Irlanda del Nord Torna lo spettro della guerra
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Irlanda del Nord Torna lo spettro della guerra
Quadrante 9 L’ECO DI BERGAMO LUNEDÌ 8 AGOSTO 2011 a Irlanda del Nord Torna lo spettro della guerra L’estate calda di Belfast: i protestanti lealisti prendono ancora di mira i cattolici nazionalisti Scontri violenti, a rischio il processo di pace SARA AGOSTINELLI a È un’estate difficile quella del Nord Irlanda. Dalla fine di giugno si sono susseguite nottate di scontri tra la comunità protestante lealista, quella che da sempre sostiene l’unione con la Gran Bretagna, e la comunità cattolica nazionalista, storicamente discriminata dal potere britannico e instancabilmente a favore della riunificazione con la Repubblica irlandese. naia di giovani pronti a rischiare l’arresto, dall’altra i gruppi lealisti guidati dagli stessi uomini che nei decenni scorsi hanno aggredito e ucciso decine di cattolici. Un bambino ferito E nelle settimane successive la situazione non è migliorata. Momento culmine il 12 luglio, quando si è svolta la consueta parata dell’ordine d’Orange, altra organizzazione lealista dai connotati assai poco moderati. Non apGli attacchi a giugno pena gli orangisti hanno acceso Ma la dinamica che sta alla base i tradizionali falò notturni che degli scontri, così com’è stato per precedono la parata la tensione i Troubles degli anni ’70 e ’80, è esplosa, e questa volta la polinon è quella della zia nordirlandese ha «guerra civile»: da risposto con arresti e sempre sono i cattolipioggia di proietAttacchi una ci repubblicani le pritili di plastica, in un da giugno: caso colpendo in pieme vittime di discriminazioni e violenze. fronte addirittura i lealisti na E così è stato anche un bambino di 11 anassaltano ni. in queste ultime caldissime notti estive. I Le cronache dell’ele case state primi attacchi sono di Belfast ci concattoliche segnano, per l’ennesicominciati il 21 giugno: i lealisti guidati ma volta, il racconto dall’Uvf, storica organizzazione di un’Irlanda del Nord in cui la paramilitare protestante, hanno violenza lealista anticattolica assaltato le case cattoliche di non riesce ad essere sopita; in cui Short Strand, quartiere di Belfa- purtroppo l’appartenenza relist in cui un’enclave cattolica vive giosa continua ad essere sinonia stretto contatto con 80 mila mo di appartenenza politica e protestanti. La rabbia repubbli- soprattutto condizione per una cana è subito esplosa e per due vita più o meno dignitosa e in cui, notti si sono verificati violenti come da tradizione, la polizia scontri a suon di pietre, molotov nordirlandese non brilla per la e razzi. Da una parte i residenti sua equidistanza tra le due cocattolici che difendevano le pro- munità. A fare da sfondo alle prie case, le cui fila si sono rapi- azioni dei gruppi lealisti c’è semdamente ingrossate con centi- pre la difesa dei propri privilegi e il rifiuto della parità tra cattolici e protestanti. Belfast assediata È in questo contesto che crescono i giovani repubblicani. In una Belfast in cui sono rinate le zone del centro ma che nei quartieri continua a restare una città assediata: non più dall’esercito britannico ma da povertà, disoccupazione e degrado. Negli ultimi anni si sono verificati moltissimi casi di suicidio tra i cattolici e ha cominciato a diffondersi lo spaccio: per i ragazzi non c’è alternativa al pub, unico «spazio pubblico» in un vuoto culturale devastante. Lontani il progetto e il sogno di un’Irlanda unita, difficile da capire il processo di pace in corso, i giovani nazionalisti sono l’emblema di un Paese distrutto da decenni di guerra e ingiustizia: in bilico tra la speranza di un futuro migliore e il rischio di un ritorno al passato, si battono per difendere la propria identità e i propri diritti. Precarietà di vita Durante le notti estive di scontri e resistenza a fare da protagonista, più che un progetto politico, è stato il disagio di una generazione che vive la totale incertezza non solo del futuro ma anche del presente: una precarietà di vita che suggerisce di collegare la rabbia dei giovani repubblicani nordirlandesi a quella dei loro coetanei (e non solo) di tutta Europa. ■ ©RIPRODUZIONE RISERVATA Scontri a Belfast: i cattolici repubblicani di nuovo nel mirino dei protestanti lealisti Dopo gli scontri A Kosovo: accordo raggiunto sul controllo delle frontiere A Il comandante delle truppe Kfor e i rappresentanti del governo serbo hanno raggiunto un accordo per la soluzione della crisi sul nord del Kosovo, dopo gli scontri dei giorni scorsi. I posti di frontiera contestati verranno rinominati zone di sicurezza militare e verranno controllati dalle truppe della forza Nato sul posto, la Kfor. Intanto è previsto l’arrivo di nuove truppe per rafforzare la missione dell’Alleanza atlantica. Ma niente allarme, si affrettano a precisare dalla stessa Alleanza: si tratta solo di una «mossa tattica» per raffor- zare la sicurezza. La richiesta di un «battaglione» resa nota da Dieter Witcher, portavoce della forza di peacekeeping, è accompagnata da rassicurazioni incrociate che arrivano da Nato e Unione europea. Il dislocamento di nuove unità sul terreno, valutata in circa 500 uomini, precisa da Bruxelles la portavoce della Nato Carmen Romero, «non è sintomo di un’escalation della violenza» ma serve a dare «sollievo alle truppe Kfor da tempo impegnate a mantenere la stabilità e la sicurezza» in Kosovo. Per di più, la situazione sul campo è «in via di miglioramento». L’Unione europea, da parte sua, «è impegnata a dare il suo contributo per superare lo stallo e far tornare a dialogare la Serbia e il Kosovo» sostiene Michael Mann, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton. A questo mirava la missione nell’area del mediatore Robert Cooper, che a Belgrado ha incontrato le autorità serbe e a Pristina ha avuto colloqui con i dirigenti kosovari. Missione che ha avuto buon esito con l’accordo sui posti di frontiera. Il premier kosovaro, Hashim Thaci, ha inoltre ammorbidito la posizione di Pristina sull’intesa Nato-Serbia per ripristinare la libera circolazione nel nord del Paese, dopo gli scontri causati dalla disputa commerciale tra Belgrado e Pristina. a L’intervista a KHANDOUD HAMDI Fronte Polisario A Appello all’Onu Il popolo saharawi chiede la svolta «S iamo in una situazione di stallo, dove non c’è né guerra né pace - spiega Khandoud Hamdi, vice rappresentante in Italia del Fronte Polisario, il Fronte di liberazione per il popolo saharawi -: la nostra terra è occupata, il muro della vergogna (2.700 km a dividere i territori del Sahara Occidentale occupati dal Maroc- co da quelli occupati dai saharawi, ndr) miete ancora vittime, a causa delle mine di cui è circondato. Non si spara, ma la situazione non è cambiata». Khandoud in questi giorni si trova a Nembro, come accompagnatore di un gruppo di bambini saharawi ospiti dell’associazione Gherim nell’ambito del progetto nazionale «Piccoli ambasciatori di pace»: un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica e far sì che non si dimentichi un conflitto che sembra pesare poco sull’agenda politica dei potenti. Dal 1975 parte dei saharawi vivono infatti nei campi profughi di Tindouf, in Algeria, in attesa di un referendum di autodeterminazione che metta finalmente la parola fine a questo caso di decolonizzazione mancata. Quest’anno l’Onu ha deciso di prolungare il mandato della missione delle Nazioni Unite per il referendum del Sahara Occidentale, attiva dal 1991, fino all’aprile del 2012. vranità... «Manca una vera volontà politica da parte del Marocco che possa portare alla soluzione democratica. Noi chiediamo solo che la comunità internazionale abbia il coraggio di dire basta, che capisca che il popolo saharawi non vuole essere sottoposto all’autorità marocchina. E che dia al nostro popolo il diritto di poter scegliere quello che vuole». Si può ancora parlare di emergenza umanitaria? A che punto sono i negoziati tra Fronte Polisario e Marocco? «Siamo sempre a un punto morto. L’ostacolo è sempre il Marocco: quando sente che la pressione internazionale su di sé è forte, dice di accettare le nostre proposte, per poi rimangiarsi la parola appena questa pressione diminuisce. L’Onu con il prolungamento della missione, voleva includere nel programma il rispetto dei diritti umani, aspetto presente in tutte le sue missioni, ma il Marocco non ha accettato. Ad ottobre ci saranno altri nego- ziati: speriamo che la situazione si sblocchi». Quali sono le preoccupazioni attuali del Polisario? «La mancanza di dinamismo all’interno dell’Onu, che ha creato sfiducia nei suoi confronti e verso la comunità internazionale. E un forte interrogativo in attesa del congresso annuale del Fronte Polisario, che si terrà a dicembre: lì si vogliono risposte e prospettive concrete, soprattutto per i giovani. Ma vent’anni di dialogo, di soluzione pacifica, non stanno dando i loro frutti. Dove andremo a finire se continuiamo in questa direzione? L’Onu e l’Europa devono assumersi le proprie responsabilità politiche e morali e cercare di dare stabilità al Nord Africa». Dal 1991 il vostro popolo aspetta di poter attuare il referendum, ma il Marocco propone un Sahara Occidentale autonomo sotto la sua so- «Sì, molti diritti umani sono calpestati: l’ultima manifestazione pro saharawi, avvenuta una settimana fa, è stata repressa. Inoltre i campi dei rifugiati sopravvivono solo grazie alla generosità degli aiuti umanitari, che con la crisi si sono ridotti. Ci arrivano alimenti ritenuti basici: farina, riso, zucchero e olio. Ma "basico" per il corpo umano significa altro: si ha bisogno anche di carne, latte, verdure. Alimenti che riusciamo a procurarci grazie alla solidarietà delle diverse associazioni a sostegno dei saharawi sparse per il mondo». ■ Giada Frana ©RIPRODUZIONE RISERVATA