Coordinato da Organizzato da Area Tematica – Approccio
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Coordinato da Organizzato da Area Tematica – Approccio sistemico nella progettazione PIANO DELLA RETE, PROGETTO DEL TRAM E PROCESSO DECISIONALE: UN CASO DI STUDIO. Lucio Ros Libero Professionista via Grazioso 3 – 35133 Padova, tel. 328-2657101, [email protected] 1. Introduzione I piani di settore hanno la finalità di individuare le esigenze della collettività, confrontarle con gli obiettivi di sviluppo che la stessa intende perseguire e programmare una serie di progetti. È però esperienza comune imbattersi in piani coerenti e ben congegnati, che però non sono stati attuati, poiché rivelatisi troppo ideali. Allo stesso tempo esistono progetti e lavori ineccepibili dal punto di vista tecnico/ingegneristico, che però vengono bloccati, ad esempio poiché viene a mancare il consenso da parte della popolazione in qualche modo interessata dall’intervento. Tali circostanze si possono riscontrare in piani e progetti delle più varie tipologie, ma molto spesso riguardano interventi sulle reti di trasporto e ancor più spesso interventi sul trasporto pubblico, come l’introduzione del tram moderno nelle nostre aree metropolitane. Il presente contributo dapprima espone le interrelazioni concettuali tra piano, progetto e processo decisionale, anche facendo riferimento a modelli interpretativi tipici dell’analisi delle politiche pubbliche. In seguito si richiamano i punti salienti di un caso di studio, dal quale si desumono alcune proposte per delineare un processo decisionale efficace, con particolare riferimento alla pianificazione e alla realizzazione di una linea tranviaria. 2. Processi decisionali e modelli decisionali Un intervento nel settore dei trasporti è quasi sempre il risultato di una decisione politicoamministrativa. La decisione si forma nel corso di un processo più o meno complesso, durante il quale si vagliano le opzioni disponibili, si sceglie la più appropriata e si scartano le altre. La stessa etimologia del verbo decidere rivela il processo di scelta: in latino de+coedere significa “tagliare via”. Il processo decisionale si può definire come l’attività di ricerca di soluzioni, che può concludersi tanto con una decisione quanto con una non decisione. La scelta di non decidere è infatti funzionale a conservare lo status quo o a rimandare questioni scomode. Con processo decisionale si individuano tutte le azioni compiute dal momento in cui insorge un problema al momento in cui è definita una soluzione. Pur non essendo sempre facile stabilire l’inizio e la fine di un processo, è possibile circoscrivere un segmento significativo all’interno del flusso continuo di problemi e soluzioni ed osservare le vie che sono state percorse. Un modello decisionale è una descrizione sintetica degli elementi essenziali del processo decisionale: quali sono i suoi attributi cognitivi, come avviene la ricerca e la valutazione delle soluzioni, come viene effettuata la scelta. I processi di pianificazione sono intrinsecamente connessi ai processi decisionali, tant’è che su praticamente ogni manuale di ingegneria compare uno schema come quello di Figura 1, che altro non è che un’applicazione del modello decisionale razionale-comprensivo. Figura 1. Schema del processo di pianificazione dei trasporti Secondo questa impostazione il processo di pianificazione si sviluppa attorno a quattro macrofasi ben distinte, rigorosamente separate sul piano logico e temporale: dato un problema ben definito si individuano gli obiettivi, si formulano tutte le alternative, si valutano tutte le conseguenze di ogni alternativa e si sceglie l’alternativa più efficiente ed efficace. La decisione si riduce quindi a un calcolo di ottimizzazione. Il passo successivo è la realizzazione, a seguito del progetto tecnico, dell’intervento. Il modello descritto gode di una discreta fortuna a livello culturale, poiché fornisce prescrizioni utili a guidare un processo reale. In particolare per attenersi a tale schema il decisore pubblico deve esplicitare gli obiettivi della propria politica, considerare diverse alternative, valutarle, scegliere l’alternativa migliore (o per lo meno giustificare in modo trasparente una scelta subottimale). È però esperienza comune che i processi reali non si svolgano secondo le fasi descritte, tant’è che per descriverli sono stati proposti altri modelli decisionali, che differiscono tra loro per la numerosità dei soggetti decisori, per le condizioni cognitive dei soggetti, per le modalità di ricerca della soluzione, per le modalità di scelta della soluzione, per il criterio decisionale. Nei processi reali infatti spesso il decisore non è unico, ma è costituito da una pluralità di soggetti, che agiscono in condizioni cognitive di incertezza, quando non di vera e propria ambiguità poiché gli obiettivi non sono chiari o non sono conosciuti. Inoltre per la ricerca della soluzione non si effettua un’analisi completa di tutte le alternative, ma un’analisi parziale e limitata. Se in un’ipotetica scala di razionalità dei modelli decisionali un estremo è occupato dal modello razionale-comprensivo, l’altro potrebbe essere occupato dal modello denominato del “bidone della spazzatura”. Secondo tale modello esistono quattro flussi che interagiscono: problemi, soluzioni, partecipanti, occasioni di scelta. Così come ci sono problemi in cerca di soluzioni, ci sono anche soluzioni in cerca di problemi. L’esistenza stessa di una soluzione contribuisce alla presa di coscienza di un problema: in termini economici si può affermare che l’offerta stimola la domanda. A tal proposito si può fare l’esempio del tram moderno (soluzione), chiamato di volta in volta a risolvere un problema (inquinamento atmosferico, rilancio del trasporto pubblico, riqualificazione urbana,…). Nel modello del bidone della spazzatura i partecipanti al processo entrano ed escono dalla scena decisionale: la loro presenza e il loro livello di attenzione dipende dagli altri tavoli su cui sono impegnati, più che dalle caratteristiche della decisione da prendere. Le occasioni di scelta sono i momenti in cui un’organizzazione può produrre una decisione. Più problemi, in concorrenza tra loro premono contemporaneamente sulla stessa occasione di scelta. Le occasioni di scelta sono viste come bidoni della spazzatura in cui ogni attore getta problemi e soluzioni. La scelta avviene quando un problema incontra una soluzione. Si può quindi affermare che il criterio decisionale è il caso o, più precisamente, una casuale coincidenza temporale che fa incontrare i problemi con le soluzioni. Nel garbage can model il tempo è un fattore determinante, mentre è poco influente nel modello razionale-comprensivo: in quest’ultimo infatti si presume di avere sempre abbastanza tempo a disposizione per un’analisi dettagliata della alternative. Bobbio (1996) ha proposto un modello decisionale specifico per i progetti territoriali, categoria in cui ricadono anche gli interventi sui sistemi dei trasporti. Tale modello prevede un processo in cui diversi attori interagiscono per scambiarsi risorse nel corso del tempo. Le risorse sono ingredienti da combinare tra loro e da reperire presso coloro che ne hanno disponibilità. Le risorse da gestire sono riconducibili a quattro tipi fondamentali: giuridiche, conoscitive, finanziarie, politiche (o di consenso). Viene reputato completamente velleitario cercare di ottenere le altre risorse possedendone solo una (ad esempio avendo soltanto un progetto tecnicamente ineccepibile o affidando l’incarico a un progettista celebre). Nell’approccio descritto l’esperto dei trasporti contribuisce all’acquisizione e alla condivisione delle risorse conoscitive, mentre l’abilità di reperire il consenso generalmente è appannaggio dei politici. Ciò non impedisce che sia possibile individuare i meccanismi che entrano in gioco nell’acquisizione delle risorse – anche in quelle di consenso – e, nel caso, riprodurli. A tal fine il processo decisionale che ha condotto alla reintroduzione del tram moderno nell’agglomerazione di Lione è stato interpretato secondo il modello delle quattro risorse (Ros 2008) e di seguito se ne sintetizzano alcuni risultati. Il caso di studio: il contesto e lo sviluppo L’agglomerazione di Lione in Francia è composta da oltre 50 comuni, ha un’estensione di 515 km2 e una popolazione di circa 1.300.000 abitanti. Il centro dell’agglomerazione viene generalmente individuato nei due comuni contigui di Lione (48 km2, 444.000 abitanti) e Villeurbanne (15 km2, 122.000 abitanti). Gli Enti interessati alle politiche di trasporto locale sono, oltre ai singoli Comuni, la Comunità urbana (ente di coordinamento intercomunale), il Dipartimento (l’equivalente della nostra Provincia), l’Autorità organizzatrice dei trasporti urbani, la Regione (autorità organizzatrice dei trasporti ferroviari regionali), lo Stato mediante i servizi decentrati che hanno competenza sulla rete stradale. Sytral è, nel caso di Lione, l’autorità organizzatrice dei trasporti urbani d’agglomerazione, è proprietaria delle reti e ha competenza sulla pianificazione e sulla sicurezza del servizio di trasporto, che viene effettuato da una società terza attraverso un contratto di servizio. Inoltre, secondo una legge – che nel biennio 1995-1996 era ancora in elaborazione in Parlamento – l’autorità organizzatrice è anche l’ente competente, in maniera esclusiva, dell’elaborazione del Piano della Mobilità urbana, piano che non riguarda il solo trasporto pubblico ma tutte le modalità. Le principali fonti di finanziamento della Sytral sono il versement transport (un’imposta propria, a carico delle imprese con più di nove dipendenti), i ricavi da traffico, i contributi della Comunità urbana e del Dipartimento. La rete di trasporto urbano dell’agglomerazione di Lione nel 1995 annoverava, oltre alla rete automobilistica di superficie, quattro linee di metropolitana, di cui l’ultima, attivata nella prima metà degli anni 90, a guida automatica. Nel novembre 1995 Sytral avvia l’elaborazione del primo Piano Urbano della Mobilità. Propedeutico al piano è un documento di orientamento (Sytral 1996) che immagina tre scenari di sviluppo per i trasporti nell’agglomerazione. Tale documento serve da supporto per la concertazione con le associazioni e con il pubblico in generale. La prima bozza del vero e proprio Piano della Mobilità è approvata nel gennaio 1997 ed è sottoposta agli Enti Locali e alla popolazione per l’inchiesta preliminare alla dichiarazione di pubblica utilità. Il Piano viene definitivamente adottato nell’ottobre 1997. Nel 1997, parzialmente in sovrapposizione con il procedimento di approvazione del Piano per accelerare i tempi, comincia l’attività di progettazione delle prime due linee tranviarie da realizzare. L’inchiesta pubblica del progetto tranviario si svolge nei primi mesi del 1998 e si conclude ad aprile dello stesso anno. Ottenuta la dichiarazione di pubblica utilità e l’approvazione del progetto, si passa alla progettazione esecutiva e all’avvio dei cantieri. Le due nuove linee di tram, per una lunghezza complessiva di 18 km, entrano in servizio nel dicembre 2000, vale a dire cinque anni dopo l’avvio dei lavori del Piano della Mobilità. Figura 2. Il tram di Lione Tale risultato indica di per sé la presenza di razionalità procedurale, ovvero la capacità di individuare, di fronte a situazioni complesse, procedure efficaci per la decisione. Per quanto riguarda invece la razionalità sostanziale, orientata allo scopo, ovvero la capacità di scegliere i mezzi appropriati per raggiungere determinati fini, cosa si può affermare? Di fronte a interventi a medio-lungo termine una valutazione d’efficacia si può svolgere solo dopo un congruo numero di anni. Qualche indicazione in tal senso ci viene data dalle inchieste campionarie sugli spostamenti delle famiglie effettuate con una cadenza pressoché decennale: l’indagine effettuata nel 2006 rivela che gli obiettivi di riequilibrio modale fissati nel Piano non solo sono stati raggiunti, ma anche superati. Considerando i soli modi di trasporto meccanizzati, il trasporto pubblico ha guadagnato quasi 5 punti percentuali, a scapito dell’automobile. In verità il buon risultato non è ascrivibile solamente alla reintroduzione del tram, ma anche a una serie di misure coerenti, anch’esse previste dal Piano, e messe in atto dall’agglomerazione: limitazione della sosta, riqualificazione dello spazio stradale a scapito delle automobili, sviluppo dei modi “dolci”. A partire dal caso di studio, ritenuto particolarmente significativo, si espongono di seguito alcuni accorgimenti procedurali che, dal punto di vista dell’Ente Locale pianificatore del servizio, possono rendere maggiormente efficace il processo, con particolare riguardo alle interrelazioni tra piano, progetto e processo decisionale. Il piano inteso come processo Il Piano della Mobilità dell’agglomerazione lionese è stato elaborato con una metodologia originale, anche poiché –in attesa della nuova legge sulla qualità dell’aria- si era in assenza di norme di riferimento che indicassero i contenuti e le modalità di redazione. L’obiettivo dei promotori del Piano era farne un contratto tra cinque partner principali (Sytral, Comunità Urbana, Dipartimento, Regione, Stato) che condividevano un insieme di obiettivi su un orizzonte decennale e stabilivano –ciascuno per la parte di propria competenza- una serie di misure coordinate tese a soddisfarli. Il Piano si presenta dunque non come una sommatoria di progetti eterogenei, ma come l’enunciazione di una politica coerente dei trasporti. Per dare legittimità alle scelte del Piano, Sytral ha organizzato il lavoro di elaborazione del Piano attorno a tre tipi di organismi. Un comitato di coordinamento, di natura sostanzialmente politico-decisionale, raggruppava i rappresentanti degli Enti interessati ed era coadiuvato da un comitato tecnico, che riuniva i corrispondenti dirigenti di settore di ciascun Ente. Gli approfondimenti sui differenti temi della mobilità erano effettuati all’interno di nove gruppi di lavoro. Ogni gruppo, che riuniva tra le 15 e le 30 persone, era composto da amministratori, tecnici, portatori di interessi, rappresentanti di associazioni ed era presieduto da un membro del comitato di coordinamento, vale a dire da un rappresentante politico, assistito da un tecnico in qualità di relatore. I gruppi avevano il compito di stabilire una diagnosi del loro settore di competenza ed evidenziare alcune tracce di lavoro, in risposta a una serie di quesiti definiti all’inizio dal comitato di coordinamento. L’attività dei gruppi si basava su una serie di riunioni, nelle quali erano interpellati anche alcuni esperti. Comitato di coordinamento Comitato tecnico Gruppi di lavoro Figura 3. Organismi incaricati della redazione del Piano della Mobilità. Il Piano non è inteso dunque come una mera attività tecnica, demandabile a consulenti esterni, ma come un processo nel corso del quale i decisori si incontrano per prendere coscienza dei problemi della mobilità, proporre e condividere soluzioni di medio-lungo termine e, eventualmente, stabilire i trade-off necessari per assicurare la coerenza globale del Piano. Le fonti informative alimentano il processo Si è accennato in precedenza alle inchieste campionarie sugli spostamenti delle famiglie. Tali inchieste decennali sono un’insostituibile fonte informativa a supporto delle decisioni in materia di mobilità urbana: i risultati dell’inchiesta effettuata nel 1995, poco prima dell’avvio del Piano, hanno infatti contribuito in maniera sostanziale a definire i problemi dell’agglomerazione. Da un confronto interperiodale (reso possibile dalla metodologia standardizzata delle inchieste) risultava che nonostante l’enorme impegno finanziario in favore del trasporto pubblico profuso nel precedente ventennio, la relativa parte modale rimaneva pressoché costante, mentre era in aumento la mobilità in autovettura e in diminuzione quella non motorizzata (pedonalità e bicicletta). In altre parole l’agglomerazione effettuando forti investimenti sia sul trasporto collettivo (metropolitana) che su quello individuale (rete stradale, parcheggi centrali), non era stata capace di esprimere un’autentica gerarchia della spesa pubblica. Le conseguenze di tale politica erano poco soddisfacenti. Un ulteriore elemento “quantitativo” di preoccupazione era costituito dalle rilevazioni dell’inquinamento atmosferico e acustico e dalle statistiche di incidentalità stradale all’interno dell’agglomerazione. Il Piano è stata un’occasione di apprendimento collettivo che ha permesso di pervenire a una rappresentazione condivisa del problema da affrontare. Spesso infatti una particolare soluzione è criticata non per le sue caratteristiche, ma perché si ritiene che “il problema è un altro”. La definizione del problema invece è parte stessa del processo decisionale e non è un elemento da sottintendere o da dare per scontato. Di fronte a problemi che riguardano la mobilità delle persone la presa di coscienza da parte di ogni singolo individuo acquista un ruolo ancor più importante poiché la mobilità è la somma di comportamenti individuali che, probabilmente, occorre modificare per risolvere il problema. spostamenti/giorno/persona 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0 1977 1986 TP automobile altri motorizzati 1995 altri non motorizzati Figura 4. Evoluzione della mobilità nell’agglomerazione di Lione. Uno sforzo di quantificazione delle prospettive e degli obiettivi Il documento sui tre scenari di sviluppo contrapposti è un rapporto preliminare elaborato dagli stessi organismi incaricati dell’estensione del Piano, anche con l’ausilio di alcuni esponenti della “società civile”. L’esposizione dei tre scenari è preceduta dalla diagnosi della mobilità dell’agglomerazione, effettuata anche mediante la presentazione di alcuni indicatori “scioccanti”. Il primo scenario è la continuazione delle politiche intraprese, con uno sviluppo in parallelo di rete stradale e trasporto pubblico (soprattutto metropolitana), il secondo prevede una riorganizzazione del solo trasporto pubblico di superficie mediante la creazione di una dozzina di “linee forti”, il terzo aggiunge a quanto previsto per il secondo una maggiore attenzione per la pedonalità e la ciclabilità. Per inciso, il Piano alla fine ha deciso di perseguire gli obiettivi del terzo scenario, sicuramente il più ambizioso dei tre, anche sulla scorta di una consultazione popolare (seppure informale e perciò poco rappresentativa), che l’ha preferito con una maggioranza del 68%. L’obiettivo del documento sui tre scenari è aprire un dibattito sull’evoluzione della mobilità e, affinché tale dibattito sia condotto a livello più pragmatico che ideologico, sono fornite indicazioni quantitative per la valutazione degli scenari, risultanti dall’applicazione di modelli più o meno complessi. In quest’approccio è evidente il ruolo del tecnico, dell’esperto di trasporti che deve fornire al piano-processo informazioni a supporto delle decisioni. La volontà di definire obiettivi precisi e misurabili è ripresa anche nella versione finale del Piano: gli si è così voluto dare un taglio operativo, consentendo allo stesso tempo la possibilità di effettuare una valutazione ex post del piano. C’è da precisare che gli obiettivi sono misurabili mediante indicatori che superano il concetto di indice di performance, ovvero la misura del grado di attuazione di una soluzione specifica, e si avvicinano di più a un indice di efficacia, che è connesso a un obiettivo di carattere generale e non a una determinata proposta. Ad esempio una misura di performance è il numero di kilometri di rete tramviaria da realizzare, mentre una misura di efficacia è la parte modale del trasporto pubblico. È chiaro che il primo tipo di misura è più semplice da rilevare, mentre il secondo –che ha un contenuto informativo maggiore- presuppone la predisposizione di chiare metodologie per il rilevamento (anche interperiodale) e di sistemi per la gestione delle informazioni. Un piano flessibile Nelle prime fasi del Piano della Mobilità alcuni elementi erano presentati in modo vago. Ad esempio per il potenziamento del trasporto in superficie non ci si riferiva esplicitamente al tram, ma a “linee forti” o a “trasporto collettivo su sede riservata”. Analogamente non era definito l’itinerario preciso delle linee forti, che a volte venivano rappresentate sulla cartografia in maniera completamente astratta. Lo scopo di questo approccio è evitare le opposizioni di principio che spesso si registrano su una ben determinata soluzione tecnica. La procedura adottata prevede quindi una prima fase in cui si comunicano i termini generali del problema e si espone il ventaglio di soluzioni possibili e una seconda fase in cui si organizza un percorso politico e tecnico finalizzato all’individuazione della soluzione più adatta. Il compito del Piano, nel caso di Lione, è stato quello di definire gli obiettivi e impegnare gli Enti coinvolti alla realizzazione degli stessi. Si è voluto esplicitamente evitare che questioni di dettaglio bloccassero l’intero processo. Inoltre un piano flessibile permette degli adattamenti marginali successivi, senza che sia rimesso in discussione tutto l’impianto del piano. Figura 5. Rete di linee forti individuate nel Piano della Mobilità. A riprova di quanto affermato la Figura 5 riporta lo schema di linee forti individuate nel Piano della Mobilità del dicembre 1997. È evidente una certa astrazione dello schema: mancando la cartografia di fondo gli itinerari all’interno del tessuto urbano sono solamente intuibili. La linea A10, nel quadrante sud-ovest, appare addirittura come una freccia con tre punte. Nella legenda dello schema sono indicate sia le quattro linee forti da realizzare con priorità, che il relativo materiale rotabile (tramway). Il corrispondente schema pubblicato nella bozza di Piano del gennaio 1997 era ancora più vago poiché non prevedeva una gerarchia di realizzazione delle linee forti e non diceva nulla sul materiale rotabile. Oltre al tram, in quel momento, erano infatti presi in considerazione tecnologie alternative, come i sistemi innovativi a via guidata che si stavano sviluppando proprio in quegli anni. Un approccio sistemico Si è già detto che il Piano si è volutamente astenuto dal definire questioni troppo puntuali. Allo stesso tempo il Piano non si è concentrato solo sugli interventi realizzabili nel medio termine, ma ha individuato una riorganizzazione della rete di trasporto pubblico di superficie a lungo termine. Ragionare su un singolo asse forte di trasporto pubblico, che necessariamente può portare beneficio solo a una parte della popolazione, avrebbe potuto causare l’opposizione degli “esclusi”. Per tale motivo il Piano ha individuato 11 linee forti, di cui due da realizzare in una prima fase (entro il 2001) e altre due in una seconda fase. Il Piano inoltre ha incorporato altre esigenze che emergevano dal confronto con la popolazione (in particolare maggiore attenzione alle modalità di trasporto “deboli”) e che risultavano in assoluta coerenza con lo sviluppo della rete di trasporto di superficie. L’inchiesta pubblica del progetto, ovvero la capacità di modificare le decisioni Con un approccio forse un po’ semplicistico si potrebbe affermare che, in generale, dal processo decisionale discende il piano e da quest’ultimo discende il progetto. Si è già visto che questa rigida compartimentazione temporale viene superata quando il piano è inteso come un processo. In realtà esistono anche dei casi in cui è dal progetto e dalla sua analisi che nascono sollecitazioni di modifica del processo decisionale. Tali sollecitazioni possono essere spontanee e verificarsi in qualsiasi momento di attuazione dell’intervento (le cronache riportano molteplici casi di cantieri bloccati dagli oppositori) oppure possono essere ricondotte all’interno di una procedura regolamentata dalla legge. In tal senso, in Francia, è consolidata la pratica dell’inchiesta preliminare alla dichiarazione di pubblica utilità di un progetto. Tale procedura che discende da un obbligo di legge, ha, tra l’altro, il merito di riuscire a separare chi avanza preoccupazioni legittime e circostanziate da chi si oppone a un’opera per principio. Il promotore dell’intervento mette a disposizione della popolazione degli elaborati che spiegano in dettaglio il progetto e le sue ragioni. Chiunque vi abbia interesse può fare pervenire osservazioni che vengono vagliate da una commissione indipendente. Nel caso delle prime due linee tranviarie di Lione la commissione ha stabilito modifiche alla localizzazione di alcune fermate e una variazione di tracciato su un tronco lungo 700 metri situato in un quartiere semi-centrale. Il cambio di tracciato era giustificato dal mantenimento di un mercato rionale e dall’evitare il divieto di circolazione al traffico privato su una strada su cui affacciavano svariati esercizi commerciali. Gli strumenti partecipativi non vanno visti come ulteriori incombenze propedeutiche all’approvazione del progetto, ma come opportunità di affinamento dell’intervento, con un contestuale recupero di consenso. Conclusioni Processo decisionale, piano della rete e singoli progetti necessariamente dialogano di continuo tra loro. Un piano che non è supportato da una chiara volontà del decisore pubblico è molto probabilmente destinato a rimanere sulla carta. Allo stesso tempo un progetto che non trova coerenza all’interno del piano rischia di avere un’efficacia molto inferiore a quella auspicata. Infine attorno a piani e progetti il promotore deve essere capace di costruire il consenso, altrimenti si può assistere a poco desiderabili fenomeni di stallo del processo. Dal caso di studio si evince che per governare i processi decisionali inerenti i trasporti, compresi quelli relativi alla realizzazione di una linea tranviaria, bisogna sapere unire competenze di tipo tecnico a competenze di tipo politico/di consenso. Queste ultime servono a mediare tra i differenti attori e a discutere con loro i diversi interessi in gioco, più che a valutare metodicamente e razionalmente i dati oggettivi. Bibliografia essenziale Bobbio Luigi (1996), “La democrazia non abita a Gordio Studio sui processi decisionali politicoamministrativi”, Ed. Franco Angeli, Milano Faivre d’Arcier Bruno (2000), “Le Plan de Déplacements Urbains de l’Agglomération Lyonnaise: genèse et perspectives”, intervento al Seminario INRETS “Circulation et PDU” Ros Lucio (2008), “Il contributo degli indicatori di efficacia alla qualità dei processi decisionali nel settore dei trasporti”, Tesi di dottorato presso l’Università di Trieste SYTRAL (1996), “Le PDU de l’agglomération lyonnaise: Trois scénarios pour un débat”, SYTRAL, Lione SYTRAL (1997), “Le Plan des Déplacements Urbains de l’agglomération lyonnaise”, SYTRAL, Lione