D2.1 Report metodologico che implementa un

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D2.1 Report metodologico che implementa un
NeoLuoghi - Soluzioni per l’esperienza culturale nei luoghi elettivi della surmodernità
D2.1
Report metodologico che implementa un manuale di stile di
riferimento e regole prossemiche
SOMMARIO
0.
1.
1.1
2.
2.1
2.2
3.
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
3.8
4.
4.1
4.2
4.2.1
4.2.2
4.2.3
4.3
4.4
4.5
5
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
6
6.1 6.2
6.3 Premessa
Neoluoghi: quadri concettuali
Neoluoghi e frisione culturale
Percorso Metodologico La pratica architettonica contemporanea
La ricerca di ambiti disciplinari idonei
Mitopoiesi - prossemica - imagery
Mitopoiesi
Mitopoiesi e social network
Mitopoiesi e immagine Concezione mitopoietica del luogo. Prossemica
Regole e livelli Verso l’Imagery Mood / Atmosfera
Analisi dei casi-studio Parchi a tema sintetici
Parchi culturali contestualizzati
[caso studio] Cultura e televisione: I luoghi di Montalbano
[caso studio] Il concetto di immersività: Sovereign Hill, AU
[caso studio] Parco d’arte: Parco Scultoreo di Fiumara d’Arte Musei aziendali e flagship stores Outlet Strutture ricettive: dal resort all’albergo diffuso
Elementi strutturanti la narrazione fisica del parco tematico
Elementi strutturanti [schede]
Strumenti [schede]
Isomorfismo, Pervasività immaginativa, immedesimazione esperienziale Macrodescrittori della narrazione Il progetto del Neoluogo come equilibrio
Strumenti per l’implementazione della metodologia Approccio e concept
Finalità e utenti Struttura e funzionamento 3
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2
0.
PREMESSA
La teoria dei non luoghi1 è stata determinante nei primi anni Novanta del secolo scorso per leggere,
attraverso la dissoluzione dei luoghi storici, la trasformazione della città industriale nella metropoli
del consumo totale. (Ilardi, pag. 7)
La teoria dei non-luoghi1 ha offerto una lettura della trasformazione della città e dei suoi luoghi
tradizionali in metropoli del consumo totale. Un concetto assimilato dalla società contemporanea,
e destinato ad esserne assorbito, diluito nel tempo. Se un centro commerciale o un aeroporto
sono stati inizialmente non-luoghi, ovvero senza storia e senza memoria, col tempo e con la
frequentazione, con le abitudini, diventano a loro volta contenitori di storie e memorie e quindi non
più non-luoghi. È un fatto scontato, previsto dallo stesso Augé, che porta in evidenza il ruolo delle
persone, il loro “fare” qualcosa nei luoghi. I cittadini hanno “bisogno” di luoghi che appartengano,
che conservino, che restituiscano senso, che raccontino, testimoni del loro esserci stati. I neoluoghi oggetto della presente ricerca si propongono come una interpretazione di questa esigenza,
intravedendo nei parchi tematici dell’esperienza culturale una possibile immagine del rapporto fra
società e valori culturali, il mondo dell’esperienza conoscitiva e dell’emozione estetica condivisa,
ispirandosi anche al metodo di lavoro introdotto e perfezionato dai celebri imagineers disneyani,
che per primi hanno dato forma ad un ambiente immersivo.
“La Sindrome Disney” è esplosa negli anni novanta, e si è inserita a pieno nel clima culturale in cui
il consumo ha assunto il ruolo di filo rosso che lega e allo stesso tempo si lega all’esperienza e alla
cultura, connotando fortemente la nostra epoca, a tutti i livelli: “l’unica energia di trasformazione
esistente: (…) l’unica corrente elettrica a disposizione in tutto il mondo”. “[…] l’unico modello
di benessere finora elaborato, per il quale il mondo è disposto a ribaltarsi per ottenerlo. In barba a
tutti noi che abbiamo sperato che contro il mercato planetario potessero ancora valere le alternative
locali e le culture regionali.” (Branzi, 1996, pag. 58)
Sulla scia del consumismo il progetto si svuota di senso: senza domande, e quindi senza risposte,
lo definisce Branzi, semplicemente rispondendo ai canoni formali e sociali del proprio tempo, e
dunque producendo spazi, informazioni e servizi, senza descrivere uno scenario unitario. Il futuro
– già presente in alcune situazioni – propone due opzioni estreme: da una parte l’integralismo
degli ambientalisti, e dall’altro una sorta di recuperata innocenza, in una società appiattita, senza
religione, come descritta dal canadese Douglas Coupland nel suo “La vita dopo Dio”, ma sensibile
alle relazioni umane, con un approccio sensoriale alla realtà, non più basato sulla conoscenza
strutturale del mondo della storia, della cultura, “ma piuttosto dal sapore, dall’odore, dal tatto,
dal suono di questa”. Propone dunque un approccio fisico, più che metafisico, verso ciò che
ci circonda, caratterizzato dalla pupazzizzazione, a tutti i livelli. Le Disneyland che fioriscono in
questo periodo non sono luoghi di evasione, sostiene Branzi “ma parti omogenee della civiltà della
comunicazione, dei consumi” esempi concreti del nostro presente. Un presente in cui le plastiche
sembrano caramelle, e le caramelle sembrano di plastica, “il livello commestibile della realtà si è
enormemente sviluppato” (Branzi, 1996, pag.58) e la gommosità è divenuta una categoria estetica.
Si è persa in sostanza, la dimensione verticale delle cose, per cui si è combattuto negli anni della
1-Concetto coniato da M. Augé, per indicare la mancanza di valori storici, identitari, consuetudinari (Augé, M. 1992).
3
cultura radicale, accettando questa nuova condizione senza scandali.
Qual è il senso di tutto questo? Si domanda Branzi. Forse “non ha senso, ma appartiene al senso.”
Si assiste a quello spostamento del senso dalla profondità alla superficie, così come lo descrive
dieci anni dopo Baricco ne “I barbari”. Lo “smantellamento sistematico di tutto l’armamentario
mentale ereditato dalla cultura ottocentesca, romantica e borghese”, la crisi dei modelli culturali
del passato, che da una parte viene percepita come una invasione barbarica come di fronte a “una
terra saccheggiata da predatori senza cultura né storia” ma che in realtà, secondo Baricco, non può
che essere accettata come una mutazione, abbandonando il paradigma dello scontro di civiltà per
non rinunciare alla possibilità di una qualche governabilità di essa. Si tratta, allora, di accettare
un’idea diversa di esperienza, e una differente dislocazione del senso nel tessuto dell’esistenza.
“Abolita la profondità, il senso si stava spostando ad abitare la superficie delle evidenze e delle
cose. Non spariva, si spostava. La reinvenzione della superficialità come luogo del senso è una
delle imprese che abbiamo compiuto: un lavoretto d’artigianato spirituale che passerà alla storia”.
“La superficie è tutto, e in essa è scritto il senso. Meglio: in essa siamo capaci di tracciare un
senso.” (Baricco, 2006).
Viviamo dunque questa superficie caratterizzata da un’invasione del presente, dall’invasione di
un flusso di immagini; “viviamo in un mondo che non abbiamo ancora imparato ad osservare”
(Augè, 1992, pag. 37) e che si è dilatato vertiginosamente, negli ultimi decenni; basta pensare,
tanto per fare un esempio, alla riduzione delle distanze o alla crescita dei palinsesti televisivi. È
“l’effetto combinato di un’accelerazione della storia” di un eccesso di tempo, in cui gli avvenimenti
si sovrappongono, e di un eccesso di spazio, legato alla riduzione delle distanze. Augè definisce
questa nostra epoca come surmodernità, in quanto si sovrappone e prosegue la modernità ma
senza una propria identità riconoscibile, immersa nel frastuono delle immagini, delle cose, in
una dimensione di estetizzazione della vita che ha luogo attraverso i media. Questi distribuiscono
cultura, intrattenimento, “secondo criteri di bellezza (attraenza formale dei prodotti) che hanno
assunto nella vita di ognuno un peso infinitamente più grande che in qualunque altra epoca del
passato” “che produce consenso, instaurazione e intensificazione di un comune linguaggio nel
sociale.” (Vattimo, 1985) Ormai narcotizzati e annoiati non si trova più il piacere del divertimento
– quel senso originario del di-vertere, volgere altrove, uscire dalle regole – in ciò che, di fatto,
è divenuta la regola. Stanchi e annoiati di guardare cose che vorrebbero o dovrebbero suscitare
meraviglia e invece provocano noia e imbarbarimento. Bombardati da effetti speciali, che
aspirerebbero a sedurre, come le immagini pubblicitarie, e che invece provocano fastidio. Stanchi
di essere passivi, guidati dalla scena in cui si è ovunque costretti, dai luoghi, ai non-luoghi ai
superluoghi. E’ un ciclo che manca di novità. Al consumo passivo si contrappone il bisogno di
partecipazione, una dimensione attiva, in parte mossa anche dalla condizione di crisi economica,
che si ricollega alla dimensione fattiva degli anni ‘60 del DIY del fare dell’autoproduzione, del
riciclo, dei Makers, che ha acquistato un valore che travalica quello del banale bricolage. Al di
là del termine Makers, già abusato, al di là dei vari Lab e Farm, quello che emerge è l’esigenza
di ridare al singolo individuo il controllo e la consapevolezza su ciò che fa e consuma, autoresponsabilizzazione, maggior coscienza e impegno attivo. Una dimensione, quella dell’uomoartigiano di Richard Sennett, che supera l’artigianalità del fare con le mani, divenendo un approccio
al lavoro, all’impegno sociale, che nel fare cerca condivisione, scambio, consapevolezza, in un
4
periodo, il nostro, in cui tutto sembra smaterializzato. “Fare è connettere” (Gauntlett 2013, pag. 40)
e online, così come nel mondo reale, tutti vogliono lasciare una traccia di sé, ritrovare un proprio
ruolo mettendo insieme la dimensione fattiva legata alla produzione artigianale e quella connessa
al protagonismo in rete. Sembra quasi un richiamo a quel legame fra la gioia e la creatività di cui
parlava Ruskin2 nei primi anni del XX secolo. All’approccio top-down dell’industrialismo gerarchico
si contrappone l’espressione attraverso il processo: la dimensione autoriale lascia spazio alle reti
di produzione che coinvolgono gli utenti stessi nella progressiva definizione del prodotto finale,
piattaforme di collaborazione indipendente, sistemi aperti. L’attualità dell’approccio ad-hoc,
esaltato già dalla controcultura americana degli anni sessanta, ricompare nei periodi di crisi, di
rottura della tradizione. Parlavano di Adhocracy già nel 1968 Bennis e Slater per indicare un nuovo
concetto a rete, flessibile e reattivo, non burocratico, in antitesi ai principi classici del management
e della cultura di impresa. Un concetto ripreso e sviluppato da Toffler (1970), e poi da C. Jenks,
(1972) che porta l’adhocismo dalle teorie organizzative verso le pratiche progettuali.
Uno stile quasi improvvisato, dunque, ma che risponde a un modo tipicamente latino, mediterraneo,
dei sud del mondo, in cui spesso le pratiche DIY (Do It Yourself) non si configurano come
esercizio più o meno professionale, moda radicale, ma come necessità, azioni di sopravvivenza, di
adattamento alle avversità, o meglio re-azioni alle crisi ambientali, sociali, economiche. Una sorta
di rivoluzione tecnologica ma anche ecologica, culturale e sociale, le cui origini escono dai confini
della comunità del design entrando nella cultura di massa, e proponendo sulla scena una propria
dimensione estetica, se pur opaca e non sempre gradevole, secondo quelli che potrebbero essere
i canoni tradizionali della bellezza.
Sulla scia del ready-made duchampiano è il fruitore-osservatore che attribuisce il senso, il progetto
è malleabile: parte da ciò che già esiste, si ricicla, si riusa, si re-inventa, si rinnova agendo in modo
sensibile sulle peculiarità dei luoghi, sulle leve strategiche a disposizione degli operatori, sulle
possibili configurazioni alternative dei modelli di business effettivamente collegati alle prioritarie
esigenze di utilizzazione. La storia del riciclo urbano si inserisce in questa prospettiva, ed oggi è
consapevolmente diffusa. E’ necessario però andare oltre. Lo spirito del tempo, quando è recepito
da tutti, è ormai passato. Per questo serve guardare a quell’oltre cui non si riesce ancora bene a dare
una forma o un nome, ma che già fa avvertire la sua presenza, cercando un possibile equilibrio, fra
il fare e l’essere.
Allora forse anche nella tematizzazione piuttosto che di una storia che ci sommerge
abbiamo bisogno di una storia da costruire o ri-costruire pezzo per pezzo. Una estetica
del fare non certo nuova, che si allontana dai canoni per andare verso il meno bello ma
condiviso. Dunque luoghi da costruire in kit di montaggio? Parchi dove fare, da fare in
prima persona?
Il rigore e l’immaginazione devono poter convivere nel nostro modello; nulla di lento ed immobile
ma anzi dinamico, in grado di promuovere un nuo­vo umanesimo dell’essere e dell’abitare attraverso
un “adattamento virtuoso”.
2-“La gioia insita nella creatività del lavoratore dovrebbe essere visibile nelle cose che produce” Ruskin, 1920, pag. 181.
5
1.
NEOLUOGHI:
QUADRI
CONCETTUALI
Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo, Mirror Mirror, Biancaneve e il cacciatore, Hansel e Gretel
cacciatori di Streghe, sono solo alcuni dei film usciti nella sale negli ultimi anni, la cui analisi risulta
molto utile per introdurre un ragionamento complesso sui Neoluoghi e sulle loro caratteristiche
fisico-estetiche ed esperienziali. Si tratta infatti, per tutte queste pellicole, di una ripresa di fiabe
tradizionali reinterpretate in chiave più o meno originale, che sembrano in alcuni casi veri e
propri spin-off della saga di Shrek, con la sua rilettura divertente e divertita della fiaba dei fratelli
Grimm. Giocando con i personaggi tradizionali reinterpretandoli in chiave moderna3 e riuscendo
a dar vita a ibridazioni non scontate e commistioni raffinate, questi film sono caratterizzati da uno
stile visivo pieno, architetture e costumi eccedenti, rimandi continui ad altre storie e a esperienze
contemporanee abituali per chi guarda4.
Una analisi di queste rappresentazioni evidenzia concetti come: ibridazione, rimandi continui alla
storia, a mondi e culture altre, messaggi pluri-livello che dialogano con etnie, età e formazioni
culturali differenti, narrazioni soggettive che incrociano vari punti di vista, forza visiva dirompente.
Tutto ciò contribuisce a fare, di questi film per famiglie, e non solo, un’esperienza perfetta di
neoluogo, di iperstimolazione immersiva che conduce alla sospensione del giudizio e delle
coordinate spazio-temporali, e che, pur avvolgendo lo spettatore a 360°, lo conduce sempre
altrove, a seconda delle caratteristiche individuali di ogni user che il film è in grado di stimolare.
Del resto, anche i programmi televisivi vanno sempre più in questa direzione, così come i prodotti
dell’editoria musicale e non: una gara canora non è più solo uno spettacolo al quale assistere5, un
libro non è più solo una storia da leggere e immaginare con la fantasia6 un cantante non crea solo
musica, ma anche uno stile, che comprende abbigliamento, profumi, accessori, cosmetici, diete e
nuova pratiche sportive7.
Ecco dunque che questi film, reinterpretazioni globalizzate e ipertestuali di storie assai note, evocano
molti aspetti del Neoluogo così come definito e studiato nell’OR1 del presente lavoro di ricerca:
uno spazio di condensazione semiotica, esperienziale e cognitiva, che procede secondo
ristrutturazioni degli elementi preesistenti in direzione accrescitiva o ricostruttiva, addensando
le percezioni e annodando tempi, spazi e temi in una struttura narrativa che si svolge in un
continuum di sospensione delle coordinate spazio-temporali.
3-Per esempio, in Mirror Mirror di Tarsem Singh (2012) Biancaneve si salva da sola e non viene salvata dal principe, in
Percy Jackson Las Vegas diviene la terra dei Lotofagi e un Amusement Parc in rovina è l’isola di Circe.
4-L’uso diffuso dei social, di internet e dei dispositivi mobili ha reso molto più prossime all’esperienza quotidiana di
ogni spettatore, e quindi molto più semplici da rappresentare, soluzioni narrative come il salto di dimensione, l’invio di
messaggi in forme “magiche” e immediate e così via.
5-In Italia la nuova edizione del talent Xfactor offre una molteplicità di servizi multimediali, che coinvolgono lo spettatore
nella gara, facendolo sentire parte della stessa: si può non solo votare, ma dare consigli sul canto e sul look ai concorrenti,
chattare con loro, essere selezionati per decidere tema, coreorgrafia, costumi e mood di una messa in scena. Il “posto in
prima fila” dell’abbonato RAI è ormai sostituito da un posto sul palco o quantomeno del backstage.
6-Dai “libri-game” degli anno Ottanta l’evoluzione del libro non si è più fermata: non solo DVD che aggiungono contenuti,
ma vfere e proprie forme di interazione con la storia e con la sua rappresentazione, che trasformano la lettura in una
esperienza tridimensionali mossa dal lettore stesso.
7-come insegnano i divi dell’Hip Hop la musica ormai è un business e all’acquirente del CD non viene venduta solo
una compilation di canzoni, ma un vero e proprio mood, entrati nel quale si aprono continui link a nuove esperienze,
ovviamente…a pagamento.
6
Anche nella concezione architettonica, il neoluogo è definito da Franco Purini comprendendo
questa interazione fra utente e spazio: neoluogo è un punto stabile, spazio pubblico inteso come
riferimento attorno al quale si ancorano le relazioni urbane, definito oltre che per le caratteristiche
geografiche e storiche, per le componenti culturali e sociali, per le comunità che vi abitano.
Mentre il mondo dei non-luoghi è il mondo del mercato e del consumo, il mondo dei neoluoghi
è caratterizzato da spazi riconquistati di azione reale, coinvolgendo anche l’incursore, colui che
compie azioni irriverenti.
I neoluoghi esprimono dunque il potere della cultura contemporanea, che tende sempre più a
fondere l’esperienza autoriale con quella del fruitore: un processo per cui si generano nuove trame
e si aprono nuovi mercati partendo dalla circolazione dei contenuti e delle idee che gli stessi utenti
creano attorno a un prodotto culturale. Un territorio nuovo, in cui produzione e consumo scambiano
i propri ruoli e discutono le proprie ambizioni, mostrandosi specchio di un’era interconnessa,
votata alla partecipazione. I neoluoghi sono luoghi in cui si dà forma alla popular culture
contemporanea, intesa alla maniera di Jenkis8, nel senso che in essi l’attenzione si focalizza su
chi recepisce l’esperienza culturale e se ne appropria.
Per capire quali ricadute possa avere una cultura spaziale di questo tipo sulla struttura morfologica,
estetica e funzionale dei nostri luoghi di vita può essere utile riprendere alcuni concetti sviluppati
nell’ambito del seminario Media/City: new spaces, new aesthetics9, promosso dalla Triennale
di Milano nel giugno 2012, al quale ha partecipato proprio anche Jenkins. Durante il suo intervento,
il professore del Mit si chiedeva: cosa fanno i media alla città? Una domanda che costituisce
un’opportunità per indagare la città contemporanea sotto vari aspetti: dalla tecnologia come
strumento per l’economia alla tecnologia come elemento estetico urbano fino alla tecnologia come
elemento di risignificazione culturale del tessuto urbano.
Come riferisce Francesco Casetti10 relatore allo stesso seminario, «la città è qualcosa di complesso,
in cui si incrociano processi molto concreti (percorrere, mangiare, dormire…) e processi altamente
simbolici (bisogni culturali, memorie, senso della prossimità…). I media aiutano a connettere
queste cose, poiché sono i veicoli massimi di informazioni, conoscenze, valori».
La città, la smart city del presente e del futuro, sta dunque cambiando. I media giocano un ruolo
8-Henry Jenkins è un accademico e saggista statunitense che si occupa di media, comunicazione e giornalismo. Nella
prefazione all’edizione italiana del suo libro “Cultura convergente” (2007) il collettivo Wu Ming, autore del testo, evidenzia una
possibile incomprensione molto importante ai fini del nostro lavoro. In Italia per “cultura popolare” si intende di norma quella
folk, preindustriale o comunque sopravvissuta all’industrialismo. “Cultura popolare” sono i cantores sardi o la tarantella.
Chi usa l’espressione in un contesto differente, di solito si riferisce a quella che in inglese si chiama “popular culture”. Qui da
noi siamo soliti definirla “cultura di massa”, espressione che ha un omologo anche in inglese (“mass culture”), ma Jenkins
fa notare che il nome ingenera un equivoco, e inoltre c’è una sfumatura di significato tra “mass culture” e “popular culture”.
L’equivoco è che la “cultura di massa” - veicolata dai mass media (cinema, tv, discografia, fumetti) - non per forza
dev’essere consumata da grandi masse: rientra in quella definizione anche un disco rivolto a una minoranza di
ascoltatori, o un particolare genere di cinema apprezzato in una nicchia underground. Oggi la stragrande maggioranza
dei prodotti culturali non è di massa: viviamo in un mondo di infinite nicchie e sottogeneri. Il mainstream
generalista e “nazionalpopolare” è meno importante di quanto fosse un tempo, e continuerà a ridimensionarsi.
La sfumatura di significato, invece, consiste in questo: cultura di massa indica come viene trasmessa questa cultura, vale
a dire attraverso i mass media; cultura popolare pone l’accento su chi la recepisce e se ne appropria. Di solito, quando si
parla del posto che la tale canzone o il tale film ha nella vita delle persone (“La senti? E’ la nostra canzone!”), o di come
il tale libro o il tale fumetto ha influenzato la sua epoca, si usa l’espressione “popular culture”.
7
chiave in questo cambiamento perché non si configurano più come strumenti che trasmettono
informazione ma «mantenendo i cittadini sempre connessi, sono diventati una nuova forma di
organizzazione sociale; registrando il rapido emergere degli orientamenti sociali e promuovendo
un più forte senso di partecipazione mettono in atto nuove forme di cittadinanza». «la circolazione
dei messaggi è globale, ma i messaggi atterrano localmente. «i media introducono non solo una
rifunzionalizzazione dei luoghi, ma anche nuove forme di bellezza».
I nuovi media, la possibilità di fondere visione autoriale e personalizzazione sfidano
l’architettura a sondare nuove forme e soluzioni per il costrutto urbano.
Quali nuove forme assumono gli spazi pubblici e privati, sotto la spinta di una crescente presenza
dei media? Quali nuove forme di bellezza emergono, in un paesaggio che tende spesso ad apparire
trasandato e casuale? Quali nuovi servizi si impongono ai cittadini? Quali nuove pratiche sociali?
Quali forme di cittadinanza? In un momento di grande svolta socio-culturale, in cui i nuovi media
aprono la strada alla partecipazione, in cui lo storytelling delle comunità e dei luoghi non è più
nelle mani di pochi grandi soggetti, ma in cui ogni cittadino ha la possibilità di raccontare la
propria storia e la propria visione del mondo, la città comincia a ripensare se stessa e a ridefinire il
tradizionale spazio urbano, nell’ottica che i media non siano più solo strumenti, ma guidino
i movimenti e le scelte dei cittadini e generino anche nuove forme di estetica urbana.
Come rileva Balduci11 “quello che vediamo oggi è che si creano comunità di appassionati di sport,
comunità professionali, reti sui social network. Si creano relazioni tipicamente a distanza legate
allo sviluppo dei media che, solo in certi momenti, precipitano nello spazio fisico. D’altra parte
la prossimità ha meno importanza, viene riconfigurata e ricombinata in relazione allo spazio a
distanza. Una volta, nascere in un paesino dell’hinterland milanese significava essere confinati in
quello spazio e nelle sue relazioni di prossimità (la piazza, la famiglia). Oggi il movimento delle
persone e le relazioni a distanza hanno modificato questa concezione”. Ciò che però occorre
sottolineare e indagare è che non stiamo assistendo ad una degenerazione della città, ma
ad una nuova configurazione su cui possiamo riflettere».
La forma assunta dallo spazio post-metropolitano pone nuove sfide in termini di urbanesimo e
abitabilità, temi che possono essere correttamente interpretati a patto di abbandonare le tradizionali
concezioni non solo di città e metropoli, ma anche del ruolo del progettista.
Per comprendere a fondo questo passaggio e le sue ricadute sui luoghi dell’esperienza culturale può
essere utile richiamare il concetto di tag: la caratteristica fondamentale dei tag, che ne costituisce
il carattere innovativo e rivoluzionario, è che permettono un tipo di classificazione di elementi
“dal basso verso l’alto”, contrapposta alle classiche classificazioni gerarchiche, come ad esempio
quelle dei libri in una biblioteca, che possono essere considerate “dall’alto verso il basso”. In
un sistema tradizionale gerarchico (tassonomico), il progettista definisce un numero limitato di
parametri da utilizzare per la classificazione, con il quale esiste uno e uno solo modo corretto per
classificare ciascun elemento. In un sistema di tagging, invece, c’è un numero illimitato di modi
9-I materiali del seminario e i video degli interventi sono reperibili sul sito ufficiale della manifestazione: http://www.
triennale.it/it/calendario/calendario-eventi-list/1115-media-city-new-spaces-new-aesthetics
10-Francesco Casetti è professore di cinema e media alla Yale University. http://www.meetthemediaguru.org/mediacityfrancesco-casetti-spunti-dal-convegno/
11-Alessandro Balducci, anch’egli relatore al seminario della Triennale, è Professore ordinario di Urban Policies al
Politecnico di Milano. http://www.meetthemediaguru.org/mediacity-alessandro-balducci-spunti-dal-convegno/
8
per classificare un oggetto, nessuno dei quali è più corretto o sbagliato di un altro, in quanto un
elemento, invece di appartenere ad una sola categoria, può essere associato a tag diversi.
Riprendendo dunque il pensiero di Derrick De Kerckhove12, secondo il quale “…La distribuzione è
la metafora di base della cultura attuale: si ridistribuisce, si decentralizza, si riorganizza, si rendono
ubiqui tutti i punti di connessione con la Rete. [...]», potremmo arrivare a dire che lo spazio urbano
contemporaneo, con il suo portato di signifcati e valenze culturali, è un luogo intrinsecamente
taggato, un nodo di una rete è al tempo stesso luogo di mediazione tra collettivizzazione della
memoria personale e personalizzazione della memoria collettiva, di conciliazione tra due aspetti
di un unico testo, ovvero l’essere contemporaneamente tradotto in differenti lingue e narrazioni pur
conservando in sé l’impronta delle proprie origini.
Declinando questo approccio alla categoria dei Neoluoghi per l’esperienza culturale, così come
definiti da questa ricerca, si può dunque affermare che il Neoluogo dà all’utente (o, come dice
Lukas13, l’avventore) la possibilità di transitare continuamente tra diversi mondi e ambienti mediali
tutti saldamente legati alla sua persona, ai suoi gusti, alle sue chiavi di lettura; la narrazione sottesa
alla struttura del neoluogo serve ad orientare, a produrre senso, ma soprattutto ad uscire dal “parco”,
perché il neoluogo non è fermo nel tempo e nello spazio, ma è uno snodo di condensazione
estetico-semantica e di connessione tra l’heritage del luogo stesso e tutto ciò che vi
può essere associato sia temporalmente che spazialmente.
12-Sociologo, ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore
di La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa (titolo originale: The Skin of Culture and Connected Intelligence) e
Professore Universitario nel Dipartimento di lingua francese all'Università di Toronto. Attualmente è docente presso la
Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Napoli Federico II dove è titolare degli insegnamenti di "Sociologia
della cultura digitale" e di "Marketing e nuovi media". Richiamando la teoria dell'Intelligenza Collettiva di Pierre Levy, de
Kerckhove l'ha aggiornata e adattata al contesto tecnologico delle reti, mirando alla connessione delle intelligenze quale
approccio ed incontro sinergico dei singoli soggetti per il raggiungimento di un obiettivo. Tale connettività si affianca e
contemporaneamente si oppone all'idea di collettività proposta da Levy, aggiungendo a questa l'unità frammentata delle
potenzialità degli elementi della rete. Non soltanto, quindi, la comunicabilità dei singoli elementi quale caratteristica
fondamentale del nuovo medium, ma la possibilità offerta per la azione/creazione di un oggetto multimediale, un artefatto
cognitivo.
9
1.1
PERCORSO
METODOLOGICO
Da questa definizione risulta immediatamente comprensibile come un neoluogo sia interessante
dal punto di vista della qualità urbana, della fruizione culturale e della valorizzazione turistica dei
luoghi.
La fruizione culturale ha sempre più necessità di eterotopie, luoghi speciali e riconoscibili,
caratterizzati da una alta densità esperienziale, nei quali immergersi in sentimenti culturali
deliberati e personalizzati. Nell’epoca in cui tutto è a portata di mano, tutto è raggiungibile, i
luoghi come le informazioni, in cui tutto è ibridato e già visto attraverso i media, la semplice
bellezza o straordinarietà dell’evasione dalla quotidianità e del confronto diretto con il mito
necessita di essere integrata con la dimensione emozionale. Le emozioni individuali sono al centro
di ogni attività e sono divenute anch’esse oggetto di fabbricazione: ce le procurano “…alzando in
continuazione l’asticella della sorpresa, della novità, della divesrità.”14
Il neoluogo per la fruizione culturale è dunque quello spazio progettato e realizzato
affinchè le emozioni, che sono brevi, senza pudori, a volte stupide, ma altamente
attrattive, possono trasformarsi in esperienza, solidificando la spinta iniziale e
trasformandola in arricchimento, evitando la saturazione e/o la delusione e portando
l’utente ad ascendere alla conoscenza.
Risulta dunque evidente che le mete turistiche basate su esperienze culturali devono oggi sapersi
innovare e offrire all’utente (non più un semplice visitatore) vere e proprie esperienze contemporanee.
Tra le tante forme di turismo, quello che più dimostra la maggiore aderenza a questa tipologia di
approccio è il turismo “culturale”, uno dei settori in forte ascesa sul piano mondiale, nella nostra
epoca. I turisti internazionali erano 70 milioni nel 1960, hanno raggiunto e superato la soglia del
mezzo miliardo nel 1995, e negli anni 2000 si avvicinano al miliardo. L’industria del turismo ha
subito un incremento notevole, e, dalla tradizionale natura statica che reiterava lo stesso prodotto
e lo stesso modello di offerta anno dopo anno, si è evoluta, per attrarre turisti e visitatori del nuovo
millennio, non tanto cambiando il patrimonio di beni culturali, ambientali e di loisir offerto, quanto
modificando il racconto degli stessi, il modo di rappresentarli, renderli fruibili e, in ultima analisi,
veicolarli sul mercato.
“Il turismo come condizione dell’esistenza…è, più che una propensione, un dato di fatto dell’attuale
fase storica” (Rossi, Gomez, 2011). Non è più un semplice strumento per la crescita economica
dei luoghi e nemmeno una semplice fonte di ricchezza per conservarli, ma è divenuto esso stesso
uno strumento per la costruzione e l’attribuzione di una identità ai luoghi stessi.
In un tale contesto si pensi per esempio al cosiddetto “Turismo della Memoria”, dedicato alla
scoperta dell’identità altrui durante il soggiorno in un determinato territorio. Oramai anche il turista
balneare vuole conoscere l’entroterra, i suoi prodotti, la sua storia (a riprova di ciò si veda, ad
esempio, il sistema dei Castelli Malatestiani della Romagna15, elaborato grazie anche al Progetto 13-Scott A. Lukas è autore di numerosi testi sui mondo immersivi. Nel suo sito personale egli definisce come segue la
propria ricerca “My research focuses on the cultural significance of forms of remaking. Remaking is defined as a cultural
intervention in which a media form is transformed into another media form. I am interested in the consequences—
economic, political, representational, cultural—in which remaking occurs. My studies have included theme parks and
themed spaces, film, video games, gender and crime.”
14-A. Rossi, M. Goetz, “Turist Experience Design”- Hoepli 2011
15-http://www.sulleormedellastoria.it/IT/press/turismo-della-memoria.html
10
comunitario SUVOT per rispondere adeguatamente alla domanda di un turismo che non si ritiene
più appagato dalla sola offerta della riviera). Si è di fatto avviata una nuova forma di curiosità sotto
lo stimolo di un più generale interesse per l’identità culturale propria e altrui. Coerente, del resto,
con l’accelerazione delle relazioni plurietniche che sollecita al dialogo fra culture, a partire da una
buona conoscenza della propria. Un tale approccio al viaggio che arricchisce ha comportato un
cambiamento anche nelle abitudini del turista medio, che oramai preferisce investire meno sul
confort del trasferimento (aumento di voli e aeroporti low-cost) e alloggio (aumento di strutture
ricettive alternative a quelle alberghiere tradizionali, come i Bed & Breakfast), per riservare la
maggior parte delle proprie risorse alla scoperta del territorio in cui va a soggiornare per un periodo
limitato di tempo. Il turismo si arricchisce quindi necessariamente di contenuti, con un ritorno
al significato originario che lo vedeva qualificarsi soprattutto come fenomeno culturale. Questo
approccio è sostenuto dai sociologi del settore come Dean McCannell16 che sostiene: «il turismo
non è riducibile a solo aggregato di attività commerciali, è anche trama ideologica di storia, natura
e tradizione, che ha il potere di dare nuova forma ai bisogni di cultura e natura».
Il desiderio di conoscenza del passato è collegabile direttamente al bisogno di identità. Questa
necessità formativa cresce con l’evolvere della società, e le indagini sociologiche lo confermano;
gli storici statunitensi parlano di fame del passato, collegandola direttamente alla crescita della
società multiculturale, dove ciascuna etnia torna a riflettere sulle sue radici e sugli apporti che ha
fornito alla comunità plurietnica, per comprendere in modo adeguato (e non solo politicamente
corretto) il valore dello stare insieme tra diversi.
Una sollecitazione notevole al turismo culturale può venire in certi casi da programmi televisivi
e radiofonici. Lo dimostra ciò che si è verificato quando la BBC, emittente britannica, mandò in
onda Guerra civile, una serie di puntate sul conflitto tra unionisti e confederati negli Stati Uniti
dell’Ottocento: oltre 30.000 inglesi chiesero opuscoli informativi alla divisione turismo dello Stato
della Virginia. Quando successivamente il filmato venne trasmesso negli Stati Uniti, con un record
di 38 milioni di spettatori, i visitatori del museo della guerra civile di Richmond balzarono da 7.000
a 45.000. A Gettysburg, Pennsylvania, forse il più famoso e tragico sito di scontro fra nordisti
e sudisti, l’anno seguente alla conclusione delle puntate televisive i visitatori toccarono la cifra
complessiva di 1.250.000. Il turismo storico, in senso proprio, è quello diretto a luoghi, edifici,
artefatti, che ricavano il loro interesse dall’associazione a qualche evento promosso dall’uomo più
che dalla natura. In una suddivisione dettagliata si allarga a comprendere soggetti e oggetti anche
molto diversi, dai graffiti rupestri della preistoria, alle abbazie romaniche, dai campi di battaglia
antichi o recenti, ai musei d’arte, a interi centri storici, castelli, paesaggi scenografici, cime alpine
dove arditi scalatori tracciarono le prime vie dell’arrampicata, e percorsi letterari, disegnati dall’arte
della scrittura di romanzieri famosi. Tendenzialmente tale turismo favorisce la creazione di sistemi
locali veri e propri, riuniti per tematismi di tipo architettonico (“I Castelli del Trentino”, “Le Ville del
Brenta”), biografico (“Le terre degli Ezzelini”), storico/religioso (“La Via Francigena”), artigianale/
produttivo (“Le vie del ferro”), etc...
Nel terzo millennio, tuttavia, ciò non è più sufficiente: attraverso strategie di storytelling e di design
esperienziale i luoghi della fruizione culturale possono trasformarsi in neoluoghi, ovvero luoghi in
16-Professore e Master Advisor di Landscape Architecture University of California a Davis (USA)
11
cui la progettazione attenta, mediante metodologie strutturate e metodi di creatività, trasforma la
visita in esperienza, contemplando e strutturando tutti gli aspetti che coinvolgono il visitatore nel
suo viaggio, in tutte le fasi del ciclo di esperienza esteso, prima, durante e dopo il viaggio stesso.
12
2.
PERCORSO
METODOLOGICO
Alla luce di quanto fin qui esposto risulta evidente che la grande sfida che si pone al progettista
di neoluoghi è dunque quella di generare contenitori spaziali della memoria culturale in grado di
garantire contemporaneamente la personalizzazione consumistica e la partecipazione cittadina alla
fruizione dell’heritage, consentendo una rielaborazione personale e narrativa del patrimonio da
parte dell’utente all’interno di un range ampio ma determinato di punti di vista.
Si ripropone dunque il tema prima accennato di un “approccio tagging” alla progettazione, in
cui il progettista deve rinunciare alla pretesa di controllo sulla totalità dei punti di vista fruitivi,
analogamente all’istituzione promotrice, che deve invece rinunciare al controllo globale dei
punti di vista interpretativi. L’utente, quindi, verrà guidato nella propria esperienza della memoria
all’interno di un frame prestabilito e progettato, ma sarà libero di creare molteplici combinazioni
e associazioni: in questa mediazione risiede la possibilità di saldare la memoria del luogo con le
memorie collettive e individuali dei suoi visitatori, in un processo arricchente per l’uno e per gli
altri.
La domanda che ha guidato il lavoro dell’OR2 è dunque: come si può conciliare questo “approccio
tagging” con la progettazione degli spazi, che, per sua natura, tende invece ad avere un
approccio di tipo tassonomico? Il progetto d’architettura tradizionalmente “informa” la fisicità
dei luoghi secondo la visione propria del progettista: sia che questa propenda all’affermazione
di uno spirito autoriale sia che, di contro, preferisca cercare relazioni con il contesto o approcci
attenti all’ambiente e alla dimensione sociale del progetto, esso solitamente propone una chiave
di lettura, quella del suo “creatore”, attraverso la quale gli altri vedranno e vivranno quel luogo ed
eventualmente lo reinterpreteranno secondo i proprio codici ed i proprio parametri. Ma il neoluogo
chiede qualcosa in più: chiede che la fruizione dei luoghi sia esperienza personalizzabile,
basata sulla capacità di accorpare in un solo luogo il maggior numero di informazioni e servizi
su uno o più temi, da comunicare attraverso una pluralità di percorsi, narrazioni, servizi, accessi
il più possibile relazionati alla varie tipologie di utenti, che devono poter riutlizzare e condividere
l’esperienza secondo i propri interessi.
Il progettista non è più dunque il deus-ex-machina del luogo, ma è una sorta di regista che collabora
con gli altri soggetti-attori alla creazione-narrazione della storia del luogo.
La responsabilità del progettista, ridimensionato nella propria hybris, cresce però in modo rilevante;
la domanda chiave che il team di progetto devve porsi dunque diventa: come posso fare tutto
questo (approccio tagging) senza perdere la specificità e scientificità di garante della
memoria storica collettiva (che, per gli architetti e gli urbanisti, è scritta nel palinsesto
dei luoghi, nella loro fisicità)? Come è possibile produrre luoghi che siano funzionali
alla conservazione della memoria ma anche alla sua commercializzazione? Come
posso, in ultima analisi, dare una forma ai luoghi che ne rispetti la storia inscritta nella
sua fisicità e la valorizzi ma che consenta anche molteplici modi, tempi e percorsi di
fruizione non completamente predeterminati?
13
2.1
LA PRATICA
ARCHITETTONICA
CONTEMPORANEA
Se si guarda a quanto sta facendo la pratica architettonica in questi anni, è possibile leggere
nelle opere più emblematiche tracce di questa nuova sensibilità, a sua volta espressione dei
fermenti culturali della società contemporanea. Sebbene non sia ancora possibile identificare una
formulazione chiara ed univoca di correnti di pensiero riconoscibili e di soluzioni progettuali in
grado di manifestarle in modo esemplare, l’insieme della produzione che è emersa nel campo
disciplinare tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila sembra rispecchiare la crisi dei
‘grandi racconti’ fondanti con cui si è identificato lo sviluppo del postmodernismo, inteso, alla
maniera di Jameson, ma anche Baudrillard, Harvey, Lyotard, Vattimo, come forma culturale che
connette fra loro diversi fenomeni, ovvero il postindustrialismo ovvero la sostituzione, nelle società
più avanzate, della produzione di beni con l’erogazione o la simulazione dei servizi, il globalismo,
lo sviluppo iperbolico dell’informazione e della cultura dell’immagine. Tutti questi aspetti, legati
alla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione immateriali e globali, dimostrano rieprcussioni
anche nel mondo della progettazione architettonica, sia quando essa si dichiara esplicitamente
legata a filoni di ricerca più ampi (filosofici, estetici, scientifici ecc.), sia quando invece la lettura
sociologica appare più come una giustificazione a posteriori del lavoro autoriale o come metafora
dell’ibridazione fra linguaggi diversi.
Del resto, già nel 1985 Ihab Hassan17 individuava alcune dicotomie caratteristiche della relazione
tra modernismo e postmodernismo, che possono essere molto utili per comprendere la differenza
tra un luogo “tradizionale” e un neoluogo nell’accezione definita all’inizio di questo paragrafo; egli
infatti individuava la crescente polarizzazione di alcune categorie, come forma chiusa/antiforma,
finalità/gioco, progetto/caso, gerarchia/anarchia, opera finita/processo, ipotassi/
paratassi, radice/rizoma, tipo/mutante, determinatezza/indeterminatezza.
Risulta dunque evidente che nella società contemporanea le relazioni tra struttura della società e
struttura degli spazi appaiono multiple, differenziate e mobili, nulla è più eterno e immutabile;
lo spazio elettivo del nuovo millennio rompe qualsiasi schematismo in quanto non in grado di
accogliere le complesse relazioni, ambiguità, transizioni, incertezze, problematicità, sollevate dai
nuovi sistemi di pensiero.
Se si guarda alle opere recenti è evidente che, allontanatosi dalla logica dell’identità aristotelica e
della dialettica hegeliana, esse non condividono alcuna esigenza di compiutezza, tradizionalmente
attribuita al pensiero moderno e alle sue ricadute progettuali. Come sottolinea Paola Gregory18
“... All’idea di poter ricondurre l’eterogeneità dei saperi e degli eventi a un unico orizzonte di
senso, subentra una visione del mondo che privilegia la pluralizzazione e diffusione dei significati
e dei valori: in luogo di verità assolute e fiducia nel progresso, il postmodernismo favorisce le
correlazioni polimorfe e l’indeterminatezza dei processi; in luogo di ‘metanarrazioni’, destinate a
sostenere l’illusione di una storia universale, afferma l’eterogeneità, la discontinuità e la differenza
nella cultura e nella storia; in luogo di una razionalità oggettiva, riscopre il ruolo del soggetto, non
come modello normativo ma come luogo di esperienza vissuta, rivalutandone le molteplici forme
della diversità.”
Le architetture contemporanee manifestano dunque un incessante processo di moltiplicazione17-The culture of postmodernism, «Theory, culture and society», 1985, 2, 3, pp. 119-31
18-Paola Gregory, Teorie dell’Architettura, XXI secolo, (2010). http://www.treccani.it/enciclopedia/teorie-dellarchitettura(XXI-Secolo)/
14
pluralizzazione-differenziazione di punti di vista, tendenti però spesso alla riduzione
dell’esperienza a una serie di presenti puri e irrelati nel tempo.
Questo fenomeno, che contempla la compresenza di paradigmi o sistemi di pensiero diversi che
fanno del limite disciplinare la soglia di una proficua apertura ad altre conoscenze (Leach), può
rivelarsi molto proficuo per la progettazione dei Neoluoghi, se riesce però ad andare oltre il gesto
autoriale e la frammentazione disgregante delle fruizione hic-et-nuc, per portare invece ad una
riscoperta del valore semantico stratificato dei luoghi stessi.
Per il momento, l’architettura contemporanea è sembrata in grado più che altro di porre domande e
sollevare questioni nate dal recepimento di questa nuova sensibilità: i temi ricorrenti che caratterizzano
le opere di Rem Khoolas, Zaha Hadid, Frank O. Ghery, Daniel Liebeskind sono ibridazione,
movimento, fluttuazione, manifestati da un’architettura poliedrica e continuamente
diversificata perché prodotto di strutture (tecnico-culturali ed economico-sociali)
multiple, dinamiche e cangianti, collegate e interattive. Tuttavia questa sensbilità comune
trova espressione in percorsi formali quantomai diversificati, che però non sembrano in grado di
andare oltre la contingenza per individuare possibili alternative di sviluppo.
Come evidenzia ancora con precisione Paola Gregory19, “…La compresenza di orientamenti
diversi, che portano a difendere programmaticamente i valori della plurivocità, della differenza e del
difforme – dalla rivendicazione delle marginalità alla nuova etica-estetica ecologica, dalla messa
in discussione dell’identità disciplinare alla licenza progettuale dell’archistar –, ben evidenzia del
resto l’esigenza del dibattito architettonico verso «sconfinamenti ed incursioni continue»
nella ricerca di nuove pratiche culturali capaci di aderire alla complessità della realtà. Come ha
scritto Massimiliano Fuksas, infatti, nel presentare la 7a Mostra internazionale di architettura della
Biennale di Venezia (Less aesthetics more ethics, 2000), «stiamo passando da una posizione
critica, forse aristocratica, esterna al ‘Magma’ delle infinite relazioni ed interferenze, a navigare e
muoverci assieme a una materia sconosciuta, piena di energia e contraddizioni».”
In queste sue manifestazioni l’architettura ha accolto e integrato i processi di ‘mediatizzazione’
del reale, trasformando quindi dal piano tecnologico a quello epistemologico la fluidità
e immaterialità dei media elettronici; le tecnologie digitali, metabolizzate all’interno dell’iter
progettuale, hanno modificato in profondità i temi e i modi del progetto; l’inclusione delle scienze
della complessità, l’attribuzione di un ruolo centrale al concetto di sistema, le relazioni tra le parti
come elemento portante della natura dinamica dell’opera fanno sì che le riflessioni sull’architettura
appaiano sempre più indefinite e fluttuanti, interessate a introiettare tutte le marginalità e le
contraddizioni, ponendo interrogativi piuttosto che soluzioni o proposte.
19-http://www.treccani.it/enciclopedia
15
Rem Khoolas: l’architettura «liberata dall’obbligo
di costruire può divenire un modo per pensare
qualsiasi cosa, una disciplina che rappresenta
relazioni, proporzioni, connessioni, effetti, il
diagramma di tutto: un metodo quindi – piuttosto
che il prodotto di un progetto – che suscita con
i suoi riavvolgimenti, spostamenti, cambiamenti,
l’interesse stesso per il continuo movimento.
informe-informale è da sempre l’opera di
F.O. Gehry, il cui senso dello spazio cavofrastagliato-meandrico-marsupiale
ben
evidenzia l’esuberanza espressiva di un learning
by doing che celebra il primato di un fare
nell’immediatezza di scelte espressive prossime
all’istintiva creatività dell’artista.
Fluida e informe è la ricerca di Zaha Hadid con
la sua plastica intersezione di superfici avvolgenti
e porose che scivolano l’una nell’altra in un
continuo movimento.
16
informale è la recente produzione di Daniel
Libeskind, le cui concrezioni magmatiche
riassumono nell’impossibile separazione
fra arte e vita –l’eloquente valore simbolico
di una presa esistenziale dell’architettura,
la quale è innanzitutto corporea ed
emozionale.
“Assimilabile a un campo fluido,
denso, disomogeneo, continuamente
diversificato, lo spazio ripiegato punta
su una modulazione temporale che,
traducendosi in una curvatura variabile,
produce la separazione dell’occhio dalla
mente: produce, scrive Eisenman quella
‘visione rovesciata’ che, decomponendo la
rappresentazione sino a far svanire l’identità
sia dell’oggetto sia del soggetto, apre alla
possibilità di uno ‘sguardo oltre’ capace
di esaltare un’architettura che è affettiva
piuttosto che effettiva, eccessiva piuttosto
che funzionale”.
(Paola Gregory, crf. nota 18 pag. 14)
Va infine sottolineato come molte delle ricerche più avanzate di generazione digitale della forma, sia
finalizzate a un ambiente puramente virtuale – come nella Architettura genetica di Karl Chu, nella
Hypersurface di Stephen Perrella, nella Transarchitecture di M. Novak sia destinate alla costruzione
di artefatti capaci di inglobare, nella sempre maggiore continuità, fluidità e flessibilità degli spazi,
plurime attualizzazioni temporali, sociali e d’uso, non prevedibili al momento dell’elaborazione,
sino a conquistare in alcuni casi una reale interattività (augmented reality), costituiscano un
ulteriore elemento di complessità all’interno del mondo della progettazione.
17
2.2
LA RICERCA DI AMBITI
DISCIPLINARI IDONEI
Risulta dunque evidente che le teorizzazioni dell’architettura contemporanea, per quanto affini
come sensibilità a molti temi cari alla progettazione dei Neoluoghi, si trovino ancora in uno stato
di stallo e di incertezza programmatica, cui solo il gesto autoriale dell’archistar sembra poter dare
una istantanea compiutezza. Pertanto, ai fini della individuazione di strategie per la creazione di
Neoluoghi, esse mostrano tutti i loro limiti e la loro inadeguatezza a dare risposte sufficientemente
strutturate.
Ciò che infatti serve ad un Neoluogo, soprattutto se interno ad un costrutto urbano o paesistico
preesistente, è una articolazione spaziale che non sia vistosamente protagonista, quanto
piuttosto discretamente declinata per rispondere alle esigenze della narrazione,
indispensabile, strutturante, ma fatta spesso di gesti, segni, forme e luoghi che esplicano
la loro azione senza urlarla.
Se ciò che il Neoluogo deve offrire è la sublimazione dell’emozione in esperienza, che nasce
dall’interazione dell’utente con il luogo, le strutture spaziali devono soprattutto agire con continuità
sulla formazione di mappe mentali nel visitatore, essere in grado di creare una esperienza
sinestetica che integri le varie componenti sensibili del paesaggio integrandole in un ritmo che
alterna stimolazioni visive, uditive, olfattive, cinestetiche e le “piega” al racconto del luogo stesso.
Lo spazio del Neoluogo, più che celebrare se stesso, deve cercare un continuo equilibrio
tra la forza comunicativa degli spazi che lo caratterizzano e le reazioni cognitive ed
emotive del visitatore, aprendosi certamente ad uno spirito di continua diversificazione dei
punti di vista (come fa l’architettura contemporanea) ma finalizzandolo non all’espressione dello
straniamento di chi non trova risposte univoche, bensì alla piena risonanza tra utente e luogo.
In quest’ottica la percezione dello spazio diviene l’elemento preponderante, destinato a stimolare
un forte rapporto di intercorporeità tra spazio e visitatore, in cui sfera cognitiva e sfera emotiva
alternano e integrano le reazioni suscitate per rendere l’esperienza di visita quanto di più vivido e
memorabile (perchè consonante con l’identità del fruitore) uno spazio possa offrire.
Il turismo culturale (la fruizione dei Neoluoghi) è infatti in grado di agire come strumento di ricostruzione dell’identità per gli avventori contemporanei, ma anche per i luoghi stessi, in un
processo di scambio continuo. Il cosidetto tempo libero oggi ha infatti perso il ruolo subordinato
(rispetto al tempo per il lavoro e al tempo per la comunità/famiglia) e ha finito con l’assumere
una assoluta centralità, diventando il luogo in cui ognuno esprime se stesso e si relaziona con gli
altri. Le passioni cui diamo espressione nel tempo libero vengono reificate dall’agglomerato di
oggetti, luoghi e riti dalla cui sapiente combinazione può nascere l’esperienza dei Neoluoghi. Dalla
fruizione di un percorso culturale l’avventore non vuole più semplicemente ricevere informazioni
o ottenere un momento di distrazione e relax, l’attenzione è spostata da ciò che viene visitato al
visitatore, che dunque vuole trovare in quella visita l’espressione di un aspetto di sé, quindi “…
nuove forme di autorappresentazione e nuovi universi relazionali”20.
Ciò richiede un approccio al progetto del tutto peculiare, in cui, come abbiamo già avuto
modo di dire, la visione del progettista è uno degli elementi, che deve sapersi combinare
con elevati gradi di flessibilità e integrabilità, con le molteplici variabili messe in campo
dal territorio e dai fruitori; la costruzione dell’esperienza del Neoluogo è dunque l’esito di
20-A. Rossi, M. Goetz, “Tustist Experience Design”- Hoepli 2011
18
un processo, complesso e non completamente predeterminabile, di combinazione tra le
aspirazioni customizzanti dell’utente, le vocazioni del luogo alla ricerca di una affermazione
della propria identità e un palinsesto di modalità espressive e forme rappresentative in parte
già insite nel luogo stesso, ma comunque riorganizzate e integrate con elementi nuovi dalla regia
del progettista.
Il progetto di un Neoluogo richiede dunque la collaborazione e l’integrazione di aspetti
narratologici, relazionali, cognitivi e di costruzione spaziale e spazio-temporale, che si
esplicano “…in dispositivi emozionali, semantici, narrativi, prossemici ecc.”21, che non
sono finora stati identificati e codificati in modo compiuto.
Per questo motivo, la metodologia di ricerca si struttura attingendo a svariate esperienze e costrutti
disciplinari, in modo da ricavare dalle pratiche e dalle teorizzazioni che a vario titolo hanno a che fare
con i core-elements della progettualità dei Neoluoghi elementi utili alla successiva strutturazione
di Linee-guida specifiche.
L’attività di ricerca è stata dunque articolata nel modo seguente:
• Indagine delle relazioni possibili tra mitopiesi e strutturazione dello spazio attraverso gli
strumenti della prossemica e dell’imagery. La prossemica, infatti, in quanto semiologia
dello spazio, individua in esso un vero e proprio canale di comunicazione e, nei modi
differenti del suo essere organizzato, scopre una serie di messaggi interpretabili; l’imagery,
in quanto linguaggio figurato evocativo, combinata con la prossemica può fornire la
“strumentazione” del progettista che vuole strutturare lo spazio dell’esperienza del
neoluogo.
• Analisi della costruzione spaziale e immaginativa di luoghi che, per funzione e/o attinenza
alla concezione contemporanea dell’aggregazione, della comunicazione culturale e della
spazialità aggregativa risultino assimilabili ai Neoluoghi come intesi nei quadri concettuali
del presente lavoro; la casistica delle strutturazioni spaziali ricorrenti e degli espedienti
compositivi e percettivi può supportare la costruzione di un abaco di suggestioni formali
che il progettista può combinare nell’articolazione della narrazione spaziale del Neoluogo.
• Progettazione, definizione e sviluppo delle Linee Guida per i neoluoghi della fruizione
culturale, intese come strumento metodologico di supporto alla ideazione della struttura
spaziale dei neoluoghi stessi.
21- A. Rossi, M. Goetz, “Tustist Experience Design”- Hoepli 2011
19
3.
- MITOPOIESI
- PROSSEMICA
- IMAGERY
Nella sua relazione con il neoluogo, l’utente vive le proprie esperienze, si confronta con il progetto
inteso come un racconto, uno strumento di rappresentazione e condivisione di valori e/o ideali,
attraverso la propria relazione con le “cose” (prossemica) le cui forme rappresentative sono
opportunamente pensate, disposte, immaginate (imagery). E’ come una ricetta, i cui singoli
ingredienti servono a dare un sapore alla pietanza. Mitopoiesi è il senso alla base, ovvero la ricerca
di un mito, uno possibile fra i tanti e dunque non necessariamente un eroe.
Il comportamento umano è in relazione di interdipendenza e di adattamento reciproco con i valori,
le credenze, a cui fa riferimento. Vi è un rapporto diadico fra osservatore e osservato, che consiste
nell’essere parte di ciò che accade. In ogni fase, “Ad ogni stadio, l'osservatore é in rapporto con
il sistema attraverso una comprensione, che modifica la sua relazione con il sistema. Questo é,
propriamente parlando, il circolo ermeneutico d'interpretazione e azione, sul quale sono basate tutte
le faccende umane". (Maturana H.R., Varela, J.F. 1985) L’ambiente che ci circonda non è il prodotto
di una realtà esistente, bensì il risultato di un processo cognitivo, per cui noi siamo lo spazio
che percepiamo: anzi, lo produciamo abitandolo, in un rapporto di cosiddetta enazione.
Maturana e Varela22 riconoscono una circolarità tra azione ed esperienza e tra azione e conoscenza.
Il fatto che la percezione si accompagni all’azione attraverso il corpo, comporta che la pertinenza
del mondo sia subordinata allo stato presente della struttura del soggetto che percepisce, agisce,
conosce: il mondo ed il soggetto sono co-determinati, si definiscono ed emergono nell’azione.
“[...] qualsiasi cosa si definisca “oggetto”, qualsiasi cosa esista al mondo (sedie e tavoli, persone
e volti [anche virtuali]) dipende interamente da questa costante interazione sensomotoria. Non si
può semplicemente considerare un oggetto come qualcosa che esiste in modo indipendente “là
fuori”. L’oggetto prende forma in conseguenza della vostra attività e quindi, in realtà, voi e l’oggetto
prendete forma insieme.” (Varela, 1994, pag. 151)
L’esperienza nei mondi virtuali è resa possibile da una condizione fondamentale: nel passaggio dal
mondo reale al mondo virtuale, la nostra struttura biologica non cambia, ma viene solo amplificata
e connessa mediante interfacce tecnologiche al mondo virtuale. Inoltre, il fatto che il mondo
virtuale è meno a disposizione, più nascosto del mondo reale, a tal punto da essere accessibile
solo indossando delle interfacce ingombranti come gli head-mounted display o i dataglove, ci
costringe a ridivenire coscienti del nostro corpo e delle nostre modalità cognitive. Nella VR esiste
una circolarità molto più evidente rispetto al mondo reale tra la percezione ed azione del soggetto
e l’attivazione della “esistenza per me” della realtà virtuale, ovvero la produzione o enazione della
realtà stessa.
Il nostro immaginario attuale è il frutto diretto di tali mediazioni, il nostro corpo ne è
attraversato quotidianamente, provato cognitivamente da processi di decorporalizzazione
e dematerializzazione sempre maggiori. Questa è la tecnologia oggi, prima di qualsiasi
riflessione specifica su un nuovo materiale o su un microchip di quinta generazione.
Una sorta di “cintura protesica” artificiale, fatta di satelliti, cablaggi ottici, onde radio
22- Maturana e Varela portano avanti, negli anni ottanta, un filone di ricerca sulla corporeità della conoscenza, che studia
il collegamento fra le scienze dello spirito e l’esperienza umana, una struttura vissuta, il luogo incarnato dei meccanismi
cognitivi. la conoscenza, da allora, non è più riducibile al cervello e ai suoi neuroni: combina scienza ed esperienza
quotidiana.
20
e quant’altro, è il nostro ambiente attuale: uno spazio di per sé altamente tecnologico e massmediale,
fortemente mediatizzato. Uno spazio che penetra fin dentro il nostro corpo, nelle nostre abitudini più
intime e personali, attraverso telefoni cellulari e social network che modificano le nostre relazioni
con il mondo, assottigliandone sempre più i confini.
Questo ambiente è ormai per noi una sorta di “natura seconda”, di pelle artificiale che ci avvolge
e protegge.
21
3.1
MITOPOIESI
mitopoièṡi s. f. [dal gr. μυϑοποίησις, der. di μυϑοποιέω «inventare favole», comp. di
μῦϑος «racconto favoloso, mito» e ποιέω «fare»]. – In generale, l’attività, l’arte o la tendenza
a inventare favole, a formare miti; in particolare, nell’interpretazione dell’antropologia culturale,
processo di formazione ideologica con cui si attribuisce a fatti reali o alla narrazione di essi un
valore fantastico di riferimento culturale e sociale. (http://www.treccani.it/vocabolario/mitopoiesi)
Ogni luogo ha i suoi miti e ogni mito ha i suoi luoghi: non si danno gli uni senza gli altri. Collocare
un racconto mitico nel suo sfondo geografico ne restituisce la cornice, riportando alla luce il volto
nascosto dei luoghi.
Il mondo fantastico e verosimile di Tolkien descrive la storia degli uomini, la quotidianità assillata
da continue prove da superare, battaglie ordinarie. Affermazioni ed episodi che vedono coinvolti i
protagonisti delle storie si paragonano a quelli di qualsiasi essere umano. Si impara, dalle storie,
si cercano risposte, si trova consolazione. Un mito non è semplicemente un racconto. Presuppone
l’esistenza di un universo i cui fondamenti non sono in discussione. La creazione fittizia di miti è,
spesso, una storia che parla di noi.
Ma a differenza dei miti antichi, che erano grandi narrazioni fatte per durare, quelli
contemporanei sono frammenti d’immaginario a tempo determinato. Sono miti-lampo,
schegge luminose che appaiono e scompaiono in una realtà che cambia rapidamente, e che
diffondono luce effimera. Sono oggetti o concetti che si manifestano con le stesse caratteristiche
del nostro tempo: leggerezza, virtualità, precarietà. E’ il 1957 quando Barthes pubblica Miti d’oggi,
il catalogo filosofico della cultura popolare e delle manie borghesi smitizzate attraverso l’analisi dei
suoi stessi simboli. Cinquant’anni dopo (2007) J. Garcin cura la raccolta Nuovi Miti d’oggi23, in
cui 57 intellettuali ripropongono con lo stesso spirito un repertorio di oggetti, personaggi, feticci,
con l’intento di svelare un senso, o forse un non senso, del nostro sistema: i giornali gratuiti,
le compagnie low cost, i serial televisivi, la mania dell’autentico, il wi-fi, Google, la passione
per i sondaggi, il blog, la bici in città, e così via. Se è vero che il mito è una fuga dalla realtà,
capacità di cortocircuitare finzione e realtà, apparenza e sostanza, è altrettanto vero che da sempre
nessuna cultura riesce a farne a meno, arrivando a inventarne a livello industriale, come il cinema,
la televisione, la moda. Se la conoscenza scientifica può spiegare la realtà, il mito aiuta a far
chiarezza nei labirinti dell’animo umano. Come sostiene Joseph Campbell, miti diversi possono
essere associati a momenti diversi della vita, a culture diverse, ma le idee ad essi sottesi sembrano
essere sostanzialmente le stesse. La grande mole di immagini stimoli e simboli da cui ci troviamo
sommersi disorienta. Il compito di chi progetta è quello di far emergere da questa marea dei
significati rilevanti che abbiano una rispondenza effettiva con la vita delle persone.
23-JEROME GARCIN, Nuovi miti d’oggi, ISBN Edizioni, 2008 (ed. originale: Nouvelles Mythologies, Paris: Seuil, 2007)
22
3.2
MITOPOIESI
E SOCIAL NETWORK
Nel condividere la propria quotidianità attraverso blog e social network, si cerca il valore soggettivo,
il valore per se stessi, e in questo sta la dimensione mitopoietica; essa non consiste meramente
nel sapere quello che fanno gli altri e come lo fanno, né tantomeno nel trovare risposte alle proprie
incertezze cercando nel soggetto che scrive il confronto con l’eroe “che sa”, “che fa tutto giusto”.
La dimensione mitopoietica della condivisione attraverso i media e i social sta nel fatto
che l’altro, parlando di sé stesso, in realtà parla anche di ciascuno di noi, raccontando
qualcosa che ha un qualcosa di universale, a prescindere dal fatto che sia aderente al vero o meno,
in quanto induce a riflettere. I social network sono uno strumento e un luogo che abilita, accelera
e rende sempre più diffusi e pervasivi i processi di creazione, condivisione e confronto di idee,
opinioni, sentimenti, e rispondono al bisogno crescente di interazione diretta e immediata tra le
diverse componenti della nostra società.
3.3
MITOPOIESI
E IMMAGINE
La nostra capacità di comprensione si basa sempre più sull’immagine, sia essa televisiva,
pubblicitaria, reale o virtuale. Le tecniche di comunicazione sequenziale, come la scrittura, sono
oggi meno efficaci rispetto alle tecnologie di comunicazione simultanea attraverso immagini. E
attraverso l’immagine si costruiscono, o ricostruiscono, anche i luoghi. Attraverso la capacità di
immaginare e proporre scene come frammenti della nostra relazione con la vita stessa, attraverso le
storie, si offre l’opportunità di affrontare il progetto come un racconto. L’arte di raccontare storie
è l’essenza dell’umanità da sempre, rappresentazione e condivisione di valori. Oggi lo storytelling
è assunto dal mondo industriale come mezzo di promozione e persuasione. Allo stesso modo è un
mezzo per la promozione e la valorizzazione di un luogo, muovendosi fra immaginario e scenario,
fra memoria e presente, attraverso il design della visione, ovvero il presentare il modo visionario
le relazioni fra i vari elementi che compongono un determinato sistema, progettando, cioè, per
favorire l’instaurarsi di relazioni sociali. Nelle storie ci sono spesso zone d’ombra, passaggi incerti,
ipotesi. Nel progetto, si integra nella storia qualcosa che alla storia manca attingendo anche al
quotidiano, o all’immaginario. La Storia è una narrazione che tende alla veridicità, supportata dalle
fonti ufficiali e dalle ricostruzioni, nella quale tuttavia permangono momenti ambigui. Spesso la
Storia si frammenta in una moltitudine di storie, di cui le comunità che si sono susseguite sono
portatrici, e garanti dell’esistenza, che può essere riproposta, ricordata e tramandata in mille modi
diversi. La memoria come una massa cangiante, un insieme mutevole. Qualcosa che parte dalla
storia ma che allo stesso tempo si inserisce nel contemporaneo, nel quotidiano. Qualcosa che
parte dai miti (qualsiasi essi siano) inserendoli in una dimensione più libertaria, dunque in questo
senso mitopoiesi. Una sorta di nuovo immaginario che sottrae al mito la dimensione cristallizzata,
23
al di fuori dello spazio e del tempo, inserendolo in una sorta di narrazione dinamica, da manipolare,
da ricostruire pezzo per pezzo perché possa acquisire senso in un determinato spazio e in un
determinato tempo. Dunque non il mito come eroe chiuso in sé stesso e nella sua eroicità, icona
svuotata come può essere un volto su una maglietta, nei confronti del quale l’utente ha un ruolo
passivo; il racconto deve essere dinamico, strumento attraverso il quale il mito viene plasmato,
assorbito, attualizzato.
La mitopoiesi è quel rapporto sociale che fonda le stesse immagini con cui esso si
media.
3.4
CONCEZIONE
MITOPOIETICA
DEL LUOGO
“potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto sono gli archi dei porticati (…)
ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni fra le
misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: (…) il filo teso dal lampione alla ringhiera
di fronte e i festoni che impavesano il percorso del corteo nuziale della regina; (…)gli strappi della
rete da pesca e i tre vecchi che seduti sul molo a rammendare le reti i raccontano per la centesima
volta la storia della cannoniera dell’usurpatore (…). Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città
s’imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira qual è oggi dovrebbe contenere
tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice suo passato, lo contiene come le linee d’una mano,
scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne
dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature,
intagli, svirgole.” (Calvino, 1972, pag. 5).
Con queste parole Italo Calvino descrive Zaira, evidenziando il rapporto fra la città e la memoria.
L’occhio vede le forme dei luoghi, dell’architettura, immagini, colori, e il pensiero ricostruisce
scene di vita, nascono sensazioni, collegamenti con il proprio immaginario, il proprio quotidiano.
Attraverso l’attenzione ai dettagli il contesto si arricchisce di interesse e qualità. Isolando alcuni
componenti, individuando dei punti, dei nodi da mettere a fuoco, si generano punti di partenza
per storie e paesaggi da rivivere nella propria interezza. (illuminazione, pavimentazione, arredo
urbano…)
Le tracce presenti in ogni luogo sono la principale fonte di ispirazione per creare una storia
raccontata, una storia da vivere. La tipologia del racconto si differenzia principalmente secondo il
soggetto, l’obiettivo, il modello di descrizione usato.
Nella tabella sottostante sono riportate le principali tipologie di storie (cfr. Lukas, S. A. 2013, pag.
50) e per ciascuna di esse è possibile immaginare connotati dei luoghi, pensare a soluzioni spaziali,
finiture dettagli che ne consentano la traduzione nello spazio. È, infatti, dall’analisi delle storie e
24
dai modi del racconto che il progetto trae le suggestioni e le ispirazioni per creare le ambientazioni
specifiche. Si tratta di dare forma, carattere, immaginare eventi che facilitino l’immersione nella
storia.
tipo
descrizione
esempio
funzione
Parabola
(Parable)
Favola
(Fable)
Storia breve, caratteri
umani, uso analogie
Parabole cristiane
(Bibbia)
Insegnamento, valore,
chiave principale
Favola morale, uso
animali al posto degli
esseri umani
Racconto, favola
Favole di Esopo, Hans
Cristian Andersen
Tema morale
Fratelli Grimm
Divertimento, solo in
alcuni casi insegnamento
Racconto, personaggi
popolari che combattono
avversità
Racconto con riferimenti
storici o di luogo
The magic orange tree
Insegnamento
Re Artù e i cavalieri
della tavola rotonda
Insegna importanti valori
di una cultura
Mito
(Myth)
Racconto
(Story)
Racconto epico
(Epic)
Leggenda urbana
(Urban Legend)
Storia della tradizione con
eroi e Dei
Mitologia greca
Propone modelli di
comportamento
Storia ordinaria, vita
quotidiana reale o finzione
Molti esempi
Eccitazione, aspettativa
Prolisso racconto
epico - poema
Beowulf, Odissea
Illustra racconti di una
determinata cultura
Racconto della tradizione
orale senza fondamenti in
La sparizione
dell’autostoppista
Facilita i collegamenti fra
le persone
Racconto storico
(History)
Storie trasgressive
(trickster story)
Un racconto di fatti
realmente accaduti
Molti esempi
Fornisce un resoconto
storico di luoghi o persone
Storie con animali o
esseri antropomorfi che
trasgrediscono le regole di
una cultura
Storie che parlano di
persone ordinarie
Native Americans
Tales (Coyote)
Insegnamento, spesso su
come superare ostacoli
Memorie
Insegnamento sulla vita
delle persone
Racconto che passa da
una generazione all’altra
Culture africane
Testimonia la storia e i valori
di un popolo nel tempo
Storia a 3 dimensioni
progetto
Crea spazi provocatori
Fiaba
(Fairy tale)
Racconto popolare
(Folk tale)
Leggenda
(Legend)
Storie personali
(Personal Story)
Racconto della tradizione
(Traditional Tale
Design story
(design Story)
fatti reali
25
3.5
PROSSEMICA
Prossemica (dall’ingl. proxemics, neol. da prox- del lat. proximus, ed −emics come in phonemics),
coniato da E. T. Hall (1963), designa una branca della semiotica che si occupa dell’uso che le
varie culture fanno dello spazio e delle distanze spaziali connesse all’interazione comunicativa
interpersonale. In sostanza il suo dominio di studio riguarda l’uso dello spazio a fini significativi.
(http://www.treccani.it/vocabolario/prossemica)
La prossemica studia il significato che assume la distanza che l’individuo interpone tra sé e gli
altri, tra sé e gli oggetti. Nel comportamento sociale dell’uomo, più in generale, studia il valore
attribuito dai diversi gruppi sociali al modo di porsi nello spazio e al modo di organizzarlo. Uno
spazio sia fisico che sociale viene vissuto differentemente in base alle dimensioni, al contesto
(familiare, lavorativo, amicale…) Nei contesti urbani di vicinato, ad esempio, per quanto gli spazi
siano notoriamente piccoli, si assiste a una scarsa formazione di interazione, in quanto vengono a
mancare le occasioni di incontro tra gli inquilini.
La narrazione presume l’esistenza di un destinatario che accoglie il racconto e che si relaziona
in maniera attiva attraverso i propri comportamenti, la mimica, la prossemica. Questa dinamica
contribuisce a rendere il racconto interattivo, innesca un processo per cui la narrazione non è
neutra, ma si costruisce di volta in volta attraverso l’interazione narratore/ambiente-destinatario.
Attraverso l’esplorazione della prossemica si definisce il ruolo delle distanze interpersonali che, nei
codici del linguaggio non verbale, rappresentano la sfera protettiva di ciascuno, indicando di volta
in volta accoglienza, intimità, rispetto o repulsione nei confronti di altre persone o cose.
La metodologia d’indagine prossemica s’ispira prevalentemente a un contesto teorico mutuato
dall’antropologia culturale. L’antropologo Edward Twitchell Hall, definisce la prossemica come
capacità umana di organizzare inconsciamente gli spazi e i microspazi. Studia le distanze tra le
persone, valutate durante le varie azioni quotidiane, nella casa, negli spazi di lavoro, nei luoghi
pubblici così come nella struttura stessa della città o di qualsiasi altro luogo. Le implicazioni
influenzano le analisi dei comportamenti finalizzate al marketing, così come alla fruizione di ogni
luogo.
Le distanze prossemiche si distinguono in :
- Distanza intima: da 0 cm. a 45 cm . Distanza dei rapporti intimi fino al contatto fisico. Si può
sentire l’odore, il calore dell’altro e si possono avvertire le sue emozioni.
- Distanza personale: da 45 cm. a 70 - 100 cm . Distanza dei rapporti amicali, o persone che
provano attrazione reciproca: Consente di toccarsi, guardarsi più frequentemente, senza tuttavia
sentire l’odore.
- Distanza sociale: da 120 a 200 cm . Distanza dei rapporti formali, professionali, commerciali,
istituzionali.
- Distanza pubblica: da 200 cm a oltre. Distanza che consente di percepire l’altro come parte
dell’ambiente.
26
3.6
REGOLE
E LIVELLI
Lo studio della prossemica integra osservazione empirica, metodi etologici, indagini dirette,
simulazioni, sempre filtrate dall’osservazione partecipante, ovvero dal ruolo e dalla presenza
dell’osservatore. I livelli di studio24 (Pregnolato, 1983, 1997) sono i seguenti:
a) Infracultura. Interessa i comportamenti radicati nel passato riguarda la territorialità, il controllo
del popolamento, la tendenza a occupare, difendere e circoscrivere uno spazio critico che garantisca
sicurezza e sopravvivenza.
b) Precultura. Interessa la base fisiologica comune a tutti gli esseri umani nelle sue variazioni
culturali, tali per cui persone educate in ambiti diversi vivono in mondi percettivi diversi. (es.
comportamenti di contatto e di non contatto, rimozione/valorizzazione dell’olfatto). Per es., una
certa combinazione tra dati fisici (ridotte dimensioni spaziali e alta temperatura) produce la
rappresentazione fisiologica della sensazione personale di ‘’affollamento’’.
c) Microcultura. Interessa i modi in cui ogni gruppo e cultura organizza lo spazio e assegnano
valori simbolici alle possibili configurazioni. Riguarda l’organizzazione degli ambienti privati,
pubblici e di lavoro, i processi relazionali e comunicativi.
In tal senso, si possono distinguere tre diverse nozioni di spazio: preordinato, semi-determinato
e informale.
Lo spazio preordinato è strettamente connesso al contesto di una particolare cultura. Ad esempio lo
spazio esterno e culturalmente specifico nell’organizzazione spaziale urbana rileva modi diversi di
organizzare le strade nelle diverse culture: il sistema giapponese (le strade prendono un nome dai
loro punti d’intersezione), il sistema radiale francese o a ‘’griglia’’ e il sistema reticolare americano.
Lo spazio interno invece riguarda l’architettura e la disposizione degli arredi, che influiscono
sull’interazione umana, agevolandola od ostacolandola (per es., la disposizione dei soggetti intorno
a un tavolo rotondo può favorire l’interazione, mentre intorno a un tavolo quadrato soltanto alcune
posizioni faciliteranno la conversazione: quelle fianco a fianco e faccia a faccia).
24-Alcuni riferimenti bibliografici per quanto riguarda le regole di prossemica sono:
E. T. Hall, The hidden dimension, New York 1966 (trad. it., La dimensione nascosta, Milano 1968)
F. Pregnolato Rotta Loria, Antropologia e prossemica, Campanotto Edizioni, Udine, 1997.
F. Pregnolato Rotta Loria, Spazio e comportamento, Levrotto&Bella, Torino, 1983.
F. Pregnolato Rotta Loria et al., Valutare il costruito, Alinea Edizioni, Firenze, 1997.
P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatics of human communication, New York 1967 (trad. it., Pragmatica
della comunicazione umana, Roma 1971);
27
3.7
VERSO L’IMAGERY
Seguendo l alogica del Principio di Fareto il 20% del design di uno spazio (inteso come progetto
nel senso complessivo, dal generale al particolare) può essere usato per ottenere l’80% dell’effetto
percepito dall’utente.
Si definisce imagery del Parco l’insieme degli elementi qualificanti di stile, di immagine visiva, di
scenografia descrittiva e simbolica che traducono i significati e i valori dello spazio tematico nella
sua organizzazione visuale e comunicativa.
L’imagery è la definizione dell’immagine relativa al tema che caratterizza lo spazio esperienziale. Un
lavoro creativo con cui si generano l’immaginario visivo, i simboli, l’immaginazione caratterizzante,
l’evocatività formale, gli elementi di riconoscibilità da associare a un tematismo fruitivo. Si tratta
di un’operazione di traduzione delle suggestioni culturali in uno spazio agibile e credibile allo
stesso tempo. Dunque lo spazio visuale e metaforico che identifica e satura un tema, trasfondendo
suggestioni culturali in sistemi visivi simbolico-immaginativi. Le competenze che entrano in gioco
in questo processo riguardano:
-iconologia;
-lo studio delle sedimentazioni iconografiche del tema in oggetto nelle arti e nei media;
-l’etno –semiotica, ovvero lo studio della valenza culturale e sociale di sistemi di segni;
-lo studio dei movimenti collettivi e di sentire diffusi, alla radice di fenomeni come la moda;
-lo studio delle radici estetiche e funzionali del design, attraverso i fenomeni di sintesi della
contemporaneità e della capacità di tradurre in forme senso e funzioni;
-lo studio empirico della riconoscibilità e del gradimento di un range di possibili declinazioni visuali e simboliche di un determinato tema.
Le modalità per raccontare una storia in un ambiente tridimensionale (Design Story) sono diverse
dalle modalità per raccontare una storia in forma orale, in quanto utilizzano principalmente
l’architettura, il design, le forme della cultura materiale, ma includono anche personaggi,
performance, device tecnologici. Si possono considerare 3 scenari possibili di interazione fra design e storytelling:
1. Storia > Design / Architettura
La Storia è l’elemento iniziale utilizzato per ispirare il progetto del luogo, di una determinata
area, di un ambiente. Il progettista, a partire dall’analisi del contesto, e dagli interessi della
committenza, sviluppa la storia che da vita al progetto, creandone il concept e definendo le
linee guida. Su questa base, vengono definite tutte le soluzioni progettuali, dal generale al
dettaglio, in armonia con la storia base.
2. Design / Architettura > Storia
Alla base c’è una proposta progettuale con determinate caratteristiche iconiche, strutturali,
stilistiche, di preesistenza. È dalle peculiarità di questa che il progettista può riuscire a utilizzare
forme, materiali, colori, e ogni strumento del progetto, per esaltare le qualità che possono
stimolare gli utenti/visitatori, creare emozioni. In questo senso la storia è un effetto secondario,
28
una conseguenza usata per amplificare e/o aggiungere qualità al progetto.
3. Storia – Design /Architettura
In questo scenario Design e Storytelling hanno pari effetto l’uno sull’altro. Una determinata
storia si lega ad un determinato luogo (sia essa creata ad hoc o preesistente) e ne ispira i
connotati, l’architettura e il design. A sua volta il design incrementa la storia che si modella per
adattarsi al design. In questo caso si ha una sorta di reciprocità fra storia e design.
Nella tabella che segue si mettono a confronto lo storytelling tradizionale e il design. Evidenziandone
similitudini e differenze è possibile immaginare altre opportunità di integrazione fra design e
storytelling. (cfr. Lukas, S. A. 2013, pag. 53)
tipo
Traditiona Story
Design Story
Trama o Narrazione
(Plot or Narrative)
Prospettiva, Visione
(Perspective)
Tema
(Theme)
Carattere
(Character)
Ambientazione
(Setting)
Lettore
(Reader)
Si sviluppa con ritmo regolare, azioni e
eventi che assumono caratteri.
Si sviluppa attraverso il viaggio attraverso
oggetti, ambienti, luoghi progettati ad hoc.
Creata attraverso la voce e le tecniche
letterarie
Creata con scorci visivi, attrazioni principali,
progetto degli elementi, delle forme
Offerto attraverso l’azione e il carattere, la
natura degli eventi e talvolta il narratore
Offerto attraverso le forme del progetto –
temi espliciti/caratteristiche più sottili
Espresso attraverso l’azione in varie
scene ed eventi
Offerto nelle forme dell’architettura, della
tecnlogia, caratteri, attori, eventi e ospiti.
Creata attraverso un linguaggio evocativo
e azioni che danno il senso del luogo
Creata attraverso le forme del progetto degli
spazi, l’attenzione a tutti i dettagli.
Un racconto si legge singolarmente.
L’idea della storia viene condivisa in
conversazioni e club del libro.
Gli individui interagiscono con gli spazi
progettati. In molti casi l’interazione avviene
in compagnia con altri.
29
3.8
MOOD / ATMOSFERA
Atmosfera = influenza esercitata da tutto ciò che ci circonda, mentale morale o materiale.
Mood = stato d'animo, la sensazione che le persone hanno quando entrano in uno spazio. È una
chiave per la progettazione di uno spazio efficace.
Se l’atmosfera è l’effetto complessivo che un determinato spazio esercita su ciascun individuo, il
mood è il risultato di tale effetto, lo stato d’animo, l’umore. Chiunque entrando in un determinato
luogo – sia esso un ristorante, un museo, un parco, uno spazio qualsiasi - elabora un’associazione
mentale con altri luoghi che ha già visto in passato. Ad ogni stato d’animo sono associabili forme
e soluzioni di progetto, idee.
La tabella che segue si propone di indicare alcune fra le possibili associazioni, tenendo in
considerazione il fatto che gli stati d’animo che l’utente può provare all’interno di un determinato
contesto sono impossibili da descrivere nella loro totalità. Essa si propone unicamente come
strumento, da adattare ad ogni singola esperienza attingendo al proprio bagaglio di competenze
(cfr. Lukas, 2013 pag. 65).
In pratica – rispetto a quanto fatto in precedenza – il progetto oggi non può essere più frammentato
in funzioni, e ruoli specifici. Serve il coordinamento, e soprattutto una condivisione fra tutti gli
operatori coinvolti, indirizzata a raggiungere un determinato obiettivo che pone l’utente al centro
del processo, e non il prodotto / il tema da esporre, incluso in una dimensione di soggetto attivo
e non passivo.
MOOD
Design Idea
Valori positivi Valori negativi
Accolto
(Welcomed )
Elementi che creano un
senso di accoglienza
dell’utente nello spazio,
includendo una varietà
di elementi che parlano
a tutti
Spazi interni creati come
ambienti ovattati o in cui
la luce è usata per far
sentire gli utenti solitari.
Creare un ambiente
in cui ogni utente – a
prescindere dal proprio
backgound o dai propri
interessi – si senta
accettato.
Permettere agli utenti
di sentirsi in relax e
calmi, come al di fuori
dell’azione che si svolge
nello spazio.
Creare spazi interessanti.
Gli utenti si sentono vivi,
liberi.
Solo
(Alone )
Divertito,
gradito
(Amused )
Uso di texture e colori
stimolanti; uso di
strumenti o tecnologie
che consentono di
passeggiare e divertirsi.
Far emergere un contesto
generale o un senso
aldilà dello spazio, che
non permette di rendere
il contesto attrattivo e
gradevole per gli utenti.
Far emergere un senso di
solitudine – l’utente pensa
a cose non connesse con
lo spazio in oggetto.
Far emergere un senso
di stanchezza causata
dall’insieme, dal
frastuono.
30
Irritato
(Annoyed )
Calmo
(Calm )
Confuso
(Confused )
Contemplativo
(Contemplative )
Curioso
(Curiosity )
Avventuroso
(Adventurous )
Eccitato
(Excited )
Impressionato
(Impressed )
Ricaricato
(Refreshed )
Romantico
(Welcomed )
Un elemento che provoca
una reazione, come una
forma o una tecnologia
che isola l’utente.
Design di forme, colori,
architetture, finiture che
generano piacevole
tranquillità e calma.
Finiture eclettiche e
caotiche, uso di colori
in maniera eccentrica,
finiture che vanno oltre il
senso comune.
Smorzare le texture, le
finiture angolari, e usare
colori gradevoli.
Elementi di progetto che
focalizzano l’attenzione
su oggetti, o punti
che necessitano di
comprensione. Portali,
segnali, cavità, ecc.
Elementi che permettono
di prender parte di una
ricerca o di un viaggio.
Passaggi, gallerie.
Spazi aperti e di grandi
dimensioni per creare
interazione fra le persone
e eccitazione.
Elementi di progetto
sovradimensionati,
costosi, non frettolosi.
Elementi che coinvolgono
viste, paesaggi,
architetture colori ed
acqua che rivitalizzano,
rigenerano.
Gli elementi del progetto
creano un senso di
fascino, che fa sentire
qualcosa di speciale.
Eleganza e perfezione.
Forzare l’utente ad
essere parte dell’azione
all’interno dello spazio.
Far emergere agli utenti
una sensazione di essere
fuori dalla scena.
Presentare uno spazio
in modo che l’utente si
senta sereno e tranquillo
nel contesto.
Creare un contesto in cui
l’utente si sente agitato o
inconsapevole delle cose,
evasione.
Far emergere un senso
di noia, un bisogno di
qualcosa di più esilarante.
Consentire all’utente di
essere concentrato.
Far emergere un senso
di straniamento, tensione
causata dalla natura
eccessiva, fastidiosa dello
spazio.
Ostacolare l’interazione
con altri ospiti.
Stimolare, creare una
occasione per dire “come
è fatto?”
Fare permanere troppo
a lungo l’utente in un
determinato spazio.
Presentare agli utenti
qualcosa di importante,
qualcosa che può servire
o di cui ha interesse.
Dare agli utenti la
sensazione che possono
divertirsi in quel luogo.
Accentrare
eccessivamente
l’interesse dell’utente.
Offrire un senso di
straordinarietà che nella
dimensione quotidiana
non è possibile.
Fare in modo che
ciascuno possa divertirsi
e rilassarsi allo stesso
tempo.
Far emergere un senso di
inutilità, sentirsi piccoli
non capire il senso del
luogo.
Far emergere in qualcuno
la necessità di ricarica
continua, di stimoli
continui.
Creare un’atmosfera in
cui l’utente si relaziona
meglio con gli altri e
apprezza gli altri e ciò che
lo circonda.
Far emergere in qualcuno
un senso di nostalgia e
solitudine.
Far emergere il bisogno
di calma e quiete.
31
La relazione fra individuo e ambiente è filtrata dalla memoria e dal pensiero, oltre che dalla propria
capacità immaginativa. La dimensione del ricordo e l’attività della memoria, assumono un ruolo
importante nel processo di percezione di un luogo, e questa dimensione si arricchisce di contenuti
proprio attraverso l’imagery, cioè attraverso quell’insieme di contenuti sensoriali e immaginifici
che stimolano nella mente del soggetto osservante le sensazioni/emozioni in relazione al riattivarsi
della memoria. L’insieme dei connotati materiali e immateriali di un determinato ambiente concorre
nella percezione di un luogo, con confini aperti a scambi fra reale e immaginario. Consentire
stimoli e passaggi continui attraverso questo confine, in una sorta di cross-over
culturale continuo sollecita la capacità di attenzione dell’osservatore –partecipatore.
Nell’immaginario (da imago apparenza, apparizione) si riscontra un’ambivalenza fra apparenza di
realtà / immagine di realtà. Immaginario è anche ciò che ci viene dalla capacità di immaginare, di
pensare la realtà come altra da quella che è: se da una parte questo può facilitare il collegamento
con ciò che è realmente presente, dall’altra può agevolarne l’allontanamento. Dunque attraverso
l’immaginario si rimette in discussione ciò che esiste ed è noto, e si possono raccontare
storie nuove, che non partono dal nulla, ma emergono da un terreno sedimentato di
storie, che crescono, si nutrono vicendevolmente, si intrecciano. La memoria storica di
un luogo (ad es. di un determinato territorio) dà forma al luogo stesso, e costituisce la base per la
considerazione che di esso hanno i suoi abitanti; «nel paesaggio possiamo trovare il riflesso della
nostra azione, la misura del nostro vivere ed operare nel territorio (inteso questo come lo spazio
nel quale operiamo, ci identifichiamo, nel quale abbiamo i nostri legami sociali, i nostri morti, le
nostre memorie, i nostri interessi vitali, punto di partenza della nostra conoscenza del mondo)»
(Turri, 2001, pag. 12)
32
4
ANALISI DEI CASI-STUDIO
Per riuscire a comprendere meglio le relazioni possibili tra nuovi media e spazialità dei luoghi
dell’esperienza culturale si è scelto non tanto di indagare episodi anche fin troppo noti di architettura
contemporanea, quanto piuttosto di analizzare la struttura di interventi che siano luoghi complessi
dell’aggregazione simbolica ed esperienziale, vere metafore elettive della nostra società, che,
con minore o maggiore consapevolezza programmatica, possiedano elementi interessanti per
l’identificazione di meta-indirizzi.
L’analisi è stata basata su quelle che possono essere considerate le caratteristiche fondanti di un
neoluogo, ovvero:
1. Mitopoiesi – capacità di incarnare miti, nello specifico miti culturali
2. Esperienzialità e immedesimazione ludico-avventurosa
3. Realizzazione di sistemi simbolici densi e proiettivi: riconoscibilità
4. Narratività: non solo contenitori di cose, ma luoghi affabulanti
5. Socializzazione avventurosa elettiva: esperienze che si vivono in gruppo
Si è scelto di rifarsi a luoghi che con immediatezza risultano programmaticamente prossimi ai
neoluoghi culturali, come i parchi tematici, che però, nati sotto la spinta di fermenti culturali
diversi, possono solo in parte rispondere alla ricerca di elementi fondanti la struttura di un neoluogo. Ad essi si è dunque scelto di associare altre tipologie di luoghi, espressione non si sa fino a
che punto consapevole di quei fenomeni di ibridazione, movimento, fluttuazione, cui dà voce
l’architettura della contemporaneità.
Sono stati dunque identificati e indagati luoghi in grado di unire un’operazione di storytelling
a quella di consumo dell’esperienza culturale in una dimensione quanto più immersiva, di
sospensione delle coordinate spazio-temporali e di customizzazione della fruizione, e per ognuno
di essi si è cercato di individuare le caratteristiche salienti della strutturazione dello spazio, in modo
tale da capire quali relazioni sussistano tra strategie narrative del luogo e soluzioni
progettuali adottate.
Le tipologie di luoghi che sono state censite sono:
-parchi a tema sintetici;
-parchi culturali contestualizzati;
-musei aziendali e flagship store;
-outlet;
-resort;
-luoghi ibridi di passaggio
Di seguito si riporta una breve presentazione di ciascuna categoria e le caratteristiche per le quali,
a nostro avviso, può essere considerata un prodromo di neoluogo.
33
4.1
PARCHI A TEMA
SINTETICI
Dall’analisi svolta emerge con chiarezza che i parchi a tema tradizionalmente intesi, sebbene
per molti aspetti possano essere considerati alla stregua dei “padri” dei neoluoghi culturali, si
discostano da essi, in quanto spesso non offrono quella continua apertura verso mondi “altri” e
quella possibilità di personalizzazione dell’esperienza che caratterizza invece l’oggetto specifico di
questa ricerca. Ciò che però li rende comunque interessanti ai fini di questa ricerca è la capacità
di immersività e la strutturazione attraverso progetti di storytelling, elementi questi alla base
dell’offerta di un’esperienza tematizzata in grado di attrarre e stimolare il visitatore e di fargli vivere
un’esperienza vivida e memorabile. Alan Bryman ha ben analizzato gli aspetti sociologici dei parchi
a tema, parlando di “disneyzzazione” dei luoghi e della società, ovvero ritenendo che i principi
regolanti il funzionamento dei parchi a tema disneyani vengano progressivamente adottati dalle
società occidentali e dai loro principali settori d’azione. I quattro principali aspetti che connotano
la disneyzzazione, secondo Bryman, sono:
-Tematizzazione: opera un’attrazione che procura un’esperienza piacevole rendendo più probabili
gli atti d’acquisto
-Consumo ibrido: le diverse forme di consumo sono sempre più connesse fra loro
-Merchandising: promozione e vendita di una vasta gamma di prodotti legati all’immagine di una
determinata marca
-Lavoro performativo: i lavoratori offrono un servizio come una vera e propria performance
spettacolare nella quale devono esprimere emozioni e dimostrare partecipazione al divertimento
dei consumatori.
Dando vita a molteplici situazioni di parchi a tema, il lungimirante modello Disneyano negli anni
90 esce dai propri confini, proponendosi come modello urbano e sociale. E così dopo Orlando,
una joint ventures con la Universal Pictures e la MGM (un progetto che ha reso la città diversa da
ciò che era, imponendola come alternativa a Miami nel turismo per la terza età) nella zona più a
sud dei 27.500 acri della Disney nasce Celebration, (1994) una città che si propone di offrire un
nuovo urbanesimo a numero chiuso, un’alternativa contro il logorio della vita moderna. Celebration
si sviluppa con una forma a mezza luna, fra laghetti, campi da golf e foreste tropicali in miniatura,
come piccola città in cui tutto sembra perfetto. Chi decide di acquistarvi un’abitazione deve
attenersi a un decalogo contenente raccomandazioni e limiti alla personalizzazione degli edifici
e dei loro interni, forniti già arredati in sintonia con l’epoca a cui il manufatto si ispira. Collegato
al villaggio, il parco a tema vero e proprio è l’esaltazione della dimensione di festa, con rigorosa,
filologica, quanto artefatta coerenza, dagli arredi agli operatori, per vivere come in una favola. Nel
parco vero è proprio, Castaway, su un’isola cui si arriva a bordo di una nave, alberghi, mercatini,
stabilimenti balneari a tema popolati dalle immancabili comparse che hanno il compito di dare al
luogo un tocco tradizionale e a misura d’uomo. Anche il mare è stato manomesso, sin sotto la sua
superficie: sui fondali prospicienti le spiagge giacciono, volutamente e sapientemente affondati
in punti acconci, un aeroplano e la copia di un galeone del sedicesimo secolo. Celebration e
Castaway hanno però il limite imposto dal tema a cui si ispirano ed al luogo in cui sorgono: o se
ne sposa la loro specifica filosofia o non resta che cambiare “piazza” e tipo di rappresentazione.
Il settore dei parchi tematici, in ampia diffusione a partire dal 2009, vede un grande successo
nell’America del Nord, in Asia, in America Latina. In Italia, ad oggi si contano 150 parchi, localizzati
34
prevalentemente nelle regioni settentrionali, con un consistente movimento turistico, e una
strutturata organizzazione di coordinamento e consulenza.
Ahoy Mateys: la nave-Flying Dutchman-nel Parco di Castaway
4.2
PARCHI CULTURALI
CONTESTUALIZZATI
Il parco culturale è una declinazione specifica del parco tematico25: un sistema dinamico, che può
essere individuato in una porzione di territorio nella quale si identificano e si propongono itinerari
turistico culturali, tramite il collegamento fra episodi sparsi sul territorio sub-urbano o all’interno di
aree urbane. L’individuazione di un tema si propone come occasione per organizzare, attraverso un
progetto di imagery, una sceneggiatura costituita da una serie di luoghi evento, attrazioni, (hits)
per cui anche gli episodi più deboli acquistano forza nel momento in cui sono inseriti all’interno di
un contesto culturale più ampio, capace di raccontare una storia, mettendo al centro dell’attenzione
il potenziale che gli ambienti hanno di diffondere idee, generare emozioni, creare significato.
La scelta dei temi è un’operazione artificiale, e non aliena da rischi di varia natura. Nel parco
25-Cfr. voce Parco tematico in Lessico del XXI Secolo (2013) a cura di di Isabelle Eliane Therese Dumont, (http://www.
treccani.it/enciclopedia/ricerca/parco-tematico/)
35
culturale il tema è già inscritto nella trama di relazioni che legano il patrimonio al territorio di
riferimento, mentre nel parco tematico è il tema a generare il luogo. La tendenza a riprendere
modelli già sperimentati in altre situazioni difficilmente dà origine a soluzioni di successo,
portando in sé il rischio di riprodurre brutte copie e ottenendo scarsa affidabilità da parte del
visitatore-fruitore. È dunque importante uno studio preliminare del contesto capace di cogliere
e informare la specificità del capitale territoriale da valorizzare. Il rischio principale deriva dalla
mancanza di chiarezza fra mezzi e fini: se, infatti, prevale la dimensione dell’intrattenimento, della
spettacolarizzazione eccessiva, si perde di vista il fine educativo e informativo dell’impresa, si
tende ad omologare le esperienze culturali sulle stesse performance con il risultato di banalizzare
e mercificare la complessità dell’esperienza culturale.
4.2.1
[CASO STUDIO]
CULTURA E TELEVISIONE:
I LUOGHI DI MONTALBANO
Una sollecitazione notevole al turismo culturale arriva, in alcuni casi, da programmi televisivi e
radiofonici. Un esempio attuale del comportamento degli spettatori è dato dall’incremento del
turismo in Sicilia nei luoghi del Commissario Montalbano, serie televisiva tratta dai romanzi di
Camilleri, originariamente ambientati nell’Agrigentino, tra Porto Empedocle e il litorale di Marinella,
mentre i set della serie televisiva sono tutti nel Ragusano, da Ibla a Scicli, fino a Donnalucata,
e Donnafugata. Su questo itinerario, costellato di meraviglie barocche e di irresistibili richiami
gastronomici, si è sviluppato il turismo di Montalbano: un fenomeno in continua crescita, alimentato
dai segnaletica opportunamente realizzata dai comuni interessati che indica i riferimenti alle scene
dei telefilm o rimanda a citazioni dai romanzi. Sono state prodotte guide turistiche, come «I luoghi
di Montalbano» edita da Sellerio (2007), con dodici itinerari, uno per romanzo, tra Agrigentino e
Ragusano. Realtà, o meglio finzioni, che si confondono ormai persino nell’immaginario di Camilleri,
a sua volta condizionato dal personaggio televisivo interpretato da Zingaretti. Una guida ai luoghi
immaginati diventa, rintracciati i nomi veri sotto i falsi, la guida vera di un paese reale che si trova
nelle carte geografiche.
“II commissario Montalbano è una fiction decisamente sopra la media, che può contare su numerosi
elementi di forza: l’elevata qualità tecnica della realizzazione, la bellezza dei luminosi paesaggi
mediterranei, la messa in scena di un universo estremamente riconoscibile sul piano culturale, e
allo stesso tempo sufficientemente stilizzato da rappresentare conflitti universali, come quello fra
modernità e tradizione” (Milly Buonanno, Le formule del racconto televisivo, Sansoni, 2002; pag.
328-329)
La serie televisiva del commissario Montalbano, in modo forse meno evidente di fenomeni tipo
36
il Grande fratello, Harry Potter o Matrix, ma non per questo meno incisiva, acquista spessore e
significato solo se inserita nella rete intertestuale, interdiscorsiva e soprattutto intermediatica in
cui il suo protagonista circola vorticosamente. Ne deriva il valore di cult che il personaggio ha
acquisito, dando luogo a fenomeni che fuoriescono dall’immaginario per espandersi nel mondo
dell’esperienza quotidiana. Le strutture incrementano le offerte turistiche, nei luoghi aumentano
i segnali e i motivi di richiamo, i turisti dirigono e programmano diversamente il loro viaggio
in Sicilia, indirizzandosi meno verso le spiagge, più verso i piccoli centri, i monumenti, che
richiamano la vita, i sapori, le esperienze dell’amata serie televisiva.
Marinella (Ragusa) La casa di Montalbano
Copertina del libro
37
4.2.2
[CASO STUDIO]
IL CONCETTO DI IMMERSIVITÀ:
SOVEREIGN HILL, AU
La dimensione dell’immersività contraddistingue notevolmente alcuni parchi stranieri, come ad
esempio nel caso del parco di Sovereign Hill in Australia, che attrae visitatori in grande numero.
(http://www.sovereignhill.com.au/sovereign-hill/).
Sovereign Hill è la ricostruzione di un paese fermo al 1850. In quell’anno venne scoperto l’oro nella
città di Ballarat, uno dei punti di riferimento più importanti nello Stato di Victoria, in Australia. Nel
villaggio, recentemente ricostruito, le persone, le abitazioni e i modi di vivere sono gli stessi del
secolo scorso, e l’ambiente è stato ricreato appositamente a immagine e somiglianza del passato.
Si tratta di un parco a tutti gli effetti, con biglietto di ingresso, nel quale il visitatore è dirottato
indietro nel tempo: è possibile visitare, soggiornare e svolgere varie attività, in una dimensione
di immersività totale. E’ possibile visitare la miniera che si estende sotto la città, o fare attività
artigianali – commerciali come ad esempio ricreare candele con i metodi e le tecniche del tempo,
o ferri di cavallo con l’incudine e il martello. E’ possibile cercare l’oro nel piccolo fiume che
scorre attraverso il paese, mangiare cibi del tempo prodotti artigianalmente dalle Bakeries locali.
L’illuminazione serale della città è interamente affidata alle torce. Si può soggiornare in tende che
ripropongono l’immagine del tempo e partecipare a spettacoli, giochi, eventi, dell’epoca.
38
4.2.3
[CASO STUDIO]
PARCO D’ARTE:
PARCO SCULTOREO
DI FIUMARA D’ARTE
Si definiscono parchi tematici d’arte i luoghi con un’alta concentrazione di opere d’arte immerse in
un determinato contesto. Possono essere musei d’arte contemporanea all’aperto con esposizione
temporanea e/o permanente, esposizioni / installazioni nel paesaggio di uno specifico territorio, o
ancora eventi culturali temporanei che prevedono l’esposizione di opere in un territorio extraurbano.
si tratta di situazioni in cui l’operazione di valorizzazione passa dal creare connessioni fra un
luogo con particolari condizioni per la fruizione di opere d’arte fornendo opportunità di sviluppo
economico e culturale per il territorio. È il caso di Fiumara d’Arte, un progetto nato negli anni
’80 come museo all’aperto, parco di sculture monumentali di artisti contemporanei lungo una
fiumara a secco, nei pressi di Castel di Tusa, in provincia di Messina. Nel parco, il museo albergo
Atelier sul Mare oltre agli scorci visivi sul paesaggio e le opere presenti, ha una serie di stanze
realizzate da artisti, che si propongono come opere da abitare. La Fondazione Fiumara d’Arte porta
avanti un’idea di sviluppo basata sull’arte, che punta sulla bellezza e sulla cultura come strumenti
attraverso i quali una comunità può reinventare se stessa, legando estetica ed etica in una nuova
politica sociale, fatta di impegno civile e coinvolgimento delle nuove generazioni. Il progetto, che
si integra con iniziative ed eventi formativi e espositivi a carattere temporaneo, è uno degli esempi
precursori di una tendenza in diffusione.
39
4.3
MUSEI AZIENDALI
E FLAGSHIP STORES
Nella categoria dei parchi tematici culturali rientrano i musei aziendali o d'impresa, che presentano e
valorizzano la storia e l’identità dell’azienda, conservando, raccogliendo e diffondendo il patrimonio
di tecnica e arte, rivalutando la memoria storica del fare. I primi musei aziendali italiani nascono
alla fine degli anni cinquanta, sviluppandosi particolarmente in epoca relativamente recente, con
una crescita quantitativa e qualitativa che ha contribuito alla progressiva messa a fuoco di specifiche
problematiche e metodologie museografiche, scientifiche e culturali.
Senza entrare nel dettaglio della vicenda storica dei musei industriali e artistico-industriali, si
evidenziano alcuni degli elementi distintivi che li connotano rispetto ad altre strutture. La dimensione
culturale è gestita direttamente dalle imprese, successivamente proposta ai vari stakeholder (gli
enti pubblici, per esempio il cui consenso è indispensabile essendo competenti in materia di
autorizzazioni e di vincoli di destinazione degli immobili oltre che delle relazioni con la collettività)
in modo che questi ultimi vi partecipino e quindi lo supportino. Oltre ad essere una opportunità per
l’azienda, il museo di impresa è un’occasione di apertura e di dialogo con la società e il territorio
cui appartiene, proponendo anche attività di didattica e formazione rivolte alle varie categorie di
utenti (visitatori, studiosi, studenti, ecc)26. In particolare il museo aziendale si propone non solo
di parlare al suo pubblico, di intrattenerlo, ma anche a insegnare delle cose: è possibile parlare
di didattica museale in riferimento alla presenza di audioguide, immagini, didascalie e così via.
Il museo aziendale si rivolge a pubblici diversi che possono essere formati da visitatori, studiosi,
ricercatori, studenti, esperti del settore, consumatori e dipendenti.
Una possibile classificazione (Negri, M. 2003) dei musei di impresa individua le seguenti categorie:
• Museo di storia dell’azienda: ha per oggetto lo sviluppo dell’impresa, la crescita
dell’imprenditore che l’ha originata, della sua organizzazione, dei suoi prodotti. Questa
tipologia è trasversale nel senso che, in misura diversa, la gran parte dei musei d’impresa di
tutto il mondo è anche museo di storia dell’azienda;
• Museo di marca: porta in primo piano il valore del marchio aziendale, o ad esempio il Museo
Alfa Romeo, il Museo Piaggio, ecc.;
• Museo dell’imprenditore: racconta anche la storia del fondatore e/o della dinastia che ha
dato vita all’impresa, la collezione è costituita da oggetti materialmente legati alla singola
persona;
• Museo di prodotto, di categoria merceologica o di categoria imprenditoriale: come nel caso
del Museo Nazionale del Cinema di Torino (che non è un museo aziendale in senso vero
e proprio ma comunque uno straordinario contributo all’industria del cinema). Un enorme
edificio che si sviluppa in verticale e la cui storia inizia nel 1682. Antonelli ne vuole fare
la sinagoga più grande d’Italia e più alta (167 metri) d’Europa, ma la storia della Mole è
piuttosto travagliata tanto che il suo creatore non la vedrà mai completata. E, anche dopo la
sua morte, passerà attraverso tali e tante traversie che la sua realizzazione verrà finalmente
conclusa nel 1961. La Mole comunque non sarà mai una sinagoga, ma sede prima del Museo
del Risorgimento e poi di mostre temporanee. Nel 1996 viene avviato il cantiere per il recupero
funzionale e di restauro dell’edificio, finalizzato all’allestimento del Museo Nazionale del
Cinema, inaugurato nel 2000.
26-cfr. http://www.museimpresa.com/turismo-industriale/
40
• Museo di distretto produttivo: riconducibile alla tipologia precedente, interpreta la vocazione industriale di un determinato territorio. Il museo che nasce all’interno del distretto
industriale è anche definito pluriaziendale, cioè legato a più realtà produttive che svolgono
la stessa attività e quindi producono la stessa tipologia di prodotto ma connotano anche la
cultura industriale di una certa provincia o di un certo territorio. (ad es. Museo del Cibo della
provincia di Parma);
• Museo archivio: mette in mostra l’Archivio aziendale: l’esposizione si integra nell’ambiente
museale in modo da fornire all’utente qualcosa di differente da quello che può essere in
qualunque museo, il rapporto funzionale e spaziale tra biblioteca specializzata (spesso entità
separata e destinata solo a fasce specifiche di visitatori) ed esposizioni permanenti. Ad es. il
Museo della Piaggio di Pontedera, dove il percorso prevede l’accesso libero ad alcune parti
dell’archivio;
• Museo sito: collega fra loro alcuni monumenti industriali che includono, a volte macchinari
importanti e di notevoli dimensioni, oppure grandi opere di ingegneria civile. Ad es. il Museu da
Agua di Lisbona realizzato da Epal, la compagnia pubblica dell’acqua potabile più importante
del Portogallo;
• Museo parco tematico-entertainment centre: ruota intorno a un unico tema, come
ad esempio nel caso nel caso del Museo dei Cristalli Swarovski, che sviluppa in maniera
intrigante e coinvolgente, il tema del Cristallo;
• Museo science centre: uno strumento particolarmente adatto alla comunicazione della
propria missione dalle aziende produttrici di alta tecnologia e particolarmente impegnate
nella ricerca scientifica, sottolineando l’aspetto di costante innovazione che sta alla base delle
loro produzioni su scala industriale. Principale esempio di riferimento in Europa può essere
considerato Evoloun, il Philips Centre aperto nei Paesi Bassi negli anni settanta.
Elementi caratterizzanti i musei di impresa (cfr. Abruzzese, Codeluppi, 2009, pag 120)
1. Rapporto con il pubblico
2. Definizione di obiettivi specifici: meno rappresentazione storica; più trasmissione della
cultura aziendale.
3. Stanziamento adeguato alla copertura dei costi di gestione.
4. spazio fisico adeguato
5. personale qualificato
6. definizione delle modalità di fruizione
7. organizzazione delle attività di comunicazione
Processo di smaterializzazione – valorizzazione delle componenti immateriali a scapito delle
tradizionali componenti materiali.
Concept: Focus della comunicazione basato sull’identità di impresa e i suoi valori e su una
maggiore attenzione al visitatore
Servizi aggiuntivi: Vendita, ristoro, studio, ricerca, convegni, congressi, biblioteca, bookshop
ecc. Percorso polisensoriale ricco di stimoli di ogni tipo dove l’enfasi è posta sull’esperienza
sul piacere e la gratificazione che la visita produce.
Componente emozionale ludica ed edonistica del museo di impresa.
Il parco come motore di sviluppo - significatività, riproducibilità ed integrazione.
41
Swarovski Kristallwelten è un museo aziendale collocato all’interno di un parco realizzato ad hoc e
concepito come una Wunderkammer ove sono raccolti oggetti o opere d’arte realizzate in cristallo.
Il complesso è stato ricavato all’interno di una collina artificiale, l’ ingresso è situato a Nord e
riconoscibile da un grande volto umano stilizzato, ricoperto di vegetazione (principalmente erba)
con due occhi di cristallo. L’intervento battezzato il Gigante sputa-acqua è opera di André Heller. Il
complesso si sviluppa in 14 camere sotterranee, dette camere delle meraviglie, ognuna delle quali
è un’interpretazione artistica della materia cristallina, il cui progetto è stato affidato a vari artisti di
fama internazionale.
Swarovski Kristallwelten Wattens, Australia
Riprendendo la logica dei musei aziendali e riferendola all’attualità culturale, i flagship store
sono luoghi attraverso cui la marca si manifesta all’interno dello spazio urbano contemporaneo in
grado di proiettare le idee e lo spirito che stanno dietro ad una storia aziendale. Contrassegnati da
un'intensa contestualizzazione e caratterizzazione estetico-formale, rappresentano elementi che,
per eccezionalità ed interesse, contribuiscono alla creazione dell’identità urbana contemporanea
delle più importanti metropoli mondiali, divenendo un simbolo catalizzatore non solo di scambio
ma anche di relazioni sociali. Un simbolo di scambio, grazie al quali le aziende inseriscono
nell'urbanità metropolitana un simbolo architettonico. Sono, infine, Mega Stores, che funzionano
come una piccola e dedicata Mall e per questo allestiti in maniera teatrale in analogia con le
soluzioni marketing applicate a livello globale. La vendita di merce diventa in tal caso un effetto
secondario. L'architettura definisce gli allestimenti con tutti i mezzi dell'articolazione spaziale e
quelli tecnici di presentazione. Già negli anni Novanta dall’incontro fra un anti-architetto (Rem
Koolhas) e un’anti-stilista (Miuccia Prada) si inizia a pensare a modalità nuove e antimonumentali
per raccontare casa Prada. L’”Epicenter”, questo il nome dato dal progettista allo spazio per Prada,
42
si comporta infatti come catalizzatore di esperienze, lasciando lo shopping sullo sfondo. I locali, un
tempo appartenenti alla sede distaccata del Guggenheim Museum di Soho, sono stati trasformati in
modo sorprendente. Ovunque all’interno si ha la percezione di trovarsi in un luogo “liberato” dalla
pressione dell’acquisto: l’esperienza dello shopping diventa così straordinaria perché alternativa,
visto che le dinamiche di vendita sono, di fatto, stravolte. Koolhaas ha dato vita a un luogo in cui le
funzioni vengono mescolate, portando all’interno dello spazio commerciale tutte le attività proprie
della città contemporanea. Uno spazio nel quale abiti e accessori sono nascosti e mimetizzati,
per far diventare lo spazio commerciale uno spazio pubblico che si trasforma all’occorrenza, ad
esempio in palco per eventi, in cui i piani per l’esposizione dei prodotti diventano sedili per il
pubblico raccolto come in un teatro.
Prada, Epicenter Broadway New York-Progetto OMA/Rem Koolhas 2001
43
4.4
OUTLET
Outlet è un termine anglosassone che significa "spaccio". I Factory Outlet Center (FOC) sono
strutture commerciali extraurbane in prossimità di grandi reti viarie che consentono una facile
accessibilità automobilistica, con notevole concentrazione di negozi ed elevato livello di servizi.
Propongono una filosofia d'acquisto con forte orientamento a marchi di tendenza (brand), a
condizioni economiche strutturalmente più favorevoli rispetto a quelle del dettaglio ma non
necessariamente inferiori (gain) e in una situazione di acquisto complessivamente gradevole
per locazione e layout razionale. Il filo conduttore che lega shopping, retail e turismo si basa
sulle relative specificità che si interfacciano tra loro intorno alla dimensione del leisure. Dai primi
outlet malls, finalizzati solo all’acquisto a prezzo vantaggioso, i factory outlet hanno mutuato dai
parchi a tema gli elementi dell’architettura e dell’organizzazione interna dello spazio, per dotarsi
di personalità in grado di selezionare la clientela. È così che si sono trasformati in factory outlet
villages, villaggi commerciali. Il setting a villaggio aiuta a estrapolare lo spazio commerciale sia
dall’esperienza dello shopping urbano spesso percepito come caotico, sporco e comunque poco
confortevole, che dall’esperienza dello shopping nei centri commerciali suburbani percepiti come
privi di personalità, squallidi e (noiosamente) ordinari. Essi si collocano generalmente in prossimità
di importanti località turistiche, di cui il village style evoca aspetti tipici, contestuali, storici o
culturali, con particolare attenzione all'atmosfera. Nell'ambientazione del Fidenza Village, affiora la
citazione di "Ossessione" come omaggio a Luchino Visconti e l'ispirazione da un contesto dominato
dalla figura di Giuseppe Verdi, che nacque a Roncole di Busseto, a pochi chilometri da Fidenza. Il
villaggio entra nei circuiti turistici e anzi è esso stesso a creare dei circuiti turistici, aggiungendo un
plusvalore alla cittadella del commercio.
L'outlet village rischia, però, di incorrere in una disneyzzazione, dove prevale una spettacolarizzazione
dell'architettura e dove si esercita una sorta di apprendimento dell'artificial life e delle annesse
pratiche di consumo.
44
Nel Barberino Outlet Village, (http://www.mcarthurglen.com) l’ impianto architettonico è quello un
borgo rinascimentale ricostruito, senza però rinunciare ai colori che possano attirare la clientela
verso le vetrine, con due cortine edilizie simmetriche che si sviluppano a partire dall’ingresso e
che accolgono i negozi. Al suo interno, un viale centrale attraversato da un canale, viali secondari
piazze, alternati a spazi verdi e specchi d’acqua, configurano lo spazio per lo shopping e lo svago.
Le visite ai villaggi commerciali outlet sono generalmente pervasive: occupano una giornata intera
l’organizzazione del mezzo di trasporto, la scelta delle persone con cui affrontare lo spostamento
verso il villaggio commerciale, le assimilano alla scampagnata. La possibilità di entrare in
possesso di beni legati a un valore simbolico (brand) non è il motivo principale della visita: questa
si attua generalmente come svago in un parco a tema che corrisponde a una città epurata, lontana
dalla città reale identificata come luogo del lavoro e della fatica, delle barriere (architettoniche,
economiche e talvolta di sicurezza). In questa dimensione, la distanza e lo spostamento assumono
un ruolo essenziale riuscendo a trasformare un’uscita per acquisti in un’avventura. Uscire dalla
città trasforma l’esperienza in escursione motivata dalla possibilità di fare qualcosa che piace
e gratifica, e infatti viene vissuta in compagnia (difficilmente all’outlet si va da soli). Il villaggio
commerciale non è riconosciuto come luogo turistico (per quanto sempre più spesso alcune aree
siano riconosciute proprio grazie alla presenza di outlet sul loro territorio), di fatto però è praticato
come tale e in alcuni casi è la sosta all’outlet ad essere tappa di un itinerario più lungo27.
27-Rabbiosi, C. Outlet villages: il commercio extraurbano tra diverse modalità di shopping e di turismo,
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale. Università di Milano-Bicocca (https://www.academia.edu/1833911/
Outletvillagesilcommercioextraurbanotradiversemodalitadishoppingeturismo) consultato in dicembre 2013.
45
4.5
STRUTTURE RICETTIVE:
DAL RESORT ALL’ALBERGO
DIFFUSO
Nell’Ottocento il grand hotel si distingue come luogo di passatempo dell’aristocrazia e dell’alta
borghesia. Caratterizzato da un lusso forzato, luogo di consumo, status symbol, si propone come
occasione di riposo, di nuove conoscenze, di cura, con periodi di soggiorno anche molto lunghi. Lo
sviluppo industriale del Novecento, la dimensione del viaggio come turismo e vacanza concentrata
in un numero limitato di giorni, portano ad una diversa organizzazione delle strutture ricettive, con
la standardizzazione della gestione e degli ambienti. A partire dagli anni 70-80 la diffusione della
spettacolarizzazione, che nella città di Las Vegas trova i suoi prodromi di sviluppo, orienta alla
massima estetizzazione e anche alla tematizzazione degli spazi, per rendere gli spazi piacevoli e
accoglienti e esaltare il piacere ed il benessere, ricreando o recuperando atmosfere particolari e
dotando le strutture di servizi accessori.
RESORT
Un resort28, o villaggio turistico, è un hotel a struttura polivalente comprendente più servizi offerti al
cliente, oltre al normale alloggio ed al relax. Normalmente l’edificio o edifici destinato a diventare
un resort veniva edificato direttamente in una zona di grande attrattiva turistica, ma negli ultimi
decenni è diventato comune fare l’inverso, ovvero realizzare la struttura in un luogo in sostanza
privo di attrattive turistiche e costruire le strutture in modo tematico, prendendo un tema portante e
realizzandovi sopra l’intero villaggio riferendo tutte le attività e le attrazioni a quel tema.
In Italia, oltre ai villaggi turistici, tipo Club Mediterranèe, stanno nascendo nuove strutture con una
dimensione più intima legata alla cultura del cibo e del benessere. Un esempio in questo senso è
Resort Antonello Colonna Labico, Roma
28-Resort è un “albergo situato al di fuori di un centro urbano” e un Villaggio turistico è un “complesso di abitazioni
dotato di impianti sportivi e di attrezzature per il tempo libero, situato in località di interesse
46
il Resort Antonello Colonna, una casa privata dove potersi concentrare su se stessi e sul proprio
benessere psicofisico, grazie soprattutto all’ampia offerta di servizi centrati sul tema benessere.
La struttura non risponde ad un impianto specifico: è un edificio raggiungibile dal parcheggio
mediante passerella in legno, immerso nella natura del parco naturale di Labico. Un luogo del cibo,
che viene preparato con prodotti che provengono dall’azienda agricola annessa e sono trasformati
e lavorati internamente. La cura e la cultura del cibo, che può essere consumato in ogni zona della
struttura lasciando alla sala da pranzo un ruolo per lo più istituzionale, sono il tema principale della
struttura, affidata ad un resident chef.
ALBERGO DIFFUSO
Un’altra tipologia sviluppatasi recentemente di villaggio è l’albergo diffuso, di cui è caso studio
emblematico Santo Stefano di Sessanio è un borgo risalente al 1300, localizzato all’interno del
Parco Nazionale del Gran Sasso, una parte del quale è stata riqualificata e convertita ad albergo
diffuso. L’albergo è dotato degli standard della classica struttura alberghiera, distribuiti all’interno
dei nuclei edificati del borgo. L’approccio all’intervento di tipo conservativo arriva a contemplare
scelte estreme di conservazione delle tracce del vissuto umano, sia per le facciate sia per gli
arredi interni. L’impianto del borgo ha un’origine riconducibile all’impianto romano, con una strada
centrale, e percorsi secondari di accesso alle abitazioni ortogonali ad esso.
Albergo Diffuso Santo Stefano di Sessani, L’Aquila
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CENTRI TERAPEUTICI
I centri terapeutici si sono spogliati della vecchia concezione di luoghi deputati alla malattia,
aperti maggiormente all’integrazione con il tessuto circostante agevolandone la fruibilità da parte
dei cittadini e degli utenti. Luoghi dell’accoglienza, della speranza e dell’attenzione, attraverso la
costruzione di ambienti rasserenanti e confortevoli, dotati di arredi, finiture, colori, che riducano
l’idea di estraneità dal luogo da parte degli utenti.
Dynamo Camp, primo camp di terapia ricreativa in Italia, ospita bambini tra i 7 ed i 17 anni affetti da
patologie gravi o croniche. Una struttura di oltre 1000 ettari, un’atmosfera dove si respira allegria,
divertimento e gioia di vivere. Tutto è studiato e organizzato nei minimi dettagli al fine di offrire ai
piccoli ospiti una settimana di puro svago e di vacanza, durante la quale riappropriarsi della propria
infanzia, in un ambiente sicuro, protetto, sereno. Nato a partire dal 2003, quando l’imprenditore
Vincenzo Manes, già ideatore della Fondazione Dynamo, pensò alla possibilità di creare in Italia
un centro sul modello dei campi estivi per bambini promossi in Usa dall’attore Paul Newman
e dalla sua associazione Hole in the Wall. Due anni dopo la Intek di Manes prese il controllo e
successivamente incorporò la Smi degli Orlando, e si iniziò a parlare di Limestre come plausibile
sede del progetto. Lo stesso Newman, che visitò il luogo di lì a poco, ne restò affascinato. Qui, molti
dei capannoni industriali della ex Smi sono stati recuperati e riqualificati, ed ospitano gli uffici, la
mensa, i laboratori, gli alloggi, una piscina coperta, un teatro, e altri servizi.
Il Villaggio della Salute Più, nel Comune di Monterenzio, Bologna, nasce come luogo adatto per
cure termali integrate, riabilitazione e rieducazione funzionale attraverso training fisico, benessere
come importantissima prevenzione primaria, ed è oggi importante attrazione turistica. Il complesso
è composto da una villa rurale preesistente, alcuni rustici preesistenti in cui è possibile il
48
pernottamento che si caratterizzano come blocchi di massimo tre piani, costruiti secondo la maniera
della tradizione locale. Ad essi si affiancano le nuove strutture del centro termale, agriturismo,
camping, e altre strutture turistico ricettive.
CONTAMINAZIONI: DAGLI URBAN ENTERTAINMENT-CENTER AI NEOLUOGHI DI
PASSAGGIO
Gli Urban Entertainment Centers sono il frutto della contaminazione fra gli spazi pubblici, gli spazi
commerciali e le aree di scambio del vivere nomade contemporaneo, nei quali si trascorre del
tempo e quindi si può trovare spazio per l’offerta sia legata al commercio che al benessere o al
relax e al divertimento. E’ il caso delle stazioni e degli aeroporti, ma anche dei cinema multisala,
dei centri per lo sport e il benessere, degli stadi.
Già dagli anni ’80 sono in corso studi e progetti sui possibili ruoli e le funzioni delle nuove stazioni.
In Italia, nonostante i concorsi internazionali indetti per alcune stazioni dell’alta velocità, non sono
emerse ancora tante risposte concrete, è aperto il dibattito sul design delle nuove stazioni (sempre
più simili ad aeroporti), sul rapporto che questi luoghi devono avere con il contesto urbano, sulle
potenzialità di restyling delle vecchie strutture. Roma Tiburtina, riaperta circa due anni fa e Torino
Porta Susa conclusa alla fine del 2012 sono i due nodi della mobilità italiani che competono
con le nuove realizzazioni europee. La prima è stata progettata da un gruppo guidato dallo studio
romano Abdr, mentre il terminal torinese – che ha ridisegnato un intero quartiere della città –
è stato progettato da un team guidato dai francesi Arep. E’ in stato di avanzamento il cantiere
della stazione di Reggio Emilia su progetto di Santiago Calatrava, mentre si è fermato a febbraio il
cantiere di Afragola con la stazione di Zaha Hadid e avanza a intervalli tutt’altro che chiari il progetto
Foster+Partner a Firenze.
In tutti gli interventi si propongono gallerie urbane, spesso sotterranee con spazi e percorsi fluidi;
alle tradizionali sale d’aspetto si sostituiscono spazi commerciali e zone destinate alla sosta.
Difficoltà e lentezza nel procedere caratterizzano anche progetti all’estero, come nel caso della
tanto discussa Stazione di Stoccarda, su progetto di Christoph Ingenhoven, ancora in cantiere quasi
vent’anni dal concorso, numerose interruzioni anche a causa delle opposizioni della popolazione
locale, oltre che dell’aumento dei costi. Emerge comunque una duplice tendenza, che da una
parte vede lo shopping insediarsi negli spazi a diversa funzionalità, e dall’altra la possibilità di
ricavare spazi in cui insediare funzioni che esulano dalla vendita e appartengono all’intrattenimento,
compresi gli spazi verdi.
Se in passato questi luoghi come i grandi spazi di transito, gli spazi pubblici, erano caratterizzati
dalla “magnificenza” rientrano in quella che Koolhaas definisce oggi Bigness29, cioè il fatto che ciò
che conferisce identità è la mera dimensione, rinunciando a quella complessa trama di carattere
sia estetico che sociale, con cui Vitruvio apre per la prima volta la nozione di “magnificentia” in
architettura30 che viene vista da Koolhaas come opportunità per abbandonare completamente il
richiamo alla tradizione della cultura architettonica. Una provocazione che introduce il problema
29-Koolhaas Rem, Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, Quodlibet, Macerata 2006, p. 13
30-Maclaren Sarah, Lusso, spreco, magnificenza, in Àgalma n° 2, a cura di Perniola M., Meltemi, Roma 2002
49
Stazione di Stoccarda Progetto di Christoph Ingenhoven
della rottura fra contenitore e contenuto, che tuttavia è figlio della mutazione genetica, dell’evoluzione
della specie, che ha portato alla nascita di una nuova specie architettonica, nella quale trionfa
spesso il decorativismo, fine a se stesso. Caduta la grandiosità, rimane la grandezza (bigness) che
punta alla spettacolarizzazione.
“La Bigness è il punto in cui l’architettura diventa insieme massimamente e minimamente
architettonica: massimamente, per via dell’enormità dell’oggetto; minimamente per la sua perdita di
autonomia» «La Bigness non ha più bisogno della città: è in competizione con la città; rappresenta
la città; si appropria della città; o, ancora meglio, è la città”31
31-Koolhaas, Rem, Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, Quodlibet, Macerata 2006, pag. 22-23.
50
5
ELEMENTI STRUTTURANTI
LA NARRAZIONE FISICA
DEL PARCO TEMATICO
“mille foreste nella stessa foresta, mille verità di un medesimo mistero che ci sfugge e si concede
solo per frammenti. non esiste una verità della foresta, bensì una moltitudine di percezioni a seconda
delle prospettive, delle aspettative, della diversa appartenenza sociale e culturale” (Le Breton, David,
2007, Il sapore del mondo. Un’antropologia dei sensi, Raffaello Cortina, Milano)
Il mondo in cui ci muoviamo è una realtà percettiva complessa, che si costituisce attraverso la
narrazione interattiva di componenti diverse, sia fisiche e materiali che relazionali, comunicative,
quelle qualità sensoriali definite come ambito del Design Primario, per il quale lo spazio è la
matrice degli scambi relazionali fra il soggetto e il contesto in cui si trova. Secondo tale approccio,
nella caratterizzazione di un determinato luogo si presta attenzione particolare alle ricadute estetiche
di fenomeni immateriali quali ad esempio la variazioni di temperatura, le variazioni cromatiche, le
variazioni di illuminazione, le vibrazioni sonore, ecc. Un insieme di fenomeni che appartengono
all’interfaccia che si stabilisce fra il soggetto e il contesto in cui si trova immerso
(imagery). I mezzi della comunicazione sono i filtri potenti che modulano le nostre esperienze
percettive: spesso ciò che si ritiene di aver visto, di aver sentito, di aver toccato ha a che fare
non con la realtà fisica ma con informazioni provenienti dal mondo della comunicazione, con
ibridazione costante fra reale e virtuale, materiale e immateriale. Per anni il progetto ha
inteso la relazione fra oggetto e immagine come tendenzialmente unilaterale ovvero generatrice di
segni, messaggi, o strumenti comunicativi, direttamente dalla fisicità del prodotto. In certi ambiti
– e/o in passato - al progettista competeva la fase che portava dall’idea all’oggetto/spazio reale,
lasciando poi ai cosiddetti comunicatori la responsabilità di come tale oggetto/spazio possa essere
usato, fruito, manipolato, in una fase successiva. Tuttavia ciò che percepiamo – come consumatori/
attori - è l’insieme di tutte realtà, e in ciò la distinzione fra aspetti fisici e componenti immaginarie
risulta sempre più difficile. Dunque se reale e virtuale sono spesso intese come categorie separate e
dialettiche, quella che si percepisce è una sorta di virtualità diffusa, adattata, invisibile e persistente,
ed il progetto si muove nella zona di sovrapposizione fra i due mondi. Il criterio della narrazione
mira a mettere in relazione gli episodi presenti nello spazio attraverso trame narrative: le sequenze
percettive, lungo un sistema strutturante di spazi pubblici, devono formare un racconto,
esplicitare una o più idee. Il criterio della narrazione mira alla definizione dunque di un’idea (o
più idee) progettuale, la cui esplicitazione possa essere supportata dagli artefatti e dagli elementi
strutturanti in essa presenti.
La classificazione che è stata operata, estrapolando dall’analisi dei casi studio quegli elementi – o
categorie di elementi – dell’organizzazione spaziale attraverso i quali si connotano e si organizzano
gli spazi, punta a definirne le caratteristiche, individuando per ciascuno di essi le modalità con cui
è possibile intervenire per costruire la narrazione dei Neoluoghi.
51
5.1
ELEMENTI STRUTTURANTI
[SCHEDE
L’indagine effettuata ha portato ad individuare le principali categorie di elementi strutturanti (8) che
vanno riletti alla luce di questa visione sistemica. Per ciascuno di essi è stata creata una scheda di
analisi che ne descrive e ne articola le funzioni e le relazioni, mettendone in evidenza le funzioni, le
caratteristiche, nonché le modalità di relazione con la narrazione tematica (linee guida).
Ogni categoria si articola in voci ed elementi più o meno omogenei che ne declinano le possibili
conformazioni, i possibili usi, ecc. Ad esempio nella prima categoria (accessi) si possono
distinguere gli ingressi – intesi come porte, soglie, elementi passaggio fra una parte e l’altra o fra
reale e virtuale – e i percorsi di ingresso, per raggiungere la meta. A loro volta ciascuno di essi può
essere ulteriormente articolato: libero / controllato, unico/ molteplice, esplicito/non percepibile,
ecc. Nelle schede per ciascuno di essi viene proposta una definizione arricchita da esempi e da
connessioni-relazioni.
Il tema della ricerca e in particolare l’approccio proposto si discostano dalle strutture
tassonomiche contrapponendo ad esse un approccio ipertestuale. Tuttavia si è ritenuto necessario,
in questa fase del lavoro, procedere con un’articolazione strutturata in maniera gerarchica, con la
consapevolezza del limite che tale struttura può indurre, ma allo stesso tempo con la volontà di
offrire uno strumento che consenta la maggior semplicità nel gestire un processo di trasformazione
complesso in particolare di un luogo esistente.
Le 8 classi di elementi strutturanti, così come descritti nelle schede, sono:
1.IMPIANTO
la forma dell’impianto è anche un sistema per evidenziare gli itinerari che i visitatori
posso- no o devono preferibilmente seguire per creare una sequenza percettiva
specifica. A questo scopo spesso è utile il ricorso alle tecniche cinematografiche.
È essenziale il raccordo tra le scale dei diversi elementi che compongono l’impianto, per creare
gli effetti percettivi desiderati, al fine di accrescere o diminuire il carattere immersivo, per
creare elementi catalizzatori etc. Nel disegno dell’impianto di un parco è essenziale progettare
la transizione tra i vari nodi tematici (sequenze e scenari). Il possibile design del paesaggio in
accordo con il tema/i temi da sviluppare è poi la chiave per offrire soluzioni tecnicamente vincenti
ai problemi. Ciò significa prestare attenzione a come l’impianto combina tra loro i seguenti aspetti:
stagionalità, rumore, percezione visiva, fruibilità.
2.MARGINI
I margini sono elementi lineari, che fungono da confini tra due diverse fasi, sono interruzioni
di continuità: rive, linee ferroviarie infossate, margini di sviluppo edilizio, mura ecc.
Tali elementi di margine costituiscono importanti caratteristiche nell’organizzazione territoriale e
paesistica, particolarmente per il ruolo di tenere assieme aree generalizzate, come fanno l’acqua o
le mura che circondano una città.
Essi fungono da riferimenti, in quanto possono trasmettere percettivamente il senso del momento
di passaggio da una zona all’altra del neoluogo o dall’interno all’esterno di esso e viceversa.
52
Parlare di margini, infatti, implica necessariamente analizzare la posizione del corpo nei confronti
dell’ambiente. Ognuno di noi entrando in un luogo dice a se stesso: “Io sono fuori”, oppure “Sto
entrando”, “Sono al centro” ecc. Dal momento che è un’istintiva e automatica abitudine fisica
relativizzarsi all’ambiente, questo senso della posizione non può essere progettualmente ignorato,
divenendo quindi un fattore della pianificazione.
I margini sono dunque i primi elementi compositivi della strutturazione spaziale della narrazione
del neoluogo, dove fondamentale è la percezione dell’essere “dentro” e dell’essere “fuori”.
Comporre un margine per generare un qui comporta automaticamente la creazione
di un là, e quindi chia- ma in causa il problema delle relazioni: alcuni dei più grandi
effetti di paesaggio sono creati da un’abile contrapposizione di questi due elementi.
Se la sensazione dell’essere qui è fondativa dell’idea di identità con un luogo, altrettanto
interessante è quella dell’essere là, nel senso di essere costantemente fuori dalla nostra portata.
Una progettazione sapiente dei margini può sottolineare o mitigare questi effetti, può orientare
nella percorrenza del neoluogo, può stimolare le relazioni tra neoluogo e paesaggio urbano o rurale
circostante.
3.ACCESSO
L’ingresso, l’entrata, l’inzio di un percorso e di un’esperienza non è solo un elemento funzionale,
bensì un elemento chiave della percezione, della comprensione, della valorizzazione
del parco. Elemento di transizione, ma anche spazi con una propria specifica identità, in quanto
costituiscono il primo approccio con l’esperienza che si sta per vivere. Per questa ragione richiedono
una progettazione attenta, alla stregua dell’incipit di un romanzo, che spesso e volentieri è ciò che
invita o preclude la lettura e l’esplorazione dell’intera storia.
4.PERCORSI
I percorsi sono i “canali” lungo i quali l’osservatore si muove abitualmente, occasionalmente o
potenzialmente. Per molte persone, questi costituiscono gli elementi preminenti della loro
immagine dello spazio. La gente osserva il paesaggio mentre si muove lungo di essi, e gli altri
elementi ambientali sono disposti e relazionati lungo questi percorsi. Laddove i percorsi principali
mancano di identità o sono facilmente confusi l’uno con l’altro, l’intera immagine paesistica è in
crisi. Un percorso si struttura con il tracciato, il selciato calpestabile, i margini che lo delimitano,
le variazioni di quota. Ma se tutti questi elementi si componessero in un’omogeneità diffusa, il
percorso perderebbe di interesse e di capacità di orientare chi lo segue. Il valore degli episodi
in un itinerario è quello di attirare l’occhio e fermare lo sguardo. Una efficace disposizione delle
singolarità dà risalto alle forme fondamentali dello svolgimento della narrazione. Se si considera
il percorso all’interno del neoluogo come una narrazione, episodi e nodi possono fungere da
punteggiatura, creando pause, congiungendo tra loro frasi differenti, chiarendo il significato e
l’intonazione di lunghi periodi.
5.HITS
Le hits sono le attrazioni principali del parco tematico, quegli elementi
significativi e/o celebri che non si può fare a meno di vedere, visitare, o
53
provare. Senza averli visti o provati non si può dire di aver visitato il parco.
Per questo la dislocazione spaziale delle hit richiede uno studio specifico, che parte dalla
considerazione che esse costituiscono essenzialmente i nodi principali della rete sottesa allo
spazio-parco.
I nodi, sono punti, luoghi strategici in una paesaggio tematizzato, nei quali un
osservatore può entrare, sono i fuochi intensivi verso i quali e dai quali egli si muove.
Spazialmente possono essere innanzitutto congiunzioni, luoghi di un’interruzione nei trasporti, un
attraversamento o una convergenza di percorsi, momenti di scambio da una struttura ad un’altra;
oppure possono essere semplicemente concentrazioni, che ricavano la loro importanza dal
concentrarsi di qualche uso o di qualche caratteristica fisica, come avviene per un posto d’incontro
all’angolo della strada.
6.SERVIZI
I servizi costituiscono elementi essenziali, sia per la soddisfazione generale dei visitatori sia per il
ruolo che essi giocano nel generare ricavi: in alcuni casi essi possono apportare anche il 40% dei
ricavi complessivi del parco.
E’ possibile individuare tre tipi diversi di servizi all’interno di un parco:
- servizi alla persona
- servizi di arricchimento dell’esperienza
- servizi di connessione con il “fuori parco”
Appartengono alla prima categoria tutti i servizi in senso stretto, come infermeria, nursery,
servizi igienici, punti informativi, tutto ciò che può essere funzionalmente utile all’utente in
caso di necessità personali particolari, che esulano dall’esperienza del parco in quanto tale.
Al secondo gruppo appartengono quelle offerte che, in modo più o meno esplicito, sottolineano o
arricchiscono il senso dell’esperienza. In questo senso possiamo ascrivere a tale gruppo gli archivi,
le biblioteche, le mediateche aperte al pubblico, i laboratori, i seminari e, in generale, gli eventi
culturali, didattici e formativi organizzati. Infine, nel terzo gruppo ci sono i servizi che ampliano e
prolungano l’esperienza del parco, e che possono essere sia fisici, reali, che virtuali e digitalizzati.
7.ZONE SOSTA (ED ALTRI ELEMENTI EMERSIVI)
Il neoluogo è visto come il luogo in cui l’emozione, suscitata dall’avvicendarsi delle attrazioni,
viene temprata dall’armonia che lega le varie parti, attraverso la contrapposizione degli opposti
e la sapiente alternanza di momenti acmeici e momenti di distensione. Pertanto, contrariamente
a quanto si possa pensare, occasioni di “uscita” controllata dal gioco immersivo e pervasivo del
neoluogo ne rafforzano l’efficacia e la pregnanza.
Un neoluogo necessita di quelle “divagazioni”, ovvero occasioni, appositamente pensate,
progettate e realizzate, per realizzare attività specifiche, che interrompano la sequenza tematica, o
per “chiamarsi fuori” dal gioco del parco e sostare a guardarlo come un semplice spettatore, con
sguardo contemplativo e non con atteggiamento partecipativo.
Se nel parco paesaggistico questi elementi potevano essere tempietti, grotte,
cineserie etc., nel neoluogo è possbile individuare le seguenti categorie:
54
• Aree sosta
• Attrazioni a-tematiche temporanee
• Parcheggi
• Infopoint
Ciò che accumuna questi elementi è la caratteristica di attivare nell’utente un atteggiamento
di consapevolezza sulla natura finzionale dell’esperienza, che li porta ad emergere,
anche se per poco, dal coinvolgimento tematico e a riconnettersi con la quotidinanità.
A livello di distribuzione, questi elementi possono essere concentrati in alcune aree del parco o
disseminati al suo interno.
Per quanto concerne l’imagery, a seconda del livello dell’effetto emersivo che si vuole ottenere,
essi possono essere tematizzati a loro volta oppure presentare finiture strettamente funzionali, ma
essere celati alla vista, o ancora essere ben visibili e riconoscibili in ragione della attività che
consentono di svolgere.
8.VISUALI STRUTTURANTI
Nel progetto urbano e di paesaggio le visuali strutturanti costituiscono le componenti scenicopercettive che aiutano il fruitore nell’individuazione delle relazioni che rendono riconoscibili il
paesaggio e i suoi elementi caratterizzanti. Essendo il progetto di un neoluogo strutturato allo
scopo di creare effetti continui di riposizionamento dell’utente rispetto allo spazio che attraversa,
le visuali giocano un ruolo fondamentale. Senza un accurato studio della visibilità degli elementi
che compongono il neoluogo non è infatti possibile avviare alcun lavoro di personalizzazione o
interpretazione dell’esperienza culturale.
Ognuna delle schede è organizzata in modo da declinare le diverse tipologie dell’elemento
strutturante analizzato, arricchita da schemi grafici che propongono le diverse configurazioni, e
presenta una serie di combinazioni possibili, tratte da esempi, illustrati e commentati.
Si è ritenuto opportuno partire da una strutturazione per categorie facilmente riconoscibili e
identificabili fornendo per ciascuna di esse una chiave di lettura e di codificazione, le relazioni
con le altre categorie, i possibili collegamenti tematici con il tema narrativo, lo storytelling e/o
gli elementi di riferimento culturali presenti nel sito in oggetto, ecc. per fornire in questo modo le
informazioni e gli strumenti per gestire i processi di trasformazione.
Questi elementi richiedono di essere composti, articolati e sviluppati secondo le tecniche proprie
dell’imagery e della prossemica, così come esposte nei precedenti paragrafi. La combinazione
di questi elementi, declinati di volta secondo le caratteristiche dello storytelling specifico del
Neoluogo che si sta progettando, consentono di costruire uno spazio coerente con l’obiettivo di
esperienza culturale immersiva, multilivello e partecipativa .
55
5.2
STRUMENTI
[SCHEDE]
La modalità per connotare un determinato Neoluogo, su qualsiasi elemento strutturante si scelga
di intervenire, passa attraverso l’uso di soluzioni progettuali, materiali dettagli e finiture che nel
presente approccio metodologico sono stati definiti come Strumenti. Essi non sono altro che gli
espedienti tecnici attraverso i quali conferire al progetto del Neoluogo il carattere coerente con il
tema e la storia. La scelta delle soluzioni di quelli che abbiamo definito come strumenti non può
essere effettuata solo in base alle caratteristiche fisiche, ma insieme ad esse vanno considerati,
come accennato poco sopra, anche gli aspetti immateriali, in relazione all’approccio del Design
Primario e agli studi sulla percezione.
Le scelte progettuali passano per attraverso le caratteristiche dei materiali e delle varie soluzioni di
volta in volta adottate: sarà dunque necessario valutarne, insieme ai requisiti tecnici, prestazionali,
economici, di sicurezza, ecc. anche gli effetti indotti, attraverso l’analisi delle qualità
sensoriali, cromatiche, legate alle sensazioni e alle emozioni suscitate, dunque tutti quei
fenomeni immateriali che abbiamo visto entrare in gioco nella percezione.
Sono stati classificati come strumenti tutti quegli elementi che si trovano presenti sulla scena
urbana, negli spazi pubblici, nei parchi, e che hanno una relazione diretta con l’utente. Essi sono
stati accorpati nelle seguenti classi:
•
•
•
•
•
•
•
•
illuminazione
pavimentazioni
segnaletica
landmarks
arredi
vegetazione
architettura
realtà aumentata
La scelta delle pavimentazioni segue criteri di praticità, di sicurezza per la fruizione, è sarà
subordinata allo studio e al riferimento con le pavimentazioni di qualità già esistenti nel contesto
di riferimento. Sono da prediligere materiali locali o, anche se provenienti da altre aree, già in uso
localmente. Possono essere adottate soluzioni alternative purchè ci sia una motivata compatibilità
e una scelta consapevole. Di fondamentale importanza le armonie cromatiche, e l’armonia di ogni
elemento con gli altri che compongono il sistema. Influiscono sulla scelta le sensazioni come la
tattilità, il rumore, la creazione di ritmi e pause, di disegni e trame.
Per il progetto degli arredi urbani è importante dimensionare il tenore dell’intervento in relazione
al carattere del luogo, distinguendo tra interventi urbani, nei borghi o piccoli villaggi, in ambienti
rurali, in contesti naturali, ecc. La semplicità degli interventi ed i riferimenti formali e stilistici
dovranno adeguarsi alla dimensione estetica dei luoghi, evitando impropri processi di nobilitazione
e cambio di significato. In questo senso è fondamentale uno studio delle tipologie che recuperi la
dimensione narrativa proposta, nonché la connotazione formale dei luoghi, in un rapporto armonico
con il sistema.Il progetto degli elementi di arredo, se curato ed essenziale, può contribuire al
56
miglioramento dell’ambiente purché sia in
grado di intervenire in modo integrato ed
unitario, comprendendo l’insieme dei segni
che modificano o caratterizzano i centri storici
odierni, quali insegne, cartellonistica, ecc.
L’uso della vegetazione è fondamentale come
elemento per disegnare e ricucire, per creare
quinte e scorci visivi, per realizzare pause e
momenti di sosta, per contribuire all’armonia
dell’insieme con gli odori e i profumi, i rumori
e i fruscii, oltre che con i colori, e il variare del
paesaggio con lo scorrere del tempo. Tuttavia
non sempre il verde risulta appropriato,
soprattutto ad esempio nei contesti storici,
in cui esso risulta sin dall’origine escluso
dagli spazi pubblici, in quanto la dimensione
naturale risultava talmente incombente che
si riteneva più appropriata per lo spazio del
villaggio la più completa artificialità.
Quello dell’illuminazione è un tema di
fondamentale importanza, che da solo può
creare effetti e ambientazioni particolari, o
al tempo stesso rovinare un progetto ben
pensato. Alla base della scelta è importante
il
dimensionamento,
minimizzando
l’inquinamento luminoso. I parametri che
determinano la qualità della luce sono:
intensità, colore, posizionamento, numero,
tipologia delle fonti. È di fondamentale importanza differenziare gli spazi considerando
il rapporto tra spazi pubblici di intensa
frequentazione e spazi a carattere secondario,
modulando i vari ambiti con differenti
parametri di luminosità. Tra i criteri di scelta
degli apparecchi illuminanti e degli accessori,
oltre alla forma e al tipo di fonte luminosa,
è da contemplare la qualità dei materiali
dei singoli componenti, poiché questo, pur
essendo un probabile maggior onere in fase di
esecuzione, si traduce in un sicuro risparmio
nella fase di gestione e manutenzione.
57
Obiettivo del progetto sarà il raggiungimento di quell’armonia di insieme fra i vari elementi
strutturanti, attraverso l’uso degli strumenti, che consenta un dialogo con la dimensione narrativa
che il Neoluogo intende proporre, e dunque un buon livello di immersività. L’immersività riguarda
le modalità e gli strumenti attraverso i quali gli spazi possono essere resi più attraenti, esperienziali,
in modo che l’utente possa sentirsi parte di essi.
5.3
ISOMORFISMO, PERVASIVITÀ
IMMAGINATIVA,
IMMEDESIMAZIONE
ESPERIENZIALE
Un ulteriore strumento operativo metodologico – di verifica progettuale – passa attraverso le
possibili relazioni fra quelli che abbiamo definito come elementi strutturanti alla luce delle
categorie interpretative individuate come caratteristiche salienti dei Neoluoghi, (isomorfismo,
pervasività immaginativa, immedesimazione esperienziale). Prossemica e imagery devono farsi
carico di questa relazione e adottare di volta in volta la declinazione più consona all’effetto che si
vuole ottenere.
ISOMORFISMO
Nella terminologia della teoria della Gestalt l’isomorfismo è una identità non geometrica o metrica
ma topologica e strutturale. E’ quel principio «secondo il quale processi che hanno luogo in
mezzi differenti possono risultare, nondimeno, simili nella loro organizzazione strutturale»32 Si parla
di isomorfismo quando due strutture complesse si possono applicare l'una nell'altra, quando è
possibile far corrispondere l’una all’altra, in modo tale che per ogni parte di ognuna di esse ci sia
una parte corrispondente nell'altra. Si tratta dunque di una strutturazione dello spazio altamente
immersiva ed autoreferenziale, finalizzata all’ottenimento di una concentrazione tematica e di una
forte densità, in cui tutti gli elementi possono integrarsi perfettamente.
PERVASIVITÀ IMMAGINATIVA
Il concetto di pervasività è riferito al fatto che i nuovi media accompagnano ormai molti momenti
della vita quotidiana, interagendo nelle azioni, negli oggetti e nelle pratiche di vita quotidiana. Le
forme di rappresentazione mediale pervadono l’agire quotidiano al punto che rispetto ad alcune
situazioni il confine fra realtà e fiction diviene difficilmente percepibile. Parlare di pervasività
immaginativa rispetto ad un determinato ambiente significa dunque che ogni elemento dello spazio
partecipa a stimolare l’immaginazione anche attraverso dispositivi digitali.
32-Arnheim, R. La teoria gestaltica dell’espressione, in Arnheim, R. Verso una psicologia dell’arte,
tr. it. Einaudi, Torino, 1969, pp. 66-93, pag. 75.
58
IMMEDESIMAZIONE ESPERIENZIALE
La struttura e l’articolazione spaziale è tale da consentire quello che in letteratura si chiama “salto
metalettico”, ovvero la proiezione immaginaria del corpo del lettore in un mondo finzionale.
Seguendo questi approcci dunque è possibile trovare le modalità operative per mettere in relazione
ambienti e racconti, ripensare al progetto di ambienti attraverso la costruzione di una struttura
narrativa e mediante l’uso di dispositivi digitali da parte degli utenti. Un legame che unisce
paesaggio e narrazione, ambiente e narrazione e che attraverso una costruzione opportunamente
programmata che integra isomorfismo, pervasività immaginativa, immedesimazione esperienziale,
arriva a determinare un’ esperienza estetica capace di unire dimensione spaziale e temporale. Fra
le azioni che entrano in gioco in questo processo, che deve essere contestualizzato e adattato ad
ogni singola situazione, si possono individuare le seguenti:
- attribuzione di un nome ad ogni spazio, ad ogni ambiente, che evoca il passaggio fra ambiente
e narrazione;
- costruzione di una successione, una concatenazione fra gli episodi presenti nel neoluogo, per
accentuare la logica narrativa;
- creazione di un’alternanza (e un equilibrio) fra situazioni rivelate e situazioni mascherate, fra
scoperte e rivelazioni;
- distribuzione opportuna di segni, frammenti episodi come tracce del racconto spaziale;
- apertura concettuale, oltre che spaziale dei luoghi, ad una molteplicità di storie, dunque con una
struttura ipertestuale, in quanto luoghi strettamente vincolati non lasciano possibilità di interazione
e dunque non rispondono alle caratteristiche sopra enunciate.
Approfondendo le caratteristiche dello storytelling del luogo in oggetto, (cfr. OR1) è possibile
stabilire relazioni preferenziali tra gli elementi spaziali che vanno a strutturare la narrazione e le
caratteristiche proprie di quest’ultima.
59
MACRODESCRITTORI NARRAZIONE
5.4
MACRODESCRITTORI DELLA
NARRAZIONE
ODESCRITTORI NARRAZIONE
DURATA
Narrazione
verticale: impianto lineare, forte gerarchia LUNGA
dei percorsi,
elementi di orientamento
VERTICALE
BREVE
DURATA
isomorfi
e
limitati
come
quantità.
ORIZZONTALE
IMMEDIATEZZA
IPERMEDIAZION
Narrazione orizzontale: impianto radiale o informale, percorsi poco gerarchizzati, elementi di
orientamento multipli e orientati alla scelta da parte dell’utente
ARRAZIONE
LUNGA DURATA
Narrazione
di breve durata: massima evidenza alle Hits,
percorsi interni diretti, visuali direzionate
IMMEDIATEZZA
BREVE
DURATA
principalmente sugli elementi principali della narrazioneIPERMEDIAZIONE
Narrazione di lunga durata: poche Hits inserite in modo non evidente nei percorsi, che possono
essere molteplici, curvilinei, interconnessi, visuali focalizzate sui primi piani, sulle quinte laterali,
e che consentano scoperte personalizzate
Narrazione
con media immediati: accessi e servizi il più possibile mimetici, soglie dentro- fuori
IMMEDIATEZZA
ilIPERMEDIAZIONE
parco e soglie reale-virtuale fluide e poco percepibili, elementi emersivi ridotti all’essenziale
Narrazione con media ipermediati: accessi molto strutturati e riconoscibili, soglie nette e
definite, facilmente identificabili, servizi, aree sosta ed elementi emersivi evidenti, che enfatizzino
la scelta d’uso da parte dell’utente
60
5.5
IL PROGETTO DEL NEOLUOGO
COME EQUILIBRIO
Affermare oggi che un luogo, un ambiente, ma anche un oggetto, un materiale, debba rispondere
non solo a criteri funzionali e di qualità non solo costruttive ed estetiche ma anche sensoriali,
risulta ovvio e scontato.
A quelle che si definiscono come qualità hard, oggettive e misurabili, si integrano le qualità soft,
soggettive e legate alla percezione, come introdotto dalle riflessioni in seno al Design Primario
all’inizio degli anni ottanta, quali quelle legate alla luce e al colore, alle proprietà acustiche, a quelle
tattili e olfattive, ecc. Gli studi sulla percezione e più in generale le neuroscienze hanno integrato
l’attenzione alle dimensioni materiali rivalutando come questa sia di fatto occasione di esperienze
sensoriali più o meno consapevoli: la nostra esperienza quotidiana con le cose ed i luoghi è tale
che a livello più o meno cosciente siamo influenzati non solo dalle qualità fisiche (forme materiali
dimensioni ecc) ma anche da quelle sensoriali (calore, rumore, odore ecc) condizionando il nostro
modo di valutare criticamente ciò che ci sta intorno. E da questa sensibilità sensoriale il progetto
non può prescindere, riservando ad essa un’attenzione particolare.
Il passaggio successivo alla rilevazione consiste nel riuscire a rappresentare e narrare
sensorialmente quanto si è esperito. Se infatti può essere relativamente semplice leggere
61
e analizzare uno spazio, un oggetto, a livello personale, attraverso il proprio sistema percettivo
– sensoriale, il problema progettuale si pone nel riuscire a trovare una modalità per
trasmettere questo sistema di informazioni ad altri, dunque come organizzare un ambiente
in modo che trasmetta una determinata condizione.
La domanda che si pone a livello progettuale è come è possibile determinare ex ante ciò
che normalmente si recepisce, ex post. La difficoltà sta proprio nel fatto che in questo tipo
di competenza, che per altro rientra nel bagaglio delle competenze di chi progetta ma solo in
quanto legata ad una propria sensibilità, acquisita con l’esperienza, non è normalmente codificata
nel sistema dei requisiti prestazionali relativi ad ambienti e/o oggetti. La dimensione sensoriale
si recepisce direttamente, mentre nel progetto va affrontata attraverso una rappresentazione, una
narrazione. Si crea un salto di livello, una storia nella storia, in quanto nel progetto di un Neoluogo,
(un luogo che racconta una storia) si usa il racconto per descrivere gli strumenti che vanno usati
per creare tale progetto.
Pur nella consapevolezza che la rappresentazione delle qualità sensoriali passa attraverso un
processo di sintesi e di semplificazione, rispetto alla percezione diretta fenomenica, è solo attraverso
questo modo di operare a più livelli e per intrecci che può consentire di arricchire l’approccio
progettuale con ulteriori riflessioni.
Gli strumenti normalmente in uso per il progetto, arricchiti con le nuove tecnologie, consentono
un raffinato controllo formale (rappresentazioni spaziali, tridimensionali) ma anche funzionali,
strutturali, di resistenza ecc. Ma tutto ciò non agisce a livello delle qualità soft, se non per le
proprie sensibilità.
Si tratta dunque di gestire il progetto come un sistema aperto, a più livelli, nel quale ogni elemento
si relaziona con gli altri e deve essere verificato con gli altri a creare un sistema che raggiunga un
possibile equilibrio, fra gli elementi strutturanti e i livelli di narrazione, fra gli elementi /strumenti
che connotano lo spazio e le loro relazioni con i comportamenti umani. Dunque un progetto fatto
di interazione attiva, di salti fra reale e virtuale, perché non può prescindere dalla narrazione
del Neoluogo, nel quale ogni minima scelta, anche la più invisibile, lascia la sua traccia ed entra
nel gioco di equilibrio del sistema.
Arricchire il proprio bagaglio tecnico e culturale per gestire meglio ciò che si innesca
attraverso la tecnologia, per la ricerca di qualità profonde e durature. La sensorialità non
può essere un’ immersione passiva nell’artificiale, ma piuttosto un veicolo di esperienza verso
la realtà, occasione di rieducazione verso modi di percepire da recuperare. Tutto ciò può essere
possibile solo attraverso un’integrazione fra i saperi, un approccio trasversale, alla ricerca di un
equilibrio.
62
6
STRUMENTI PER
L’IMPLEMENTAZIONE
DELLA METODOLOGIA
Come si è avuto modo di dire precedentemente, la ricerca è giunta alla definizione di una decina
di strutture spaziali strutturanti i Neoluoghi, sulla base delle quali si è dunque avviato lo sviluppo
di linea-guida per la meta-progettazione. Per rendere questo processo veramente integrato con il
lavoro dell’OR1 e non una semplice ricomposizione di concetti morfologici, si è approfondita anche
la struttura delle relazioni tra le invarianti spaziali sopra definite e le strutturazioni di stotytelling
individuate dall’OR1. Si è così giunti ad individuare gli elementi della composizione spaziale
indispensabili per comporre un sistema-parco affabulante, sintetizzabili in:
* accessi
*percorsi
*hits
*servizi
*aree sosta ed altri elementi emersivi
*margini
*visuali strutturanti
Tali elementi traggono origine dalle tecniche di progettazione dei parchi tradizionali, intrecciate con
le caratteristiche fruitive e gestionali degli ecomusei e dei sistemi paesistici turisticizzati, nonché
con le caratteristiche salienti del progetto dei parchi tematici. A queste componenti si è aggiunta la
ricerca di un approccio in grado di garantire:
-
Customizzazione dell’esperienza fruitiva
-
Interazione tra fruitore e sistema della narrazione
-
Socializzazione dell’esperienza
Ciò ha comportato la messa a punto di un sistema di composizione e abbinamento degli elementi
strutturanti all’insegna della flessibilità e della possibilità di far convivere contemporaneamente
più soluzioni diversificate all’interno di una stesso costrutto spaziale. Tale sistema è stato poi
relazionato alle caratteristiche salienti delle narrazioni, così come indagate dall’OR1, individuando
quindi quali disposizioni spaziali e quali abbinamenti tra elementi strutturanti dello spazio risultino
maggiormente idonei a creare un contesto spaziale che rispecchi le caratteristiche della storia
narrata (cfr. 5.4).
Giunti a questo punto, il passaggio successivo è stata l’implementazione di questa metodologia,
attraverso lo studio di uno strumento digitale che consentisse di testare la metodologia stessa e di
confrontarla con le tecnologie di cui essa stessa è sostenitrice.
63
6.1
APPROCCIO
E CONCEPT
Nel contesto di un ambiente ICT caratterizzato da tendenze come la liberalizzazione del mercato, la
crescita dei processi di convergenza e l’accelerazione dell’innovazione e dei processi di sviluppo,
sempre più autori tendono a sottolineare l'importanza dell'utente finale e la necessità di una
conoscenza approfondita delle aspettative e dei bisogni degli utilizzatori finali.
Per realizzare uno strumento che rendesse conto della metodologia fin qui presentata e la rendesse
fruibile attraverso la tecnologia innovativa, si è scelto dunque di basarsi proprio su un end-users
approach: è stato quindi pensato di creare uno strumento digitale, finalizzato ad illustrare e al tempo
stesso sperimentare la metodologia, che risultasse immediato nell’uso e nella comprensione dei
risultati, senza che il portato tecnologico sotteso alla sua realizzazione costituisse una barriera per
l’utente.
Il prodotto nato da questo processo si configura come declinazione applicativa delle linee-guida
precedentemente individuate.
L’idea che ha animato la progettazione del software è stata quindi articolata nei seguenti punti:
- Creare uno strumento accattivante, facile da usare, che favorisca l’utilizzo ripetuto;
- Offrire un servizio a progettisti ed amministratori, che possano interfacciare le proprie competenze
con il software, che non deve sostituirsi loro, ma deve essere in grado di guidarli indirizzarli nel
simulare l’azione progettuale;
- Generare uno scenario comprensibile ad un utente pensato di cultura e background occidentale,
quindi uno scenario che si muova in un contesto urbano caratteristico, riconoscibile e in sintonia
con l’identità dell’utente;
- Produrre uno strumento multilivello, che consenta gradi di approfondimento progressivi.
Tutti questi elementi sono stati ponderati, verificati con le possibilità informatiche e interfacciati
con le riflessioni di natura scientifico-disciplinare sviluppate nella prima parte della ricerca.
Ciò ha condotto alla progettazione di uno strumento così caratterizzato:
- Basandosi su un approccio legato al gaming, il software simula un centro storico tipicamente
europeo, di piccole dimensioni, volutamente reso a livello grafico in forme standardizzate e senza
personalizzazione in termini di materiali, finiture, dettagli architettonici etc.;
- All’interno di questo centro storico l’utente può muoversi, girare per i percorsi, vedere il luogo di
progetto dall’alto ma anche ad altezza reale di fruitore;
- Una volta presa confidenza con il luogo, l’utente può decidere di progettare un percorso di
fruizione, scegliendo tra diverse opzioni morfologiche che il software offre (svariate possibili
declinazioni degli elementi strutturanti, ovvero accessi, percorsi, hits, servizi, aree sosta ed
altri elementi emersivi, margini, visuali strutturanti);
- Man mano che le scelte vengono effettuate, il software visualizza i cambiamenti e i nuovi elementi
introdotti, in modo che siano immediatamente percepibili dall’utente. Anche in questo caso gli
elementi introdotti hanno un aspetto iconico, di riferimento concettuale;
- A ciascuna scelta viene quindi attribuito un “punteggio”, che relaziona l’assetto morfologico che
si va componendo alle caratteristiche del “racconto dei luoghi” che il progettista sta mettendo in
atto: durata della narrazione, immediatezza e “verticalità”;
- Ad ogni livello di tali caratteristiche della narrazione viene attribuita anche una corrispondenza
con i 5 driver dell’esperienza turistica, sempre visualizzabile in modo immediato tramite il software.
- A ciascun elemento selezionato si abbina la possibilità di visualizzare immagini e testi con
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funzione di suggestione, che, travalicando l’aspetto iconico, presentano possibili declinazioni
dell’elemento inserito in termini di colori, materiali, illuminazione etc.
- Cambiando le scelte, anche lo scenario visualizzato cambia immediatamente, e conseguentemente
anche i punteggi ottenuti
6.2
FINALITÀ
E UTENTI
Il software è stato pensato per utenti inquadrabili come progettisti (architetti, designer, curatori etc.)
e come amministratori e gestori di siti culturali.
Il software si relaziona quindi a tali soggetti con i seguenti obiettivi specifici:
- Mostrare come scelte formali diverse comportino caratteri diversi dell’esperienza offerta, creando
quindi consapevolezza delle ricadute di carattere fruitivo degli allestimenti, dei percorsi e dei servizi
messi in campo;
- Ampliare la gamma delle scelte, suggerendo soluzioni differenziate con cui realizzare uno stesso
elemento funzionale, come porte, soste, servizi etc.;
- Agevolare, tramite la visualizzazione semplificata, l’interfacciamento tra più soluzioni, nell’ottica
di un’offerta fruitiva il più possibile customizzata ed in grado di dare risposta a utenti anche molto
diversi
Il software agisce quindi come uno strumento di training, che favorisce un continuo processo
di andata-ritorno tra scelte morfologiche s funzionali da un lato e aspettative fruitive e culturali
dall’altro. La possibilità di avere sempre sotto controllo le ricadute in termini fruitivi delle proprie
opzioni progettuali sullo spazio fisico favorisce l’interdisciplinarietà del progetto e la gestione
simultanea di più parametri.
Il software si configura dunque anche come uno strumento di interoperabilità tra soggetti con
portato disciplinari molto diversi, che nel software possono trovare un facilitatore dell’attività di
progetto in team plurisciplinari.
65
6.3
STRUTTURA
E FUNZIONAMENTO
Dopo aver compiuta una ricognizione di esempi analoghi o di altre esperienza in grado di offrire
spunti ed elementi utili al progetto del simulatore, si è difatti ipotizzata una ricostruzione 3D
stilizzata e semplificata di un sistema-parco schematizzato, ispirato al modello di un centro storico
italiano composto da 5 o 6 tipologie edilizie diverse, viabilità ed elementi dello spazio pubblico. Su tale base è stata resa possibile la combinazione, a scelta dell’utente del simulatore, di vari
abbinamenti tra forme diverse degli elementi strutturanti, anch’essi resi attraverso forme stilizzate
in 3D. L’utente può dunque organizzare il proprio sistema Neoluogo all’interno dello spazio urbano
storicizzato, scegliendo un tipo di ingresso, un tipo di percorso, la tipologia e la disposizione delle
hits, il posizionamento e la natura delle aree di sosta e dei servizi, la permeabilità e la struttura dei
margini, la localizzazione e l’orientamento delle visuali strutturanti.
Interfaccia applicazione all'avvio
L’utente vedrà dunque comporsi progressivamente, sulla base delle scelte effettuate, la struttura
del sistema-parco, mentre alcuni indicatori lo guideranno nella scelta, indicandogli in tempo reale
verso che tipo di narrazione (verticale o orizzontale, di breve o di lunga durata, ipermediata o
immediata) il sistema si sta orientando e consentendogli dunque di cambiare scelta e ritarare la
propria progettazione sulla base della natura narrativa che si vuole perseguire. Inoltre, un analoga
elemento di segnalazione permette di relazionare il percorso che si sta strutturando alle tipologie di
turismo esperienziale analizzate nel corso di OR4, in modo che la progettazione possa tenere conto
anche di questo elemento come guida alla scelta delle componenti strutturanti.
66
Per rendere il tutto maggiormente comprensibile da parte di utenze non necessariamente
specialistiche, il simulatore consentirà anche di attivare, per ogni scelta effettuata, una schermata di
immagini evocative ed illustrative, che suggeriscano soluzioni di imagery e prossemica dettagliate,
da leggere come “declinazioni possibili” degli elementi 3D che il simulatore propone.
In termini quantitativi, il simulatore è in grado di combinare 83 possibili elementi strutturanti, tutti
visualizzabili come soluzioni 3D collocabili all’interno del modello urbano di base.
Per maggiori dettagli si rimanda al Manuale d’uso relativo
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68
RIFERIMENTI
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