ÉTIENNE DE LA BOÉTIE Discorso sulla servitù

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ÉTIENNE DE LA BOÉTIE Discorso sulla servitù
Sociologia
ÉTIENNE DE LA BOÉTIE
Discorso sulla servitù volontaria
1550
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Il Discorso sulla servitù volontaria può essere considerato non solo come uno dei testi
fondativi della filosofia politica francese, ma come la prima importante espressione della
teoria liberale. Il Discours viene scritto infatti intorno al 1550, in un’epoca in cui si sta
affermando quella costruzione politica tipica della modernità che è lo Stato nazionale
centralizzato. Cronologicamente si situa quindi tra la stesura de Il Principe di Niccolò
Machiavelli e I sei libri della Repubblica di Jean Bodin, l’opera che fonda il concetto di
sovranità statuale. Ma mentre Bodin e Machiavelli scrivono per giustificare, ampliare e
consolidare il potere del sovrano, La Boétie discute i modi di rovesciarlo per recuperare
così la libertà naturale dell’individuo.
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PUNTI CHIAVE

Per abbattere il tiranno basta smettere di obbedirgli

Ogni tirannia si fonda necessariamente sul consenso popolare, e la causa
prima della servitù volontaria è l’abitudine

I governanti incoraggiano e pianificano il consenso corrompendo e
ingannando il popolo

Nella società si forma una gerarchia piramidale di dominio che lega quasi
tutti gli individui al despota, ma una piccola élite consapevole continua a ricercare
la libertà

La vita dei tiranni e dei loro favoriti è miserevole, terribile e infelice

La semplice revoca in massa del consenso abbatterebbe pacificamente la
tirannia
RIASSUNTO
Il mistero dell’obbedienza civile
Perché i tanti si sottomettono ai pochi? La massa del popolo detiene una forza
incomparabilmente superiore a quella del governante: perché allora obbedisce
supinamente? È questo “mistero dell’obbedienza civile” che, a metà del XVI secolo, il
giovane studente di legge Étienne de La Boétie si propone di svelare in un breve libello di
filosofia politica che, per il contenuto radicale, non pubblicò mai nel corso della sua vita. Il
testo fu redatto probabilmente intorno al 1550 e circolò clandestinamente fino al 1576
(tredici anni dopo la morte del suo autore), quando venne pubblicato con il titolo
di Contr’Un.
La scoperta basilare di Étienne de La Boétie è che tutti i governanti, compresi i peggiori
tiranni, detengono il potere solo perché i sudditi sono disposti a concederglielo. Ogni
tirannia deve necessariamente fondarsi sul generale consenso popolare, perché in sua
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mancanza nessun genere di governo potrebbe durare a lungo. Un governo non ha
bisogno di essere eletto dal popolo per godere dell’appoggio popolare, perché
quest’ultimo si rivela nella durata stessa del governo, e questo vale anche per il più
oppressivo dei dispotismi. Per qualche enigmatica ragione, che La Boétie cerca di svelare,
le masse popolari acconsentono quindi alla propria sottomissione.
Tutte le tirannidi si fondano sul consenso popolare
Il tiranno è solo un uomo, e con le sole sue forze potrebbe a stento imporre l’obbedienza
a un altro uomo. Come può allora assoggettare un intero paese composto da migliaia o
milioni di uomini, se non fossero proprio questi ultimi a fornirgli tutti gli strumenti del suo
dominio: il denaro, le armi, i servitori, le guardie e i soldati? Sfrutta forse la loro
vigliaccheria? No, osserva La Boétie, perché se mille, un milione di uomini, se mille città
non si difendono da uno solo, non può trattarsi di viltà, perché questo vizio non giunge
mai a tanto.
Perfino gli animali mostrano l’istinto naturale di essere liberi, e prima di farsi catturare
lottano con tutte le loro forze. Solo l’uomo, nato per essere libero, è capace di rinunciare
tanto facilmente a questo suo diritto naturale. Cosa ha potuto snaturarlo al punto da
fargli perdere il ricordo del suo stato originario e il desiderio di riacquistarlo?
Secondo La Boétie la causa prima della servitù volontaria è la forza dell’abitudine. La
ripetizione giorno dopo giorno, per anni, di taluni comportamenti tende a riformare
completamente un individuo come pure la maggior parte delle possibilità della sua
condotta. Uomini che hanno trascorso la loro vita in prigione fino alla vecchiaia
domandano di rientrarvi quando vengono posti in libertà. L’abitudine, infatti, è come una
seconda natura.
Per questa ragione, osserva l’autore del Discorso sulla servitù volontaria, l’instaurazione
della tirannia è difficile soprattutto all’inizio, quando viene imposta la prima volta.
All’inizio gli uomini servono per costrizione e controvoglia; tuttavia, una volta instaurata,
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la tirannia si mantiene facilmente per lungo tempo facendo leva sull’abitudine del
popolo alla schiavitù.
Se non coltivata, infatti, l’inclinazione naturale dell’uomo alla libertà va perduta, soffocata
dall’educazione ricevuta: i servi dicono di essere stati sempre sottomessi, così come i loro
padri e i loro nonni, e non sanno immaginarsi una condizione diversa. Fondano quindi
sulla lunghezza del tempo trascorso il diritto di coloro che li tiranneggiano. Chi nasce
schiavo, quindi, va compatito e perdonato, perché non avendo mai visto nemmeno
l’ombra della libertà e non avendone avuto esperienza, non si rende conto di quanto sia
penosa la sua condizione servile.
La gerarchia piramidale del privilegio
La seconda ragione che spiega il mistero dell’obbedienza civile è che i governanti
incoraggiano e organizzano attivamente il consenso attraverso tre strumenti: il panem, i
circenses e l’inganno. La distribuzione di ricchezze al popolo è sempre stato uno dei
metodi più astuti con cui le classi politiche fanno credere alle masse di trarre beneficio dal
governo esistente. In realtà il popolo non si rende conto di ricevere solo una minuscola
parte di quello che gli era stato precedentemente tolto con le tasse. Il secondo metodo è
quello di organizzare degli spettacoli di intrattenimento, come gli spettacoli teatrali e
sportivi, vere e proprie esche per stordire e inebetire il popolo in vani e sciocchi piaceri.
Il terzo metodo per abbindolare le masse è il ricorso all’imbroglio ideologico, per far
credere che il governante è buono, giusto e saggio, fregiandosi di titoli mistificatori (come
quello di “Tribuno del Popolo” assunto dagli imperatori romani), comparendo raramente
in pubblico per suscitare un’aura di mistero, o attribuendosi addirittura una natura divina.
Più in generale, osserva La Boetié, tutte le volte che i governanti commettono dei crimini
anche molto gravi (rapine, furti, omicidi) li ammantano con qualche bel discorso sul bene
pubblico e sull’interesse comune.
Con il bottino ottenuto mediante la tassazione il governante crea una gerarchia
piramidale di favoritismi concedendo dei privilegi ai propri stretti sostenitori, cioè a quel
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gruppetto ristretto di cinque o sei persone che detiene le più alte cariche di
governo. Questi a loro volta mantengono, con i frutti del saccheggio, seicento profittatori,
e questi a loro volta ne hanno sotto si sé altri seimila, ai quali fanno fare carriera offrendo
cariche e amministrazione del denaro pubblico. In breve, gli uomini più ambiziosi si
raccolgono intorno al tiranno e lo sostengono per avere parte del bottino ottenuto con le
tasse e per diventare, all’ombra del tiranno, piccoli tiranni essi stessi. Questa gerarchia si
ramifica sempre più, finendo col pervadere tutta la società, finché, dice La Boétie, non
sono seimila, ma centomila, milioni, le persone che rimangono legate al tiranno con
questa fune. Tra favori e vantaggi, protezioni e profitti ottenuti grazie ai tiranni, si arriva al
punto che quanti ritengono vantaggiosa la tirannia sono quasi altrettanto numerosi di
quelli che preferirebbero la libertà.
La Boétie mette però in luce come la vita dei despoti e dei loro cortigiani sia miserabile,
infelice, umiliante, dominata dalla paura e dal sospetto del tradimento. Al contrario, in
mezzo al popolo sfruttato non tutti si lasceranno ingannare o accetteranno la
sottomissione per abitudine. Vi sarà sempre una piccola élite consapevole della reale
situazione, che ricorderà alla gente quanto sia grande il bene della libertà, e quanto
inconsistenti siano i miti a difesa del potere e i benefici elargiti dai governi. È a questi
intellettuali libertari, osteggiati e perseguitati, che La Boétie affida il compito di aprire gli
occhi delle persone sulla reale natura e sui metodi del potere, per preparare un futuro di
libertà.
La via della disobbedienza civile
Non c’è bisogno, tuttavia, di ricorrere alla forza per abbattere i tiranni. La Boétie non
auspica rivoluzioni o congiure di gente ambiziosa interessata soltanto a «far cadere una
corona, non togliere il re, cacciare sì il despota, ma tenere in vita la tirannide», ma
desidera una liberazione più profonda dal potere.
Étienne de La Boétie fu infatti uno dei primi a proporre la resistenza non violenta di
massa, cioè la disobbedienza civile, come mezzo per far cadere il tiranno. Se quest’ultimo
governa con il consenso del popolo, allora per privarlo del potere occorre semplicemente
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revocare in massa quel consenso, non obbedendogli e negandogli ogni risorsa. Più
il popolo è arrendevole, scrive La Boétie, più i despoti diventano potenti, ma se in grande
maggioranza le persone rifiutano di eseguire i suoi ordini, allora rimangono «nudi e
sconfitti».
Questo richiamo alla disobbedienza civile di massa entusiasmò molti esponenti del ramo
pacifista dell’anarchismo, come Henry David Thoreau e Leon Tolstoj. L’analisi di La Boétie,
infatti, colpisce al cuore non solo le tirannie, ma la natura stessa del potere. Il dispotismo
riguarda anche i governi democratici, dato che «avere parecchi padroni equivale ad
essere parecchie volte sventurati». Egli spiega infatti che vi sono tre tipi di tiranni: alcuni
ottengono il potere con l’elezione popolare, altri con la forza delle armi, e altri ancora per
successione famigliare.
La lezione di La Boetiè è anche oggi estremamente attuale. Negli attuali sistemi politici lo
sfruttamento feroce di certi gruppi privilegiati (le caste parassitarie dominanti) su altri
gruppi sociali (i ceti produttivi) può compiersi indisturbata, e accrescersi sempre più,
perché i secondi considerano legittimo il dominio dei primi, e quindi acconsentono di
essere tartassati, minacciati, criminalizzati, perseguitati e insultati. L’obiettivo di La Boétie
era quello di aprire gli occhi a tutte le vittime della spogliazione e dell’oppressione statale.
CITAZIONI RILEVANTI
I popoli si incatenano da soli
«Non c’è bisogno di combattere questo tiranno, né di toglierlo di mezzo; si sconfigge da
solo, a patto che il popolo non acconsenta alla propria servitù. Non occorre sottrargli
qualcosa, basta non dargli nulla. Non è necessario che il paese si affanni a fare qualcosa
per il proprio bene, a patto che non faccia nulla a proprio danno. Sono dunque i popoli
stessi che si lasciano incatenare, perché se smettessero di servire sarebbero liberi». (p. 7)
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Il tiranno possiede solo quello che gli date
«Dove ha preso tutti gli occhi con cui vi spia, se non glieli avete prestati voi? Come può
avere tante mani per colpirvi, se non prendendole da voi? I piedi con cui calpesta le vostre
città da dove gli verrebbero, se non fossero i vostri? Ha qualche potere su di voi che non
gli derivi da voi stessi? Come oserebbe aggredirvi, se non potesse contare sulla vostra
complicità?» (p. 9)
L’inganno assistenzialista
«I tiranni largheggiavano nel distribuire quarti di grano, qualche sestario di vino e un po’
di sesterzi; ed era allora uno spettacolo penoso sentir gridare: “Viva il re!”. Quegli sciocchi
non si rendevano conto che stavano solo recuperando una parte dei loro averi, che il
tiranno non avrebbe potuto restituire loro se prima non gliel’avesse sottratta» (p. 25)
L’AUTORE
Étienne de La Boétie (1530-1563) nasce il 1º novembre del 1530 a Sarlat, piccola città
della regione francese del Périgord. Rimasto orfano in giovane età, viene allevato e
avviato agli studi dallo zio curato. Finiti gli studi collegiali si iscrive alla Facoltà di Diritto
dell’Università di Orléans, assai all’avanguardia all’epoca, con l’idea di far carriera in
magistratura. In questi anni giovanili scrive l’esplosivo “Discorso sulla servitù volontaria”,
senza però mai pubblicarlo. La Boétie si laurea in giurisprudenza nel settembre
del 1553, e l’anno successivo diviene Consigliere al Parlamento di Bordeaux. Tre anni
dopo anche un altro grande pensatore francese, Michel de Montaigne, diveta consigliere
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nello stesso parlamento: in questo modo i due stringono quella celebre amicizia
che Montaigne descriverà nei suoi “Essais”. In questo periodo di scontri dovuti al
diffondersi della Riforma protestante, La Boétie sostiene la politica di conciliazione
religiosa della reggente Caterina de Medici e del suo cancelliere Michel de L’Hospital,
pubblicando nel 1562 le “Memorie sull’editto di gennaio”, in cui denuncia i pericoli
connessi agli scontri religiosi e l’inutilità, se non la dannosità, della repressione violenta.
Per La Boétie bisogna fermare gli scontri in modo pacifico, pena la lacerazione del Regno
di Francia. La sua carriera politica stava cominciando ad assumere una certa rilevanza
nazionale quando improvvisamente si ammala. Il 18 agosto 1563 egli muore tra le braccia
dell'amico Montaigne, nominato suo esecutore testamentario, che era accorso al suo
capezzale.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Liberilibri, Macerata, 2004, p. 54,
Traduzione di Carla Maggiori, introduzione di Murray n. Rothbard, postfazione di Nicola
Iannello e Carlo Lottieri
Titolo originale: Discours de la servitude volontaire
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