Mostra - Direzione generale archivi

Transcript

Mostra - Direzione generale archivi
PALAZZO
DUCALE
DI SASSUOLO
Un ospite illustre
La Galleria Estense a Sassuolo
Dal 1 settembre all’11 novembre 2012
SOPRINTENDENZA PER I BENI STORICI
ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI
DI MODENA E REGGIO EMILIA
DIREZIONE REGIONALE
PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI
DELL’EMILIA ROMAGNA
Cristoforo Munari, Natura morta con alzata con cristalli, strumenti musicali, libro e frutta, 1712
Modena, Galleria Estense (temporaneamente esposta al Palazzo Ducale di Sassuolo)
UN OSPITE ILLUSTRE
LA GALLERIA ESTENSE A SASSUOLO
danneggiate dal terremoto e vi è inoltre organizzato il cantiere per i primi interventi di manutenzione e di restauro, con l’insostituibile supporto dell’ISCR di Roma e dell’OPD di Firenze.
L’evento Un ospite illustre. La Galleria Estense
a Sassuolo non sarebbe stato possibile senza
l’impegno dei funzionari e di tutto il personale
della Soprintendenza di Modena (ai quali va la
mia gratitudine) e senza il sostegno e l’aiuto della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna e del Comune di
Sassuolo. La concessione della gratuità da parte
della Direzione Regionale è un segno fortemente
simbolico di apertura e di disponibilità nei confronti della cittadinanza e dei visitatori, per superare il momento di grave crisi e restituire alla cultura e al patrimonio artistico nazionale quel ruolo
centrale indispensabile per una ricostruzione su
basi solide e condivise. Il Comune di Sassuolo
ha dimostrato una generosa disponibilità per
rafforzare il già consistente impegno, condiviso
con la Soprintendenza, nella gestione dell’apertura al pubblico del Palazzo Ducale, centro di
attrazione culturale e turistica per la città.
Un grazie va rivolto anche al Nucleo Tutela del
Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Bologna,
per la costante assistenza fornitaci, e a tutte le
maestranze che hanno collaborato.
Un ospite illustre. La Galleria Estense a Sassuolo,
evento organizzato dalla Soprintendenza per
i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di
Modena e Reggio Emilia con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna e il Comune di Sassuolo, rappresenta un importante momento di ripresa delle
attività culturali dopo i tragici eventi sismici del
maggio scorso. Testimonia della nostra volontà
di continuità dell’azione di tutela e di valorizzazione del patrionio storico artistico, così fortemente colpito dal sisma.
Anche la Galleria Estense è stata chiusa al pubblico per i danni subiti ed è in attesa dei lavori di
consolidamento. Per questo motivo la Soprintendenza di Modena ha voluto trasferire a Sassuolo,
nello splendido Palazzo Ducale, una sceltissima
selezione dei suoi dipinti, altrimenti non visibili.
I dodici magnifici capolavori qui riuniti, una minima parte delle raccolte estensi, sono però rappresentativi della ricchezza della Galleria.
Il Ritratto di Francesco I d’Este del Velazquez
basterebbe da solo a testimoniare l’importanza
del museo. Ad esso si aggiungono i capolavori
di Cosmè Tura, Cima da Conegliano, Correggio,
Tintoretto, Annibale e Ludovico Carracci, Guercino, Nicolas Tournier e Cristoforo Munari.
L’esposizione temporanea nel Palazzo Ducale di
Sassuolo ha comportato un impegno organizzativo notevole, che la Soprintendenza di Modena
ha affrontato con slancio, per testimoniare la volontà di continuità dell’azione del nostro Istituto in
momenti così difficili per la terra modenese e per
tutta la Nazione. Non va dimenticato che al pian
terreno del Palazzo, sin dai primi giorni successivi
al sisma, è attivo il Centro di raccolta delle opere
Stefano Casciu
Soprintendente per i Beni Storici, Artistici
ed Etnoantropologici
per le province di Modena e Reggio Emilia
3
VICENDE STORICHE
DELLA COLLEZIONE DEGLI ESTE E DELLA GALLERIA
Gian Lorenzo Bernini, Busto di Francesco I d’Este, 1652.
Modena, Galleria Estense.
i celeberrimi Baccanali di Giovanni Bellini e Tiziano oggi conservati fra Madrid, Londra e Washington. Fu solo grazie all’energia e alle ambizioni di Francesco I (1610-1658) che gli Estensi
risollevarono le sorti della loro immagine di mecenati delle arti. La nuova capitale vide infatti
sorgere un Palazzo Ducale degno di un sovrano
di statura internazionale, e la rocca di famiglia
a Sassuolo venne trasformata in una residenza
estiva moderna e scenografica. Furono affidate imprese ad artisti di primo livello (Guercino,
Jean Boulanger, Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli) e le collezioni furono accresciute
con nuovi acquisti e straordinarie commissioni,
a partire dai due ritratti dello stesso Francesco
I eseguiti da Velázquez e da Bernini. L’impulso
alle arti continuò anche con i successori Francesco II (1660-1694), grande appassionato di
musica, e Rinaldo d’Este (1655-1737).
Celebrata in tutta Europa, la Galleria Estense nel
pieno Settecento era senza dubbio una delle più
Fin dai tempi del marchese Leonello (14071450), che introdusse a Ferrara la cultura del
Rinascimento, la famiglia d’Este ha avuto un
ruolo da protagonista nel collezionismo artistico
europeo. Con Borso (1413-1471) e fino ad Alfonso I (1476-1534), Ferrara divenne un’assoluta
capitale dell’arte, dove facevano mostra di sé
collezioni di migliaia di pezzi fra cui opere dei
massimi artisti della civiltà contemporanea. Sullo
scorcio del Cinquecento, tuttavia, quella che era
una delle più splendide corti europee, che aveva offerto protezione a letterati come Ariosto e
Tasso, subì la traumatica devoluzione allo Stato
della Chiesa imposta dal papa Clemente VIII.
La nuova capitale del ducato venne dunque fissata da Cesare d’Este (1562-1628) a Modena.
Furono anni di lotte impari per cercare di conservare i tesori di famiglia su cui incombevano le
mire dei più scaltri collezionisti, a partire dall’entourage pontificio, e le raccolte ducali persero
per sempre alcuni dei propri capolavori, come
4
ESTENSE
Nel 1854 aprì al pubblico per volontà dell’ultimo duca di Modena, Francesco V (1819-1875).
L’ultimo trauma avvenne agli albori del neonato
Regno d’Italia, quando, nel 1880, il Palazzo Ducale ormai svuotato del proprio ruolo simbolico
e istituzionale fu designato per ospitare l’Accademia militare. Le collezioni, sradicate dal contesto in cui erano state elaborate per quasi tre
secoli, migrarono nell’attuale sede di Palazzo
dei Musei, e solo nel 1894 vennero restituite alla
fruizione pubblica grazie anche all’impegno di
Adolfo Venturi. Acquisita dallo Stato italiano nel
1889 ed oggi tutelata dal Ministero per i beni e
le attività culturali attraverso la Soprintendenza
per i beni storici, artistici ed etnoantropologici
di Modena e Reggio Emilia, la Galleria Estense
ha proseguito la sua storia secolare attraverso il
Novecento grazie a incrementi importanti (come
l’acquisto del Sant’Antonio da Padova di Cosmè
Tura, o il lascito ereditario dei Campori) e nuovi
allestimenti.
splendide collezioni italiane. Ma un nuovo colpo devastante le venne inferto nel 1746, quando
Francesco III (1698-1780), oberato dalle spese
militari imposte dalle guerre di successione polacca e austriaca, vendette cento fra le opere
più importanti ad Augusto III, re di Polonia ed
elettore di Sassonia. Proprio grazie all’esodo di
tanti capolavori di Correggio, Dosso, dei Carracci e di Guercino, ancora oggi la Gemäldegalerie
Alte Meister di Dresda è una delle più rinomate
pinacoteche esistenti. Ancora una volta i duchi
d’Este dovettero risollevare le sorti del patrimonio artistico di famiglia, attraverso nuove acquisizioni incentrate su grandi pale d’altare di maestri
del Seicento emiliano. Superata con perdite non
trascurabili l’età napoleonica, quando molte delle opere portate a Parigi non fecero più ritorno,
la Galleria Estense poté beneficiare dell’eredità
del marchese Tommaso Obizzi del Catajo, che
lasciò la propria collezione, e dei mirati acquisti
del tempo di Francesco IV (1779-1846).
5
OPERE ESPOSTE
Cosmè Tura
Ferrara, ca. 1433 – 1495
Sant’Antonio da Padova, ca. 1485 – 1490
Olio e tempera su tavola, cm 178 x 80
Inv. 3510 La tavola di Modena è probabilmente da identificare con l’opera di identico soggetto eseguita per
il vescovo di Adria Nicolò di Gurone d’Este, menzionata da Tura in una sua lettera del 1490 al duca
Ercole I e terminata qualche anno prima. Si tratta di
uno dei capolavori estremi dell’artista, in cui concezione monumentale della figura umana e ricerca
prospettica di stampo rinascimentale convivono
con un senso della forma di ascendenza ancora
medievale.
L’immagine scultorea del santo si impone allo
sguardo del fedele eccedendo i limiti impostigli
dalla cornice architettonica dipinta e stagliandosi sul fondo del meraviglioso paesaggio marino
miniaturizzato, che riverbera la sua luce crepuscolare sui profili della figura e dell’arco. Tipico
di Tura è il rovello formale del volto ascetico del
santo e delle pieghe del saio che ne avvinghiano
il corpo. Nonostante il suo antico legame con la
famiglia d’Este, l’opera è giunta in Galleria solo nel
1906, acquistata dal Ministero in occasione della dispersione della quadreria Santini di Ferrara.
6
Cima da Conegliano
Conegliano, ca. 1459 – ca. 1517
Compianto su Cristo morto con i santi
Francesco e Bernardino, ca. 1495 – 1505
Olio su tavola, cm 136 x 109
Inv. 470
La tavola fu commissionata a Cima da Alberto III
Pio (1475 – 1531), signore di Carpi, per la propria cappella funebre nella chiesa francescana di
San Niccolò, collocazione in cui il dipinto rimase
fino alla metà del Seicento, quando fu acquistato da Francesco I d’Este per le proprie collezioni.
Si accordano all’originaria destinazione dell’opera
la scelta del soggetto, la presenza dei santi Francesco e Bernardino e le inusuali dimensioni della
tavola, intermedie fra la pala d’altare e il quadro
di devozione privata. La particolare iconografia del
dipinto, che costituisce una rara trasposizione in
immagini del tema teologico della compassio della
Vergine, incentrata sulla speculare corrispondenza delle figure di Cristo morto e di Maria dolente, fu invece probabilmente dettata all’artista dal
committente, che fu appassionato umanista ma
anche convinto assertore del potere di esortazione spirituale delle opere d’arte. Con grande abilità
Cima fa di un astratto argomento teologico il principio ordinatore del dipinto componendo attorno
alle due figure principali i gruppi dei santi uomini
e delle Marie ed esprimendo il significato religioso
dell’opera con gli strumenti stilistici a lui più congeniali: la diffusa luminosità, il realismo e l’espressività misurata dei volti, la naturalezza dei gesti.
7
Antonio Allegri, detto il Correggio
Correggio, 1489 o 1494 – 1534
Madonna con il Bambino
detta Madonna Campori, 1517 – 1518
Olio su tavola, cm 58 x 45
Inv. 129
Acquistata nel 1635 dal Cardinal Campori per
la cappella del Castello di Soliera, il dipinto pervenne alla Galleria Estense nel 1894 in seguito
al lascito testamentario del marchese Giuseppe
Campori. In mancanza di documenti, l’attribuzione per via stilistica, proposta per la prima volta
nel 1852 dal pittore bolognese Vincenzo Rasori, è oggi unanimemente accettata dalla critica.
Cronologicamente l’esecuzione della Madonna
Campori si attesta intorno al 1517 – 1518, a ridosso
delle commesse che vedranno l’artista impegnato
nella decorazione della Camera di San Paolo a Parma, nel 1519, in quella fase della sua produzione
artistica giovanile segnata dal raggiungimento di
un nuovo linguaggio pittorico che, muovendo dalla lezione di Leonardo e Raffaello, perviene a una
propria maturità espressiva. Il gesto amorevole e
materno della Vergine, che con il capo lievemente
inclinato si accinge ad allattare Gesù Bambino, viene restituito da Correggio con estrema naturalezza
e intensità, senza scadere nel sentimentalismo. Il
dialogo profondo degli sguardi si completa nella
delicata articolazione dei gesti, fatti di carezze, e
nel gioco soave delle dita delle mani in primo piano. La presenza del fondale scuro, da cui traspare
un solo tralcio verde, se da un lato contribuisce ad
accentuare l’intimità dell’atmosfera e la partecipazione emotiva, dall’altro si carica di una valenza simbolica premonitrice di un tragico destino.
8
Jacopo Robusti, detto il Tintoretto
Venezia, 1518 – 1594
Apollo e Dafne, ca. 1540 – 1545
Olio su tavola, cm 153 x 133
Inv. 349
Deucalione e Pirra in preghiera davanti
alla statua della divinità, ca. 1540 – 1545
Olio su tavola, cm 127 x 124
Inv. 362
Acquistate da Francesco I d’Este nel 1658 per la
propria collezione, le due opere erano parte di un
ciclo di 16 ottagoni dedicato alle storie amorose
e violente della Metamorfosi ovidiana, provenienti
dal palazzo di San Paterniano a Venezia di proprietà di Vittore Pisani. Destinate a una delle sale adibite a Galleria del Palazzo Ducale di Modena, la loro
disposizione originaria non venne fin da subito rispettata e le tele furono poste a coronamento di un
dipinto di Agostino Carracci, quale arricchimento
decorativo del soffitto, funzionale all’assetto museale che il Duca voleva dare alla propria collezione.
Rappresentano due fra le scene più note della mitologia greca, entrambe caratterizzate dall’intercessione provvidenziale degli dei: il momento in cui la
ninfa Dafne si rivolge a Giove chiedendo di essere trasformata in albero per sfuggire all’abbraccio
di Apollo e la preghiera rivolta alla dea Themis da
Deucalione e Pirra, marito e moglie anziani, unici
superstiti del diluvio universale, affinché esaudisse
il loro desiderio di ripopolare con altri uomini la terra.
Sebbene ancora oggi non si è giunti a delineare
completamente la sua prima attività, l’intero ciclo
pittorico rientra nella produzione artistica giovanile
di Tintoretto, come ha riconosciuto già da tempo la
critica, ed è riconducibile ai primi anni del quinto
decennio del XVI secolo. L’articolazione delle forme
nello spazio, la prospettiva forzatamente illusionistica delle scene, l’intensità degli effetti chiaroscurali
e la spericolatezza dei gesti testimoniano gli albori
di un complesso, delicato, ma già prorompente stile. Evidenti sono i forti debiti di riconoscenza con le
invenzioni artistiche della Sala dei Giganti a Palazzo Te opera di Giulio Romano, da cui il più che ventenne Tintoretto trasse ispirazione forse a seguito
di un viaggio a Mantova databile intorno al 1540.
9
Ludovico o Annibale Carracci
Bologna, 1559 – 1619 / Bologna, 1560 – Roma, 1609
Flora, 1590 – 91
Olio su tela, cm 110 x 131
Inv. 332
Annibale Carracci
Bologna, 1560 – Roma, 1609
Venere e Cupido, 1592
Olio su tela, cm 110 x 130
Inv. 333
Una delle ultime manifestazioni di magnificenza
con cui Cesare d’Este, appartenente a un ramo
secondario del casato, cercò di affermare il suo
diritto al ducato di Ferrara fu, tra il 1589 e il 1593,
la decorazione dell’appartamento della moglie Virginia de’ Medici in palazzo dei Diamanti. Chiamati
a partecipare all’impresa assieme ai pittori ferraresi
solitamente impiegati a corte (Belloni, Scarsellino,
Venturini, Cromer), i tre Carracci eseguirono per
il soffitto di una delle stanze, probabilmente quella del Poggiolo, cinque tele raffiguranti le divinità
dell’Olimpo classico: oltre ai due dipinti qui esposti,
il Plutone dipinto da Agostino, la Salacia (o Galatea)
di Ludovico, anch’essi oggi nella Galleria Estense,
e un Eolo ora disperso. A riprova della grande considerazione in cui erano tenuti, i cinque ovali furono
fra le prime opere trasferite da palazzo dei Diamanti al palazzo Ducale di Modena negli anni immediatamente successivi alla Devoluzione del 1598.
Mentre l’attribuzione ad Annibale della sensuale e
carnosa Venere non è mai stata posta in discussione, la Flora viene tradizionalmente assegnata a Ludovico. Recentemente ha però preso forza l’opinione che entrambi i dipinti si debbano al più giovane
dei Carracci. In essi, infatti, la riflessione comune
ai due cugini sull’opera dei grandi maestri del Cinquecento veneziano e di Veronese in particolare–
da cui sono tratti i difficili scorci dal basso, la felicità
del colore e la particolare qualità luminosa dei cieli
percorsi da nubi – è risolta con una naturalezza
e un equilibrio di cui a queste date era capace il
solo Annibale. Se nella Flora l’accentuazione del
contrasto luminoso e l’accostante atteggiamento
della dea fanno ancora riferimento al Correggio,
la Venere, più fedele ai modelli del Veronese, è
già orientata verso quegli obiettivi di armonia e
compostezza formale ispirate a modelli classici
e verificate sullo studio della natura che Annibale
avrebbe raggiunto di lì a pochi anni negli affreschi
di palazzo Farnese a Roma (1594 – 1600).
10
Nicolas Tournier
Montbéliard, 1590 – Toulouse, 1639
Soldato con calice, ca. 1619 – 1624
Olio su tela, cm 130 x 93
Inv. 15
Bevitore con fiasco, ca. 1619 – 1624
Olio su tela, cm 124 x 93
Inv. 41
Le due opere giunsero a Modena alla morte del
cardinale Alessandro d’Este (Ferrara, 1568 –
Roma, 1624), che le aveva acquistate per la sua
collezione romana. Costituiscono eloquenti esempi
della corrente artistica che si diffuse nella capitale
pontificia nei decenni successivi alla fuga di Caravaggio verso Napoli (1606). Le potenti invenzioni del grande maestro lombardo cominciarono ad
essere semplificate e replicate dai suoi numerosi seguaci, dando origine così a una fitta produzione di scene immerse nella quotidianità della
Roma contemporanea, bagnate dalle tipiche violente modulazioni di luce. Da ambienti in penombra emergono episodi di storia sacra o profana,
soggetti mitologici o allegorici, secondo formule
sviluppate in particolare da Bartolomeo Manfredi
e per questo etichettate dallo storiografo seicentesco Joachim Von Sandrart come “Manfrediana
methodus”. Proprio a Manfredi è stata attribuita in
passato la coppia di tele qui esposte: i due personaggiritratti si accingono a bere vino fissando
lo spettatore con implicazioni moraleggianti e colte, ispirate alla tradizione classica legata al culto
di Bacco. La particolare finezza nella stesura del
colore, e un timbro di eleganza e ricercatezza nel
disegno, pienamente coerente con la produzione
dei pittori caravaggeschi francesi, consegnano
tuttavia le due opere alla mano di Nicolas Tournier,
che lavorò a Roma fra 1619 e 1626 a stretto contatto con un altro grande interprete di tale corrente di gusto come il suo connazionale Valentin de
Boulogne. La precoce presenza di tali dipinti in
casa d’Este ne conferma l’alto grado di ricettività,
nonché il tempestivo apprezzamento anche per
manifestazioni artistiche ai margini dei canoni ufficiali del gusto e del decoro, come fu in effetti tutta
la bruciante stagione del caravaggismo romano.
11
Giovan Francesco Barbieri
detto il Guercino
il dipinto fu restituito alle collezioni estensi nel 1815.
I forti contrasti chiaroscurali, di derivazione caravaggesca, prodotti da una fonte luminosa esterna
che plasticamente modella le forme e il dialogo
silenzioso dei gesti delle mani, come si osserva
nel dito puntato di Amnon e nelle mani alzate in
segno di timore della sorella Tamar, conferiscono
maggiore intensità drammatica ai personaggi perfettamente abbigliati secondo la moda del tempo.
La preziosità delle stoffe, il dettaglio delle perle
che ornano il corpetto e incorniciano il volto di Tamar, il cappello con le piume di Amnon sono fra
gli elementi caratterizzanti il quadro e rivelano la
straordinaria capacità pittorica di Guercino nella
resa virtuosistica anche dei singoli dettagli. Il dipinto, di cui esiste un disegno preparatorio datato
1626-1628, rappresenta un precedente importante
per un soggetto analogo che l’artista fu incaricato
di eseguire dal mercante e intenditore d’arte reggiano Aurelio Zaneletti nel 1649, oggi conservato
presso la National Gallery of Art di Washington D.C.
Cento, 1591 – Bologna, 1666
Amnon scaccia Tamar, 1631
Olio su tela, cm 122 x 161
Inv. 68 (L’opera è esposta nella Sala di Giove)
Da un inventario del 1692 – 1694, si apprende
che il dipinto insieme al celebre quadro Venere,
Amore e Marte faceva parte di un ciclo di cinque
tele, disperse ed in parte perdute, che Francesco I d’Este commissionò all’artista di Cento per
la decorazione della Camera dei Sogni nel Palazzo Ducale di Sassuolo. L’opera pagata 130
scudi dal Duca nel 1631, è stata solo di recente
identificata con il soggetto biblico di Tamar scacciata dal fratello Amnon dopo che questi le aveva usato violenza. Trasferito successivamente
presso il Palazzo Ducale di Modena, dove rimase fino alle requisizioni napoleoniche del 1796,
12
Diego Rodríguez de Silva y Velázquez
Siviglia, 1599 – Madrid, 1660
Ritratto di Francesco I d’Este, 1638
Olio su tela, cm.68 x 51
Inv. 472
Alla fine di agosto del 1638 Francesco I d’Este si
recò a Madrid, ospite del re Filippo IV di Spagna.
Deciso a consolidare i buoni rapporti internazionali
a vantaggio del piccolo stato di cui Modena era
divenuta capitale e dove in quegli anni fervevano
i cantieri di residenze eccezionali come il Palazzo
di Sassuolo, il Duca indirizzava la propria linea di
governo guardando alle grandi capitali europee
del tempo. E a suggello del viaggio spagnolo,
poté conseguire un risultato di altissimo prestigio
sul piano della politica artistica e dell’immagine di
sé: ottenne infatti di farsi ritrarre da Velázquez, fra
i massimi artisti dell’età barocca e di ogni tempo,
che dipingeva in via pressoché esclusiva al servizio della corte asburgica di Madrid. Nel classico
taglio della “tela da testa”, Francesco I è colto di
tre quarti in armatura da condottiero, ornato con
la fusciacca rosa di generale e la collana del Toson d’Oro. Alle solide basi dell’iconografia ufficiale,
resa con magistrale dominio della materia cromatica secondo un gusto che Velázquez aveva affinato studiando i grandi maestri del Cinquecento
veneto, si accompagna la densa espressività che
promana dal volto del Duca: a scrutarci con uno
sguardo vagamente diffidente è la presenza viva
di un giovane uomo conscio delle proprie responsabilità e delle proprie ambizioni, che avrebbe
continuato a governare per i successivi vent’anni
segnando una delle epoche più luminose della dinastia estense.
13
Cristoforo Munari
Reggio Emilia, 1667 – Pisa, 1720
Natura morta con alzata con cristalli,
strumenti musicali, libro e frutta, 1712
Olio su tela, cm. 135 x 97
Inv. 2978
Grazie ad una lettera del 1712 con cui l’artista
sollecita il pagamento per due dipinti commissionatigli quattro anni prima dal duca Rinaldo d’Este
(Modena, 1655 – 1737), conosciamo esattamente
l’autore, la datazione e la committenza dell’opera
qui esposta, così come del suo pendant, ovvero
la Natura morta con vaso di fiori, brocca di porcellana e frutta che parimenti appartiene alla Galleria
Estense. Cristoforo Munari lavorava a quel tempo
a Firenze per il principe Ferdinando de’ Medici. Gli
anni fiorentini rappresentano uno snodo centrale
nella sua carriera particolarmente versata nella
produzione di complesse nature morte, dove sono
impaginati eleganti insiemi di frutta, vasellame e
stoviglie preziose, tappeti e tessuti o – come in
questo caso – strumenti musicali, secondo un gusto opulento e aristocratico pienamente consono
alle esigenze di committenti di alto rango.
Nota costante dell’opera di Munari è l’indagine
minuziosa delle qualità dei materiali e della luce:
le trasparenze e i riflessi dei cristalli, le sensazioni
tattili e perfino olfattive suscitate dall’attenta riproduzione di frutti, vivande e liquori, spingono l’artista reggiano verso mirabili effetti di illusionismo
e trompe l’oeil, e avvicinano la sua produzione a
quella del maestro tedesco Christian Berentz che
negli stessi anni portava avanti ricerche analoghe
a Roma. I due si erano conosciuti proprio nella capitale pontificia, dove Munari aveva lavorato negli
ultimi anni del Seicento affinando in modo determinante il proprio linguaggio pittorico, accanto ad
altri grandi specialisti della natura morta come Giovan Paolo Castelli, Mario de’ Fiori o Michelangelo
di Campidoglio.
14
Evento organizzato da
SOPRINTENDENZA PER I BENI STORICI
ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI
DI MODENA E REGGIO EMILIA
DIREZIONE REGIONALE
PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI
DELL’EMILIA ROMAGNA
Comitato promotore
Carla Di Francesco
Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna
Stefano Casciu
Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Modena e Reggio Emilia
Luca Caselli
Sindaco del Comune di Sassuolo
Claudio Corrado
Assessore alla Cultura del Comune di Sassuolo
Organizzazione e coordinamento scientifico
per la Soprintendenza di Modena e Reggio Emilia
Laura Bedini
(responsabile per il Palazzo Ducale)
Annunziata Lanzetta
Federico Fischetti
Marco Mozzo
Marcello Toffanello
con la collaborazione di
Domenico Federico
Coordinamento organizzativo
per il Servizio Attività Culturali del Comune di Sassuolo
Elisabetta Leonardi
Elena Coppola
Luca Silingardi
Elena Tagliavini
Comunicazione e Ufficio Stampa
Raffaele Gaudioso
(Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna)
con la collaborazione di
Annunziata Lanzetta
(Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Modena e Reggio Emilia)
Testi
Federico Fischetti
Marco Mozzo
Marcello Toffanello
(Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Modena e Reggio Emilia)
Editing e impaginazione
Luca Silingardi
(Servizio Attività Culturali del Comune di Sassuolo)
Allestimento e trasporti
L’Arca, Modena
Assicurazione
Syncronos Italiana Assicurazioni
Servizi per il pubblico
Le Macchine Celibi, Bologna
APERTURA AL PUBBLICO Settembre - dicembre 2012
1 settembre - 11 novembre
in occasione dell’evento
Un ospite illustre. La Galleria Estense a Sassuolo
VENERDì, sabato, Domenica e festivi
dalle 10.00 alle 19.00
ultimo ingresso 18.30
apertura a richiesta per gruppi, dal lunedì al giovedì
con obbligo di prenotazione e guida
12 novembre - 30 dicembre
apertura a richiesta per gruppi, con obbligo di prenotazione e guida
chiuso il 25, 26 e 31 dicembre
informazioni e prenotazioni
I.A.T. - Ufficio Informazioni
e Accoglienza Turistica
Piazzale Avanzini, Sassuolo (MO)
tel. 0536.1844853 - fax 0536.1844964
[email protected]
Biglietto d’ingresso
Gratuito (dal 1 settembre all’11 novembre)
Intero: € 4,00; Ridotto € 2,00 (dal 12 novembre al 30 dicembre)
Guida e cataloghi
Servizio di vendita presso la biglietteria
Scuole e gruppi
Servizio di visite guidate su prenotazione
Modena
2012