Ugo Volli, Un uomo, una donna, tanto neon nella ragnatela di Porto

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Ugo Volli, Un uomo, una donna, tanto neon nella ragnatela di Porto
Ugo Volli, Un uomo, una donna, tanto neon nella ragnatela di Porto Said, in «La Repubblica», ripubblicato
in «Il Carrozzone», n. 1, 1978.
Un lampadario se ne sta inclinato a sfidare la legge di gravità; un tappeto solleva beffardamente un angolo.
In centro, con le spalle al pubblico, qualcuno siede su una poltrona, senza guardare i gesti meccanici e
infinitamente ripetuti di un uomo su una sedia mantenuta in equilibrio innaturale da quattro corde. Sullo
sfondo due proiettori mostrano diapositive di paesaggi, carte geografiche, gruppi di nudisti ma sempre più
spesso di textures geometriche. Neon bianchi, azzurri, gialli si accendono qua e là, illividendo le immagini.
E' la prima scena di Vedute di Porto Said del Carrozzone di Firenze, presentato a Milano nell'ambito di una
rassegna della postavanguardia organizzata dalla Provincia che ha suscitato velenosi attacchi di parte della
critica.
Dopo uno spostamento di mobili, eseguito a vista dagli attori, la seconda scena mostra il lento tentativo
claustrofobico di evasione di un uomo nudo.,che porta un lungo tubo al neon. Due voci ripetono
ossessivamente frasi inglesi e francesi: l’apparizione di una donna dà il via ogni volta a una ripetizione
variata dell’azione. Altri spostamenti di mobili. Due donne sedute e legate da un elastico ripetono
ossessivamente gesti elementari... Una presenza ambigua sembra intrappolata in un abito appeso a una fune,
un altro attore si divincola lentamente, imprigionato da una ragnatela di corda... con un nuovo ironico
spiazzamento della legge di gravità un uomo passeggia e una donna sta seduta verticalmente sul fondo scena,
mentre i loro compagni Oscillano sopra la platea. Appesi ad altalene che hanno l’aspetto minaccioso di corde
da impiccato... Si esce tutti nel cortile dove una voce ripete ancora all'infinito una frase qualsiasi in inglese e
due donne siedono su un divano coricate, con le spalle a terra e le ginocchia che si accavallano.
Le immagini che costruisce il Carrozzone sono ipnotiche e preoccupanti anche se qua e là un po’ sbavate.
Senza possedere alcun senso preciso comunicano una gelida inquietudine che è bisogno di fuga, percezione
della meccanicità dell’esistenza, ostentazione fisica dei vincoli spaziotemporali che ci imprigionano. Tutto lo
spettacolo è intessuto di citazioni, a partire dal titolo che allude a Rimbaud, fino agli occhiali neri alla Bob
Wilson che compaiono talvolta: coreografie alla Foreman. formee visive che riproducono geometrie fra la
Bauhaus e Mondrian, pagine di Joyce riprodotte in diapositive, musiche di Reich.
Ma ognuna di queste presenze. talvolta opprimenti, e anche scontate, è filtrata dallo scenario di un’ironia
livida, che non consente mai agli effetti di compiersi, all’ipnosi di vincere completamente. Vedute di Porto
Said assume quindi un andamento quasi scientifico, da gabinetto psicologico, che neutralizza anche i
materiali feticisti e sadomasochisti che affiorano qua e là. In un quadro tanto composito e «colto», così
programmaticamente ambiguo, ognuno è libero di proiettare i suoi significati: la Crisi e l’Impotenza, o forse
il Trucco e il Sogno surrealista, perfino lo scherzo ai danni della percezione. Una ragnatela di percorsi di
lettura, un altro possibile referente per le funi e gli elastici che si intrecciano enigmatici per tutto lo
spettacolo.