Corriere della Sera - The European House
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2 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 11 MARZO 2013 IMPRESE & FINANZA Uomini, storie e strategie Trend Si apre la stagione delle assemblee in Piazza Affari, la seconda in cui le politiche di compenso saranno messe al voto (non sempre vincolante) Maxi-Stipendi È l’ora della meritocrazia Nel 2012 paghe milionarie e Piazza Affari positiva. Ma con la crisi che avanza il parametro del mercato non basta più DI GIUDITTA MARVELLI M entre il Fantasma del Super Bonus Esente da Legge di Gravità si aggira sconsolato per l'Europa (in Svizzera l'hanno democraticamente sfrattato, a Bruxelles gli vogliono male), Piazza Affari si appresta a fare i conti in tasca ai manager delle quotate. La stagione delle assemblee, la seconda nel segno delle nuove regole di trasparenza per gli stipendi, porterà alla luce buste paga milionarie a cui la crisi economica impone un pubblico esame di coscienza. Nel 2011 in media i ceo italiani dell’Ftse Mib (le società più capitalizzate) hanno guadagnato 2,4 milioni (European House Ambrosetti, 2012) mentre le quotazioni delle imprese da loro guidate, nonostante il corroborante effetto dei dividendi, crollavano del 19,5%. E il rapporto di Assonime, che allarga lo sguardo a tutti i numeri uno compresi quelli delle società piccole e medie, per lo stesso anno vede retribuzioni pari a 824 mila euro, in discreta crescita (+13%) rispetto al precedente. Secondo Frontis governance — che nel 2012 ha fatto il suo primo studio sui compensi italiani e ha La stanza dei bottoni emesso giudizi negativi sull’83% delle policy remunerative tricolori — il monte stipendi complessivo incassato dalle posizioni apicali nella passata stagione ammontava a oltre 364 milioni di euro. «Non bisogna tanto domandarsi se siano troppi — dice Sergio Carbonara, fondatore di Frontis —. Ma piuttosto se gli stipendi di chi decide siano efficacemente collegati alle specifiche realtà aziendali e al quadro economico». Numeri La classifica dei top assoluti — guidata da Marco Tronchetti Provera con 22,2 milioni, mentre il record della buona uscita stellare spetta a Cesare Geronzi, con 16 milioni per meno di un anno alla presidenza di Generali — attende l'aggiornamento del 2012. Impossibile azzardare cifre: certo la ripresa delle quotazioni (Piazza Affari a chiuso il 2012 con un più 8%, cedole escluse) renderà meno impietoso il confronto con il mercato. Nel frattempo però la situazione dell’economia reale è molto peggiorata, alzando la sensibilità al tema delle super busta paga. «Prevedo una sostanziale stabilità — dice Sandro Catani, responsabile dell’area Executive compensation di Ambrosetti, The European House —. E penso che le relazioni riveleranno una tendenza degli stipendi, fino ad oggi sbilanciati sulla parte fissa, ad avviarsi verso una più equilibrata divisione tra base, bonus variabili di breve periodo e pre- mi agganciati al raggiungimento di obiettivi lontani nel tempo». Già nel passato esercizio i compensi fissi dei ceo erano calati dell’11%, mentre la parte variabile è lievitata del 45% (dati Frontis). La prima delle blue chip a mettere in Rete la Relazione sulla remunerazione 2013 è stata Snam Rete Gas. Dal 5 marzo — l'assemblea è convocata per il 26 — chiunque può consultare il documento che spiega i meccanismi e l'ammontare delle buste paga di Lorenzo Bini Smaghi (85 mila euro per un trimestre da presidente nel 2012)), Carlo Malacarne (1,6 milioni il suo compenso di amministratore delegato tra fisso e variabile) e di tutti i manager. E da questa settimana in poi sui siti delle Maramotti big sarà tutto un fiorire di cifre in attesa delle convocazioni. Dall'anno scorso, infatti, in Piazza Affari la politica retributiva viene resa pubblica 21 giorni prima dell’assemblea e poi sottoposta al voto degli azionisti che si esprimono quindi sul metodo, non sul quantum. Ma solo per banche e assicurazioni il verdetto è vincolante. Per le altre un eventuale «no» sarebbe solo un problema di immagine. «Questione di tempo — dice Carbonara —. Difficilmente il legislatore fermerà il processo di revisione delle regole messo in moto dalla crisi». Cambiamenti L’Europa e gli Stati Uniti sono attraversati dal dibattito tra liberisti (il mercato si auto regola. Punto) e sostenitori del «mettiamoci un freno». Secondo Catani la miglior proposta finora emersa dal puzzle internazionale fatto di moral suasion (poco incisiva), tetti massimi (l’Unione europea vorrebbe metterne per i banchieri) e inasprimenti fiscali, è quella uscita dalle urne della Svizzera: «Il referendum del 3 marzo ha spostato la competenza delle decisioni sulle buste paga dei leader verso il basso», dice. Non ci sono limiti prestabiliti per i bonus, quelli che fanno inorridire gli inglesi e i paladini del self control. «Semplicemente il cda non basta più: la parola decisiva verrà dall’assemblea degli azionisti», conclude Catani. Gli svizzeri, però, hanno anche votato per l’eliminazione delle buone uscite e delle buone entrate di chi si ferma in vetta troppo poco. Un argomento cruciale pure in Italia, dove si aprono «paracaduti d’oro» confezionati in gran fretta prima del salto di fine mandato, spesso indipendentemente dai risultati. E qui sta il punto. A tutte le latitudini strapagare chi non produce valore dovrebbe essere inaccettabile. E se invece il lavoro del gran capo fosse eccellente, qual è la forza di gravità con cui deve misurarsi il suo stipendio? Le performance di Borsa non bastano. Bisogna parlare di margini ma anche di innovazione, e, perché no, di abilità nel salvare posti di lavoro in tempo di recessione. Negli anni Ottanta un top manager guadagnava 40 volte più del suo fattorino. Oggi secondo l'Institute for policy studies, il rapporto è in orbita a 325 volte la paga dei dipendenti. Quelli che, in molti Paesi europei, rischiano la disoccupazione: Houston abbiamo un problema. a cura di Carlo Cinelli e Federico De Rosa E ora il Cavaliere scommette su Pirlo. Da Segrate Volti Il calciatore Andrea Pirlo. A destra: Giorgio Squinzi e (sotto) Giuliano Pisapia Flickr Rota, a lungo collaboratore del patron della Mapei in Federchimica insieme allo storico direttore generale, Claudio Benedetti. Minoli, tra i fondatori dei circoli che diedero vita a Forza Italia è stato parlamentare dello schieramento che fa capo a Silvio Berlusconi dal 2001 al 2008. A Minoli farà capo una nuova struttura che unifica stampa e relazioni istituzionali. Da Viale dell’Astronomia dovrà vedersela con l’altra gamba del complesso sistema che gestisce La Presse C pia. E’ stato invitato dagli studenti italiani del prestigioso ateneo a parlare dell’Expo 2015. Serra non si è fatto sfuggire l’occasione e ha schierato Algebris come sponsor unico dell’evento. *** Forza Giorgio. Due ex della politica, che conoscono bene il Palazzo e possono gestire efficacemente le relazioni istituzionali per il presidente di Confindustria. Giorgio Squinzi, dopo lunga gestazione ha richiamato accanto a sé Fabio Minoli Italyphotopress A Londra Serra sponsorizza l’Expo 2015 per Pisapia. Gli ex di Squinzi per fare «lobbing» i aveva provato con Matteo Renzi. Poi, dopo la sconfitta alle primarie, aveva virato su Mario Monti. E, a dirla tutta, qualche parola l’ha spesa anche per Umberto Ambrosoli. La passione di Davide Serra per la politica sta diventando, insomma, una cosa seria. Il patron del fondo Algebris si è fatto tuttavia più prudente. Domani, ospite della London School of Economics Italian Society, sbarcherà a Londra il sindaco di Milano, Giuliano Pisa- © RIPRODUZIONE RISERVATA Squinzi, un altro ex della politica come Francesco Fiori, già deputato europeo di Forza Italia, oggi responsabile affari istituzionali di Mapei, vicino a Marcello dell’Utri e a Cl. Pare tuttavia che Fiori non sia stato molto felice della nomina di Minoli, decisa nell’ambito del riassetto varato da direttivo e giunta di Confindustria il 20 febbraio. *** L’ultimo acquisto è stato Mario Balotelli, ma è su Andrea Pirlo che in casa Berlusconi si scommette per la prossima stagione. Non quella calcistica ma editoriale, appena affidata alle cure di Ernesto Mauri. Il quale in Mondadori ha trovato, lascito di Maurizio Costa, le bozze del libro «Dalla testa ai piedi»: la prima autobiografia del bomber della Juventus, in forze per oltre 10 anni al Milan, scritta a quattro mani con il giornalista di Sky Sport, Alessandro Alciato. Pirlo, uomo di pochissime parole, per la prima volta racconta la sua carriera, le difficoltà, i successi, il clima degli spogliatoi, gli scherzi dei compagni. Molti aneddoti. E una confessione: perché dopo 10 anni ha deciso di lasciare il Milan per la vecchia Signora. © RIPRODUZIONE RISERVATA CORRIERECONOMIA 3 LUNEDÌ 11 MARZO 2013 IMPRESE & FINANZA Noi & gli altri Uomini, storie e strategie Il punto Il problema vero è vietare l’azzardo morale uando sinistre e destre diventano amiche, molto Q amiche, c’è da sospettare. Sui super-stipendi dei top manager, dunque, vale la pena tenere gli occhi asciutti. Governi e opposizioni vogliono un tetto e la ragione è palese: le opinioni pubbliche europee sono arrabbiate, sentono l’ingiustizia, le classi medie sono colpite dalla crisi, il loro futuro è nero. Hanno ovviamente ragione. Il problema è stabilire se il tetto ai bonus — proposto dall’Unione europea — sia la risposta giusta al disagio o se non possa avere risultati opposti. Ora, soprattutto nelle banche, i bonus hanno un effetto più che perverso: distruttivo. Hanno creato una élite di super-banchieri che agisce con l’obiettivo primo di arricchire sempre di più il tesoro da distribuirsi a fine anno. Hanno in sostanza stravolto l’attività bancaria: in molti casi, non è più finalizzata a finanziare l’economia e a remunerare gli azionisti della banca ma a trovare soluzioni, spesso di respiro corto, che gonfino i bilanci. Possibilità che trionfa in quelle banche considerate too-big-to-fail, troppo grandi per potere essere lasciate fallire: qui, i top manager possono prendere rischi a occhi chiusi, tanto ci sarà lo Stato a salvarli con Qui Londra denaro pubblico. A socializzare le perdite. Questo è il punto fondamentale delle distorsioni del sistema bancario: se le loro banche potessero fallire e le perdite non fossero pagate dallo Stato ma da loro, sarebbero gli azionisti stessi a impedire ai loro top manager di prendere rischi troppo alti. Anzi, premierebbero — con bonus — quei banchieri che i rischi li sanno valutare. Si ribalterebbe il paradigma del «non-importa-il-rischio-basta-che-renda-a-breve». Mettere un tetto alla parte variabile della retribuzione, invece, può essere inutile e probabilmente dannoso. Inutile se si tradurrà in aumenti più che significativi della parte non variabile della retribuzione. Dannoso per più ragioni. Banche e banchieri sarebbero tentati di spostarsi fuori dall’Europa, in Paesi dove regole del genere non ci sono. Inoltre, si penalizzerebbe l’innovazione finanziaria — che ha bisogno di attrarre talenti —, cioè uno dei motori della crescita economica dei decenni scorsi. Infine ci si illuderebbe di avere risolto il problema mentre quello vero, le banche che non possono fallire, resterebbe. Buoni politici dovrebbero tenere gli Stati fuori dai bonus ma chiarire agli azionisti che i costi dei fallimenti delle loro banche non cadranno più sui contribuenti. Il ruolo dello Stato regolatore scalda già il clima elettorale I U dica il massimo dell'autonomia e della libertà decisionale. Downing Street ribadisce che spetta alle aziende fissare le direttive della giusta politica retributiva per i top manager e respinge la volontà dell'Europa di fissare un tetto ai bonus. George Osborne, il cancelliere dello scacchiere, sia pure sconfitto a Bruxelles, è stato chiaro: «Ci difenderemo da queste ingerenze». E' in gioco, secondo Londra, la supremazia finanziaria della City: il rischio è che, senza premi e bonus in gioco, gli affari emigrino verso le piazze asiatiche o verso New York e che nel Miglio Quadrato si abbattano nuovi venti di crisi. Sarà. Un dato è certo: nel 2010 (fonte Financial Times) nella City le gratifiche sono state pari a circa 8,5 miliardi di sterline (quasi 10 miliardi di euro) e nel 2011, sull'onda delle polemiche, la cifra complessiva si è abbassata, di poco, 8 miliardi di sterline (9 miliardi di euro). I dati del 2012, ancora non noti, non si discosteranno da questo ricco trend. Il problema è che, nonostante tanta generosità, i bilanci dei colossi del credito hanno continuato a soffrire. Ma fa niente, Londra i suoi bonus se li vuole tenere stretti. FABIO CAVALERA @fcavalera © RIPRODUZIONE RISERVATA Qui Parigi n’immensa folla riempie l’area di fronte al Reichstag. Tra gli striscioni che si leggono, uno è particolarmente drammatico: «Vogliamo poter vivere con il nostro salario». Affacciata a una finestra della cancelleria, Angela Merkel spiega al ministro dell’economia, il liberale Philipp Rösler: «Non sono lavoratori! Sono Manager!». E’ solo una vignetta, pubblicata dalla Süddeutsche Zeitung, ma l’interesse con cui in Germania è stato accolto l’esito del referendum svizzero spiega l’invenzione di questo scenario paradossale. Certo, i manager tedeschi (che guadagnano più della media europea) non sono destinati ad una vita di stenti, se è vero che Martin Winterkorn, presidente della Volkswagen, ha deciso di autoridursi il proprio appannaggio perché non superasse nel 2012 la somma simbolica di venti milioni di euro. Ora però, in un anno elettorale, sia il governo che l’opposizione sono molto solleciti nel ricordare quanto sia opportuno mettere finalmente un freno ai mega-stipendi. E qualcosa cambierà. Non è un caso che poche ore dopo la chiusura delle urne, il portavoce della cancelliera, Steffen Seibert, abbia definito «interessanti» i risultati del voto svizzero. «E’ assolutamente chiaro — ha spiegato l’uomo-immagine di Angela Merkel — che i compensi eccessivi seminano sfiducia tra la gente nei confronti del nostro sistema economico. E noi non vogliamo che ciò accada». Parlamentari di tutti i partiti hanno elogiato l’iniziativa presa nella Confederazione elvetica. Joachim Poss, vice presidente del gruppo Spd al Bundestag, ha sostenuto che il referendum svizzero deve stimolare la rapida approvazione di una direttiva europea. Ma, al di là del piano della Commissione, il dibattito in Germania riguarda soprattutto il ruolo del governo, che nel 2009 stabilì alcune regole, condizionando gli aiuti alle banche ad un tetto massimo di 500.000 euro per la retribuzione dei manager. Fu una decisione, questa, presa dalla grande coalizione Cdu-Spd tre mesi prima del voto. Oggi le ricette sono diverse. Il vice capogruppo cristiano-democratico Micheal Fuchs, ha dato un giudizio positivo sul referendum proprio perché è previsto che le decisioni sui compensi vengano prese dalle aziende e non dallo Stato. Socialdemocratici e Verdi pensano invece a vari tipi di intervento statale, anche sulle modalità di tassazione dei mega-stipendi. Se ne parlerà molto, in questa lunga campagna elettorale. PAOLO LEPRI © RIPRODUZIONE RISERVATA Qui Madrid La conversione francese sulla via di Berna Minimi danni dall’austerity Ma cala la scure fiscale L’ I accordo tra Renault e sindacati è raggiunto, l’azienda si impegna a rilanciare la sua presenza in Francia in cambio di più flessibilità e lavoro dei dipendenti, i cui salari vengono congelati. E il capo Carlos Ghosn, nella sua infinita generosità, offre di rinviare al 2016 il pagamento del 30 per cento della parte variabile del suo salario. Cioè all’incirca 400 mila euro su una retribuzione totale annua (tra Renault e Nissan) di 13 milioni di euro, pari a 313 volte lo stipendio medio di un dirigente di una piccola e media impresa francese. Forse per questo il premier Jean-Marc Ayrault, all’indomani del referendum oltre-confine, ha subito commentato che «la Svizzera ci indica la strada», cambiando per una volta il giudizio su un Paese criticato per il segreto bancario e l’accoglienza agli evasori fiscali. Gli svizzeri hanno fatto in fretta ciò che i francesi non riescono a realizzare da almeno 14 anni, quando il Paese scoprì con indignazione che Philippe Jaffré, il manager di Elf favorevole alla cessione a Total, aveva ricevuto di nascosto 250 milioni di franchi, ossia 38 milioni di euro. Il governo Jospin reagì e nel 2001 venne approvata una legge che imponeva la trasparenza delle retribuzioni, dei bonus e delle © RIPRODUZIONE RISERVATA Qui Berlino Quei nove miliardi che la City vuole blindare l caso di Bob Diamond ha fatto scuola. Un paio di anni fa presentandosi davanti alla commissione bilancio di Westminster l'amministratore delegato della Barclays lasciò tutti allibiti: «Il tempo dei rimorsi per noi banchieri è finito». Spavaldo e al limite dell'arroganza, Bob Diamond si mise in rotta di collisione coi parlamentari rivendicando il buon diritto dei manager di portare a casa milionari bonus annuali quale giusta ricompensa del loro faticoso lavoro fra le tempeste della finanza mondiale. Se ne andò orgoglioso di avere rialzato la bandiera dei banchieri di fronte ai ficcanaso della politica. Peccato che qualche tempo dopo (nel 2012) lo stesso Bob Diamond, premiato nel 2011 con 6,3 milioni di sterline (7,2 milioni di euro) in incentivi al netto delle tasse, si vide costretto a lasciare la poltrona perché travolto dallo scandalo sulla manipolazione dei tassi Libor. In molti si chiesero se fosse arrivato il momento di cominciare a regolamentare la consuetudine di distribuire gratifiche così alte senza agganciarle ai risultati dell'impresa nel lungo periodo e a una certa condotta etica. Discussione tuttora aperta. Ma la City e il governo di Londra, in particolare il cancelliere dello scacchiere, non sentono ragioni. La City riven- DANILO TAINO @danilotaino stock option: il risultato è che da allora in Francia i salari d’oro sono di notorietà pubblica, suscitano grande rabbia specie in questi tempi di crisi, ma continuano a salire. La lotta agli stipendi eccessivi dei manager è stata più volte annunciata da Nicolas Sarkozy durante la vittoriosa campagna elettorale del 2007, ma una volta entrato all’Eliseo non fece molto. La prima misura di rilievo è stata presa dal suo successore François Hollande, nel luglio scorso, quando ha stabilito il tetto di 450 mila euro — una somma pari a 20 volte il salario pubblico più basso — per la retribuzione annua dei dirigenti di imprese pubbliche. Il settore privato resta però ancora senza limiti e nel 2012 il più pagato di Francia, Maurice Lévy del colosso della comunicazione Publicis, ha intascato 20 milioni di euro. Il premier Ayrault vuole agire, ma allo stesso tempo c’è la paura di rafforzare troppo l’immagine della Francia come Paese anti-ricchi. Un primo passo potrebbe essere allora il sistema say on pay, per cui l’assemblea degli azionisti è chiamata a votare su tutta la retribuzione, fissa e variabile, dei dirigenti. STEFANO MONTEFIORI @Stef_Montefiori © RIPRODUZIONE RISERVATA l 16 febbraio 2012, il dibattito sul tetto agli stipendi d'oro spagnoli era già aperto. Davanti a un piatto di carciofi e funghi, il primo ministro Mariano Rajoy e il leader dell'opposizione Alfredo Pérez Rubalcaba cercavano un'intesa per affrontare la crisi. I due non concordano su quasi nulla: non sull'obiettivo di deficit, non sul sostegno alle imprese. Si strinsero però la mano sul Real Decreto volto a limitare le retribuzioni dei manager delle 455 imprese pubbliche iscritte in uno speciale registro governativo. Fu una vera operazione di immagine contro le proteste anti-casta e anti-politica. Basta guardare gli stipendi «concessi» per capire perché. Tre le fasce salariali: 105.000, 80.000 e 55.000 euro a seconda dei fatturati delle aziende. Il taglio fu in media del 25%, in linea con il calo del costo del lavoro medio spagnolo previsto tra 2010 e 2013. Risparmio stimato dai 3 ai 7 milioni l'anno, un'inezia visto che le 455 aziende coinvolte sono tutte micro imprese. Il decreto esentò le società più grandi, quelle con i veri stipendi d'oro, come Red Eléctrica Española (Ree), Iberia o Ebro. Anche se partecipate dallo Stato vennero considerate private. Il Real Decreto impose tappi salariali anche ai vertici delle quattro banche nazionalizzate. Uno di- verso dall'altro, ma ben più alti. Giorni fa, José Ignacio Goirigolzarri, presidente di Bankia (la nazionalizzata più grande, con 20 miliardi di prestiti da restituire) ha confessato una retribuzione di mezzo milione di euro, «senza bonus per il 2012 e il 2013». Fuori c'erano manifestanti inferociti dal 30% di licenziamenti e dall'azzeramento del valore delle azioni. Nel febbraio 2012 non venne imposto in Spagna alcun limite ai compensi nelle imprese private o nelle banche sane. Qualcosa però è cambiato nel dicembre dell'anno scorso quando Madrid decise un ritocco fiscale su bonus e buonuscite: sopra al milione di euro l'aliquota si impenna. Se fosse arrivato prima, sarebbe costato caro a Pablo Isla, presidente di Inditex (Zara) e uomo più pagato di Spagna. Con la promozione del 2011 ha ricevuto un premio di 221.264 azioni: il suo reddito volò a 13 milioni di euro. Dietro di lui Alfredo Sáenz, ad del Banco Santander, con 11,6 milioni. Terzo César Alierta di Telefonica con 9 milioni. Quarto José Luis Cebrián con 8. Cebrián è presidente di Prisa, editrice de El Pais che ha appena licenziato un quarto dei giornalisti. Per «crisi aziendale». ANDREA NICASTRO © RIPRODUZIONE RISERVATA