Il “triangolo” allievo – insegnante – sapere in
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Il “triangolo” allievo – insegnante – sapere in
D’Amore B. (2001). Il “triangolo” allievo-insegnante-sapere in didattica della matematica. L’educazione matematica. 3, 2, 104-113. Il “triangolo” allievo – insegnante – sapere in Didattica della Matematica 1 Bruno D’Amore N.R.D. Nucleo di Ricerca in Didattica della Matematica Dipartimento di Matematica Università di Bologna Facoltà di Scienze della Formazione Libera Università di Bolzano Freie Universität Bozen Bressanone – Brixen (Bz) Sunto. In questo breve testo si riassumono alcune considerazioni desunte dalla letteratura, suggerendo una “lettura analitica” del triangolo allievo – insegnante – sapere inteso come modello sistemico della “didattica fondamentale”. L’idea non è quella di sfuggire alla intrinseca complessità del modello, ma solo di suggerire un tentativo per articolare maggiormente le riflessioni che vari Autori hanno proposto al riguardo. Summary. In this work we take up again some considerations derived from the literature, suggesting an "analytical lesson" from the triangle: student – teacher - knowledge intended as a systematic model of "fundamental didactics". The idea is not to get involved in the intrinsic complexity of the model, but only to suggest a way of articulating mainly the reflections which various authors have made on this subject. 1. Note preliminari La ricerca in Didattica della Matematica degli ultimi 20 anni ha particolarmente insistito nell’analizzare, in molti e vari dettagli possibili, quel che si nasconde dietro il “triangolo” che ha come “vertici”: allievo, insegnante, sapere (Chevallard & Joshua, 1982). Si tratta di un modello sistemico che serve soprattutto per situare ed analizzare la natura dei molteplici rapporti che si instaurano tra i tre “soggetti” che stanno ai “vertici”, nel senso di quel che, all’interno della didattica della matematica, si è finito con il denominare didattica fondamentale (Henry, 1991).2 Più precisamente: 1 Lavoro eseguito nell’àmbito del Programma di ricerca: Ricerche sul funzionamento del sistema allievoinsegnante-sapere: motivazioni della mancata devoluzione, finanziato ex-60%. 2 Su questo punto, è ineliminabile il riferimento al milieu di Brousseau; a solo scopo espositivo, rimando questo riferimento al prossimo paragrafo, ma le due cose sono strettamente intrecciate: la complessità del sistema contrasta con la necessità di descrizione delle problematiche che, ricorrendo alla scrittura, è forzatamente lineare. 1 la didattica fondamentale permette di affrontare in forma sistemica i differenti aspetti che appaiono nella relazione didattica • il modello sistemico permette di situare ed analizzare la natura complessa del “triangolo” (la complessità dipende dal fatto che il modello prende in considerazione contemporaneamente tutte le mutue relazioni tra i “vertici”, comprese molteplici implicazioni, di varia natura). In questo senso, per dirla in breve (ma poi dovrò riprendere tutto ciò con maggior profondità): • gogni “vertice” agisce da polo: • il “vertice” sapere rappresenta il polo ontologico o epistemologico • il “vertice” allievo rappresenta il polo genetico o psicologico • il “vertice” insegnante rappresenta il polo funzionale o pedagogico gogni “lato” evidenzia relazioni tra coppie di poli: • il “lato” sapere-allievo si potrebbe risolvere nel verbo “apprendere” • il “lato” sapere-insegnante nel verbo “insegnare” [che porta con sé tutta la problematica della “trasposizione didattica” (Chevallard, 1985) e dell’“ingegneria didattica” (Artigue, 1992)] • il “lato” insegnante–allievo è talvolta riassunto nel verbo “animare” (ma questo, perché in tale relazione asimmetrica si tende a vedere dalla parte dell’insegnante verso l’allievo…); preferisco porre l’accento sulla coppia: • devoluzione (azione dell’insegnante verso l’allievo: l’insegnante spinge l’allievo ad implicarsi nel progetto didattico che lo riguarda) • implicazione (azione dell’allievo su sé stesso: l’allievo accetta la devoluzione, accetta cioè di farsi carico personale della costruzione della propria conoscenza). Vanno qui distinte almeno tre categorie di enti in gioco: • elementi (che possiamo identificare con i “poli” nello schema precedente) • relazioni tra elementi (che possiamo identificare con i “lati”) • processi; essi identificano le modalità di funzionamento del sistema (per es.: devoluzione, contratto didattico, trasposizione etc. sono processi legati al funzionamento del sistema). Ricorro al seguente schema per illustrare la situazione didattica: Insegnante DEVOLUZIONE (“azione” dell’i. sull’a.) Allievo IMPLICAZIONE “azione” dell’a. su sé stesso accesso al sapere Sapere ISTITUZIONALIZZAZIONE DI UNA (DELLA) CONOSCENZA 2 (l’i. riconosce come sapere il sapere acquisito con un impegno personale dall’a.) Allievo COSTRUZIONE DI UNA (DELLA) CONOSCENZA Il “momento” della istituzionalizzazione è importante e merita un approfondimento per il quale, ancora una volta, faccio ricorso ad uno schema [usando, in modo abbastanza libero, Chevallard (1992)]: UN SAPERE PERSONALE {acquisito grazie • • all’azione di insegnamento alla quale contribuiscono l’insegnante (trasposizione didattica, ingegneria didattica) e la noosfera, o all’azione di competenze esterne alla scuola} viene: ISTITUZIONALIZZATO cioè viene riconosciuto dall’insegnante (rappresentante dell’istituzione e del sapere istituzionale) come sapere legittimo e spendibile nel contesto scuola come altri saperi legittimi CONTRATTO PEDAGOGICO («puoi usarlo)» diventa allora: SAPERE ISTITUZIONALIZZATO PRIVATO ma poi viene accettato, discusso, condiviso e gli viene CONTRATTO affidato un nome che si comunica essere quello SOCIALE socialmente stabilito dalla ristretta comunità adulta che («si chiama così») ha diritto d’accesso al sapere diventa allora: SAPERE ISTITUZIONALE La costruzione della conoscenza passa attraverso i punti precedenti, in un continuo “gioco” tra sapere personale e sapere istituzionale. Esempio: acquisizione di un sapere personale: «ho scoperto che 3+5=5+3» e analoghi istituzionalizzazione: «puoi usarlo; nominalizzazione: si chiama proprietà commutativa e fa parte dei saperi che contano» costruzione di un sapere istituzionalizzato Non posso procedere oltre, senza includere considerazioni sul milieu, come ho già detto poco sopra, allo scopo di tornare agli stessi argomenti, ma da altra via; a questo è dedicato il prossimo paragrafo. 3 2. Il milieu Nell’àmbito della teoria delle situazioni didattiche, Brousseau, anche allo scopo di delineare il carattere sistemico del suo approccio, introduce la nozione di milieu: «una modellizzazione, per il ricercatore, dell’ambiente e delle sue risposte pertinenti per l’apprendimento in corso. Non è che una parte della situazione didattica (…) Esso gioca (…) un ruolo centrale nell’apprendimento, come causa degli adattamenti, e nell’insegnamento, come riferimento e oggetto epistemologico» (Brousseau, 1989, p. 312). Bisogna dire bene che cosa sia questo “ambiente didattico” di Brousseau; mi servo di Martini (2000, par. 2.1). Il sistema didattico va inteso come l’insieme delle situazioni didattiche attuate da: • allievo (singolo, gruppo o classe) • milieu (comprendente strumenti ed oggetti materiali) • insegnante in relazione ad un sapere specifico, quello in gioco nell’attività (“in gioco” significa: è la posta da raggiungere, il “premio” dell’attività didattica). L’allievo ha lo scopo finale di apprendere un certo sapere; ora, però, l’insegnante costruisce le condizioni, non costruisce il milieu; esso è preesistente a tutta la questione ed è noto (e, almeno nella sua parte oggettuale, visibile e disponibile) a tutti gli agenti umani coinvolti nel processo: non fa parte di loro né della loro costruzione; semplicemente è. L’allievo interagisce con il milieu, che in qualche modo gli è antagonista; progressivamente vi si adatta, apprendendo; l’insegnante provoca sapientemente tali adattamenti: la sua scelta deve essere tale da creare situazioni favorevoli a ciò. L’insegnante pensa situazioni didattiche create esattamente con lo scopo di far apprendere una certa conoscenza all’allievo; è chiaro che il confronto tra l’allievo e la situazione non garantisce affatto l’acquisizione, a meno che essa non preveda, al suo interno, il confronto fra l’allievo ed una situazione a-didattica (situazione privata dell’intenzione di insegnare): «L’allievo sa che il problema è stato scelto [dall’insegnante] per fargli acquisire una nuova conoscenza, ma deve sapere anche che questa conoscenza è interamente giustificata dalla logica interna della situazione e che può costruire senza fare appello a delle ragioni didattiche. Non solo egli può, ma anzi deve perché egli non avrà veramente acquisito questa conoscenza finché non sarà capace di metterla in opera da solo nelle situazioni che incontrerà al di fuori di ogni contesto di insegnamento ed in assenza di ogni indicazione intenzionale» (Brousseau, 1986, p. 49). Si può dire che, quando nella situazione il sistema didattico si dissolve per permettere all’allievo di costruire una conoscenza affrontando un problema cognitivo proposto, allora si ha una situazione a-didattica: «le situazioni a-didattiche sono le situazioni di apprendimento nelle quali il maestro è riuscito a far scomparire la sua volontà, i suoi interventi (…). Il maestro è lì per far funzionare la macchina, ma i suoi interventi sulla conoscenza sono praticamente annullati» (Brousseau, 1987). È come se si interrompesse il rapporto insegnante-allievo ed al suo posto si creasse il rapporto allievo-situazione. L’allievo non risponde più alle richieste dell’insegnante, ma a quelle del milieu. L’insegnante dissimula il proprio fine didattico, dissimula la propria volontà di insegnare, e ciò allo scopo di far sì che lo studente accetti la situazione cognitiva come proprio carico personale. Non solo: lo scopo dell’insegnante è anche quello di far sì che lui stesso come maestro non sia il vincolo dell’apprendimento: che la situazione cognitiva sia conoscenza tout court, slegata dalle richieste dell’insegnante, e cioè da condizionamenti o presupposti di carattere personale o legati all’ambiente scolastico di apprendimento. 4 Tutto ciò, è ben noto, rientra in quel complesso intreccio che esiste tra devoluzione ed implicazione; per dirla in breve: situazione a didattica è quella situazione in cui si realizza il “passaggio” tra devoluzione ed implicazione. Le dinamiche interazionali qui sopra delineate sono piuttosto complesse e rimando a tra poco la loro descrizione esplicita; quel che mi preme evidenziare subito è come tutto ciò riporti alla problematica dalla istituzionalizzazione delle conoscenze, di cui si stava dicendo alla fine di 1. Ciò spiega perché abbia dovuto interrompere lì quel discorso, per ritornarvi ora con altre prospettive. Proprio questo continuo andare avanti e indietro spiega la complessità sistemica della questione. Ora, però, dobbiamo capire a fondo l’idea di milieu e di situazione e delle relazioni tra questi due concetti, ricorrendo ad una serie sempre più ricca e complessa di schemi grafici la cui funzione è puramente illustrativa. Cominciamo con il tratteggiare l’idea di milieu materiale M5 che costituisce il livello inferiore del milieu: è il milieu oggettivo, al quale si vede confrontato un soggetto (attore oggettivo) S5, impegnato in un problema cognitivo: M5 milieu materiale S5 situazione oggettiva attore soggettivo D’ora in poi chiameremo questo schema milieu oggettivo M4: esso è la coppia (M5, S5); l’allievo S4 si trova di fronte ad M4 ed agisce in una situazione di azione con il milieu materiale M5 ed un opponente S5 con il quale interagisce. S4 è dunque un soggetto che conosce ed agisce: può immaginare e rappresentare S5, identificarsi con lui ed intendere i suoi punti di vista: M4 milieu oggettivo S4 attore di riferimento: soggetto che agisce situazione di riferimento D’ora in poi chiameremo questo schema milieu di riferimento M3; possiamo così far evolvere lo schema come segue e con le specificazioni indicate: M3 S3 5 milieu di riferimento situazione di apprendimento a-didattica soggetto dell’apprendimento (risolutore di problemi) Lo schema precedente descrive il milieu (o situazione) di apprendimento a-didattico M2 cioè la coppia (M3, S3): insegnante come soggetto epistemico S2 allievo generico M2 relazioni specifiche che stabilisce un insegnante tra un allievo reale e un problema milieu di apprendimento a-didattico P2 soggetto che riflette sopra una situazione di riferimento, che agisce, osserva; attore Questo schema descrive una situazione di apprendimento che serve però per un progetto di insegnamento esplicito, voluto, costruito. Lo indicheremo con M1 e lo denomineremo, finalmente, situazione didattica. Questo passaggio ci permette di arrivare allo schema più complesso, quello che descrive la relazione didattica, quella nella quale si osserva, come dall’esterno, quel che accade: S1 soggetto (universale) P1 insegnante che riflette sulla propria azione o che la prepara M1 L’insegnante riflette sulla propria azione di insegnante, la osserva come dall’esterno, o la prepara, prefigurandosi quel che accadrà: la sua posizione P1 è riflessiva in relazione alla situazione precedente che costituisce per lui il milieu M1. (P1 è simile a quel che era S3 per l’allievo). Siamo quindi di fronte ad una situazione nuova, di carattere meta; ed infatti la chiamaremo: situazione metadidattica, visto che quel che si compie è un’analisi di una situazione didattica: 6 si studiano le relazioni tra M1, S1 e P1 da parte di un osservatore esterno S0 o da parte degli stessi attori della relazione didattica. 3. Ancora sugli “elementi” del “triangolo” Voglio entrare un po’ più in dettaglio nell’esame degli “elementi” del “triangolo”. Per semplicità eviterò d’ora in poi l’uso eccessivo delle virgolette: è chiaro che vertice, lato e triangolo sono solo modi di dire. Inoltre, per brevità, sia: S =df sapere, I =df insegnante, A =df allievo. I vertici. S S si caratterizza in uno “spazio” di riferimenti esterni che sono: • quello storico • quello epistemologico • quello concettuale (nelle varie accezioni possibili). S è dunque una specie di polo attrattore di riferimenti ontologici ed epistemologici. Ma non si possono dimenticare i riferimenti di carattere epistemologico in senso psicologico (Moreno Armella, 1999). È nei dintorni di questo polo che si situa la teoria degli ostacoli epistemologici. A A fa riferimenti a progetti culturali o cognitivi personali, ma filtrati dal rapporto (istituzionale) di scolarizzazione;3 dunque, la sua “dote”, il suo corredo di esperienze personali (la sua “storia di soggetto apprendente”) non sono liberi da vincoli. Lo studio della situazione personale di A all’interno della situazione didattica fondamentale (istituzionale), comporta analisi di tipo genetico e psicologico. È nei dintorni di questo polo che si situa la teoria degli ostacoli ontogenetici. A è dunque una specie di polo attrattore di riferimento genetico e psicologico. Elementi di forte valenza sembrano essere studi relativi a: • competenze reali dell’allievo (sfera cognitiva e metacognitiva, specie in relazione ai casi di difficoltà) (Ashman, Conway, 1991; Borkowski, Muthukrishna, 1994; Cornoldi, Caponi, Falco etc., 1995) • convinzioni personali dell’allievo (sfera motivazionale ed affettiva) (Cobb, 1985; Nicholls, Cobb, Wood etc., 1990) • attese dell’allievo (Elliott, Dweck, 1988) • stile cognitivo personale dell’allievo (Gardner, 1993; Sternberg, 1996) 3 «Con il termine “scolarizzazione del sapere” intendo qui riferirmi a quell’atto in larga misura inconsapevole, attraverso il quale l’allievo, ad un certo punto della sua vita sociale e scolastica (ma quasi sempre nel corso della Scuola Elementare), delega alla Scuola (come istituzione) ed all’insegnante di scuola (come rappresentante dell’istituzione) il compito di selezionare per lui i saperi significativi (quelli che lo sono socialmente, per status riconosciuto e legittimato della noosfera), rinunciando a farsi carico diretto della loro scelta in base a qualsiasi forma di criterio personale (gusto, interesse, motivazione,…).» (D’Amore, 1999a). 7 … D’altra parte, accettando l’ “ingegneria” come metafora, è ovvio che i seguenti sono i veri “pilastri della fondazione” del sapere: • costruire il sapere sulle competenze reali dell’allievo e non su quelle solo presunte • costruire il sapere tenendo conto delle convinzioni dell’allievo e non operando contro di esse (semmai aiutando lo studente a modificarle) • costruire il sapere cercando di rispettare le attese dell’allievo o aiutandolo a rivederle • costruire il sapere non contrastando lo stile cognitivo individuale, ma anzi usandone le caratteristiche. Se, nel passaggio tra S ed il sapere da insegnare, l’I non valuta la reale “portata” di questi “pilastri”, corre il rischio di sbagliare le sue previsioni sulle possibili accettazioni di devoluzione (nell’attesa di implicazione da parte dello studente) e di conseguenza condanna sé stesso e lo studente ad uno scacco. I I fa riferimenti a progetti culturali o cognitivi • personali (basati sulla propria esperienza di soggetto che ha suo tempo appreso, che ha avuto accesso ad S) • professionali (basati sulle esperienze precedenti di soggetto che dispensa saperi) • relativi a convinzioni professionali basate su modelli precedenti (per esempio costruitisi come studente). Su questo influisce in maniera fortissima, ma spesso inconsapevole, l’insieme delle attese pedagogiche spesso implicite, ma anche delle credenze relative al sapere e l’insieme delle filosofie implicite (Speranza, 1992). I è dunque una specie di polo attrattore di riferimento funzionale e pedagogico. Negli studi sul polo I (Arsac, Balacheff, Mante, 1992; Baldini, Santini, 1997; Clark, Peterson, 1986; Cooper, 1991; Fennema, Carpenter, Peterson, 1989; Peterson, 1988; Thompson, 1992; Zan, 2000), si possono evidenziare i seguenti caratteri: • il ruolo che assume l’insegnante in aula • il linguaggio del quale fa uso (con varie chimere influenzate dalle attese e dal progetto educativo) (Maier, 1993) • la consapevolezza del proprio “mestiere” • le proprie convinzioni • l’analisi personale della realtà socio scolastica (non disgiunta dalla noosfera) • l’influenza di studi e ricerche sul proprio lavoro e sulle proprie convinzioni … È nei dintorni di questo polo che si situa la teoria degli ostacoli didattici. I lati. SA Il verbo che domina questo lato è: apprendere. L’attività che domina questo lato è: devoluzione. Gli elementi caratterizzanti questo lato sono: • le varie teorie dell’apprendimento • l’epistemologia genetica • il ruolo e la natura delle concezioni • la teoria degli ostacoli epistemologici 8 … Il lato SA [dal punto di vista dell’insegnante, cioè per quanto comporta i processi che, dal suo punto di vista professionale, identificano i modi di funzionamento del sistema] comporta la questione della trasposizione didattica e dell’ingegneria didattica, in una sorta di problematica comune che coinvolge il passaggio da S al sapere da insegnare:4 A ingegneria didattica sapere da insegnare trasposizione didattica S Naturalmente, nelle decisioni a monte, soprattutto per quanto concerne che cosa di S deve diventare sapere da insegnare, hanno un peso notevole il curriculum e le convinzioni dell’I (si vedano le citazioni precedenti). Il che chiama in causa la noosfera: le attese della società, sia in senso generale, sia specifico. Ora, è chiaro che non è l’insegnante che decide S né il sapere da insegnare; ma è chiaro che l’I è un interprete sia di S sia delle decisioni a monte: il suo filtro critico, basato su convinzioni personali e culturali (anche implicite), influenza fortemente quel che giunge, come prodotto finale, ad A. Il “passaggio”: sapere → sapere da insegnare → sapere insegnato è condizionato dall’idea stessa che, spesso implicitamente, l’I ha di trasposizione didattica e di ingegneria didattica e chiama in causa il curriculum ufficiale in due sensi inversi: come scusante per una mancata presa in carico dell’impegno di docente o come oggetto stesso di analisi. SI Il verbo che domina questo lato è: insegnare. L’attività che domina questo lato è: trasposizione didattica. Gli elementi caratterizzanti questo lato sono: • la trasposizione didattica • le credenze dell’insegnante relativamente a: • allievi • sapere • apprendimento • idea di scuola • scopi dell’educazione (in generale; matematica, in particolare) … 4 Tra le tante, questa è una delle interpretazioni possibili di “ingegneria didattica” (D’Amore, 1999b). 9 … Lo studio più complesso coinvolto in questo lato è quello relativo all’epistemologia dell’insegnante (ved. citazioni precedenti). IA Il verbo che domina questo lato è: animare (con conseguenze del tipo: motivare etc.); lo potremmo interpretare come: spingere all’implicazione personale, favorire la devoluzione. L’ingegneria didattica ha un ruolo determinante anche qui. Gli elementi caratterizzanti questo lato sono: • relazioni pedagogiche • contratto didattico • ostacoli didattici • valutazione • scolarizzazione • devoluzione o mancata devoluzione … con tutte le teorie e le ipotesi teoriche che li accompagnano (ved. citazioni precedenti). Su tutto il triangolo “pesa” la noosfera con le sue attese, le sue pressioni, le sue scelte a monte. Un’analisi moderna di questa problematica, nella quale si tengano in debito conto i risultati degli studi e delle ricerche nel contesto internazionale, dei quali quelli dianzi citati sono solo alcuni, non può prescindere da ulteriori analisi sui poli, sui lati e sulla struttura stessa del triangolo. Per quanto concerne i poli, hanno grande importanza questioni relative alla dialettica tra motivazione e volizione in A; le immagini di scuola, delle figure in gioco, del sapere, di sé. Per quanto concerne i lati, hanno grande importanza questioni relative alla metacognizione (che crea attese e che influenza la trasposizione); in particolare tutto quanto concerne concetti, strategie, algoritmi, autoregolazione e controllo; inoltre i giochi del linguaggio in una microsocietà ben connotata e con apprendimento situato. Per quanto concerne la struttura globale stessa, hanno grande importanza questioni relative al complesso dei rapporti, ai contratti instaurati, alle attese esterne, alle teorie dell’apprendimento, al senso da dare al termine “comprendere”, al senso da dare al termine “sapere”. Nella microsocietà-classe, poi, a seconda degli àmbiti, può avere massima o minima rilevanza la problematica dei contesti; per esempio il passaggio dal compito e dalle modalità di affrontarlo, verso i prodotti, passando per i processi (D’Amore, Zan, 1996). È importante ribadire, per concludere, che l’ “approccio analitico” sui singoli componenti il sistema, suggerito da queste pagine, non vuole in alcun caso non riconoscere o tentare di ridurre la complessità del problema, la complessità sistemica, cioè, del modello didattico. Quel che si vuol mostrare è che è possibile, anzi: che per certi versi è già in corso, un’analisi sistematica e minuziosa dei singoli elementi del modello sistemico, al solo scopo di isolarne i componenti per meglio conoscerli nella loro specificità, e per restituire poi ad una visione olistica i risultati raggiunti in modo così specifico. 10 Riferimenti bibliografici Arsac G., Balacheff N. & Mante M. (1992). Teacher’s role and reproducibility of didactical situations. Educational Studies in Mathematics, 23. Artigue M. (1992). Didactic engineering. In: Douady R. & Mercier A. (eds.), Research in didactique of mathematics: Selected papers (Special issue). Recherches en didactique des mathématiques, 12, 41-65. Ashman A. & Conway R. (1991). Guida alla didattica metacognitiva per le difficoltà di apprendimento. Trento: Centro Studi Erickson. Baldini I. & Santini S. (1997). Le teorie del successo degli insegnanti di matematica. In: Aschieri I., Pertichino M., Sandri P. & Vighi P. 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