Anno 1 – 4° numero
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Anno 1 – 4° numero
ShinBuN ews Il Bollettino del Praticante dello Shin Bu Dojo Hara… Ki era costui ? Sommario Editoriale 3 Ki e Hara Kokyu soren 4 13 Senti chi parla Segni particolari: Cintura Nera Il praticante si racconta Raja Yoga e Kinorenma Bioenergetica: Lowen e l’analisi bioenergetica (III parte) 7 10 15 18 Umorismo Tengu Il koan del Maestro Nano Successe al dojo L’estate marcia, i piedi marciscono 21 25 25 30 Dall’Oriente Storia del Bokken Storie Zen Cucina giapponese: comportamento da tenere a tavola 12 25 27 I Pensieri di O’ Sensei Facile a dire, difficile a fare L’Aikido indica una via 31 32 Varie Per non dimenticare... Inferno e Paradiso Serata in pizzeria Fiori di Bach Lettera a Sensei Cruciverba Quiz d’intelligenza Momenti d’ozio Shin Bu: dietro le quinte Responsabile : Fabrizio Ruta Redazione: Vincenza Patruno, Jacqueline Gentile, Gaetano Nevola Foto: Vincenza Patruno 26 26 28 30 33 35 36 37 38 ShinBuNews Editoriale Giugno 2005 Ben ritrovati, shinbuisti! Questo è il quarto numero dello Shinbun, l’ultimo per quest’anno 2004/05: un anno in cui questo giornale ha visto la luce, ha affiancato la nostra pratica al dojo, ha sottolineato gli eventi più salienti e, soprattutto, ha accolto, come un grande contenitore, racconti, emozioni, pareri, estrosità di tutti noi. ShinBuNews In questo numero, viene inaugurata la rubrica dedicata alle interviste alle Cinture Nere del dojo che, tra un po’, incominceranno ad evitare i componenti della Redazione (a dir la verità, qualcuno già lo fa) e a praticare senza hakama per confondersi tra la folla dei comuni kyu! Troverete approfondimenti sul kinorenma, e, per rellegrare le vostre vacanze estive, in cui sarete costretti a combattere contro le crisi di astinenza da dojo, la Redazione ha disseminato qua e là dei fantastici “Ruta dixit” nuovi di zecca (grazie Maestro, per non lasciarci mai sprovvisti di essi!) ed altri nuovi ed interessanti articoli. E , per concludere in bellezza, è stato elaborato un cruciverba di non solo aikido, con cui cimentarvi sotto l’ombrellone bevendo lentamente una bibita ghiacciata... I tre della Redazione vi ringraziano e sperano di ritrovarvi tutti, a settembre, altrettanto partecipi ed entusiasti: domo arigato! La Redazione “Impara gli insegnamenti dell'albero di pino, del bambù e del fiore di susino. Il pino è sempreverde, radicato stabilmente e venerabile. Il bambù è forte ed elastico, indistruttibile. Il fiore di susino è robusto, fragrante ed elegante.” O' Sensei Ki e Hara di Fabrizio Ruta "Il ventre è la sorgente e il deposito della forza vitale. Il Ventre non è solo una regione particolare del corpo, ma implica problemi molto più importanti rispetto alla totalità del terreno. E' il simbolo e l'espressione dell’attività vitale dell’uomo Itsuo Tada Quando ci si accosta ad un'arte tradizionale giapponese (sia che si tratti di un'arte marziale piuttosto che della cerimonia del tè, dell'ikebana o del teatro Noh, dello shiatsu o dell'agopuntura) si entra subito in contatto con la nozione di ki ed hara. Non è possibile, infatti, parlare di Arti Tradizionali Orientali senza fare riferimento a questi due concetti che, tra l'altro, sono fondamentali punti di riferimento all'interno della nuova cultura emergente della New Age. Questi due aspetti vanno compresi contemporaneamente con la "testa" e con il corpo se si vuole raggiungere l'eccellenza nell'arte e per centrare l’obiettivo più profondo della pratica di queste discipline. Cercherò, ora, di spiegare in maniera semplice ed esauriente il significato e l'importanza del ki e dell' hara in base alla mia personale esperienza sia pratica che teorica. Il Ki Partiamo dal ki. In una prima traduzione, questo termine può essere interpretato come: "energia vitale" od "interna" ed è una nozione presente probabilmente in tutte le culture antiche. Il ki era definito chi in Cina, prana in India, pneuma dai greci e lo ritroviamo anche nell'ambito degli studi alternativi della ricerca occidentale; per esempio, era individuato con il termine "Energia Orgonica" da W. Reich, ispiratore della Bioenergetica. In uno dei suoi libri - "Lo spirito dell' Aikido"- il Doshu si esprime Pagina 4 nei seguenti termini:" Un praticante di Aikido che si sia allenato regolarmente può avere alcune intuizioni personali del ki anche non conoscendone le radici storiche e teoriche (...). Ma, ci sono delle differenze nelle sue manifestazioni concrete in ogni persona che dipendono dal temperamento e dalle aspirazioni individuali, dalle capacità fisiche, dalle esperienze a dal retroterra di ognuno. E' quindi inevitabile che ci siano differenze nel modo in cui praticamente sentono ed esprimono il ki (…). Ogni risposta è valida, nel senso che è una sincera impressione raggiunta dopo una precisa esperienza personale." Questa apertura del Doshu spiana naturalmente la strada alla ricerca personale invitando, nel contempo, a farne un'esperienza individuale e diretta attraverso un lungo e serio allenamento. Inoltre, ci rende liberi di "ascoltarci" facendo a meno di tutta una serie di condizionamenti relativi a come o cosa "dovrebbe essere" il ki. Un primo grosso ostacolo che si incontra quando si parla del ki è un "dogma scientista" in base al quale nulla "può esistere" se prima non viene dimostrato. Ma ciò che è invisibile non è detto che sia inesistente! Ci sono tante cose in questo mondo che non sono percepibili dai sensi umani (alcuni gas, le onde elettromagnetiche, gli ultrasuoni, i virus, gli atomi...) e sicuramente tante altre che ci sono ancora sconosciute, eppure ci comportiamo e giudichiamo come se tutto ci fosse noto e chiaro. E- videntemente, non si tratta di credere per fede ma, al contrario, di sperimentare su se stessi certe possibilità. D'altronde, tecniche come l'agopuntura o lo shiatsu, che hanno un'indubbia efficacia terapeutica, basano il loro effetto curativo proprio su l’esistenza del ki e sulla sua corretta e costante circolazione nell'organismo, attraverso la rimozione di blocchi e il riequilibro globale dell'energia. La cosa forse più comica e paradossale è che i ricercatori scientifici devono avere, come prima dote, la capacità di dubitare e mettere in discussione qualsiasi teorema ed assioma "lanciandosi" liberamente nell'esplorazione delle idee ed ipotesi più strane e lontane dal senso comune. Universi paralleli, equivalenza tra materia ed energia, principio di indeterminazione, materia "scura", campi informativi morfogenetici, curvatura dello spazio tempo, antimateria, particelle subatomiche che tornano indietro nel tempo... queste sono alcune delle tesi più conosciute sulle quali lavorano, fisici, matematici e scienziati di ogni paese. Tutti coloro che credono solo "a quello che vedono o toccano" sono dei moderni "San Tommaso" S H I N B U NE W S arretrati di centinaia di anni rispetto all'attuale visione scientifica di cui essi credono, al contrario, di essere paladini rifiutando tutte le "sciocchezze" irrazionali che non collimano con la loro pseudocultura. Ma, tornando al ki, esso può essere definito come l'energia primordiale che forma la trama basilare dell'Universo. Esso supporta tutti i fenomeni esistenziali, permettendo lo svolgimento, non solo delle funzioni vitali, ma anche di quelle emotive, mentali e spirituali dell'essere umano. Il ki, così come l'elettricità, non è qualcosa di visibile, ma si possono percepire e misurare gli effetti della sua attività. Infatti, così come l'energia elettrica si trasforma in luce in una lampadina, calore in un termosifone e movimento in un ventilatore, ugualmente il ki, circolando nel corpo umano, diventa intelligenza e creatività (luce), nella mente, amore (calore) nel cuore e slancio vitale (movimento) nel ventre (hara). Per noi Occidentali moderni, è difficile capire e quindi accettare la nozione di ki perché ci hanno insegnato (condizionato?) a considerare l'uomo come una specie di macchina la cui attività dipende dal buon funzionamento delle sue parti; per cui, quando questa macchina biologica senziente "si rompe" la vita finisce e la coscienza, con il suo fardello di pensieri, sentimenti, aspirazioni, sensazioni, ecc., si dissolve nel nulla. E crediamo in questo, perché ci identifichiamo con il nostro corpo, ritenendo che l'insieme di organi e funzioni che lo costituiscono creino la vita. Ma proviamo a considerare un televisore: è una macchina che mostra delle immagini ed emette dei suoni i quali non sono creati autonomaPagina 5 mente ma provengono da un' emittente esterna. Ebbene, quando un televisore si danneggia e non è più capace di trasmettere, sarebbe assurdo affermare che le immagini e i suoni che trasmetteva non esistono più in base all'osservazione empirica che non sono più visibili né udibili. Evidentemente, ciò che è accaduto è semplicemente che quell'apparecchio è semplicemente incapace di captare quegli impulsi elettromagnetici che permangono "in vita" pur essendo invisibili. Allo stesso modo, quando il nostro corpo "si rompe" irrimediabilmente non può più esprimere "gli impulsi" di colui che lo abitava cioè di noi stessi! Di quella parte, che può essere definita, facendo riferimento alla psicologia transpersonale, il Sé. Il ki può, dunque, essere considerato come sinonimo di vita: esso è ciò che dà energia a tutto l'universo. Del resto, uno dei più conosciuti maestri spirituali del nostro secolo Paramahansa Yogananda, ha tradotto la parola prana (il ki in sanscrito) coniando un nuovo termine in inglese: "lifetrons". Questa parola può essere appunto tradotta in italiano con "vitatroni" per analogia con elettroni e protoni. Un'altra maniera per descrivere il ki è partendo dall'ideogramma corrispondente (vedi disegno). Esso è costituito da una parte superiore che ricorda il vapore, ed una inferiore (lato sinistro) che sta ad indicare i campi di riso. Vapore e riso sono separati da un terzo segno che rappresenta un contenitore metallico. L'intero ideogramma ki può quindi essere immaginato come una pentola, dove bolle del riso, e dalla quale il vapore esala verso l'alto. Il senso che se ne può ricavare è che, per gli orientali, l'energia ha un doppio significato: uno strettamente legato alla materia (il riso) e l'altro più spirituale, sottile ed imponderabile (il vapore). Non vi è, quindi, una scissione tra mondo spirituale e mondo fisico. Questo concetto rimanda, tra l'altro, alla moderna concezione della fisica che, attraverso la famosa formula di A. Einstein (E=mc2), ci insegna che materia ed energia sono semplicemente due facce della stessa medaglia. Esistono molte altre forme attraverso le quali è possibile cercare di trasmettere il significato del ki. Il ki è integrità dell' azione, è gioia che pulsa, è un cavallo selvaggio che agita la lunga criniera mentre corre nello spazio verde della libertà sconfinata dei territori interiori dell'essere. Il ki si avverte nel sole che, al mattino, sorgendo spezza le catene del buio con lampi di luce, nel cosmo assetato di vita, nel canto di gioia o nel pianto totale per una conchiglia ricevuta o negata al bambino interiore. Il ki è un ringraziamento lanciato nel mondo dal corpo felice quando lo si lascia libero di essere e muoversi così come é. Il ki si schiude, potente, insieme alle gemme nella tiepida primavera e si ritrae silenzioso nei caldi colori autunnali per risplendere nel crepitio della fiamma ardente di un camino d'inverno. E' il calore che riscalda la passione di due corpi fusi in mistica unione, è la valle dopo il picco di un orgasmo totale. E' rabbia, gioia, pianto... è l'evoluzione dei "cinque elementi" che ruotano nella stagione dell'esistenza, seguendo la legge dell'universo. L'Hara Passiamo ora a descrivere il centro hara. Hara è una parola giapponese SHINBUNEWS che, tradotta letteralmente, significa ventre. Ma il senso che si dà a questo termine è molto più ricco. Infatti, in Giappone per indicare la forza e la capacità di una persona si dice che questa "possiede hara" o, viceversa, che è "senza hara" quando è incapace di prendere decisioni e si mostra debole e senza volontà. La padronanza dell' hara è quindi indispensabile non solo nella pratica delle Arti Marziali classiche ma anche per la padronanza di qualunque attività artistica. Basti pensare all'ikebana (l'arte della composizione floreale) o il chano-yu (la cerimonia del tè), nelle quali occorre padroneggiare il "ventre" per esprimere l'arte al suo più alto livello e raggiungere così la maestria. L'hara è un centro molto importante da sviluppare per acquisire una buona stabilità fisica e mentale. Essa è collegato ai primi tre Chakra della tradizione induista e la sua “coscientizzazione” permette di aumentare la propria forza vitale e a rafforzare la volontà, oltre che a determinare un vero e proprio radicamento al suolo. Avere hara corrisponde al possedere un buo n gro undin g (radicamento, ancoraggio) nella definizione utilizzata dalla bioenergetica. Anatomicamente, l'hara corrisponde al ventre e il seika tanden al baricentro fisico posto due cm sotto l'ombelico. Secondo le tradizioni esoteriche di molte culture arcaiche, dentro l'essere umano esistono più centri con differenti funzioni. Nell'ambito di questi insegnamenti, si è tramandata la conoscenza relativa ad un "secondo cervello" che trova la sua collocazione fisiologica nel plesso solare. Il maestro Omraam Mikhael Pagina 6 Ajvanhov così descrive questa idea, in una sua conferenza: "Il plesso solare è un cervello, ma un cervello rovesciato poiché, mentre nel cervello la materia grigia è all'esterno e la materia bianca all'interno, nel plesso solare si osserva il contrario. La materia grigia, costituita dalle cellule nervose, permette di pensare, mentre quella bianca, costituita da fibre nervose, prolungamenti delle cellule, permette di provare delle sensazioni. Quindi, grazie alla sua materia bianca che è all'esterno, il plesso solare registra tutto ciò che accade nell'organismo in tutte le cellule; (...). In seguito allo sviluppo del cervello, l'uomo ha preso coscienza di sé, ed è grazie a tale evoluzione che si è formato la sua individualità. Il plesso solare, invece, essendo la sede della subcoscienza, mette l'uomo in relazione con l'oceano della vita universale e lo unisce all'intero cosmo (...)." Negli ultimi anni, anche la scienza ufficiale ha scoperto l'esistenza di questo secondo cervello formato da un reticolo di neuroni, neurotrasmettitori e proteine distribuiti nei tessuti dell' esofago, dello stomaco e dell'intestino. Questo insieme di neuroni si comporta come il cervello che tutti ben conosciamo; esso, infatti, è capace di imparare, ricordare e produrre sensazioni essendo formato da circa cento milioni di neuroni, cioè ben più di quanti ne conti il midollo spinale. L'esistenza di questo "cervello viscerale" ci illumina, così, in maniera ancor più chiara sull'importanza di entrare in contatto con il nostro centro hara, di attivarlo e di renderlo più vivo, flessibile ed attivo. L’hara è, dunque, l'oceano della nostra forza inconscia, le radici profondamente abbracciate alla nostra terra, la memoria ancestra- le, l'istinto, l'oscura forza selvaggia dell'esistenza, la culla della vita, la grotta sacra. L' hara riconquistato è una fortezza inamovibile, fa del nostro corpo un castello e ci rende roccia tra le onde, stabilità in mezzo alla tormenta; tramite esso, il movimento diventa danza con un centro, la meditazione calma attiva. Hara è fiducia e abbandono all'universo, è il centro dell'intero cosmo. Con hara, sei a casa dovunque, puoi lasciarti andare senza perderti, puoi celebrare la vita totalmente e, dunque, incontrare la morte con gioia. L' hara è il "qui ed ora" e ci dona la possibilità di essere presenti e di sperimentare la stabilità, essa ci rimanda a noi stessi e alla nostra individualità facendoci centro nella periferia dell'universo, il cuore centripeto dell'azione, ci risveglia alla gravità e ci rende terra da cui sgorgano le correnti misteriose del ki. S H I N B U NE W S Segni Particolari: Cintura Nera Redazione: Quando e come hai conosciuto l’Aikido? Paolo Gissi :Avevo 14 anni ed ero in giro per scegliere un'Arte Marziale da praticare. Una persona mi portò a vedere il Dojo di Aikido. Mi piacque molto l'atmosfera, calda e raccolta, ma all'epoca volevo qualcosa di più "guerriero" (calci, pugni, ed urla varie), così optai per il Kempo. A 19 anni, il mio modo di intendere le arti marziali era cambiato e scoprii che il Kempo non faceva più per me. Mi misi di nuovo in giro, visitando tutte le palestre di Arti Marziali di Bari, ma non riuscivo a togliermi dalla mente l'immagine del Dojo che avevo visto cinque anni prima. Così eccomi qua…. Redazione: In che modo ritieni che la pratica dell’Aikido ti abbia cambiato o abbia influenzato la tua vita? Paolo Gissi: La filosofia ed il particolare senso della vita che Ueshiba volle trasmettere con l'Aikido, è scritto nei movimenti di quest'arte marziale. Se la pratichi a lungo e con passione, ti entra nel corpo senza bisogno di passare dalla testa. Così te la porti dietro, anche fuori del tatami. Redazione: Ricordi il tuo esame da sesto kyu? Paolo Gissi: Ehm... veramente no… ero abbastanza impegnato ad associare inquietanti nomi giapponesi ai relativi movimenti corporei, assumendo nel contempo un'aria di sicura ed esperta padronanza delle tecniche…. In compenso, ricordo bene una lezione di quindici giorni prima dell'esame, quando ebbi modo di scoprire una misteriosa tecnica che suonava come "ucicaitensanchio" e che, a quanto pare, faceva parte del mio programma.... Mi dissi: "Bah, non sarà poi così difficile!"... ...sigh... Redazione: Ci racconti le emozioni provate per l’esame da cintura nera? Paolo Gissi: Capii che ero lì per Pagina 7 sostenere l'esame di cintura nera solo quando, dopo la prima parte dell'esame, gli altri kyu furono mandati a posto ed Hosokawa chiamò chi doveva fare gli esami Dan… Eravamo così pochi…Dopo il brivido iniziale di questa realizzazione, le emozioni si interruppero, sostitute da sudore e fiatone, per riprendere alla fine di tutto quando Hosokawa ci congedò. Ad accogliermi fuori dal tatami c'erano mia madre, Roberto, e la mia amica Yana, che mi comunicarono con i loro sorrisi che un'importante fase della mia vita si era appena conclusa. Redazione: Come ci si sente da cinture nere? Paolo Gissi: L’inconfondibile sensazione di inciampare nell'hakama mentre il Maestro ti chiama come Uke per mostrare la ventisettesima variante della versione estiva di ikkyo, è un'esperienza che potrete scoprire solo quando ci arriverete…. Redazione: Com’è nata l’idea dell’Aikido per ragazzi? Paolo Gissi: Cinque anni fa, Fabrizio mi propose di mettere su un corso di Aikido per ragazzi. Inizialmente, fui molto contento della possibilità, poi, l'incombenza degli esami universitari mi fece tentennare. Fortunatamente, ci fu una persona (grazie mamma!) che mi convinse a fare almeno un tentativo. La prima lezione fu un'esperienza di puro terrore, del tipo "Ed ora cosa gli faccio fare per 60 minuti?".... Quando scoprii che i piccoli si divertivano molto a picchiare gli insegnanti con dei bastoni di gomma, il problema si risolse felicemente.... Redazione: Come imposti una classica lezione per ragazzi e quali principi ci tieni apprendano soprattutto? Paolo Gissi: L'obiettivo tecnico del corso è che i ragazzi imparino gli elementi fondamentali dell'Aikido, i principi, le tecniche e l'etichetta che lo contraddistinguono, alternando i momenti di studio a momenti di gio- co in grado di alleggerire e rendere divertente la pratica…. L'obiettivo formativo, quello che mi sta più a cuore, è trasmettere l'essenza degli insegnamenti di O’ Sensei, ossia che un modo differente di vivere è possibile e realizzabile, qui ed ora, in mezzo ad altri esseri umani e non solo nel mondo immateriale dei pensieri e delle professioni d'intenti. Così, attraverso giochi dai quali è stata bandita ogni forma di competizione interna, cerchiamo di trasmettere loro il piacere ed il divertimento di lavorare insieme, invece che gli uni contro gli altri; con lo studio della lingua giapponese, delle culture e delle filosofie dell'estremo oriente, hanno la possibilità di scoprire che modi di vivere e di pensare distanti anni luce dai nostri, non sono sinonimi di folcloristico o di anormale, ma soluzioni diverse e creative che popoli lontani hanno dato agli stessi problemi, con i quali, i nostri antenati si confrontarono migliaia di anni fa; infine, con la pratica delle tecniche elaborate da O Sensei, i ragazzi hanno modo di scoprire il piacere che dà neutralizzare un'energia aggressiva, senza necessariamente fare polpette del proprio aggressore…. Redazione: Cosa hai maggiormente apprezzato negli insegnamenti del Maestro Ruta? Paolo Gissi: Il Dojo è un luogo davvero speciale. L'atmosfera è tradizionale, calda e raccolta, ma anche rilassante, giocosa e leggera. E' un luogo dove la cultura orientale può vivere e sentirsi a casa. Lo stesso rapporto che c'è tra i praticanti, disteso, spesso di amicizia, l'ho trovato in pochi altri posti dedicati alla pratica delle arti marziali. Tutto questo è frutto del lavoro e della passione di Fabrizio e, tra tutti i suoi insegnamenti, è per me quello più importante, perché mi ha dato la dimostrazione e la fiducia che è possibile realizzare un posto come questo. Redazione: Perché consiglieresti SHINBUNEWS la pratica dell’Aikido? Paolo Gissi: Perché è un modo intelligente di avvicinarsi alla cultura orientale, vivendola oltre che studiandola; perché le tecniche indirizzano il corpo verso movimenti naturali e fluidi, garantendo divertimento oltre che una bella sudata; perché l'attenzione all'aspetto mentale permette di esplorare qualità che difficilmente emergerebbero spontaneamente nella vita di tutti i giorni; perché si conosce tanta bella gente… Redazione: Sappiamo che hai altre passioni oltre l'Aikido: quali sono gli interessi che coltivi? Paolo Gissi: Arti Marziali a parte, sono interessato alle radici del pensiero filosofico orientale ed alla lingua cinese. Per il resto, amo le danze popolari, quelle del Sud Italia in particolare, mi piace seminare il panico nella memoria del mio PC e, essendo un tipo molto curioso, di solito la quantità di libri sparsi per le mie stanze eccede di molto le buone intenzioni di metterle in ordine.… Redazione: Ritieni che qualcuno di essi abbia migliorato la tua pratica dell’Aikido? Paolo Gissi: Ritengo che tutti abbiano contribuito al mio sviluppo come persona. Aikido compreso Redazione: Cosa trovi nelle altre arti marziali che non trovi nell’Aikido? Paolo Gissi: Il mio amore per le arti marziali iniziò a 6 anni, a causa della stessa persona che ha acceso la scintilla in tanti altri praticanti (un indizio… usa il kiai dello scoiattolo ma non ha niente a che fare con Cip&Ciop …). Dall'età di 10, ho iniziato a praticarle e, da allora, non ho più smesso. Per questo motivo mi sento un praticante di Arti Marziali, prima ancora che un praticante di Aikido. L'Aikido mi fornisce una cornice spirituale che non ho trovato in nessun'altra arte marziale, ed anche una meta molto difficile da raggiungere ma altrettanto bella, proteggere e proteggersi, senza ferire… In quanto praticante di arti marziali, però, non posso separare quest'aspetto dallo scalino che lo precede, l'efficacia del proprio bagaglio tecnico. Questo percorso non può che essere personalizzato, richiede la ricerca di ciò che ti manca all'interno di altri patrimoni marziali, alcune particolari metodologie di allenamento e qualche livido in più. ….però ne vale la pena… Redazione: Cosa ti auguri per il futuro? Paolo Gissi: ...che il ciliegio continui sempre a fiorire... Ed ora passiamo alle domande "disinteressate": Redazione: Hai letto il numero zero del giornalino? Se sì, che ne pensi? Se no, PERCHE?!?! Paolo Gissi: Ma certo! ed anche il numero 1! Sono davvero ben fatti e divertenti!! Redazione: Che ne pensi dei componenti della redazione? Paolo Gissi: Sono tanto tanto simpatici….e so che mi perdoneranno per il ritardo geologico con cui ho consegnato quest'intervista. Cognome: Gissi Nome: Paolo Giuseppe Data di nascita: 9/10/76 Professione: Dottorando, per il prossimo anno e mezzo. Poi non so.... Grado di Aikido: II Dan Hobbies: Leggere, ballare, pasticciare con tutto ciò che usa un sistema binario, ed altro ancora… Un mio pregio: Sono veloce come una lumaca artritica dopo una scorpacciata di insalata. Un mio difetto: Sono lento come una lumaca artritica dopo una scorpacciata di insalata. Segni particolari: Uno sguardo di lucida follia in presenza di cioccolate e dolci di vario tipo…. Dicono di lui… “Quando insegna ai bambini è all’altezza della situazione… (Fabrizio) “Paolo? Cintura nera di tarantella!” (Salvatore) “Sul mio cellulare è segnato sotto la voce di Don Corleone” (Valeria) “Insegna con fermezza senza mai perdere la dolcezza” (Alessandro A.) Pagina 8 S H I N B U NE W S Pagina 9 SHINBUNEWS Il Praticante (si) racconta di Alessandro Alboreto Pensieri di un principiante Combattuto per un po’ (perché dovrei…cosa scrivere…come scriverlo…a chi interesserebbe…), mi sono ritrovato a cedere all’istinto irrazionale di accogliere l’invito (so di chi è la colpa!) a raccontare le mie esperienze di principiante di Aikido. In fondo, questa è occasione di Pratica, seppure in altra forma. Da pochissimo, mi sono accostato a questa disciplina, perciò, se le mie prime impressioni dovessero risultare molto distanti dal vero spirito dell’Arte, siano bonariamente scusate. L’Aikido. Mi capita di paragonarlo ad una finestra, dalla quale entrano raggi luminosissimi di sole. Da fuori, filtra un nuovo profumo. Il davanzale è in alto, ma, con un po’ di sforzo, in punta di piedi o a saltelli, posso raggiungerlo, talvolta. Allora mi appare, a tratti, un panorama bellissimo, sconosciuto. A prima vista, posso osservare un’Arte che insegna un sistema di difesa, mediante movimenti eleganti, misurati e ritmati, dotato della peculiarità di garantire, consapevolmente, il minor impatto in termini di danni fisici, sia per l’aggredito che per l’aggressore. Se lo sguardo, poi, si sofferma un po’ di più sui particolari, mi accorgo che i praticanti si rivolgono gli uni agli altri con costante rispetto, al di là di ogni suddivisione basata sull’esperienza, anzianità, bravura. Questo mi fa supporre che una delle conseguenze della Pratica possa essere imparare ad accettare chi (e ciò) che ci circonda, a tentare di capirne i punti di vista (pur non necessariamente facendoli nostri), di dialogare insieme, di convivere anche con le differenze e con gli eventuali fastidi (…) che da ciò possano derivare. Quando la vista riesce a farsi acuta e profonda e osserva lontano, scorgo negli aikidoka persone in costante ricerca e conoscenza del proprio Io. Senza altri avversari, Pagina 10 senza gare, senza vincitori e sconfitti. Ognuno, in realtà, è senza alcuna maschera davanti a sé stesso, al suo sudore, ai suoi progressi e ai suoi fallimenti. Ognuno, se lo vuole, attingendo a tutte le ricchezze e le risorse che porta dentro sé, può essere e migliorare. Quale incredibile possibilità, oggi quanto mai rara e preziosa !!! …Ma, a me, nel frattempo, cosa sta succedendo ? Provo a descriverlo, ricorrendo, inevitabilmente, ad un elenco di aspetti, che, però, devono intendersi interrelati ed interconnessi. Innanzitutto ho più “fiato”. Ad esempio, mi capita mantenere regolare il ritmo della mia respirazione pur dopo diverse rampe di scale (che prima mi imponevano di arrivare in sommità quasi boccheggiante). E ciò, non solo per un aumento delle capacità aerobiche, acquisito con l’allenamento atletico, ma perché… respiro meglio: le mie inspirazioni ed espirazioni si sono fatte più lente ma più profonde! Inoltre, un minor affaticamento deriva anche dal cercare di mantenermi il più possibile rilassato, evitando contrazioni muscolari inutili, “parassite” di energia e di ossigeno. Infatti mi accorgo di essere più sciolto, non solo in termini di allungo muscolare. Gradualmente, divento più consapevole dello stato del mio corpo, e, talvolta, mi capita di avvertire contrazioni muscolari involontarie (il più delle volte spalle e collo, ma anche gambe e polpacci), magari in occasione di momenti della giornata di particolare tensione, che provvedo subito ad allentare. Un ulteriore fatto è il miglioramento dell’equilibrio e una maggiore attenzione alle percezioni sensoriali, in particolare, per quanto riguarda il tatto e la vista. Ad esempio, qualche giorno fa, la mente serena e non affollata da tumultuosi e inutili pensieri come era mio solito…, mi sono accorto di camminare, con l’impressione che i piedi affondas- sero in un tappeto sabbioso, su un marciapiede pavimentato da mattonelle sconnesse in qualche punto e non posate perfettamente in piano (lo ho percepito attraverso la suola delle scarpe) mentre guardavo, tra le cime degli alberi, un colorato e frizzante panorama, in cui il giallo dell’intonaco di un edificio storico si accostava al rosso del rivestimento di un palazzo vicino, sotto un cielo azzurrissimo di primo mattino. Eppure, da sette anni percorro, quotidianamente, quella strada… Non ci avevo fatto mai caso, prima. Vi è, poi, anche un miglioramento dei “riflessi”. In realtà, non è proprio che io sia diventato più veloce. Anzi, la sensazione che provo è esattamente opposta: se capita una circostanza eccezionale che richiede una mia reazione, a volte, mi sembra che sia il ritmo delle cose a rallentare, ed io mi ritrovo ad agire in tutta calma, con naturalezza. Questo può accadere per strada, alla guida della macchina, quando, improvvisamente, sbuca da una traversa un autoveicolo oppure si apre incautamente una portiera da una vettura in sosta. C’è TUUUUUTTO il tempo di accorgersi dell’avvenimento, di frenare e/o deviare senza che nulla sia stato turbato da questo episodio. Anche prima, in tali circostanze, riuscivo ad evitare conseguenze dannose, ma a prezzo di un improvviso picco di attenzione e di ansia, a volte perfino con i battiti cardiaci accelerati (e senza contare gli eventuali improperi rivolti all’indirizzo altrui). Ma andando più a fondo, ci sono anche altri benefici. Infatti, la mia attitudine ai rapporti interpersonali risulta migliorata. Un po’ drastico e solitario introverso, inizio ad imparare l’apprezzare e il coltivare l’incontro e il confronto con le persone che mi circondano. In famiglia, con il partner, con gli amici, con i colleghi e con il capo sul lavoro, con il passante che forS H I N B U NE W S tuitamente si trova accanto a me in un certo posto in un certo momento. So di avere ancora molto da fare, ma, forse, ho individuato la giusta direzione verso la quale indirizzarmi. Infine, risulta differente il mio atteggiamento, in generale, di fronte alle cose e alle circostanze. Programmazione-RazionalitàRigidezza nelle posizioni e nelle scelte potevano, in forte sintesi, descrivere i miei comportamenti. Ora qualcosa è cambiato. Sto provando, talvolta, ad affrontare le situazioni con un’ ottica più flessibile, tentando di adattarmi e di improvvisare senza drammatizzare troppo se le cose prendono una piega (da me) imprevista. Sto provando, talvolta, a non pre- tendere (dalle cose, dagli altri e da me), ma gustarmi ciò che accade. Sto provando, talvolta, ad avere il coraggio di seguire la via del cuore e di fare quello che sento di volere e non solo quello che ritengo sia “giusto”, “meglio”, “doveroso”. Quale è il risultato? Forse, sono un po’ più felice. Per questi primi passi e per quelli che potrò ancora muovere su questa via, colgo l’occasione per ringraziare i miei compagni e i miei Senpai del loro costante ed insostituibile aiuto, e il Maestro… Durante un giorno di Pratica, nel Dojo: …un volto sorridente mi invita ad arrampicarmi sul davanzale di quel- la finestra, a scavalcarlo e ad andare dall’altra parte. Mi lancio, allungando la mano che mi viene afferrata con ferma dolcezza, mi sento quasi cullato in un abbraccio materno, un senso di libertà mi pervade e, per un istante, non sono più vincolato alla terra … Mi rialzo, riconoscente al Maestro che, poco prima, ha eseguito Iriminage. Ed io ero Uke… “Che fortuna averti incontrato!” – penso, guardandolo con la coda dell’occhio per non farmene accorgere - “Chissà quando sarò capace di esprimerti la mia vera stima e gratitudine, perché stai insegnandomi a cambiare, pur essendo sempre me stesso. Anzi, ancora più di prima.” Oggi, è giorno di Pratica, nel Dojo. RUTA DIXIT: Nelle arti marziali si inizia con ripetto e gentilezza e si conclude con rispetto e gentilezza. Nel mezzo ci si scanna! Durante una lezione, prima del saluto finale RUTA DIXIT: Gesù Cristo in croce disse “Minchia! Proprio a me! E meno male che sono il prediletto!” Pagina 11 SHINBUNEWS Storia del Bokken di Francesco Magrone e Riccardo Solito Spesso, nella pratica dell’aikido, si ricorre ad eseguire tecniche legate anche all’aikiken. Per questo, durante i nostri allenamenti, ci facciamo supportare dai bokken fornitici dalla palestra o personali per chi li possiede. Ma pochi sanno che quel pezzo di legno, modellato con le fattezze di una spada, racchiude in sé una storia affascinante… (In giapponese, Bo significa legno e Ken spada. Bokken, quindi, significa spada di legno. Ma attenzione: non è un giocattolo! Dentro quel pezzo di legno, c'è l'arte e l'esperienza dei samurai e la cultura dell'intero Paese del Sol levante.) La tradizione delle armi in legno, in Giappone, era decaduta con l'avanzare delle tecniche di fusione dei metalli e la costruzione delle prime spade, in cui, presto, i maestri artigiani giapponesi erano diventati molto abili e raffinati. Fu il diffondersi delle scuole (kenjitsu ryu) che permise, al bokken, una prima importante rivalutazione. Negli allenamenti, era pericoloso impugnare una vera spada e, spesso, anche nelle simulazioni rallentate c'era il rischio di rovinare l'arma o di farsi male. L'alternativa era l'uso di una spada di legno modellata e sagomata che aveva le stesse caratteristiche di maneggevolezza e somiglianza. Tra i vari tipi di legno, a principio, si preferì usare la quercia rossa e bianca, un Pagina 12 legno ottimale per la durezza e il peso. Furono le scuole a differenziarlo sempre di più: ogni Ryu aveva i suoi metodi e i suoi stili che incidevano anche nella forma e nella fabbricazione dei Bokken. Nel periodo dello Shogun, le varie scuole di Kenjitsu verificavano l'efficacia delle loro tecniche in veri e propri duelli con le spade vere (Shinken Shobu). Questa pratica comportava la morte del perdente o, talvolta, di entrambi i contendenti. Furono quindi emanati editti che proibirono lo Shinken Shobu. Fu così che il Bokken rimpiazzò la spada, in questi duelli fra le varie scuole. Tuttavia, quest'arma, in apparenza non letale e priva di taglio, poteva procurare gravi ferite e, in alcuni casi, anche la morte. Col tempo, il bokken migliorò la sua efficacia fino a diventare un'arma vera e propria, tanto che alcuni samurai finirono col preferirla alla vera spada. Tra questi Myamoto Muschi, noto per aver vinto più di 60 duelli, in alcuni casi, affrontò l'avversario usando il bokken anche contro armi reali. La tendenza produsse un'ulteriore irrigidimento delle leggi e anche quest'arma fu vie- tata ed il suo uso fu ristretto ai Kata (forme di apprendimento figurato). Nei duelli tra scuole, fu introdotta una spada fatta da strisce di bambù tenute insieme da legacci di cuoio (shinai), usata anche dal Kendo moderno, che consentiva un certo margine di incolumità. Strumento ideale per la pratica sportiva, lo shinai, tuttavia, non dà la piena sensazione di una spada vera, per cui i kata di Kendo e la pratica delle armi in Aikido sono ancor oggi eseguiti con il bokken. Il praticante di oggi acquista un bokken commerciale fatto con legni comuni, ma procurarsi o fare un buon bokken è difficile. Conoscenza della tecnica, utilizzo di un ottimo legno, una buona levigatura e una concentrazione di tipo spirituale sono le condizioni indispensabili per la costruzione di un bokken degno di questo nome. E ormai, anche in Giappone, questa antica arte vive un inesorabile declino e gran parte della produzione è di tipo industriale. Comunque sia, il bokken resterà, per tutti i praticanti, la migliore arma da studio e, anche se esso è fabbricato con metodi industriali, il suo spirito intrinseco può emergere solo dalla passione e dalla determinazione del praticante che lo utilizza per allenarsi. S H I N B U NE W S Kokyu soren di Fabrizio Ruta, disegni di Fabio Fucilli Descriviamo una serie di esercizi di respirazione del kinorenma, chiamati "kokyu soren" che andrebbero praticati al mattino presto. Queste respirazioni apprese in India dal Maestro Nakamura Tempu, furono trasmesse al Maestro Hiroshi Tada quando quest'ultimo studiò presso la sua scuola, la Tempukai. Normalmente vengono proposte dal nostro Direttore Didattico, durante i suoi stage all'inizio di ogni sessione di allenamento. Si inizia la sequenza partendo sempre da gassho. Si portano così i piedi uniti e le mani giunte all'altezza del petto "prendendo il ki dell'universo con ringraziamento" così come il Maestro Tada descrive l'atteggiamento da tenere. 1- Esercizio per il sistema nervoso centrale. Partire dalla posizione eretta con i talloni a contatto tra di loro e la schiena diritta. Inspirando sollevarsi sulla punta dei piedi portando il mento verso il petto ed estendendo la nuca verso l'alto. Immaginate e sentite il ki che risale lungo la colonna vertebrale fino all'apice della testa. Mantenendosi sulla punta dei piedi trattenere il respiro rilassando le spalle e chiudendo l'ano (osoku) e contando dai 3 ai 5 tempi. Espirare tornando nella posizione di partenza. 2- Esercizio per il sistema nervoso periferico. Si parte sempre dalla posizione eretta con le gambe aperte ad una distanza pari alla larghezza delle spalle (questa è la posizione di partenza anche per tutti i successivi esercizi). Inspirare portando le braccia in alto e avanti poco oltre l'altezza delle spalle (dis. 2). Continuando il movimento portare i pugni chiusi vicino al petto piegando i gomiti (dis. 3). Alla fine di questo movimento si fa osoku e successivamente si aprono di scatto le dita delle mani partendo Pagina 13 dal mignolo e arrivando fino al pollice. E possibile anche aprire con forza tutte le dita contemporaneamente. Infine si lanciano le braccia verso l'alto (dis. 4) ed espirando si portano in basso e verso l'esterno (dis. 5). 3- Ibuki Dalla posizione di partenza inspirare e poi eseguire osoku. Durante l'espirazione, inviare il ki dall'hara in tutto il corpo verso le estremità mettendo una certa "pressione" (dis. 6). 4- Esercizio per il sistema respiratorio (per aumentare l'apertura degli alveoli polmonari). Inspirare "aprendo" il petto accarezzandolo con le mani partendo dalla linea centrale del corpo e andando verso l' esterno (dis. 7). Fare osoku e tamburellare con la punta delle dita sul petto (dis. 8). Infine espirare lanciando le braccia prima in alto e poi in basso e verso l' esterno. 5- Variazione dell'esercizio numero 4 Rispetto all'esercizio precedente questo risulta più intenso ed associa all'apertura degli alveoli polmonari la stimolazione del sistema nervoso. In questo caso durante l'inspirazione si tamburella sul petto con le dita poi, dopo aver fatto osoku, si batte, con il palmo delle mani aperte, sul petto per tre volte. Ed infine si espira sempre lanciando le braccia in alto e verso l'esterno e in basso. 6- Esercizio per il sistema respiratorio (per la mobilizzazione del diaframma e della parte bassa dei polmoni). Mettere le mani sui fianchi sistemando i pollici al lato della colonna vertebrale con le altre dita puntate verso l'alto (dis. 9). Inspirando far scivolare le mani verso l'alto fino all'altezza del petto (dis. 10). Facendo osoku portare le mani prima in gassho (dis. Il) e poi verso il basso tenendo i palmi ben chiusi finchè si riesce (dis. 12), poi allontanarle spontaneamente. A questo punto inizia la espirazione mentre le braccia si allontanano e vanno in fuori (dis. 13). 7- Esercizio per il sistema respiratorio (per aprire la parte media e alta dei polmoni). Inspirare alzando le braccia diritte in avanti finchè non raggiungono quasi l'altezza delle spalle. Eseguire osoku chiudendo i pugni e contemporaneamente portando l'articolazione scapolo-omerale all'indietro (dis. 14). Trattenendo sempre il respiro, "aprire il petto" portando le braccia, con un movimento secco ma elastico, all'indietro e contemporaneamente piegare anche i polsi verso l'esterno e all'indietro (dis. 15). Si riportano poi le braccia sempre tese davanti al petto (dis. 16). L'intera sequenza va eseguita con un movimento continuato e fluido per tre volte di seguito (per i bambini è consigliata una sola ripetizione, mentre gli adulti possono arrivare fino a cinque con un unica ritenzione del respiro). Infine si aprono i pugni estendendo le dita in avanti e si espira riportando le braccia nella posizione di partenza ai lati del busto. 8- Esercizio per migliorare la circolazione sanguigna. Aprire le gambe ad una distanza pari a due volte l'ampiezza delle spalle e piegarsi leggermente in avanti immaginando di impugnare un bastone tenuto orizzontalmente sopra le ginocchia (dis. 17). Inspirando si riavvicinano le gambe e le mani le quali vengono richiuse a pugno. Eseguire osoku " c o n t r a e n d o " c o n t e m p oraneamente i muscoli delle gambe e delle braccia allo scopo di "pompare" il sangue verso l'hara (dis. 18). Espirando si riportano lentamente le braccia e le gambe alla posizioSHINBUNEWS ne di partenza (dis. 19). Dopo questa sequenza, la cui successione non è fissa, può cioè essere modificata a seconda delle esigenze individuali, normalmente il Maestro Tada fa eseguire una respirazione di purificazione (kiyo- me). Questa inizia con una inspirazione cui segue una espirazione durante la quale si espira l'aria velocemente con forza e a "scatti", Alla fine dell' espirazione si esala dalla bocca con energia l'ultima aria rimasta nei polmoni. Alla successiva e spontanea inspirazione si fa seguire osoku e poi un' emissione sonora (kiai) che parte dall'hara. Il suono da emettere consigliato per i principianti è "ve-ei". GLOSSARIO: Haku = espirare Hara = ventre Ka-tanden = baricentro dell'essere umano Ki = energia vitale Kiyome = purificazione Kokyuu = respirazione (intesa come controllo del ki) Osoku = fermare il respiro e contemporaneamente rilassare le spalle e la nuca, chiudere l'ano e concentrarsi sul ka-tanden Soren = esercizio concentrato Suu = inspirazione Pagina 14 S H I N B U NE W S Raja Yoga e Kinorenma di Jacqueline Gentile "Finché c'è respiro, nel corpo, c'è vita. Quando si diparte il respiro, si diparte anche la vita. Perciò regola il respiro." Durante il seminario di Ki-norenma che si è tenuto, allo Shin-bu dojo, nel week end del 12-13 marzo 2005, il Maestro Ruta ha impostato l’intero lavoro sul parallelismo esistente tra Aikido e raja e karma yoga. In questo articolo, mi propongo di interpretare questa stretta corrispondenza, al fine di mettere in risalto il modo con cui queste due forme di yoga sono intrinseche nella pratica dell’Aikido. Il karma yoga è lo yoga dell’azione disinteressata cioè è la via di realizzazione, per mezzo delle opere, senza l’attaccamento ed il desiderio di un possibile successo. Abbandonando ogni atteggiamento egoistico, ogni ansiosa attesa del risultato, l’azione diventa pura. L’uomo deve portare un contributo al mondo attraverso la propria opera ma, allo stesso tempo, deve rinunciare all’idea del risultato e del successo. Questo vuol dire anche distaccarsi dall’ansia provocata dalla competitività, dalla brama di arrivismo, dall’ossessione del trionfo. L’Aikido può essere, quindi, considerato una forma di karma yoga perché si basa soprattutto sull’azione, sul movimento, sull’uso del corpo. Inoltre, la pratica di quest’arte marziale contiene, intrinsecamente, il concetto di assenza di competitività: non sono previste gare anzi vi è un continuo aiutare e sostenere chi ha meno esperienza, una costante messa in gioco, un ricorrente prendere consapevolezza dei propri errori, dei propri limiti, delle proprie debolezze. L’azione, in questo caso, non è un mezzo per affermare il proprio io in maniera egoistica ma diventa un momento di crescita individuale e di confronto con le altre persone: si svincola, cioè, dalla sete di successo per diventare una via di realizzazione più profonda, una forma di meditazione in movimento. Il raja yoga, invece, è stata codifiPagina 15 cato da Patañjāli nei suoi famosi sutra in cui ha enumerato otto stadi dello yoga nella ricerca dell’anima: 1) Yama: comandamenti morali universali. 2) Niyama: comandamenti morali individuali. 3) Āsana: posizione. 4) Prānāyāma: controllo ritmico del respiro. 5) Pratyāhāra:controllo della mente dal dominio dei sensi. 6) Dhārana: concentrazione. 7) Dhyāna: meditazione. 8) Samādhi: stato di concentrazione supercosciente ottenuto con profonda meditazione in cui l’aspirante individuale diventa uno con l’oggetto della meditazione. Spiega Iyengar, il maestro indiano di Yoga più conosciuto in Occidente:"Un albero ha radici, rami, foglie, corteccia, linfa, fiori e frutti. Ognuna di queste componenti ha una identità separata, ma ognuna di esse, da sola, non può diventare un albero. Lo stesso avviene con lo Yoga. Come tutte le parti, unite insieme, divengono un albero, gli otto stadi messi insieme formano lo Yoga. I principi universali di Yama sono le radici, e le discipline individuali di Niyama formano il tronco. Le Asana sono come i vari rami che si allargano in diverse direzioni. Il Pranayama che provvede ad areare il corpo con l'energia, è come le foglie che forniscono l'aria all' intero albero. Il Pratyahara impedisce che le energie dei sensi fluiscano verso l'esterno, proprio come la corteccia protegge l'albero dalla putrescenza. Dharana è la linfa dell'albero e mantiene saldi la mente e l' intelletto. Dhyana è il fiore, che matura nel frutto del Samadhi. Come il frutto è il più alto punto di sviluppo di un albero, la realizzazione del proprio IO (Atma) è il culmine della pratica dello Yoga” Yama rappresenta le discipline etiche, comandamenti della mora- lità nella vita individuale e sociale. Essi sono: ahimsā (non violenza), satya (verità), asteya (non rubare), brahmacharya (continenza) e aparigraha (non ricevere). Niyama rappresenta regole di condotta di applicazione individuale (e non universale come yama). Tali comandamenti sono: saucha (purezza), santona (il contentarsi), tapas (austerità), svādhyāya (studio dell’Io) e Īsvara Pranidhāna (consacrazione al Signore). Āsana: Posizione che dona fermezza, salute e leggerezza al corpo; una posizione ferma e piacevole crea equilibrio mentale e previene l’incostanza della mente. Prānāyāma: Estensione del respiro e suo controllo. Prānā significa fiato, respirazione, vita, vitalità, energia, vento. Ayāma significa espansione, lunghezza, stiramento o controllo. Tale controllo si esplica in ogni fase della respirazione: - pūraka (riempimento dei polmoni): inalazione o inspirazione; - rechaka (svuotamento dei polmoni): esalazione o espirazione; - kumbhaka: trattenimento o possesso del respiro Kumbha è una brocca, un recipiente per l’acqua e come tale può essere svuotato dall’aria che è al suo interno e riempito di acqua completamente oppure può essere svuotato dall’acqua e riempito completamente di aria. Esistono, quindi, due stati di kumbhaka: 1) antara kumbhaka: il respiro viene sospeso dopo una profonda inspirazione; 2) bāhya kumbhaka: il respiro viene trattenuto dopo una espirazione completa. La maggior parte della gente, per abitudine (cattiva), non dà la dovuta importanza alla respirazione, che, secondo lo yoga, ha un ruolo fondamentale per il benessere psicofisico e spirituale. Nel respiro, non ci limitiamo ad inspirare ossigeno, elemento fondamentale per la vita delle cellule e il manteniSHINBUNEWS mento della vita, ma possiamo assorbire il Prana, la forza vitale essenziale presente in quantità illimitata nell'universo attraverso una respirazione controllata. Il nostro corpo è percorso da più di settantamila canali energetici, chiamati nadi nella fisiologia dello Yoga, i quali possono essere purificati ed attivati attraverso la corretta esecuzione delle Āsana e del Prānāyāma. I Nadi corrispondono ai Meridiani della medicina cinese, sono canali energetici che percorrono l'intero corpo, dalla testa ai piedi. Quando assorbiamo liberamente il Prana, ci sentiamo forti, euforici, soddisfatti e creativi; raggiungiamo facilmente uno stato di pace e di armonia che ci sembra molto naturale e spontaneo. Quando i Nadi sono bloccati da contrazioni fisiche ed ostruiti da emozioni negative, l'energia vitale non scorre in modo sciolto e naturale ed allora saremo più inclini alla malattia e alla depressione. I Nadi principali sono tre: il più importante si chiama Sushumna ed è localizzato nel midollo spinale, gli altri due, Ida e Pingala, sono disposti a spirale ai lati dello Sushumna lungo la spina dorsale. Pingala, chiamato il Nadi del Sole, passa attraverso la narice destra ed esprime l'energia dinamica maschile. Ida, il Nadi della luna, attraversa la narice sinistra ed attiva l'energia femminile, più riflessiva e creativa. Con una corretta respirazione nasale alternata, si raggiunge uno stato di pacifico equilibrio tra le forze opposte che si muovono in noi: raggiungiamo, quindi, quello che i cinesi chiamano lo stato di beatitudine del Tao in cui le qualità dello Yin (il femminile) e dello Yang (il maschile) si bilanciano mescolandosi con amore. La durata della vita di uno yogi non viene misurata con il numero dei suoi giorni ma con quello dei suoi respiri per cui egli segue i giusti modelli ritmici della respirazione lenta e profonda che rafforzano il sistema respiratorio, calmano il sistema nervoso e riducono la bramosia. Man mano che i desideri diminuiscono, la mente si libera e diventa un mezzo adatto alla concentrazione. Pratyāhāra: Effettuando un conPagina 16 trollo ritmico sul respiro, i sensi, invece di correre dietro agli oggetti esterni del desiderio, si introvertono e l’uomo si libera dalla loro tirannia. Questa fase dello Yoga, letteralmente il "distacco", aiuta a portare le funzioni dei sensi sotto il controllo della coscienza vigile. Lo yogi impara a ritrarre i sensi all'interno, si allontana dagli oggetti esterni ed esercita così un distacco cosciente e volontario dalla realtà esterna che spesso è causa di distrazione e confusione mentale. Questa fase apre la via all'esper i e n z a i n t e r i o r e . Dhāranā: Forgiato il corpo con la pratica delle āsanas, purificata la mente dal fuoco di prānāyāma e portati, con pratyāhāra, i sensi sotto controllo, viene raggiunto lo stato di assoluta concentrazione. Dharana è la concentrazione, che significa mettere la propria attenzione cosciente su un solo punto, una persona, un oggetto o un fatto. Senza la padronanza totale di Dharana, non si può praticare correttamente la meditazione e di conseguenza raggiungere l'illuminazione che è l'obiettivo finale dello Yoga. La concentrazione aiuta ad allentare la tensione emozionale e dissipa le nebbie che spesso avvolgono le nostre capacità mentali. Dhyāna: Come l’acqua assume la forma del recipiente che la contiene, la mente, quando contempla un oggetto, si trasmuta nella forma di tale oggetto. Quando il flusso della concentrazione è continuo, nasce lo stato di dhyāna (meditazione). Dhyāna è la meditazione, ed è l'anticamera dell'illuminazione, dell'estasi e della felicità. Samādhi: Compimento della ricerca, culmine della meditazione. Corpo e sensi sono in stato di riposo, mente e ragione vigili. La persona in stato di samādhi è conscia e vigile. E' uno stato supercosciente di illuminazione dello spirito, una situazione di pura estasi in cui l'essere individuale raggiunge l'essenza dell'Amore Eterno Incondizionato; in questo stato di beatitudine, il vero IO percepisce la sua identità originale, che non ha né inizio né fine, ed il suo eterno legame con lo Spirito Cosmico. Pata- ñjāli, il grande maestro spirituale dell'India antica, spiega che la causa primaria della sofferenza che affligge gli uomini è l'ignoranza della propria natura spirituale. La consapevolezza della propria identità rimuove il velo illusorio (Maya) che offusca la nostra visione e sradica progressivamente il dolore dal nostro essere. Noi non siamo esseri umani che devono sforzarsi di avere saltuariamente delle esperienze spirituali. E' vero esattamente il contrario: siamo esseri spirituali eterni e stiamo vivendo, in questo momento, una meravigliosa esperienza umana sul pianeta Terra. La paura e l'ansietà impediscono l'illuminazione del Samādhi. Queste due emozioni, che generalmente vengono considerate negative, hanno una loro funzione naturale: sono due spie a luce rossa che ci segnalano che qualcosa non funziona bene nel nostro campo energetico. La paura rivela che la nostra capacità di amare si è abbassata. Nell’Aikido, è possibile ritrovare gli stessi anga: Yama e Niyama sono concetti che dovrebbero essere intriseci, nella natura di ogni individuo, anche se la realtà quotidiana, il condizionamento del progresso, le dinamiche interpersonali ci portano spesso a trasgredirle. La violenza, la paura, l’irrequietezza, la debolezza, la collera avviliscono la mente, conducono ad una eccessiva esaltazione del proprio io, ad un progressivo districarsi dagli altri esseri viventi con cui siamo, invece, per natura, strettamente interconnessi, portano ad un allontanamento dalla verità, lasciano il posto alle menzogne, alla mancanza di fiducia. Queste pericolose direzioni che l’animo umano può intraprendere si riflettono negativamente nella esecuzione delle tecniche: per praticare serenamente l’aikido, sono necessarie trasparenza, fiducia nel prossimo, rilassamento, stabilità, energia. Queste peculiarità diventano irraggiungibili in uno stato di perenne allerta, di costante paura di tradirsi, di mostrare le debolezze, di rifiuto della disciplina. In ogni momento di meditazione, la mente sarebbe facile preda di pensieri caotici e disordinati, di S H I N B U NE W S preoccupazioni, di stati d’animo contraddittori. Āsana: corrispondono, nell’Aikido, all’aikitaiso cioè alla ginnastica che serve a riscaldare il corpo, a renderlo forte, tonico ed elastico e pronto per una pratica rilassata, consapevole e centrata. Una semplice ginnastica determina il miglioramento della circolazione sanguigna, della capacità respiratoria, l’eliminazione di molte tensioni, il riequilibrio della struttura scheletrica e muscolare, una maggiore flessibilità, armonia e coordinazione. Prānāyāma: trova il suo immediato riscontro nelle tecniche di respirazione (kokyu-ho), durante le quali, è essenziale trovare e mantenere il giusto ritmo che è diverso per ogni individuo. Durante l’esecuzione del kokyuho, è possibile associare una serie di suoni pronunciando una vocale, durante la fase di espirazione, oppure vocalizzando le cinque vocali nella sequenza: A-I-U-E-O-M. Al risveglio, è consigliabile eseguire una serie di esercizi di respirazione che vanno sotto il nome di kokyu-soren di cui troverete spiegazione alle pagine 13-14 di questo numero dello Shinbunews. Sono, inoltre, fondamentali le tecniche di circolazione del ki che si eseguono durante il kokyu-ho visualizzando un particolare percor- so del ki e cercando di “sentire” realmente la sua circolazione percependolo come calore, vibrazione, suono, luce etc. Pratyāhāra: consiste nella capacità di recepire tutti gli stimoli sensoriali senza farsi condizionare o influenzare o, meglio, di avvertire rumori, odori, senza formulare impressioni e giudizi in merito. Questo si riflette nella pratica dell’Aikido in quanto, durante le tecniche, è necessario percepire con chiarezza gli stimoli sensoriali dell’ambiente che ci circonda senza che la mente intervenga con una risposta difensiva. Ad esempio, nel momento in cui il partner ci afferra, è necessario prendere atto di ciò senza irrigidire i muscoli o, quando si riceve un attacco, non bisogna decidere preventivamente quali tecniche di difesa sarebbero più efficaci. Dhāranā: concentrazione che si sviluppa naturalmente durante la pratica. Per sviluppare tale concentrazione, è possibile camminare per strada fissando un punto lontano senza farsi distrarre dal contesto circostante (è un buon allenamento anche per metsuke), oppure mettere la propria attenzione sul contatto della pianta dei piedi sul pavimento mentre si cammina oppure, durante l’esecuzione di tecniche, essere coscienti di ogni sin- Riferimenti bibliografici: - “Teoria e pratica dello yoga”; B.K.S. Iyengar - “Meditare per guarire” ; F. Ruta-R.Tursi - “L’albero dello yoga”; B.K.S. Iyengar - Altri scritti di Fabrizio Ruta golo aspetto come la propria postura, il proprio ritmo respiratorio, etc. Dhyāna: meditazione che va allenata separatamente, mediante tecniche particolari, allo scopo di mantenere una condizione di “vuoto mentale” (anjodaza) durante l’esecuzione di movimenti e di tecniche. All’allenamento del corpo, è fondamentale affiancare anche l’allenamento dello spirito mirando ad andare oltre le sensazioni, oltre i pensieri, oltre i sentimenti allo scopo di far emergere il nostro “Se” più profondo. Secondo il Maestro Tada, bisognerebbe praticare continuamente in uno stato meditativo realizzando l’aikido come forma di moving zen mantenendo l’anjodaza come condizione della mente facendo entrare uke nella nostra corrente di ki. “Tori è il padrone di casa che permette ad uke di entrare nel suo giardino come semplice ospite.” ( H. Tada) Samādhi: non rappresenta qualcosa di raggiungibile mediante specifiche tecniche ma, piuttosto, rappresenta il coronamento di tutti gli sforzi compiuti nella pratica dei primi sette gradini o anga. Ed. Mediterranee Ed.Hermes Ed. Astrolabio RUTA DIXIT: Qualcuno ha messo in giro la voce che gli uomini calvi sono più vigorosi...Non è vero! Pagina 17 SHINBUNEWS Bioenergetica Terza puntata: Lowen e l’analisi bioenergetica di Maria Martinelli La nascita dell’analisi bioenergetica Nel 1940, Lowen ebbe l’occasione di ascoltare Wilhelm Reich alla New School for Social Research di New York e questo incontro cambiò la sua vita. Il corso di Reich era dedicato alla comprensione dell’antitesi e dell’identità tra processi psichici e somatici. L’antitesi tra questi due aspetti era cosa nota; invece la loro identità, almeno nel mondo occidentale, non incominciò a venire compresa fino a quando Reich non la affrontò e la riformulò in termini clinici, vale a dire sulla persona viva. Per far questo, modificò in termini molto più concreti il concetto di energia (la libido) del pensiero analitico. Reich sosteneva che l’essere umano è una unità psico-somatica, che esiste una energia (che più tardi Lowen chiamerà “vitale”) e che questa energia può venire “bloccata” difensivamente creando una sorta di struttura: questa struttura costituisce il carattere dell’individuo. Per Reich, infine, il carattere può venire compreso sia nelle modalità con cui insorge sia nelle modalità con cui imprigiona l’individuo. Il carattere denota un modello ripetitivo di comportamento, un ripetersi di emozioni e di pensieri (meglio, di “modi di pensare”). Il carattere, in una parola, è responsabile delle nostre stereotipie. Ma il carattere, con questa unicità fortemente strutturata, ci fornisce anche una identità, ci suggerisce scopi nella vita e ci dà certo un senso di sicurezza. E’ un meccanismo di sopravvivenza e per questo, anche se è responsabile di molte sofferenze, resiste al cambiamento. La terapia, come la considerava Reich, contemplava la resa ai “processi involontari” del corpo, rappresentati essenzialmente da una respirazione spontanea e profonda. L’incitamento di Reich era: “Non farlo, lascia che avvenga”, ammonimento che richiama da vicino alcuni insegnamenti dei maestri orientali, come i taoisti. Le Pagina 18 innovazione che Lowen apporta alle intuizioni di Reich hanno a che fare con diversi aspetti teorici, tecnici e probabilmente ideologici, ma, forse, la principale di queste innovazioni riguarda il cosiddetto grounding (radicamento a terra): il paziente viene portato dal terapista a scoprire quanto egli viva “con i piedi per terra”, nel senso reale dell’espressione e come questa mancanza di “messa a terra”, in senso energetico, agisca negativamente su molti fattori che vanno dalla sessualità allo stesso funzionamento del pensiero. Per Lowen, diventa importante portare il paziente a muoversi, a scalciare, a gridare, a vivere concretamente le paure, la rabbia; diventa importante insegnargli come può arrivare a dire “no” e ad asserire la propria personalità. Tutto ciò per poter sperimentare il piacere. Per Lowen, il pianto è il primo meccanismo di liberazione, potremmo dire di “scarcerazione” del corpo umano: dissolve la tensione, che in questo modo “si scioglie in lacrime”. Il pianto è anche un arrendersi al corpo e un permettere al processo di guarigione di instaurarsi. Molti esseri umani “si concedono” di piangere con moderazione, ma un pianto profondo è per molti un evento fortemente temuto: spaventa perché mette in contatto con la disperazione e con il desiderio di morire. D’altro canto, se un individuo riesce a piangere smuovendo questo livello profondo, scopre di provare un sollievo che lo porta a sperimentare la gioia. La bioenergetica è un modo di comprendere la personalità nei termini dei suoi processi energetici. Questi processi, cioè la produzione di energia attraverso la respirazione e il metabolismo e la scarica di energia nel movimento, sono le funzioni basilari della vita. La quantità di energia di cui si dispone e l’uso che se ne fa determinano il modo in cui si risponde alle situazioni della vita. Ovviamente, le si affronta con più effica- cia se si dispone di più energia da tradurre liberamente nel movimento e nell’espressione. Una tesi fondamentale della bioenergetica è che, dal punto di vista funzionale, il corpo e la mente sono identici: quello che succede nella mente riflette quello che succede nel corpo e viceversa. La mente e il corpo si possono influenzare reciprocamente: ciò che si pensa può influenzare il modo in cui si sente e il contrario è ugualmente vero. Questa interazione, tuttavia, è limitata agli aspetti consci o superficiali della personalità. A un livello più profondo, cioè al livello dell’inconscio, il pensare e il sentire sono condizionati da fattori energetici. Per esempio, è quasi impossibile per una persona depressa emergere dalla sua depressione con l’ausilio di pensieri ottimisti. Questo perché il suo livello di energia è depresso. Quando il livello energetico aumenta tramite la respirazione profonda (anche la respirazione era depressa come tutte le altre funzioni vitali) e la liberazione del sentire, allora la persona esce dal suo stato depressivo. I processi energetici del corpo sono in relazione con lo stato di vitalità del corpo. Più si è vivi, più si ha energia e viceversa. La rigidità o la tensione cronica diminuiscono la vitalità e abbassano l’energia. Alla nascita, un organismo è nel suo stato più vivo e fluido; alla morte la rigidità è totale, si ha il “rigor mortis”. Ciò che possiamo evitare è la rigidità dovuta alle tensioni muscolari croniche risultanti da conflitti emotivi irrisolti. Ogni stress produce uno stato di tensione nel corpo. Normalmente la tensione scompare quando lo stress è eliminato. Le tensioni croniche, tuttavia, persistono, come atteggiamento corporeo o assetto muscolare inconsci, anche dopo la scomparsa dello stress che le ha provocate. Simili tensioni muscolari croniche disturbano la salute emotiva abbassando l’energia di un individuo, limitandone la motilità (il naturale e spontaneo gioco e moS H I N B U NE W S vimento della muscolatura) e l’autoespressione. Secondo Lowen, tutta la storia di una persona è “strutturata” sul suo corpo: ogni emozione e aspetto del carattere, cioè, si addensano nella struttura muscolare dell’individuo e ne determinano la postura e l’aspetto. Per questo motivo, le sofferenze psicologiche causano il più delle volte disagi fisici come tensioni muscolari, posture scorrette e talvolta addirittura vere deformazioni. Per rimuovere questa corazza caratteriale e i blocchi che impediscono un flusso energetico vitale continuo, Lowen propone esercizi basati sul movimento, sulla respirazione e sul grounding, cioè la riconnessione col nostro contatto primario costituito dai piedi che poggiano sulla terra. Lowen parte dal presupposto di una unità che coinvolge l’intero organismo, il quale funziona, appunto, come un tutto unico: ogni disturbo coinvolge l’intera persona e perciò non sussiste la distinzione tra malattia fisica e mentale, tra dolore fisico e mentale. Se una persona ha una malattia di cuore, la persona è malata, non solo il cuore. Allo stesso modo, se una persona soffre di ansia, depressione, fobia o compulsione, il corpo ne viene coinvolto così come la mente. Un trauma fisico coinvolge la psiche così come un trauma psichico coinvolge il corpo. Il dolore del desiderio ardente insoddisfatto che un bambino prova nei confronti della madre non è soltanto un dolore mentale, è strutturato fisicamente nella tensione e costrizione della gola e della bocca tramite le quali quel desiderio sarebbe espresso in pianto o nel protendersi per succhiare o baciare. La presenza di questa tensione e di questa costrizione è la prova del trauma primario e della sua persistenza nel presente. Parlare di unità significa affermare che l’intero corpo è coinvolto nel trauma. Il desiderio insoddisfatto del bambino disturba la sua respirazione, il suo senso di sicurezza nelle gambe e il suo senso di fiducia in se stesso. Ogni trauma disturba i movimenti di pulsazione di base del corpo, vale a dire le comPagina 19 plessive espansioni e contrazioni dell’organismo (che, a questo livello, funziona come una cellula singola) e i movimenti ondulatori longitudinali che fluiscono in su e in giù lungo il corpo. La pulsazione è una qualità di ogni cellula del corpo. Quando la pulsazione è forte, la vita è forte. Alla morte, cessa tutta l’attività pulsatoria. Quando la pulsazione è piena e libera, la persona sperimenta, una sensazione di gioia e di piacere nel corpo; qualsiasi disturbo di questi naturali movimenti pulsatori causa una perdita di sensazioni piacevoli e, se intenso, produce dolore. La qualità della pulsazione nel corpo si manifesta al massimo nella respirazione, che combina i movimenti di espansione e di contrazione con quelli dell’onda longitudinale. Il respiro non è limitato ai polmoni; al contrario, tutto il corpo partecipa ai movimenti respiratori. Il respiro è accompagnato da un’onda che inizia in profondità nella pelvi e si muove in su verso la bocca. Durante la espirazione, l’onda si muove al contrario. Dato che il respiro è disturbato in presenza di tutti i casi di problemi emozionali o nevrotici, si può determinare l’esistenza di questi problemi dalla natura del disturbo respiratorio. Quando si va risolvendo il problema del paziente, il respiro diventa completamente libero e il problema scompare. Il modo in cui ci si siede, si sta in piedi, si respira e ci si muove: tutto ciò è in grado di rivelare problemi e conflitti. C’è sempre accordo tra quello che rivela il corpo e quello che dice il paziente (se questo non accade, la verità è sempre quella espressa dal corpo). Così, se una persona si lamenta di essere depressa, quella lagnanza può essere messa in relazione al livello di funzionamento energetico, che in quella persona sarà depresso. Se il respiro è superficiale, vuol dire che l’espressione dei sentimenti è inibita. A colui che si lamenta di problemi sessuali, può essere dimostrato che ha gravi tensioni nella pelvi, il che riduce la potenza sessuale. Ogni contrattura blocca un flusso di eccitazione o all’insù fin dentro la testa e gli occhi o all’ingiù fin dentro la pelvi, i genitali e le gambe. In questi blocchi, troviamo sempre dolore. Da un certo punto di vista, il trattenimento o la contrazione sono manovre per alleviare il dolore, il dolore di una ferita o di una umiliazione o il dolore di una perdita o di una frustrazione. La contrazione diminuisce il dolore riducendo la sensazione e rendendo la persona insensibile: si rende la parte insensibile. Rilasciare ciò che si trattiene è dapprima sperimentato, perciò, come doloroso. Il passaggio di una forza energetica (sangue) attraverso un’area compressa è doloroso. Nessuno può raggiungere alcun cambiamento caratteriale significativo senza sperimentare il dolore del cambiamento. Secondo Lowen, 1) qualsiasi limitazione della motilità è sia il risultato sia la causa di difficoltà emozionali. I limiti si creano in quanto esiti di conflitti infantili irrisolti, ma la persistenza della tensione crea nel presente difficoltà emozionali che si scontrano con le richieste della realtà adulta. Ogni rigidità fisica interferisce con la vita emotiva e impedisce una risposta unitaria alle situazioni; 2) qualsiasi restrizione della respirazione naturale è sia il risultato sia la causa dell’ansia. L’ansia nelle situazioni infantili disturba la respirazione naturale. Se la situazione che produce l’ansia persiste ed è prolungata, il disturbo della respirazione si struttura in tensioni toraciche e addominali. L’incapacità di respirare liberamente sotto stress emozionale è la base fisiologica dell’esperienza di ansia in tali situazioni stressanti. L’unità e la coordinazione delle risposte fisiche dipende dalla integrazione dei movimenti respiratori con i movimenti aggressivi del corpo, al punto che, quando la respirazione e la motilità sono liberate dalle restrizioni e dalle tensioni croniche, il funzionamento fisico della persona migliorerà. A quel punto, il contatto con la realtà a livello fisico si espanderà e si approfondirà, ma ciò accadrà soltanto a conSHINBUNEWS dizione che vi sia un miglioramento concomitante e corrispondente della comprensione della realtà da parte del paziente, sia sul piano psichico sia su quello interpersonale. La negazione del corpo è un rifiuto del bisogno di amore e questa negazione viene usata per evitare di essere feriti e disillusi. Poiché il corpo è la base di tutte le funzioni di realtà, qualsiasi accrescimento del contatto di una persona con il corpo produrrà un miglioramento significativo dell’immagine di sé (immagine corporea), nelle relazioni interpersonali, nella qualità del pensare e del sentire e nella gioia di vivere. Con questa comprensione energetica, si procede a interpretare il trattenersi o il contrarsi in termini di sentimenti soppressi. Poiché il sentire è stato soppresso, l’individuo non ne è consape- vole. Ad ogni modo, la natura del trattenimento (linguaggio del corpo) ne identificherà il sentimento. Generalmente la sensazione può essere portata alla coscienza attivando il movimento espressivo. Per esempio, una mascella che viene rigidamente trattenuta da muscoli tesi, può trattenere impulsi a mordere. Far mordere un asciugamano a qualcuno può attivare questi impulsi, cosicché il desiderio soppresso di mordere diventa conscio. Una gola rigidamente contratta inibisce l’espressione del pianto o le urla, ma la persona può non essere conscia di questa inibizione fino a quando non cerca di piangere o urlare. Spalle rigide possono bloccare impulsi a colpire con rabbia. Spesso far sì che la persona colpisca il letto con i pugni evoca una sensazione di rabbia. Allo stesso modo, si può identificare in un individuo la mancanza di aggressività sessuale dalla immobilità della pelvi. Ciascun corpo ha una espressione unica, che rivela la personalità e il carattere dell’individuo. La struttura del carattere può essere fatta rientrare, in una certa misura e per facilitare la comprensione, in una tipologia; ognuno è un individuo molto specifico, ed è quella specificità che si deve capire dalla lettura del corpo. Le parti hanno senso rapportate al tutto, ma il tutto non può essere determinato dalle parti. (Continua…) Maria Martinelli DIXIT: Fabrizio, mi fai vedere come riesci a farlo alzare? Durante l’allenamento pre-esame? Mah! RUTA DIXIT: Per imparare a chiudere il perineo, durante la minzione provate a fare: pisc-stop, pisc-stop, pisc-stop…. Durante un seminario di kinorenma Pagina 20 S H I N B U NE W S TENGU di Roberto Vinciguerra Pagina 21 SHINBUNEWS Pagina 22 S H I N B U NE W S Pagina 23 SHINBUNEWS Pagina 24 S H I N B U NE W S Storie Zen a cura di Vincenza Patruno Ikkyu, il maestro di Zen, era molto intelligente anche da bambino. Il suo insegnante aveva una preziosa tazza da tè, un oggetto antico e raro. Sfortunatamente Ikkyu ruppe questa tazza e ne fu molto imbarazzato. Sentendo i passi dell’insegnante, nascose i cocci della tazza dietro la schiena. Quando comparve il maestro, Ikkyu gli domandò: "Perché le gente deve morire?" "Questo è naturale" spiegò il vecchio. "Ogni cosa deve morire e deve vivere per il tempo che le è destinato." Ikkyu, mostrando la tazza rotta, disse: "Per la tua tazza era venuto il tempo di morire". Il Koan del Maestro Nano di Gennaro Takeda “Maestro Nano” disse Chu “perché quando tutti trovano refrigerio e diletto andando in spiaggia, tu ti isoli sul monte Krabamubra-no-suburi?”. “Perché se mi girano le palle mi va la sabbia negli occhi.” rispose il Maestro Nano. Successe al dojo... In un normale giorno di pratica allo Shin Bu si poteva assaporare il gradevole odore dell’incenso spargersi per tutto il dojo…. Qualcuno allora chiese “ma cos’è...hanno acceso l’incenso?” E Salvatore, guardandolo dolcemente negli occhi, rispose “no...sono io che ho mangiato fave…” RUTA DIXIT: Marianna non è molto diplomatica ma è molto efficiente. MARIANNA DIXIT: Fabrizio è fatto vecchio: si vede e si sente Pagina 25 SHINBUNEWS Per non dimenticare... di Maurizia Sforza Un tuffo dal molo insieme agli amici, il fondale troppo basso, la botta alla nuca, il tentativo di risalire, ma, il brevetto di istruttore di nuoto, in certi casi, serve a ben poco. All’amico che lo aveva soccorso, più tardi, comunicheranno la diagnosi: paralisi dal collo in giù che, però, non dice nulla di nuovo perché lui, Miky; questo l’aveva già capito: “Non sento più le gambe” erano state le sue prime parole. Da allora, sono passati alcuni mesi e qualcosa è cambiato: una costosa clinica straniera, l’aiuto di tante persone, i polmoni che respirano da sé, le braccia che si muovono, le gambe no però ora sentono gli stimoli. Forse, anche in Italia, si potrà fare qualcosa. Michelangelo Romito è stato trasferito al Centro di riabilitazione di Imola, il 1° marzo 2005. Se volete dare una mano a lui ed alla sua famiglia, mandate un contributo al CCP: C.C. 01055300 ABI 05424 CAB 04010 INTESTATO A PASQUALE ROMITO C/O "BANCA POPOLARE DI BARI" CAUSALE: "PERCHÉ MICHELANGELO POSSA CORRERE ANCORA" Per molti di voi sarà solo un’opera di bene ma, sapete una cosa? Io, Michelangelo lo conosco: per me è uno degli “amici del dojo” perché è qui che l’ho conosciuto. Buon keiko e … non perdete l’entusiasmo! Inferno e Paradiso tratto da "Il Drago non vive più qui" di Alan Cohen C'è una storia di un uomo che lasciò questa terra e prese parte a un viaggio all'interno del regno dei cieli. Gli venne mostrata una stanza dove vide un gruppo di persone affamate che si apprestavano a consumare una cena, ma, poichè i cucchiai con cui cercavano di mangiare erano più lunghi delle loro braccia, essi rimanevano frustrati ed affamati. "Questo," gli disse la Guida, "è l'Inferno." "È terribile!" esclamò l'uomo. "Per favore fammi vedere il Paradiso!" "Molto bene," concordò la Guida e si incamminarono. Aperta la porta del paradiso, l'uomo fu perplesso nel vedere quella che sembrava la stessa scena: c'erano un gruppo di persone con i cucchiai più lunghi delle loro braccia. Tuttavia, guardando più da vicino, vide facce felici e pance piene. Con una differenza importante: la gente in Paradiso aveva imparato a imboccarsi l'un con l'altro. Pagina 26 S H I N B U NE W S Cucina giapponese: comportamento da tenere a tavola a cura di Gaetano Nevola Preliminari di rito: Prima di mangiare i commensali ricevono gli oshibori, piccoli asciugamani inumiditi che fungono sia da lavamani che da tovaglioli. Vengono serviti caldi in inverno e freschi d'estate. Itadakimasu: equivale al nostro "buon appettito" Kanpai: equivale al nostro "cin cin" Gochisosama: si dice alla fine del pasto e significa "il pasto era delizioso e nutriente" L'uso delle bacchette (HASHI): È cattiva educazione conficcare verticalmente le bacchette nella ciotola del riso. Le bacchette giapponesi sono più piccole e sottili di quelle cinesi, sono presenti ad ogni pasto e vengono adoperate per quasi tutti i cibi; quando non si usano bisogna appoggiarle sull'apposito sostegno (hashioki) o adagiarle sulla ciotola più bassa. Non si prende in modo più assoluto un piatto mentre in mano si hanno le bacchette. E' maleducazione usarle per indicare qualcuno o qualcosa. Per servirsi da un piatto di portata si devono girare e usare dalla parte che non si è portato alla bocca. Porta sfortuna incrociare le bacchette ed è maleducazione appoggiarle sul tavolo. Bevande: tradizionalmente durante il pasto si beve solo il brodo; bere il tè mentre si mangia è un'usanza di origine cinese. Zuppe: si bevono direttamente dalle ciotole in cui sono servite mentre gli ingredienti solidi che ne fanno parte devono essere presi con le bacchette. Tradizionalmente durante il pasto si beve solo il brodo; bere il tè mentre si mangia è un'usanza di origine cinese. I giapponesi non vuotano mai il bicchiere, ma lo riempiono dopo ogni sorso. Se per caso decidono di non bere più allora lo vuotano e lo capovolgono. È molto scortese versarsi da bere a tavola; sono i vostri commensali che riempiranno il vostro bicchiere, e voi lo riempirete a loro qualora sia vuoto. Noodles: per mangiarli non si deve essere inibiti. Devono essere gustati bollenti direttamente dal brodo e quindi rissucchiati rapidamente aspirando contemporaneamente aria per fraffreddarli. Se mangiati correttamente si emette un forte rumore, così come per bere il rimanente brodo. Questo "rumore", sgradevole a noi occidentali, è invece gradito ai giapponesi perchè significa che la pietanza è molto gustosa. Ciotola: può essere portata tranquillamente all'altezza del petto Sake: mai con la sinistra. Il padrone di casa, prima dei pasto, serve il sake (vino di riso) ai commensali, ma non deve mai servirsene. Sarà un ospite a provvedere. Non si deve mai bere il sakè con la mano sinistra, perché è considerato un segno di maleducazione. Mai riempire il piatto: Le porzioni che vengono servite in una "tavola giapponese" sono solitamente molto scarse. È sconveniente rivelare agli altri commensali che si ha farne, si può ovviare con una serie di bis, ma è da maleducati riempirsi il piatto. L'ordine delle portate: Tutte le portate vengono servite contemporaneamente, in quanto non esiste la divisione occidentale in primi piatti, antipasti ecc. Di solito si inizia il pasto bevendo il brodo e successivamente si mangiano i cibi via via più saporiti, partendo dal riso bianco. A fine pasto: Alla fine del pasto solitamente i giapponesi emettono un enorme sospiro, come di sollievo, che serve a far capire a chi li ha invitati che hanno molto gradito il pasto. Un errore imperdonabile: E' assolutamente disdicevole soffiare il naso a tavola: i giapponesi lo considerano un atto così disgustoso che, se fatto al ristorante, può spingerli a uscire. Pagina 27 SHINBUNEWS Serata in pizzeria Pagina 28 S H I N B U NE W S Pagina 29 SHINBUNEWS L’estate marcia, i piedi marciscono… Visto l’avvicinarsi dell’estate, vi alletiamo con questo revival tratto da “L’Eco dello Shin Bu” maggio 1999. Quanti di voi lo ricordano? Un acuto lettore ci invia la seguente lettera: "Caro Eco, complimenti. Siete bravissimi e sicuramente bellissimi. Durante quale periodo dell'anno i piedi di uno shinbuista emanano la fragranza più persistente? Esiste in commercio un profumo che riproduca tale fragranza?". Caro lettore, la dottrina si dibatte. Alcune scuole di pensiero vogliono che durante l'inverno la commistione di scarpe pesanti e calzettoni di lana produca un aroma fruttato più marcato di quello estivo. Ma non si può certo negare che una passeggiata di due chilometri con sandalo ci restituisca quello che la scuola di Oxford chiama "aikidoist's french cheese flavour". Non possiamo quindi dare una risposta certa, ma un comitato scientifico è in arrivo allo Shin Bu per effettuare accurate misurazioni ed analisi. Quindi non lavatevi, mi raccomando! Ed ora...il contributo di una simpatizzante… Fiori di Bach di Maria Chirico I rimedi scoperti sessant'anni fa dal dottor Edward Bach stanno ottenendo sempre più successo , tra chi li usa, grazie alla semplicità con cui si individuano i disturbi e si somministrano i rimedi. Il dottor Bach che convinto che la salute di ognuno di noi dipendesse dal nostro modo di pensare, dai nostri sentimenti e dalle nostre emozioni. Obiettivo del dottor Bach era "curare il paziente e non la sua malattia", perchè una volta superati i pensieri negativi anche l'organismo si sarebbe ripreso. Così si rivolse alla natura ed ai fiori, perchè è proprio dalla natura che si estrae la forza vitale che ci aiuta ad uscire dallo sconforto. Riuscì a scoprire 38 fiori per combattere 38 stadi d'animo negativi in cui l'uomo può trovarsi e che sono all'origine di ogni malattia. Li divise in 7 gruppi: quelli per la paura, l'incertezza, la solitudine, l'ipersensibilità, l'apatia, lo scoraggiamento o la disperazione, la cura eccessiva per il benessere degli altri. I 38 rimedi costituiscono un sistema terapeutico completo e ogni pianta è stata scelta per la sua proprietà principale: la capacità di curare la mente. Alcuni potrebbero affermare che hanno un effetto placebo. Ma viene smentito dall'efficacia dei rimedi sui bambini anche di pochi anni, su animali o piante. Nonché su soggetti dal temperamento irritabile o in preda all'ira, che non sono sensibili all'auto suggestione. RUTA DIXIT: Io Dionino lo conosco bene: con lui ho dormito...ci ho fatto di tutto! Il maestro si confida Pagina 30 S H I N B U NE W S I Pensieri di O’ Sensei a cura di Gaetano Nevola Facile a dire; difficile a fare Allenatevi a porre la mente in armonia con l'attività dell'Universo. Allenatevi a porre il corpo in armonia con il moto dell'Universo. Allenatevi a porre il KI, che lega mente e corpo, in armonia con l'opera dell'Universo. Questi tre tipi di allenamento devono essere realizzati allo stesso tempo al fine di comprendere la realtà dell'Universo, dare gioia alla mente e salute al corpo. Perché la mente possa essere in accordo con lo spirito dell'Universo le parole, che sono espressione della mente, devono essere in armonia con il moto dell'Universo ed è così che "le parole si uniscono a Dio". Per far sì che le parole siano unite ai fenomeni della natura, i movimenti del corpo devono essere in armonia con le parole. Mi sono allenato nelle arti marziali per molti anni ed, alla fine, ho scoperto il segreto del KI. Ho scoperto che mente, corpo e KI devono essere "uno" in completa armonia con l'Universo. Quando il KI è usato correttamente, la mente ed il corpo divengono una cosa sola ed anche l'individuo e l'Universo si fondono in unità. Se il KI è usato in modo scorretto, la mente ed il corpo si ammaleranno e, di conseguenza, il mondo cadrà nel disordine spingendo l'intero Universo nel caos. Allenatevi, quindi, duramente per mantenere mente, corpo e KI in buona armonia con lo spirito dell'Universo. Praticare l'Aikido è effettuare insieme questi tre allenamenti. L'Aikido è la via verso la verità della vita. Facile a dire però difficile a fare. Voi però, non dovete teorizzare, ma solo praticare. Pagina 31 SHINBUNEWS L'Aikido indica una via L'Aikido indica una via per guidare il mondo a divenire unito come una sola famiglia. Si conforma allo scopo divino di costruire il paradiso sulla terra. L'unità del mondo deriva dall'unità di ciascuna Nazione e questa, a sua volta, dipende dalla coesione di ogni famiglia. Come parte dell'Universo e come membro di una famiglia, ciascuno dovrebbe compiere il proprio dovere per l'unione del mondo. Per prima cosa, però, ciascuno deve allenarsi per essere in grado di perseguire questo scopo. Senza perfezionare il proprio allenamento è impossibile servire Dio. Ogni creatura sulla terra persegue una sua propria via: si tratti pure di un animale o di una pianta, la sua via non dovrebbe essere ostacolata. Questa è la legge della Natura. Obbedire alle leggi della Natura ed a Dio, rispettare gli altri e se stesso, questo è lo spirito dell'Aikido. L'uomo e l'Universo sono un tutto unico. Senza comprendere questo non si può comprendere l'Aikido perché l'Aikido è formato da ogni palpito del moto dell'Universo. Quando vi sarete resi padroni dell'Aikido, sarete incapaci di fare il male anche se lo desideraste. Inoltre non potrete più albergare in voi sentimenti malvagi perché non avrete più desideri mondani. Però dovrete mantenere ben ferma la vostra determinazione di allenarvi per tutta la vita così da riuscire a compiere la missione che ciascuno di voi ha ricevuto da Dio. Cercate di comprendere ciò che l'Universo è e che voi stessi siete. Conoscere se stesso è conoscere l'Universo. Il segreto dell'Aikido consiste nell'estirpare il male da noi stessi per unirci con il cuore dell'Universo. Coloro che hanno compreso questa verità hanno raggiunto un perfetto equilibrio. Come il cuore dell'Universo estendono il loro amore in tutte le direzioni. L'amore non combatte, l'amore non ha nemici. Una vera arte marziale non combatte perché è unita all'eterna vita d'amore dell'Universo. Pagina 32 S H I N B U NE W S Lettera a Sensei di Pasquale Tufano Caro SENSEI, sono qui a scriverti per comunicarTi che, dopo l'ennesimo incidente avuto nel dojo la scorsa settimana con conseguente frattura del 4° dito del piede destro che mi ha relegato agli arresti domiciliari per 25 gg, ahimè, sento purtroppo di essere arrivato al capolinea con l'Aikido. Non è un volersi arrendere di fronte al problema o all'evidenza che, con l'incalzare degli anni, purtroppo si perde molto dello smalto che si ha in giovanissima età ma è solo un voler prendere seriamente coscienza che, con un lavoro che non mi consente assolutamente di poter rimanere fermo 25 gg, una famiglia alle spalle alla quale spetta tutta la mia attenzione e dedizione, credo, oggi, sia opportuno pensare ad un cambio di rotta, e queste parole sento di scriverle sinceramente con grande sofferenza nel mio cuore. Avevo riposto nell'Aikido la speranza di un piccolo/grande progetto per il mio futuro e, quello, così speravo di molti altri, ma evidentemente il nostro buon Dio così non ha voluto. Credo che tu mi abbia conosciuto sufficientemente sotto il profilo umano e religioso e mi rifaccio ad una tua frase detta durante una delle mie prime lezioni di aikido, da te condotte, che riflettevano questo pensiero: " ragazzi, l'Aikido non segue un credo o una religione ben definita pur essendo una disciplina orientale, ma, per chi crede o ha fede in qualcosa, l'aikido aiuta in qualche modo a rafforzare il proprio credo". Questo per dire che, a distanza di quel lontano settembre 1998, giorno in cui iniziai, oggi, sulla scia di questa meravigliosa esperienza fatta, posso e sento tranquillamente di asserire che quelle parole avevano un grande fondamento. L'aikido, per me, ha rappresentato, in questi anni, veramente tanto e credo che non sia stato un caso l'incontro con questa meravigliosa disciplina: infatti, ho sempre desiderato praticare arti marziali ed, ecco, che, un bel giorno, passeggiando per le vie, incontro così per caso l'insegna del dojo: perché proprio l'AIKIDO (arte della quale non conoscevo minimamente l'esistenza) e non altre arti che ben conoscevo sin dall'infanzia ? La nostra vita è un percorso ben designato che, però, a nessuno è dato di conoscere e ognuno di noi deve sapersi porre le giuste domande, deve saper ascoltare molto attentamente e cogliere, attimo per attimo, quello che il nostro buon Dio ha deciso di donarci per il bene proprio e di chi ci sta intorno. L'Aikido è stato un coktail di straordinari ingredienti: simpatici amici, tanti buoni e sani valori da te trasmessi, la straordinaria armonia di tutte le tecniche, compostezza e rispetto di tutti e tra tutti, essere a contatto con gli altri armoniosamente durante le lezioni (cosa che, oggi giorno, nella società attuale è quasi utopistico pensare) e la lista potrebbe continuare ancora a lungo ma preferisco fermarmi qui per non annoiare. Sento,al di là di tutto, di volerti fortemente ringraziare per tutto quello che ho imparato dalle tue lezioni e ti esorto a non mollare l'insegnamento dell'Aikido che tu sai ben fare, con molta naturalezza; un affettuoso e caloroso saluto chiaramente va a tutti gli amici del dojo e al piccolo Raffaello che, come tutti i bambini, sono il futuro della società. Il mio, chiaramente, non vuole essere un addio: sicuramente, ci vedremo qualche volta non appena avrò smaltito le naturali crisi di astinenza che mi perseguiteranno, spero, non per lungo tempo. Bravi tutti: siete una gran bella famiglia !!!!!! Ciao affettuosamente, Pasquale Tufano Pagina 33 SHINBUNEWS Ciao Pasquale, ho letto la tua lettera, alcuni giorni fa, e sono rimasto molto dispiaciuto della tua decisione che comunque capisco e rispetto. Mi era piaciuto il "lento avvicinamento" che avevamo avuto in questi anni. Anche a me, ha fatto molto piacere ricevere i tuoi scritti, i commenti, i consigli e i complimenti. Sono molto onorato di avere la tua stima e sono convinto che la nostra amicizia rimarrà intatta e profonda. Quindi ... ti abbraccio con calore e ti auguro di continuare il cammino sacro che hai scelto con coraggio, determinazione e amore. Un caloroso abbraccio a tutta la tua famiglia. Fabrizio “Una lettera vale assai di più d'una semplice conversazione. Le parole, è vero, hanno il vantaggio di avvicinare gli amici, ma le lettere possono superare i limiti dello spazio e del tempo, e ciò dà loro un potere quasi magico. Chi scrive rimane lontano, ma sa che le sue parole lo metteranno in breve tempo in contatto con il cuore del destinatario. Le parole di una lettera, come un arco in cielo, possono abolire le distanze. Le lettere sono fogli volanti che riescono ad unire le anime. Il loro fascino proviene da questo misterioso fluido, lontano e pur meravigliosamente vicino. Il loro aroma è così penetrante che ogni uomo, degno di questo nome, lo respira con gioia. Questo spiega il nostro piacere anzi il nostro bisogno di ricevere lettere dagli amici.” RUTA DIXIT: La domanda è: ho pagato 50 euro per fare ‘ste cazzate? Ad un suo seminario costato 50 euro…. Pagina 34 S H I N B U NE W S CRUCIVERBA Orizzontali: 1: Il nome del Maestro Tada; 5: Bastone; 8: Torsione; 11: Due giapponese;13: Spada di legno; 17: Spada giapponese; 19: Canto; 20: Parte del corpo che comprende le anche; 23: Sette giapponese; 26: Quarta nota musicale; 27: Destra; 28: Iniziali di O’Sensei; 30: Nel caso in cui; 31: Sinistra; 32: Le iniziali dell’attore del nostro dojo; 33: Affermazione; 34: Colpo ai punti vitali; 36: Guardia Nazionale; 37: Salerno; 38: Iniziali del Maestro Hosokawa; 39: Il nome del Maestro 4°Dan amato dalle donne; 43: Camminata in ginocchio; 45: Movimenti; 48: Milano; 49: Arte, via; 50: Retro, opposto rispetto all’avversario; 52: Quinta immobilizzazione; 56: Cinque giapponese; 57: Colui che esegue la tecnica; 59: Quattro giapponese; 60: Spalla; 62: Arte per gli antichi Romani; 63: Parte del saluto che precede la lezione; 65: Tre giapponese; 66: Componimenti poetici; 68: Indietro; 71: Le prime dell’embukai; 72: Le prime di istrice; 73: Il “kimono” dell’aikido; 74: Millilitro; 76: Chi ha conseguito la cintura nera; 78: Arte dell’estrazione e dell’uso della katana; 82: Pestandola si ottiene il vino; 83: Immobilizzazione; 84: Un tipo di farina; 86: Suono onomatopeico usato dal M° Ruta durante le spiegazioni; 89: Zoom senza l’om; 91: Alessandria; 92: Media Frequenza; 93: Radiazioni infrarosse; 94: Avverbio palindromico usato per negare; 95: Ventre; 96: Le ukemi incrociate. Verticali: 1: Gonna pantalone caratteristica delle Cinture Nere; 2: Il cognome del responsabile didattico dello Shin-Bu Dojo; 3: Maestro; 4: Dentro; 6: Cintura del gi; 7: Cambio di posizione con movimento circolare della gamba posteriore; 9: Ente morale a cui è affiliato il nostro dojo; 10: Entrata; 12: Uno giapponese; 14: Il ki manifestato attraverso un urlo; 15: Il Kendo privo di edo; 16: Negazione; 18: Armonia; 21: Le prime di oggetto; 22: Affermazione; 24: Sigla di Chieti; 25: Con “gramma” costituisce un carattere grafico; 26: Iniziali del nostro Sensei; 29: Do…des; 30: Iniziali della proprietaria dell’hara in relax in copertina; 33: Arte della calligrafia giapponese; 35: Manifestazione aperta al pubblico; 36: Gorizia; 37: Quattro giapponese o dito; 38: Hong Kong; 40: Italia sul web; 41: Proiezione, lancio; 42: Seconda immobilizzazione; 43: Sumo senza pari; 44: Knock Out; 45: Taglio in quattro direzioni; 46: Arezzo; 47: Nome del salvadanaio dello ShinBuNews; 49: Prima nota musicale; 51: Iniziali dell’erede del nostro Sensei; 53: Quarta tecnica di immobilizzazione; 54: Uno per gli inglesi; 55: Club Alpino Italiano; 56: Posizione di concentrazione con le mani congiunte; 58: Higi senza inizio; 60: Guardia; 61: Suffisso per i vezzeggiativi; 64: Uno tsuki al basso ventre; 67: Diapositiva in breve; 69: Nelle bibliografie, indica Senza Luogo; 70: Scuola; 72: Tratto di terra emersa circondata in ogni parte dall’acqua; 75: Tecniche; 77: Ultimo Scorso; 79: Le prime di ippopotamo; 80: Gradi delle cinture nere; 81: Ente Autonomo; 85: Le iniziali del Maestro Fujimoto; 87: Pordenone; 88: Mano, braccio; 90: Oristano; 91: Le prime di ayumi; 92: Lo sono gli allievi che non hanno ancora conseguito alcun grado kyu. Pagina 35 SHINBUNEWS Quiz d’intelligenza Una bionda partecipa ad un quiz d'intelligenza. Il presentatore le pone i seguenti quesiti: 1. Quanto durò la "Guerra dei cent'anni"? 116 anni 99 anni 100 anni 150 anni La bionda utilizza il jolly e non risponde alla domanda. 2. In qual paese di trova il "Cappello di Panama"? Brasile Cile Panama Ecuador La bionda chiede l'aiuto del pubblico. 3. In quale mese dell'anno i russi festeggiano la "Rivoluzione d'ottobre"? Gennaio Settembre Ottobre Novembre La bionda decide di telefonare ad una sua amica (bionda). 4. Qual era il nome del re "Giorgio V"? Alberto Giorgio Manuele Giona La bionda utilizza il suo diritto a dare una riposta ironica. 5. Da quale animale prendono il nome le Isole Canarie? Canarino Canguro Cavallo Foca La bionda risponde in modo errato e viene eliminata. *************************************************** Per tua informazione, ecco le risposte esatte: 1. La "Guerra dei cent'anni" duro 116 anni, dal 1337 al 1453. 2. Il "Cappello di Panama" si trova in Ecuador. 3. La ricorrenza della "Rivoluzione d'ottobre" cade il 7 novembre. 4. Il vero nome di re Giorgio IV era Alberto, il re cambio nome nel 1936. 5. Le Isole Canarie prendono il nome dalla foca, in latino: "Isole della foca". Allora, ci tingiamo i capelli? Pagina 36 S H I N B U NE W S Momenti d’Ozio Kenkō, Biblioteca Adelphi 60 Recensione di Piero Campanale Secondo la tradizione, un monaco buddhista, vissuto a cavallo tra il XIII° ed il XIV° secolo nell’antica città imperiale di Kyoto, avrebbe (come egli stesso cita nel preambolo) “passato intere ore davanti al calamaio, senza aver nient’altro di meglio da fare, annotando a casaccio tutti i pensieri strampalati che mi frullavano per il capo.” Da qui, il nome dell’opera: Tsurezuregusa reso, in lingua italiana, con “Momenti d’ozio” (o “Ore d’ozio” per chi si volesse cimentare con la versione edita dalla casa editrice ES), testo che racchiude, forse più di qualunque altro, il maggior ed essenziale concentrato dell’animo giapponese. Il libro, che ci tengo subito a precisare, non necessita di alcuna preconoscenza in ambito filo-buddhistico, non nasce come libro; difatti, il monaco Kenkō, più comunemente noto con il suo nome da laico Urabe no Kaneyoshi, da maestro indiscusso del metodo letterario di composizione chiamato zuihitsu (ossia: “segui il pennello”), scriveva e scarabocchiava i suoi pensieri su striscioline di carta con cui poi addobbava l’interno della sua capanna, incollandole, appunto, sulle pareti della medesima. Poi, un bel giorno, circa cento anni dopo il trapasso di Kenkō, il grande generale e poeta Imagawa Ryōshun (bravo a chi lo conosce!), venendo a conoscenza di questa insolita carta da parato, decise di staccarli e raccoglierli tutti, dando così alla luce una summa di saggi che spaziano da acute riflessioni, generalmente collegate (il più delle volte implicitamente) con l’annunciazione di qualche verità dottrinale sulla transitorietà e, al contempo, sublimità di tutte le cose (il tanto ormai menzionato mono no aware, linfa vitale, imprescindibile per la vena poetica di ogni scrittore noto e non del Paese del Sol Levante), dalla nascita alla vita, alla crescita, alla malattia e, quindi, decadenza e morte (uno dei, se non il più importante, “oggetto” di contemplazione per i nostri cari amici dotti giapponesi) anche se, dalle parole stesse dell’autore, “di ogni cosa sono interessanti solo gli inizi e le fini”. Tuttavia, non ci deve sconcertare il fatto che uno che abbia rinunciato al mondo per farsi prete, non rimanga totalmente estraneo agli usi di corte e alle tradizioni del tempo: questo è, infatti, il caso di Kenkō, il quale coltivò una non indifferente curiosità verso le normali vicende della gente del popolo, in quanto egli non decise mai di abbracciare uno stile di vita eremitico (fatta eccezione dei suoi ultimi anni trascorsi in un romitaggio a Kunimiyama, provincia di Iga, dove scrisse appunto Tsurezuregusa), cosa che era del tutto inusuale per i monaci asceti suoi contemporanei. E’ perciò facile trovare, nei suoi 243 episodi numerati che compongono il manoscritto, diversi e spesso divertenti aneddoti sull’andazzo della vita mondana, nonché dicerie e pettegolezzi di persone appartenenti specialmente alla classe sociale medio-bassa su cui, infatti, le critiche di Kenkō riescono a dare il meglio della loro puntigliosità e pungente spigliatezza, non meno alle pie considerazioni sulla vanità di questo mondo, cui sembra ritornare e far capolino l’intero pensiero del maestro. Quindi, ciò fa del presente, come ho detto all’inizio di questa recensione, un tomo assolutamente non dottrinale ma, al contrario, un pregiabilissimo manuale sul comportamento dei “quattro gentiluomini”; ed è in questa prospettiva che lo consiglierei, non perché è catalogato in qualunque elenco tra le dieci opere più prestigiose di tutto il curriculum letterario nipponico (secondo solamente, si dice, al monumentale capolavoro della poetessa e dama di corte Sei Shōnagon, autrice del diario intitolato “Makura no sōshi”, “Il libro del guanciale”. Primo scritto in stile zuihitsu, che influenzò molto l’autore, o perché Kenkō ben lungi da ogni attaccamento a qualsiasi imperiosità dello scrivere, di fissare, di ritualizzare grottescamente, ma, viceversa, impareggiabile esecutore di stile ed eleganza, che non si lascia subordinare dalla volontà di concettualizzare ed intrappolare le parole in un inerte “guscio morto”, ma abbondante e generoso, a modo suo, di brio ed umorismo (il più delle volte nero), geniale e ancora feroce di sprezzature tanto che di lui si vociferasse essere uno dei “Quattro Dirini Re” della poesia e dal sottoscritto essere convalidato per la vivacità di spirito e freschezza delle sue mordaci affermazioni scaturite da un “estremo Samadhi” paragonabile senza indugio a quello di un Maestro Zen avvalorando quella splendida massima del Patriarca Hakuin Roshi (Saggio zen del XVIII° secolo) la quale recita: “L’annullamento della barriera mentale equivale al momento in cui la Fenice sfugge alla Rete d’oro e la Gru rompe le sbarre della sua Gabbia”. Suggerirei, però, di leggere le sue pagine a chi si sentisse affine o quanto meno trascinato dalla solennità e dal carattere encomiabile rappresentati dall’orchidea, dal pruno, dal bambù e dal fiore di crisantemo, i Quattro Gentiluomini, ritornando all’asserzione fatta precedentemente, della tradizione popolare. Ora concluderei lasciando spazio, se me ne è rimasto, ad un breve passo estrapolato direttamente dallo Tsurezuregusa (n° 97) che, tra gli altri, ha suscitato un particolare visibilio nel cuore del recensore: Ci sono un’infinità di cose che si attaccano a qualcos’altro e poi finiscono col rovinarlo e distruggerlo. Il corpo umano ha i pidocchi, una casa ha i topi, un paese ha i predoni, gli uomini inferiori hanno la ricchezza, gli uomini superiori hanno la benevolenza e rettitudine, i preti hanno la legge buddhista. Pagina 37 SHINBUNEWS Shin Bu: dietro le quinte Approfittiamo di questo piccolo angolo per parlare del “lavoro invisibile” di una shinbuista: Rossella Capriati, detta dal Maestro “Rosa mafiosa”. Sì, perché non tutti sanno che, mentre la maggior parte di noi è ancora a letto a sognare un favoloso yonkyo del maestro (mah...ognuno ha i suoi gusti in fatto di sogni…) Rossella si arma di mazza e bokken e si occupa volontariamente della pulizia del dojo. Grazie Rossella, da parte di tutti noi! Ovviamente, tutti gli shinbuisti sono invitati (leggi obbligati) a collaborare, cercando di evitare di sporcare, bagnare, lasciare in giro capelli, e fare tutte quelle cose che, già si sa, non bisogna fare. E per chi sgarra...ci pensa Rossella! E visto che siamo in tema di pulizie, vi ricordiamo che dal 25 al 31 agosto ci saranno le pulizie generali del dojo. Cercate di non attuare il detto “agosto….dojo mio non ti conosco” e partecipate numerosi! SHINBUN EWS E-MAIL: [email protected] SHIN BU DOJO VIA G. PETRONI TRAV.39 N.5 TEL.:080/5574488 E-MAIL: [email protected] WWW.SHIN-BU.IT Pagina 38 S H I N B U NE W S