Italo Moscati, Trascinati da un insolito vento, in

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Italo Moscati, Trascinati da un insolito vento, in
Italo Moscati, Trascinati da un insolito vento, in «L’Europeo», ripubblicato in «Il Carrozzone», n. 1, 1978.
Cominciamo dal finale. Sulle teste degli spettatori ondeggiano robuste corde appese al soffitto. Con un piede
infilato in un anello di funi che sembrano magre
proboscidi, gli attori del Carrozzone si lasciano trascinare in un viaggio a vuoto. Vanno e vengono. Pendoli
senza direzione e senza orario. È la immagine più bella che il teatro italiano ha prodotto da molto tempo a
questa parte. Semplicissima. Efficace. Lineare. Accusatrice. Da sotto, preoccupati, ci si domanda che cosa
vogliono gli acrobati e perché lo fanno.
Sulla testa di tutti, concretamente ma anche metaforicamente, si stanno muovendo i corpi che sono a caccia
di un vento «diverso». Questo vento, ovvero il simbolo di una ricerca senza compromessi, non c’è, fuori e
dentro il ristretto panorama della nostra scena; e quindi, prende il via uno spericolato abbandonarsi al moto
artificiale. Guardando meglio, seguendo il volo irresponsabile e affidato al caso per durata e intensità, si
pensa pure che l’epoca delle speranze si è conclusa. Fino a ieri, il teatro aveva nell'uscita sulla strada la sua
prospettiva di rivolta liberatrice; oggi, il pendolo del Carrozzone sovrasta il pozzo di una esperienza
compiuta e insufficiente. Invadere gli spazi, conquistare l'aria aperta, serve ancora ma, gli acrobati
suggeriscono, a che cosa porta?
«Vedute di Porto Said» é un titolo improvvisato sulla base delle foto ingiallite di una vecchia raccolta trovata
per caso. Per i più esigenti, il programma dello spettacolo cita Arthur Rimbaud, affetto da un tumore di
origine sifilitica, di ritorno dal Congo, che si fermava a Port Said diretto a Marsiglia. Rimbaud e
Majakowskij sono ormai i luoghi comuni della cosiddetta avanguardia. Fra il caso e la citazione. oscilla
un’ambiguità reale o dovuta, tributo alle convenzioni gelose riservate al «genere». Il che sottolinea con forza
le difficoltà di quei gruppi, pochissimi, come il Carrozzone.,che non si nascondono dietro etichette e
continuano una originale indagine sul territorio del linguaggio che non può fare a meno della
contemporaneità.
Il Carrozzone paga un prezzo non indifferente. Nel senso che non resiste alla «necessità » di ostentare
informazione su quanto si fa nell’arte che lotta con il mercato (diventandone, inevitabilmente. preda). Gesti,
parole, movimenti sono densi di rimandi. La musica e gli oggetti sono ugualmente nutriti di modelli preesistenti, benché riutilizzati in maniera superante. Qui si nota la difficoltà di un lavoro parziale o incompleto,
a causa di una mancanza di mezzi. È come se il Carrozzone prendesse le mosse da una base di esperienza.
per lo più d'origine americana, per non sbagliare. Quando il gruppo si libera e «fa da sé », mostrando le
possibilità di cui si intuisce la irresistibile presenza, le sorprese sono evidentissime. «Vedute di Porto Said»
porta in primo piano con momenti tipo quello dei trapezi, ma anche con altri: un’attrice che rimane
impigliala in un abito steso su un filo «per asciugare», la emozionante combinazione tra studi scenici e
desiderio di attingere a una identità diversa, come il vento di cui si è detto.