Problemi di geotecnica nel restauro monumentale

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Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
MASTER DI 2° LIVELLO
RESTAURO, PROTEZIONE E SICUREZZA
DEGLI EDIFICI STORICI E MONUMENTALI
Anno accademico 2006-07
PROBLEMI DI GEOTECNICA
NEL RESTAURO MONUMENTALE
Giovanni Vannucchi
Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale – Università di Firenze
Firenze, 21 e 22 Settembre 2007
INDICE
INTRODUZIONE..........................................................................................................................3
TIPOLOGIE DI FONDAZIONE DI EDIFICI ANTICHI IN EUROPA ................................11
CAUSE GEOTECNICHE DEI DISSESTI DI EDIFICI STORICI E MONUMENTALI.......17
DEGRADO DEI MATERIALI COSTITUENTI LA FONDAZIONE .......................................................17
INSTABILITÀ DEI PENDII E/O DI CAVITÀ SOTTERRANEE .............................................................18
TERREMOTI.................................................................................................................................20
SUBSIDENZA PER EMUNGIMENTO DI FLUIDI DAL SOTTOSUOLO ................................................27
SUBSIDENZA PER SCAVO DI GALLERIE URBANE .........................................................................28
DEFORMAZIONI INDOTTE DA SCAVI A CIELO APERTO...............................................................33
RISTRUTTURAZIONI E VARIAZIONI DI CARICO E D’USO .............................................................36
INDAGINI....................................................................................................................................36
INDAGINI STORICHE ...................................................................................................................37
INDAGINI SULLE STRUTTURE IN ELEVAZIONE E DI FONDAZIONE..............................................38
INDAGINI GEOTECNICHE ...........................................................................................................42
TECNICHE DI INTERVENTO..................................................................................................43
SOTTOMURAZIONE E/O AMPLIAMENTO DELLA BASE D’APPOGGIO DELLA FONDAZIONE ........43
SOTTOFONDAZIONE CON MICROPALI .......................................................................................45
INIEZIONI E JET-GROUTING .......................................................................................................47
ESTRAZIONI CONTROLLATE DI TERRENO ..................................................................................50
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI...............................................................................................54
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INTRODUZIONE
Il titolo della lezione contiene due parole chiave il cui significato merita di essere precisato: Monumenti e Restauro.
Che cosa è un “monumento”? Nell’Enciclopedia Treccani si legge che la parola, dal latino monumentum “ricordo, monumento” deriva dal verbo monere “ricordare”. È monumento il segno che
fu posto e rimane a ricordo di una persona o di un avvenimento, è monumento qualunque opera
d’arte che per il suo pregio d’arte e di storia, o per il suo significato, abbia speciale valore culturale,
artistico, morale; è monumento qualsiasi vestigio di civiltà ormai scomparsa, talvolta anche di valore artistico assai limitato; è monumento naturale, ogni elemento ambientale, costituito da fenomeni geomorfologici, specie vegetali, etc.., di particolare rilievo dal punto di vista paesaggistico,
scientifico, o anche storico. Pertanto, non solo singoli manufatti, come ad esempio, il palazzo ducale di Venezia (Foto 1) o i templi greci di Paestum (Foto 2) sono monumenti, ma anche il borgo medievale di Civita di Bagnoregio (Foto 3) e le colline senesi (Foto 4), i faraglioni di Capri (Foto 5) e,
fuori dai confini nazionali, il Gran Canyon negli Stati Uniti (Foto 6), le Meteore in Grecia (Foto 7) e
la Cappadocia in Turchia (Foto 8) sono e devono essere considerati monumenti.
Molte volte le cause dei dissesti e del degrado dei monumenti, nell’accezione ampia sopra detta,
sono di natura geotecnica: pendii instabili, terreni di fondazione cedevoli, degrado delle caratteristiche meccaniche dei terreni, deterioramento dei materiali costituenti la struttura di fondazione,
terremoti, scavi di gallerie, abbassamento del livello di falda e subsidenza, etc…
In ingegneria geotecnica si definisce volume significativo quella parte di sottosuolo che è influenzata dalla presenza della costruzione e che ne influenza il comportamento. Il volume significativo è parte integrante della costruzione e tale deve essere considerato in un progetto di restauro
conservativo di un’opera monumentale. Il monumento ed il sottosuolo su cui poggia costituiscono
un sistema unico, che in linguaggio tecnico è denominato Sistema Sottosuolo–Monumento,
Ground-Monument System (GMS).
Talvolta il GMS è evidente: si pensi ad esempio ai sassi di Matera (Foto 9) o all’antro della Sibilla a Cuma (Foto 10), interamente scavato nel tufo, per non citare il caso in assoluto più famoso: la
torre pendente di Pisa (Foto 11).
In Figura 1 sono schematicamente rappresentati tipici Sistemi Sottosuolo–Monumento (GMS).
Naturalmente i problemi geotecnici e le relative tecniche di intervento sono molto diverse se si
riferiscono a singoli edifici o a centri abitati e a porzioni di territorio.
Molti edifici antichi furono realizzati con materiali provenienti da edifici ancor più antichi, molti sono costruiti sulle fondazioni di edifici preesistenti o ne inglobano parte della struttura. Al cosiddetto restauro storico, in auge fino al Settecento ed oltre, consistente nel rifacimento delle opere
con modifiche spesso sostanziali, è subentrato il restauro conservativo, che si propone di rispettare
i caratteri di autenticità delle opere e, qualora si renda necessaria la ricostituzione di parti mancanti, gli interventi non sono dissimulati ma al contrario resi evidenti, anche con ricorso a materiali
diversi.
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Foto 1: Palazzo Ducale di Venezia
Foto 2: Tempio di Paestum
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Foto 3: Civita di Bagnoregio
Foto 4: Colline senesi
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Foto 5: Faraglioni di Capri
Foto 6: Gran Canyon (Stati Uniti)
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Foto 7: Le Meteore in Grecia
Foto 8: La Cappadocia (Turchia)
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Foto 9: Sassi di Matera
Foto 10: Antro della Sibilla a Cuma
Foto 11: Torre di Pisa
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Figura 1 - Tipici Sistemi Sottosuolo–Monumento (GMS): a ciascuna riga corrisponde una differente tipologia
di monumento (insediamenti rupestri, rovine storiche, castelli e palazzi, chiese, torri, antichi centri abitati); a
ciascuna colonna corrisponde una differente condizione geotecnica per morfologia o per caratteristiche del
sottosuolo (da Cecconi et al., 1997)
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Il principio generale di autenticità, alla base della moderna concezione del restauro e della conservazione dei monumenti, fu per molto tempo ed è ancora molte volte applicato alla sola parte
visibile dell’opera, mentre esso deve essere esteso non solo all’estetica, ma anche alla statica del
monumento, non solo alle parti visibili ma all’intero organismo strutturale, comprese le fondazioni, ed al volume significativo di sottosuolo, non solo agli edifici monumentali ma anche ai centri
abitati e alle porzioni di territorio con valore di monumento.
La Società Internazionale di Meccanica del Terreno e di Ingegneria Geotecnica (ISSMGE), conscia di quanto sopra detto, durante la Conferenza X ICSMFE (Stoccolma, 1981) organizzò una sessione dedicata alla salvaguardia delle città e degli edifici storici, e istituì un Comitato Tecnico
(TC19 – Preservation of historic sites) specificamente dedicato a tale argomento.
L’attività scientifica promossa dal Comitato TC19 è stata presentata in numerosi convegni o sessioni di convegni internazionali, fra cui in particolare la XII ICSMFE (Rio de Janeiro, 1989), la X
ECSMFE (Firenze, 1991), dedicata alle deformazioni del terreno e agli spostamenti delle strutture,
la XIII ICSMFE (New Delhi, 1994), l’International Symposium on “Geotechnical Engineering for
Preservation of Monuments and Historic Sites” (Napoli, 1996), la XVI ICSMGE (Osaka, 2005), e la
prossima XIV ECSMFE (Madrid, 2007), dedicata ai problemi geotecnici in ambiente urbano.
L’Associazione Geotecnica Italiana (AGI) è stata ed è molto attiva nel promuovere studi e ricerche sul tema del restauro e della conservazione dei siti storici e dei monumenti. Si ricordano in
particolare: il XIV Convegno Nazionale di Geotecnica (Firenze, 1980), dedicato a “La geotecnica negli interventi sugli antichi centri abitati, sugli edifici e sui monumenti”, ed i volumi Reading historic sites
through geotechnical evidence, presentato alla XII ICSMFE (Rio de Janeiro, 1989) e The contribution of
geotechnical engineering to the preservation of Italian historic sites, presentato alla X ECSMFE (Firenze,
1991).
La tecnica costruttiva delle fondazioni e in generale delle opere sotterranee è parte del patrimonio storico-culturale di una civiltà, e come tale, le loro vestigia sono da considerare monumenti.
Tuttavia se durante la storia del monumento agenti naturali e antropici hanno alterato le condizioni di stabilità generale del Sistema Sottosuolo-Monumento, possono essere necessari interventi di
rinforzo e/o di consolidamento delle fondazioni e del terreno. Nei limiti del possibile, tali interventi devono essere progettati in modo da rispettare l’originario modo di funzionamento del sistema
di fondazione e comunque da non pregiudicare l’integrità di eventuali strutture archeologiche sottostanti.
Il principio generale di autenticità è tuttora raramente applicato alle fondazioni dei monumenti.
Non solo gli storici dell’architettura e i restauratori, ma gli stessi ingegneri geotecnici, spesso considerano le fondazioni solo come la struttura d’appoggio del monumento, su cui è lecito intervenire senza scrupoli di ordine storico – archeologico. I rilievi e le rappresentazioni grafiche degli edifici monumentali molto spesso si limitano alla struttura in elevazione, come se le fondazioni e il volume di terreno significativo non fossero parte integrante del sistema.
Per un accurato progetto di restauro conservativo di un monumento sono necessarie molte e diverse competenze, storiche, architettoniche, strutturali, tecnologiche, etc... e molto spesso la competenza geotecnica è essenziale. Se il restauro si estende alle fondazioni è necessario conoscere come furono realizzate.
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TIPOLOGIE DI FONDAZIONE DI EDIFICI ANTICHI IN EUROPA
Ogni opera di ingegneria civile appoggia su o è inserita nel terreno. Dunque le fondazioni esistono da quando esistono le costruzioni civili. Tuttavia per molti millenni, in pratica fino al XIX°
secolo, l’arte di progettare e realizzare le fondazioni aveva unicamente carattere empirico e intuitivo. Ciò è dovuto in parte al ritardo con cui si è sviluppata la meccanica del terreno rispetto alla
meccanica dei solidi e dei fluidi (il Principio delle tensioni efficaci, che è alla base della meccanica
dei terreni, fu enunciato da Karl Terzaghi solo nel 1923), in parte alla difficoltà tecnica di indagare
sulla natura dei terreni di fondazione nel volume significativo, e quindi spesso fino a profondità
elevate, in parte alla mancanza dei moderni materiali da costruzione, acciaio e cemento armato, e
delle moderne tecnologie di scavo. Tuttavia, sebbene progettati in modo empirico, alcuni accorgimenti costruttivi delle fondazioni dell’antichità sono molto efficaci e, in parte, sono stati “riscoperti” e utilizzati nella moderna tecnica delle fondazioni.
Le colonne dei templi greci trasmettevano al terreno il loro carico concentrato attraverso solide
travi di fondazione. Ogni colonna era posta su lunghi blocchi di pietra levigata sovrapposti in due
o tre strati, che formavano la parte superiore di una fondazione di larghezza maggiore della colonna, in modo da trasmettere al terreno una pressione uniforme e non elevata (Figura 2). I blocchi
erano connessi l’uno all’altro con grappe di ferro (Figura 3), per diffondere meglio il carico, ma sopratutto per evitare l’allontanamento dei blocchi durante i terremoti. Le grappe in ferro erano alloggiate in cavità leggermente più grandi di esse, e nell’intercapedine era versato piombo fuso, sia
per proteggere il ferro dalla ruggine, sia per evitare concentrazioni di tensione dovuti a errori di
assemblaggio, a dilatazioni termiche, a movimenti di assestamento e al moto sismico.
Il più importante sviluppo della tecnica delle fondazioni nell’antichità ebbe luogo in epoca Romana, con l’introduzione del calcestruzzo pozzolanico (una miscela di detriti lapidei di cava, sabbia pozzolanica e calce) e con la formalizzazione delle regole empiriche del buon costruire da parte
di Vitruvio. Le fondazioni continue erano realizzate utilizzando pareti di mattoni come cassaforma
per il getto del calcestruzzo, e per contrastare la spinta della massa fluida erano utilizzati tiranti di
legno come collegamenti trasversali (Figura 4).
Figura 2 – Schema della struttura e della fondazione di un tempio greco (da Kerisel, 1985)
Figura 3 – Particolare del sistema di fondazione di un
tempio greco (da Kerisel, 1985)
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Da allora e fino a tempi moderni, sebbene
si siano succeduti molti stili architettonici, la
tecnica e la tecnologia nella realizzazione delle fondazioni, pur con particolarità locali, non
ha avuto sostanziali progressi, ed anzi talvolta è regredita.
In epoca pre romanica le fondazioni degli
edifici europei erano realizzate gettando pietrisco o detriti con poca calce in uno scavo di
larghezza eguale o poco superiore alla larghezza della muratura sovrastante. Le dimensioni delle fondazioni dipendevano più
dallo spazio disponibile che dai carichi agenti
o dalla capacità portante del terreno di fondazione.
Figura 4 – Getto del calcestruzzo romano in cassaforma
di mattoni per fondazioni. 1. tiranti in legno di collegamento trasversale per contrastare la spinta della
massa fluida (da Kerisel, 1985)
In epoca romanica le fondazioni erano di
norma realizzate con grossi ciottoli sui lati e
pietrisco o detriti nella parte centrale, su cui
veniva versata malta di calce o di calce e argilla.
In epoca gotica le fondazioni erano in genere meglio realizzate, con calce di buona qualità e
blocchi di pietra tagliati o, più tardi, in muratura di mattoni. Spesso gli strati esterni della fondazione erano di pietre squadrate. In Figura 5 sono mostrati tre esempi di fondazioni di epoca gotica.
In Figura 5a è rappresentata la tipologia più diffusa di fondazione in pietra. Molti edifici storici
non hanno vere e proprie fondazioni, ma le murature appoggiano sul terreno o su uno strato di
pietra senza sensibili variazioni di spessore (Figure 5b e 5c).
In epoca rinascimentale e barocca erano in uso metodi di realizzazione delle fondazioni simili a
quelli dei periodi storici precedenti. Solo nel periodo neoclassico furono introdotte nuove tecnologie e nuovi materiali, come la calce idraulica e l’acciaio.
Se durante lo scavo per la posa in opera della fondazione venivano rinvenuti ostacoli, come ad
esempio sorgenti d’acqua o rovine di strutture precedenti, spesso le fondazioni erano realizzate
con piloni ed archi in muratura per scavalcare l’ostacolo. Ne sono esempi le fondazioni del Castello di Breslavia e della Chiesa di San Bartolomeo a Danzica.
Spesso le fondazioni di edifici preesistenti erano riutilizzate, sia perché la tecnica di fondazione
non era sostanzialmente cambiata dall’epoca romana, ed anzi era spesso regredita, sia per motivi
economici, in quanto i lavori di fondazione incidevano non poco sul costo dell’opera, sia forse perché si era capito che la permanenza del carico sul terreno ne migliorava le proprietà meccaniche. A
titolo di esempio, in Roma, hanno fondazioni di epoca romana: la Chiesa di Santa Maria in Vallicella di Matteo da Città di Castello (1575), il ponte Sisto (1475), la Chiesa di Sant’Agnese in Agone
del Borromini (1653), etc..
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Se il terreno alla quota del piano di fondazione risultava particolarmente molle e cedevole, talora si tentava di migliorarne le proprietà inserendovi a forza delle pietre (Figura 5c) o appoggiando
sul fondo dello scavo lastre di pietra.
Figura 5 - Tre esempi di fondazioni di epoca gotica in Polonia. a) Chiesa di Trzemeszno, b)
Chiesa di Santa Maria a Cracovia, c) Castello teutonico di Danzica (da Przewłócki et al., 2005)
In genere, gli edifici su terreni molli avevano fondazioni
costituite da strati di grosse pietre o di laterizi, che si allargavano con la profondità ed erano appoggiati su un tavolato multistrato di assi di legno o su travetti di legno in strati
sovrapposti ortogonali e/o su pali in legno (Figura 6).
Talvolta la ghiaia e le pietre erano contenute lateralmente
da una cassaforma di legno e cementate con un po’ di calce.
Figura 6 - Schema di antica fondazione
su pali in legno (da Iwasaki e Tsatsanifos, 2006)
Nelle città lungo i fiumi o sulla costa o in laguna, ove il
livello di falda è prossimo alla superficie, poiché non esistevano tecniche di abbattimento del livello di falda per
scavare e sostituire i terreni più superficiali molli o organici
con sabbia e ghiaia, allo scopo di costipare il terreno di
fondazione e trasferire il carico a strati più profondi e consistenti venivano utilizzati corti pali in legno, molto ravvicinati, infissi a percussione.
Le componenti in legno delle fondazioni (tavolati, travetti e pali) erano sempre posizionati sotto il livello di falda, poiché era noto che il legno costantemente immerso in acqua non si deteriora.
In Figura 7 sono rappresentati due esempi di antiche fondazioni su terreni molli. La Figura 7a
raffigura la fondazione in pietrame su pali in legno del muro occidentale in mattoni di laterizio del
Castello di Malbork, in Polonia. I pali esterni sono più lunghi (3 m) e distanziati, mentre quelli interni hanno funzione di costipare il terreno di fondazione. La Figura 7b raffigura il muro
dell’Abbazia cistercense di Lure, in Francia, direttamente appoggiato su una piattaforma di legno
su pali di quercia, di diametro 120-150 mm e di lunghezza incognita.
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Figura 7 - Due esempi di antiche fondazioni su terreni molli. a) Castello di Malbork (Polonia,
XIV° secolo) b) Abbazia cistercense di Lure (Francia, XVI° secolo) (da Przewłócki et al. ,2005)
In Figura 8 sono rappresentati i diversi tipi di fondazione degli edifici storici veneziani. Le fondazioni dei muri che si affacciavano sui canali e talvolta anche dei muri esterni degli edifici più
grandi erano costruite su un doppio graticcio di assi di legno su pali in legno. Le fondazioni delle
murature interne erano più semplicemente realizzate tramite un allargamento della muratura, che
veniva appoggiata su uno strato di pietre o di assi di legno. A causa del diverso sistema di fondazione, e quindi della diversa rigidezza, delle murature esterne e interne, si verificavano cedimenti
differenziali. Per evitare danni strutturali le travi di piano erano semplicemente appoggiate secondo lo schema di Figura 9.
L’infissione dei pali in legno nel terreno veniva eseguita con macchine di diverso tipo, descritte
e raffigurate in vari trattati di architettura. In genere un pesante blocco di pietra sostenuto da un
telaio in legno era sollevato con un sistema manuale o idromeccanico e quindi lasciato cadere sulla
testa del palo. La sommità del palo era protetta da una ghiera, mentre la punta era spesso rivestita
con una camicia metallica per facilitare la penetrazione. A titolo di esempio, nelle Figure 10 e 11
sono rappresentate due macchine per l’infissione di pali.
Dopo avere realizzato la palificata, le teste dei pali erano spianate e lo spazio fra essi riempito
con carbone o con fasci di legni pressati, allo scopo di impedire la risalita capillare dell’acqua. Tale
tecnica era stata utilizzata anche in epoca romana per le fondazioni del Tempio di Efeso, con la variante di uno strato di lana di capra sovrapposto al carbone con funzione antisismica “Durabili
all’humido di quel luogo, ch’era palustre e sottoposto a’ tremori, et apriture di terra, onde vi fecero quel letto
di lana acciocché tutta la fabbrica giacesse eguale, e non prendesse scossi ne’ tempi de’ terremoti” (V. Scamozzi – L’Idea dell’Architettura Universale, Venezia, 1615, riportato da Jappelli e Marconi (1997).
Come già detto, la tecnica delle fondazioni rimase sostanzialmente invariata per molto tempo, e
solo nel XIX° secolo compì sostanziali progressi. In Figura 12 sono rappresentate le fondazioni di
due edifici “moderni”: il Monastero di Savina Maggiore in Erzegovina del XVIII° secolo e del Palazzo del Reichstag di Berlino del XIX° secolo. Si può osservare che nel primo caso la tecnica di
fondazione non differisce sostanzialmente da quella medievale, mentre nel secondo caso la tecnica
raffinata e la cura con cui sono differenziate e collegate le diverse parti della fondazione in funzione dei carichi sopportati rivela una buona conoscenza della meccanica dei solidi e del terreno.
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Figura 8 - Esempi di fondazioni di murature esterne e interne di antichi edifici veneziani (da
Colombo e Colleselli, 1997)
Figura 9 - Schema di funzionamento degli edifici veneziani (da Kerisel, 1985)
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Figura 10 - Macchina per l’infissione di pali, in Trattati di Architettura, Ingegneria e Arte Militare, 1482, (da Jappelli e Marconi, 1997)
Figura 11 - Macchina per l’infissione di pali, in Architettura idraulica, ovvero arte di condurre, innalzare e regolare le acque pei vari bisogni della vita
(Mantova, 1838), (da Jappelli e Marconi, 1997)
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Figura 12 - a) Fondazione del muro nord del Monastero di Savina Maggiore in Erzegovina
(XVIII° secolo) e b) Fondazione con archi inversi e pali in legno del Palazzo del Reichstag a
Berlino (XIX° secolo) (da Przewłócki et al., 2005)
CAUSE GEOTECNICHE DEI DISSESTI DI EDIFICI STORICI E MONUMENTALI
Le cause che possono avere prodotto dissesti di edifici storici e monumentali possono avere origine antropica o naturale.
Fra le cause di origine naturale, le più frequenti sono:
-
il degrado dei materiali (malte, pietrame, mattoni, legno, etc..);
le frane, anche se spesso la responsabilità delle frane ha origine antropica;
i terremoti.
Fra le cause di origine antropica le più frequenti sono:
-
l’abbassamento delle falde acquifere per emungimento da pozzi, cui conseguono cedimenti
assoluti e differenziali del terreno;
l’innalzamento delle falde acquifere, per abbandono del loro sfruttamento, cui conseguono
rigonfiamenti assoluti e differenziali del terreno, e riduzione di capacità portante;
l’oscillazione del livello dei corsi d’acqua, che si ripercuotono sulle falde acquifere;
scavi in superficie o in galleria, in prossimità del monumento;
le ristrutturazioni e/o le variazione d’uso, cui conseguono alterazioni dell’assetto statico e
dei carichi in fondazione;
le vibrazioni da traffico o da lavorazioni.
DEGRADO DEI MATERIALI COSTITUENTI LA FONDAZIONE
Le parti murarie delle fondazioni possono degradarsi per effetto dell’acqua dei fiumi, del mare
o dell’acqua interstiziale, del gelo, di agenti chimici e biologici contenuti nel terreno, per creep viscoso o per carico ciclico. I processi di degrado delle murature di fondazione, pur nella diversità e
particolarità delle condizioni ambientali, sono analoghi a quelli delle murature in elevazione, e sono oggetto di altre lezioni di questo Master.
Le parti lignee delle strutture di fondazione, ed in particolare i pali, possono degradare sopratutto per effetto dell’alternarsi delle condizioni di immersione e di emersione. Il legno, come mate-
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riale da costruzione è ottimo e stabile nel tempo, purché mantenuto sotto il livello di falda in un
ambiente fresco e povero di ossigeno (stato anaerobico). Se invece è soggetto a periodiche immersioni ed emersioni, e quindi ad un’alternanza di stati aerobico e anaerobico, può deteriorarsi per
bio-corrosione, ovvero per l’azione di funghi e batteri. Il problema della diagnosi e della cura dei
pali in legno di fondazione interessa gli edifici antichi di molte città, ed in particolare di Venezia.
INSTABILITÀ DEI PENDII E/O DI CAVITÀ SOTTERRANEE
Molti dei centri storici in Italia e in Europa sono su pendii. Se si verifica una frana, gli edifici
storici, come tutto il costruito, subiscono movimenti e distorsioni che possono danneggiarli.
I principali fattori che influenzano la franosità sono:
-
fattori geologici, ovvero caratteri strutturali (faglie e fratturazioni), giacitura, scistosità, associazione e alternanza fra i litotipi, degradazione, alterazione, eventi sismici e vulcanici;
-
fattori morfologici ovvero pendenza dei versanti;
-
fattori idrogeologici, ovvero circolazione idrica superficiale e sotterranea, entità e distribuzione
delle pressioni interstiziali;
-
fattori climatici e vegetazionali, ovvero alternanza di lunghe stagioni secche e periodi di intensa e/o prolungata piovosità, disboscamenti e incendi;
-
fattori antropici, ovvero scavi e riporti, disboscamenti e abbandono delle terre.
Le cause dei movimenti franosi possono essere distinte in cause strutturali o predisponenti,
prevalentemente connesse ai fattori geologici, morfologici e idrogeologici, e in cause occasionali o
determinanti (o scatenanti), prevalentemente connesse ai fattori climatici, vegetazionali, antropici
ed al manifestarsi di eventi sismici o vulcanici.
Il movimento franoso si manifesta quando lungo una superficie (o meglio in corrispondenza di
una “fascia” di terreno in prossimità di una superficie) all’interno del pendio, le tensioni tangenziali mobilitate per l’equilibrio (domanda di resistenza) eguagliano la capacità di resistenza al taglio del terreno. Ciò può avvenire per un aumento della domanda di resistenza, per una riduzione
della capacità di resistenza o per il manifestarsi di entrambi i fenomeni. Un aumento della domanda di resistenza può essere determinato da un incremento di carico (dovuto ad esempio alla costruzione di un manufatto o ad un evento sismico), o da un aumento dell’acclività del pendio (dovuta ad esempio a erosione o sbancamento al piede). La riduzione della resistenza al taglio può
essere dovuta ad un incremento delle pressioni interstiziali (per effetto ad esempio di un innalzamento della falda o della riduzione delle tensioni di capillarità prodotti dalla pioggia) o per effetto
di fenomeni fisici, chimici o biologici.
Le più frequenti situazioni geotecniche di instabilità dei pendii che coinvolgono centri storici
sono le seguenti:
- Placche rocciose appoggiate su depositi di argilla. Esempi molto noti sono: San Leo, Orvieto,
Civita di Bagnoregio, Agrigento;
- Placche sabbiose o ghiaiose su depositi di argilla, come ad esempio Bisaccia;
- Pendii rocciosi molto ripidi o sub-verticali, come ad esempio Narni;
- Alte rupi rocciose, come quella su cui sorge Sorrento.
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Lo studio delle frane come fenomeno fisico esula evidentemente dagli argomenti del Master. La
presenza di edifici storici e monumentali in un’area in frana attiva o quiescente può giustificare
una maggiore spesa per le indagini e per gli interventi di stabilizzazione, che devono, gli uni e gli
altri, non interferire con le strutture di fondazione esistenti per preservarne l’autenticità.
Un esempio: Orvieto
L’antica città di Orvieto sorge su una placca di tufo, delimitata da ripide pareti alte fino a 60 m,
appoggiata su una collina di argilla pliocenica sovraconsolidata. La piastra rocciosa e l’abitato appaiono a prima vista come un’unica potente struttura che poggia su un ampio e dolce rilievo (Foto
12). In realtà la rupe tufacea e le pendici argillose sottostanti hanno subito e subiscono movimenti
franosi da almeno quattro secoli, come testimoniano i documenti scritti. (Croce, 1985).
Foto 12 – Orvieto
La rupe è formata essenzialmente da materiali vulcanici che, in affioramento, hanno consistenza
lapidea (tufo giallo), mentre all’interno si comportano come materiali sciolti o debolmente coesivi
(pozzolana). I materiali vulcanici sono molto diversi tra loro dal punto di vista meccanico e sono
distribuiti irregolarmente. Inoltre l’ammasso roccioso è attraversato da una serie di fratture che
vanno moltiplicandosi ed ampliandosi verso l’esterno fino a dar luogo sulle pareti esterne ad una
continua ma varia fatturazione colonnare.
Agenti esterni, quali le variazioni termiche, l’alternanza disseccamento–saturazione, l’azione del
vento, determinano nei tempi lunghi condizioni di instabilità sulle pareti esterne della rupe. Altre
cause del dissesto sono le frane che interessano la formazione argillosa di base, nella parte più superficiale, rammollita e degradata del materiale. Come conseguenza dell’evoluzione morfologica,
si determina una concentrazione di tensioni al bordo della placca tufacea che induce la plasticizzazione dell’argilla e la rottura per trazione della roccia sovrastante (Figura 13). La velocità dei movimenti è correlata alla variazione di pressione interstiziale dipendente dalle precipitazioni piovo-
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se, con tempi di risposta diversi a seconda della profondità della superficie di scorrimento (Tommasi et al., 2006).
Figura 13 – Sezione geotecnica del fianco meridionale del colle di Orvieto (da Lembo-Fazio et al., 1989)
TERREMOTI
In un territorio come l’Italia, molto sismico e denso di centri storici ed edifici monumentali, il
terremoto costituisce una delle più importanti cause di danneggiamento (o di collasso) del patrimonio storico-monumentale. Gli edifici antichi sono in genere più vulnerabili degli edifici recenti
poiché non furono costruiti con criteri antisismici. Il consolidamento, miglioramento o adeguamento sismico degli edifici storico-monumentali pone problemi di difficile soluzione se si vuole
preservarne l’autenticità. Per tale motivo è di particolare importanza lo studio delle azioni sismiche attese nei siti monumentali e della loro probabilità di evenienza.
I danni osservati dopo i terremoti mostrano irregolarità e variazioni riconducibili all’influenza
di condizioni locali (fattori geomorfologici e geotecnici) ed all’interazione dinamica terrenostruttura. Gli effetti di modificazione locale dello scuotimento del suolo (amplificazione e attenuazione), a cui possono associarsi anche effetti di instabilità dei terreni, vengono denominati “effetti
locali” ed “effetti di sito”.
Alcuni tipici effetti locali sono: movimenti franosi dei pendii, scorrimenti e cedimenti differenziali in corrispondenza di contatti geologici o di faglie, scivolamenti o rotture nel terreno, fenomeni
di liquefazione nei terreni granulari fini saturi, fenomeni di subsidenza in corrispondenza di cavità, etc.. (Figura 14).
Per effetti di sito, in genere meno spettacolari ma talvolta altrettanto gravi per le costruzioni, si
intendono le modifiche del moto sismico rispetto al moto della roccia sottostante (bedrock) dovute
alla morfologia ed alle condizioni stratigrafiche e geotecniche.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
20
Progressione
della frattura
a) Rottura di distacco
e
on
az
i
Tr
Gravità
Superficie
di rottura
Trazione
Superficie
di rottura
b) Sfogliamento di un versante
a stratificazione verticale
Rigetto
zi
la
as
Tr
e
on
a) Traslazione orizzontale
b) Rigetto verticale
Superficie di
rottura potenziale
Strato
liquefacibile
Affondamento
potenziale
Superficie di
rottura potenziale
Figura 14 – Scenari di pericolosità legati agli effetti locali indotti dai terremoti (da Crespellani, 1999)
Un esempio: il muro di sostruzione del Sacro Convento di Assisi
La sequenza sismica che, nel Settembre – Ottobre 1997, ha colpito le regioni italiane dell’Umbria
e delle Marche, ha prodotto ingenti danni al complesso monumentale di Assisi, comprendente la
Basilica di San Francesco (1228-1230) composta da due chiese, una sovrastante l’altra, le due piazze, superiore ed inferiore, il Sacro Convento, il Palazzo Papale ed il campanile romanico.
Il complesso monumentale della Basilica di San Francesco ad Assisi sorge alla sommità di una
collina, denominata Colle del Paradiso (Foto 13), la cui morfologia è stata profondamente modificata rispetto allo stato naturale.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
21
Upper church
Lower church
Upper wall
Square
Pope Palace
Lower wall
Garden land
Accelerometric station
Foto 13 - Vista generale del complesso monumentale del Sacro Convento di Assisi (da Crespellani et al.,
2001)
La Basilica, la cui costruzione inizia nel 1228, due anni dopo la morte di San Francesco, è formata da due chiese sovrapposte. La chiesa inferiore, contenente la cripta con le spoglie di San Francesco, sostiene materialmente ed idealmente la chiesa superiore. Durante la seconda forte scossa sismica, avvenuta alle ore 11h40' del 26 Settembre 1997, in diretta televisiva, si verificò il crollo della
volta della chiesa superiore, affrescata da Giotto, con conseguenze gravissime sia in termini di vite
umane (due vittime) sia di danno al patrimonio artistico culturale dell'umanità.
La conformazione e la pendenza del terreno impedirono la costruzione delle due facciate sovrapposte; alla chiesa inferiore si accede infatti da un portale laterale costruito nel 1271. La morfologia naturale del Colle del Paradiso, presentava in direzione N-S una forma convessa di notevole
pendenza, ed in direzione E-W una forma sinuosa. Il primo intervento di sistemazione del piazzale
antistante la chiesa superiore risale al 1275. In quel periodo i fedeli accedevano solo alla chiesa superiore. Nel XV° e XVI° secolo furono eseguiti i lavori di sistemazione dello spazio antistante alla
chiesa inferiore. L'attuale morfologia del Colle del Paradiso, in direzione N-S, è a gradonata, con
due muri di sostegno a gravità fondati sul terreno naturale roccioso. All'inizio del XV° secolo era
già presente il muro di contenimento inferiore che sostiene un terrapieno erboso e coltivato ad orto, mentre il muro superiore, detto di sostruzione, fu iniziato nel 1509, con lo scopo di creare una
grande piazza pavimentata al livello della chiesa inferiore. In corrispondenza circa della mezzeria
della piazza, in direzione longitudinale ad essa, sono stati recentemente scoperti i resti sepolti di
un muro di sostegno, molto più piccolo dell'attuale muro di sostruzione, che probabilmente deli-
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
22
mitava una piazza più piccola ed a quota inferiore dell'attuale. Infine, nel 1744 fu realizzata la
doppia scalinata che collega le piazze antistanti alle due chiese.
Nel seguito si presenta una sintesi dell’analisi sismica dinamica del comportamento del muro di
sostruzione (Crespellani et al., 2001) durante il terremoto del 1997.
La storia sismica del muro di sostruzione inizia dunque nel 1509. Dal catalogo dei terremoti forti italiani dal 461 a.C. si desume che i terremoti risentiti con maggiore Intensità locale (da 7 a 8) ad
Assisi nel periodo considerato furono tre (1751, 1832 e 1984). Nelle cronache storiche, ove sono descritti i danni prodotti dai terremoti, fra cui quelli subiti dal Sacro Convento, non vi è cenno a movimenti del muro di sostruzione.
Il muro di sostruzione è un'opera di sostegno a gravità in muratura di pietra, di spessore costante e pari a 4 m, rettilineo, di lunghezza 93 m circa e di altezza totale variabile e non del tutto
nota, probabilmente compresa tra 10 m e 20 m. La parte fuori terra ha altezza compresa tra 9 m e
12.,5 m. Il muro ha spessore costante di muratura piena dalla quota di fondazione fino al piano di
valle (orto), mentre nella parte superiore ha una struttura nervata, scatolare, con piloni ed archi.
Sulla sommità del muro, alla quota del piazzale della chiesa inferiore, è presente un loggiato con
volte a crociera, chiuso dal lato di valle da un muro di spessore 0,7 m e delimitato nel lato prospiciente la piazza da un colonnato. Il loggiato prosegue anche oltre il muro di sostruzione, delimitando per tre lati il piazzale della chiesa inferiore.
Il terreno di fondazione del muro di sostruzione è una roccia calcareo marnosa, fittamente stratificata e fratturata, che appartiene alla formazione geologica della "scaglia rossa", affiorante nella
zona. Il terreno latistante al muro, sia a valle che a monte, pur con differenti spessori, è un riporto
antropico privo di coesione e molto eterogeneo. Elementi lapidei e frammenti di laterizio di varie
dimensioni sono immersi in una matrice sabbiosa e limosa poco addensata. Lo spessore dello strato di riporto è molto variabile, specialmente in direzione trasversale alla piazza ed al muro, poiché,
come si è detto, la morfologia naturale è molto accidentata e scoscesa. In particolare in corrispondenza della mezzeria della piazza lo spessore è dell'ordine di 4-6 metri, mentre in corrispondenza
del muro di sostruzione raggiunge talora 20 metri. Il terreno di rinterro, a monte e a valle del muro, non è sede di falde acquifere e può considerarsi secco.
Foto 14 – Lesioni nella pavimentazione della piazza
(da Crespellani et al., 2001)
Figura 15 - Planimetria della piazza con indicazione
delle principali fratture, localizzazione dei sondaggi
stratigrafici e traccia delle quattro sezioni analizzate
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
23
In seguito al terremoto del Settembre - Ottobre 1997, nella pavimentazione del piazzale retrostante al muro di sostruzione si manifestarono quattro ampie lesioni (Foto 14 e Figura 15).
Le lesioni, di lunghezza compresa tra 3 e 26 metri, formavano un sistema che delimitava planimetricamente un arco ribassato nella zona di estremità del muro, ove esso ha maggiore altezza.
L'arco aveva una freccia di 11 m e una corda di 60 m circa. Misure di verticalità (fuori piombo) del
paramento di valle del muro, misero in evidenza la rotazione del muro verso l'esterno con valori
massimi nel tratto corrispondente alla sommità dell'arco individuato dal sistema di lesioni nella
pavimentazione del piazzale. In sostanza era ben definito un cuneo di spinta attiva tridimensionale
delimitato da un arco, nel piano orizzontale della piazza, le cui estremità corrispondevano da un
lato alla zona terminale d'angolo, e quindi vincolata, del muro, e dall'altro ad una zona in cui l'altezza del muro è sensibilmente minore. In corrispondenza delle quattro sezioni A, B, C e D indicate in planimetria, il fuori piombo dal livello della piazza al livello dell'orto, ovvero per l'altezza di
muro fuori terra, risultarono rispettivamente di 14, 22, 20 e 3 cm. Ipotizzando un moto di rotazione
rigida del muro intorno allo spigolo esterno della fondazione gli angoli di rotazione corrispondenti
sono di 0.65°, 1.06°, 1.03° e 0.19°. Non essendo noto il valore del fuori piombo del muro prima del
terremoto del 1997, non è possibile conoscere la rotazione avvenuta durante tale evento. I valori
stimati della rotazione ne sono un limite superiore, in quanto comprendono anche i movimenti
cumulati durante la vita della struttura e cioè dal 1509.
Nel 1995 il Servizio Sismico Nazionale aveva istallato un sistema di monitoraggio statico e dinamico di una parte del Sacro Convento di Assisi, per studiare il comportamento della struttura a
seguito di terremoti di debole e media intensità. La strumentazione di controllo era concentrata
nella zona del Palazzo Papale, ove erano più evidenti i segni di dissesto statico. Il sistema di monitoraggio comprendeva una serie di stazioni accelerometriche digitali, che naturalmente si sono attivate durante la crisi sismica del Settembre - Ottobre 1997, una delle quali (Foto 13), denominata
Assisi Stallone, è stata scelta per l'analisi dinamica del muro di sostruzione. I motivi della scelta
sono i seguenti: 1. le fondazioni del Sacro Convento e del muro di sostruzione sono sulla stessa
formazione rocciosa, 2. la stazione accelerometrica si trova alla stessa quota della fondazione del
muro ed è collocata nella muratura perimetrale esterna del Palazzo Papale, in pietra e di grande
spessore.
L'analisi sismica dinamica del muro di sostruzione è stata condotta con riferimento alle quattro
sezioni A, B, C e D indicate nella planimetria di Figura 15, e schematicamente rappresentate in Figura 16.
La sezione A è quella di massima altezza netta H-H1, ma è anche quella che maggiormente risente degli effetti tridimensionali in quanto la più vicina all'estremità vincolata del muro. Alla sezione B corrisponde la massima altezza totale H. La sezione C è in corrispondenza del vertice dell'arco delineato dal sistema di lesioni nella pavimentazione della piazza. La sezione D è di minore
altezza libera, ma anche di minore profondità di incasso, ed è esterna alla zona in cui sono apparse
lesioni evidenti.
I movimenti permanenti di rotazione e di traslazione del muro sono stati ottenuti per integrazione numerica delle corrispondenti equazioni di moto con riferimento allo schema del blocco di
Newmark. Tenuto conto dell'orientazione del muro (NW-SE) sono state utilizzate entrambe le
componenti orizzontali delle registrazioni accelerometriche dei tre eventi principali. I movimenti
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
24
del muro calcolati con le componenti NS ed EW non sono molto differenti fra loro, e, come valore
rappresentativo, se ne è assunta la media.
Section
B (m)
H (m)
H1 (m)
A
4
16.9
4.6
B
4
18
6.1
C
4
17.2
6.1
D
4
11.2
2.1
∆
θ
∆
δ
δ
Figura 16 - Schema, simboli e dimensioni delle quattro sezioni analizzate (da Crespellani et al., 2001)
Il calcolo è stato eseguito con riferimento a sezioni piane, trascurando gli effetti tridimensionali.
Ciò porta sicuramente ad una sovrastima delle azioni e degli spostamenti per la sezione A, prossima all'estremità vincolata del muro, e ad una sottostima delle azioni e degli spostamenti per la
sezione D, di minima altezza.
In Figura 17 sono rappresentati gli accelerogrammi della componente WE delle tre registrazioni
e le rotazioni cumulate delle quattro sezioni del muro.
In Figura 18 sono rappresentati i valori misurati e calcolati dei movimenti permanenti di fuori
piombo del muro. In ascissa è indicata la distanza della sezione dall'estremità vincolata del muro. I
risultati ottenuti possono considerarsi buoni.
Per le sezioni C e D, lontane dalla estremità vincolata, gli spostamenti misurati sono da due a
tre volte maggiori degli spostamenti calcolati. Ciò trova giustificazione nel fatto che le misure si
riferiscono alla configurazione iniziale indeformata e comprendono gli spostamenti cumulati dall'epoca di costruzione del muro (1509) ad oggi, e durante tale periodo si sono verificati almeno tre
terremoti forti oltre a quello del 1997. Per la sezione A, la più vicina all'estremità vincolata del mu-
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
25
ro, gli spostamenti misurati sono inferiori a quelli calcolati, per la sezione B, essi sono di poco superiori. Tenuto conto che il muro ha spessore 4 m e altezza totale di circa 18 m nella zona di estremità e decrescente allontanandosi da essa, è ragionevole che gli effetti tridimensionali di bordo si
risentano in modo sensibile per una distanza dell'ordine di due volte l'altezza massima e cioè per
36 m. Poiché la distanza tra l'estremità vincolata e le sezioni A e B è rispettivamente di 12 m e 24 m
circa, esse risentono entrambe, seppure in maniera diversa, degli effetti vincolari di bordo, trascurati nel calcolo teorico bidimensionale.
acceleration [g]
0,25
D
0,15
B
C
0,05
-0,05
A
-0,15
kc(rot)
rotation [°]
-0,25
1,20
1,00
0,80
0,60
0,40
0,20
0,00
0
20
40
60
80
time [s]
100
120
100
120
A
B
C
D
0
20
40
60
80
time [s]
Figura 17 - Componente WE delle tre principali scosse della sequenza sismica del 1997 registrate dalla stazione accelerometrica
di Assisi Stallone e rotazione cumulata del muro in corrispondenza delle quattro sezioni analizzate (da Crespellani et al.,
2001)
25
B
A
C
s (cm)
20
measured
calculated
15
10
D
5
0
0
20
40
60
80
d (cm)
Figura 18 - Movimenti misurati e calcolati del muro per le quattro sezioni analizzate (da Crespellani et al., 2001)
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
26
SUBSIDENZA PER EMUNGIMENTO DI FLUIDI DAL SOTTOSUOLO
La subsidenza, ovvero il lento abbassamento della superficie del terreno su vaste aree, è un fenomeno che può avere origine naturale o antropica. La subsidenza naturale, per movimenti di tettonica profondi o per consolidazione di terreni di recente deposizione per effetto del peso proprio,
e l’eustatismo, ovvero la variazione nel tempo del livello del mare, hanno in genere un’evoluzione
molto lenta (decine o centinaia di migliaia di anni) ed hanno pertanto un minore interesse ingegneristico. La subsidenza antropica è causata dall’estrazione di solidi o di fluidi (liquidi o gassosi) dal
sottosuolo rispettivamente per la coltivazione di miniere o per lo scavo di gallerie, e per usi potabili, industriali o irrigui, o per usi energetici.
L’estrazione di acqua è la principale causa di subsidenza antropica. I cedimenti della superficie
sono dovuti alla riduzione delle pressioni interstiziali ed al conseguente incremento delle pressioni
efficaci nel sottosuolo. Gli strati di terreno a grana fine, limi e argille, più compressibili, si consolidano, per effetto dell’incremento di tensione verticale efficace, e si deformano in direzione verticale dando luogo a cedimenti in superficie.
Il fenomeno è solo in minima parte reversibile, poiché il comportamento dei terreni non è elastico. Naturalmente gli effetti della subsidenza, in termini di estensione dell’area interessata e di entità dei cedimenti assoluti e differenziali della superficie, dipendono oltre che dalla dislocazione,
profondità e numerosità dei pozzi, dalla portata di acqua emunta e dalle condizioni stratigrafiche e
geotecniche. Un’idea quantitativa delle dimensioni che può assumere il fenomeno della subsidenza in generale, non solo per estrazione d’acqua, è data in Figura 19.
Fra i molti casi di subsidenza per estrazione di acqua dal sottosuolo che hanno interessato e interessano siti monumentali in Italia si citano: Venezia e la sua laguna, il Duomo di Milano e l’area
monumentale di Ravenna, ove sorgono la Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia e la
Chiesa di Santa Croce. Un caso di subsidenza naturale e antropica di grandi proporzioni interessa
la Cattedrale Metropolitana di Città del Messico, e verrà illustrato nel seguito, al paragrafo sulle
tecniche di intervento.
Figura 19 – Entità degli abbassamenti ed estensione di alcune aree interessate dalla subsidenza (da Ricceri, 1992)
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
27
Un esempio: il Duomo di Milano
Il Duomo di Milano (Foto 15) è il monumento di maggior rilievo dell’architettura gotica in Italia. La costruzione ebbe inizio nel 1386 e fu terminata nel 1774. Le fondazioni furono poste alla profondità della
falda freatica che originariamente era situata a 7-8 m dal piano campagna. Il sottosuolo è costituito da un deposito alluvionale di
sabbia e ghiaia con piccola percentuale di
limo fino a 100-120 m di profondità, ad eccezione di uno strato limoso presente tra 9 e
11 m di profondità. I piloni delle navate e
del tiburio furono costruiti con materiali
diversi: il Sarizzo (materiale granitico), scaglie di marmo, e mattoni in un letto di calce
e sabbia all’interno, e il marmo di Condoglia all’esterno. Le proprietà meccaniche
Foto 15 – Il Duomo di Milano
dei materiali sono molto diverse, in particolare il modulo elastico del marmo di Condoglia è cinque volte maggiore del modulo elastico del Sarizzo. A causa di ciò, ed anche per
l’eccentricità dei carichi sui piloni, la distribuzione delle tensioni è molto irregolare con forti concentrazioni sul rivestimento esterno dei piloni. Per tale motivo, nel corso dei secoli si sono manifestate molte lesioni nella struttura del Duomo, ed in particolare nei piloni delle navate e del tiburio.
A partire dal 1920, l’estrazione di acqua dal sottosuolo milanese ebbe un progressivo incremento e produsse un forte l’abbassamento del livello di falda (Figura 20) ed un esteso fenomeno di
subsidenza (Figura 21). Nello stesso periodo le fessure e le lesioni delle strutture erano venute rapidamente moltiplicandosi ed aggravandosi, la velocità dei cedimenti differenziali indotti dei piloni del tiburio nel 1969 era di 0,5 mm/anno, ed il rischio di crollo sembrò concreto. Per rimuovere
questa causa di dissesto, prima di procedere ad un accurato restauro strutturale, l’Amministrazione Comunale impose una drastica riduzione degli emungimenti dalla falda, che determinò
un lento ma evidente rallentamento dei cedimenti di fondazione (Figura 22).
SUBSIDENZA PER SCAVO DI GALLERIE URBANE
La realizzazione di una galleria comporta inevitabilmente la variazione dello stato tensionale
nel sottosuolo, producendo deformazioni e cedimenti. Le conseguenze sono di varia natura: abbassamenti in superficie, variazione dell’andamento delle pressioni interstiziali, innesco di fenomeni
di consolidazione. Nel caso delle gallerie urbane, tutte queste azioni rappresentano potenziali problemi per le infrastrutture sotterranee, come sottoservizi, reti e condutture, e per le strutture esistenti in superficie, particolarmente per quelle monumentali.
In condizioni “free-field”, ovvero in assenza di costruzioni, si determina in superficie una depressione che prende il nome di bacino dei cedimenti, strettamente correlato al maggiore volume
di terreno scavato rispetto a quello strettamente necessario per alloggiare il cavo della galleria.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
28
Figura 20 – Profondità media della falda freatica a
Milano dal 1900 al 1983 (da Croce, 1985)
Figura 21 – Cedimenti per subsidenza nell’area del
duomo di Milano riferite al 1969 (da Ferrari da Passano, 1980)
Figura 22 – Cedimenti di due pilastri del tiburio nel tempo (da Croce, 1985)
L’entità della perdita di terreno ed i cedimenti sono influenzati dal metodo costruttivo e dal tipo
terreno in cui avviene lo scavo, ivi incluse le condizioni idrogeologiche. Gli abbassamenti possono
essere considerati simmetrici rispetto all’asse della galleria e, con riferimento ad una generica sezione trasversale, assumono la forma di una curva normale gaussiana (Figura 23).
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
29
In presenza di costruzioni, per effetto di interazione struttura-terreno, il bacino dei cedimenti
cambia forma, ma si può fare la ragionevole ipotesi che non vari il volume.
Nella progettazione di una galleria metropolitana, la stima delle ripercussioni in superficie e dei
possibili danni alle costruzioni esistenti nella fascia del bacino dei cedimenti viene eseguita con un
grado di approfondimento diverso (prima, seconda e terza assegnazione) a seconda del rischio ad
esse associato. Nel caso di edifici di particolare valore storico-monumentale può essere giustificata
un’analisi approfondita anche se il rischio di danneggiamento non è elevato.
Lo studio più recente, approfondito
e completo sulle conseguenze dello
scavo di una galleria su opere monumentali è stato eseguito in occasione
della progettazione e della realizzazione della Jubilee Line Extension della metropolitana di Londra, che sottopassa molti edifici storici fra cui la
Torre dell’Orologio (Big Ben) ed il Palazzo di Westminster (Burland et al.,
2001).
Un esempio:
Palazzo Strozzi a Firenze
Per contribuire alla risoluzione dei
problemi di traffico e di mobilità
nell’area fiorentina un gruppo di ricerFigura 23 - Vista tridimensionale del bacino dei cedimenti (da
catori dell’Università di Firenze ha
Peck, 1969)
ideato e verificato la possibilità di adottare un sistema di trasporto sotterraneo rapido e innovativo, denominato micro-metropolitana
(µM), che prevede la realizzazione di una galleria di piccolo diametro (Angotti et al., 2004). Il progetto non è mai stato preso in considerazione dall’Amministrazione Comunale.
Per stimare il rischio di danneggiamento agli edifici è stato utilizzato il classico metodo basato
sulla stima empirica del bacino dei cedimenti e delle tensioni di trazione limite sulle murature, ma
per edifici di particolare valore storico monumentale è stato condotto un più dettagliato studio di
interazione terreno-struttura. L’edificio storico fiorentino di maggiore importanza sito entro la fascia del bacino dei cedimenti è Palazzo Strozzi (Foto 16).
Palazzo Strozzi, uno dei simboli più alti dell’architet-tura rinascimentale, ha pianta rettangolare
di dimensioni 40x53 m circa, altezza 32 m, tre piani, struttura in muratura di blocchi di pietra e
fondazioni superficiali continue poste alla profondità di 3,6 m dal piano stradale su un strato di
ghiaia di riporto di spessore 2,4 m.
La falda freatica è alla profondità di 6,5 m. Il sottosuolo è costituito da un primo strato di materiale di riporto (R), dello spessore di 4,0 m circa, molto eterogeneo prevalentemente composto da
limo e sabbia con numerosi frammenti di laterizio, e da un secondo strato di depositi fluviali recenti (Ag), ciottoli e sabbia in matrice limo-argillosa, di spessore 14 m circa, che appoggia sul bedrock
(S).
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
30
Il tracciato della galleria in progetto
sotto passa l’edificio con un’inclinazione
di 8° alla profondità di 14,3 m circa (Figure H e I).
Il tracciato della galleria in progetto
sotto passa l’edificio con un’inclinazione
di 8° alla profondità di 14,3 m circa (Figure 24 e 25).
Foto 16 – Palazzo Strozzi a Firenze
Figura 24 – Pianta di Palazzo Strozzi e posizione della galleria in progetto (da Pichirallo et al., 2007)
Lo studio di interazione tra il processo
di scavo della galleria e Palazzo Strozzi è
stato svolto con il programma FLAC, assumendo differenti ipotesi sulla percentuale di volume perso e sul modulo di
deformazione della muratura. Le operazioni di scavo sono state simulate con la
tecnica del decremento controllato delle
tensioni al contorno della cavità. In Figura 26 sono rappresentati i profili dei cedimenti calcolati sotto le diverse ipotesi
di progetto e confrontati con il bacino dei
cedimenti in condizione free-field.
Anche se l'incremento dello stato di
tensione indotto dalle operazioni di scavo
nella muratura non è tale da produrre un
danno visibile (fratture), tuttavia determina una riduzione delle riserve di resistenza. Per calcolare e visualizzare tale
danno “nascosto” è stato utilizzato il parametro “indice di danno” (ID) (Altamura
e Miliziano, 2005).
Si definisce rapporto di resistenza disponibile (ASR) la distanza tra lo stato di
tensione attuale e quello che determina la
rottura della muratura. Il valore di ASR,
compreso tra 0 e 100%, rappresenta la
percentuale di resistenza disponibile mobilizzata per l'equilibrio. Una variazione
dello stato di tensione comporta una variazione del valore di ASR. Se si indicano
co ASRb e ASRa rispettivamente i valori
del rapporto di resistenza disponibile
prima e dopo lo scavo, si definisce indice
di danno il rapporto:
Figura 25 – Modello geometrico e geotecnico per lo studio
di interazione (da Pichirallo et al., 2007)
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
31
ID = (ASRb – ASRa)/ASRb.
Nelle Figure 27 e 28 sono rispettivamente rappresentati, per la facciata di
Palazzo Strozzi su piazza Strozzi, i valori di ASRb, ASRa ed ID della resistenza di taglio. Nel caso che la galleria
venisse realizzata, la riduzione della
resistenza disponibile risulterebbe ovunque inferiore al 40% e si prevede
che non si formerebbero lesioni sulle
murature di Palazzo Strozzi.
Figura 26 – Profili di cedimento della facciata di Palazzo Strozzi
per le diverse ipotesi di progetto e confronto con il bacino dei
cedimenti free-field (da Pichirallo et al., 2007).
a
b
Figura 27 – Rapporto di resistenza al taglio disponibile prima (a) e dopo (b) dello lo scavo della galleria sulla facciata di Palazzo Strozzi (da Pichirallo et al., 2007).
Figura 28 – Indice di danno per taglio sulla facciata di Palazzo Strozzi (da Pichirallo et al., 2007).
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
32
DEFORMAZIONI INDOTTE DA SCAVI A CIELO APERTO
La realizzazione di scavi a cielo aperto, ad esempio per la costruzione delle stazioni delle metropolitane o dei parcheggi sotterranei, in prossimità di edifici ne possono causare il danneggiamento, come conseguenza dei cedimenti che si verificano a monte dell’opera di sostegno dello scavo. Il profilo dei cedimenti dipende dalle condizioni geotecniche e idrogeologiche, dal tipo di struttura di sostegno e dall’accuratezza della messa in opera. Un ordine di grandezza dei cedimenti attesi può essere desunta dal grafico di Figura 29, in cui sono indicati i cedimenti misurati in funzione della distanza dallo scavo, per scavi eseguiti in differenti luoghi e condizioni geotecniche (Peck,
1969). Entrambe le grandezza sono adimensionalizzate rispetto alla massima profondità di scavo.
Il diagramma è diviso in tre zone: la zona I si riferisce ad un sottosuolo sabbioso o di argilla di consistenza da alta a media, la zona II ad argille di consistenza da media bassa, la zona III ad argille di
consistenza da bassa a molto bassa.
Una stima quantitativa empirica dei cedimenti attesi per scavi in terreni sabbiosi, che tiene conto della qualità della manodopera (e quindi della cura nella realizzazione dell’opera di sostegno) e
della difficoltà di costruzione è ottenibile con il metodo empirico di Bauer (1984) illustrato in Figura 30.
Figura 29 – Cedimenti misurati in funzione della distanza dallo scavo (da Peck, 1969)
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
33
Figura 30 – Metodo empirico di stima dei cedimenti attesi per scavi in terreni sabbiosi (da Bauer, 1984)
Un esempio: L’Abside di Santa Maria Novella a Firenze
Per la realizzazione del parcheggio di piazza della Stazione a Firenze fu necessario eseguire uno
scavo a cielo aperto del volume di 130.000 m3 e di profondità 16 m in prossimità di due edifici monumentali: la Stazione ferroviaria di Santa Maria Novella e l'abside della Chiesa di Santa Maria
Novella (Foto 17).
La Stazione di Santa Maria Novella è una delle opere più significative
del cosiddetto Razionalismo Italiano
degli anni ’30 del novecento.
Foto 17 – Chiesa e Stazione di Santa Maria Novella a Firenze
La Basilica di Santa Maria Novella,
iniziata nel 1278 e consacrata nel
1420, è una delle più importanti chiese di Firenze. Nelle cappelle del transetto, prossimo all’area del parcheggio, si trovano affreschi del Ghirlandaio e di Filippino Lippi di incomparabile valore storico e artistico.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
34
Poiché è sempre meglio prevenire che curare, in fase di progettazione architettonica e su consiglio dell'ingegnere geotecnico, fu scelta per il parcheggio la forma pentagonale in pianta, tale che il
bordo dello scavo fosse quanto più possibile lontano dalla struttura più preziosa e vulnerabile,
l'abside della Chiesa di Santa Maria Novella (Figura 31).
Poiché il parcheggio sarebbe stato sotto la scalinata di accesso alla Stazione, essa fu smontata, i
singoli pezzi furono numerati, e poi fu rimontata al termine dei lavori esattamente come e dove era
in precedenza.
Il sottosuolo era costituito da un primo strato di spessore 5 m circa di terreno di riporto di natura limo-argillosa e limo-sabbiosa, poi da ghiaia e sabbia fino alla profondità massima di indagine
(50 m) interrotto da uno strato di limo argilloso, consistente, alla profondità media di 26 m, e di
spessore variabile tra 1 e 3 m. La falda freatica si trovava a circa 6 m di profondità. Lo scavo doveva quindi essere sotto falda per 10 m circa.
La struttura perimetrale di sostegno fu realizzata con diaframmi in c.a. gettati in opera con due
ordini di tiranti provvisori (i tiranti non avrebbero potuto essere definitivi a causa delle correnti
elettriche vaganti dovute alla vicinanza della Stazione ferroviaria), sostituiti nella loro funzione, a
struttura ultimata, dai solai del parcheggio.
Per evitare di dovere abbattere il livello di falda, con conseguente rischio di cedimenti per subsidenza nell'area circostante allo scavo, che avrebbero potuto danneggiare sia l'abside di Santa Maria Novella sia l'atrio della Stazione ferroviaria, i diaframmi perimetrali furono approfonditi fino a
superare lo strato di limo-argilloso consistente e poco permeabile. Poiché tuttavia lo spessore di
tale strato era variabile, comunque non molto grande, e vi era il rischio che non fosse continuo in
tutta l'area di scavo, fu predisposto un accurato sistema di monitoraggio delle pressioni e dei movimenti del diaframma, delle pressioni interstiziali all'esterno dell'area di scavo, dei movimenti
dell'abside e dell'inclinazione del campanile, con sistema automatico di allarme se fossero state
superate delle soglie di attenzione.
I controlli topografici indicarono cedimenti di pochi decimi di millimetro in punti situati a diversa distanza dallo scavo. Il livello piezometrico all'esterno dell'area di scavo mostrò un abbassamento di circa 2 m, che tuttavia era dovuto al periodo di osservazione (dal maggio all'agosto 1990)
ed alla stagione eccezionalmente secca di quell'anno. Il livello piezometrico cominciò a risalire nel
mese di Settembre. I movimenti dell'abside e le inclinazioni del campanile risultarono del tutto trascurabili.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
35
Figura 31 – Forma e posizione del parcheggio della Stazione di Firenze (da Crespellani et al., 1991)
RISTRUTTURAZIONI E VARIAZIONI DI CARICO E D’USO
Nel caso di edifici antichi che durante lavori di ristrutturazione sono modificati sensibilmente
nella loro struttura portante e/o che sono utilizzati con carichi sensibilmente superiori a quelli che
agivano in origine, possono verificarsi cedimenti in fondazione e conseguenti danneggiamenti alle
murature.
INDAGINI
La progettazione geotecnica passa attraverso la definizione di un modello geotecnico, ovvero di
uno schema semplificato della realtà fisica, che concili quanto più possibile variabilità e complessità naturale e antropica con procedure e metodi di calcolo che conducano ad una soluzione quantitativa affidabile, anche se non esatta, del problema ingegneristico.
In generale nei progetti di ingegneria civile per la realizzazione di opere nuove, la geometria, la
rigidezza e la resistenza della costruzione in progetto possono essere variate fino a ottenere una
soluzione soddisfacente. Lo scopo delle indagini geotecniche è identificare le condizioni stratigrafiche e di falda all’interno del volume significativo di sottosuolo, e di caratterizzare il comportamento meccanico delle diverse formazioni in esso presenti.
Dovendo intervenire su opere esistenti di cui manchi la documentazione tecnica di progetto,
l’indagine geotecnica deve coordinarsi con l’indagine storica, per raccogliere e valutare tutte le informazioni esistenti sulla costruzione e sulla vita del monumento, e con l’indagine strutturale, ne-
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
36
cessaria per individuare e conoscere la geometria, le proprietà fisico-meccaniche e quindi la rigidezza della struttura in elevazione e delle sue fondazioni.
INDAGINI STORICHE
Nei problemi restauro e/o conservazione di monumenti, è necessario acquisire una conoscenza
adeguatamente dettagliata dell’oggetto su cui si vuole intervenire e delle cause che ne hanno prodotto l’ammaloramento. L’oggetto che si deve conoscere è l’insieme unitario costituito dal monumento, comprese le fondazioni, e dalla porzione di sottosuolo che interagisce con esso (Sistema
Sottosuolo-Monumento). Le cause dell’ammaloramento devono essere determinate come meglio
possibile, sia qualitativamente sia quantitativamente. A tal fine, l’indagine storica è finalizzata alla
determinazione della sequenza temporale dei carichi che hanno agito sul terreno di fondazione,
ovvero delle date e della cronologia della costruzione, incluse eventuali sospensioni dei lavori (Figura 32). Infatti il comportamento meccanico dei terreni, particolarmente dei terreni a grana fine, è
fortemente dipendente dalla durata e dall’intensità di applicazione dei carichi, sia per consolidazione sia per viscosità. Inoltre, attraverso l’indagine storica è talvolta possibile appurare se il terreno di fondazione è naturale o di riporto, se le fondazioni insistono su o incorporano preesistenti
strutture, le trasformazioni della costruzione e del suo uso nel tempo, le modifiche dell’ambiente
in cui è inserita la costruzione, le testimonianze di movimenti, fratture, ed altri
danneggiamenti avvenuti nel
tempo, la descrizione di precedenti interventi di consolidamento e di restauro. dei
materiali delle fondazioni
coeve all’opera in studio. Infine l’indagine storica è utile,
talvolta in sinergia con
l’indagine geofisica, per identificare la geometria, le
tecniche costruttive e le proprietà fisico-meccaniche di Figura 32 - Cronologia della costruzione della torre di Pisa (da Viggiani,
strutture sepolte presenti sot- 2002)
to il monumento in studio.
In Paesi con una lunga storia di insediamenti urbani, come l’Italia, succede frequentemente che
durante la realizzazione di un’opera di ingegneria civile come un parcheggio sotterraneo o la stazione di una metropolitana, si rinvengano resti archeologici di antiche strade, necropoli, murature,
etc... In genere tale evento è temutissimo dal Committente dell’opera, poiché produce il blocco dei
lavori per il tempo anche molto lungo necessario all’esecuzione dei rilievi archeologici, talvolta
impone di rinunciare alla realizzazione dell’opera secondo il progetto originario, e comunque
comporta un forte danno economico. In linea di principio potrebbero essere previste, in fase di
progetto della nuova opera, indagini di geo-archeologia che utilizzano tecniche non invasive di
prospezione geofisica, come il georadar e la tomografia di resistività elettrica, ma tali tecniche sono
costose e poco accurate, poiché consentono di individuare solo strutture sepolte con proprietà fisi-
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
37
che molto differenti da quelle del terreno in cui sono immerse, e quindi sono riservate ai siti ove la
probabilità di rinvenimento (rischio archeologico) è alta. L’indagine storica è anche il mezzo per
valutare il rischio archeologico.
L’indagine storica deve essere condotta da uno storico esperto, che sappia dove, come e cosa ricercare, e quando necessario tradurre i documenti scritti in linguaggio moderno (Figura 10), ma
allo storico deve affiancarsi un ingegnere civile, in grado di comprendere i fenomeni descritti e di
interpretarli alla luce delle odierne conoscenze dell’ingegneria strutturale e geotecnica.
INDAGINI SULLE STRUTTURE IN ELEVAZIONE E DI FONDAZIONE
A causa dell’interazione statica fra le varie parti del Sistema Sottosuolo-Monumento, la prima
indagine da eseguire consiste nell’attenta osservazione, nel rilievo grafico e fotografico del complesso edilizio, nella misura dei movimenti, delle rotazioni e delle lesioni visibili nelle strutture in
elevazione. Tale indagine è finalizzata ad individuare la cinematica dei movimenti, passati e presenti, e ad ipotizzarne le cause. L’indagine geotecnica dovrà essere eseguita solo se l’interpretazione dello stato deformativo può fare supporre che la causa delle lesioni stia nel terreno di fondazione, ed avrà lo scopo di verificare tale ipotesi. I cinque modelli meccanici di riferimento per interpretare le lesioni visibili nella struttura in elevazione riferibili al comportamento del terreno di
fondazione sono rappresentati in Figura 33.
Le lesioni verticali di trazione ed inclinate di taglio sono dovute a cedimenti differenziali del
terreno. La loro disposizione indica se la deformata è concava (Figura 33b) o convessa (Figure 33a e
33c), oppure se vi è una forte differenza di rigidezza nel terreno di fondazione (Figura 33e). Le lesioni orizzontali invece possono essere riferite quasi esclusivamente a movimenti verticali del terreno, spesso dovuti a ritiro, ovvero a riduzione di volume, di terreni coesivi per diminuzione del
contenuto in acqua (Figura 33d). Talvolta il quadro fessurativo non è interpretabile con un unico e
semplice schema meccanico.
Uno spesso indispensabile ausilio all’interpretazione del cinematismo ed alla sua evoluzione
consiste nel monitoraggio preventivo, strutturale e geotecnico. Il piano di monitoraggio deve essere predisposto in modo tale che le misure strumentali possano confermare o smentire le possibili
ipotesi sulla cinematica del fenomeno, e deve prevedere un numero ridondante di strumenti e di
misure, sia per verificare che il quadro complessivo delle osservazioni sia coerente, sia perché
spesso alcuni strumenti vanno fuori uso o sono difettosi già dall’istallazione. Inoltre, per ogni
strumento di misura, ed in particolare per gli strumenti elettronici, occorre valutare precisione e
accuratezza anche attraverso il confronto con strumenti ottici e/o meccanici. I concetti di precisione
e accuratezza sono ben illustrati nella Figura 34.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
38
b
a
d
c
Figura 33 – a) Lesioni di taglio e trazione per deformata convessa del terreno di appoggio b) Lesioni di
taglio e trazione per deformata concava del terreno
di appoggio c) Lesioni di taglio e trazione per deformata convessa da un solo lato del terreno di appoggio d) Lesioni orizzontali per cedimento del piano di fondazione dovuto a ritiro e) Lesioni di taglio
per disomogeneità del terreno di fondazione
e
Figura 34 - Analogia del bersaglio per la definizione concettuale di accuratezza e
precisione (adattato da Orchant et al., 1988)
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
39
Di norma, nel monitorare a scopo diagnostico le strutture di recente costruzione, si richiede che
il periodo di osservazione sia tale da coprire un intero ciclo stagionale, ovvero un anno, ma nel caso delle strutture molto antiche il periodo di osservazione dovrebbe essere ancora più lungo, per
distinguere i movimenti e le conseguenti lesioni verificatisi in un passato anche remoto, per cause
non più presenti, dai movimenti in atto.
Le principali grandezza da monitorare nel tempo sono:
-
l’ampiezza delle principali lesioni nelle murature,
i movimenti orizzontali assoluti e relativi delle strutture verticali,
le rotazioni delle strutture verticali e orizzontali,
la temperatura interna e esterna,
le pressioni interstiziali,
le deformazioni e i movimenti nel terreno di fondazione.
I principali strumenti sono:
-
-
-
per la misura dell’ampiezza delle lesioni, si utilizzano estensimetri meccanici mobili, da posizionare su due piccole piastrine metalliche poste a cavallo della lesione, e/o estensimetri fissi
con trasduttori elettrici connessi ad un sistema di acquisizione automatico,
per la misura dei movimenti orizzontali assoluti delle strutture verticali, si utilizza un pendolo
fisso con sistema di misura basato su telecoordinometro, mentre per la misura dei movimenti
relativi, si può utilizzare un più semplice ed economico estensimetro a base lunga,
per la misura delle rotazioni delle strutture verticali e orizzontali, si utilizzano i clinometri fissi
o rimovibili,
le pressioni interstiziali sono misurate con piezometri di tipo diverso a seconda della permeabilità del terreno,
le deformazioni e i movimenti nel terreno di fondazione sono misurati con inclinometri.
Le indagini sulle strutture di fondazione sono finalizzate a individuarne la tipologia, la geometria e le caratteristiche fisico – meccaniche. Se, sulla base delle indagini storiche preliminari, non si
hanno informazioni certe sulla tipologia e geometria delle fondazioni il metodo più semplice ed
utilizzato consiste nell’eseguire uno o più scavi di saggio fino alla profondità del piano di imposta
delle fondazioni stesse. Occorre però considerare che spesso gli edifici antichi hanno fondazioni a
profondità diverse, talvolta sovrastanti altre strutture preesistenti, per cui è consigliabile prevedere
un numero adeguato di pozzi e di saggi lungo il perimetro e all’interno dell’area di indagine, specie in presenza di costruzioni di altezza variabile (ad esempio chiesa e campanile).
Per le fondazioni in muratura i metodi di indagine sono in gran parte gli stessi utilizzati per le
murature delle strutture in elevazione. L’indagine preliminare consiste nel rilievo geometrico e fotografico, e nel rilievo dello stato fessurativo. Per determinare le proprietà meccaniche della muratura delle strutture di fondazione come delle strutture in elevazione esistono prove non distruttive,
semplici ed economiche, che si basano sulla misura delle velocità di onde soniche e ultrasoniche,
ma i cui risultati sono solamente qualitativi e utili ad individuare le disomogeneità e le anomalie, o
la presenza di fratture continue, ma non a stimare quantitativamente i parametri meccanici della
muratura. Per ottenere una stima quantitativa delle proprietà meccaniche occorre fare ricorso a
prove leggermente più invasive, come le prove con martinetto piatto (Figura 35), oppure estrarre
carote campione di piccolo diametro su cui eseguire prove fisiche, chimiche e meccaniche di labo-
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
40
ratorio. Nei fori possono essere inserite video camere miniaturizzate per verificare lo stato della
muratura e misurarne le cavità e le fratture.
Figura 35 - Schema delle fasi di una prova con martinetto piatto in una muratura (da Rossi, 1997)
Per stimare la lunghezza dei pali di fondazione, può essere utilizzato il metodo del colpo di
martello (Hammer-Blow method). Il metodo si basa sulla teoria della propagazione in un corpo
cilindrico delle onde sismiche di compressione (Figura 36). Il palo è messo in vibrazione da un colpo di martello in sommità. L’onda sismica generata si propaga nel palo con velocità c, e viene riflessa dalla base, per cui il segnale di ritorno giunge in sommità dopo un tempo T = 2L/c (essendo
L la lunghezza del palo). Per determinare la velocità c di propagazione dell’onda sismica, sono posti a distanza prefissata ∆L due sensori, che registrano l’arrivo dell’onda sismica con un ritardo ∆t.
Da cui c = ∆L/∆t. Le misure devono essere corrette per tenere conto degli effetti di smorzamento
conseguenti al rilascio di energia nel terreno. Se il palo è integro e non troppo marcito, l’errore di
stima della lunghezza non supera il 10% (Ladjarevic e Goldscheider, 1997).
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
41
Figura 17 - Prova del colpo di martello e sua interpretazione. a) Schema della strumentazione di prova, (1) scavo, (2) e (3) accelerometri, (4) massa battente, (5) amplificatori, (6) oscilloscopio, (7) computer, (8) stampante; b) registrazioni accelerometriche
lisciate (da Ladjarevic e Goldscheider, 1997)
INDAGINI GEOTECNICHE
Le indagini geotecniche, volte alla determinazione della successione stratigrafica e delle proprietà fisico meccaniche dei terreni di fondazione di opere monumentali, non differiscono dalle
tradizionali indagini geotecniche per la progettazione di strutture nuove, salvo che:
-
devono essere più approfondite e dettagliate,
devono essere evitate, o limitate al massimo, le tecniche di indagine che possono danneggiare
la struttura di fondazione esistente,
spesso devono interessare volumi di terreno più ampi di quelli considerati usualmente.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
42
Le modellazioni numeriche di interazione terreno-struttura possono essere considerate parte
dell’indagine strutturale e geotecnica, e sono un utile strumento per capire il comportamento delle
strutture antiche, confrontare gli effetti di varie ipotesi sulle cause dell’ammaloramento ed anche
per valutare gli effetti di soluzioni progettuali differenti. Tuttavia di norma i risultati di tali analisi
hanno un valore solo qualitativo e non quantitativo, specie per gli aspetti geotecnici, poiché è molto difficile e incerta la modellazione numerica di un terreno che ha subito una lunga e complessa
storia tensionale e deformativa. Si dovrebbe infatti ricorrere a modelli costitutivi del terreno molto
complessi dal punto di vista analitico e che richiedono la conoscenza di numerosi parametri di difficile e incerta determinazione sperimentale.
TECNICHE DI INTERVENTO
Le tecniche di intervento geotecnico per migliorare le condizioni di stabilità di un’opera monumentale possono essere divise in quattro classi (Calabresi e D’Agostino, 1997):
a)
Inserimento nel terreno di elementi strutturali (pali, micropali, ancoraggi, sottofondazioni,
etc..) allo scopo di modificare la distribuzione delle tensioni nel sottosuolo trasferendo parte
dei carichi a strati di terreno più rigidi e resistenti.
b)
Modifica delle proprietà del terreno mediante iniezioni chimiche e/o cementizie, trattamenti
elettro-osmotici, gettiniezione etc.., o rinforzo delle fondazioni in muratura o in legno esistenti.
c)
Modifica dello stato di tensione nel sottosuolo mediante variazione delle pressioni interstiziali o applicazione di carichi esterni, o mediante estrazione di piccoli volumi di terreno in
punti prescelti o iniezioni di miscele non permeanti al fine di produrre deformazioni imposte
del terreno e cedimenti controllati della struttura.
d)
Ripristino e conservazione delle condizioni iniziali del terreno e delle strutture mediante controllo ambientale eseguito sul contenuto in acqua del terreno e delle murature, o anche con la
protezione delle strutture in legno dalle azioni batteriche.
L’impatto della tecnica di intervento sulle condizioni originarie del Sistema SottosuoloMonumento decresce progressivamente passando dalle tecniche di classe a) a quelle di classe d), e
quindi, in base al principio generale di autenticità, dovrebbe essere esaminata la possibilità di utilizzarle nell’ordine inverso di esposizione. Tuttavia l’esperienza dimostra che ciò non avviene, essendo le tecniche di classe a) di gran lunga le più utilizzate, sia per la loro presunta maggiore efficacia, affidabilità e semplicità esecutiva, sia per motivi economici.
Fra le tecniche di intervento di classe a) sono particolarmente utilizzati gli allargamento e/o approfondimenti della fondazione superficiale e le sottofondazioni con pali o micropali.
SOTTOMURAZIONE E/O AMPLIAMENTO DELLA BASE D’APPOGGIO DELLA FONDAZIONE
La sottomurazione, che ha lo scopo di approfondire la quota di trasmissione del carico per raggiungere strati di terreno con migliori caratteristiche di resistenza e/o di rigidezza, o per sottrarre
la zona di posa della fondazione all’azione di agenti esterni superficiali, è di norma eseguita con
mattoni e malta cementizia o con calcestruzzo, in brevi tratti successivi in direzione orizzontale, in
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
43
modo da non pregiudicare la stabilità dell’opera. I principali limiti della tecnica di sottomurazione
derivano dal fatto che la mobilitazione della resistenza del terreno di fondazione avviene solo a
prezzo di ulteriori cedimenti, e che comunque la sottomurazione non può estendersi al di sotto del
livello di falda.
Un caso particolarmente interessante di allargamento della base della fondazione è quello del
campanile di San Marco a Venezia. Il campanile, eretto nel IX° secolo, crollò nel 1902 per cause diverse, fra cui in particolare alcuni difetti strutturali amplificati da trasformazioni d’uso, e fu decisa
la sua ricostruzione come e dove era. Poiché la fondazione originaria era in buono stato fu deciso
di riutilizzarla, ma di ingrandirla per ridurre le pressioni di contatto terreno-fondazione, utilizzando tecnica e materiali simili a quelli della struttura originaria. La fondazione originaria, aveva una
superficie di 222 m2, ed era costituita da cinque strati di pietre a gradoni poggianti su un plinto, la
cui superficie esterna era formata da sette strati di pietre squadrate. Il plinto, come da tradizione
veneziana, era appoggiato su un doppio strato di assi di legno poste su pali in legno, di lunghezza
1,5 m, infissi nel terreno di fondazione a distanza molto ravvicinata. La nuova fondazione fu allargata fino a 407 m2, e sostenuta da 3076 pali di legno di larice, di diametro medio 25 cm e lunghezza
compresa tra 4 e 7,6 m. Le sommità dei pali furono livellate, e gli interstizi furono riempiti con cemento e ghiaia. Sopra i pali fu posto un graticcio formato da tre strati di tavole di quercia, posizionati in modo che penetrassero e si sovrapponessero alla fondazione originaria per rendere solidali
le due strutture. Infine sul tavolato furono poste strati di pietre squadrate dello stesso tipo di quelle della fondazione originaria. L’attuale campanile, la cui ricostruzione terminò nel 1912, si presenta come l’originario per dimensioni, forma e colore, ma ha un peso minore e una fondazione più
estesa. In Figura 37 è rappresentata la struttura di fondazione del campanile di San Marco a Venezia, con evidenziate le parti nuova e originaria.
Figura 37 – Fondazione del Campanile di San Marco a Venezia (da Donghi, 1913, riprodotta in Colombo e
Colleselli, 1997)
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
44
SOTTOFONDAZIONE CON MICROPALI
Per trasferire il carico trasmesso dalla fondazione a strati di terreno ancora più profondi si utilizza la sottofondazione con pali (ormai raramente utilizzati) o con micropali, collegati con la struttura di fondazione originaria.
I micropali sono pali trivellati di piccolo diametro (8 ≤ d ≤ 25cm), realizzabili anche con notevole
inclinazione rispetto alla verticale e con attrezzature di ingombro e peso molto ridotti. La possibilità di disporli comunque orientati e inclinati consente di diffondere il carico trasmesso dalla struttura ad un ampio volume di terreno, mentre il piccolo ingombro delle attrezzature ne consente la
realizzazione anche da locali interni di strutture esistenti.
I tipi più diffusi di micropali sono i pali Radice e i pali Tubfix.
I pali Radice, ideati dall’ing. Lizzi e brevettati dall’Impresa Fondedile di Napoli negli anni ’50,
ebbero grandissima fortuna in tutto il mondo nella seconda metà del secolo scorso. Essi sono pali
trivellati con una colonna di tubi muniti all’estremità di una corona tagliente, L’asportazione dei
detriti di perforazione avviene mediante circolazione di un fluido (acqua o fango bentonitico).
L’armatura è costituita di norma da un’unica barra
d’acciaio ad aderenza migliorata. Durante il getto del calcestruzzo, che avviene dal basso verso l’alto con tubo convogliatore, viene estratta la camicia metallica. Il calcestruzzo
fluido è poi messo in pressione in modo da aderire perfettamente alle pareti della cavità. I pali radice sono di norma
utilizzati a coppie come mostrato dalla Figura 38.
Attualmente i micropali più utilizzati sono i micropali
Tubfix. L’esecuzione del micropalo Tubfix prevede
l’introduzione di un’armatura tubolare d’acciaio di forte
spessore in un foro eseguito per trivellazione, spesso con
circolazione di fango bentonitici. Il tubo d’acciaio ha una
serie di valvole di non ritorno disposte a interasse di 30-50
cm nel tratto terminale, in corrispondenza degli strati di
terreno cui si intende trasferire il carico. In una prima fase,
dalla valvola più profonda, viene iniettata una malta cementizia che, risalendo dal basso verso l’alto, occupa
l’intercapedine tra la parete del foro e il tubo di armatura.
In una seconda fase, è iniettata malta ad alta pressione attraverso ciascuna valvola, una per volta, dal basso verso
l’alto. Ciò produce la rottura della guaina e la formazione
di sbulbature di diametro tanto maggiore quanto più tenero è il terreno circostante. Per tale motivo la capacità portante del sistema palo-terreno dipende assai più dalle caratteristiche del micropalo che non da quelle del terreno.
Figura 19 – Schema di sottofondazione
con pali Radice (da Lizzi, 1989)
La perforazione del micropalo avviene attraversando la
struttura da sottofondare, che pertanto risulta direttamente
collegata per aderenza al micropalo. Se la muratura della
fondazione è di bassa qualità si realizzano cordoli laterali
collegati fra loro da staffe che attraversano la muratura, se-
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
45
condo lo schema di Figura 43.
Esempi di utilizzo dei micropali per la sottofondazione di edifici storico-monumentali sono mostrati nelle Figure 39, 40, 41 e 42.
Figura 39 – Campanile di San Martino a Burano (da
Lizzi, 1989)
Figura 40 – Torre pendente della Chiesa di Sant’Eugenia a Bellver (Spagna) da Rodriguez et al., (1997)
Figura 41 – Ponte dei Tre Archi a Venezia (da Lizzi, 1989)
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46
Figura 42 – Chiesa di Sant’Ippolito a Tamara (Spagna) (da Rodriguez et al., 1997)
Figura 43 – Schema di strutture di collegamento fondazione-micropali
INIEZIONI E JET-GROUTING
Fra le tecniche di intervento di classe b) vi sono i consolidamenti del terreno di fondazione a
mezzo di iniezioni di fluidi permeanti e/o pregnanti e la tecnica del jet-grouting.
L’iniezione è una tecnica che permette di modificare le caratteristiche di resistenza, deformabilità e permeabilità di corpi solidi porosi, fessurati o che presentano grandi cavità, con l’immissione
di adeguate miscele fluide (sospensioni, soluzioni o emulsioni) a mezzo di fori di piccolo diametro
a pressione più o meno elevata. Poiché la miscela chimica è trasportata dall’acqua, da un lato occorre che abbia viscosità prossima a quella dell’acqua, dall’altra che la permeabilità del mezzo
permeato (il terreno) non sia troppo bassa. E questo è il principale limite della tecnica, poiché di
norma il terreno da consolidare è a grana fine (limi e argille) e quindi poco permeabile.
Un caso di consolidamento con iniezioni miste di cemento e di gel di silice è quello eseguito per
consentire la sottomurazione della facciata monumentale di Palazzo Castiglioni in Corso Venezia a
Milano (Balossi Restelli, 1981).
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
47
Un metodo innovativo e promettente, economico, rispettoso
dell’ambiente e flessibile, denominato Eurobor, è stato recentemente proposto per la protezione chimica dei pali di fondazione di legno dall’attacco biologico, e sperimentato sui pali del
Palazzo Zorzi a Venezia (Birck e Jerbo, 1997). Esso consiste in
iniezioni a bassa pressione, nel terreno circostante il palo, di
una miscela (Boron) a base di boro. Il boro è una sostanza naturale, non tossica per i mammiferi ma letale per funghi e batteri.
La miscela si diffonde nel tempo dal terreno al palo, poi dal palo al terreno, fino ad una condizione di equilibrio che viene
raggiunta dopo alcuni anni (Figura 44). In una prima fase sono
distrutti funghi e batteri nel terreno circostante il palo e nel palo
stesso, poi la concentrazione decresce ma permane nel terreno
circostante il palo un ambiente non idoneo alla proliferazione
di nuove spore.
La tecnica del jet-grouting (il termine italiano “gettiniezione”
è poco usato) consiste nel modificare le caratteristiche del terreno per effetto di getti fluidi ad altissima velocità che disgregano
il terreno e lo miscelano con malta cementizia. Esistono tre differenti tecniche di jet-grouting: a) monofluido, b) bifluido e c)
trifluido, rappresentate in Figura 45. Nel sistema monofluido si
Figura 44 – Curve di propagazione esegue la perforazione a rotazione o a rotopercussione e senza
del Boron dal terreno al legno e dal rivestimento fino alla profondità voluta, poi il fluido di circolalegno al terreno (da Birck e Jerbo, zione (acqua o fango bentonitico) viene sostituito con la miscela
1997)
stabilizzante che, iniettata, in fase di risalita delle aste, attraverso ugelli ruotanti, forma una colonna di terreno stabilizzato.
Nel sistema bifluido il getto della miscela è coassiale ad un getto di aria compressa che potenzia la
capacità di penetrazione e realizza colonne di terreno di maggiore diametro. Nel sistema trifluido
le azioni di disgregazione e di stabilizzazione del terreno sono distinte e separate, la prima è affidata ad un getto di acqua e aria compressa, mentre la seconda è ottenuta con il getto di malta cementizia iniettata da un diverso sottostante ugello. Il diametro delle colonne varia col tipo di terreno trattato e con il sistema di iniezione, ed è generalmente compreso tra 0,4 e 2 m. Le colonne possono essere realizzate molto vicine fra loro, in modo da compenetrarsi, e non necessariamente fino
a piano campagna.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
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Figura 45 – Tecniche di jet-grouting (da Colombo e Colleselli, 2004)
Un caso di consolidamento con jet-grouting, descritto da Bustamante et al. (1997), riguarda il
consolidamento delle fondazioni del viadotto Levallois, ad ovest di Parigi (Figura 46). Il viadotto,
realizzato tra il 1914 e il 1921, le cui pile erano fondate su pali tubolari in acciaio infissi, si era lesionato per cedimenti differenziali dovuti alla insufficiente lunghezza di alcuni di essi. Per il consolidamento furono realizzate 156 colonne di jet-grouting con la tecnica monofase, che inglobarono i
pali esistenti in un unico blocco consolidato.
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Figura 46 – Intervento di sottofondazione e consolidamento con jet-grouting delle pile del viadotto di Levalois presso Parigi (da Bustamante et al., 1997))
ESTRAZIONI CONTROLLATE DI TERRENO
Fra le tecniche di intervento di classe c) su singoli monumenti sono particolarmente significative
le estrazioni controllate del terreno al fine di correggere i cedimenti differenziali della struttura.
Il caso certamente più importante e famoso è quello della torre di Pisa, sul quale non mi soffermerò poiché su tale tema sono previste specifiche conferenze nel corso del presente Master.
Un altro importante e ben documentato caso, esemplare anche per la collaborazione delle diverse competenze (archeologiche, storico-architettoniche, di restauro, di monitoraggio, strutturali e
geotecniche) è quello della Cattedrale Metropolitana e della Chiesa Sagrario di Città del Messico
(Ovando-Shelley e Santoyo, 2001).
Gli Aztechi fondarono Città del Messico nel 1325 su un’isoletta del lago di Texcoco, che occupa
la parte più bassa di un bacino lacustre circondato da vulcani. L’ambiente lacustre propiziò per
lunghi periodi la deposizione di grandi volumi di ceneri e altri materiali piroclastici, trasportati nel
lago dai corsi d’acqua e dal vento. Nel tempo, per degradazione chimica, tali materiali si trasformarono in argille e limi argillosi, geologicamente recenti, con altissimo contenuto in acqua (w = 50-
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
50
400%), molto plastici (valori medi dei limiti di Atterberg: wL = 338%, wP = 80%, IP = 308%) e molto
compressibili (valore medio dell’indice di compressione: Cc = 3).
I coloni Spagnoli distrussero la città Azteca e sulle sue rovine edificarono la nuova Città del
Messico, i cui edifici, eretti dal XVI° al XVIII° secolo, subirono forti cedimenti assoluti e differenziali, sia per il peso proprio non uniforme delle costruzioni, sia perché il terreno di fondazione era
preconsolidato in misura diversa dai precedenti edifici Aztechi, sia per il variabile spessore dello
strato archeologico, sia infine per la disomogeneità e variabilità stratigrafica e geotecnica del terreno naturale di fondazione. Inoltre, verso la metà del XIX° secolo, l’estrazione di acqua da pozzi
profondi produsse subsidenza che si aggiunse come ulteriore causa di cedimenti assoluti e differenziali.
La Cattedrale Metropolitana di Città del Messico fu edificata tra il 1573 e il 1813. La chiesa è
fondata su una platea di muratura di basalto, roccia vulcanica, e malta di gesso di dimensioni
140x70 m. Il terreno su cui poggia la platea fu rinforzato con l’infissione di 22.500 pali di legno di
diametro 20-25 cm e lunghezza compresa tra 2,2 e 4 m. Sulla platea furono costruiti i plinti e le travi di fondazione delle colonne e dei muri, e lo spazio fra di essi fu riempito di terra.
La Chiesa del Sagrario fu edificata tra il 1749 e il 1769 sulle rovine della piramide Azteca di Tonatiuh. Il sistema di fondazione è simile a quello della Cattedrale.
In Figura 47 è riportata la pianta e la cronologia delle costruzioni e demolizioni della Cattedrale
e degli edifici limitrofi, e in Figura 48 una sezione stratigrafica e tre profili di prove CPT.
Il primo strato è costituito dalle rovine delle costruzioni Azteche ed ha spessore variabile. Il terreno naturale è costituito fino a grande profondità da argilla molle con lenti sabbiose, interrotto a
circa 40 m di profondità da uno strato più consistente di sabbie e limi argillosi, di spessore 2-3 m. Il
profilo delle pressioni interstiziali mostra chiaramente gli effetti dell’emungimento della falda acquifera, posta alla profondità di circa 5 m da p.c..
I cedimenti assoluti e differenziali iniziarono a manifestarsi già durante la costruzione, per cui si
tentò di recuperarli variando lo spessore della platea e la lunghezza delle 16 colonne, o inserendo
cunei di pietra nelle murature e nelle colonne. Nel 1989 il cedimento differenziale massimo fra gli
atri sud e nord della Cattedrale era dell’ordine di 3 m.
Alcuni interventi del passato per mitigare il fenomeno in atto furono: nel 1938 la demolizione
del seminario, allo scopo di ridurre il carico applicato sul lato nord-est della Cattedrale, nel 1940 lo
svuotamento delle celle della fondazione originaria, nel 1976 la sottofondazione con micropali della Cattedrale e della Chiesa del Sagrario. Quest’ultimo intervento si dimostrò poco efficace sia per
difetti nei pali sia perché la principale causa dei cedimenti non era più il peso delle costruzioni ma
la subsidenza per estrazione di acqua dal sottosuolo.
Considerando l’evoluzione del fenomeno, che progressivamente accresceva la vulnerabilità sismica degli edifici, e l’elevata probabilità di terremoti violenti come quello del 1985, si ritenne che
in assenza di interventi di consolidamento la Cattedrale sarebbe crollata entro il 2050.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
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Figura 47: Pianta e cronologia delle costruzioni e demolizioni della Cattedrale e degli edifici limitrofi (da
Ovando-Shelley e Santoyo, 2001)
Figura 48: Sezione stratigrafica e profili CPT in corrispondenza della Cattedrale (da Ovando-Shelley e Santoyo, 2001)
La sottoescavazione fu eseguita dall’interno di 32 pozzi in cemento armato, di diametro interno
3 m e profondità variabile tra 14 e 25 m, distribuiti nell’area coperta dalla Cattedrale e dalla Chiesa
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
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del Sagrario (Figura 49). Nel terreno furono infissi radialmente, da ogni pozzo, 50 tubi di 10 cm di
diametro, inclinati di 20° sull’orizzontale, per lunghezze complessive comprese tra 6 e Tra l’agosto
1993 e il giugno 1998 furono estratti quasi 4200 m3 di terreno, distribuiti come mostrato in Figura
30.
Figura 49 – Pozzi per la sottoescavazione della Cattedrale e della Chiesa del Sagrario di Città del Messico (da Ovando-Shelley e Santoyo, 2001)
Figura 50 – Volume di terreno estratto dai singoli
pozzi sotto la Cattedrale e la Chiesa del Sagrario di
Città del Messico (da Ovando-Shelley e Santoyo,
2001)
Gli effetti dell’intervento di sottoescavazione sui cedimenti differenziali nell’area della Cattedrale e della Chiesa del Sagrario di Città del Messico sono mostrati in Figura 51. Le variazioni dei
cedimenti differenziali fra il dicembre 1989 (inizio del progetto) e l’agosto 1993 (inizio delle sottoescavazioni) sono dovute alla consolidazione indotta dall’emungimento di acqua e dalla realizzazione dei pozzi. Per effetto della sottoescavazione la differenza di cedimento tra l’angolo sud-ovest
della Cattedrale e l’abside a nord fu ridotta di 92 cm, e l’inclinazione delle varie strutture verticali
si ridusse sensibilmente.
Con l’intervento di sottoescavazione, le condizioni della Cattedrale e della Chiesa sono state riportate a quelle dei primi anni ’30 del novecento. Tuttavia, poiché la subsidenza regionale, prima
causa del fenomeno, è sempre attiva, si prevede che un nuovo intervento di sottoescavazione debba essere eseguito entro i prossimi 20 o 30 anni.
Giovanni Vannucchi - Problemi di geotecnica nel restauro monumentale
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Figura 51 – Cedimenti differenziali (rispetto al punto C-3) nell’area della Cattedrale e della Chiesa del Sagrario di Città del Messico (da Ovando-Shelley e Santoyo, 2001)
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