto comparato sono più
diffusi di quanto non si possa inizialmente credere e coinvolgono una nutrita schiera di paesi europei e non.
Ci soffermeremo ora sugli strumenti, talvolta previsti a livello costituzionale, attraverso i quali si permette, si
facilita o si garantisce la presenza di esponenti della minoranza all’interno degli organi parlamentari.
Presupposto logico e prima tappa storica perché possa realizzarsi tale forma di rappresentanza
propria consiste nella titolarità da parte dei membri della minoranza del diritto di voto e del diritto di
formare associazioni e partiti politici, tradizionalmente gli strumenti tipici attraverso cui coagulare gli interessi
politici omogenei e porre le condizioni per un’elezione in Parlamento. E’ necessario, in altri termini, che viga
il principio di non discriminazione in base al quale tutti i cittadini, secondo un modello di Stato liberale
agnostico, godono degli stessi diritti a prescindere da condizioni di origine etnica o di appartenenza
linguistica o nazionale12. Negli Stati Uniti d’America, ad esempio, non è stato possibile parlare di
rappresentanza politica delle popolazioni nere fino al momento in cui non è stato ad esse assicurato il diritto
di voto in condizioni di effettiva parità con i cittadini bianchi.
Il godimento incondizionato da parte di tutta la cittadinanza dei diritti civili e politici costituisce una
caratteristica dello Stato di derivazione liberale e, di norma, tali posizioni giuridiche sono garantite a livello
costituzionale negli Stati europei, anche se alcuni ordinamenti, come Turchia e Bulgaria, prevedono in
proposito limitazioni al diritto di costituire partiti politici di ispirazione etnica o religiosa13.
12
La formula Stato liberale agnostico fa parte di una tipologia proposta da R. TONIATTI, Minoranze e minoranze
protette: modelli costituzionali comparati, cit., 273 e ss. al fine di dare una sistemazione teorica delle diverse esperienze
statali a seconda del trattamento riservato alle minoranze etniche. In estrema sintesi, un primo modello consiste nello
Stato nazionalista repressivo caratterizzato dall’esasperazione ideologica dell’elemento “nazionale unitario della
composizione del popolo”, dalla negazione persino “dei segni esteriori della presenza di minoranze nazionali” e dalla
pretesa del raggiungimento della purezza della razza. Da uno Stato nazionale liberale agnostico, in cui la coincidenza fra
nazionalità e cittadinanza si accompagna alla indifferenza verso le peculiarità minoritarie pur affiancata da “strumenti di
protezione normativa e giudiziaria dei fondamentali diritti di libertà individuale” ispirati al principio dell’eguaglianza
formale contro forme di discriminazione motivate dal fattore minoritario, si passa allo Stato nazionale a vocazione
multinazionale e promozionale caratterizzato da un atteggiamento di protezione nei confronti dei gruppi minoritari
attraverso “assetti organizzativi del tutto simili a quelli del modello dello Stato multinazionale (...) con la variante
determinata dalla diversità dei rapporti numerici fra i distinti gruppi”. Nello Stato multinazionale paritario nonostante la
diversità numerica delle comunità nazionali, “l’ordinamento L preordinato, sia dal punto di vista dell’organizzazione
territoriale del suo apparato istituzionale sia dal punto di vista della legislazione sostanziale, in modo da incorporare e
riflettere su base paritaria la multinazionalità della propria realtà sociale permanente”.
13
In Turchia la Legge sui partiti politici (del 22 aprile 1983) vieta la costituzione di partiti che si propongano di modificare la natura
unitaria dello Stato anche per motivi legati al carattere razziale o linguistico della popolazione locale (art. 80). E’ inoltre previsto che i
partiti non possano proporsi di appoggiare gruppi minoritari sviluppando o diffondendo lingue o culture che non siano quelle turche. Ed è
fatto obbligo di utilizzare la lingua turca in tutti i documenti ufficiali, i congressi, le riunioni e le attività di propaganda politica (art. 81).
Sulla base di tale normativa, la Corte costituzionale turca, decidendo anche di recente, ha sciolto una numerosa serie di partiti. Cfr.
COUNCIL OF EUROPE , EUROPEAN COMMISSION FOR DEMOCRACY THROUGH LAW , The Protection of Minorities, Strasburgo, 1994, 320 e s.
La Costituzione bulgara vieta i partiti politici formati su basi etniche, razziali o religiose (art. 11.4) e proibisce le organizzazioni che
incitano l’odio razziale, nazionale, etnico o religiose (art. 44.2). Nel primo caso deciso dal Tribunale costituzionale (sent. n. 1 del 1991),
peraltro, il Movimento per i diritti e le libertà formato nella quasi totalità da Turchi e mussulmani non è stato considerato incostituzionale
in quanto non statutariamente formato in base a criteri etnici o religiosi ed in quanto elettori di origine bulgara avevano votato per esso,
eleggendo anche candidati di origine bulgara. A parte la soluzione concreta data al caso specifico - per cui peraltro è stata sfiorata la
I partiti di raccolta o etnici - come potremo chiamarli differenziandoli da quelli politici di carattere
nazionale - pongono una serie di problematiche di ordine sia specifico, come quella legata alla mancanza di
una “vocazione generalista”14, che generalizzato, come il margine di compatibilità della disciplina di partito
con il divieto di mandato imperativo o la difficile configurabilità di strumenti di verifica del grado di reale
rappresentatività rispetto agli interessi dell’elettorato15. Laddove i partiti etnici si sono formati - e cioè in
numerosi paesi fra cui la Spagna (HB, i partiti catalani), la Gran Bretagna (movimenti scozzesi), il Belgio
(Front démocratique des francophone, Volksunie), la Francia (movimento nazionalista corso), la
Svizzera (partiti con identità etniche cantonali), la Grecia (per la minoranza mussulmana), in alcune realtà
regionali e provinciali italiane o negli Stati uniti - essi costituiscono, comunque, solo una premessa di
carattere politico e sociale alla possibilità da parte dei gruppi minoritari di raggiungere una rappresentanza
diretta in Parlamento. I partiti politici espressione delle minoranze, così, vengono a far parte di quei
presupposti che consentono, in presenza di altre condizioni di vario genere (il carattere non repressivo e
nazionalista del modello di Stato liberale agnostico, anzitutto) l’elezione di candidati della minoranza
etnica.
Al riguardo può anche ricordarsi che in alcuni ordinamenti, come in Belgio e Austria i partiti sono
portati a decidere indipendentemente di inserire fra i propri candidati membri della minoranza16. A parte
alcuni casi del tutto isolati, come l’obbligo di inserire all’interno della lista un candidato della minoranza, tali
forme di rappresentanza costituiscono una libera scelta dei partiti, frutto di calcolo politico, di vocazione
multietnica o di semplice convenienza elettorale, su cui il diritto non può intervenire stante il generale
principio di autonomia interna17.
Concludendo sui presupposti minimi che consentono la rappresentanza delle minoranze, allora, basti
ricordare i principi dello Stato liberale agnostico in materia di titolarità dei diritti civili e politici senza
discriminazioni legate a fattori di natura etnica o linguistica. In quest’ottica, una minoranza costituita da un
determinato numero di membri distribuiti in maniera geograficamente compatta e dotata di un sufficiente
grado di omogeneità politica potrà, al pari di ogni altro gruppo dotato di analoghe caratte5ristiche, riuscire
ad eleggere un proprio rappresentante.
dichiarazione di incostituzionalità in quanto sei giudici su dodici avevano votato per l’illegittimità, mentre per tale dichiarazione è
necessaria la maggioranza assoluta (almeno sette voti) - rimane la proibizione costituzionale di partiti che si propongano di raccogliere
solamente membri di etnie o religioni minoritarie. In proposito cfr. S. BOTUSCIAROVA , La legislazione elettorale in Bulgaria , in F.
LANCHESTER (a cura di), La legislazione elettorale degli Stati dell’Europa centro orientale, Milano, 1995; S. BARTOLE, Riforme
costituzionali nell’Europa centro-orientale, Bologna, 1993, 56; S. P ASHOVSKI, Minorities in Bulgaria, in J. P ACKER, K. MYNTTI , (ed.) The
Protection of Ethnic and Linguistic Minorities in Europe, Åbo, 1995, 67 e ss.
14
Carattere che, di norma li differenzia dai partiti di ispirazione religiosa o ideologica che tendono, comunque a far
coincidere i propri obiettivi con gli interessi della collettività
15
Cfr. D. L. SEILER, Les partis autonomistes, Parigi, 1994; P. GRIGORIOU, L’expression parlementaire des partis
minoritaries dans l’espace communautaire, in P. GRIGORIOU, Questions de minorités en Europe, Bruxelles, 1994, 175 e
ss.
16
Nelle elezioni sia statali che di Land in Stiria e Carinzia, anche per ragioni di calcolo politico, i partiti includono
generalmente all’interno delle proprie liste alcuni candidati della minoranza slovena. Le spontanee procedure di selezione
di altri corpi rappresentativi della società austriaca, come le Camere di commercio o similari, contengono talvolta membri
della minoranza slovena, croata, ungherese o ceca. Cfr., in proposito, F. M ATSCHER, Austria, Federalism and Protection
of Minorities, in COUNCIL OF EUROPE, EUROPEAN COMMISSION FOR DEMOCRACY THROUGH LAW , The Protection of
Minorities, cit. 339. In Belgio sono generalmente i candidati appartenenti alla popolazione di lingua tedesca che trovano
“accoglienza” all’interno di partiti politici in cui l’elemento etnico non è esasperato.
17
In questa sede, in cui si privilegia il dato giuridico-costituzionale, non ci occuperemo più approfonditamente dei partiti
delle minoranze, costituendo essi un fenomeno che se può essere variamente influenzato dal diritto (si pensi alla
disciplina del finanziamento pubblico), costituisce oggetto tipico di altre branche della scienza, prime fra tutte la
politologica e sociologica.
5
Gli strumenti che favoriscono
la rappresentanza politica
delle minoranze etniche
Elemento tipico dello Stato che persegue finalità di tutela minoritaria (modello a vocazione
promozionale) consiste nell’adozione di strumenti giuridici specificamente indirizzati a favorire, attraverso
modalità di carattere prevalentemente derogatorio, i membri della minoranza o la minoranza stessa,
forzando il principio di parità formale verso prospettive di eguaglianza sostanziale e di pari opportunità.
Accanto ad interventi legati alla conservazione della lingua o della cultura minoritaria, alcuni Stati
contemporanei prevedono, allora, la predisposizione di strumenti specificamente destinati a favorire o
addirittura a garantire una rappresentanza diretta delle (rectius di alcune) minoranze etniche all’interno degli
organi assembleari.
Da un’analisi complessiva svolta su una serie di ordinamenti non solo europei, risulta che le strategie
più diffusamente impiegate ai fini di favorire una rappresentanza minoritaria si ricollegano, alternativamente
o cumulativamente, ai principi del federalismo-regionalismo ed ai meccanismi dei diversi sistemi elettorali.
5.1 Federalismo e regionalismo
Se il Belgio, la Russia, il Canada o parte dell’ordinamento regionale e provinciale italiano (per
quanto riguarda il Trentino-Alto Adige, la Valle d’Aosta e solo parzialmente il Friuli Venezia Giulia)
affondano storicamente le ragioni del proprio decentramento politico nella presenza e conseguente tutela di
minoranze etnico-linguistiche, anche in altri Stati (e si pensi alla Germania e alla Svizzera) l’assetto federale
apre per i gruppi minoritari presenti sul territorio possibilità di partecipazione alla cosa pubblica più ampie
di quanto avvenga negli Stati centralizzati; e questo sostanzialmente in due direzioni.
a) Da un lato, anzitutto, le istituzioni del governo federato o regionale/provinciale si avvicinano a
porzioni di territorio di dimensioni inferiori, in cui il gruppo minoritario può costituire una percentuale
maggiore rispetto alla percentuale a livello nazionale. In situazioni di tal genere, la minoranza (o, il relativo
partito di raccolta), oltre che esercitare sempre un’influenza politica locale certamente superiore di quanto
possa fare su scala nazionale, arriva talvolta a costituire la maggioranza numerica della popolazione ed a
controllare anche le maggioranze politiche nei corpi rappresentativi e la formazione del conseguente
indirizzo politico (minoranza-maggioranza). Tale aspetto, ovviamente, risulta di importanza cruciale proprio
in funzione di una partecipazione della minoranza e di una rappresentanza dei relativi interessi nel governo
del territorio locale.
Fra i casi più significativi, in quest’ottica, possiamo ricordare il ruolo storico assunto dalla
popolazione francofona dei territori occidentali del Canada che ha permesso al Québec di mantenere un
regime di civil law del tutto differenziato rispetto all’ordinamento di common law del resto del paese18.
18
In generale, cfr. HOGG, Constitutional Law of Canada, Toronto, 1992, 33 e ss., 67 e ss. In particolare, sul carattere
asimmetrico del Québec, cfr. N. OLIVETTI RASON, Un federalismo asimmetrico: il Canada, in N. OLIVETTI RASON, L.
PEGORARO (a cura di), Esperienze federali contemporanee, Padova, 1996, 91; A. SAIZ A RNAIZ, Estado federal y
Ed anche il predominio dei partiti indipendentisti baschi o catalani nelle relative Comunidades
Autonomas o della SVP in Alto Adige dimostra come minoranze etniche a livello nazionale possano
trasformarsi in maggioranze politiche locali ed efficacemente autogovernarsi grazie alle strutture istituzionali
tipiche del federalismo-regionalismo.
Un modello particolarmente complesso di “federalismo etnico” è offerto dall’ordinamento belga in
cui il decentramento su base territoriale si incrocia con quello su base personale 19. Le spinte autonomiste,
sostenute prevalentemente dalla popolazione fiamminga, hanno trovato una risposta, da ultimo, nel 1993,
anno in cui è stata adottata una nuova Costituzione che definisce espressamente il Belgio uno Stato federale
(art. 1). L’assetto istituzionale, è stato così diviso su tre livelli equiordinati: la federazione, cui residuano
competenze in materie di stretto interesse nazionale; tre Comunità a base personale (fiamminga, francese e
tedesca) che hanno competenze legislative in materia linguistica, culturale, educativa e sociale (per quanto
riguarda le materie cd. “personalizzate”); tre Regioni a base territoriale (la vallona, la fiamminga e la
Regione di Bruxelles-capitale) con attribuzioni di carattere prevalentemente economico.
Le potenzialità dell’assetto federalista nel tutelare gruppi etnici minoritari attraverso l’autogoverno e
la rappresentanza locale sono dimostrate dalle attribuzioni e dal grado di autonomia della Comunità tedesca
che, nonostante interessi solamente 70.000 cittadini, gode delle stesse competenze (di carattere esclusivo,
per di più) delle altre due Comunità20.
Il grado di efficacia delle soluzioni federali, in questo senso, dipende dal tasso di concentrazione
geografica e di omogeneità politica del gruppo minoritario, oltre che dall’importanza e dall’estensione del
catalogo di competenze attribuite al governo locale. Si potrebbe in questo senso presumere uno “standard
minimo di attribuzioni”, al di sotto del quale eventuali auto-qualificazioni di facciata in senso federale non
corrisponderebbero ad un reale assetto decentrato del potere politico.
b) Le strategie in senso lato federaliste, però, non si basano solo su un decentramento del
baricentro politico sul territorio, ma anche sulla partecipazione degli Stati federati, dei Länder, delle
Regioni, delle Province, ecc. alle assemblee parlamentari dello Stato centrale. In quest’ottica, la strategia
federalista contempla anche un ritorno dalla periferia verso il centro, un movimento centripeto che permette
alle singole unità di dare il proprio impulso alla politica nazionale. Tale dimensione, che in una prospettiva
matura ed equilibrata di federalismo cooperativo e di crisi del principio della divisione delle competenze per
materia è destinata a trovare campi di applicazione sempre più vasti, consente che, laddove si sia
ricostituito il collegamento fra gruppo minoritario e (auto)governo del territorio locale, la minoranzamaggioranza possa vedersi efficacemente rappresentata a livello nazionale attraverso i meccanismi tipici del
federalismo. Ci riferiamo, in particolare, alla presenza di Camere alte federali - Senati, Consigli degli Stati,
Bundesräte, ecc. - a cui le singole componenti partecipano in misura proporzionale alla popolazione o
addirittura paritaria.
Un esempio paradigmatico, al riguardo, è costituito dalla Confederazione svizzera in cui il Consiglio
degli Stati è formato da 46 membri, due per ogni cantone e uno per ogni mezzo cantone; ed anche il
Consiglio nazionale, che è formato da 200 componenti, viene eletto sulla base di 26 circoscrizioni elettorali
coincidenti con il territorio dei 26 cantoni svizzeri. A motivo del collegamento fra gruppo/i linguistico/i e
territorio cantonale, tali meccanismi, e soprattutto il Consigli degli Stati, consentono che le principali
“Estatuto particular”. La posición constitucional de la Provincia de Quebec en la federación canadiense, Madrid,
1997, in particolare 23 e ss.
19
Il carattere personale e non solo territoriale della soluzione federale belga deriva dal fatto che le due Comunità
fiamminga e francese condividono la rispettiva giurisdizione sulla Regione mistilingue di Bruxelles-capitale. A causa,
però, della mancanza di una definizione legale di cittadino fiammingo o francese, gli atti normativi primari delle due
comunità (cioè i decreti) non si applicano direttamente alle persone, ma alle istituzioni che sono collegate con la
Comunità. In questa Regione, quindi, non vi è un legame diretto ed obbligatorio (carattere tipico peraltro della
cittadinanza) fra cittadini e Comunità, ma solo fra Comunità e istituzioni “rappresentative” della popolazione.
20
In merito, fra gli altri, cfr. F. DELPÉRÉE (a cura di), L’ordinamento federale belga, Torino, 1996.
comunità etnico-linguistiche svizzere siano tutte rappresentate negli organi assembleari centrali e possano in
questa sede agire per un coordinamento dei rispettivi interessi21.
Anche in Canada, il cui federalismo trova le proprie più profonde radici storiche nell’esigenza di
tutela di una minoranza tradizionalmente “forte” come quella francofona, sia la Camera dei Comuni che il
Senato compensano il principio della rappresentanza su base popolare (e cioè in proporzione alle
dimensioni numeriche della popolazione o del corpo elettorale: people representation) con quello che
vuole che siano rappresentate in misura analoga le regioni geografiche del paese (place representation), e
attraverso esse le relative popolazioni, anche minoritarie a livello federale (minority representation)22.
Anche la composizione del Senato belga dopo la riforma costituzionale del 1993 assicura una
rappresentanza propria alle tre componenti etniche nazionali (fiamminga, francese e tedesca); il principio
federalista, peraltro, si associa ad una logica di riserva di quote per gruppo; elemento questo che ci induce
a trattarne infra nel paragrafo dedicato agli strumenti elettorali di garanzia della rappresentanza etnica.
Da un’analisi complessiva di tali esperienze, che rappresentano solo alcuni esempi di un fenomeno
molto diffuso negli Stati federali in cui vivono gruppi etnici, può desumersi che, perché si realizzi una
rappresentanza minoritaria a livello di Parlamenti federali, è necessario che si preveda una composizione
degli stessi sensibile alle realtà istituzionali periferiche e che, ancora una volta, la minoranza a livello federale
costituisca la maggioranza a livello locale.
Tali considerazioni permettono di rilevare come, a differenza di ordinamenti regionali, come Spagna
e Italia, i sistemi che si definiscono federali accentuano attraverso i Senati la valenza contrattualistica delle
componenti dello Stato, alla stregua di residuo di una dimensione sovrana andata storicamente persa23.
Da questo punto di vista, il progetto di riforma costituzionale elaborato dalla Commissione
bicamerale italiana, anche dopo l’esame degli emendamenti, non sembra soddisfare i requisiti di un
federalismo in grado di proiettare le istanze minoritarie locali (si pensi a quelle valdostane o altoatesine)
all’interno delle sedi della decisione politica nazionale24. Unici e deboli spunti, in tal senso, sono costituiti
dalla previsione di una Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, i Comuni, le Province e le
Regioni (art. 76), di una sessione speciale del Senato integrata da rappresentanti delle comunità territoriali
(art. 79) e della partecipazione di Regioni e Province autonome alle decisioni dirette alla formazione degli
atti comunitari che intervengano in materie attribuite alle loro competenze (art. 116)25.
21
Cfr. B. KNAPP , L’ordinamento federale svizzero, Torino, 1994, in particolare 61 e ss.
Per quanto riguarda la Camera dei Comuni, può parlarsi di rappresentanza proporzionale imperfetta. Va anche ricordato
che la rappresentanza regionale da parte del Senato è più presunta che reale a motivo del fatto che i Senatori vengono
nominati e non eletti, e nominati dal Governo federale piuttosto che dalle Province: cfr. P.W. HOGG, Constitutional Law
of Canada, cit., 240 e ss
23
Al riguardo, fra gli altri, cfr. A. LA PERGOLA, Sguardo sul federalismo e i suoi dintorni, in Diritto e società, 1992, 491 e
ss.
22
24
Al riguardo, l’art. 79 del testo licenziato dopo la pronuncia della Commissione sugli emendamenti (seduta del 4 novembre 1997), ricorda
che il Senato “è eletto a base regionale” ma che la ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua “in proporzione alla popolazione”.
25
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, i Comuni, le Province e le Regioni” detta l’art. 76 “è formata da
Ministri, sindaci e presidenti di regioni e Province. Promuove intese ai fini dell’esercizio delle rispettive funzioni di
governo e svolge le altre funzioni previste dalla legge. La Conferenza è presieduta dal Primo Ministro, da un Ministro da
questi delegato ovvero dal vicepresidente, eletto tra i rappresentanti dei Comuni, delle Province e delle Regioni. E’
convocata dal Primo Ministro, anche su richiesta del vicepresidente. L’art. 79 prevede una sessione speciale del Senato
per cui la composizione ordinaria è integrata da consiglieri comunali, provinciali e regionali eletti in ciascuna Regione in
numero pari a quello dei relativi senatori ma con l’attenzione ad assicurare una equilibrata rappresentanza degli enti
interessati. Tale sessione è competente ad esaminare i disegni di legge relativi a “a) legislazione elettorale, organi di
governo e funzioni fondamentali di Comuni e Province; b) coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale; c) tutela di imprescindibili interessi nazionali nelle materie attribuite alla
competenza legislativa delle Regioni; d) autonomia finanziaria di Comuni, Province, Regioni e conferimento di beni
demaniali alle Province, alle regioni e allo Stato.” Da rilevare che, tuttavia, nelle materie di cui alle lettere b) e c) la Camera
dei deputati delibera in via definitiva. In materia di partecipazione dell’Italia all’Unione europea, infine, l’art. 116 prevede
che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di rispettiva competenza e nei modi stabiliti dalla
5.2 Strumenti di efficacia della
partecipazione federale delle minoranze
Secondo la strategia appena esaminata i rappresentanti propri delle minoranze etniche, grazie ai
meccanismi tipici del federalismo, giungono a sedere all’interno dei Parlamenti nazionali. La loro presenza,
però, è destinata a rimanere del tutto minoritaria rispetto al numero complessivo dei membri dell’assemblea
e, in quanto tale, ininfluente. Ecco che, allora, alcuni ordinamenti contemplano una serie di ulteriori deroghe
alle modalità di voto al fine di permettere alle unità federate di incidere sui meccanismi di decisione in
misura superiore rispetto a quanto potrebbero fare sulla base della relativa consistenza numerica.
In generale, si apportano modifiche al principio mag-gioritario per la formazione di alcune decisioni
particolarmente delicate (si può trattare di revisioni costituzionali o di votazioni in materie di stretto interesse
minoritario) per cui vengono previsti meccanismi di maggioranza o minoranza qualificata, poteri di veto fino
alla necessità del consenso unanime. In questo modo e a seconda dell’intensità della deroga al principio
maggioritario, la presenza pur numericamente ridotta dei rappresentanti della minoranza potrà tradursi in un
grado decisivo di influenza politica.
In proposito, ricordiamo come l’art. 123 della Costituzione svizzera preveda che il procedimento di
revisione costituzionale termini con l’accettazione della maggioranza dei cittadini (attraverso referendum) e
della maggioranza dei cantoni. Tale meccanismo impedisce ai cinque grandi Cantoni e mezzi Cantoni del
nord-ovest, numericamente maggioritari, di controllare il meccanismo della revisione costituzionale, in modo
che gli altri Cantoni (con le relative minoranze-maggioranze linguistiche a livello cantonale) possono
svolgere un ruolo decisivo in una delle più alte manifestazioni dell’incontro tra politica e diritto.
Inoltre, otto Cantoni e 50.000 cittadini possono chiedere che una legge adottata dal Parlamento
federale venga sottoposta a referendum; ed il Consiglio federale, nell’istruire i propri progetti di legge,
aziona in via consuetudinaria una fitta rete di consultazioni con ciascuna delle autorità cantonali.
Anche l’ordinamento canadese prevede una formula generale di revisione della Costituzione
(general amending procedure) che impone l’intervento della popolazione e delle Province. La sez. 38.1
del Constitution Act del 1982 dispone l’accordo di entrambe le Camere federali e di due terzi delle
Province (cioè sette su dieci) che contengano almeno il 50% della popolazione totale. Per ogni
emendamento che vada ad incidere sui poteri legislativi, sui diritti di proprietà o su ogni altra attribuzione dei
Parlamenti o dei governi provinciali, però, ogni Provincia può emanare una risoluzione di dissenso che
rende inapplicabile la modifica all’interno del proprio territorio (procedura di opting out ai sensi della sez.
38.3). Ed in caso di trasferimento dalle Province alla Federazione di competenze relative alla cultura o
all’educazione, la sez. 40 prevede una “giusta compensazione” (reasonable compensation) in modo che le
Province non siano forzate a cedere le proprie attribuzioni per ragioni di carattere finanziario.
E’ inoltre prevista una lista di materie per cui la revisione costituzionale può aver luogo solo con
l’assenso unanime delle Camere federali e di tutte le province (unanimity procedure, sez. 41). Così, per
modificare la composizione della Corte Suprema (in cui siedono tre giudici di lingua francese) o l’utilizzo
della lingua inglese o francese o il diritto di ogni Provincia di avere un numero di deputati alla Camera dei
Comuni non minore dell’originario numero di senatori, è prevista una procedura che può essere bloccata
dal veto di un’unica Provincia. Infine, per la modifica delle sezioni che si applicano ad alcune sole Province
(è il caso della sez. 133 del Constitution Act del 1867 che prevede l’uso del francese nel Parlamento
legge, “partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari e provvedono alla loro attuazione ed
esecuzione” oltre a contemplare una riserva di legge in materia di modalità dell’esercizio del potere sostitutivo. Tali testi
sono inseriti al sito http://194.184.199.200/parlam/bicam/rifcost/ressten/sed07102.htm.
federale ed in quello del Québec) la sez. 43 limita la procedura alle sole parti interessate, escludendo che la
maggioranza delle altre possa imporre la propria volontà (some-but-not-all-provinces procedure)26.
Esempi di questo genere dimostrano come, in presenza di alcune peculiarità nei meccanismi
assembleari di votazione, le componenti federate che rappresentano minoranze etniche possano porsi,
nonostante il ridotto peso numerico, come parti influenti che possono incidere con grande efficacia
all’interno delle decisioni a livello federale.
5.3 I sistemi elettorali
I differenti sistemi elettorali offrono un secondo scenario entro cui poter individuare strumenti che
favoriscono la rappresentanza politica delle minoranze etniche. Illustreremo dapprima alcune tipologie di
voto che, senza prevedere alcuna disposizione specifica, possono facilitare tale rappresentanza in presenza
di alcune variabili, per poi dedicarci agli strumenti che, apportando discipline derogatorie, favoriscono
oggettivamente gli esiti rappresentativi della minoranza. Fra questi - vedremo - taluni mezzi possono
assumere un grado di efficacia talmente elevato da poter essere considerati alla stregua degli strumenti di
garanzia della rappresentanza delle minoranze.
a) Alcuni sistemi elettorali, senza portare alcuna deroga al fine di tutelare la rappresentanza
minoritaria o alcuna variazione in materia di eguaglianza del voto, si prestano in presenza di un determinato
comportamento elettorale di minoranza e maggioranza a favorire, pure indirettamente, l’elezione di membri
del gruppo minoritario.
Quello che potremmo chiamare voto cumulativo consiste in un sistema di norma collegato al
maggioritario in cui ogni elettore ha a disposizione non un solo voto, ma una pluralità di voti il cui numero
può arrivare fino al totale dei seggi da assegnare nel distretto. L’efficacia in vista di una rappresentanza
minoritaria propria è dovuta al fatto che gli elettori della minoranza possono concentrare, cumulare
appunto, il numero totale dei propri voti a favore dello stesso candidato (di minoranza), nella speranza che
gli elettori della maggioranza non facciano altrettanto e distribuiscano i propri voti ad una pluralità di
candidati.
In situazioni in cui la minoranza etnica si presenta politicamente compatta e la maggioranza divisa, le
possibilità che il rappresentante della minoranza possa concentrare sulla sua candidatura tutti i voti del
gruppo di cui è espressione sono molto alte e molto alta, di conseguenza, risulta la probabilità di una sua
elezione. Sistemi del genere sono stati adottati in alcuni Stati americani (in Illinois dal 1880 al 1980) per
l’elezione di corpi come gli School Boards o i Corporate Boards of Directors ed hanno permesso di
eleggere alcuni candidati delle comunità nere ed ispaniche27.
Una variante meno efficace di tale meccanismo consiste nel single-shot voting, in cui, con la
facoltà di esprimere più preferenze per candidati diversi, gli elettori della minoranza decidono di esprimere
un solo voto per il proprio rappresentante, nella speranza che alcuni elettori della maggioranza votino anche
per quest’ultimo28.
In generale, il sistema elettorale proporzionale appare intuitivamente più idoneo rispetto al
maggioritario a favorire la rappresentanza di piccoli gruppi e, fra essi, delle minoranze etnico-linguistiche.
Su questa linea, ad esempio, il primo comma dell’art. 61 dello Statuto di autonomia del Trentino-Alto
26
Da tali esempi si può apprezzare il peso dei residui contrattualistici alla base dell’ordinamento canadese, che sembra
perdere in sede di revisione costituzionale i caratteri tipici delle unioni federali per conservare quelli della confederazione
(in particolare l’unanimità nelle votazioni).
27
Al riguardo, cfr. C. DAVIDSON, Minority Vote Dilution, Washington, D.C., 1989, 255 e ss.; L. GUINIER, The Tyranny of
the Majority. Fundamental Fairness in Representative Democracy, New York, 1994, 122 e ss.; A. PEACOCK (ed.),
Affirmative Action and Representation: Shaw v. Reno and the Future of Voting Rights, Durham, 1997, passim.
28
Cfr. A.M. T HERNSTROM, Whose Vote Count? Affirmative Action and Minority Voting Rights, Cambridge, 1987, passim.
Adige, nell’interpretazione deducibile da una recente sentenza della Corte costituzionale, ritiene già
sufficientemente favorita la rappresentanza dei vari gruppi linguistici all’interno degli enti pubblici locali
dall’applicazione del sistema proporzionale29.
In realtà, l’efficacia in senso di rappresentanza minoritaria dei diversi sistemi elettorali dipende da
una serie di variabili legate sia alle caratteristiche (numeriche, di omogeneità politica, di distribuzione
geografica) della minoranza che ad alcune specificità del sistema medesimo (presenza di clausole di
sbarramento o di premi di maggioranza condizionati, forma e dimensioni delle circoscrizioni elettorali,
calcolo per la distribuzione dei resti, ecc.). Un esempio di come tali variabili possano combinarsi a favore o
a svantaggio del gruppo minoritario è fornito dalla evoluzione del sistema elettorale in Carinzia.
Fino alla fine degli anni ’70 tutto il territorio del Land costituiva a fini elettorali un’unica
circoscrizione. Tale disposizione aveva permesso che la minoranza slovena, distribuita un po’ su tutto il
territorio austriaco anche se maggiormente concentrata nel sud-est, potesse costituire un numero sufficiente
ad eleggere (in una sorta di collegio volontario) un proprio rappresentante. Nel 1979, però, a seguito di
una decisione del Tribunale costituzionale, la Costituzione venne revisionata in modo da dividere il territorio
carinzio in quattro diversi collegi elettorali. La conseguenza di tale modifica fu una “diluzione” dei cittadini di
origine slovena nei diversi collegi tale da impedire loro di raggiungere, all’interno di un distretto, i numeri
necessari per controllare l’elezione di un deputato30.
b) La capacità di un sistema elettorale maggioritario di favorire una rappresentanza propria delle
minoranze etnico-linguistiche - e veniamo agli strumenti che al di là del mero comportamento elettorale di
maggioranza e minoranza, favoriscono oggettivamente la rappresentanza minoritaria - si collega,
tipicamente, alla mappa delle circoscrizioni elettorali. In questo senso, un distretto che riesca a raccogliere
al proprio interno una maggioranza di elettori appartenenti alla minoranza (un majority-minority district,
nell’esperienza statunitense) permetterà, a condizione di una per lo meno relativa omogeneità politica,
l’elezione di un candidato da essa espresso.
L’esperienza statunitense ha dimostrato come attraverso le operazioni di formazione della mappa
elettorale si potesse assicurare che comunità nere o ispaniche relativamente coese eleggessero un proprio
candidato; e questo anche attraverso la formazione di circoscrizioni che derogassero ai criteri di forma
normalmente impiegati.
In estrema sintesi, può in questa sede ricordarsi come dalla originaria legittimazione costituzionale
della schiavitù (art. I, sezz. 2 e 9, art. IV, sez. 2; caso Dred Scott v. Sanford del 1857: Stato
nazionalista repressivo)31 gli Stati Uniti siano passati ad una sua condanna esplicita e al divieto di limitare
il diritto di voto per ragioni di razza o di precedente condizione servile (XIII, XIV e XV emendamento:
Stato liberale agnostico). Nel 1965 una legge federale (il Voting Rights Act) ha espressamente vietato il
fenomeno della vote dilution per motivi razziali, vale a dire l’operazione tesa a disegnare una mappa delle
circoscrizioni elettorali tale da frammentare le minoranze etniche all’interno di una pluralità di collegi,
rendendone impossibile il raggiungimento delle dimensioni necessarie a controllare o influenzare gli esiti
delle rispettive votazioni. Si cominciava in questo senso a favorire la rappresentanza politica delle
minoranze etnico-razziali, anche a scapito della frammentazione di altre comunità, come quelle religiose
(Stato promozionale)32.
Nel 1982, inoltre, alcune modifiche al Voting Rights Act hanno pure contraddittoriamente previsto
che uno degli elementi di prova di una limitazione del diritto di voto per ragioni razziali o linguistiche fosse
desumibile dal numero (eventualmente scarso) di membri della minoranze risultati eletti. Sulla base di tale
29
Si tratta della sentenza n. 261 del 1995 su cui R. TONIATTI, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i
ladini fra rappresentanza “assicurata” e “garantita”, in Le regioni, 1995, 1271 e ss.
30
Cfr. F. M ATSCHER, Austria, Federalism and Protection of Minorities, cit., 338.
31
Si tratta del caso Dred Scott v. Sandford, 60 U.S. (19 How.) 393 (1857).
32
Ci riferiamo a United Jewish Organizations of Wiliamsburg v. Carey, 430 U.S. 144 (1977).
disposizione, alcune commissioni incaricate di formare la mappa elettorale dei collegi uninominali
disegnarono alcuni distretti dalla forma davvero bizzarra, al fine di raccogliere al loro interno il maggior
numero possibile di elettori di colore. Si voleva in questo modo far corrispondere la percentuale di neri
eletti con la rispettiva percentuale demografica, avvicinandosi, pur tendenzialmente, al modello di
rappresentanza descrittiva 33.
A fronte di tali operazioni che contraddicevano i criteri di compattezza geografica generalmente
impiegati per la formazione delle circoscrizioni elettorali, però, la Corte Suprema ha accolto le istanze di
alcuni elettori bianchi, secondo cui la mappa andava dichiarata incostituzionale in quanto formata sulla base
di considerazioni di prevalente natura razziale34. E anche a motivo della contraddittorietà delle norme del
Voting Rights Act con cui si è tentato di dare una rappresentanza adeguata alle minoranze etniche, le
azioni di racial gerrymandering, come sono state definite, sono oggi al centro di una critica crescente e si
trovano ostacolate da nuove e vecchie judicial philosophies che vogliono ricondurre l’ordinamento
statunitense ai principi di rappresentanza e di eguaglianza formale tipici dello Stato liberale agnostico35.
In altri paesi, tuttavia, tale strategia è utilizzata in vista di una rappresentanza minoritaria. In
Finlandia, le Isole Åland formano uno speciale distretto cui è attribuito un seggio in Parlamento; in Ungheria
la legge elettorale dispone che il carattere etnico della popolazione debba essere tenuto in considerazione in
sede di formazione della mappa elettorale; i Cantoni svizzeri costituiscono i collegi per le elezioni del
Parlamento federale ed alcuni Stati della Federazione russa, come la Repubblica di Sakha (Iakontie),
prevedono a livello costituzionale la possibilità di disegnare circoscrizioni con un minor numero di elettori
nelle zone in cui siano stanziate popolazioni con caratteri specifici propri. L’ordinamento canadese, ancora,
potrebbe muoversi in questa direzione al fine di permettere una presenza maggiore di rappresentanti delle
aboriginal peoples a livello assembleare36.
E un’applicazione di tale strategia di tutela è rinvenibile anche nel sistema elettorale misto italiano,
per quanto riguarda la formazione delle circoscrizioni elettorali per l’elezione di deputati e senatori.
L’art. 7 della legge 276 del 1993 per l’elezione del Senato dispone che i criteri per la
determinazione dei collegi uninominali comprendano: la “coerenza del bacino territoriale di ciascun collegio,
avuto riguardo alle caratteristiche economico-sociali e storico-culturali del territorio”; la tendenziale
comprensione di un “territorio continuo” e un limite del 10%, per eccesso o per difetto, alla deviazione
rispetto al principio dell’equipopolazione dei collegi. La lettera d) dello stesso articolo, peraltro, detta:
d) nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute, l’ampiezza e la delimitazione dei collegi
devono favorirne l’accesso alla rappresentanza, anche in deroga ai princìpi e criteri indicati nelle altre lettere
37
del presente comma; a tal fine, le minoranze predette devono essere incluse nel minor numero di collegi .
33
Cfr. B. GROFMAN, C. DAVIDSON, Controversies in Minority Voting. The Voting Rights Act in Perspective, Washington,
D.C., 1992. Una serie di riflessioni tuttora attuali in G. BOGNETTI, Malapportionment. Ideale democratico e potere
giudiziario nell’evoluzione costituzionale degli Stati Uniti, Milano, 1966.
34
Shaw v. Reno, 113 S. Ct. 2816 (1993).
35
Un ultimo caso è Miller v. Johnson, 115 S. Ct. 2475 (1995) in cui la mappa elettorale è stata dichiarata incostituzionale,
nonostante la forma regolare, perchè motivata da considerazioni che trovavano un’eccessivo fondamento in ragioni di
carattere razziale. In generale, al riguardo, A. PEACOCK (ed.), Affirmative Action and Representation: Shaw v. Reno and
the Future of Voting Rights, cit.; E. CECCHERINI, Eguaglianza del voto e rappresentatività delle minoranze: recenti
orientamenti giurisprudenziali negli Stati Uniti, in Quaderni costituzionali, 1997, 311 e ss. e, ci si consenta, C.
CASONATO, Minoranze etniche e rappresentanza politica: i modelli statunitense e canadese, Trento, 1998.
36
In proposito, cfr. D. SMALL, Pour une meilleure représentation des autochtones dans le cadre du système actuel de
délimitation des circonscriptions, in D. SMALL (dir.), La délimitation des circonscriptions au Canada. Pour un vote égal et
efficace, Toronto, 1991, 341 e ss.
37
L’intero articolo recita:
“a) deve essere garantita la coerenza del bacino territoriale di ciascun collegio, avuto riguardo alle caratteristiche economico-sociali e
storico-culturali del territorio;
b) i collegi devono essere costituiti da un territorio continuo, salvo il caso in cui il territorio comprenda porzioni insulari;
Per quanto riguarda la Regione Trentino-Alto Adige, inoltre, va ricordato che i sette collegi
senatoriali ad essa attribuiti (sei in collegi uninominali) sono definiti dalla legge 30 dicembre 1991, n. 422
che non si ritiene modificata dalla 27638. Da tale normativa discende che, a fronte di una media nazionale in
cui ogni collegio senatoriale contiene circa 250.000 abitanti, quelli costituiti in Regione contengono una
media di 148.393 ab., e rispettivamente: 154.000 ab. il collegio n. 1 (Bolzano-Salorno e zona a sudovest); 130.000 ab. il n. 2 (nord-ovest: Venosta, Merano, ecc-); 155.000 il n. 3 (nord-est: Bressanone,
Brunico, ecc.); 200.000 ab. il n. 4 (Trento e zona nord-ovest) con uno scostamento dalle media regionale
del + 51.8%; 149.000 il n. 5 (Trentino sud-ovest: Rendena, Bleggio, Ala, ecc.); 100.000 il n. 6 (Trentino
orientale: Fiemme, Fassa, Mocheni, Cimbri) con una deviazione del - 47.7%. In questo senso, gli elettori
del Trentino-Alto Adige hanno a disposizione una “capacità di voto” superiore a quella dei cittadini delle
altre Regioni e, a livello regionale, gli elettori del distretto n. 6 godono di un voto il cui peso specifico, il cui
valore è doppio rispetto a quelli espressi nel distretto n. 4.
La mappa dei collegi per l’elezione della Camera dei deputati non presenta simili differenze fra
Regioni39. La legge 277 del 1993 sulla relativa elezione, pure, contiene la possibilità di deroghe per le zone
occupate da minoranze linguistiche. L’art. 7, dopo aver ricordato criteri analoghi a quelli impiegati per il
Senato, conferma:
Nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute, la delimitazione dei collegi, anche in
deroga ai principi ed ai criteri indicati nella presente lettera, deve tener conto dell’esigenza di agevolare la loro
inclusione nel minor numero possibile di collegi.
(...) Allo scopo di dare attuazione a quanto previsto (...) per le zone in cui siano presenti minoranze
linguistiche riconosciute, gli scarti dalla media circoscrizionale della popolazione sono giustificati non oltre il
40
limite del quindici per cento, in eccesso o in difetto.
c) i collegi non possono dividere il territorio comunale, salvo il caso dei comuni che, per le loro dimensioni demografiche, comprendano
al loro interno più collegi; in tal caso, ove possibile, il territorio del comune deve essere suddiviso in collegi formati nell’ambito del
medesimo comune o della medesima area metropolitana istituita ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 giugno 1990, n. 142;
d) nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute, l’ampiezza e la delimitazione dei collegi devono favorirne l’accesso
alla rappresentanza, anche in deroga ai princìpi e criteri indicati nelle altre lettere del presente comma; a tal fine, le minoranze predette
devono essere incluse nel minor numero di collegi. La ripartizione del territorio della regione Friuli-Venezia Giulia, disposta dalla legge
14 febbraio 1963, n. 55, è modificata a norma del presente articolo;
e) la popolazione di ciascun collegio può discostarsi dalla media della popolazione dei collegi della regione di non oltre il dieci per cento,
per eccesso o per difetto; tale media si ottiene dividendo la cifra della popolazione della regione, quale risulta dall’ultimo censimento
generale, per il numero di collegi stabilito a norma dell’articolo 1, comma 2, della citata legge 6 febbraio 1948, n. 29, come sostituito
dall’articolo 1 della presente legge;
f) compatibilmente con il rispetto dei criteri di cui alle lettere precedenti, i collegi non possono includere il territorio di comuni
appartenenti a province diverse e devono essere formati tenendo conto della delimitazione dei collegi di cui alla legge 8 marzo 1951, n.
122, e successive modificazioni, per l’elezione dei consigli provinciali.”
38
Al riguardo, in generale, cfr. B. MARCHETTI , Collegi uninominali del Senato, in AA.VV., Commentario delle norme di attuazione dello
Statuto speciale di autonomia, Trento, 1995, 41 e ss.
39
I collegi elettorali disegnati per la Camera dei deputati raccolgono una media, a livello nazionale, di circa 120.000 ab. ciascuno. Per
quanto riguarda il Trentino-Alto Adige, la deviazione è limitata: la media è di 111.295 ab. per collegio con scostamenti interni abbastanza
ridotti (unico collegio a scostarsi in misura maggiore del 6% è il n. 2 che con un totale di 95.000 ab. ha una media del -16%: zona attorno
Bolzano, Renon, Gardena, Sarentino e a sud fino a Salorno). Le popolazioni mochene e cimbre sono inserite in due differenti collegi:
mentre i comuni mocheni sono inseriti nello stesso collegio di quelli ladini (il n. 8 con 109.000 ab), Luserna è nel n. 6 (116.000 ab. con
Riva, Lavarone, Ala, ecc.). Un commento in P. GENTILE, Collegi uninominali della Camera , in AA.VV., Commentario delle norme di
attuazione dello Statuto speciale di autonomia , cit., 47 e ss.
40
L’intero articolo prevede che:
“a) i collegi sono costituiti garantendo la coerenza del relativo bacino territoriale e di norma la sua omogeneità economico-sociale e le sue
caratteristiche storico-culturali; essi hanno un territorio continuo salvo il caso in cui il territorio comprenda porzioni insulari. I collegi,
di norma, non possono includere il territorio di comuni appartenenti a province diverse, né dividere il territorio comunale, salvo il caso
dei comuni che, per le loro dimensioni demografiche, comprendano al loro interno più collegi. In quest’ultimo caso, ove possibile, il
comune deve essere suddiviso in collegi formati nell’ambito del comune medesimo o della medesima città metropolitana istituita ai
sensi dell’articolo 18 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute, la
delimitazione dei collegi, anche in deroga ai principi ed ai criteri indicati nella presente lettera, deve tener conto dell’esigenza di
agevolare la loro inclusione nel minor numero possibile di collegi;
b) la popolazione di ciascun collegio può scostarsi dalla media della popolazione dei collegi della circoscrizione non oltre il dieci per cento,
in eccesso o in difetto. Tale media si ottiene dividendo la cifra della popolazione della circoscrizione, quale risulta dall’ultimo
Nella stessa ottica, anche se proponendosi risultati più efficaci, si muove il testo unificato dei
progetti di modifica allo Statuto speciale di autonomia del Trentino-Alto Adige del 5 giugno 1997
attualmente all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera. L’articolo 2 di tale proposta
dispone che ai sette comuni fassani in cui vive la popolazione ladina sia attribuito un seggio del collegio
provinciale di Trento. Si è voluto seguire, in questo modo, una soluzione su base territoriale evitando, anche
se solo formalmente, la valenza derogatoria del seggio riservato41.
Già da questa breve analisi emergono alcuni elementi della rappresentanza etnica favorita attraverso
il ritaglio dei collegi elettorali che si pongono in contrasto con le caratteristiche tipiche della rappresentanza
di derivazione liberale: la costituzione delle premesse per una rappresentanza di carattere locale e limitata
agli interessi del gruppo di appartenenza contro il principio per cui ogni deputato rappresenta l’intera
nazione e in contraddizione con il divieto di mandato imperativo; la diseguale composizione numerica dei
distretti e la conseguente inevitabile disparità di “peso specifico” dei voti espressi dagli elettori di quel
collegio rispetto ai voti espressi negli altri distretti, contro il principio che vuole il voto eguale per tutti.
Non pare, peraltro, che in Italia, in presenza di una disposizione costituzionale che attribuisce alla
Repubblica il potere di tutelare con apposite norme le minoranze linguistiche (art. 6 della Costituzione), gli
strumenti elettorali finalizzati alla rappresentanza etnica favorita debbano essere previsti da norme di rango
costituzionale (in questo senso, nessuno ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale nei confronti degli
articoli citati delle leggi 276 e 277). Posizione affatto diversa, invece, sarebbe assunta, a detta della Corte
costituzionale, dai mezzi attraverso cui assicurare una rappresentanza etnica garantita; la sentenza 233 del
1994 è, a questo proposito, chiarissima nell’imporre l’utilizzo di norme di rango costituzionale per la
previsione di quote riservate per le popolazioni ladine del Trentino42.
Ma se la legittimità costituzionale delle deroghe all’eguaglianza del voto inserite nelle leggi per
l’elezione di Camera e Senato è ancorata all’art. 6 della Costituzione, bene potrebbe esserlo - e maggior
ragione visto l’art. 2 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige - anche la conformità costituzionale di
una legge regionale di garanzia della rappresentanza politica consiliare delle popolazioni ladine del
Trentino43.
Passando ad altri strumenti previsti in ordinamenti esteri, ricordiamo un sistema adottato in via del
tutto eccezionale da alcuni comuni in Belgio che, per favorire la rappresentanza propria di gruppi minoritari,
consente agli elettori che si dichiarino membri di una minoranza non rappresentata nelle liste dei candidati
del proprio distretto di appartenenza di recarsi a votare in un altro distretto in cui tali candidature siano
censimento generale, per il numero dei collegi uninominali compresi nella circoscrizione. Allo scopo di dare attuazione a quanto
previsto nella lettera a) per le zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute, gli scarti dalla media circoscrizionale della
popolazione sono giustificati non oltre il limite del quindici per cento, in eccesso o in difetto. Il numero dei collegi uninominali
compresi in ogni circoscrizione è determinato dal prodotto, con arrotondamento all’unità superiore qualora la cifra decimale sia uguale
o superiore a 50, ottenuto moltiplicando per 75 il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione diviso per 100.
41
Un elemento di deroga residua, comunque, per il fatto che la popolazione del distretto ladino corrisponde a meno dei
due terzi degli altri distretti regionali.
42
Si tratta di una pronuncia di illegittimità costituzionale della delibera legislativa, approvata per la seconda volta dal
Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, in cui si prevedeva una rappresentanza garantita delle popolazioni ladine
della Provincia di Trento nel rispettivo Consiglio provinciale e regionale, sulla falsariga di quanto disposto per i ladini
della Provincia di Bolzano dall’art. 62 dello Statuto.
La motivazione della sentenza ricorda come la tutela minoritaria “non possa superare certi limiti, dovuti ad una serie di diverse
considerazioni (...) e soprattutto al necessario contemperamento di questa esigenza con altri valori meritevoli di tutela”; concludendo che
“non appare consentito che la stessa operazione di bilanciamento possa essere compiuta anche da parte del legislatore regionale”. Soluzione
diversa, forse, si sarebbe potuta ottenere comparando la delibera legislativa con le leggi sull’elezione di Camera e Senato, e ritenendo
entrambe “coperte” dalla previsione costituzionale dell’art. 6.
43
Convincenti considerazioni al riguardo in A. P IZZORUSSO , La minoranza ladino-dolomitica come minoranza linguistica riconosciuta, in
Giurisprudenza costituzionale, 1994, 3005; S. BARTOLE, Un caso di insoddisfacente overruling in tema di tutela delle minoranze in materia
elettorale, ivi, 4095 e ss.
presenti44. La rilevanza di tale soluzione risale ad una prospettiva incentrata sulla base personale anziché
(solo) territoriale della tutela minoritaria. Non è necessario, infatti, perché l’elettorato minoritario possa
svolgere un’azione anche efficace, che esso costituisca un gruppo compatto e concentrato sul proprio
territorio: la residenza geografica con i rispettivi limiti a livello di potenzialità rappresentativa viene affiancata
ad una scelta del tutto personale e volontaria.
Un’altra misura per favorire, secondo le strategie del modello promozionale, la rappresentanza delle
minoranze etnico-linguistiche consiste nel limitare l’operatività delle clausole di sbarramento previste in via
generale. A livello federale e nei Länder tedeschi dello Schleswig-Holstein e della Sassonia, ad esempio, la
clausola del 5% non si applica alle liste costituite da partiti di minoranze nazionali, in modo da favorire - o
almeno da non precludere - l’elezione di candidati della minoranza45; e anche in Polonia, le minoranze di
origine tedesca o bielorussa godono di una simile misura46.
Una soluzione del tutto simile è stata adottata nel 1996 in Nuova Zelanda per i partiti
rappresentativi delle popolazioni dei Maori. La strategia complessiva tesa alla rappresentanza di tali ultime
minoranze, inoltre, si arricchisce di una quota riservata di cinque seggi (in un Parlamento monocamerale), in
modo che i membri della minoranza possano scegliere se iscriversi nelle liste generali o in quelle ad essi
riservate47.
Tale strategia è stata rifiutata dal Parlamento italiano che, sostenuto a posteriori dalla sentenza n.
438 del 1993 della Corte costituzionale, non ha inteso modificare in vista di una rappresentanza minoritaria
la percentuale di voti ottenuti a livello nazionale prevista (4%) per poter accedere alla assegnazione dei
seggi attribuiti in via proporzionale alla Camera dei deputati48. E nessuna limitazione all’applicazione della
soglia del 5% per il Trentino e del quoziente naturale del 2,8% in Alto Adige è prevista dal disegno di legge
regionale 65/96 approvato dal Consiglio regionale in data 8 aprile 1998 in favore di liste di candidati
appartenenti alle minoranze49.
Un altro strumento di fortissimo sostegno in via derogatoria della rappresentanza etnica è previsto in
alcuni ordinamenti che consentono alle minoranze di votare secondo procedure e regole del tutto
particolari. A Cipro, nello Zimbabwe, in Nuova Zelanda, i membri di alcune minoranze etnico-linguistiche
avevano o hanno il diritto di iscriversi in un registro (etnico) elettorale specifico, di votare in un distretto
(etnico) differente da quello nazionale, per candidati (etnici) espressione diretta dei gruppi stessi50.
44
Cfr. la relazione di M. BECKERS, Grundsätze und Verfahren des belgischen Wahlrechts unter besonderer Berücksichtigung der deutschen
Gemeinschaft, presentata al convegno di studio “Minoranze e diritto elettorale”, Bolzano, 17-18 ottobre 1996 i cui Atti sono in corso di
pubblicazione.
45
Cfr. H. STEINBERG , Germany, Protection of Minorities in Federale and Regional States, in COUNCIL OF EUROPE , EUROPEAN
COMMISSION FOR DEMOCRACY THROUGH LAW , cit., 383 e ss.
46
Cfr. A. ROCHOWICZ, National Minorities in Poland, in J. P ACKER, K. MYNTTI , (ed.) The Protection of Ethnic and Linguistic Minorities
in Europe, cit., 105 e ss.
47
Cfr. G.E. VIGEVANI, “Verso una democrazia più giusta”: l’adozione di un sistema elettorale di tipo proporzionale in
Nuova Zelanda, in Quaderni costituzionali, 1996, 104 e ss.
48
La Corte, investita della questione da parte della Provincia di Bolzano sugli articoli 1 e 5 della legge n. 277 del 1993 per
l’elezione della Camera dei deputati, afferma che “la tutela delle minoranze linguistiche locali è espressamente compresa
fra gli interessi nazionali” e che “alla minoranza di lingua tedesca e ladina è costituzionalmente garantito il diritto di
esprimere in condizioni di effettiva parità la propria rappresentanza politica”. Ciononostante, la Corte decide per
l’inammissibilità a fronte di un pluralità di soluzioni politicamente possibili la cui valutazione compete al Parlamento: in
prospettiva critica cfr. S. BARTOLE, Ancora un caso di “inquietante inammissibilità”, in Giurisprudenza costituzionale,
1994, 424 e ss.; P. CARROZZA, L’inammissibilità per discrezionalità del legislatore. Spunti per un dibattito sui rischi di una
“categoria a rischio”, in Le Regioni, 1994, 1073 e ss.
49
Da ricordarsi come una precedente proposta (dell’assessore Chiodi) prevedesse, invece, un delicato sistema di premi di maggioranza
condizionati, in Alto Adige, al carattere interetnico delle liste. In materia era stata convocata la cd. Commissione Paladin che, nelle sue due
relazioni finali, aveva illustrato fra l’altro il grado di fattibilità, a Statuto immodificato, di una modifica del sistema che garantisse, al
contempo, governabilità e rappresentanza delle minoranze.
50
Cfr. J.A. SIGLER, Minority Rights. A Comparative Analysis, Westport - London, 1983, 111 e ss., 178 e ss.
Anche qui lo strappo alle regole della rappresentanza politica di stampo liberale sono evidenti:
riconoscimento dell’elemento etnico come fattore discriminante (ancorché in positivo) all’interno della
nazione (cittadinanza nazionale e “cittadinanza elettorale etnica”); conseguente riconoscimento esplicito di
una rappresentanza etnica differenziata da quella nazionale; disparità di diritti fra elettore ed elettore;
sostituzione dell’elemento personale e volontario a quello geografico come criterio per la formazione della
mappa elettorale 51.
Collegati ad alcuni degli strumenti da ultimo analizzati si ritrovano le forme di garanzia della
rappresentanza politica delle minoranze etniche.
51
In questo senso, anche se solo in prospettiva di minoranze politiche, i “collegi volontari” di Hare tanto criticati da
Walter Bagehot: cfr. W. BAGEHOT , La Costituzione inglese, Bologna, 1995, 156 e ss.
6
La rappresentanza garantita
attraverso i sistemi elettorali
Gli strumenti generalmente utilizzati per garantire che alcune minoranze etnico-linguistiche siano
rappresentate a livello parlamentare sono di norma previsti a livello costituzionale e comprendono il ricorso
a quote riservate di seggi da attribuire in via derogatoria ed esclusiva agli esponenti espressione delle stesse
minoranze.
La composizione del Senato belga è stata profondamente modificata con la riforma costituzionale
del 1993 ed oggi risponde a criteri di appartenenza etnica molto complicati. L’art. 67 della Costituzione
prevede che su un totale di 71 senatori, 41 siano eletti in forma diretta: 25 nel collegio elettorale fiammingo
e 15 in quello francese. Il fatto che nessun senatore tedesco sia eletto in questa fase e che la proporzione di
25 a 15 non corrisponda al rapporto numerico fra il gruppo fiammingo e quello francese costituiscono una
deviazione dal principio di rappresentanza proporzionale-descrittiva. Altri 21 senatori, cd. comunitari, sono
eletti fra i membri dei rispettivi Consigli con procedura di secondo grado: 10 dal Consiglio della Comunità
francese, 10 dal Consiglio della Comunità fiamminga e 1 dal Consiglio della Comunità germanofona. I
rimanenti 10 senatori sono cooptati e vengono eletti: 6 dai 25 senatori eletti dal collegio neerlandese
assieme ai 10 senatori comunitari fiamminghi e 4 dai 15 senatori eletti dal collegio francese assieme ai 10
senatori comunitari francesi52.
L’esito di tale articolato meccanismo vede la costituzione in Senato di tre gruppi linguistici: il gruppo
vallone composto da 41 senatori, quello francese di 29 senatori e quello tedesco composto da un singolo
membro. E un meccanismo simile di seggi riservati per appartenenza etnica è previsto per l’elezione al
Parlamento europeo53. A motivo di tale composizione, quello belga si presenta come un caso emblematico
di federalismo etnico al cui interno il Senato è deputato a rappresentare i differenti gruppi linguistici
piuttosto che le articolazioni istituzionali territoriali. In quest’ottica, si spiega come le dinamiche di tale
federalismo si fondano con la strategia delle quote riservate ai fini di predisporre una mappa
rappresentativa che corrisponda, almeno in via tendenziale, alla consistenza demografica dei tre gruppi
etnici54.
52
L’art. 67 si conclude dettando che almeno uno dei senatori del gruppo fiammingo e almeno sei senatori del gruppo
francese devono risiedere, il giorno delle elezioni, nella Regione bilingue di Bruxelles-capitale; e se almeno quattro dei
senatori eletti dal collegio francese non sono ivi residenti, almeno due senatori comunitari dello stesso gruppo devono
esserlo. La legge elettorale, per concludere, prescrive, pure senza indicare alcuna sanzione, che ogni Provincia sia
rappresentata in Senato da almeno un membro.
53
In proposito, cfr. F. DELPÉRÉ (a cura di), L’ordinamento federale belga, Torino, 1996, 198 e ss.; G. LOMBARDI, Un “caso” complesso:
il Belgio, in N. OLIVETTI RASON , L. P EGORARO (a cura di), Esperienze federali contemporanee, Padova, 1996, 20 e ss.
54
In altri paesi quali la Svizzera o il Canada l’ordinamento non prevede un sistema di quote in Parlamento in quanto,
nell’ottica federalista sopra illustrata, la presenza rispettivamente dei gruppi linguistici a livello cantonale o della
popolazione francofona costituisce una conseguenza diretta dei normali meccanismi elettorali. La rappresentanza etnica è
quindi spontaneamente realizzata senza la necessità di introdurre norme giuridiche elettorali di natura derogatoria che
forzino il dato rappresentativo reale.
Anche lo Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige nella sua seconda versione offre una serie di
interessanti dati in materia di composizione etnica dei corpi consiliari e di quote riservate.
L’art. 62 prevede che le leggi sulle elezioni del Consiglio regionale e di quello provinciale di Bolzano
garantiscano la rappresentanza del gruppo linguistico ladino55. Stessa garanzia, inoltre, è estesa agli organi
collegiali degli enti pubblici locali, intendendosi, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 261
del 1995, quelli non elettivi56.
La Commissione istituita in caso di scioglimento del Consiglio regionale è formata da tre membri, di
cui uno di lingua tedesca (art. 33, terzo comma), mentre a seguito dello scioglimento del Consiglio
provinciale di Bolzano si deve nominare una Commissione che rifletta la “consistenza dei gruppi linguistici
che costituiscono la popolazione della Provincia stessa” (art. 49, terzo comma).
Gli artt. 30 e 49, inoltre, dispongono che i Presidenti rispettivamente del Consiglio regionale e
provinciale di Bolzano siano scelti alternativamente ogni metà legislatura dal gruppo linguistico italiano e
tedesco. Al riguardo, il testo unificato dei progetti di modifica allo Statuto speciale di autonomia all’esame
della Commissione Affari costituzionali della Camera prevede che gli stessi Presidenti possano venire scelti
anche tra i consiglieri del gruppo linguistico ladino57.
Anche in Nuova Zelanda - abbiamo visto - le popolazioni Maori hanno diritto ad una quota
riservata di cinque seggi all’interno del Parlamento.
La Costituzione slovena prevede all’art. 5 la garanzia dei diritti delle comunità etniche autoctone
italiana ed ungherese. In questo quadro di generale tutela, gli articoli 64 e 80 ne dispongono una
rappresentanza diretta a livello locale ed entro la Assemblea nazionale, sede in cui entrambi i gruppi hanno
il diritto di eleggere almeno un deputato ciascuna. A tal fine, la legislazione elettorale ha attribuito ai cittadini
appartenenti a tali minoranze il diritto di esprimere due voti per l’elezione della Assemblea nazionale: uno di
carattere strettamente politico e nazionale, al pari degli altri elettori, ed uno ulteriore (etnico) per una lista di
candidati espressi dalla stessa minoranza.
In Danimarca, è fissata una quota di due seggi per gli abitanti delle isole Faroe e della Groenlandia.
Anche in Romania alcuni seggi sono riservati, ad una serie di condizioni, ai rappresentanti delle minoranze,
mentre la Legge costituzionale croata sulle libertà e i diritti delle comunità nazionali e etniche o minoranze
del dicembre 1991 dispone che le minoranze la cui consistenza raggiunga l’8% della popolazione totale
debbano essere proporzionalmente rappresentate in Parlamento e che un numero massimo di cinque seggi
possa essere riservato anche a minoranze più ridotte, i cui deputati, con buona pace del principio di divieto
di mandato (pure espressamente previsto dall’art. 74 Cost.), hanno l’obbligo di proteggere i relativi
interessi (art. 18)58. E anche in altri ordinamenti non europei, quali il Sud Africa o l’India, la costituzione
degli organi rappresentativi risponde a logiche di spartizione etnica59.
Le forme di rappresentanza etnica garantita analizzate in questo paragrafo non possono che
sottolineare quel rapporto di scarsa coerenza con la rappresentanza politica di derivazione liberale che già
avevamo individuato trattando della rappresentanza etnica favorita. Da rilevarsi, pure, l’ambivalenza di
strumenti siffatti che, se assicurano che alcuni seggi rimangano nella disponibilità della minoranza,
55
Cfr. A. PIZZORUSSO , La “garanzia di rappresentanza” del gruppo linguistico ladino nel Consiglio regionale e nel
Consiglio provinciale di Bolzano, in Le Regioni, 1973, 1119 e ss.; IDEM, La minoranza ladino-dolomitica come minoranza
linguistica riconosciuta, in Giurisprudenza costituzionale, 1994, 3005 e ss.
56
Al riguardo, cfr. R. T ONIATTI , La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza “assicurata” e
“garantita”, cit., 1275 e ss.
57
57
Nella versione odierna, infatti, lo Statuto impedisce indirettamente la possibilità di eleggere un ladino alla Presidenza
del Consiglio regionale o provinciale di Bolzano.
58
Interessante notare come i rappresentanti di queste ultime minoranze siano delegati “di tutte le comunità nazionali e
etniche o minoranze dalle quali sono stati eletti e hanno l’obbligo di proteggere i loro interessi”: cfr. R. TONIATTI,
Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, cit., 300.
59
Cfr. J.A. SIGLER, Minority Rights. A Comparative Analysis, cit., 117 e ss.
comportano una ingessatura delle dinamiche di selezione democratica dei rappresentanti. Un sistema
costituzionale di quote riservate, inoltre, può, in ipotesi patologiche, corrispondere ad una mappa non tanto
delle differenti etnie quanto delle rispettive forze politiche ed economico-sociali60.
In presenza di simili rischi, è necessario che le disposizioni in materia di rappresentanza garantita
corrispondano a prese di coscienza limpide e a scelte politiche e sociali chiare e consapevoli e che
scaturiscano da processi legislativi del tutto trasparenti.
60
In questo senso può darsi una lettura della cd. questione vallona nel Belgio degli anni ’60: cfr. G. PECCOLO, Evoluzione
politico-istituzionale e riforma dello Stato, in F. DELPÉRÉE, (a cura di), L’ordinamento federale belga, cit., 47.
7
Strumenti di efficacia
della rappresentanza garantita
Da un’analisi di insieme di tali esperienze, emerge come la presenza dei rappresentanti della
minoranza etnico-linguistica all’interno delle camere assembleari possa, a seconda dei casi, risolversi in una
mera presenza simbolica o piuttosto dare corpo ad una significativa ed efficace influenza degli interessi
minoritari in sede di decisione politica. Tale esito dipende certamente da una serie difficilmente controllabile
o prevedibile di variabili, fra cui l’autorevolezza dei rappresentanti delle minoranze, la capacità di coalizione
delle relative politiche, la sensibilità dell’intero corpo elettorale alle tematiche etniche. Quanto può fare il
diritto, consiste nel disporre strumenti di efficacia che, traducendosi in modalità specifiche di voto o in
ricorsi politici o giurisdizionali, contribuiscano a dotare di incisività la presenza collegiale dei rappresentanti
della minoranza.
a) Già nell’ordinamento costituzionale che ha dato poi origine al federalismo belga, e ci riferiamo
alla Costituzione del 1970, troviamo la regola secondo cui le Camere erano divise per gruppi linguistici.
Per modificare le frontiere delle quattro Regioni linguistiche (francofona, danese, germanofona e bilingue di
Bruxelles-capitale) bisognava, e tuttora è necessario, adottare una legge secondo una procedura speciale
che richiede la maggioranza di due terzi dei voti nelle due Camere e la maggioranza dei voti all’interno di
ciascun gruppo linguistico.
Tale procedura richiama da vicino un altro ordinamento posto ai confini fra regionalismo e
federalismo: quello statutario del Trentino-Alto Adige. Anche qui il Consiglio regionale e quello provinciale
di Bolzano sono divisi in gruppi linguistici (art. 31) ed anche qui, per determinate materie, sono necessari
quorum particolari che si calcolano non solo su base individuale, ma anche collettiva; non solo in
riferimento all’appartenenza politica, ma anche a quella linguistica. L’art. 84 dello Statuto, così, prescrive
che le votazioni per i singoli capitoli del bilancio della Regione e della Provincia di Bolzano hanno luogo per
gruppi linguistici, su richiesta della maggioranza di uno di essi. E nel caso alcuni capitoli non ricevano la
maggioranza dei voti di ciascun gruppo linguistico “sono sottoposti nel termine di tre giorni ad una
commissione di quattro consiglieri regionali o provinciali, eletta (...) con composizione paritetica fra i due
maggiori gruppi linguistici e in conformità alla designazione di ciascun gruppo”61.
61
Si perde, in questo modo, la garanzia a tutela del terzo gruppo linguistico.
La continuazione dell’articolo contempla una serie di deroghe pesanti alle normali procedure di voto:
“La commissione di cui al comma precedente, entro quindici giorni, deve stabilire, con decisione vincolante per il consiglio, la
denominazione definitiva dei capitoli e l’ammontare dei relativi stanziamenti. La decisione è adottata a maggioranza semplice, senza che
alcun consigliere abbia voto prevalente.
Se nella commissione non si raggiunge la maggioranza su una proposta conclusiva, il Presidente del Consiglio regionale o di quello
provinciale trasmette, entro sette giorni, il progetto del bilancio e tutti gli atti e verbali relativi alla discussione svoltasi in Consiglio e in
commissione, all’autonoma sezione di Bolzano del tribunale regionale di giustizia amministrativa [la cui composizione ricordiamo è anche
paritetica ai sensi dell’art. 91 Stat.] che, entro trenta giorni, deve decidere con lodo arbitrale la denominazione dei capitoli non approvati e
l’ammontare dei relativi stanziamenti.
Le decisioni di cui al quarto e quinto comma del presente articolo non sono soggette ad alcuna impugnativa né a ricorso davanti la Corte
costituzionale.
Limitatamente ai capitoli definiti con la procedura di cui ai commi precedenti, la legge di approvazione del bilancio può
essere rinviata o impugnata dal Governo solo per motivi di illegittimità concernenti violazioni della Costituzione o del
presente statuto.”
Un carattere comune a entrambe le esperienze consiste nel fatto che uno dei tre gruppi linguistici
entro cui si struttura l’organo assembleare, e rispettivamente il gruppo tedesco per il Belgio e quello ladino
per il Trentino-Alto Adige, può essere formato, e nei fatti è formato, da un singolo componente. Ma nel
momento in cui si vota per gruppi linguistici il voto di tale singolo rappresentante vale quanto quello della
maggioranza dei membri degli altri due gruppi. Al di là della deviazione dal principio della parità del voto
individuale, riemerge in questo senso quel calcolo elettorale “par ordre” anziché “par tête” contro cui la
Rivoluzione francese aveva strenuamente (e vittoriosamente) combattuto e che pare collegarsi ad un
concetto di rappresentanza corporativa piuttosto che ad uno di rappresentanza politica di matrice
liberale.
Utilizzando le categorie che avevamo introdotto nella prima parte del lavoro, allora, possiamo
apprezzare proprio attraverso questi esempi l’efficacia protettiva del modello di Stato multinazionale
paritario, in cui il rapporto maggioranza-minoranza scompare per far posto ad una relazione fra gruppi
linguistici (nessuno dei quali propriamente maggioritario nè minoritario) titolari tutti di posizioni
giuridicamente eguali a prescindere dalle rispettive dimensioni numeriche. Su questa linea, può proporsi
come dato connotativo delle esperienze che si ricollegano a tale modello un trasferimento del principio di
eguaglianza dai singoli ai gruppi, con ulteriore deroga rispetto ai principi di origine liberale generalmente
accolti. Le misure richiamate, inoltre, evocano da vicino le dinamiche della democrazia consociativa i cui
singoli componenti, però, non sono individuati sulla base di criteri politici, ma in riferimento all’appartenenza
etnico-linguistica.
b) Oltre alle particolari modalità di voto che consentono alle minoranze di esercitare un’influenza
superiore rispetto a quanto potrebbero fare in base alla propria consistenza numerica, alcuni ordinamenti
dispongono strumenti di natura giurisdizionale o politica di vera e propria garanzia dell’azione di
rappresentanza e di tutela degli interessi minoritari.
Esemplare, al riguardo, l’art. 56 dello Statuto del Trentino-Alto Adige che, a determinate
condizioni, prevede, dopo un voto unitario per gruppo linguistico, la possibilità da parte della maggioranza
di ogni gruppo linguistico di impugnare la proposta di legge regionale o provinciale di Bolzano direttamente
di fronte alla Corte costituzionale per lesione della “parità dei diritti fra i cittadini dei diversi gruppi linguistici
o delle caratteristiche etniche e culturali dei gruppi stessi”62. L’efficacia della tutela delle rappresentanza
etnica, così, si sposta dal campo politico a quello giurisidizionale, comportando un ricorso di costituzionalità
che può configurarsi come un’ipotesi del tutto particolare, per quanto riguarda sia l’aspetto soggettivo che
oggettivo, di ricorso diretto63.
Un meccanismo simile, che però si risolve in un giudizio di natura politica e non giurisdizionale, è
previsto dalla sonnette d’alarme belga. L’art. 54 della Costituzione detta che, ad esclusione dei bilanci e
delle leggi che richiedono maggioranze qualificate, una mozione motivata firmata da almeno tre quarti di un
62
L’intero articolo detta:
“Qualora una proposta di legge sia ritenuta lesiva della parità dei diritti fra i cittadini dei diversi gruppi linguistici o delle caratteristiche
etniche e culturali dei gruppi stessi, la maggioranza dei consiglieri di un gruppo linguistico nel Consiglio regionale o in quello provinciale di
Bolzano può chiedere che si voti per gruppi linguistici.
Nel caso che la richiesta di votazione separata non sia accolta, ovvero qualora la proposta di legge sia approvata nonostante il voto
contrario dei due terzi dei componenti il gruppo linguistico che ha formulato la richiesta, la maggioranza del gruppo stesso può impugnare
la legge dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla sua pubblicazione, per i motivi di cui al precedente comma.
Il ricorso non ha effetto sospensivo.”
A tutt’oggi si conta solo un’applicazione concreta di tale misura che, a seguito del ricorso presentato dal consigliere ladino Willeit, si è
conclusa con la cit. sentenza 261 del 1995 della Corte costituzionale. Una seconda applicazione è presumibile attendersi in materia
elettorale, in riferimento al citato disegno di legge regionale n. 65/96, approvato in data 8 aprile 1998.
63
Autorevole dottrina individua, al riguardo, la tendenza ad un “riconoscimento, sia pure indiretto, della soggettività” delle minoranze in tal
modo tutelate: A. P IZZORUSSO , Le minoranze nel diritto pubblico interno, Milano, 1967, 65 e ss.; cfr. anche, in generale, E. REGGIO
D ’ACI, La Regione Trentino-Alto Adige, Milano, 1994, 483 e ss.
Con simile prospettiva, l’art. 92 dello Statuto attribuisce ai consiglieri regionali e provinciali di Bolzano la facoltà di impugnare di fronte
alla sezione autonoma di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa gli atti amministrativi degli enti ed organi della
pubblica amministrazione aventi sede in Regione.
gruppo linguistico può dichiarare che una proposta di legge sia di natura tale da danneggiare le relazioni tra
le Comunità. Tale mozione fa sospendere la procedura legislativa ed investe della questione il Consiglio dei
Ministri, il quale nell’arco di trenta giorni, emana una raccomandazione motivata e invita la “Camera a quo”
ad esprimere il proprio orientamento sulla raccomandazione o sulla proposta impugnata.
A parte la sospensione dell’iter legislativo, le differenze con il modello statutario trentino risiedono
principalmente nella natura dell’organo adito, la cui imparzialità, peraltro, dovrebbe essere garantita dal
carattere giurisdizionale, per quanto riguarda l’Italia, e dalla composizione linguisticamente paritaria, per il
Belgio: l’art. 99 della Costituzione belga, infatti, dispone che, con la possibile eccezione del primo ministro,
l’esecutivo federale comprende nello stesso numero membri francofoni e fiamminghi64.
Una caratteristica comune a tali strumenti consiste nel raro utilizzo pratico che se ne è fatto. Non
bisogna tuttavia pensare ad una sterilità dell’istituto in sé, in quanto la sua stessa presenza può agire, e
spesso ha agito, come deterrente nei confronti di proposte di legge potenzialmente lesive ed il suo utilizzo
pratico corrisponde ad ultima ratio in fasi estreme dello scontro etnico-politico. In questo senso, tali istituti
trasferiscono all’interno della dimensione etnica la logica delle “minoranze qualificate” o degli strumenti di
garanzia dell’opposizione, presentando una indubbia rilevanza al fine di riempire di significato e di
assicurare efficacia alla presenza, pur ridotta, dei rappresentanti delle comunità etniche all’interno dei corpi
assembleari.
64
Pure in questo caso, la tutela del terzo gruppo, sicuramente anche a motivo della sua esiguità, è andata persa.
8
La presenza di membri delle minoranze
all’interno di organi di diversa natura:
1. gli organi di conciliazione
e di collaborazione
Alcuni ordinamenti prevedono che la composizione di organi di natura diversa rispetto a quella
legislativo-parlamentare rifletta, almeno in parte, le caratteristiche etniche della popolazione.
Un primo caso riguarda la formazione di organi di conciliazione o di collaborazione, normalmente
dotati di poteri solamente consultivi, incaricati di condurre operazioni di concer-tazione politica nel
tentativo di risolvere i problemi legati al trattamento delle minoranze.
Anche in questo settore l’ordinamento regionale del Trentino-Alto Adige presenta un certo
interesse. L’art. 107 dello Statuto prevede che per l’emanazione delle norme di attuazione dello stesso si
debba attivare un particolare iter legislativo che vede l’intervento di un parere delle commissioni paritetiche
dei dodici e dei sei65. Da notare che la Corte costituzionale ha anche recentemente affermato che, laddove
il Governo voglia modificare sostanzialmente il contenuto del documento oggetto dell’esame della
commissione, quest’ultima debba essere nuovamente interpellata66.
Altre esperienze vedono la presenza di organi generalmente incaricati di esprimersi sulla situazione
dei gruppi minoritari. E’ questo il caso del Consiglio per le minoranze nazionali rumeno, dei vari Consigli
per i gruppi etnici austriaci, delle Commissioni per le minoranze Sami e Roma in Finlandia. Nello stesso
paese, inoltre, una delegazione di rappresentanti della Provincia delle isole Åland partecipa alla gestione
delle problematiche che da più vicino ne coinvolgono gli interessi.
In Olanda un Consiglio nazionale in cui tutte le comunità etniche sono rappresentate discute e può
inviare raccomandazioni sulle principali iniziative politiche di carattere sia specificamente minoritario che
nazionale. In Slovacchia, l’esecutivo può consultare un organo apposito specializzato in materia di tutela
delle minoranze e in Norvegia i membri della comunità Sami eleggono un proprio Parlamento che, però, ha
un ruolo solo consultivo. A Cipro, le minoranze armene, maronite e latine (minoranze religiose oltre che
65
L’art. 107 detta:
“Con decreti legislativi saranno emanate le norme di attuazione del presente Statuto, sentita una commissione paritetica composta di dodici
membri di cui sei in rappresentanza dello Stato, due del Consiglio regionale, due del Consiglio provinciale di Trento e due di quello di
Bolzano. Tre componenti devono appartenere al gruppo linguistico tedesco.
In seno alla commissione di cui al precedente comma è istituita una speciale commissione per le norme di attuazione relative alle materie
attribuite alla competenza della provincia di Bolzano, composta di sei membri, di cui tre in rappresentanza dello Stato e tre della provincia.
Uno dei membri in rappresentanza dello Stato deve appartenere al gruppo linguistico tedesco; uno di quelli in rappresentanza della provincia
deve appartenere al gruppo linguistico italiano.”
La Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 1995, ha specificato come, visto il carattere paritetico della Commissione nel suo
complesso, anche la presidenza della stessa “non possa prescindere dalla scelta da parte degli altri componenti, salva l’ipotesi di una previa
intesa tra gli enti interessati”. Tale decisione ha condotto autorevole dottrina a trattare la Commissione in termini di “organo politico
consultivo”, il cui rapporto con gli enti rappresentati induce peraltro a sollevare dubbi sulla copertura della responsabilità politica, sulle
garanzie di pubblicità e sul vincolo di mandato: cfr. S. BARTOLE, La presidenza della Commissione paritetica: implicazioni complesse di
una decisione apparentemente semplice, in Le Regioni, 1995, 1162 e s.
66
Cfr. Corte cost., sentt. n. 37 del 14 febbraio 1989 e n. 95 del 24 marzo 1994. In questo senso, potrebbe dirsi che le
valutazioni delle Commissioni paritetiche, pure definite pareri non vincolanti, assumono un’efficacia superiore rispetto
alla categoria generale di tali pareri.
etniche) possono eleggere ciascuna un membro alla Camera dei rappresentanti, il quale però ha uno status
del tutto particolare, potendo partecipare alle discussioni ma esprimere solo voti consultivi.
Come anticipato, inoltre, anche una recente modifica del regolamento della Camera dei deputati
italiana ha espressamente previsto l’accesso degli interessi minoritari in Parlamento: all’interno del gruppo
misto, infatti, può essere costituita un’unica componente di almeno tre deputati appartenenti a minoranze
linguistiche tutelate dalla Costituzione e individuate dalla legge, uno dei quali può essere invitato a
partecipare alla conferenza dei Presidenti di gruppo “ove la straordinaria importanza delle questioni lo
richieda”67.
In Ungheria esiste un organo nazionale, l’ombudsman parlamentare per i diritti delle minoranze
nazionali ed etniche, cui è attribuita la facoltà di dare inizio ad azioni investigative tese a verificare la
violazione dei diritti delle minoranze . Tale organo, però, anche se istituzionalmente destinato a
“rappresentare” gli interessi minoritari, non è detto sia una diretta espressione delle minoranze, in quanto è
indicato dal Presidente della Repubblica ed eletto dal Parlamento a maggioranza di due terzi (art. 32b della
Costituzione).
Come si vede, il carattere consultivo e generalmente extra-parlamentare di tali organismi non ne
permette l’inquadramento all’interno degli enti di rappresentanza politica delle minoranze propriamente
detti; né permette di verificarne la struttura ed il funzionamento alla luce del concetto di rappresentanza di
matrice liberale68. Essi costituiscono, ciononostante, un riflesso dei principi collegati al concetto di
democrazia consociativa, i cui protagonisti sono individuati in ragione dell’appartenenza etnica.
2. gli esecutivi
Procedendo in una scala crescente di intensità dell’influenza degli interessi minoritari nei luoghi della
decisione politica, un’ulteriore prospettiva consiste nella previsione di una garanzia di rappresentanza
all’interno degli organi esecutivi. Si viene così ad assicurare la partecipazione di esponenti diretti delle
minoranze al più alto momento di formazione dell’indirizzo politico.
A questo proposito, ancora una volta, un esempio molto significativo è costituito dall’ordinamento
statutario del Trentino-Alto Adige in cui gli organi esecutivi della Regione (art. 36), della Provincia di
Bolzano (art. 50) e dei relativi Comuni (art. 61) devono essere formati in modo da rispecchiare la
proporzione fra gruppi linguistici presente negli organi consiliari. Nella stessa ottica, il testo unificato dei
progetti di modifica allo Statuto speciale di autonomia del Trentino-Alto Adige si propone di garantire la
rappresentanza nella Giunta regionale anche al gruppo linguistico ladino (art. 4), aggiungendo che nella
Giunta provinciale di Trento la rappresentanza ladina può realizzarsi anche in deroga alla rappresentanza
proporzionale (art. 7)69.
Come anticipato, anche la composizione del Governo belga risponde ad una logica di pariteticità:
l’art. 99 prevede che su un massimo di quindici membri e con l’eventuale eccezione del premier, il
Consiglio dei ministri sia formato da tanti francofoni quanti fiamminghi70. E la legge costituzionale croata
67
Tali deputati devono essere eletti sulla base o in collegamento con liste che delle minoranze costituiscano espressione,
nelle zone in cui tali minoranze sono tutelate: Reg. Camera dei deputati, artt. 14, comma 5, e 13, comma 2, come modificati
il 24 settembre ed il 4 novembre 1997.
68
Al riguardo, S. BARTOLE, op. ult. cit., 1163, svolge considerazioni estensibili anche ad altri organi analoghi.
69
Una presenza degli interessi etnici regionali e provinciali a livello di esecutivo statale è prevista, sia pure
indirettamente, dagli artt. 40 e 52 dello stesso Statuto in cui si dispone l’intervento dei Presidenti della Giunta regionale e
delle Giunte provinciali alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattino questioni riguardanti rispettivamente la
Regione o le Province. Cfr. anche la disciplina sui pareri della Provincia espressi ai sensi degli artt. 11, 12, 14 e 15 dello
Statuto.
70
Fa eccezione il numero dei sottosegretari, di cui sembrano sottolinearsi le capacità tecniche più che l’appartenenza
linguistica.
sulle minoranze del 1991 prescrive che le minoranze la cui consistenza raggiunga l’8% della popolazione
totale abbiano diritto ad essere proporzionalmente rappresentate anche nel Governo.
In Svizzera, invece, è una norma convenzionale quella che, integrando l’art. 96 della Costituzione
che esclude la presenza di più di un consigliere per Cantone, vuole che attraverso i sette membri del
Consiglio federale siano rappresentate le componenti etniche della popolazione assieme alle differenze
religiose, geografiche e politiche71.
Tali soluzioni costituiscono un esempio di come, mentre le minoranze politiche possano (o debbano)
essere escluse dal governo del territorio locale, quelle etniche non possano talvolta esserlo. Le ragioni della
rappresentanza degli interessi della minoranza etnica, in questi casi, prevalgono sulle dinamiche politiche
che, tipicamente, reggono la formazione dell’esecutivo.
3. gli organi giudiziari (cenni)
Tutt’altro ordine di considerazioni richiama il fenomeno della necessaria presenza di membri di un
determinato gruppo linguistico all’interno degli organi giudiziari.
In una prima serie di ordinamenti, la ratio delle regole in materia viene ricondotta non a motivi
ricollegabili a dinamiche consociative della democrazia pluralista, ma a ragioni di conoscenza di una lingua
locale o di un diritto diverso da quello applicato a livello nazionale. La Corte Suprema federale canadese,
così, è composta da nove giudici nominati dal federal cabinet, tre dei quali devono provenire dal Québec,
Provincia in cui, a differenza del resto del territorio nazionale, vigono i principi del civil law72. Lo Statuto
del Trentino-Alto Adige, ancora, stabilisce che i componenti della sezione per la Provincia di Bolzano del
Tribunale regionale di giustizia amministrativa “devono appartenere in egual numero ai due maggiori gruppi
linguistici” e che la carica di Presidente, cui è riconosciuto un voto determinante in caso di parità di giudizi tranne che per i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi lesivi del principio di parità tra i gruppi
linguistici e la procedura di approvazione dei bilanci regionali e provinciali - sia alternativamente ricoperta
da un giudice di lingua italiana e da uno di lingua tedesca (art. 91)73. Nel caso in cui il Consiglio di Stato
venga investito di giudizi d’appello su decisioni provenienti dall’autonoma sezione di Bolzano del T.r.g.a.,
inoltre, della sezione interessata deve far parte un consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della
Provincia di Bolzano (art. 93).
In altre esperienze, invece, la sensibilità della composizione di alcune Corti alla diversità delle
categorie presenti nella società risponde più direttamente all’esigenza di configurare un modello giudiziario
in qualche misura “rappresentativo” della complessità sociale, presumendo che, per questo, sia in grado di
meglio interpretarne e risolverne i conflitti.
71
L’elezione dei sette consiglieri avviene con votazioni distinte che portano alla presenza di due o tre fra italianofoni e
francofoni; di norma vengono sempre rappresentati i Cantoni di Zurigo, Berna e Vaud: cfr. G. GUIGLIA, La forma di
governo svizzera, in B. KNAPP , L’ordinamento federale svizzero, cit., 12; G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale
comparato, Padova, 1993, 632.
72
Così dispone la sezione 6 del Supreme Court Act, R.S.C. 1985, c. S-26. Altre regole di natura convenzionale, invece,
dispongono che tre giudici provengano dall’Ontario, due dalle Province occidentali ed uno da quelle atlantiche: cfr. P.W.
HOGG, cit., 206 e s.
73
Al di là di motivazioni legate all’esigenza di conoscere la lingua del processo, tale disposizione, collegata
sistematicamente a quelle secondo cui due giudici del T.r.g.a. di Trento su cinque e metà di quelli del T.r.g.a. di Bolzano
sono nominati dai rispettivi Consigli provinciali, pare rispondere all’esigenza di “dare voce” all’interno degli organi della
giustizia amministrativa alle principali forze politiche locali, con un’evidente quanto scarsamente condivisibile
contaminazione del momento giudiziario con quello politico. Inoltre, mentre le disposizioni sulla nomina del T.r.g.a. di
Bolzano sono previste a livello statutario, quelle per il Tribunale di Trento sono inserite in norme di attuazione: cfr. L.
BOCCHI, Tribunale regionale di giustizia amministrativa, in AA.VV., Commentario delle norme di attuazione dello
Statuto speciale di autonomia, cit., 269 e la bibliografia ivi contenuta.
In questa prospettiva, possono leggersi le modalità di composizione delle giurie popolari
statunitensi, o la presenza all’interno della Corte Suprema federale di una black seat, di una jewish seat o
di una woman seat, frutto, secondo autorevole dottrina, di constitutional conventions74. Non lascia
invece dubbi la legge costituzionale croata sulle minoranze la quale dispone che quelle superiori all’8% della
popolazione totale abbiano diritto ad essere proporzionalmente rappresentate anche a livello giudiziario.
L’esame delle differenti composizioni degli organi giudiziari potrebbe proseguire, ma ci porterebbe
lontano dallo scopo del presente studio che si occupa della tutela delle minoranze attraverso l’istituto della
rappresentanza politica e non attraverso la formazione delle Corti. Quanto interessa mettere in luce, in una
prospettiva di allargamento non più solo in termini derogatori della rappresentanza etnica nei vari livelli
istituzionali, consiste comunque nella verifica di come anche la composizione di organi di indirizzo
tipicamente oggetto della maggioranza politica (gli esecutivi) e di collegi incaricati di dare soluzioni imparziali
alle controversie (le corti) tenda a riflettere, in alcune esperienze statali, la composizione multietnica della
popolazione. Nel momento in cui un po’ tutte le Corti costituzionali vengono riconosciute portatrici di
connotazioni di politicità intrinseca, poi, la obbligatoria presenza di membri provenienti da gruppi minoritari
potrebbe venir a significare, di fatto, un proseguimento delle dinamiche della democrazia pluralistica
secondo linee di etnicità fino all’interno degli organi di giustizia costituzionale.
74
Al riguardo, cfr. H.J. A BRAHAM, Justices and Presidents. A Political History of Appointments to the Supreme Court,
New York, 1985; L.H. TRIBE , God Save This Honorable Court. How the Choice of Supreme Court Justices Shapes Our
History, New York, 1985; R. TONIATTI, Il sistema istituzionale e la procedura di elezione del Presidente degli Stati Uniti,
in U.S. Presidential Election 1984. An Interdisciplinary Approach to the Analysis of Political Discourse, Bologna, 1986,
52.
9
Conclusioni: condizioni, caratteri,
conseguenze e problematiche
della rappresentanza politica
delle minoranze etniche
Da quanto detto finora possono trarsi una serie di considerazioni conclusive che, se non tutte
riferibili a ciascuno degli strumenti giuridico-istituzionali che abbiamo esaminato, possono porsi in linea
generale come le più attinenti al fenomeno della rappresentanza politica delle minoranze etniche.
a) Anzitutto si possono individuare le condizioni di esistenza, di legittimità e di efficacia che
soluzioni di rappresentanza minoritaria devono tendenzialmente soddisfare.
Fra le prime richiamiamo la condivisione e la esternazione di un forte senso di identità etnica del
gruppo minoritario, senza il quale nessuna maggioranza adotta misure che vengono, direttamente o
indirettamente, a limitarne il potere. E’ necessario, inoltre, che la minoranza sia costituita da un numero
minimo di appartenenti che in riferimento ad alcuni strumenti - come il la costruzione di collegi elettorali ad
hoc - può anche determinarsi con precisione. A parte alcune forme di rappresentanza personale del tutto
peculiari, infine, conta molto la distribuzione geografica della minoranza; in questo senso e solo in
apparenza paradossalmente, più la minoranza tende a concentrarsi, a “ghettizzarsi” e maggiori saranno le
sue potenzialità rappresentative.
Per quanto riguarda le condizioni di legittimità della rappresentanza propria delle minoranze
etniche può individuarsi una relazione di proporzionalità diretta fra grado di efficacia della misura impiegata
e livello della relativa norma all’interno della gerarchia delle fonti. Tale relazione è spiegata dal fatto che
più gli strumenti impiegati sono destinati ad una tutela minoritaria specifica e concreta e maggiore sarà la
portata derogatoria nei confronti del sistema con la conseguente necessità di agire attraverso norme che
tale deroga consentano. Abbiamo quindi visto come, di massima, le misure della rappresentanza favorita
possano essere previste anche a livello di legislazione ordinaria, mentre quelle della rappresentanza
garantita debbano assumere rango costituzionale.
Perché, poi, le misure adottate a livello giuridico si rivelino efficaci, riteniamo essenziale che la
minoranza si faccia portatrice anche di una linea politica complessiva il più possibile omogenea e
condivisa. Senza tale condizione - richiamata espressamente dalla giurisprudenza statunitense, ad esempio da un lato, strumenti di rappresentanza propria non potrebbero sortire i risultati voluti, dall’altro, la
minoranza si presenterebbe come un gruppo unito solo da legami culturali, linguistici o razziali, ma incapace
di coagulare un’idea globale e unitaria più complessiva (politica oltre che etnica). Il che sarebbe troppo
poco per poter essere considerati, nell’odierna fase dello Stato multietnico, centri di riferimento di interessi
ritenuti meritevoli di tutela.
Altra condizione di efficacia consiste nella previsione di particolari modalità di voto che
consentano ai rappresentanti della minoranza di assumere un peso specifico superiore rispetto alla propria
consistenza numerica all’interno dell’assemblea. Fra le misure più impiegate, le maggioranze e le minoranze
qualificate, il principio dell’unanimità, il potere di veto, il voto per gruppi linguistici.
b) Una volta che siano rispettate tali condizioni, la rappresentanza propria delle minoranze etniche
viene ad assumere una serie di caratteri tipici che la differenziano dal modello di rappresentanza politica di
matrice liberale.
In primo luogo, riprendendo quanto indicato in sede introduttiva, confermiamo il carattere
collettivo del diritto ad essere adeguatamente rappresentati; fermarsi a considerare il diritto soggettivo del
singolo - e si pensi alla assoluta indifferenza, da un punto di vista strettamente individuale, dell’inserimento
in un distretto elettorale piuttosto che in un altro - non permette di rilevare una serie di implicazioni
fondamentali in materia rappresentativa.
Lo spostamento dal singolo al gruppo in termini di emanazione della rappresentanza consente che, a
determinate condizioni, il diritto ad un voto eguale possa trovare una compressione nel principio della
rappresentanza (collettiva) delle minoranze anche a prescindere dalla relativa consistenza numerica. Entro
questa strategia, che richiama le dinamiche tendenziali dello Stato multinazionale paritario, si
riconducono misure quali il voto per gruppi linguistici o la stessa possibilità di derogare al criterio della
equipopolazione dei distretti elettorali nelle zone in cui siano presenti minoranze etniche.
La dimensione collettiva della rappresentanza etnica, inoltre, contribuisce a spiegare come talune
misure di tutela privilegino il risultato delle operazioni di selezione dei rappresentanti, piuttosto che le
relative procedure. L’aspetto rilevante, in una prospettiva tipicamente descrittiva, non consiste
nell’assicurare le condizioni per un’eguale espressione del diritto di voto, ma - si pensi alla riserva di quote
- nel garantire che il corpo rappresentativo rifletta, in termini anche più che proporzionali, gruppi che le
spontanee dinamiche elettorali avrebbero escluso.
Altro elemento distintivo della rappresentanza propria delle minoranze consiste nell’erosione del
principio del divieto di mandato imperativo. Nonostante gli ordinamenti che sanciscono l’obbligo di una
rappresentanza specifica di interessi minoritari siano rari (la Croazia, ad esempio), risulta coerente con
l’impianto complessivo e con la stessa ragion d’essere della rappresentanza etnica che i deputati eletti dalla
minoranza debbano privilegiare le esigenze specifiche del proprio gruppo anziché generali interessi
nazionali.
c) E tale dato si collega strettamente ad una delle conseguenze centrali della rappresentanza delle
minoranze etniche: la conferma dell’articolazione del concetto di nazione.
In termini storici, si può dire che gli elementi costituivi chiamati a far parte del concetto di nazione
siano stati sia di carattere naturale (il sangue, la stirpe: concetto di nazione-razza) sia di carattere etnicoculturale (una comune storia, la lingua, i costumi: nazione-ethnos) sia di natura politico-volontaria (la
libera adesione al modello politico, la cittadinanza, il “plebiscito di tutti i giorni” di Renan, la nazione
democratica: nazione-demos)75.
Il modello di Stato nazionale liberale ha fatto proprio il concetto di nazione-demos - inteso come
condivisione di quelle regole generali poste alla base della convivenza civile che tutta la cittadinanza, a
prescindere da appartenenze di sorta, deve rispettare - come elemento unificante la stessa su una base di
eguaglianza formale76. Nella successiva fase dello Stato nazionale, però, il pluralismo interno alla nazione
75
Alcune delle categorie qui impiegate risalgono a R.M. LEPSIUS, Interessen, Ideen und Institutionen, Opladen, 1990
come reinterpretate da G.E. RUSCONI, Ripensare la nazione, in M. LUCIANI (a cura di), La democrazia alla fine del secolo,
Bari, 1994, 69 e ss.
76
"La qualità dell’uomo e del cittadino non è basata sull’origine geografica o etnica, ma, piuttosto, su ciò che crea unità: il possesso dei
diritti naturali - i diritti di uguaglianza, libertà proprietà e sicurezza e il diritto di resistere all’oppressione”: G. SCOFFONI, Uguaglianza
costituzionale e antidiscriminazione in Francia , in T. BONAZZI , M. DUNNE (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali,
cit., 203, che ricorda come tale principio assuma ancor oggi una importanza decisiva. Sulla stessa linea N. ROULAND , La tradition juridique
française et la diversité culturelle, in Droit et Société, 1994, 383.
GIÀ H. KELSEN , Lineamenti di dottrina pura del diritto , Torino, 1970, 26 scriveva che “l’unità - normativa - [del popolo] risulta da un
dato giuridico: la sottomissione di tutti i suoi membri al medesimo ordine statale”. Fra gli altri, oltre al classico E. RENAN , Qu’est-ce qu’une
nation?, Paris, 1882, rinviamo a M. ALBERTINI, Lo stato nazionale, Napoli, 1981; F. CHABOD , L’idea di nazione, Bari, 1961; C.J.H.
HAYES, The Historical Evolution of Modern Nationalism , New York, 1931; E. KEDOURIE , Nationalism , London, 1960; H. KOHN , L’idea
del nazionalismo nel suo sviluppo storico, Roma, 1944; F. ROSSOLILLO , Nazione e L. LEVI , Nazionalismo, entrambi in N. BOBBIO, N.
MATTEUCCI, G. PASQUINO (dirr.), Dizionario di politica, cit., 675 e ss., 662 e ss.; D. PETROSINO, Nazionalismi e neonazionalismi in
Europa, e P. BARRERA , I diritti delle minoranze nel crepuscolo degli stati nazionali, in Democrazia e diritto , 1992, 49 e ss.; P. CARROZZA ,
voce Nazione, in Digesto delle discipline pubblicistiche, X, Torino, 1995, 126.
emerge e viene dallo Stato espressamente considerato in chiave anche sostanzialmente paritaria attraverso
misure differenziate lungo linee di appartenenza religiosa, linguistica, culturale, sessuale, ecc77.
In questa più ampia prospettiva, si collocano le misure destinate a favorire o garantire la
rappresentanza politica delle minoranze etniche; le quali anzi ci sembrano assumere particolare valore in
quanto impongono un riconoscimento giuridico-costituzionale delle componenti etniche all’interno dei luoghi
in cui tipicamente la nazione si realizzava come unica e di carattere generale. Attraverso lo studio di tale
materia, quindi, si arriva a dare una conferma particolarmente significativa di una tendenza in atto destinata
ad articolare il concetto di nazione su basi sia democratiche che etniche.
Al di là (rectius: all’interno) di una cittadinanza comune costruita esclusivamente su base giuridica e
fondamento dei principali diritti individuali (nazione-demos di matrice liberale), lo Stato pluralista si accosta
alla realtà delle dinamiche e dei rapporti sociali, individuando linee di appartenenza fra soggetti le quali
sussistono e crescono “all’ombra” di quella (democratica) che unisce tutta la popolazione.
Lo Stato a vocazione promozionale, allora, può ed anzi deve farsi carico (di alcune) delle
collettività di natura etnica che fanno parte della cittadinanza traendone fonte di confronto e motivo di
arricchimento sociale, politico e culturale. In quest’ottica, può apprezzarsi appieno la distanza fra le
componenti (etniche e democratiche) del concetto di nazione; e la stessa categoria di ordinamento
nazionale a vocazione multinazionale può scomporsi, intendendosi l’aggettivo nazionale in riferimento al
demos e la qualifica multinazionale in riferimento agli ethnoi, che possono ed anzi debbono essere
destinatari di regole peculiari, anche di carattere fortemente derogatorio.
d) Se la rappresentanza specifica delle minoranze etniche non si pone come una regola del tutto
eccezionale, costituisce certo, in quanto trasferisce il riconoscimento della composizione etnica della
nazione dal tradizionale settore dei diritti civili ai luoghi storicamente unitari della rappresentanza politica,
una conferma dotata di alto significato di una tendenza più ampia.
Le deroghe che pure comporta nei confronti del concetto di rappresentanza politica fatto proprio
dagli Stati di derivazione liberale sono pesanti. Inoltre, la limitazione del riconoscimento di una
rappresentanza propria alle sole componenti etniche della nazione, con esclusione di forme analoghe per
altre categorie svantaggiate - si pensi alle donne quasi ovunque così poco rappresentate a livello politico può far pensare ad una sorta di privilegio accordato a tali comunità nei confronti e a possibile svantaggio
di altre minoranze78. Ogni individuo, ancora, è caratterizzato da una serie multipla e contestuale di
appartenenze a più categorie sociali, economiche, professionali, culturali, religiose, di cui quella etnica può
non costituire la fondamentale. E il significato stesso di rappresentanza etnica nasconde il rischio di far
emergere categorie concettuali in cui l’individuo viene definito, e in particolare rappresentato, solo in quanto
membro di un etnia e non in quanto portatore di un insieme di concezioni e di valori in senso lato politici
che trovano basi di gran lunga più ampie.
A motivo di tali e tanti rischi degenerativi, quindi, è necessario che le misure di favore e di garanzia
della rappresentanza etnica corrispondano a scelte politiche chiare e consapevoli, frutto di procedimenti
trasparenti e di maturità sociale e civile.
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Oltre a quanto detto supra, cfr. le riflessioni di G. BRUNELLI, L’alterazione del concetto di rappresentanza politica:
leggi elettorali e “quote” riservate alle donne, in Diritto e società, 1994, 545 che, in quanto trattano di rappresentanza
comunque specifica, trovano un riscontro anche nel campo della rappresentanza delle minoranze.
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Quella religiosa nel caso United Jewish Organizations of Wiliamsburg v. Carey, cit.
Stampato in proprio:
Centro Duplicazioni della Giunta della Provincia Autonoma
di Trento