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PALAZZO DUCALE DI SASSUOLO Un ospite illustre La Galleria Estense a Sassuolo Dal 1 settembre all’11 novembre 2012 SOPRINTENDENZA PER I BENI STORICI ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI DI MODENA E REGGIO EMILIA DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DELL’EMILIA ROMAGNA Cristoforo Munari, Natura morta con alzata con cristalli, strumenti musicali, libro e frutta, 1712 Modena, Galleria Estense (temporaneamente esposta al Palazzo Ducale di Sassuolo) UN OSPITE ILLUSTRE LA GALLERIA ESTENSE A SASSUOLO danneggiate dal terremoto e vi è inoltre organizzato il cantiere per i primi interventi di manutenzione e di restauro, con l’insostituibile supporto dell’ISCR di Roma e dell’OPD di Firenze. L’evento Un ospite illustre. La Galleria Estense a Sassuolo non sarebbe stato possibile senza l’impegno dei funzionari e di tutto il personale della Soprintendenza di Modena (ai quali va la mia gratitudine) e senza il sostegno e l’aiuto della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna e del Comune di Sassuolo. La concessione della gratuità da parte della Direzione Regionale è un segno fortemente simbolico di apertura e di disponibilità nei confronti della cittadinanza e dei visitatori, per superare il momento di grave crisi e restituire alla cultura e al patrimonio artistico nazionale quel ruolo centrale indispensabile per una ricostruzione su basi solide e condivise. Il Comune di Sassuolo ha dimostrato una generosa disponibilità per rafforzare il già consistente impegno, condiviso con la Soprintendenza, nella gestione dell’apertura al pubblico del Palazzo Ducale, centro di attrazione culturale e turistica per la città. Un grazie va rivolto anche al Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Bologna, per la costante assistenza fornitaci, e a tutte le maestranze che hanno collaborato. Un ospite illustre. La Galleria Estense a Sassuolo, evento organizzato dalla Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna e il Comune di Sassuolo, rappresenta un importante momento di ripresa delle attività culturali dopo i tragici eventi sismici del maggio scorso. Testimonia della nostra volontà di continuità dell’azione di tutela e di valorizzazione del patrionio storico artistico, così fortemente colpito dal sisma. Anche la Galleria Estense è stata chiusa al pubblico per i danni subiti ed è in attesa dei lavori di consolidamento. Per questo motivo la Soprintendenza di Modena ha voluto trasferire a Sassuolo, nello splendido Palazzo Ducale, una sceltissima selezione dei suoi dipinti, altrimenti non visibili. I dodici magnifici capolavori qui riuniti, una minima parte delle raccolte estensi, sono però rappresentativi della ricchezza della Galleria. Il Ritratto di Francesco I d’Este del Velazquez basterebbe da solo a testimoniare l’importanza del museo. Ad esso si aggiungono i capolavori di Cosmè Tura, Cima da Conegliano, Correggio, Tintoretto, Annibale e Ludovico Carracci, Guercino, Nicolas Tournier e Cristoforo Munari. L’esposizione temporanea nel Palazzo Ducale di Sassuolo ha comportato un impegno organizzativo notevole, che la Soprintendenza di Modena ha affrontato con slancio, per testimoniare la volontà di continuità dell’azione del nostro Istituto in momenti così difficili per la terra modenese e per tutta la Nazione. Non va dimenticato che al pian terreno del Palazzo, sin dai primi giorni successivi al sisma, è attivo il Centro di raccolta delle opere Stefano Casciu Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Modena e Reggio Emilia 3 VICENDE STORICHE DELLA COLLEZIONE DEGLI ESTE E DELLA GALLERIA Gian Lorenzo Bernini, Busto di Francesco I d’Este, 1652. Modena, Galleria Estense. i celeberrimi Baccanali di Giovanni Bellini e Tiziano oggi conservati fra Madrid, Londra e Washington. Fu solo grazie all’energia e alle ambizioni di Francesco I (1610-1658) che gli Estensi risollevarono le sorti della loro immagine di mecenati delle arti. La nuova capitale vide infatti sorgere un Palazzo Ducale degno di un sovrano di statura internazionale, e la rocca di famiglia a Sassuolo venne trasformata in una residenza estiva moderna e scenografica. Furono affidate imprese ad artisti di primo livello (Guercino, Jean Boulanger, Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli) e le collezioni furono accresciute con nuovi acquisti e straordinarie commissioni, a partire dai due ritratti dello stesso Francesco I eseguiti da Velázquez e da Bernini. L’impulso alle arti continuò anche con i successori Francesco II (1660-1694), grande appassionato di musica, e Rinaldo d’Este (1655-1737). Celebrata in tutta Europa, la Galleria Estense nel pieno Settecento era senza dubbio una delle più Fin dai tempi del marchese Leonello (14071450), che introdusse a Ferrara la cultura del Rinascimento, la famiglia d’Este ha avuto un ruolo da protagonista nel collezionismo artistico europeo. Con Borso (1413-1471) e fino ad Alfonso I (1476-1534), Ferrara divenne un’assoluta capitale dell’arte, dove facevano mostra di sé collezioni di migliaia di pezzi fra cui opere dei massimi artisti della civiltà contemporanea. Sullo scorcio del Cinquecento, tuttavia, quella che era una delle più splendide corti europee, che aveva offerto protezione a letterati come Ariosto e Tasso, subì la traumatica devoluzione allo Stato della Chiesa imposta dal papa Clemente VIII. La nuova capitale del ducato venne dunque fissata da Cesare d’Este (1562-1628) a Modena. Furono anni di lotte impari per cercare di conservare i tesori di famiglia su cui incombevano le mire dei più scaltri collezionisti, a partire dall’entourage pontificio, e le raccolte ducali persero per sempre alcuni dei propri capolavori, come 4 ESTENSE Nel 1854 aprì al pubblico per volontà dell’ultimo duca di Modena, Francesco V (1819-1875). L’ultimo trauma avvenne agli albori del neonato Regno d’Italia, quando, nel 1880, il Palazzo Ducale ormai svuotato del proprio ruolo simbolico e istituzionale fu designato per ospitare l’Accademia militare. Le collezioni, sradicate dal contesto in cui erano state elaborate per quasi tre secoli, migrarono nell’attuale sede di Palazzo dei Musei, e solo nel 1894 vennero restituite alla fruizione pubblica grazie anche all’impegno di Adolfo Venturi. Acquisita dallo Stato italiano nel 1889 ed oggi tutelata dal Ministero per i beni e le attività culturali attraverso la Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia, la Galleria Estense ha proseguito la sua storia secolare attraverso il Novecento grazie a incrementi importanti (come l’acquisto del Sant’Antonio da Padova di Cosmè Tura, o il lascito ereditario dei Campori) e nuovi allestimenti. splendide collezioni italiane. Ma un nuovo colpo devastante le venne inferto nel 1746, quando Francesco III (1698-1780), oberato dalle spese militari imposte dalle guerre di successione polacca e austriaca, vendette cento fra le opere più importanti ad Augusto III, re di Polonia ed elettore di Sassonia. Proprio grazie all’esodo di tanti capolavori di Correggio, Dosso, dei Carracci e di Guercino, ancora oggi la Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda è una delle più rinomate pinacoteche esistenti. Ancora una volta i duchi d’Este dovettero risollevare le sorti del patrimonio artistico di famiglia, attraverso nuove acquisizioni incentrate su grandi pale d’altare di maestri del Seicento emiliano. Superata con perdite non trascurabili l’età napoleonica, quando molte delle opere portate a Parigi non fecero più ritorno, la Galleria Estense poté beneficiare dell’eredità del marchese Tommaso Obizzi del Catajo, che lasciò la propria collezione, e dei mirati acquisti del tempo di Francesco IV (1779-1846). 5 OPERE ESPOSTE Cosmè Tura Ferrara, ca. 1433 – 1495 Sant’Antonio da Padova, ca. 1485 – 1490 Olio e tempera su tavola, cm 178 x 80 Inv. 3510 La tavola di Modena è probabilmente da identificare con l’opera di identico soggetto eseguita per il vescovo di Adria Nicolò di Gurone d’Este, menzionata da Tura in una sua lettera del 1490 al duca Ercole I e terminata qualche anno prima. Si tratta di uno dei capolavori estremi dell’artista, in cui concezione monumentale della figura umana e ricerca prospettica di stampo rinascimentale convivono con un senso della forma di ascendenza ancora medievale. L’immagine scultorea del santo si impone allo sguardo del fedele eccedendo i limiti impostigli dalla cornice architettonica dipinta e stagliandosi sul fondo del meraviglioso paesaggio marino miniaturizzato, che riverbera la sua luce crepuscolare sui profili della figura e dell’arco. Tipico di Tura è il rovello formale del volto ascetico del santo e delle pieghe del saio che ne avvinghiano il corpo. Nonostante il suo antico legame con la famiglia d’Este, l’opera è giunta in Galleria solo nel 1906, acquistata dal Ministero in occasione della dispersione della quadreria Santini di Ferrara. 6 Cima da Conegliano Conegliano, ca. 1459 – ca. 1517 Compianto su Cristo morto con i santi Francesco e Bernardino, ca. 1495 – 1505 Olio su tavola, cm 136 x 109 Inv. 470 La tavola fu commissionata a Cima da Alberto III Pio (1475 – 1531), signore di Carpi, per la propria cappella funebre nella chiesa francescana di San Niccolò, collocazione in cui il dipinto rimase fino alla metà del Seicento, quando fu acquistato da Francesco I d’Este per le proprie collezioni. Si accordano all’originaria destinazione dell’opera la scelta del soggetto, la presenza dei santi Francesco e Bernardino e le inusuali dimensioni della tavola, intermedie fra la pala d’altare e il quadro di devozione privata. La particolare iconografia del dipinto, che costituisce una rara trasposizione in immagini del tema teologico della compassio della Vergine, incentrata sulla speculare corrispondenza delle figure di Cristo morto e di Maria dolente, fu invece probabilmente dettata all’artista dal committente, che fu appassionato umanista ma anche convinto assertore del potere di esortazione spirituale delle opere d’arte. Con grande abilità Cima fa di un astratto argomento teologico il principio ordinatore del dipinto componendo attorno alle due figure principali i gruppi dei santi uomini e delle Marie ed esprimendo il significato religioso dell’opera con gli strumenti stilistici a lui più congeniali: la diffusa luminosità, il realismo e l’espressività misurata dei volti, la naturalezza dei gesti. 7 Antonio Allegri, detto il Correggio Correggio, 1489 o 1494 – 1534 Madonna con il Bambino detta Madonna Campori, 1517 – 1518 Olio su tavola, cm 58 x 45 Inv. 129 Acquistata nel 1635 dal Cardinal Campori per la cappella del Castello di Soliera, il dipinto pervenne alla Galleria Estense nel 1894 in seguito al lascito testamentario del marchese Giuseppe Campori. In mancanza di documenti, l’attribuzione per via stilistica, proposta per la prima volta nel 1852 dal pittore bolognese Vincenzo Rasori, è oggi unanimemente accettata dalla critica. Cronologicamente l’esecuzione della Madonna Campori si attesta intorno al 1517 – 1518, a ridosso delle commesse che vedranno l’artista impegnato nella decorazione della Camera di San Paolo a Parma, nel 1519, in quella fase della sua produzione artistica giovanile segnata dal raggiungimento di un nuovo linguaggio pittorico che, muovendo dalla lezione di Leonardo e Raffaello, perviene a una propria maturità espressiva. Il gesto amorevole e materno della Vergine, che con il capo lievemente inclinato si accinge ad allattare Gesù Bambino, viene restituito da Correggio con estrema naturalezza e intensità, senza scadere nel sentimentalismo. Il dialogo profondo degli sguardi si completa nella delicata articolazione dei gesti, fatti di carezze, e nel gioco soave delle dita delle mani in primo piano. La presenza del fondale scuro, da cui traspare un solo tralcio verde, se da un lato contribuisce ad accentuare l’intimità dell’atmosfera e la partecipazione emotiva, dall’altro si carica di una valenza simbolica premonitrice di un tragico destino. 8 Jacopo Robusti, detto il Tintoretto Venezia, 1518 – 1594 Apollo e Dafne, ca. 1540 – 1545 Olio su tavola, cm 153 x 133 Inv. 349 Deucalione e Pirra in preghiera davanti alla statua della divinità, ca. 1540 – 1545 Olio su tavola, cm 127 x 124 Inv. 362 Acquistate da Francesco I d’Este nel 1658 per la propria collezione, le due opere erano parte di un ciclo di 16 ottagoni dedicato alle storie amorose e violente della Metamorfosi ovidiana, provenienti dal palazzo di San Paterniano a Venezia di proprietà di Vittore Pisani. Destinate a una delle sale adibite a Galleria del Palazzo Ducale di Modena, la loro disposizione originaria non venne fin da subito rispettata e le tele furono poste a coronamento di un dipinto di Agostino Carracci, quale arricchimento decorativo del soffitto, funzionale all’assetto museale che il Duca voleva dare alla propria collezione. Rappresentano due fra le scene più note della mitologia greca, entrambe caratterizzate dall’intercessione provvidenziale degli dei: il momento in cui la ninfa Dafne si rivolge a Giove chiedendo di essere trasformata in albero per sfuggire all’abbraccio di Apollo e la preghiera rivolta alla dea Themis da Deucalione e Pirra, marito e moglie anziani, unici superstiti del diluvio universale, affinché esaudisse il loro desiderio di ripopolare con altri uomini la terra. Sebbene ancora oggi non si è giunti a delineare completamente la sua prima attività, l’intero ciclo pittorico rientra nella produzione artistica giovanile di Tintoretto, come ha riconosciuto già da tempo la critica, ed è riconducibile ai primi anni del quinto decennio del XVI secolo. L’articolazione delle forme nello spazio, la prospettiva forzatamente illusionistica delle scene, l’intensità degli effetti chiaroscurali e la spericolatezza dei gesti testimoniano gli albori di un complesso, delicato, ma già prorompente stile. Evidenti sono i forti debiti di riconoscenza con le invenzioni artistiche della Sala dei Giganti a Palazzo Te opera di Giulio Romano, da cui il più che ventenne Tintoretto trasse ispirazione forse a seguito di un viaggio a Mantova databile intorno al 1540. 9 Ludovico o Annibale Carracci Bologna, 1559 – 1619 / Bologna, 1560 – Roma, 1609 Flora, 1590 – 91 Olio su tela, cm 110 x 131 Inv. 332 Annibale Carracci Bologna, 1560 – Roma, 1609 Venere e Cupido, 1592 Olio su tela, cm 110 x 130 Inv. 333 Una delle ultime manifestazioni di magnificenza con cui Cesare d’Este, appartenente a un ramo secondario del casato, cercò di affermare il suo diritto al ducato di Ferrara fu, tra il 1589 e il 1593, la decorazione dell’appartamento della moglie Virginia de’ Medici in palazzo dei Diamanti. Chiamati a partecipare all’impresa assieme ai pittori ferraresi solitamente impiegati a corte (Belloni, Scarsellino, Venturini, Cromer), i tre Carracci eseguirono per il soffitto di una delle stanze, probabilmente quella del Poggiolo, cinque tele raffiguranti le divinità dell’Olimpo classico: oltre ai due dipinti qui esposti, il Plutone dipinto da Agostino, la Salacia (o Galatea) di Ludovico, anch’essi oggi nella Galleria Estense, e un Eolo ora disperso. A riprova della grande considerazione in cui erano tenuti, i cinque ovali furono fra le prime opere trasferite da palazzo dei Diamanti al palazzo Ducale di Modena negli anni immediatamente successivi alla Devoluzione del 1598. Mentre l’attribuzione ad Annibale della sensuale e carnosa Venere non è mai stata posta in discussione, la Flora viene tradizionalmente assegnata a Ludovico. Recentemente ha però preso forza l’opinione che entrambi i dipinti si debbano al più giovane dei Carracci. In essi, infatti, la riflessione comune ai due cugini sull’opera dei grandi maestri del Cinquecento veneziano e di Veronese in particolare– da cui sono tratti i difficili scorci dal basso, la felicità del colore e la particolare qualità luminosa dei cieli percorsi da nubi – è risolta con una naturalezza e un equilibrio di cui a queste date era capace il solo Annibale. Se nella Flora l’accentuazione del contrasto luminoso e l’accostante atteggiamento della dea fanno ancora riferimento al Correggio, la Venere, più fedele ai modelli del Veronese, è già orientata verso quegli obiettivi di armonia e compostezza formale ispirate a modelli classici e verificate sullo studio della natura che Annibale avrebbe raggiunto di lì a pochi anni negli affreschi di palazzo Farnese a Roma (1594 – 1600). 10 Nicolas Tournier Montbéliard, 1590 – Toulouse, 1639 Soldato con calice, ca. 1619 – 1624 Olio su tela, cm 130 x 93 Inv. 15 Bevitore con fiasco, ca. 1619 – 1624 Olio su tela, cm 124 x 93 Inv. 41 Le due opere giunsero a Modena alla morte del cardinale Alessandro d’Este (Ferrara, 1568 – Roma, 1624), che le aveva acquistate per la sua collezione romana. Costituiscono eloquenti esempi della corrente artistica che si diffuse nella capitale pontificia nei decenni successivi alla fuga di Caravaggio verso Napoli (1606). Le potenti invenzioni del grande maestro lombardo cominciarono ad essere semplificate e replicate dai suoi numerosi seguaci, dando origine così a una fitta produzione di scene immerse nella quotidianità della Roma contemporanea, bagnate dalle tipiche violente modulazioni di luce. Da ambienti in penombra emergono episodi di storia sacra o profana, soggetti mitologici o allegorici, secondo formule sviluppate in particolare da Bartolomeo Manfredi e per questo etichettate dallo storiografo seicentesco Joachim Von Sandrart come “Manfrediana methodus”. Proprio a Manfredi è stata attribuita in passato la coppia di tele qui esposte: i due personaggiritratti si accingono a bere vino fissando lo spettatore con implicazioni moraleggianti e colte, ispirate alla tradizione classica legata al culto di Bacco. La particolare finezza nella stesura del colore, e un timbro di eleganza e ricercatezza nel disegno, pienamente coerente con la produzione dei pittori caravaggeschi francesi, consegnano tuttavia le due opere alla mano di Nicolas Tournier, che lavorò a Roma fra 1619 e 1626 a stretto contatto con un altro grande interprete di tale corrente di gusto come il suo connazionale Valentin de Boulogne. La precoce presenza di tali dipinti in casa d’Este ne conferma l’alto grado di ricettività, nonché il tempestivo apprezzamento anche per manifestazioni artistiche ai margini dei canoni ufficiali del gusto e del decoro, come fu in effetti tutta la bruciante stagione del caravaggismo romano. 11 Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino il dipinto fu restituito alle collezioni estensi nel 1815. I forti contrasti chiaroscurali, di derivazione caravaggesca, prodotti da una fonte luminosa esterna che plasticamente modella le forme e il dialogo silenzioso dei gesti delle mani, come si osserva nel dito puntato di Amnon e nelle mani alzate in segno di timore della sorella Tamar, conferiscono maggiore intensità drammatica ai personaggi perfettamente abbigliati secondo la moda del tempo. La preziosità delle stoffe, il dettaglio delle perle che ornano il corpetto e incorniciano il volto di Tamar, il cappello con le piume di Amnon sono fra gli elementi caratterizzanti il quadro e rivelano la straordinaria capacità pittorica di Guercino nella resa virtuosistica anche dei singoli dettagli. Il dipinto, di cui esiste un disegno preparatorio datato 1626-1628, rappresenta un precedente importante per un soggetto analogo che l’artista fu incaricato di eseguire dal mercante e intenditore d’arte reggiano Aurelio Zaneletti nel 1649, oggi conservato presso la National Gallery of Art di Washington D.C. Cento, 1591 – Bologna, 1666 Amnon scaccia Tamar, 1631 Olio su tela, cm 122 x 161 Inv. 68 (L’opera è esposta nella Sala di Giove) Da un inventario del 1692 – 1694, si apprende che il dipinto insieme al celebre quadro Venere, Amore e Marte faceva parte di un ciclo di cinque tele, disperse ed in parte perdute, che Francesco I d’Este commissionò all’artista di Cento per la decorazione della Camera dei Sogni nel Palazzo Ducale di Sassuolo. L’opera pagata 130 scudi dal Duca nel 1631, è stata solo di recente identificata con il soggetto biblico di Tamar scacciata dal fratello Amnon dopo che questi le aveva usato violenza. Trasferito successivamente presso il Palazzo Ducale di Modena, dove rimase fino alle requisizioni napoleoniche del 1796, 12 Diego Rodríguez de Silva y Velázquez Siviglia, 1599 – Madrid, 1660 Ritratto di Francesco I d’Este, 1638 Olio su tela, cm.68 x 51 Inv. 472 Alla fine di agosto del 1638 Francesco I d’Este si recò a Madrid, ospite del re Filippo IV di Spagna. Deciso a consolidare i buoni rapporti internazionali a vantaggio del piccolo stato di cui Modena era divenuta capitale e dove in quegli anni fervevano i cantieri di residenze eccezionali come il Palazzo di Sassuolo, il Duca indirizzava la propria linea di governo guardando alle grandi capitali europee del tempo. E a suggello del viaggio spagnolo, poté conseguire un risultato di altissimo prestigio sul piano della politica artistica e dell’immagine di sé: ottenne infatti di farsi ritrarre da Velázquez, fra i massimi artisti dell’età barocca e di ogni tempo, che dipingeva in via pressoché esclusiva al servizio della corte asburgica di Madrid. Nel classico taglio della “tela da testa”, Francesco I è colto di tre quarti in armatura da condottiero, ornato con la fusciacca rosa di generale e la collana del Toson d’Oro. Alle solide basi dell’iconografia ufficiale, resa con magistrale dominio della materia cromatica secondo un gusto che Velázquez aveva affinato studiando i grandi maestri del Cinquecento veneto, si accompagna la densa espressività che promana dal volto del Duca: a scrutarci con uno sguardo vagamente diffidente è la presenza viva di un giovane uomo conscio delle proprie responsabilità e delle proprie ambizioni, che avrebbe continuato a governare per i successivi vent’anni segnando una delle epoche più luminose della dinastia estense. 13 Cristoforo Munari Reggio Emilia, 1667 – Pisa, 1720 Natura morta con alzata con cristalli, strumenti musicali, libro e frutta, 1712 Olio su tela, cm. 135 x 97 Inv. 2978 Grazie ad una lettera del 1712 con cui l’artista sollecita il pagamento per due dipinti commissionatigli quattro anni prima dal duca Rinaldo d’Este (Modena, 1655 – 1737), conosciamo esattamente l’autore, la datazione e la committenza dell’opera qui esposta, così come del suo pendant, ovvero la Natura morta con vaso di fiori, brocca di porcellana e frutta che parimenti appartiene alla Galleria Estense. Cristoforo Munari lavorava a quel tempo a Firenze per il principe Ferdinando de’ Medici. Gli anni fiorentini rappresentano uno snodo centrale nella sua carriera particolarmente versata nella produzione di complesse nature morte, dove sono impaginati eleganti insiemi di frutta, vasellame e stoviglie preziose, tappeti e tessuti o – come in questo caso – strumenti musicali, secondo un gusto opulento e aristocratico pienamente consono alle esigenze di committenti di alto rango. Nota costante dell’opera di Munari è l’indagine minuziosa delle qualità dei materiali e della luce: le trasparenze e i riflessi dei cristalli, le sensazioni tattili e perfino olfattive suscitate dall’attenta riproduzione di frutti, vivande e liquori, spingono l’artista reggiano verso mirabili effetti di illusionismo e trompe l’oeil, e avvicinano la sua produzione a quella del maestro tedesco Christian Berentz che negli stessi anni portava avanti ricerche analoghe a Roma. I due si erano conosciuti proprio nella capitale pontificia, dove Munari aveva lavorato negli ultimi anni del Seicento affinando in modo determinante il proprio linguaggio pittorico, accanto ad altri grandi specialisti della natura morta come Giovan Paolo Castelli, Mario de’ Fiori o Michelangelo di Campidoglio. 14 Evento organizzato da SOPRINTENDENZA PER I BENI STORICI ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI DI MODENA E REGGIO EMILIA DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DELL’EMILIA ROMAGNA Comitato promotore Carla Di Francesco Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna Stefano Casciu Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Modena e Reggio Emilia Luca Caselli Sindaco del Comune di Sassuolo Claudio Corrado Assessore alla Cultura del Comune di Sassuolo Organizzazione e coordinamento scientifico per la Soprintendenza di Modena e Reggio Emilia Laura Bedini (responsabile per il Palazzo Ducale) Annunziata Lanzetta Federico Fischetti Marco Mozzo Marcello Toffanello con la collaborazione di Domenico Federico Coordinamento organizzativo per il Servizio Attività Culturali del Comune di Sassuolo Elisabetta Leonardi Elena Coppola Luca Silingardi Elena Tagliavini Comunicazione e Ufficio Stampa Raffaele Gaudioso (Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna) con la collaborazione di Annunziata Lanzetta (Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Modena e Reggio Emilia) Testi Federico Fischetti Marco Mozzo Marcello Toffanello (Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Modena e Reggio Emilia) Editing e impaginazione Luca Silingardi (Servizio Attività Culturali del Comune di Sassuolo) Allestimento e trasporti L’Arca, Modena Assicurazione Syncronos Italiana Assicurazioni Servizi per il pubblico Le Macchine Celibi, Bologna APERTURA AL PUBBLICO Settembre - dicembre 2012 1 settembre - 11 novembre in occasione dell’evento Un ospite illustre. La Galleria Estense a Sassuolo VENERDì, sabato, Domenica e festivi dalle 10.00 alle 19.00 ultimo ingresso 18.30 apertura a richiesta per gruppi, dal lunedì al giovedì con obbligo di prenotazione e guida 12 novembre - 30 dicembre apertura a richiesta per gruppi, con obbligo di prenotazione e guida chiuso il 25, 26 e 31 dicembre informazioni e prenotazioni I.A.T. - Ufficio Informazioni e Accoglienza Turistica Piazzale Avanzini, Sassuolo (MO) tel. 0536.1844853 - fax 0536.1844964 [email protected] Biglietto d’ingresso Gratuito (dal 1 settembre all’11 novembre) Intero: € 4,00; Ridotto € 2,00 (dal 12 novembre al 30 dicembre) Guida e cataloghi Servizio di vendita presso la biglietteria Scuole e gruppi Servizio di visite guidate su prenotazione Modena 2012