2006 Settembre Ottobre

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IL SACRO MONTE DI VARALLO
Cenni Storici
I
l Sacro Monte di Varallo è
l’opera di due grandi uomini di Chiesa e di numerosi uomini d’arte capeggiati da Gaudenzio Ferrari.
I due uomini di Chiesa sono:
il beato Bernardino Caìmi,
frate francescano, e San Carlo
Borromeo, arcivescovo di Milano.
Fra Bernardino Caìmi attuò a
Varallo l’idea che gli era maturata nell’animo durante la
sua dimora in Terra Santa.
Volle fare delle costruzioni
che ricordassero i «luoghi
santi» della Palestina, cioè i
luoghi che ricordano i momenti caratteristici della per-
manenza di Gesù sulla terra
(Grotta di Betlemme, Casa di
Nazareth, Cenacolo, Calvario,
Santo Sepolcro).
Iniziò il suo lavoro nel 1486 e
ne curò l’attuazione finché
visse (a tutto il 1499), coadiuvato da Gaudenzio Ferrari che
ne continuò l’idea, abbellendo
con affreschi e con statue alcune cappelle. San Carlo Borromeo apprezzò il lavoro già
fatto dopo una sua visita al
Sacro Monte nel 1578 e, denominato felicemente quel
luogo «Nuova Jerusalem», lo
Orario Funzioni
FESTIVO - SS. Messe:
ore 9,30 - 11,30 - 16 (ore 17 ora legale)
Rosario - Vespro - Benedizione: ore 15
(ore 16 ora legale)
FERIALE
S. Messa: ore 16 (ore 17 ora legale)
Rosario e Vespro: ore 16,30
Prendi la funivia,
in 1 minuto
sei al Sacro Monte
fece conoscere meglio ai suoi
contemporanei.
Tornatovi alla fine d’ottobre
del 1584 per attendere al bene
della sua anima, pensò di valorizzarlo con la costruzione
di nuove cappelle che illustrassero in modo più completo l’opera di Gesù.
Valorizzò il progetto di riordino del Sacro Monte stilato nel
1567 dall’Arch. Galeazzo
Alessi e, adattandolo al suo
schema, volle che si riprendessero i lavori.
Si lavorò fino al 1765.
–
–
–
–
In quel secolo e mezzo nuovi
artisti unirono il proprio nome
a quello di Gaudenzio Ferrari:
il Morazzone, il Tanzio, i
Fiamminghini, i Danedi per la
pittura; Giovanni d’Enrico e il
Tabacchetti per la statuaria,
per citare solo i più noti. L’idea di San Carlo Borromeo e
le realizzazioni che ne seguirono fecero del Sacro Monte
di Varallo il prototipo di quegli altri Sacri Monti che sorsero nella zona durante il sec.
XVII (Sacro Monte d’Orta,
Sacro Monte di Varese, Sacro
Monte d’Oropa, Sacro Monte
di Crea, Sacro Monte di Locarno in Svizzera).
Prima domenica di ogni mese ore 9,30 e nel Triduo in
preparazione al 1° novembre:
Santa Messa per la «Compagnia della Buona Morte».
Ogni primo sabato del mese alle ore 16 (ore 17 ora
legale): Santa Messa per i benefattori vivi e defunti.
Il 24 dicembre a mezzanotte: Santa Messa per tutte
le famiglie che hanno visitato il Santuario.
Il 31 dicembre ore 16:
Santa Messa per ringraziare e invocare la pace.
Il servizio religioso è svolto dai Padri Oblati della diocesi di
Novara che risiedono accanto al Santuario - Tel. 0163.51131
SOMMARIO
Parola del Rettore
padre GIULIANO TEMPORELLI
Conosciamo il Sacro Monte
di CASIMIRO DEBIAGGI
Santuario del S. Monte di Orta
DI
Conosciamo la Biblioteca
DAMIANO POMI
di PIERA MAZZONE
Rosmini di Varallo
di G.O.
La Musica in Valsesia
di VIOR
Biografia di Carelli
di G.F.
Esperienze di viaggio in Alta Valsesia
di GABRIELE FEDERICI
c.c.p. 11467131 intestato a:
Santuario Sacro Monte
13019 Varallo Sesia (VC)
con APPROV. ECCLESIALE
Aut. Tribunale di Vercelli N. 45
del 30-1-1953
N. 5 - ANNO 82°
Settembre - Ottobre 2006
Sped. in abb. post.
Grafiche Julini di Zonca Alcide
Via Vittorio Emanuele, 7
Grignasco (NO) - Tel. 0163.418959
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LA PAROLA DEL RETTORE
La nuova lettera pastorale di Mons. Corti
Splendete come astri nel mondo
P
er stimolare la diocesi di Novara
ad un impegno sempre più incisivo in favore dei ragazzi e dei
giovani il vescovo di Novara, monsignor Renato Corti, ha scritto per l’anno 2006-2007 una lettera pastorale dal
titolo “Splendete come astri nel mondo”. Si tratta di proseguire nella decisione di dedicare questi anni alle nuove generazioni perché è qualificante
per il futuro la relazione della Chiesa
con i giovani e dei giovani con la Chiesa. L’orizzonte entro il quale muoversi
è quello missionario, ossia la persuasione della bellezza di essere cristiano
e la gioia di comunicarlo, come ha recentemente affermato Benedetto XVI.
In questa prospettiva la Madre di Cristo, Maria, diventa una singolare testimone nel modo di porsi di fronte all’evangelizzazione.
La Chiesa è Madre; deve dunque
far nascere e crescere i figli. Di qui
l’impegno di tutti: sacerdoti, catechisti, genitori, comunità cristiana. Alla
luce della nuova situazione sociale-ecclesiale va ripensata quella che viene
chiamata l’iniziazione cristiana, attra-
Mons. Vescovo Corti con i bambini
verso un serio catecumenato. In tutto
questo “processo di crescita” vanno
coinvolti i ragazzi, visti non come
spettatori, ma soggetti veri, costantemente sollecitati ad essere attivi e disponibili a un “tirocinio” di vita cristiana.
Mons. Corti si rivolge poi direttamente ai giovani: “Ecco – sostiene –
una prima, fondamentale indicazione
di cammino per voi giovani: non sciupate la vita, non imboccate la strada
sbagliata. In questo vi devono aiutare,
con premura assoluta, i vostri educatori: sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, animatori di gruppo. Non devono far prevalere null’altro su questo. E
Celebrata la festa del Fondatore
Padre Bernardino Caimi
Anche quest’anno il Santuario
ha voluto ricordare il francescano
padre Bernardino Caimi, fondatore
del Sacro Monte di Varallo. La
Messa delle ore 17 è stata celebrata da padre Angelo Manzini, rettore del Sacro Monte di Orta. Il francescano ha ricordato nell’Omelia il
fondatore e l’esigenza di mettere in
pratica quel vangelo che al Sacro
Monte di Varallo viene così ben
rappresentato con numerose statue
e pitture.
1
ciò è tanto più necessario nella condizione culturale con la quale voi giovani dovete misurarvi nel presente.” Rivolgendosi agli educatori il vescovo li
supplica di tener vivo lo spirito dal
quale sono stati sospinti a privilegiare,
nella loro attenzione pastorale, le nuove generazioni, attuando anche qualche
cambiamento di impostazione pastorale se questo si dimostra utile o necessario. Ai sacerdoti viene chiesto di “scrutare i cuori”. “La capacità di “guardare
il cuore” – spiega monsignor Corti – vi
sarà data se sfuggirete la superficialità
e non affronterete in modo distratto la
vita di ogni giorno; se coltiverete concretamente, ogni giorno, l’esperienza
della profondità, soprattutto con il tempo riservato gelosamente alla preghiera
e alla preparazione degli atti del ministero. Vi invito poi a svelare ai giovani
con franchezza che li attende una lotta
e che solo affrontandola usciranno da
molte schiavitù e compiranno un vero
esodo verso la libertà.”
L’ultimo capitolo riguarda “alcuni
adempimenti dentro la pastorale ordinaria”. Si tratta di rimarcare alcune
scelte che devono qualificare la pastorale ordinaria. La prima è l’iniziazione
cristiana. Quando i genitori chiedono
il battesimo, la cresima e l’eucaristia
spesso la Chiesa si trova di fronte a
persone che hanno bisogno del primo
annuncio di fede. E’ quindi necessario
un accompagnamento adeguato a questa nuova situazione. C’è poi l’impegno in favore degli adolescenti e dei
giovani. Qui sono richiamati vari ambiti interessati a questa pastorale a cominciare dalle parrocchie agli oratori,
alle associazioni e movimenti, i religiosi e le religiose, la scuola, l’accompagnamento verso il matrimonio. La
lettera termina con due immagini :
quella della roccia ( Cristo) sulla quale costruire la vita , e la bottega del vasaio come richiamo perché i giovani,
attraverso gli educatori, si lascino plasmare dal Signore.
p. Giuliano Temporelli
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LA BIBBIA E LE CAPPELLE
La Cappella delle Tentazioni (Cappella 13ª)
L
a scritta in latino
tratta dal secondo libro delle Cronache
(cap. 32, versetto 31) dice :
Dio lo abbandonò alla tentazione. L’espressione si riferisce al re Ezechia (716687 a.C.), che ebbe
ricchezze e gloria in abbondanza. Egli si costruì
depositi per l’argento, l’oro,
le pietre preziose, gli aromi,
gli scudi e per qualsiasi cosa pregevole, magazzini per
i prodotti del grano, del mosto e dell’olio, stalle per
ogni genere di bestiame,
ovili per le pecore. Edificò
città; ebbe molto bestiame.
Chiuse l’apertura superiore
delle acque del Ghicon,
convogliandole in basso attraverso il lato occidentale
nella città di Davide. Ezechia riuscì in ogni sua impresa. Ma quando i capi di
Babilonia gli inviarono
messaggeri per informarsi
sul prodigio avvenuto nel
paese, Dio l’abbandonò per
metterlo alla prova e conoscerne completamente il
cuore.
La vicenda di Ezechia
viene quindi messa in
parallelo come immagine di
quello che è avvenuto a Cristo: Gesù fu condotto dallo
Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo (Matteo 4,1).
L’episodio narrato da
Matteo è pieno di citazioni
dell’Antico Testamento. Si
vuol far presente l’esperienza e il combattimento
del Messia, nuovo capo del
Popolo di Dio.
Come Mosè rimase quaranta giorni sul Sinai, Gesù
soggiorna quaranta giorni
nel deserto, tempo simbolico della preparazione ad
Suor Rita
ci ha lasciato
viazioni l’umanità verso la
vera salvezza. L’opera di
Gesù non si realizza cercando il proprio successo :
passa attraverso la povertà,
la verità, la fedeltà.
Le tentazioni di Gesù restano quelle della Chiesa,
dell’apostolo, del credente.
Questo vangelo ci invita alle vere scelte.
azioni provvidenziali. Il demonio, riconosciuto come
l’avversario della salvezza,
lo tenta alla sua missione.
Le terribili tentazioni del
popolo nel deserto assalgono anche Gesù, ma questa
volta le forze di seduzione e
di distruzione non avranno
il sopravvento. Questa volta
il disegno di Dio si compirà. Gesù condurrà senza de-
p.g.
SUORE ORSOLINE
Celebrazione del
Capitolo Generale
Le suore Orsoline del Sacro Monte di Varallo si
sono riunite nella Casa Madre dell’Istituto, dal 30
luglio al 3 agosto 2006 per la celebrazione del XV
Capitolo generale.
Prendendo come tema del medesimo il mandato dei Fondatori: “VERE APOSTOLE NELLE POPOLAZIONI, una consegna da trafficare”, guidate dal
Prof. Mons. Gianfranco Poli hanno riflettuto sui tre
punti già approfonditi nei mesi precedenti nelle
singole comunità:” Il cammino realizzato”, “il carisma sacerdotale” e “ le scelte future”, tracciando
l’obiettivo per il prossimo sessennio e abbozzando
il progetto d’Istituto.
Nell’ultima sessione Capitolare, dedicata alla
elezione del nuovo Governo, è stata riconfermata
Superiora Generale Madre Rosina Tabasso e rinnovato il Consiglio Generalizio.
Le suore Orsoline
2
Il 29 luglio, verso le 16
Suor Rita Pescarolo ci ha
lasciato. Assieme alla
comunità delle Suore Orsoline del Sacro Monte
di Varallo aveva iniziato
con tanta gioia e fervore
gli Esercizi spirituali
quando è stata chiamata
dallo Sposo a celebrare
le nozze eterne. Aveva
92 anni!
Visse la sua lunga e
laboriosa esistenza donandosi senza riserve al
prossimo; fino all’ultimo
cercò di rendersi utile alle Sorelle prestando piccoli servizi. Accolta con
gratitudine la chiamata
del Signore, procurò di
viverla giorno dopo giorno in fedeltà e gioia. Si
prodigò con i bambini
negli asili infantili e nelle
opere parrocchiali; destinata alle missioni in Brasile, svolse la sua opera
di evangelizzazione e di
promozione umana a favore dei più bisognosi.
Trascorse gli ultimi anni
di vita al Sacro Monte, in
Casa Madre, circondata
dall’affetto e dalle premure delle Sorelle.
La sua partenza, improvvisa, ha lasciato in
tutte un grande vuoto,
ma ci conforta pensarla
in Cielo, accanto ai venerati Fondatori e alle Sorelle che l’hanno preceduta a cantare in eterno
le lodi del Signore ed intercedere per tutte noi.
Le suore orsoline
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CONOSCIAMO IL SACRO MONTE
Gesù muore sulla Croce
(cappella 38ª)
18a puntata: La letteratura sulla raffigurazione gaudenziana
I
n una descrizione complessiva della cappella del Calvario, un aspetto
da mettere in evidenza, dopo di
aver preso in considerazione le riproduzioni pittoriche, grafiche e fotografiche che la riguardano, è anche quello
degli scritti, cioè dei testi, degli studi,
dei commenti critici, in una parola della letteratura che nel corso di ormai
quasi cinque secoli, si è in qualche modo interessata del capolavoro gaudenziano. Sono a volte ricerche mirate nell’intento di illustrarla, descriverla, studiarla, indagarne le vicende non sempre chiare, penetrarne i più alti valori
creativi. Sono più spesso scritti che
trattano dell’opera complessiva e della
personalità di Gaudenzio, o dedicati al
Sacro Monte varallese o al fenomeno
dei Sacri Monti, o ancora al più vasto
contesto della storia dell’ arte italiana
del Cinquecento.
Ne emerge un panorama vastissimo,
insospettato, su cui è necessario soffermarsi brevemente, anche solo per
darne un’idea.
Molto infatti si è scritto al riguardo.
Talmente abbondante ne è la fioritura e
talmente importante, oltre che dal punto di vista religioso e devozionale in
genere, per il campo degli studi della
storia e della critica d’arte, che sarebbe
veramente auspicabile che qualche
giovane studioso vi dedicasse un lavoro attento, sistematico, appassionato, o
una seria, rigorosa e completa tesi di
laurea. Si tratterebbe di un capitolo, o
meglio di una trattazione del tutto nuova, di una vera e grossa sorpresa.
Manca infatti a tutt’oggi anche solo
una ricerca, per quanto sommaria, sull’
argomento.
Appena una quarantina di anni dopo
che Gaudenzio aveva dato compimento
alla raffinurazione della cappella, la
più ispirata e significativa del Sacro
Monte, anzi, di tutti i sacri Monti, nella guida in versi del 1566 (la seconda
in assoluto della Nuova Gerusalemme,
dopo quella del I514) compilata e
stampata a Novara dal tipografo e scrit-
tore valsesiano Francesco Sesalli, ben
cinque ottave sono dedicate ad esaltare
con sincero entusiasmo e intensa partecipazione il mistero.
Solo quattro anni dopo, nella seconda edizione, verrà aggiunta una sesta
ottava, quasi una necessaria sintesi, assai acuta ed ancor valida oggi nel mettere a fuoco l’importanza assoluta dell’opera, che non trova uguale nell’iconografia della Crocifissione:
“E se il tutto volessi racontare
Di questo Tempio, e la bellezza e 1’arte,
Le statue, le pitture, e 1’opre rare,
Saria un vergar in infinite carte:
Che non han queste in tutto il mondo pare,
Cerchisi pur in qualsivoglia parte,
Che di Fidia, Prasitele, e d’Apelle
Ne di Zeusi non fur 1’opre sì belle”
Tale testo sarà ripetuto per tutto il
Cinquecento nelle successive ristampe
della Descrittione.
Intanto anche Galeazzo Alessi, attorno al 1558, quindi poco dopo la prima edizione della guida del Sesalli,
nella parte introduttiva del “Libro dei
Misteri”, nell’esporre il suo progetto di
ristrutturazione generale del Monte,
non può non manifestare la sua ammirazione per la scena gaudenziana del
Cristo in croce scrivendo: “et mi pare
chè 1 Scultore et Pittore habbia benis3
simo espresso questo misterio con dimostrar’ la figura del Redentor
n(ost)ro, tutto piagato et vergato di sangue, et appresso la figura di Maria Vergine, chè come morta si lascia cadere:
nelle braccia dell’afflitte sue Compagne, che veramente non può anima fedele mirar’ con occhi asciutti, la gran
turba de manigoldi, che Cristo d’ogni
parte straccia e percuote..., et in vero
questo è un misterio fatto molto bene,
et con giuditio; et perciò non mi pare
aggiungervi cosa alcuna, salvo riformare la vitriata...”.
Non molto dopo con i due scritti di
Gian Paolo Lomazzo: Trattato dell’ arte della pittura (1584) e Idea del tempio della pittura (1590), si entra nel
campo ufficiale della trattatistica d’arte
del secolo XVI. Il Lomazzo pittore e
scrittore lombardo, entusiasta ammiratore di Gaudenzio, che considera suo
maestro, fa ripetuti riferimenti, talora
veramente illuminanti, sugli affreschi
del Calvario.
Dopo di lui, nell’ ultimo decennio
del secolo, in campo del tutto diverso,
è il Vescovo di Novara, Carlo Bascapè,
che nella sua prima visita pastorale sul
Monte di Varallo (1593), nella relazione redatta per precisare lavori, ristrutturazioni e modifiche da apportare in
tutto il complesso, giunto alla cappella
di Gesù sulla croce, non può trattenersi dall’osservare che essa è “amplam
atque ornatissimam sculpturis picturisque m(agist)ri Gaudentii“.
All’inizio del Seicento il celebre pittore manierista Federico Zuccari, nel
suo libro il Passaggio per 1’Italia del
1606, ricorda come nel 1603, terminato
d’affrescare il salone del Collegio Borromeo di Pavia, ove aveva illustrato la
Vita di San Carlo insieme all’altro ben
noto pittore manierista Cesare Nebbia,
”il Signor Cardinale (cioè Federico
Borromeo) ci mandò a vedere il Monte
di Varallo due giorni di là da Milano,
verso settentrione, luogo nobile, e degno ch’io ne dia un poco di ragguagli”,
tessendo ampi elogi delle opere di Gau(segue a pag. 4)
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CONOSCIAMO IL SACRO MONTE
Gesù muore sulla Croce
denzio e soffermandosi su
quelle del Calvario.
Dopo vari decenni bisognerà arrivare al Fassola per
trovare due pagine laudatorie dedicate alla cappella
(1671), in cui tra 1’altro lui
per primo elenca i vari personaggi che Gaudenzio
avrebbe raffigurato negli affreschi, elenco talora ripetuto anche ai nostri giorni. Tre
anni dopo (1674) lo Scaramucci dice di esser salito a
Varallo (forse avendo avuto
tra mano il testo del Fassola), più che per devozione,
per veder Gaudenzio, e si
stupisce nella cappella del
Calvario per “tanto amore e
freschezza”. Poco vi si sofferma invece il Torrotti nella
sua Historia della Nuova
Gerusalemme del 1686, e
così pure il Cotta nel Museo
Novarese all’inizio del Settecento si limita a citare la
cappella nella voce dedicata
a Gaudenzio. Nè molto vi
scrivono i compilatori delle
numerose guide per i pellegrini, nè i vari estensori di
biografie di artisti e di uomini illustri piemontesi, o di
ambito lombardo, che neppure salgono a Varallo. Anche il tanto celebrato abate
Lanzi, nella sua ben nota
storia pittorica d’Italia, ricca
di osservazioni acute, che
pure ammira Gaudenzio,
non viene in Valsesia e di
conseguenza ignora tutti i
capolavori di Gaudenzio,
Tanzio e Morazzone esistenti sul Sacro Monte, ed è una
vera, grossa lacuna. Bisogna
giungere all’inizio dell’Ottocento per constastare una
nuova fioritura di studi gaudenziani ad iniziare, più che
dal De Gregory (Istoria della Vercellese Letteratura ed
Arti), dal Bordiga con la sua
vita di Gaudenzio Ferrari,
(segue da pag 3)
edita a Milano nel 1821, in
cui dedica ben quattro pagine ad analizzare le sculture
ed i dipinti del Calvario.
Con lui ha inizio la vera riscoperta, la vera fortuna critica di Gaudenzio. Lo segue
nel 1831 il Furnagalli che
sale a Varallo, quasi certamente avendo visto il testo
del Bordiga, ed osserva con
acume che il maestro non
cercò i tipi, i personaggi
“nelle reminiscenze e negli
studi di opere classiche, non
gli creò sulle norme ideali
d’un bello d’invenzione ma
gli vide, gli scelse, gli trasse
dal solo vero”, anticipando
di più di cento anni alcune
affermazioni del Testori.
Spunti qua e là ancor oggi validi si trovano poi nella
monumentale opera dei
Bordiga e Pianazzi (183647), che si sofferma in una
minuta, diligentissima descrizione di tutta la cappella,
che si sviluppa per molte pagine, descrizione che era necessaria allora quando non
era ancor diffusa 1’arte fotografica.
Non si può poi dimenticare il Rio (1856), che nota per
primo dopo il Fassola, come
forse mai “Il gran mistero
della croce non era stato così compiutamente e con tanto affetto rappresentato”.
Una decisa svolta negli
studi si ha però con il Colombo, autore dell’ancor validissimo volume sulla vita e
le opere di Gaudenzio
(1881) dotato di tanti nuovi
ed importantissimi dati documentari. Egli si sofferma a
trattare del Calvario soprattutto a proposito dei problemi di datazione, di identificazione dei personaggi raffi-
MARIO MAIANDI
l’ultimo chierichetto del Sacro Monte
E’ morto nelle settimane scorse in Isvizzera Mario
Maiandi, che assieme a Giulio Perrone e Franco Tosi, defunti, erano i chierichetti del Sacro Monte di Varallo negli anni 1945-46 fino al 1951-52. Erano stati preparati
da padre Adriano Erbetta, nel tempo che risiedeva presso il Santuario. La foto dei tre chierichetti è ancora esposta presso la sacrestia della Basilica, in un quadro che
ricorda un premio catechistico
Mario è andato a lavorare in Svizzera a 18 anni. Quando tornava al Sacro Monte per brevi periodi di ferie portava sempre i suoi amici e poi i suoi figli a vedere la Chiesa e la foto in sacrestia.
gurati secondo il Fassola ed
il Bordiga e confutandone
alcune, oltre ad esporre varie
osservazioni estetiche.
Del 94 è poi l’Ex Voto del
Butler, che giunto a parlare
della cappella, si sofferma
sul Cristo in croce, in vari
ragionamenti su altre statue,
ora del tutto superati, ma
s’interessa anche di vari altri
particolari mai presi in considerazione, come alcuni
monogrammi da decifrare,
per conchiudere che la
“Cappella del Crocifisso è il
lavoro forse il più arditamente coraggioso che alcun
artista abbia mai intrapreso.
Segue nel 1904 la monografia inglese della Halsey,
che ovviamente si sofferma
sulla cappella, ma è col volume del Galloni del 1914
che si scrivono nuove pagine sull’ argomento, particolarmente sui problemi della
datazione, sulla precedenza
di esecuzione delle statue rispetto agli affreschi e sulla
paternità gaudenziana della
parte architettonica, data come cosa scontata. Vengono
poi le espressioni illuminanti di Adolfo Venturi, i ripetuti e rigorosi studi di Anna
Maria Brizio, basilari ancora oggi, che iniziano nei
suoi anni giovanili per giungere fino agli anni più tardi
della sua attività di studiosa.
Dopo le mostre memorabili del Gotico e Rinascimento in Piemonte, tenutasi
a Torino nel 1939 e 1’altra
su Gaudenzio a Vercelli nel
1956, gli studi critici si vanno sempre più ampliando ed
approfondendo in un susseguirsi di pubblicazioni di alto livello, da quella di Marziano Bernardi sul Sacro
Monte alla monografia del
Viale, ai tanti ed appassiona(segue a pag. 5)
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ARTE IN VALSESIA
Appunti per una biografia sulla vita di Padre Franzi
Pubblichiamo questo testo che riguarda i primi anni della vita di padre Franzi, redatti dal compianto
padre Francesco Carnago, che ha
fatto un’opera molto importante
raccogliendo con molta precisione
i dati più significativi dell’infanzia
e giovinezza dell’indimenticabile
padre Franzi, di cui ricorrono quest’anno i 10 anni della scomparsa.
Tommaso, nonno paterno del
“Padre”, e il fratello Francesco abitavano alla cascina Pancaglio di Vercelli, ma provenivano da Lecco.
Sposato con Opezzo Maria da
Stroppiana, per un certo tempo, poiché tutti dediti all’agricoltura, vissero a Pancaglio. Quando Tommaso
decise di dedicarsi alla lavorazione
del latte e alla produzione di gorgonzola, cambiò varie residenze:
Borgosesia, Cavallirio, Castelletto di
Momo. Si fermò a Vaprio d’Agogna,
acquistando una casa nel 1905, perchè il latte, che lì si produceva, era
considerato il migliore della provincia.
La famiglia era allietata di numerosi figli: Orsola, che si fece suora al
Cottolengo di Torino e prese il nome
di Clotilde. Giuseppe, genitore del
“Padre”. Eugenio, Rocco, Marta, Angela, Rosetta e due gemelli che mo-
Sulla sinistra Padre Franzi da bambino
rirono poco dopo la nascita.
Giuseppe, secondogenito, si sposò il 12 maggio 1906 a Cavaglietto
con Severico Maria ed abitarono a
Vaprio d’Agogna dove c’era tutta la
famiglia, genitori e fratelli.
Per alleggerire un pò la famiglia,
Tommaso invitò Giuseppe e Maria
ad esercitare la professione a Talonno. Vi rimasero un anno, poi tornarono a Vaprio d’Agogna. Là nacque
Orsola che morì a soli dieci giorni
dalla nascita. Tutti gli altri figli nacquero a Vaprio d’Agogna: Orsola,
che prese il nome dalla sorella mor-
ta. Francesco, il “Padre”. Vittorina,
che seguì il “Padre” nei suoi primi
anno di ministero prima a Vezzo e
poi a Veruno. Tommasina, Tommaso, Luigi, morto parroco a Oleggio S.
Giovanni in seguito a grave incidente stradale.
Un accenno particolare meritano
le sorelli Marta e Angela, benevolmente chiamate le “ziette”. La prima, sarta, la seconda, maestra elementare e propagandista dell’A.C.,
ambedue nubili. Dopo la morte della mamma nel 1929, si ritirarono a
Massino Visconti dove Angela insegnava ed erano ospitate nella casa
di P. Eugenio Manni, oblato. Nel
1932 sono ad Invorio Inferiore, dove
Angela fu trasferita ed insegnò fino
al 1959-60. Raggiunti per Angela i
quarant’anni di insegnamento si sistemarono a Cavaglietto fino al
1976, quando, con Tommasina, seguirono il nipote Luigi a Oleggio S.
Giovanni.
Queste zie paterne ebbero un
ruolo importante nella formazione
del “Padre”. Angela ad esempio fu la
sua insegnante in tutte le classi elementari. Era autoritaria con tutti;
Francesco era il suo pupillo, perciò
doveva essere preciso, perfetto più
degli altri.
In vacanza lo ospitavano volentieri per un pò di tempo sia a Massino Visconti che ad Invorio Inferiore.
Gesù muore sulla Croce
ti studi del Mallè, raccolti
poi nel volume Incontri con
Gaudenzio, al notissimo
Gran teatro montano del Testori che ha fatto testo con le
sue pagine celebratissime,
ardite e provocanti.
Del 67 è il mio Gaudenzio il Maestro in cui credo di
aver per la prima volta messo in evidenza il rapporto tra
i fedeli riguardanti e la scena
sacra che tutti li avvolge e li
(segue da pag 4)
grafico degli italiani.
Si sussegue quindi un numero sempre più abbondante di pubblicazioni sui Sacri
Monti, ora di alto livello ed
acutezza d’indagine, ora di
carattere più giornalistico e
divulgativo. Ma è qui impossibile non solo darne un’idea, ma anche semplicemente elencarli.
Ne risulta quindi oggi una
produzione straordinaria di
rende compartecipi dell’azione.
Dell’84 à lo studio di
Pierluigi De Vecchi Annotazioni sul Calvario del Sacro
Monte di Varallo, tutto dedicato a nuove indagini sulla
cappella; vengono poi gli
scritti di grande respiro del
Romano, sempre ricchi di
nuove intuizioni, ad iniziare
dalla voce dedicata a Gaudenzio nel Dizionario Bio5
scritti, che rivela un interesse sempre crescente per un
capolavoro che non cessa di
attrarre 1’attenzione della
più aggiornata critica d’arte,
che ha sempre qualcosa di
nuovo da rivelare o da interpretare in una cappella di
così alta ispirazione, sulla
quale sono già in fase avanzata delle nuove ed importanti ricerche.
Casimiro Debiaggi
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ARTE IN VALSESIA
Don Carlo Elgo,
I tesori delle Pietre Gemelle,
EOS editrice, Novara 2006
I
l volume, patrocinato dai comuni di
Riva Valdobbia e di Alagna Valsesia, risulta essere un pregevole
compendio di arte e storia, che testimonia la cultura di un popolo, fiero
delle proprie radici, che ha dato i natali ad artisti di grande spessore che hanno saputo creare delle opere d’arte di
prima grandezza.
Gran parte di queste opere esprimono in maniera del tutto particolare la
passione che i vari Parroci, che si sono
succeduti alla guida delle due comunità e i loro fedeli hanno maturato nei
confronti di beni architettonici e artistici che rappresentano un vero “tesoro”
di arte, di storia e soprattutto di fede.
Nella pluralità delle forme artistiche
si è espressa, nel trascorrere dei secoli,
la devozione di generazioni di credenti; hanno trovato ascolto le gioie e i dolori dell’esistenza; si è incisa nella memoria la storia, spesso costellata di fatiche, della gente comune.
Il libro fornisce un grandioso affresco che rende pienamente conto della
concretizzazione del desiderio d’edificare delle belle chiese, emblemi di un
affetto e di un radicamento inestinguibili. Notevole è l’intento da parte dell’autore di presentare tutti gli edifici
sacri presenti nella zona; una sorta di
censimento condotto con grande slan-
Alagna, le pietre gemelle
cio, utile anche per conservare ai posteri queste preziose testimonianze del
passato.
Una delle chiavi di lettura del saggio è proprio questa grande attenzione
che scaturisce da un’autentica affezione a tali insigni monumenti e non è un
caso che il libro nasca appunto dall’incontro tra due passioni, quella di Don
Carlo Elgo per la sua gente e per il patrimonio di arte e fede che custodiscono, e quella dell’editore e fotografo
Guglielmo Dossena di Novara. Da un
fortuito incontro al Col d’Olen è scaturito il connubio che ha permesso l’uscita di questa interessante monografia,
che pur muovendosi in altri ambiti,
sembra ricordare, almeno come idea
generale, come centro – motore, I campanili della Valsesia di Padre Eugenio
6
Manni
Il volume appare “scritto” a quattro
mani, ed è una felice ed armoniosa sintesi tra note scritte e apparato iconografico. I due linguaggi si integrano e
si compenetrano tra loro, in un rapporto simbiotico. Le fotografie non appaiono come mero commento al testo,
ma ne diventano, per così dire, un prolungamento, un arricchimento. Anzi si
potrebbe parlare di due testualità complementari tra loro, una espressa tramite parole, l’altra esplicitata attraverso
immagini
Tutto ciò è stato messo in atto con
meticolosa perizia per rendere al meglio l’idea di presentare tutte le chiese
e le cappelle dell’area oggetto di studio, preziose opere d’arte, autentici
scrigni inseriti in un paesaggio d’incomparabile bellezza, ispirati dalla religiosità e dalla venerazione dei fedeli
appartenenti alle Parrocchie di Riva
Valdobbia e di Alagna Valsesia, anticamente unite, sino alla secessione di
quest’ultima, avvenuta nel 1475, nell’antica Comunità di Pietre Gemelle, la
cui denominazione deriva dalla presenza di due rocce originatesi dalla frattura di un masso, tuttora visibili a monte
di Riva.
Dopo un excursus storico, s’entra
nel vivo del testo con la presentazione
della Parrocchiale di Riva e dello
splendido affresco del Giudizio Universale per poi passare ad illustrare le
cappelle valdobbiesi presenti nelle varie frazioni. Lo stesso modus operandi
è stato adottato per Alagna e il suo territorio. Il volume poi ricorda alcuni
fulgidi esempi di artisti, come i d’Enrico, molto attivi al Sacro Monte, e di religiosi, come l’abate Carestia.
L’opera ha trovato, quindi, un ottimo bilanciamento, tanto da divenire sicuramente una pietra miliare nella bibliografia valsesiana, e un utile strumento per conoscere aree marginali o
presunte tali, dove si sono sviluppate
interessanti correnti artistiche.
Gabriele Federici
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Cervarolo di Varallo
Benedizione dei restauri della Chiesa parrocchiale
di San Michele Arcangelo.
Giacomini Ludovico
F
esta grande domenica
30 luglio a Cervarolo. Dopo circa un anno di lavori, la Comunità
cristiana e tanti amici hanno rioccupato, con grande
gioia, la loro Chiesa che era
rimasta chiusa per restauri.
L’attuale Chiesa risale al
1781, anno in cui fu ingrandita e probabilmente rifatta.
Al momento della costituzione della Parrocchia, con
la separazione dalla Matrice di Varallo nel 1585, già
esisteva un oratorio, ed il
primo Parroco don Giuseppe Maio, fondatore dell’ospedale della SS. Trinità di
Varallo, la descrive “coperta a piode, fatta a volta” con
tre altari ed il campanile
con una campana datata
1571.
Un insigne ed anonimo
benefattore ha permesso di
dare inizio ai restauri dalla
cappella del S. Crocifisso,
maggiormente danneggiata
da infiltrazioni di acqua
piovana e dalla permanenza
per lungo tempo di un pregevole Presepe artistico di
fattura locale. Dopo uno
studio accurato della strati-
grafia delle pareti da parte
del restauratore Fermo De
Dominici, si è potuto dare
inizio, con l’autorizzazione
della Soprintendenza, agli
interventi di restauro delle
parti danneggiate e delle pareti. In particolare sono stati ricostruiti dalla prof. Denise De Rocco i capitelli del
cornicione, le parti mancanti di un Angelo ai lati
della nicchia del crocifisso
e le parti danneggiate dell’altare, di linea barocca, in
finto marmo opera dell’artista Gio. Batta Negri, luganese, terminato nel 1787.
Il crocifisso dell’altare,
posto in un’ampia nicchia
contornata da un’elegante
struttura ornamentale, fa risaltare la preziosità del Cristo Crocifisso, opera di
grande valore artistico e di
commovente pietà del secolo XVI. Probabilmente era
“il crocifisso grande” posto
sull’architrave in legno della Chiesa antica inventariato
nel 1701. Riordinato dal restauratore Fermo De Dominici, si presenta in tutta la
sua pietosa sofferenza, invitando alla preghiera ed alla
speranza, richiamando i fedeli al sentimento della
compassione per i patimenti del Cristo Salvatore, centro d’incontro e di salvezza
tra Dio e l’uomo nella storia
che muove verso un futuro
richiesto un intervento di ricupero. Lavoro impegnativo e delicato necessario per
salvare il manufatto.
I lavori di pulizia delle
pareti dell’abside hanno
fatto emergere una gradita
sorpresa. Il distacco di una
parte di intonaco ha rivelato
Cervarolo - Affresco
di “cieli nuovi e terra nuova”.
Anche la vasca del Battistero, costituito da una
bella struttura ovale in pietra scolpita, di fattura antica
(1630) ma pericolante, ha
Cervarolo - Lavori esterni alla Chiesa Parrocchiale
7
la parte superiore di un antico affresco della vecchia
chiesa con la scritta “Beata
Penexia” (beata Panacea) e
alcune decorazioni, probabili opere dei Pittori di Loreto (sec. XVI) collaboratori di B. Luini.
Si è colta anche l’occasione per presentare, riordinato dal restauratore Fermo
De Dominici, il quadro del
Servo di Dio don Benedetto
L. Giacobini, Prevosto di
Varallo dal 1705 al 1732. Il
ritratto ad olio, trovato in
sacrestia, non è catalogato
tra i ritratti conosciuti nell’edizione critica di don A.
L. Stoppa della vita del Muratori.
(segue a pag. 8)
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Cervarolo di Varallo
Cervarolo - Altare di San Michele
Ora la chiesa parrocchiale di Cervarolo, portata al suo splendore primitivo, si svela un vero tesoro di arte e di
fede dopo aver sofferto l’ingiuria del
tempo. Affrescata, riordinata e pulita,
rifulge in tutto il suo splendore richiamando alla bellezza del servizio a Dio
ed ai fratelli. Anche il culto è sorretto
dalla bellezza del luogo che richiama
a celebrare con gioia i misteri di grazia che l’amore del Padre celeste ha
donato all’intera umanità. Poiché il
Cristo che si è donato nell’Eucaristia
vi è presente e vi rimane, la fede ci invita alla necessità di realizzare un luogo d’onore che gli spetta. Dal momento che ora è tra noi, la sua presenza
abita tra noi, la chiesa non è mai uno
spazio morto o un semplice edificio di
(segue da pag 7)
pietra; in essa il Signore ci attende
sempre e ci chiama personalmente al
rendimento di adorazione e di grazia
per metterci in movimento verso il suo
ritorno fino a spingerci al per sempre
della sua misericordia.
La comunità cristiana di Cervarolo
vivendo questo momento di soddisfazione per il lavoro svolto, si sente
chiamata a proseguire il pellegrinaggio terreno dietro la Croce di Gesù,
convinta che la vita è bella e contornata di bellezza, così come è bello impegnarsi per il Regno di Dio e accogliere, annunciare e condividere il fascino
della grazia di Cristo che salva tutti
nella gratuità del suo amore.
P.Z.R.
Cervarolo - Il Crocifisso
Offerte al
santuario
Cervarolo - Il Battistero
Come comunicare alla gente di oggi
la bellezza del Matrimonio?
Vediamo come molti giovani tardano a sposarsi in chiesa, perché hanno paura della definitività; anzi, tardano anche a sposarsi civilmente.
La definitività appare oggi a molti giovani, e anche non tanto giovani, un vincolo contro la libertà. E il loro primo desiderio è la libertà. Hanno paura che alla fine non riescano.Vedono tanti matrimoni falliti. Hanno paura che questa forma giuridica, come essi la sentono, sia un peso esteriore che spegne l’amore.
Bisogna far capire che non si tratta di un vincolo giuridico, un peso che si
realizza con il matrimonio. Al contrario, la profondità e la bellezza stanno proprio nella definitività.
Solo così esso può far maturare l’amore in tutta la sua bellezza.
Benedetto XVI
8
Dago Attilio € 20,00; fam. Remiggio € 50,00; N.N. 50,00; N.N.
€ 20,00; De Marchi Gaudenzio €
30,00; Grassi Scalvini € 40,00;
Peroglio Gaudenzio € 20,00; Gallese Ernesto € 16,00; Ferraris
Emilio € 50,00; Bacchetta Angelo € 50,00; Villa Maria Rita €
20,00; Gionta Giuseppina €
50,00; Gionta Valentina € 30,00;
Comi ≠ 40,00 ; Mossotti € 10,00;
Dago Laura € 30,00; Nicolini
Eliana e Aldo € 50,00; Colombara Guidetti Elide € 15,00; Pettinaroli Raffaele € 50,00; Bracchi
Mariuccia € 100,00; Rossi Rosina € 50,00; Brignone Mercedes
€ 20,00; Gnocchi Alfa € 25,00;
Guglielmina Carla € 25,00; Cominelli Angela € 50,00; Termignone Gaudenzio € 20,00; N.N.
€ 50,00; Orgiazzi Ercolina €
21,00; Chiarello Cristina € 50,00;
Milani Carnevali € 50,00; Orgiazzi Cristina € 50,00; Visconti
Giacomina € 30,00; Belluria Silvia € 20,00; Gigliotti Santo €
50,00; Colli Vignarelli Tino €
20,00; Temporelli Bianca €
20,00.
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Pellegrini al Sacro Monte
Carlo d’ Amboise (1505/1508) e Anna d’Alençon (1517)
L
a presenza nella Pinacoteca di Varallo di un ritratto di Carlo II Chaumont d’Amboise, luogotenente di
Luigi XII nello stato di Milano, probabilmente proveniente dal Sacro Monte , ha
fatto ipotizzare a vari studiosi un possibile pellegrinaggio dello statista francese
nei primi anni del secolo XVI. In quell’occasione egli avrebbe offerto in segno
votivo il suo ritratto, dipinto da Bernardino de Conti con data non più leggibile.
Siamo ora in grado di confermare l’ipotesi attraverso un interessante, piccolo carteggio, conservato all’Archivio di stato di
Modena.
Da esso risulta che il d’Amboise, alla
cui famiglia apparteneva anche il card.
Giorgio d’Amboise attorno al quale gravitava un circolo di intellettuali e di uomini
di chiesa definiti preriformatori, in quanto
sensibili al rinnovamento della vita del
clero e degli studi ecclesiastici, ispirati soprattutto alla riflessione sulle sacre scritture, fu alla Jerusalem di Varallo nel 1505 e
vi ritornò nel 1508. Il primo documento è
una lettera da Milano, 2 marzo 1505, di
Gerolamo Seregni al duca di Ferrara in cui
si legge:
Il S. [rottura] se n’è andato a Musocho dove starà qualche giorni. Il S. Conte
suo fiollo a Vigevano per forma che è restato qua pochi … Lo Illustrissimo Signor
Gran Maestro me ha dito voler tornare
qua fra tre o quattro giorni et vorà stare
octo giorni poi che la vole andare a stare
tuta la septimana santa in Val de Sesa a
uno Sepulcro che dicono essere belisima
devotione et è facto come è il Sepulcro vero, in un monte altissimo, dove gli è un bel
monesterio de frati da Zochole nel pede
del monte et uno altro in cima et è lontan
da qui 60 miglia [111 km]. Non acadendo
altro io non me partirò de qua in bona
gratia di Vestra Excelentia humiliter me
raccomando . Mediolani, 2 martii 1505
PS: Et cosi ho avuto li 6 Carlini me
aveva mandato Vestra Excelentia ne la
sua, quali io aveva pagato ala posta…
Illustrissime et Excellentissime D. V.
Humilis servulus Hieronimus Seregnius.
(Archivio di stato di Modena, Cancelleria,
Estero, Ambasciatori, Milano, b. 20).
In una successiva lettera dello stesso
Seregni, da Milano, 14 marzo 1505, si
legge:
Lo Illustrissimo Signor Gran Maestro
non…andar più questa septimana santa
al Sepulcro como aveva dicto ma restarà
qua. (Archivio di stato di Modena, Cancelleria, Estero, Ambasciatori, Milano, b.
20).
In realtà deve essere salito qualche
giorno dopo, mentre in quell’anno la Pasqua cadeva il 23 marzo. Infatti in un’altra
lettera dello stesso Seregni da Milano il
5 aprile 1505 scrive:
Lo illustrissimo Signor Gran Maestro è
ritornato dal Sepolcro e hoggi doveva essere a Pavia et Luni ou Marte venerà qua.
( Archivio di stato di Modena, Cancelleria, Estero, Ambasciatori, Milano, b. 20).
Quindi, nei giorni tra marzo e aprile
Reliquario della Croce
del 1505, il luogotenente generale di Luigi XII nel ducato di Milano fu al Sacro
Monte. E vi ritornò nel 1508. Infatti in una
lettera
di
Giovanni
Angelo
Vincemala/Vincemila( o Vismara) al luogotenente generale del marchese di Mantova, da Milano, il 12 marzo( o maggio)
del 1508 si legge:
Dapo scripta l’altra mia non s’è intexo
altro. Mons. Signor Gran Maestro se partite li dece de Milano per l’andare al Sepolcro in novarexe a uno locho si domanda Varallo per avixo ala Ex. V. (Archivio
di stato di Mantova , Gonzaga, 1638).
Qualche mese più avanti lo stesso
D’Amboise andrà al Santuario di S. Ma-
9
ria del Monte sopra Varese per un pellegrinaggio votivo per guarigione da una
malattia. Si legga nella lettera di Tommaso Gallarate al card. Ippolito d’Este, da
Milano, 26 agosto 1508, il seguente passo: “Lo Illustrissimo gran Maestro questa
matina è gionto a Milano venuto da Santa Maria del Monte”. (Archivio di stato di
Modena , Cancelleria, Estero, Ambasciatori, Milano, b. 19).
Pertanto, è plausibile pensare che nel
corso di queste due presenze l’illustre governatore francese avesse recato con sé al
Sacro Monte il suo ritratto per offrirlo al
santuario. La presenza del d’Amboise dimostra l’interesse dei politici e militari
d’epoca francese che dominano sul ducato di Milano dopo il 1499, all’epoca di
Luigi XII, per Varallo e Varese, in continuazione della ricerca d’immagine e di
consenso, già assicurati agli Sforza dai
due santuari, e come espressione di devozione personale nel contesto dello spirito
religioso dell’epoca, che caratterizzava
soprattutto i movimenti riformatori o preriformatori del cosiddetto umanesimo
francese.
L’altro pellegrinaggio di cui intendiamo parlare è quello di Anna d’Alençon,
marchesa del Monferrato, nel 1517. Moglie di Guglielmo IX Paleologo, i cui ritratti di Macrino d’Alba sono conservati al
Santuario di Crea, Anna d’Alençon di origini francesi, imparentata con il cardinale
d’Alençon , scrive a Isabella d’Este , annunciando il suo pellegrinaggio a Varallo.
Con la Marchesa di Mantova era entrata in
contatto, nel febbraio dello stesso anno,
anche per l’avviato fidanzamento della
propria figlia, Maria Paleologo, con il figlio della sovrana Gonzaga, Federico, fidanzamento e poi matrimonio celebrato
nell’intento di aprirsi la possibilità di conquista del Monferrato, un territorio strategico tra il ducato Sabaudo e quello milanese, dove con Anna , principessa di origini transalpine, si coltivavano di nuovo
simpatie filofrancesi.
Nello stesso febbraio Isabella, in viaggio verso Marsiglia e la Sainte Baume,
aveva soggiornato a Casale ed aveva conosciuto la giovanissima sposa. Com’è
noto, però, Maria Paleologo non ebbe
modo di vivere con Federico, impegnato
in altri vari affari militari e amorosi, e
morì nel 1530. Dopo la morte di Maria
(segue a pag.10)
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Pellegrini al Sacro Monte
Federico Gonzaga sposò la sorella Margherita Paleologo. A sua volta, il card.
Luigi d’Aragona ebbe modo di conoscere Anna perché soggiornò presso il “castello” di Casale nel dicembre 1517 e ammirò la marchesa che era “bella e agraciata molto”. Da pochi mesi la sovrana era
stata a Varallo e poi al Santuario di Varese
per sua devozione.
Ne sono testimoni alcune lettere da lei
inviate a Isabella d’Este. In una del 19
settembre 1517, da Trino, si legge:
Sono molti zorni ch’io desiderava andare a visitare alcuni luochi edificati a la
similitudine de li sancti luochi de Hyerusalem, distanti di qui circa quaranta miglia, in una terra nominata Averallo et
cossì hogi da poi pranzo me parto per andarli, et per essere el cammin breve, el ritorno mio sarà presto.
Probabilmente si trattava di un pellegrinaggio votivo, magari in occasione di
malattia del marito. Frattanto Federico
Gonzaga aveva subìto una febbre terzana
da cui si stava riprendendo. La corte dei
Paleologo era in apprensione; Guglielmo
e Anna scrivevano a Federico e il marchese aveva pure inviato il gentiluomo di casa, Federico, da Incisa per una visita e per
delle comunicazioni ai sovrani mantovani.
Da Veraldo ( Varallo) Anna scriveva a
Federico Gonzaga il 23 settembre successivo:
Hogi ritrovandomi qua a Varaldo do-
Cosa possono imparare i
Sacerdoti dagli Sposi?
Mi sembra che noi sacerdoti
possiamo anche imparare dagli
sposi, proprio dalle loro sofferenze
e dai loro sacrifici. Spesso pensiamo che solo il celibato sia un sacrificio. Ma, conoscendo i sacrifici
delle persone sposate ( pensiamo
ai loro bambini, ai problemi che
nascono, alle paure, alle sofferenze, alle malattie, alla ribellione, e
anche ai problemi dei primi anni,
quando le notti trascorrono quasi
sempre insonni a causa dei pianti
dei piccoli figli) dobbiamo imparare da loro, dai loro sacrifici, il nostro sacrificio. E insieme imparare
che è bello maturare nei sacrifici e
così lavorare per la salvezza degli
altri.
Benedetto XVI
(segue da pag 9)
Macrino D’Alba
ve sono venuta ad satisfare ad una mia
devozione, come per altre mie li ho scripto aveva ad venire, ho receputo una sua de
li disette , cum la quale me ha significato
come la febre l’ha lassiato del tutto, et il
giorno suspecto esserli passato senza alcuna molestia, in modo che poi tenere per
indubitato haver recuperato la pristina
sanità. Sia certa la Signoria vostra, non
haveria possuto significarmi cossa de
maiore satisfatione et contenteza: che veramente anchor che havesse creduto ale
altre sue lettere de la proxima speranza de
la recuperatione proxima de la sanitate,
nondimeno, non me stava la mente quieta,
dubitando pur de qualche innovatione;
ma poi che sono chiarita, ne starò cum
l’animo pur contento. Et cussi ringratio la
S.V. che habia voluto levarmi ogni fastidio
de la mente: et cussi perseverarò più alegramente nel mio peregrinagio, et farò
pregare Dio et la sua gloriosissima matre
habiano ad conservare la S.V. in felice
stato. Resta che dal canto suo in questo
principio de la convalescentia se governi
la S.V. de sorte, che non se li possi causare altra alteratione, come però non dubitamo habia ad fare: et voglia fare le nostre recomandatione al Illustrissimo Signore Marchese suo patre et nostro Compatre et fratello honorandissimo et ala Illustrissima Madama sua matre, et ale Illustrissime nostre sorelle le Duchesse de
Urbino, ale quali tutte etiam cum queste
nostre noi se ricomandamo. Datum a Veraldo die XXIII septembris 1517. Vostra
bona matre la Marchesa de Monferrato
Anne.
Il 29 settembre 1517 Maria di Monferrato, consorte di Federico, da Trino ringraziava il marito per le “belle cose d’oro”
a lei inviate e ricevute tramite prete Stefa-
10
no.
Il 4 ottobre 1517 a Isabella d’Este ,
Anna d’Alençon scriveva da Trino:
Illustrissima et Excellentissima Domina affinis et tanquam soror honorandissima. Per altre mie littere dedi aviso a la Illustrissima Signoria Vestra, come in quel
tempo parteva da Trino per andare a Varaldo, distante di qua circa cinquanta miglia per satisfare ad una mia devotione; et
che essendo il camino breve il ritorno saria presto. Cussi andai et satisfeci. Distante del dicto loco altro tanto camino li è
un’altra singulare devotione nominata
Sancta Maria del monte de grandissimo
concorso. Retrovandomi aver licentia dal
Illustrissimo Signore Marchese mio honorandissimo Consorte s’ el bono tempo me
serveva poterli andare: desiderosa etiam
visitare simili lochi devoti, li sono andata,
et facte le mie visitatione, ritornando, et
approximandomi a casa, o sii per li caldi
intensi, sono stati sempre in li zorni di
questo mio viagio, o sii ch’ el camino, lo
quale s’è trovato saxoso m‘habii troppo
affaticata, me sopravenuta una terciana
doppia de doi zorni avanti giongere a Trino, da la quale sono stata molto molestata. Et benché non me trovi in tutto nitida
al presente, nondimeno spero in Dio, et in
la gloriosissima sua matre ne sarò presto
libera, m’è parso darni aviso ala Excelentia vestra, non che de ciò n’habia ad prendere dispiacere, come la prego quanto
(segue a pag.11)
POESIE DI PADRE ROGELIO
Dantesca dell’Assunta
“Nel ventre tuo si raccosse l’Amore
per lo cui caldo ne l’eterna pace
così è germinato questo fiore”
Paradiso XXXIII
Nel ventre tuo si accende e si raccende
L’amore che ti fa sua creatura.
In questa eterna pace, in chiusura
Della tua terra cresce chi difende
Da tutta corruzione, chi le tende
All’uomo nel dolor la luce pura
di questo fior fiorente che inaugura
Il mondo in redenzione. Qui si prende
L’Assunta della neve e della rosa
Risorta come il giorno, nuova sposa
Sereno paradiso della sorte.
Amore il più totale, il senza lutto.
Amore Immacolato, amor cresciuto
A l’ombra già finita della morte.
(Sacro Monte, 21 agosto 2006)
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Pellegrini al Sacro Monte
posso non fatia, ma per advisarla de le occorrentie mie, come la affinità nostra et sincero
et mutuo amore nostro recerca. Et cussi di continuo desidero se ritrovi la Excelentia
vestra sempre in sanità et in felice stato, ala quale summamente me ricomando. Datum
Tridini die quarta octobris
1517. Affinis et soror Anna
Marchionissa Montisferrati.
Per sua devozione a Dio e
alla Madonna la marchesa era,
quindi, stata ai due santuari
più insigni dell’epoca nei territori tra Piemonte e Lombardia.
Del resto non vanno dimenticati i legami esistenti tra il
casalese e il marchesato dei
Paleologo con il S. Sepolcro di
Varallo, attraverso le note figure di Francesco e Milano
Scarognini, benefattori del sacro monte varallese, il primo,morto nel 1486, era siniscalco e feudatario di Guglielmo VIII e il secondo, erede dei
beni del fratello, ebbe qualche
questione con i Del Carretto
circa il possesso di beni nel
Monferrato.
Si stanno, poi, da vari anni
compiendo studi sulle arti promosse in Casale e nel marche-
(segue da pag 10)
orafo tedesco, intorno al 1470,
di orafo lombardo nella prima
metà del secolo XVI e di orafo francese dell’ultimo quarto
del XIII secolo.
Abbiamo raccolto vari, piccoli indizi che illustrano la
pietà e la devozione della
marchesa, peraltro confermate
da un suo rapporto di direzione spirituale con una delle cosiddette« sante vive» o «sante
consigliere dei principi», donne d’ascesi e di mistico fervore, vissute tra XV e XVI secolo in contatto con le corti, che
seguivano i loro consigli religiosi e le loro premonizioni o
profezie. In Piemonte sono note Maddalena Panattieri di
Trino e Caterina Mattei di
Racconigi. Anna d’Alençon si
rivolse ad Elena Duglioli Dall’Olio, una laica monaca bolognese, nata nel 1472 e morta
nel 1520, sposata quindicenne
al nobile concittadino Benedetto Dall’ Olio, ma che avrebbe mantenuta intatta la verginità nei trent’anni di matrimonio. Ella acquisì con i carismi
del miracolo e della profezia
un grande ascendente municipale. La Santa Cecilia di Raffaello fu realizzata in suo nome.
La sua produzione letteraria si riduce a due lettere, raccolte sotto il titolo Breve e signoril modo dello spiritual vivere. L’una è diretta al canonico regolare Pietro Ritta; l’altra
si rivolge alla marchesa del
Monferrato e illustra il tema
della giornata del cristiano,
esibendo una sorta di ritratto
di pietà praticata, dalla partecipazione alla messa secondo lo
schema allegorico, alla comunione spirituale come sostitutiva di quella sacramentale (di
cui allora non si favoriva la
frequenza), all’orazione aspirativa , all’esame di coscienza.
Il ritratto si sviluppa sul filo
della pietà come unione sponsale e matrimonio con Dio,
che riporta temi puramente
ascetici ad un argomentare di
natura mistica, con espressioni
che non sono convenzionali,
sato tra XV e XVI secolo, da
cui risulta il raffinato mecenatismo di Anna, della quale è
noto il Reliquiario della Croce, ora al Duomo di Casale,
preziosa opera d’argento dorato, proveniente dal monastero
delle domenicane presso la
chiesa di S. Caterina, “ che era
stato ampliato ed abbellito dalla Principessa Anna d’Alanchon ivi ritirata nel 1528…che
in detto monastero incorporò
il suo palazzo”, come scrive
G. De Conti. Anna aveva rifondato il monastero di S. Caterina e ivi aveva alcune stanze
di sua abitazione fino alla
morte nel 1562. Probabilmente commissionato dal marchese Guglielmo VIII o dal fratello, il cardinale Teodoro Paleologo, morti entrambi nel 1484,
il reliquiario fu aggiornato da
Anna d’Alençon intorno al
1518, come scrive Alessandra
Guerrini, in occasione della
vedovanza per la morte del
marchese Guglielmo IX o, ancor meglio, per la perdita dell’
unico figlio maschio Bonifacio nel 1530, morte che segnò
la fine dei Paleologi e dell’indipendenza del Monferrato.
L’opera è attualmente ritenuta
un manufatto composito di
Esercizi spirituali ben riusciti
Nel mese di settembre si sono svolti gli esercizi spirituali per i
pensionati, predicati da padre Carlo Caroglio. C’è stata piena
soddisfazione per queste giornate di spiritualità che hanno visto un buona partecipazione. Il tema sul quale i partecipanti
sono stati invitati a meditare è stata l’Enciclica del Papa “Deus
caritas est”.
Corso di Esercizi spirituali al Sacro Monte
11
perché vi traspare un’esperienza vissuta ( Scrittrici mistiche italiane, a cura di G. Pozzi e C. Leonardi, Genova
1996, pp. 333-337). Dalla lettera della Duglioli si apprende
che Anna aveva rivolto alla
santa donna “pietosi prieghi” e
che la risposta era dovuta anche “ acciò vostra eccellenza
possi nella laudabil cominciata via perseverare e crescere de
virtude in virtude, finchè l’anima si riunisca con perfetta copula al suo superno sposo”.
Per la morte della Duglioli nel
1520 la lettera va ascritta a
prima di quella data e forse
potrebbe riferirsi a dopo o intorno la morte del marchese
Guglielmo IX, avvenuta nel
1518.
Del resto conosciamo l’interesse di Anna per il convento
di S. Caterina di Casale, e la
dimora in esso, indice di una
scelta di vita ritirata e ascetica, in conseguenza della morte
del marito e di quella del figlio, avvenuta successivamente nel 1530, come detto.
Elena Duglioli insiste presso la sua figlia spirituale sulla
necessità dell’orazione:
Né si creda ch’el rivoltar
officii, mover le asciute labbra
e dir con la sola voce le molte
corone sia orare, perché queste tali orazioni della sol voce
non sono degne di esser chiamate orazioni se non di simie,
perochè orazione è un ascendere di mente in Dio e un cordial parlare espressivo delli
affocati affetti a Dio, dil che
queste tali sono in tutto aliene.
Elena consiglia la marchesa di ridursi ogni mattina, appena levata, “ in l’oratorio o
sia nella camera vostra sola( sì
come aveste a ragionare col
vostro amore) acciò possiate
più agevolmente unire il vostro cuore”. Poi le raccomanda
di assistere ogni giorno al sacrificio della messa. Nella prima parte di essa deve meditare
“ l’incarnazione, la nativitade
e conversazione del Salvatore
in terra”. Nella seconda parte,
(segue a pag. 12)
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Sulle tracce di Antonio Rosmini a Varallo
Rosmini oggi
I progressi nella causa di
beatificazione di Antonio
Rosmini e i riconoscimenti
ufficiali della Chiesa Cattolica a centocinquant’anni dalla
morte ne ripropongono in luce nuova la figura spirituale,
liberandola dalle controversie di ieri. Le difficoltà alle
quali venne sottoposto Rosmini in vita, e poi i rosminiani, appartengono al passato. Da quelle prove emerge
ancor più forte la sua figura
di filosofo sempre fedelissimo alla Chiesa. Il suo pensiero, in tempi di morte di
Dio, è quanto mai attuale,
così come il suo metodo di
confronto aperto con il pensiero contemporaneo; il suo
esempio di coerenza altrettanto. E’ a tutti noto quanto il
messaggio profetico rosminiano abbia preparato il Concilio di papa Giovanni. Nes-
Carità, sotto la protezione
dei vescovi Morozzo prima e
Gentile poi.
L’influenza del Rosmini
sul clero novarese fu importante. Già all’inizio degli anni trenta dell’ottocento, all’indomani della fondazione
dell’Istituto, alcuni sacerdoti
passarono dal clero diocesano alla Congregazione della
Carità. Il caso più noto è
quello del direttore spirituale
del Seminario di Novara, assai conosciuto anche per la
predicazione e la pubblicazione di libri devozionali,
don Pagani, che sarà la longa
manus di Rosmini in Inghilterra e ne raccoglierà il messaggio quale successore alla
guida dei rosminiani nel
1855. Con lui altri chierici e
parroci furono in corrispondenza con Rosmini: Signini
di Borgomanero e Narchialli
suno oggi nega a Rosmini il
posto che gli spetta accanto
ai grandi del pensiero italiano: Vico, Croce, Gentile (e
secondo alcuni, come Del
Noce, al di sopra).
Rosmini e il clero novarese
L’ operato di Rosmini è
particolarmente vicino a noi
perché egli ha notoriamente
radicato nella diocesi di Novara l’origine e i primi sviluppi della Congregazione
da lui fondata, l’Istituto della
Pellegrini al Sacro Monte
Bernardino De Conti
dal Sanctus all’Agnus Dei, la
esorta a riflettere “ sulla passione e morte del figliuol di
Dio ” e di ricordarsi “ de quella ismesurata caritade, per la
quale tanto amorosamente si
dette per noi, non perdonando
alla propria diletta anima”.
Nell’ultima parte della messa,
quando il sacerdote si comunica, Anna deve aspirare alla comunione spirituale, “ la qual
comunione non è altro che
un’intima unione e copula che
di Fobello e i sacerdoti Gagliardi, parroco di Agrano e
poi rosminiano, rettore a Domodossola, Della Piazza, curato di Romagnano, ad esempio. A Borgomanero, ove si
insediò nell’ex convento dei
francescani il ramo femmininile della Congregazione,
l’abate di Rovereto era spesso ospite del prevosto Piana.
Nell’archivio parrocchiale si
trovano non a caso importanti manoscritti di Rosmini,
che in quel collegio fu anche
candidato, non eletto, al Parlamento del Regno Sardo.
I rosminiani erano presenti anche a Cameri e possedevano una casa di vacanze alle Cascine di Ameno, ove furono in varie occasioni ospiti
Manzoni e don Bosco. Intensi anche i rapporti epistolari
con i monasteri femminili, in
(segue a pag. 13)
(segue da pag 11)
fa il celestial sposo con l’innamorata anima, per la quale se
li dà a godere, renovandola in
un essere tutto spirituale e angelico”.
Infine la esortava, prima di
cena, di ridurvi un poco alla
solitudine in qualche luoco di
casa senza altro testimonio,
perché il celestial sposo non
vuole alla diletta anima in presenzia d’altra far festa ed accarezzarla; e qui mettervi un
poco all’orazione e cercare
con li unitivi affetti e desiri abbracciarvi con il vostro amore,
cioè esercitare un poco la
mente in qualche infiammatoria meditatione…
Alla sera, prima di riposare,
occorreva ringraziare Dio “
della singular custodia che di
voi e vostri ha in quel giorno
avuto”.
Le pagine quasi diventano
una sorta di galateo spirituale
per un’ anima fervorosa e abi-
tuata al ritiro interiore, che
vuole impegnarsi in una vita di
pietà non ridotta ad una pura
espressione vocale delle pratiche religiose. Il senso intenso
di una comunione sponsale e
profonda , intima e spirituale,
con Dio attraverso la meditazione e la vita interiore, ben si
addice ad un’anima aristocratica ed eletta, che proprio nel
pellegrinaggio ai misteri del
sacro monte di Varallo veniva
a trovare alimento e strumento per quella riflessione affettiva, a cui la pia donna bolognese la invitava e di cui poteva riempire la sua vita quando
era ritirata tra i chiostri del
convento domenicano di S.
Caterina.
Elena, santa consigliera di
Anna, poteva così garantire
benessere politico e profitto
religioso alla sua figlia spirituale, e a questa duplice esigenza Anna era particolar-
12
mente sensibile. Lo rivela proprio il suo pellegrinaggio al
Santo Sepolcro di Varallo e alla Madonna del monte di Varese. Il viaggio fu difficoltoso
con conseguenze di affaticamenti e di febbri. Sappiamo
che le strade per salire al sacro
monte non erano ben ordinate
e che l’ascesa al monte di Velate, presso Varese, era molto
incongrua e impervia per tutto
il secolo XVI, fino alla costruzione della grande via regia
con le cappelle dei misteri del
Rosario. In certi punti della salita occorreva aggrapparsi al
suolo, tanto il passaggio era
sconnesso e interrotto anche
dalle pietre che i confinanti
gettavano lungo il piano viario
ai fini di impedire invasioni
dei pellegrini nei territori di loro proprietà.
Pier Giorgio Longo
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Esperienze di viaggio in Alta Valsesia
tra la fine del XVIII secolo e la metà del XIX
Tra letteratura e storia (6ª puntata)
Il viaggio del Bazzoni, dopo aver toccato gli ultimi insediamenti umani, prosegue entrando nel vivo dell’escursione:
Mentre l’interesse per l’Alta Valsesia negli altri viaggiatori del periodo fu
solo sporadico, esaurendosi, nella migliore delle ipotesi, in una fugace visita, in Bazzoni si può affermare che sia
stato costante, protraendosi, non solo
nei primi anni Venti, ma continuando
sino ad oltre la metà degli anni Trenta.
In particolare, è da segnalare un suo rapido passaggio nell’area oggetto d’indagine, ritornando da un viaggio a Ginevra. Infatti, il 29 settembre 1828 an-
nota sul suo taccuino:
Quadro magnifico dell’aurora dalla
sommità del Monte. La Montà. Riva.
Monte Rosa. Campertogno. Scopello.
Trovo la montanara che mi invita ad
andare a casa sua. Mangio in un casolare apprestato, polenta, latte, castagne.
Mi fanno molte cortesie. Dormo nel
letto della madre.
Tale breve ricordo sarà la base su
cui poi Bazzoni redigerà un’importante racconto autobiografico, Avventure
Rosmini oggi
particolare con suor M. Geltrude Cerutti, che dirigeva la Visitazione di Arona
ed aveva una spiccata personalità ascetica.
Non vi è da meravigliarsi se in questa diffusione e intensità di rapporti si
inserirono pure alcuni momenti di tensione, specialmente dopo che il potente
vicario generale, mons. Scavini, eminente moralista, non accettò alcune critiche (avanzate sempre con spirito di carità – in omnibus caritas – e verità) dal
Rosmini, che aveva posizioni più avanzate rispetto al liguorismo (le teorie morali di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori)
allora decisamente dominanti.
Rosmini, il Sacro Monte e Varallo.
Rosmini fu a Varallo per dirigere la
predicazione degli Esercizi spirituali al
clero – una attività allora e fino all’inizio Novecento in grande splendore che
gli Oblati oggi continuano in forme più
discrete - nella Casa del Sacro Monte,
negli anni quaranta dell’Ottocento. Il
pensatore già notissimo, sebbene non
nella misura meritata con il sublime
comportamento nel Quarantotto, non
disdegnava dunque il ministero pastorale. Della sua presenza al Sacro Monte
ha recentemente parlato su questo bollettino con la nota acribia il prof. Debiaggi. Ma in tempi meno recenti, sempre sul Bollettino, l’ aveva ricordata don
Chiara, varallese e amico del Sacro
Monte, tomista ma affezionato studioso
in un viaggio per la Valdoppia, la cui
seconda parte, relativa ad un viaggio
sulle Alpi, deriva proprio dall’ampliamento e dalla rielaborazione delle note
del 1828. L’evento che darà il titolo
dell’opera riguarda proprio l’attraversamento del Colle di Valdobbia.
Nelle note diaristiche, come si è notato, v’è solo l’asciutta registrazione
delle località attraversate con l’aggiunta di qualche dato ulteriore, mentre nel
(segue a pag. 14)
(segue da pag. 12)
del Nostro. Intrattenne infatti anche un
dibattito epistolare con l’allora generale
dei rosminiani.
Il chierico Narchialli di Fobello
Ho già ricordato che tra i primi giovani seguaci il roveretano conobbe il
chierico Narchialli di Fobello, splendida
figura di giovane avviato al sacerdozio.
Le sue doti intellettuali e morali furono
dichiarate dallo stesso Rosmini, come si
desume dall’epistolario, che registra anche il dolore cristianamente affrontato
per la sua morte alla vigilia di ricevere
gli ordini sacri. Una lapide nel paese natale ricorda la sua bella, tragica figura,
rievocata anche da Padre Manni in una
commossa pagina dei suoi Campanili
della Valsesia.
Rosmini e il Seminario d’Adda
Numerosi religiosi si rivolgevano per
la direzione spirituale ad Antonio Rosmini. Tra loro anche due sacerdoti del
Seminario di Arona, don Lissandrini e
don Teruggi. L’epistolario ascetico registra alcuni scambi di lettere tra il febbraio 1831 e l’anno seguente. Secondando la loro richiesta, Rosmini suggerisce alcuni consigli pratici, quelli stessi
confluiti nelle auree Massime di perfezione. Ammonisce nell’esame di coscienza: “se lodiamo direttamente o indirettamente noi stessi nei nostri discorsi, se aspettiamo lodi dagli altri: guerra
implacabile a questi vizi!”.
13
Raccomanda in modo accorato, con
toni che rimandano alla Cinque piaghe
della Chiesa pensate proprio in quegli
anni, “l’unione fra sacerdoti e la mutua
corrispondenza tanto frequente ne’ primi tempi della Chiesa e tanto stretta”.
Don Teruggi Celestino per l’anno
scolastico 1832-33 venne trasferito quale direttore spirituale al Seminario di
Varallo ove il card. Morozzo cercava di
contendere l’influenza ai patroni d’Adda. In data 5.2.1833 Rosmini rispose alla sua richiesta proponendo una serie di
letture spirituali. L’elenco è utile anche
per i direttori di coscienze dei giorni nostri. Risalta il fatto che tra i libri suggeriti predominano gli Esercizi di Sant’Ignazio e altre opere di quegli stessi Gesuiti che di Rosmini saranno avversari
implacabili – si vorrebbe dire persecutori - sino a tempi non troppo lontani.
Conclusione
La già ricordata coerenza tra pensiero e vita non è uno dei meriti ultimi di
Antonio Rosmini. “La virtù della Carità è il distintivo del Signore e di essa si
pregia denominarsi il piccolo Istituto
che nacque ai piedi della Croce”. Rosmini non si limitava a predicare la carità a don Teruggi: la praticava giorno per
giorno. Ai piedi della Croce, che unisce
il Calvario di Domodossola e il Sacro
Monte di Varallo.
G.O.
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LA PAGINADEL PELLEGRINO
Esperienze di viaggio in Alta Valsesia
testo a stampa edito nel
1839, le Avventure appunto,
il ricordo viene dilatato in
una prospettiva dal deciso
sapore gotico, dominata dallo scatenarsi della furia degli elementi.
[…] cominciarono i soffj
del vento, e il tuono echeggiare arrotolandosi fra quelle teste di montagne […]
Sperava, ad ogni passo che
m’inoltrava, di trovarmi nel
desiderato paese di La Montà, e di scorgere almeno
qualche lumicino che annunziasse una capanna […]
ma non vedeva niente altro
che la corona delle rupi che
circondavano quel piano,
che si mostravano più nere
ancora del nerissimo cielo.
Un romore, uno scroscio
grandissimo accompagnato
da un sibilo spaventoso di
vento, veniva avanzadosi
precipitoso, e vedeva al
chiarore dei lampi le chiome degli alberi flettersi […]
Il passo di Valdobbia, oltre agli accenti estremi che
un letterato sensibile al gothic tale, qual era Bazzoni,
potesse conferire ad esso,
per la posizione, presentava
particolari difficoltà se affrontato con condizioni meteorologiche avverse, come
la neve, o in questo frangente, la pioggia. Anche se il
Saussure, che vi transita l’8
agosto 1789, lo classifica
come un valico privo di difficoltà è da ritenere che la
sua testimonianza non sia
attendibile, perché vi passò
in condizioni favorevoli. In
particolare, in quella circostanza, lo scienziato si dichiarò positivamente stupito
nel vedere che sulla sommità del colle, due anni prima,
Gian Giuseppe Liscoz di
Gressoney ed il capitano
Giovanni Giuseppe Gianoli
di Riva avevano eretto una
stalla ed una cappella, per
dar ricovero ai viandanti..
Con il tempo, però, questa
soluzione si rilevò non sufficiente, per il numero crescente dei passaggi, sempre
a rischio a causa della mancanza di un sentiero adeguatamente tracciato. A tal proposito il chirurgo e botanico, nonché insigne notabile
locale, Giacomo Antonio
Carestia (1769 – 1833)
scrisse nel 1819 al viceintendente per sostenere la
causa della costruzione di
una nuova strada per collegare la Valsesia con la Val
d’Aosta, che sarebbe dovuta
partire dal ponte di Riva per
raggiungere la sommità del
Colle di Valdobbia. L’intellettuale addusse, inoltre, la
considerazione che il passo
era frequentato tutto l’anno,
sottolineando che, dalla parte valdostana, la strada era
già stata apprestata. Lo stesso Carestia, insieme con il
Sottile, e il parroco di Mollia, Don Giuseppe Gianoli,
nel 1820, anno in cui si verificò sul colle un grave evento luttuoso, pensarono di costruire un ospizio per i viandanti, e ne individuarono il
sito. Tuttavia l’opera ebbe
una lunga gestazione: terminata due anni più tardi, entrò
in funzione nel 1828, anche
se l’inaugurazione ufficiale
verrà procrastinata sino al
1833, quando Carlo Alberto
doterà l’ente di adeguati
mezzi economici, provvedimento che Carlo Felice non
aveva mai adottato, in quanto la posizione del Sottile
era molto compromessa a
corte. Il Racca nella sua
opera uscita, si badi, lo stesso anno dell’inaugurazione
dell’Ospizio Sottile, rileva
la presenza della costruzione posta sulle orride rupi
della Valsesia, coronate da
sempiterni ghiacci, e regione di continue tempeste per
(segue da pag. 13)
salvare il maggior numero
di vite possibili, perché come precisa:
Un anno non volgeva mai
intiero senza che alcuni de’Valsesiani, migrando nella
primavera, o rimpatriando
nell’inverno, trovassero fra
quei romiti luoghi la morte,
dal freddo intirizziti od avvolti dai venti impetuosi,
oppure sepolti nelle valanghe di neve.
Analizzando,
perciò,
queste testimonianze si
evince che il Colle di Valdobbia interpretato dal Bazzoni, pur, come già ricordato con qualche licenza poetica, non era poi così distante dalla cronaca storica di
quei tempi. Il letterato è stato abile nel mescolare il
viaggio reale con la fantasia,
innescata, a dir il vero, dallo
stesso spirito del luogo, che
14
non appare snaturato. Il sito
rientrava nella categoria dei
luoghi amati dallo scrittore,
perché ancora immuni dai
flussi turistici, racchiusi in
una grandiosa, e nello stesso
tempo spaventosa, solitudine; spazio d’elezione ben
lontano da deludenti montagne, perché ormai divenute
à la page, come il Sempione
e il S. Gottardo.
Il romantico Bazzoni si
recò un’altra volta in Valsesia nel 1837 per partecipare
ad una sentita festa locale: la
terza assegnazione del Premio della Virtù, benemerita
istituzione nata per volontà
del Canonico Sottile. Da
quest’esperienza, egli ricavò
un articolo che, dedicato allo scrittore pavese Defendente Sacchi, poi pubblicò
sulla “Gazzetta privilegiata
(segue a pag. 15)
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Esperienze di viaggio in Alta Valsesia
di Milano” il 21 luglio di
quell’anno.
Nello scritto, per prima
cosa, l’autore delinea, nel
presentare l’Alta Valsesia al
confine con la Val d’Aosta,
all’interlocutore diretto, l’amico, e di riflesso, a quello
indiretto, il pubblico costituito dai lettori del giornale,
l’immagine, emotivamente
partecipata, di un luogo “ultimo”, uno spazio poeticamente, ma anche, tragicamente, dominato dalle nevi
perenni.
In questo contesto ricorda l’opera del Sottile che,
fautore della costruzione del
già menzionato ospizio, si
spese per il progresso dell’intera comunità valsesiana, cercando d’aprirla verso
nuove prospettive, date dalla
possibilità d’incrementare
gli scambi con la Val d’Aosta e la Francia.
Dopo questo preambolo,
Bazzoni entra nel merito descrivendo la Festa cui aveva
avuto modo d’assistere, che
(segue da pag. 14)
sociali e di rispondere a queste sollecitazioni.
La visita dell’estate del
1837 è anche l’ultima per
Bazzoni, che non percorrerà
più i sentieri e le contrade di
una valle da lui tanto amata,
cui penserà sempre con nostalgia, quando guarderà la
scheggia aurifera del Monte
Rosa, posta sullo scrittoio
della sua camera. Il tema del
souvenir per ricordare le
emozioni provate nel passato dimostra, implicitamente,
che quello spazio riservato a
pochi, che era l’Alta Valsesia nei primi decenni dell’Ottocento, continuava a vivere solo nelle sbiadite pieghe della memoria.
Se tra la fine del Settecento e il primo Ottocento
l’Alta Valsesia era stata la
meta dei viaggi di pochi
scienziati (Saussure, Amoretti), di giornalisti in cerca
di materiali per ricavare resoconti accattivanti per il
pubblico (Bertolotti), di romantici in cerca d’avventure
premiava, ogni anno, la giovane valsesiana che si fosse
distinta per un particolare
atto umanitario.
Il caso che in quell’anno
fosse stata premiata una
maestra, Maria Rinoldi di
Rimella, perché si era generosamente prodigata nell’insegnamento alle povere fanciulle del paese, offre poi
occasione per tessere un
elogio dello sviluppo dell’istruzione, sin in quelle ultime valli che s’inoltrano a
pié degli eterni ghiacciai
delle Alpi, tema molto sentito dal letterato. Nello specifico, nota come in quelle zone ci si accostava all’apprendimento con molto
slancio, e non come in città,
dove studiare si riduceva all’obbligo di ripetere nozioni.
L’Alta Valsesia, pur essendo, secondo Bazzoni, un
Eden lontano dai turbamenti
della vita moderna, era, perciò, in grado di confrontarsi
con importanti tematiche
(il Bazzoni degli anni Venti), all’altezza degli anni
Quaranta la situazione comincia a mutare.
Il momento eroico della
scoperta delle Alpi Pennine
è destinato a concludersi, e i
primi segni premonitori si
registrano proprio a partire
da questo periodo, sotto la
pressione di un turismo, ancora d’élite, ma numericamente già consistente, alimentato soprattutto dagli Inglesi. Anche nell’area oggetto di studio, sia pure in
modo minore rispetto ad altre zone, si riscontrava, infatti, la proliferazione indifferenziata, livellata e livellante, della presenza di viaggiatori, spesso improvvisati,
circostanza che segnava non
solo la fine di un’epoca, ma
anche il cambiamento dei
modi, delle aspettative, dello stesso archetipo, del viaggio, in un’ ottica dal sapore
già consumistico.
Gabriele Federici
La sistemazione dei parcheggi al Sacro Monte
L’intervento di sistemazione dei
parcheggi del Sacro Monte è stato
realizzato grazie ad un contributo
regionale concesso alla Riserva.
I piazzali furono acquistati nel
1997 dalla Riserva, che avendo successivamente ottenuto un finanziamento comunitario, ha realizzato
un primo intervento generale di ampliamento. In tale occasione è stato
realizzato il parcheggio coperto sotto il piazzale intermedio.
Con l’attivazione dell’impianto
funiviario, la Riserva in seguito ad
accordi con l’amministrazione Comunale, ha ceduto al Comune di
Varallo gli introiti della gestione
economica dei parcheggi.
La Riserva ha infatti deciso di lasciare al Comune gli incassi dei par-
cheggi per consentire una sorta di
gestione economica integrata della
funivia e dei parcheggi per contribuire alla costosa gestione dell’impianto funiviario.
Per accelerare i tempi per la gestione funzionale ed economica dei
piazzali, la Riserva ha “trasferito” il
proprio finanziamento
( ≠
210.190,22) al Comune che ha eseguito per conto della Riserva i lavori
di sistemazione dei piazzali stessi,
di seguito indicati.
Con l’attuale intervento è stata regolarizzata la scarpata del parcheggio a monte realizzandovi una scogliera a tutela del versante lungo il
Rio Gattera, è stato potenziato il sistema di raccolta e smaltimento delle acque piovane.
Ma le opere più significative ed
15
evidenti che contribuiscono a migliorare la fruibilità e l’estetica dei
piazzali sono la posa della nuova
pavimentazione realizzata con speciali piastre in polietilene proteggiprato a nido d’ape all’interno delle
quali crescerà il manto erboso, la
delimitazione dei posti auto e degli
spazi di manovra, la realizzazione
della nuova illuminazione con la
posa di nuovi lampioni e di faretti
incassati a pavimento ed il rivestimento dei muri in calcestruzzo con
pietre a vista.
Sono di prossima attuazione la
piantumazione della siepe intorno
ai piazzali e l’inerbimento del fondo che concluderanno definitivamente le opere.
Il Vice Direttore della Riserva
Giorgio Trova
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Ricordo di Don Piercesare De Vecchi
l 4 settembre 2006, dopo una
malattia lunga e dolorosa, è
morto Don Piercesare Devecchi,
arciprete di Campertogno, Rassa e
Mollia, che proprio quest’anno aveva festeggiato i 50 anni di Parrocchia.
Don Piercesare era una persona
colta, dotata di un finissimo gusto
per l’arte, sempre aperto al dialogo,
arricchendo chiunque si trovasse
ad incrociare il suo cammino. Seppe essere vicino a tutte e tre le comunità affidate al suo ministero pastorale, portando ovunque la parola del Signore, corroborata dalla carità, era amato e seguito dai bambini e dai ragazzi che frequentavano
il catechismo.
Il Vescovo di Novara, Mons. Renato Corti, durante l’omelia funebre, ha ricordato il dono significativo di Don Piercesare fatto ai suoi
parrocchiani in occasione dell’ultimo Natale: il compendio del catechismo per la chiesa cattolica voluto da Giovanni Paolo II e curato dall’attuale Papa, allora cardinale. Il
dono era stato recapitato dai ragazzi che nell’anno avevano ricevuto la
Cresima, come gesto di testimonianza, ed era stato accompagnato
da poche parole affettuose: “Dicembre 2005: al termine della mia corsa
offro in omaggio ai miei parrocchiani
quanto in tanti anni ho insegnato e
quanto forse non sono riuscito. Vostro
parroco sacerdote Devecchi Piercesare”.
Fino agli ultimi giorni Don Piercesare volle essere tra i suoi parrocchiani: era in chiesa in occasione della tradizionale processione
della Madonna del Callone, che
ogni anno il 14 agosto viene portata nella parrocchiale. Domenica 27
agosto si affacciò ancora alla finestra della casa parrocchiale per salutare l’effigie della Vergine che tornava all’oratorio del Callone. Questo sacerdote non si limitò alla sola
attività parrocchiale, già gravosa,
ma seppe avvicinarsi agli umili,
I
aiutandoli anche nel disbrigo di
compiti burocratici: dalla compilazione della dichiarazione dei redditi, alla ricerca di un lavoro, anche il
Soccorso alpino di Campertogno
era una sua creatura. Il Sindaco di
Campertogno, Marco Ferraris, ha
ricordato il sacerdote scomparso
cui lo legavano molti ricordi personali: “Un pezzo del paese, immutabile
e incorruttibile proprio come le pietre
della maestosa parrocchiale. Resteranno le sue opere, il ricordo del suo sor-
riso buono, la sua benevola disponibilità. Nella memoria rivedrò la sua
bianca utilitaria che scende dal paese
carica dei ragazzi del catechismo, che
passava personalmente a prendere di
frazione in frazione: Don Piercesare ha
dato tutto quello che ha potuto, oggi ci
sentiamo orfani, impreparati, sgomenti
per la sua scomparsa, preannunciata
dalla sofferenza di una malattia che ricorda l’esperienza salvifica della Croce”.
Don Piercesare, con il lavoro paziente di un’intera vita, ha fondato
16
a Campertogno un importante museo parrocchiale, che è il coronamento del suo amore per l’arte, ma
soprattutto garantisce la salvaguardia e la fruibilità di un ricco patrimonio storico-artistico. Prima delle
esequie Don Carlo Elgo, parroco di
Alagna, ha tratteggiato la figura del
Sacerdote e dell’amico, interrompendosi spesso per la commozione,
quando il suo sguardo cadeva sulla
semplice bara di larice chiaro, posata sulle lastre di pietra del pavimento della chiesa, davanti all’altar
maggiore, dove tante volte Don
Piercesare si era inginocchiato. Don
Carlo ha ricordato che in 25 anni di
collaborazione tra loro non insorse
mai un solo contrasto: “Era come un
fratello maggiore”, ricorda commosso, accomunando nel ricordo i
compianti Don Dario di Riva Valdobbia e Don Marino di Scopello
“con loro si era costituita la prima unità parrocchiale”. A Don Piercesare
era rimasto un solo rimpianto: non
aver potuto recuperare le opere
d’arte, “nate come oggetti di culto”,
prestate più di quarant’anni fa per
una mostra a Varallo e mai restituite alle Parrocchie di Campertogno e
di Alagna. Don Carlo ha annunciato che ora, forse, per intervento diretto del vescovo, potrà essere trovata una soluzione.
Non ultimo dei meriti di questo
sacerdote è l’aver raccolto un ricco
patrimonio bibliografico, composto
di libri antichi e di edizioni rare e di
pregio, che catalogò e schedò con
rara competenza e intelligenza.
Don Piercesare ebbe l’intuizione e
la capacità di prestare attenzione e
cura ad ogni genere di testimonianza della vita e della memoria storica e artistica di questa valle, ma
non pubblicò nulla, mettendo generosamente a disposizione di tutti i
risultati delle sue ricerche, distinguendosi in un panorama culturale
affollato di penne bramose di lasciare traccia.
Piera Mazzone
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Biografia di Giacomo Carelli
Giacomo Carelli apparteneva ad una famiglia della
nobiltà subalpina. Il capostipite della casata era da rintracciarsi in un certo Antonio
Carelli che, nativo di Sabbia,
un piccolo paese della Val
Mastallone, una vallata laterale della Valsesia, si trasferì
verso il 1580 a Varallo. La famiglia, in seguito, si spostò a
Torino, dove si legò a Casa
Savoia, ricoprendo vari incarichi. I Duchi di Savoia ricompensarono, generosamente, la lealtà dimostrata dai
Carelli, concedendo loro, verso la metà del Seicento, il titolo di Conti di Brandizzo. Un
ramo della casata, nel 1680
decise di ritornare in Valsesia,
stabilendosi a Varallo, ove
avevano edificato un palazzo.
In questo modo, oltre ai due
rami di Torino e Moncalieri,
si formò quello di Varallo.
Con il passare dei secoli, i Carelli di Varallo divennero il
ramo più cospicuo del casato.
Infatti, già sul finire del Settecento, si distinse un Carelli di
Varallo, Giacomo, che divenne un alto prelato; tuttavia,
fu un fratello di quest’ultimo,
Benedetto, a segnare l’apogeo
della dinastia. Sino ad allora,
i Carelli di Varallo erano solo
una ricchissima famiglia di
notabili locali, che possedeva
vasti latifondi in Lomellina;
Benedetto Carelli (1772 –
1852), invece, riuscì ad ottenere, nel 1837, dal Re di Sardegna, Carlo Alberto, il titolo di Conte di Rocca Castello,
trasmissibile agli eredi, nonché quello di commendatore
dei SS. Maurizio e Lazzaro e
di suo Consigliere. Benedetto
ebbe numerosi figli, alcuni
dei quali prematuramente
scomparsi, tra cui, oltre al
primogenito Bartolomeo, destinato a proseguire la linea
dei Carelli di Rocca Castello,
Giacomo (1810 – 1878).
Quest’ultimo, figlio cadetto di un nobile, e come tale
designato con l’appellativo di
cavaliere, ebbe la possibilità
Pietro Calderini, di istituire
nei locali e con l’appoggio
della Società, un Museo di
Scienze naturali, adducendo
la considerazione che la Società non ha sufficienti fondi
da adoperare in una istituzione che per lei è di lusso e che
non dovrebbe mettersi innanzi
se non quando fossero pienamente adempiti i fini diretti e
principali pei quali si fondò la
Società.
Scomparso nel 1878, i suoi
diari di viaggio rimasero,
tranne il caso già ricordato,
inediti. Il “Corriere Valsesiano”, settimanale fondato nel
1895, pubblicò questi testi,
tranne il diario del 1845, in
modo discontinuo, a puntate,
senza alcun commento, dal n.
17 del 1897 all’ultimo numero di quell’ annata. Al n. 17
apparve solo quest’introduzione ai testi di viaggio di Carelli:
Durante i suoi viaggi attraverso l’Europa e lungo le
spiagge mediterranee dell’Africa, il cav. Giacomo Carelli
di Varallo ha avuto cura di
prendere nota delle cose che
più hanno colpito il suo spirito osservatore, e le ha consegnate in un diario che si conserva manoscritto. Non è veramente una relazione completa de’ suoi viaggi, poiché
non la destinava menomamente alla pubblicazione, ma,
come abbiamo detto, sono
semplici note delle cose più
rimarchevoli che egli ha creduto degne di segnalare come
in un memoriale.
Tuttavia la succinta descrizione dei luoghi, degli usi,
dei costumi e delle cose più rimarchevoli che egli ha osservate nei suoi viaggi in un’epoca, che relativamente ai progressi del secolo, può dirsi assai remota, interessa assai ed
istruisce. […]
Tuttavia la pubblicazione
di gran parte dei diari del Carelli fu dettata più dalla curiosità per quei testi che riflettevano dei ricordi di un’e-
di compiere, nel triennio 1842
– 1845, una serie di viaggi
nell’ambito di un tour di formazione, dimostrando una,
per certi versi, inaspettata,
capacità di stendere resoconti
di viaggio, che raccolse in un
quaderno rilegato in cuoio.
Nel 1842 visitò il Tirolo, l’Austria Superiore e la Baviera;
nel 1843 la Germania renana,
il Belgio e l’Olanda; nel 1844
scalò, primo fra gli Italiani, il
Monte Bianco: come in tutti
viaggi da lui compiuti redasse
una prosa odeporica di quest’esperienza.
Questo ricordo di viaggio,
redatto, a differenza degli altri, in francese e pubblicato,
caso veramente singolare,
perché gli altri suoi testi di
viaggio precedenti e successivi saranno confinati nello
spazio dei ricordi personali,
presso la Tipografia ved. Caligaris . Tuttavia, tra le prose
odeporiche scritte dal Carelli
emergono per qualità i viaggi
in Parte della Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia,
Laponia e Capo Nord (1844) e
Spagna, Portogallo, Marocco
(1845).
Giacomo Carelli, dopo
quest’interessante parentesi,
condusse la tradizionale esistenza del notabile dell’Ottocento, spendendosi attivamente a favore della Società
d’Incoraggiamento allo Studio del Disegno in Valsesia, di
cui fu uno dei membri più autorevoli. Nel 1865, Carelli si
schierò, inutilmente, contro il
progetto, caldeggiato da Don
17
poca già lontana nella coscienza collettiva, che dalla
volontà di recupero e di riscoperta di quei materiali e
dell’autore che gli scrisse.
Pur essendo scomparso da soli diciannove anni, il Cavaliere era già stato dimenticato,
offuscato nell’immaginario
valsesiano da figure di grande
spessore intellettuale e morale, quali il Canonico Nicolao
Sottile (1750 – 1832), che era
stato vicino alle istanze proposte dall’AufKlarung cattolica, i viventi Don Pietro Calderini (1824 – 1906), eclettico
studioso e fondatore di vari
enti culturali a Varallo, e l’Abate Antonio Carestia (1825 –
1908), insigne botanico.
“Compresso” da queste figure, il Carelli, anche in un
periodo in cui in Valsesia fiorirono notevoli lavori di carattere storico – letterario, tesi a studiare personaggi anche del passato recente, rimase solo poco più un nome. Del
resto all’epoca, ed è giusto
puntualizzarlo, per le prose
di viaggio, ad eccezione forse
dei reportages di De Amicis,
non vi era grande considerazione.
Giacomo Carelli pagò probabilmente il suo essere
un’intellettuale cosmopolita,
Valsesiano per origine e per
scelta, ma non confinabile
nell’hortus conclusus della
Valsesianità. Per questo, pur
essendo stato un protagonista
della cultura locale, venne
bollato come uno estraneo.
Nel Novecento, addirittura, si
perse ogni riferimento biografico. Per tali motivi, e considerando l’effettiva qualità
letteraria dei testi del viaggiatore, appare opportuno riconsiderarne l’opera, alla luce del rinnovato interesse, in
quest’ultimi due decenni, per
la viaggistica.
Gabriele Federici
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19-10-2006
16:18
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LA PAGINA DEL PELLEGRINO
Vintebbio: una Piazza intitolata a
don Mauro Stragiotti
Arcivescovo, Presidente Provincia Renzo Masoero, Sindaco Massimo Basso, Mons. Franco
Givone;
S
abato 6 ottobre a Vintebbio, frazione di Serravalle, è stata inaugurata una piazza intitolata a
Don Mauro Stragiotti, sacerdote morto
il 10 gennaio 2001 al termine di un
cammino di malattia e di dolore, percorso con l’aiuto della Fede; la sua fu
un’esistenza protesa verso l’Uomo, dedicata alla Carità: accoglieva tutti a
braccia aperte, con un sorriso. Don
Mauro nel suo ministero manifestò
sempre una forte propensione al concreto, ai problemi sociali ed umani, che
lo portò a impegnarsi nell’assistenza ai
carcerati, ai tossicodipendenti, agli
emarginati. Fu Direttore della Caritas
diocesana e Parroco di Gattinara dal
1994 al ‘98.
Il 2 settembre 1973 Mauro Stragiotti, nella chiesa di Vintebbio, fu ordinato Sacerdote, iniziando un cammino diverso da quelle che erano state le premesse: gli studi in Medicina, avviati
per volontà del padre: “Mio padre mi
avrebbe voluto vedere sanare i corpi e
io dottore lo sono diventato, con la differenza che cerco di sanare le anime.
Una chiamata ferma ed inequivocabile, al cui impegno avrei voluto sottrarmi, ma il Signore è più grande dei nostri timori, ed eccomi pronto ad entrare in seminario, il primo anno a Torino
e poi a Vercelli”. Don Mauro alla festa
organizzata a Vintebbio per ricordare i
suoi venticinque anni di messa, così rifletteva sulla sua malattia: “Due anni
fa, quando si manifestarono i sintomi
di una grave malattia, io li accolsi con
incredulità ed incertezza, perché credevo che avendo dedicato la mia vita
al Signore, questo, in qualche modo,
mi proteggesse, e invece quanto accadeva fece crollare quella sciocca presunzione. Un sacerdote amico mi disse
che paradossalmente occorreva “perdonare Dio e la nostra paura che Lui
non ci assista più, che si sia dimenticato di noi”, solo in quel modo sarei
uscito da quella crisi, ricordando la
sorte che Egli riservò a suo Figlio. Le
vie del Signore passano anche attraverso la prova: fino a un mese fa non
credevo nemmeno di riuscire a parteci-
munità, allo “sguardo del credente”,
come ha ricordato l’Arcivescovo di
Vercelli, Padre Enrico Masseroni, rappresenterà la certezza che Don Mauro
è presente tra la gente e invita ciascuno
a realizzare “l’affare degli affari: salvarsi l’anima per raggiungere la meta,
conservare nel cuore la sua carità profonda, intuitiva, concreta”.
Alla cerimonia erano presenti le
principali autorità religiose, militari e
civili della Provincia: l’Arcivescovo,
Padre Enrico Masseroni, il Vicario di
Gattinara, Mons. Franco Givone, il
Parroco di Serravalle Don Luciano Pasteris, Don Pietro Lupo, parroco di Piane, Vintebbio e Bornate, la Pastora della Comunità evangelica metodista di
Vercelli, Biella e Vintebbio, Birgit
Wolter, il Presidente della Provincia di
Vercelli, Renzo Masoero, il Sindaco di
Serravalle, Massimo Basso, il Consigliere Regionale Sergio Cavallaro, nutrite rappresentanze di molte associazioni: Anpas, Croce Rossa, AIB, Santa
Cecilia di Gattinara, ma soprattutto
c’erano le persone che l’hanno conosciuto e amato anche per la sua capacità di far sentire ciascuno unico e irripetibile, di scovare il granello di bene in
ogni cosa.
Piera Mazzone
La targa
pare a questa festa, facevo i conti con
il mio limite, ma anche quelli erano
presunzione e sfiducia destinati a cadere”.
Gli Amici di Don Mauro, coordinati dal consigliere comunale e
provinciale Alberto Ricca e dal professor Gilberto Cerri, avevano proposto
al Comune di Serravalle di intitolare la
piazza principale di Vintebbio, adiacente la strada statale, alla memoria di
questo sacerdote nato e cresciuto nella
frazione. Quella semplice targa: “Piazza Don Mauro Stragiotti – Sacerdote”,
posta in un luogo d’incontro della Co18
Arcivescovo, padre Enrico Masseroni, Don
Pietro Lupo.
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LA MUSICA IN VALSESIA
(XXVI puntata)
Concluse, la sera di domenica 16 luglio 2006, le
diverse manifestazioni musicali incentrate sull’Alpàa,
l’estate della “Musica in
Valsesia” è continuata con
un ricco calendario che ha
rallegrato le ferie estive di
molti paesi della valle.
Anzitutto gli appassionati di musica organistica
hanno potuto partecipare
all’ascolto di numerosi concerti di maestri italiani e
stranieri nell’ambito del
XIX Festival Internazionale
storici organi della Valsesia.
Il 4 agosto a Cravagliana la “Camerata Veneziana” ha eseguito brani famosi tolti dalle opere di Mozart (Il flauto magico, Don
Giovanni, Le nozze di Figaro), di Gluck (Orfeo ed Euridice), di Rossini (Il barbiere di Siviglia) e di Verdi
(Rigoletto). Il pubblico ha
partecipato con grande entusiasmo.
Nel 250° anniversario
della nascita di Mozart, ampiamente ricordato, sono
state eseguite musiche dell’immortale genio di Salisburgo in diverse località:
Alagna (28 luglio), Rossa
(8 agosto), Riva Valdobbia
(11 agosto) e Fobello (25
agosto), dove il Duo pianistico italiano, formato da
Vincenzo Balzani e Giuseppe Fagone, ha presentato all’ascolto del pubblico entusiasta un programma di musiche per pianoforte a quat-
to il via ufficiale al prestigioso concorso di pianoforte, che durante la settimana
ha selezionato i 90 iscritti
provenienti dal oltre trenta
Paesi di tutti i Continenti.
L’8 settembre a Ghemme ha avuto luogo un grandioso concerto dell’Orchestra Filarmonica di Bacau
(Romania) che, sotto la direzione del vulcanico maestro Ovidiu Balan, ha eseguito questo splendido programma: Mozart (Sinfonia
n° 40 il Sol minore), Dvorak (Danze slave, op. 46, n°
1 e 8), Enescu (Rapsodia
rumena n° 1 in La maggiore), e Smetana (Poema sinfonico n° 2: “La Moldava”).
Il 10 settembre nel Teatro Civico di Varallo si è
svolta la finale della sezione pianoforte nell’ambito
del XXII concorso internazionale “Valsesia Musica”.
I primi tre premi sono andati ai russi Sergei Tarasof,
Alexander Yakovlev e Alexey Chernov.
L’11 settembre a Scopello l’Orchestra Filarmonica di Bacau ha eseguito il
concerto sinfonico “In memoriam” per ricordare il
quinto anniversario dell’attentato alle “Torri gemelle”
di Nuova York.
Il 21 settembre a Valduggia il quartetto d’archi
“Youkali ensemble” ha presentato, con grande partecipazione di pubblico, musiche di Bach, di Handel, di
Purcell, di Haydn, di Mozart, di Joplin e di Gershwin.
Il 23 settembre a Varallo, nella splendida Collegiata di S. Gaudenzio, i
“Cantores mundi” e “Un
coro per Milano” hanno
eseguito nell’ampia navata
tro mani intitolato “Da Mozart a Brahms”, comprendente: di Mozart l’Ouverture del “Flauto magico” e la
Sonata in Fa maggiore per
piano a quattro mani K497,
e di Brahms le “Variazioni
in Mi bemolle maggiore su
tema di Robert Schumann”
e una selezione dalle “Danze ungheresi”.
Il 14 agosto a Grignasco è stato inaugurato il restaurato organo Mentasti
con un concerto del maestro Alberto Sala, organista
titolare del Duomo di Novara, il quale ha eseguito
con grande bravura alcuni
corali di Bach, e sonate di
Rolla, di Fioroni e di Perosi.
Il 30 agosto ad Alagna,
nel Teatro dell’Unione Alagnese è stata rappresentata
la “Bohème” di Puccini. Il
folto pubblico presente ha
sottolineato con numerosi
applausi il suo gradimento,
decretando un tal modo un
vivo successo alla serata organizzata dall’associazione
culturale “Valsesia Musica”.
La stessa associazione
culturale, presieduta da
Guido Crevola, il 22 luglio
in piazza Gaudenzio Ferrari
a Valduggia aveva portato
in scena “Il Trovatore” di
Giuseppe Verdi, arricchito
da un cast di famosi solisti e
dalla partecipazione del
“Coro Viotti” di Vercelli.
Il 2 settembre a Scopa
si è svolto un bel concerto
pianistico del maestro Marcello Pennuto, il quale ha
eseguito con grande abilità
musiche di Mozart, Beethoven e Chopin che hanno deliziato il numeroso pubblico presente.
Lo stesso giorno al teatro
Civico di Varallo è stato da19
stracolma di spettatori, la
celebre “Messa da requiem” di Mozart. L’esecuzione è stata preceduta dall’affascinante “Stabat Mater” di Schubert. Ha diretto
con la consueta abilità e finezza espressiva il famoso
maestro Mino Bordignon,
con il quale hanno anche
cantato con grande bravura
il soprano Zara Dimitrova,
il contralto Raffaella Ravecca, il tenore Young
Hoon Shin e il basso Giorgio Valerio, mentre Franco
Caccia ha accompagnato al
pianoforte tutto il concerto.
Gli applausi scroscianti
hanno sottolineato l’evidente gradimento del pubblico.
Il 28 settembre a Grignasco, il maestro Fabrizio
Platini, direttore del complesso bandistico cittadino,
visto il grande successo ottenuto l’anno scorso, ha dato inizio alla seconda edizione degli “Incontri di
Ascolto musicale guidati”.
Il primo incontro è stato dedicato all’opera lirica con il
“Don Giovanni” di Mozart,
mentre il secondo (il 5 ottobre) è stato dedicato alle
grandi sinfonie con l’ascolto della Sinfonia n° 5 in Do
diesis minore di Mahler.
L’iniziativa ha riscosso il
gradito consenso del pubblico intervenuto.
L’8 ottobre a Varallo è
iniziata la XII edizione di
“Musica a Villa Durio” con
il Torres Quartet, che ha
eseguito musiche di De Falla, Bellinati, Bogranovic,
Gismondi e Piazzolla. Il
pubblico ha seguito con
estremo interesse il quartetto di chitarre, che ha spaziato dalla Spagna al Sudamerica.
(Vior)
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SANTUARI MARIANI IN DIOCESI DI NOVARA
La Madonna delle Grazie del Sacro Monte di Orta
L
o scorso 3 settembre, il vescovo
di Novara monsignor Renato
Corti, ha presieduto il rito di incoronazione della statua lignea raffigurante la Pietà, venerata nella chiesa di
San Nicolao al Sacro Monte di Orta,
noto per essere dedicato alla rappresentazione dei principali episodi della
vita di San Francesco di Assisi. Tale
avvenimento, pur collocandosi all’interno delle iniziative celebrative organizzate dai padri francescani che custodiscono il monumentale complesso,
per ricordare l’VIII centenario della
conversione del poverello di Assisi, richiamano all’attenzione il culto mariano presente sul colle che sovrasta la
cittadina di Orta, ben prima della costruzione del Sacro Monte e che tuttora costituisce per le popolazioni della
riviera cusiana un importante punto di
riferimento devozionale. L’origine della chiesa di San Nicola, vescovo di Mira le cui reliquie sono venerate nella
città di Bari, deve forse essere riferita
all’epoca in cui sull’altura vi era un
presidio fortificato, di cui appunto costituiva il luogo di culto. L’edificio però sembra che abbia anche assunto in
certi periodi funzione di parrocchia per
il sottostante centro abitato, ruolo che
PROGETTO CENTRO GIOVANILE
IN CAMEROUN
Il valsesiano padre Oliviero Ferro,
missionario saveriano è il responsabile di un progetto di centro giovanile.
Si prevede un campetto sportivo polivalente (calcetto, pallacanestro, pallavolo, pallamano) dalle dimensioni di
50 m. per 30. Il campo deve essere
recintato da una rete alta 3 m. Occorre per questo un muro di recinzione e
un altro di sostegno, essendo il terreno in discesa. Il costo dell’opera si aggirerà tra i 10 e i 15 mila euro; il lavoro sarà eseguito dai muratori della
parrocchia e dai giovani per le opere
di scavo.
Per informazioni: padre Oliviero
Ferro, Plello, 25 – 13011 BORGOSESIA; Tel. 0163.26220. E-mail: [email protected]
appare chiaramente testimoniato da
una serie di documenti a partire dal
XIII secolo (1230 – 1259); la stessa
chiesa costituiva un punto di aggregazione anche civile: gli statuti del 1345
impongono, infatti, agli uomini del
paese di accorrere, al suono delle campane, presso San Nicolao. E’ però grazie alla presenza nella chiesa della statua della Pietà che si accrebbe l’importanza sacrale del luogo, poi scelto per
accogliere il grande progetto di costruzione delle cappelle. Il 22 luglio del
1538 la sacra immagine fu al centro di
alcuni avvenimenti prodigiosi che sono
testimoniati con dovizia di particolari
da uno scritto del notaio ortese Olina,
già ricordato in occasione della presentazione del vicino santuario della Bocciola. Egli racconta, nel diario che copre un arco di tempo molto ampio tra il
1525 ed il 1560, che il simulacro aveva sudato, aperto e chiuso gli occhi,
versando copiose lacrime ed operando
poi molti miracoli . Un ulteriore resoconto di questi eventi prodigiosi è il
volumetto edito nel 1630: Spettacoli
misteriosi della Beata Vergine delle
Grazie che si venera sul Monte di Orta, in cui sono riportati anche gli svariati miracoli attribuiti all’intercessione
della Vergine. La venerazione si mantenne sempre molto viva sia tra la popolazione locale, sia tra i numerosi pellegrini che giungevano al Sacro Monte;
monsignor Gentile desiderava procedere alla solenne incoronazione della sta20
tua, ma nel 1866, a causa delle leggi
sabaude di soppressione, i frati a custodia del convento furono costretti a lasciare il santuario e la cerimonia fu rinviata ad epoca successiva. Il desiderio
si realizzò dopo una trentina di anni,
precisamente il 2 settembre del 1906,
per mano dell’arcivescovo di Vercelli
monsignor Teodoro Valfrè di Banzo,
essendo vacante la sede di Novara per
la morte di monsignor Mattia Vicario.
Come ricordato in apertura ad esattamente un secolo di distanza si è rinnovato l’omaggio alla Madonna della
Pietà, più nota come Madonna delle
Grazie. Le attuali corone sono opera
dell’orafo milanese Fulvio Maria Scavia e cingono il capo sia di Maria sia
del Cristo morto che lei regge sulle ginocchia. Per quanto riguarda il manufatto oggetto di venerazione, opera in
legno databile tra il X e XI secolo, va
evidenziata la singolarità dell’iconografia in ambito novarese. Generalmente nelle tante immagini mariane
venerate nella nostra diocesi, la Madre
è raffigurata con il Bambino, mentre
più raramente, è presentata in Pietà con
il Cristo morto. E’ evidente un particolare influsso d’oltralpe per la genesi di
quest’opera, in quelle zone, infatti, si
svilupparono maggiormente e più precocemente forme devozionali legate alle sofferenze di Cristo ed ai conseguenti dolori di Maria. La statua, posta
entro una grande nicchia al di sopra
dell’altare maggiore della chiesa, è circondata da alcune sculture di angeli, di
epoca più recente, che recano gli strumenti della Passione. Lo sguardo della
Vergine non è verso il Figlio ma si rivolge al fedele, coinvolgendo il riguardante in un intenso rapporto di compartecipazione al doloroso evento sintetizzato dall’opera stessa: la deposizione di Gesù dalla croce.
Damiano Pomi
Per maggiori notizie sulla storia plurisecolare della chiesa e del Sacro Monte
si consiglia: E. DE FILIPPIS, F. MATTIOLI CARCANO, Guida al Sacro
Monte di Orta, Orta 1991
SET-OTT/2006
19-10-2006
16:19
Pagina 22
RISERVA REGIONALE
Il restauro dell’intonaco esterno del complesso del Calvario
fa, fu realizzata la loggia con
colonnine soprastanti, sul lato
di fronte all’Albergo del Pellegrino.
Il progetto odierno parte
dallo studio di questa stratificata evoluzione per conservare tutte le modifiche intercorse che si leggono oggi
nell’intonaco che interessa il
complesso. L’intonaco esistente viene conservato, consolidato ove necessario, pulito e trattato con sostanze biocide per limitare il riformarsi
di muffe e microrganismi,
che lo aggrediscono soprattutto sulla parete esposta a
nord. Le lacune esistenti
vengono stuccate con materiali simili all’intonaco circostante.
Così anche la scelta del
colore esterno, in superficie,
scaturisce da verifiche con la
competente Soprintendenza,
sempre nella logica di rispettare l’edificio nel suo complesso e la sua storia.
Il progetto di restauro è
stato redatto dall’arch. Cristiana Lombardi in collaborazione con la restauratrice
Maria Concetta Capua. Vista
la delicatezza dell’intervento
e la presenza sulla superficie
anche di scritte, cartigli e de-
Lavori di restauro
La Riserva Naturale Speciale del Sacro Monte di Varallo ha previsto la realizzazione, nel 2006, dell’intervento di restauro dell’intonaco esterno del complesso del
Calvario del Sacro Monte.
Questo cantiere di restauro è stato inserito nel Programma Triennale delle
Opere Pubbliche, un documento programmatico approvato dalla Giunta Esecutiva della Riserva che interessa un triennio e viene annualmente aggiornato.
La scelta di privilegiare
questo restauro rispetto ad
altri lavori è dovuta innanzitutto alla necessità di dare
completezza al restauro effettuato dall’Istituto Centrale
del Restauro alla cappella
della Crocifissione che ha interessato, per urgenti motivi
connessi alla salvaguardia
degli affreschi interni, anche
una fascia di intonaco esterno che da’ sulla piazza, contigua alla cappella della Deposizione dalla Croce.
Ma l’urgenza del cantiere
è dovuta anche a ragioni conservative : l’intonaco, soprattutto sul fronte verso Varallo,
presentava infatti parti degradate e rifacimenti cementiti.
I criteri base dell’intervento, concordati con le
competenti Soprintendenze,
sono partiti da una scelta
conservativa: salvare l’into-
naco esistente, ove in buone
condizioni, poiché è parte
della storia dell’edificio e testimonianza di modi e tecniche di lavoro passate. Solo
dove necessario (zone da rimuovere perché realizzate
con cemento, dannoso per gli
affreschi interni, zone decoese o lacunose) si è previsto
di integrarlo con materiali
analoghi all’originale.
Il complesso del Calvario
ha una storia articolata che lo
ha visto crescere in momenti
storici diversi. Un primo nucleo originario è stato costruito nel primo Cinquecento per
ospitare la sola cappella della
Crocifissione. Nella prima
metà del secolo successivo
sono stati aggiunti i due corpi laterali destinati ad accogliere le scene dell’Affissione
alla Croce e della Deposizione. Molto probabilmente negli anni Quaranta dell’Ottocento è stato sopraelevato il
corpo centrale per renderne il
tetto ispezionabile. Tra il
1851 e il 1853 sono stati aggiunti alla parete ovest il pronao e il loggiato neoclassici
ampliando le due finestre presenti sul nuovo fronte, trasformate in porte di ingresso, demolendo così dei dipinti monocromi di Gaudenzio. Alla
fine dell’Ottocento si procedette alla sopraelevazione dei
tetti delle due cappelle laterali e, da ultimo, mezzo secolo
Lavori di restauro
20
Ugo Perazzi
nuovo presidente
della Riserva
Nelle settimane scorse
è stata eletta la nuova
giunta della Riserva Regionale che risulta così
composta : Ugo Perazzi,
presidente, Norberto Julini, vicepresidente, Bianca
Maria Bellezza, Domenico Vetrò. Altri consiglieri
sono Moreno Uffredi, Simona Bertona , Giuseppe
Ragozzi, Marco Valle.
corazioni (come la meridiana
sul lato verso Varallo) la Riserva ha proceduto all’appalto dei lavori invitando una
ampia serie selezionata di
ditte di restauratori di superfici dipinte. Ha vinto la gara la
Cooperativa per il Restauro,
società cooperativa per azioni
di Milano. I lavori sono in
corso, diretti all’arch. Cristiana Lombardi con la collaborazione della restauratrice
Marita Concetta Capua come
Direttore Operativo.
Il Direttore della Riserva
Elena De Filippis

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