tensioattivi

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tensioattivi
SISTEMI DISPERSI
Si tratta di un sistema fisico eterogeneo (composizione varia localmente) composto da due
fasi immiscibili tra loro.
La fase interna (o dispersa) è suddivisa sottoforma di particelle fini o goccioline in una
seconda fase detta fase continua o disperdente o esterna.
Il grado di dispersione è funzione della dimensione delle particelle disperse e del numero di
particelle per unità di massa.
Il materiale disperso può avere dimensioni
variabili e si individuano 2 classi:
•dispersioni colloidali: particelle
tra 1 nm e 0,5 µm,
di diametro
•dispersioni grossolane: particelle di diametro
maggiore di 0,5 µm.
Se la dispersione è a livello molecolare (con
diametro inferiore a 1 nm) si hanno soluzioni
vere e proprie, in questo caso si ha un sistema
omogeneo.
Fase
interna
Fase
esterna
Sia la fase dispersa che quella disperdente possono essere solide, liquide o gassose:
•Dispersioni nei gas
•Gas-liquido (nuvole, nebbia)
•Gas-solido (fumi)
•Dispersioni nei solidi
•Solido-solido (soluzioni solide, es. alcuni minerali)
•Solido-liquido (emulsione solida, es. burro)
•Solido-gas (schiuma solida)
•Dispersioni nei liquidi
•Liquido-solido (sospensioni, disp. coll. es. vernici)
•Liquido-liquido (emulsioni, es. latte)
•Liquido-gas (schiume, schiuma da barba)
Caratteristica peculiare dei sistemi dispersi è la presenza di una regione di confine tra le
due fasi, detta interfaccia, che nel caso delle emulsioni riguarda due liquidi immiscibili,
nel caso delle sospensioni un solido e un liquido. Esiste sempre una interfaccia
liquido/aria nei liquidi puri.
Un’interfaccia ha composizione e proprietà diverse da quelle delle due fasi (variazione
di densità) e può influenzare notevolmente le proprietà del sistema che è
termodinamicamente instabile proprio per l’elevata energia associata alla superficie della
fase dispersa.
Interfaccia
liquido-aria
Interfaccia
liquido-liquido
Fase
interna
Fase
esterna
TENSIONE SUPERFICIALE
Tra le molecole di una qualsiasi sostanza esistono forze di attrazione (forze di coesione).
Nel recipiente, il liquido in esso contenuto è costituito da molecole che, in media, sono
distribuite simmetricamente attorno a ciascuna altra molecola, sicché le forze applicate hanno
risultante nulle.
Per le molecole che si trovano in superficie la situazione è diversa: poiché esiste solo
l'interazione con le molecole poste nello strato sottostante, la risultante delle forze è diversa da
zero ed è diretta verso l'interno del liquido. E' chiaro che le molecole che costituiscono lo
strato superficiale del liquido sono attirate verso l'interno e tendono così ad occupare la
minima superficie possibile; il risultato di questa attrazione è che la superficie di un liquido si
comporta come una membrana elastica in tensione e la tensione a cui è sottoposta, prende il
nome di tensione superficiale.
Interfaccia
liquido/aria
Molecole
del liquido
I pond skaters, gli insetti pattinatori, come le idrometre e i gerridi, sfruttano la tensione
superficiale per pattinare sull'acqua senza affondare: possono così spostarsi sull'acqua, e
cibarsi di quegli insetti che vi rimangono invischiati dalle forze di tensione superficiale.
I gerridi sono degli insetti che si possono trovare nei laghi, nelle paludi e sulle rive dei
fiumi. Questi insetti trascorrono tutta la loro vita sulla superficie dell’acqua e camminano
sull'acqua stessa muovendosi a scatti per mezzo di fitti peli che possiedono sulle estremità
delle lunghe zampette posteriori. I peli superficiali sono infatti ricoperti di oli, sostanze
idrofobe che respingono l'acqua e permettono alla parte terminale delle zampe di non forare
la membrana superficiale dell'acqua.
Nel caso di interfaccia liquido-liquido o liquido-solido il termine tensione superficiale viene
sostituto dal termine tensione interfacciale.
Generalmente la tensione interfacciale tra due liquidi è minore delle rispettive tensioni
superficiali poiché le forze di attrazione all’interfaccia sono moderate dalle molecole dei
due liquidi coinvolte.
Le molecole che si trovano all’interfaccia di un liquido o di un solido sono in uno stato di
maggiore energia nei confronti di quelle che si trovano nell'interno della massa, e pertanto,
volendo incrementare l'area della superficie libera di una sostanza liquida o solida, vale a dire
per aumentare il numero di molecole superficiali, è necessario compiere un lavoro.
Questo lavoro serve appunto per fornire alle molecole che si trovano all'interno della fase
condensata, l'energia che esse posseggono in superficie. Il lavoro richiesto per incrementare
di una unità l'area della superficie di separazione fra due liquidi immiscibili, oppure fra
un liquido e un solido, oppure fra un solido e un gas, è detta tensione interfacciale.
La tensione superficiale (o interfacciale) è quindi il lavoro necessario per aumentare la
superficie del liquido di una quantità unitaria ed è misurata in :
J/m2= N*m/m2= N/m (o Dyne/cm nel sistema CGS)
la tensione superficiale ha quindi le dimensioni di una forza divisa per una lunghezza, e questo
fatto trova la sua giustificazione se si tiene conto che a causa dello stato tensionato della loro
superficie, i liquidi si comportano come se fossero ricoperti da una pellicola elastica. Questa
pellicola elastica contraendo la loro superficie libera, tende a fare assumere a quest'ultima una
forma e curvatura tali che essa abbia la minima estensione superficiale.
Nei sistemi dispersi la tensione interfacciale fa sì che le
due fasi tendano a disporsi in maniera tale da
minimizzare l’area interfacciale.
la fase dispersa tenderà ad aggregarsi e formare un
unico ammasso sferico (a parità di volume la sfera ha la
minore area superficiale).
Per sua natura ogni sistema disperso in cui le due fasi
sono omogeneamente mescolate è potenzialmente
instabile e le due fasi tendono a separarsi per ridurre
l’interfaccia.
Tensione interfacciale
Il valore di tensione superficiale interfacciale dipende:
•Natura (struttura chimica) delle sostanze che costituiscono le due fasi.
Maggiore è l’affinità chimica ( e la possibilità di generare forze attrattive) delle due specie
minore è la tensione interfacciale.
•Temperatura
La tensione superficiale diminuisce all'aumentare della temperatura (legge di Eötvös)
•Presenza di molecole che si dispongono all’interfaccia (tensioattivi).
Molecole con buona affinità per entrambe la fasi si inseriscono all’interfaccia abbassando la
tensione interfacciale e favorendo la stabilità del sistema.
TENSIOATTIVI
I tensioattivi (o surfattanti) sono sostanze che hanno la capacità di abbassare la tensione
superficiale di un liquido, agevolando la bagnabilità delle superfici o la miscibilità tra liquidi
diversi. Da un punto di vista chimico sono tutte sostanze caratterizzate da una struttura
"ambivalente"che comprende:
•una parte lipofila (catena idrocarburica) in grado di interagire con sostanze oleose;
•una parte idrofila (testa polare) che conferisce al tensioattivo solubilità in acqua.
Convenzionalmente una molecola di tensioattivo
viene schematizzata da una "testa" idrofila a cui è
legata una "coda" idrofoba
Le bolle di sapone
Rappresentano l’esempio più evidente di come agisce un tensioattivo.
La tensione superficiale dell'acqua saponata è molto più bassa di quella dell’acqua pura in
quanto i detersivi contenendo tensioattivi abbassano la tensione superficiale dell'acqua,
rendendola circa un terzo di quella pura e le molecole tenderanno ad allontanarsi formando
una pellicola elastica capace di gonfiarsi con l'aria. Le lamine d'acqua saponata sono formate
da tre strati, i cui due strati esterni sono formati di molecole di tensioattivo e lo strato interno
è formato da acqua saponata. Questi strati di molecole tensioattive sono molto elastici e
sopportano elevate deformazioni senza rompersi, non solo, ma rallentano l'evaporazione del
film d'acqua e prolungano la vita delle lamine e delle bolle.
Tensioattivi in soluzione
La disposizione delle molecole di tensioattivi all’interno di una sistema acquoso è di tipo
concentrazione dipendente. A bassa concentrazione si dispongono all’interfaccia aria-acqua o
aria-contenitore, con la parte idrofila diretta verso l’acqua e a quella idrofoba verso l’aria. In
questa fase le molecole di tensioattivo sono disperse a livello molecolare e si parla di
tensioattivi in forma unimerica.
Man mano che la concentrazione aumenta, le interfaccie iniziano ad essere sempre più
“affollate”, fino a che si arriva al punto in le molecole di tensioattivo formano degli aggregati
sferici chiamati micelle, caratterizzati da parete esterna idrofila ed una interna idrofoba. La
concentrazione a cui ciò avviene è definita concentrazione micellare critica.
Forma unimerica
Forma micellare
L’effetto che hanno i tensioattivi sulle varie proprietà delle soluzioni/sistemi dispersi è in
relazione con il loro stato di aggregazione. Alcuni effetti saranno in relazione con lo stato
unimerico, ossia con il numero di molecole posizionate all’interfaccia, altri con lo stato
micellare.
Gli effetti legati allo stato unimerico varieranno fortemente con la concentrazione del
tensioattivo al di sotto della CMC (come la tensione superficiale), mentre quelli legati allo
stato micellare varieranno fortemente con la concentrazione del tensioattivo al di sopra della
CMC (come l’effetto solubilizzante).
Ogni tensioattivo ha uno specifico valore di CMC, in relazione alla temperatura ed alla
presenza di soluti o cosolventi.
SDS
I tensioattivi non ionici (come il C10E5)
mostrano una variazione monotonica della
CMC in funzione della temperatura
(all’aumentare della temperatura la CMC
decresce)
In soluzione diluita i tensioattivi esistono come unimeri o micelle sferiche, in relazione alla
struttura chimica, concentrazione, temperatura, e presenza di altri soluti o cosolventi.
Tuttavia, quando la concentrazione aumenta, le micelle formate da alcuni tensioattivi tendono
ad assumere forma cilindrica e poi a generare mesofasi (liquidi cristallini), caratterizzate dalla
formazioni di aggregati molto più grandi e di forma regolare. I tensioattivi che generano
mesofasi mostrano sempre elevata solubilità nel solvente.
Esistono numerosissimi tipi di mesofasi, in relazione alla concentrazione e struttura chimica
del tensioattivo e della temperatura:
Cenni storici
I primi tensioattivi della storia furono i saponi. Chimicamente, essi sono sali alcalini di
acidi grassi, cioè costituiti da una base forte (soda o potassa caustica) e da un acido debole
(acido grasso).
I primi saponi furono prodotti utilizzando grasso e lisciva (ottenuta facendo bollire le
ceneri in acqua, il carbonato di calcio delle ceneri viene in parte convertito in sodio e
idrossido di calcio)
Attualmente il sapone naturale può essere facilmente ottenuto trattando un grasso (animale
o vegetale) con soda caustica NaOH o potassa caustica KOH, secondo la reazione di
saponificazione.
Meccanismo d’azione dei saponi
I saponi e i detersivi sono formati da molecole che hanno una testa idrofila, che quindi resta
nell'acqua ed una coda idrofoba, che ama le sostanze grasse e rifugge l'acqua. A causa della
loro coda idrofoba, una parte delle molecole di detersivo si raccoglie alla superficie
dell'acqua formando uno strato monomolecolare, ne abbassa la tensione superficiale e ne
facilita la penetrazione nei tessuti da lavare. All'interno dell'acqua, le molecole di detersivo
si raccolgono in micelle e membrane, piccoli aggregati di molecole, unite per la coda
idrofoba. Quando incontrano sporcizia, queste molecole circondano le particelle e vi
inseriscono la loro coda. Le teste idrofile attirano lo sporco verso l'acqua e contribuiscono
insieme con l'agitazione del liquido a staccarlo dal substrato. La corona di teste idrofile
veicola le particelle di sporco nell'acqua, dove finiscono in sospensione per poi venire
sciacquate via.
Classificazione dei tensioattivi
I tensioattivi possono essere classificati in in base alle proprietà ioniche della testa polare
idrofila in:
•Anionici,
•Cationici,
•Neutri,
•Anfionici (zwitterionici);
Tensioattivi anionici
I tensioattivi anionici sono molecole la cui testa polare è carica negativamente (es. saponi,
saponi di ammine, solfati di alcoli superiori, solforati). In campo farmaceutico sono in
genere utilizzati per uso esterno.
Sono incompatibili con gli acidi, con i tensioattivi cationici e con tutti quei cationi con cui
formano sali insolubili.
I più comuni tensioattivi anionici sono:
• I saponi alcalini (di Na o K), alcalini terrosi (di Ca) o di ammine.
R-COO─ (K+, Na+, Ca++, NH4+)
•Esteri solforici
Preparati per reazione dell’acido solforico con alcoli grassi (AES) o oli.
Largamente usati come detergenti anche se sempre meno per quelli ad uso umano (saponi,
shampoos e bagnoschiuma), poiché un po’ irritanti.
Il più famoso della serie è lo SDS, il sodio lauril solfato (o sodio dodecil solfato).
• Derivati solfonici
Possiedono sempre il gruppo solfonico (a differenza del groppo solforico, lo S è attaccato
direttamente al carbonio), che si lega direttamente al carbonio della catena idrocarburica. I
solfonati sono molto utilizzati come detergenti; per contro, hanno l'inconveniente di essere
molto aggressivi ed irritanti.
R-SO3─ M+
Il groppo R può essere una catena alchilica
(alchil-sulfonati) o alchil-arilica (alchil-arilsulfonati).
Tensioattivi cationici
I tensioattivi anionici sono molecole la cui testa polare è carica positivamente, sono
costituiti quasi esclusivamente da composti di ammonio qunaternari. Il loro impiego
principale è come batteridi o batteriostatici (benzalconio cloruro o cetrimide).
Benzalconio cloruro
Tensioattivi zwitterionici
I tensioattivi anfionici sono molecole la che presentano sia gruppi carichi positivamente
che gruppi carichi negativamente. La principale caratteristica è che si comportano come
tensioattivi anionici o cationici a secondo del pH della soluzioni in cui sono contenuti. A pH
uguale al punto isoelelettrico mostrano entrambe le cariche.
Sono solubili in acqua, presentando un minimo di solubilità al punto isolelettrico. Mostrano
ottima compatibilità con le altre classi di tensioattivi.
Essendo poco irritanti sono utilizzati nella formulazione di prodotti cosmetici e per la cura
della persona.
Tra i tensioattivi più comuni ci sono gli N-alchil-amino-propionati e vari prodotti naturali
quali lecitine, caseina e gelatina.
lecitina
Tensioattivi non ionici
I tensioattivi anfionici sono molecole non presentano gruppi carichi. la parte idrofila si
compone di molecole neutre solubili in acqua. Sono largamente impiegati come emulsionanti
in quanto sono insensibili alle variazioni di pH ed alla presenza di elettroliti.
A seconda del bilanciamento delle porzioni idrofile e lipofile, sono classificati in:
•Tensioattivi neutri lipofili
•Alcool etossilati
Sono esteri di acidi grassi e polialcoli, come ad esempio i mono-gliceridi o i digliceridi. I polialcoli impiegati sono in genere la glicerina o il glicol etilenico o
propilenico. Possono essere semisintetici (parziale idrolisi dei trigliceridi) o sintetici.
Glicerina
Acido stearico
Glicerin monostearato
•Esteri del sorbitano
Sono esteri parziali del sorbitano, un polialcool ottenuto per disidratazione del
sorbitolo, con acidi grassi. Gli esteri del sorbitano sono spesso chiamti con il nome
coomerciale del prodotto più diffuso, Span®.
È importante dire che con il termine sorbitano non si indica un unico composto, ma una
serie di prodotti tutti derivati dal sorbitolo che differiscono per la grandezza del ciclo e
la posizione degli OH.
In funzione del tipo di acido grasso e dei gruppi OH esterificati si ottengono diversi tipi
di span, indetificati da un numero specifico.
Esterificato con acidi grassi
1-4 sorbitano
•Tensioattivi neutri idrofili
•Esteri dei poli-etilen-glicoli (PEG)
Si ottengono esterificando i poli-etilen-glicoli (PEG) con acidi grassi. Le caratteristiche
del tensioattivo sono in relazione con la lunghezza della catena polimerica del PEG e
da quella dell’acido grasso. Prendono il nome commerciale di PEG-N-alchil name,
dove
N: numero di unità di PEG
Alchil name: nome dell’acido grasso corrispondente.
Così, ad esempio, il PEG-8-staerato è costituito da PEG 400 (ha 8 unita) ed acido
stearico.
Altri nomi commerciali sono Polyoxyl.
Usato prevalentemente in cosmetica e prodotti per la cura della persona.
PEG
•Polisorbati
Si ottengono dagli span esterificando i gruppi ossidrilici liberi con ossido di etilene. In
questo modo si ottengono degli span più idrofili. Prendono il nome di Tween® e sono
caratterizzati da un numero che ne identifica il tipo esatto.
Altri tensioattivi
In questa sezione vengono riportate alcune classi di tensioattivi che non possono essere divisi
in maniera netta in funzione della carica (all’interno di ogni classe possono esserci specifiche
strutture chimiche cariche o non). Nella maggior parte dei casi sono tensioattivi neutri.
•Copolimeri a blocchi
Un copolimero è una macromolecola la cui catena polimerica contiene monomeri di due o più
specie differenti. In un copolimero a blocchi, tutti i monomeri di un tipo e quelli dell'altro
sono raggruppati in due blocchi distinti ma uniti ad un estremo. Un copolimero a blocchi può
essere pensato come due o più omopolimeri uniti alle estremità.
Se abbiamo due blocchi, A e B, il copolimero a blocchi avrà una struttura:
A-A-A-A-B-B-B-B
I copolimeri a blocchi sono in genere costituiti da 2 o 3 blocchi, anche se altre configurazioni
sono possibile.
Un copolimero a blocchi avrà proprietà tensiattive se i blocchi che lo costituiscono hanno
affinità per l’acqua differenti. Così avremo sempre:
•
Blocco idrofilo (in genere PEG)
•
Blocco lipofilo o meno idrofilo (se ne possono usano diversi, come
il poli-propilen glicole PPO, polialattide, ecc.)
Tra i copolimeri a blocchi con azione tensiattiva quelli più comunemente utilizzati sono i
polossameri, costituiti da due blocchi di PEG (definiti anche PEO) con nel mezzo un blocco
di PPO.
Le caratteristiche specifiche dei polossameri saranno dipendenti dalla lunghezza delle catene
dei vari blocchi (n e m)
PEO
PPO
PEO
aria
acqua
In acqua si posizionano
all’interfaccia liquido-aria
•Tensioattivi derivati da carboidrati
Sono ottenuti legando catene idrofobiche ai gruppi idrossilici di mono e poli saccaridi
(esterificazione con acidi grassi o eterificazione con alcooli grassi).
La classe più interessante sono gli alchil-poliglucosidi (APG), ottenuti dal glucosio e dagli
alcool grassi. Gli APG sono costituiti da una catena polisaccaridica ottenuta dalla
polimerizzazione del glucosio in cui è inserita la catena alchilica.
Gli APG sono una classe relativamente nuova (sono prodotti su scala industriale solo dagli
anni 90’) e particolarmente interessante poiché sono “environmentally friendly”
(biodegradabili), inoltre non sono tossici ne irritanti, abbinando al tutto un buon potere
tensioattivo.
Bilancio idrofilico-lipofilico (HLB)
L’HLB è un parametro che definisce il grado di idrofilicità o di lipofilicità di in un
tensioattivo.
Esistono vari approcci per determinare l’HLB, tuttavia, quello più comunemente utilizzato è
quello descritto da Griffin (ATLAS POWDER COMPANY) nel 1949:
HLB = 20 ⋅
PM porzione −idrofila
PM totale
Poiché il rapporto tra i pesi molecolari della porzione idrofila e della molecola intera varia tra
0 (solo parte idrofoba) ed 1 (solo parte idrofila), ne consegue che l’HLB di Griffin varia tra 0 e
20:
•HLB=0 molecola totalmente idrofobica
•HLB<10 tensioattivo prevalentemente lipofilo
•HLB>10 tensioattivo prevalentemente idrofilo
•HLB=20 molecola totalmente idrofila
Questo calcolo del valore di HLB è stato sviluppato per i tensioattivi non ionici.
Ad esempio, il valore HLB del PEG-8-stearato si calcola:
La parte idrofila è costituita dal peg 400 (8 unità monomeriche) e dal C=O dell’acido stearico,
per un peso molecolare di 397.
Il peso molecolare totale è 397 (parte idrofila) + 239 (parte lipofila), per un totale di 636.
397/636=0.62 (62 % idrofilo) per un HLB pari a 0.62*20= 12
Parte idrofila
Parte lipofila
Il classificazione HLB permette di definire l’utilizzo dei tensioattivi:
•HLB tra 4-8 : Agenti anti-schiuma
•HLB tra 7-11 : Emulsionanti W/O
•HLB tra 11-14 : Agenti bagnanti
•HLB tra 12-16 : Emulsionanti O/W
•HLB tra 12-15 : Detergenti
•HLB > di 16 : Agenti solubilizzanti
HLB
VALUE
USE
EXAMPLE
1
Antifoaming Agent
Oleic Acid
3
Antifoaming Agent
Glyceryl distearate
4
Emulsifying Agent W/O
Sorbitan mono-oleate (Span 80)
5
Emulsifying Agent W/O
Glyceryl Monostearate
8
Emulsifying Agent W/O;
Wetting and Spreading
Agents
Sorbitan monolaurate (Span 20)
9
Emulsifying Agent O/W;
Wetting and Spreading
Agents
Polyethylene lauryl ether(Brij 30)
11
Emulsifying Agents O/W
Polyoxyethylene monostearate (Myrj 45)
12
Emulsifying Agents O/W
Triethanolamine oleate
13
Emulsifying Agents O/W ;
Detergents
Polyethylene glycol 400 monolaurate
15
Emulsifying Agents O/W ;
Detergents
Polyoxyethylene sorbitan mono-oleate(Tween
80)
16
Emulsifying Agent O/W ;
Detergents: Solubilizing
Agents
Polyoxyethylene sorbitan monolaurate (Tween
20)
17
Solubilizing Agents
Polyoxyethylene lauryl ether (Brij 35)
18
Solubilizing Agents
Sodium oleate
20
Solubilizing Agents
Potassium oleate
SISTEMI COLLOIDALI
I sistemi colloidali rappresentano un sistema intermedio tra soluzioni e sospensioni vere e
proprie, caratterizzato da una fase dispersa con taglia particellare compresa tra 1 nm e 0,5
mm. Dal punto di vista fisico la fase dispersa può essere costituita da particelle o goccioline
di taglia nanometrica, aggregati molecolari o polimeri e macromolecole solvatate.
Sulla base dell’interazione delle particelle della fase dispersa con le molecole del mezzo
disperdente i sistemi colloidali possono essere classificati in tre gruppi:
1) colloidi liofobi (o idrofobi se il solvente è l’acqua):
• Hanno scarsa affinità e attrazione per il mezzo disperdente.
• Non presentano un rivestimento di solvente attorno alla particella.
•La viscosità delle dispersioni acquose di questi colloidi è solo di poco superiore a quella
dell'acqua, anche perché in genere la quantità di solido sospesa non va oltre il 3-5%.
•La dispersione colloidale è meno stabile e più sensibile alla presenza di elettroliti.
•Le particelle colloidali hanno una carica elettrica responsabile della loro stabilità in
quanto provoca una repulsione elettrostatica capace di impedire l'avvicinamento di due
particelle oltre certi limiti.
•Sono per la maggior parte composti inorganici (oro, argento, ioduro, zolfo..).
2) Colloidi liofili (idrofili o idrocolloidi se il solvente è l’acqua).
•Le particelle disperse presentano affinità con il solvente e formano dispersioni colloidali
detti sol con relativa facilità.
•Questi sistemi presentano caratteristiche simili a quelle delle vere soluzioni.
•Risultano molto stabili.
•Le loro proprietà dipendono dall’attrazione tra fase dispersa e disperdente che porta alla
solvatazione (le particelle si circondano di uno strato di molecole solvente).
•Quando la concentrazione del colloide raggiunge un certo valore si possono formare delle
strutture reticolari dette geli.
•Vengono chiamate anche soluzioni colloidali reversibili perché per sottrazione della fase
acquosa danno origine ad un residuo solido detto Xerogel dal quale è possibile ricostituire la
soluzione originaria per semplice aggiunta di acqua.
•Sono generalmente costituiti da dispersioni di macromolecole e polimeri (gomma, amido,
proteine, polimeri sintetici, ecc.), la maggior parte delle quali sono molecole organiche
(derivati della cellulosa, del polivilalcool, di molte gomme naturali…).
3) colloidi di associazione:
Sono molecole amfifiliche, come i tensioattivi. Quando sono presenti in un mezzo liquido a
basse concentrazioni tendono ad esistere separatamente ed in genere posizionati alle
interfacce (liquido-aria). All’aumentare della concentrazione formano degli aggregati
costituiti da più molecole dette micelle. La concentrazione alla quale si formano è detta
concentrazione micellare critica (CMC). Il numero di molecole che si aggregano per dare
la micella è detto “numero di aggregazione”. Le strutture delle micelle possono avere
diverse forme: sferiche, cilindriche, lamellari e discoidali. Nei solventi polari in genere la
parte idrofobica e lipofilica si orienta all’interno di una sfera, mentre la parte idrofilica si
orienta all’esterno. In solventi apolari l’orientamento è inverso.
Come per i sol liofili, la formazione dei colloidi di
associazione è spontanea, purchè si raggiunga la
CMC. I colloidi di associazione si suddividono in
anionici, cationici, non ionici e anfoteri. Una
importante proprietà è la capacità delle micelle di
aumentare la solubilità di molecole insolubili nel
mezzo disperdente usato. Ad esempio, in sistemi
acquosi, un soluto non polare si potrebbe
localizzare nel nucleo centrale
idrocarburico,
mentre un soluto polare sarà adsorbito sulla
superficie della micella.
Nei sistemi colloidali possono essere identificate delle caratteristiche peculiari quali:
ADSORBIMENTO
Le particelle di dimensioni colloidali possiedono un’area superficiale enorme ed ad essa si
deve il fenomeno dell’adsorbimento.
Per adsorbimento si intende la concentrazione e l’accumulo di un gas, di un liquido o di un
solido sulla superficie di un liquido o di un solido con cui è a contatto (interfaccia).
Sostanza che adsorbe = adsorbente
Sostanza adsorbita = adsorbato
L’adsorbimento è un fenomeno di superficie che non deve essere confuso con
l’assorbimento che è un processo di penetrazione e mescolamento molecolare.
EFFETTO TYNDAL
Nei colloidi, in maniera particolarmente marcata per quelli liofobi, si osserva l'effetto
Tyndall. E’ un fenomeno di dispersione della luce dovuto alla presenza di particelle di
dimensioni comparabili a quelle delle lunghezza d’onda della luce incidente. Questo effetto è
evidente per un osservatore disposto perpendicolarmente alla direzione del fascio luminoso; al
contrario, un raggio luminoso è invisibile, qualunque sia la posizione dell'osservatore, se
passa attraverso una soluzione vera e propria o un liquido puro in quanto il diametro medio
delle particelle è minore della lunghezza d'onda dei raggi luminosi. Un fascio luminoso che
attraversa con una certa angolazione una dispersione colloidale, può essere seguito ad occhio
nudo grazie alla diffrazione della luce da parte delle particelle disperse.
Soluzione colloidale di
argento in acqua
Acqua
Tyndall effect is seen here using a laser pointer. The glass on the left contains 5 ppm of HVAC colloidal silver and the one on the right is
from the tap after the bubbles have settled out. Fairly large particle size was used for this demonstation so it could be caught by the camera in
broad daylight.
COACERVAZIONE
La coacervazione è un processo fisico di separazione di fase tipico dei sistemi colloidali
liofili. In seguito all’aggiunta di un terzo componente o la variazione di parametri fisici in
sistema colloidale si formano due fasi distinte, una ricca di polimero (coacervato) e l’altra
costituita prevalentemente da solvente. Continuando ad applicare le condizioni che
determinano la coacervazione si ha completa separazione di fase e precipitazione del
colloide.
La coacervazione può avvenire tramite 3 meccanismi:
1.Desolvatazione del polimero (in sistemi binari o ternari);
2.Repulsione tra 2 diversi polimeri disciolti in un solvente comune (sistema ternario);
3.Interazioni tra un polimero poliionico con contro-ioni (o con un polimero di carica
opposta);
In ogni caso la coacervazione è sempre una diretta conseguenza del cambiamento delle
interazioni colloide-colloide e colloide-solvente. Ogni evento che riduce o elimina il
guscio di solvatazione del colloide favorisce le interazioni polimeriche inter ed intracatena
e conseguentemente la coacervazione.
La coacervazione rappresenta la tecnica utilizzata agli albori della microincapsulazione. I
primi processi erano condotti principalmente con gelatina. Costituisce ancora uno degli
approcci microincapsulativi più comuni a livello industriale specie utilizzando etilcellulosa
(garantisce la preparazione di microcapsule a rilascio controllato) come polimero.
PROPRIETÀ ELETTRICHE DELLE INTERFACCE
Le particelle colloidali presentano delle cariche elettrica superficiali responsabili della loro
stabilità in quanto provoca una repulsione elettrostatica capace di impedire l'avvicinamento di
due particelle oltre certi limiti.
La presenza di carica elettrica è facilmente dimostrabile attraverso degli esperimento di
elettroforesi, dove il passaggio di corrente continua attraverso la dispersione colloidale
provoca la migrazione delle particelle verso il catodo (polo positivo ) o l’anodo, a seconda
della carica del colloide.
L’origine della carica è dovuto a:
•Adsorbimento sulla superficie di dei colloidi liofobi di specie ioniche presenti in soluzione.
•Ionizzazione di gruppi chimici ( soprattutto carbossili) sulla superficie dei colloidi liofili.
•Differenza della costante dielettrica tra il mezzo disperdente e la sostanza dispersa.
La carica superficiale dei colloidi fa sì che intorno alla particella si formi uno strato molto
ricco di ioni di segno opposto che si muove con la particella stessa. (strato di Stern)
Intorno allo strato di Stern si forma un secondo strato (strato diffuso) costituito da ioni di
entrambi i segni, ma con una predominanza degli ioni che costituiscono anche lo strato di
Stern.
Tale predominanza è più marcata nei pressi dello strato di Stern e va poi a sfumare verso la
fine del secondo strato.
Slipping
plane
Infatti, la fine di questo ultimo è rappresentata
dal punto in cui vi è perfetto equilibrio tra i
due ioni di carica opposta (elettroneutralità).
Da quel punto in poi, allontanandoci dalla
superficie della particella tale equilibrio verrà
ovviamente mantenuto.
Ioni
Lo strato diffuso può essere diviso in due parti, lo
strato più interno (strato fisso, ricco delle cariche
dello strato di Stern) che rimane sempre legato
allo strato di Stern e lo strato più esterno che
invece non è legato al colloide (strato mobile). Il
punto si separazione è chiamato piano di
scivolamento (slipping plane), poiché se si
applica una forza tangenziale solo lo strato
interno si muoverà con il colloide.
adsorbiti
Poiché alla fine dello strato diffuso si ritorna alla
elettroneutralità (soluzione in bulk), si genera una
differenza di potenziale tra i vari strati e la
soluzione in bulk:
•Potenziale di superficie: Differenza di potenziale
tra la superficie del colloide ed il solvente in
bulk.
•Potenziale di Stern: Differenza di potenziale tra
la strato di Stern ed il solvente in bulk.
•Potenziale zeta: Differenza di potenziale tra la
lo slipping plane dello strato diffuso ed il
solvente in bulk.
Il potenziale zeta è una misura della forza repulsiva tra le particelle ed un indice della
stabilità dei colloidi
Quando il potenziale zeta scende al di sotto di 25mV, il sistema diventa instabile e le
particelle cominciano ad aggregarsi poiché cominciano a prevalere le forze attrattive che
entrano in azione quando due particelle, nel loro movimento Browniano, vengono a trovarsi
sufficientemente vicine.
La presenza e la grandezza di una carica sulle particelle colloidali costituiscono un fattore
importante per la stabilità dei sistemi colloidali.
SISTEMI COLLOIDALI: STABILITA’
Colloidi liofili:
Contrariamente a quanto avviene per i colloidi idrofobi, al valore di pH o di aggiunta di
elettroliti che danno una velocità elettroforetica nulla (per es. al valore del punto
isoelettrico nel caso delle proteine), non si ha flocculazione e poi precipitazione del
colloide idrofilo. Ciò dipende dal fatto che essi possiedono una notevole stabilità in fase
acquosa proprio a causa dei gruppi funzionali polari o delle cariche nette possedute che
formano con numerose molecole d'acqua forti legami idrogeno. Così si crea intorno alla
macromolecola un poderoso strato di solvatazione che gli garantisce stabilità. Ecco
perché solo quantità molto elevate di elettroliti riescono a destabilizzarli. Per ottenere la
flocculazione o la precipitazione di un colloide idrofilo, occorre sottoporre il sistema a
determinate condizioni sperimentali capaci di ridurre drasticamente lo strato di
idratazione intorno alla molecola del colloide idrofilo, come ad esempio:
•Aggiunta di tannini.
•Aggiunta di alcoli o fenoli.
•Aggiunta di un grande eccesso di elettroliti.
•Aumento della temperatura.
Colloidi liofobi:
Sono termodinamicamente instabili. Solo la presenza di carica sulla superficie delle
particelle (aggiunta di elettrolita) riesce a stabilizzare il sistema (repulsione che
impedisce la coagulazione).
La teoria DLVO descrive la stabilità dei colloidi. Questa teoria presuppone che le
interazioni tra le particelle colloidali in una dispersione sono dovute alla risultante tra
la repulsione elettrostatica (VR) e l’attrazione di tipo London o van der Waals (i due
parametri sono additivi):
P= Minimo primario
S= Minimo secondario
B= Massimo primario
R= Distanza tra le particella
Quando due particelle in mezzo acquoso si
avvicinano appena dopo la zona delle forze
repulsive dovute al doppio strato esiste una
regione di deboli forze attrattive
Minimo
secondario
(responsabile
della
flocculazione elevato volume di sedimentazione
ma
risospendibile). Le particelle possono
aggregarsi, entrare in intimo contatto:
Minimo primario (formazione di legami e di un aggregato stabile detto “ CAKE”).
Una barriera repulsiva (dovuta al potenziale zeta) separa il minimo secondario dal minimo
primario: nel grafico è rappresentato dal massimo primario (la grandezza della forza
repulsiva determina se un sistema flocculato rimarrà tale).
Giocando opportunamente con concentrazione ioniche e valenze degli ioni, si può
variare lo spessore del doppio strato e bilanciare le forze di repulsione (colombiane) e di
attrazione di Van der Waals in modo da creare un minimo secondario dove le particelle
si attraggono ma restano ad una certa distanza tra loro (non c’e intimo contatto).
P= Minimo primario
S= Minimo secondario
B= Massimo primario
R= Mistanza tra le particella
Colloidi protettori
La stabilità dei colloidi liofobi può essere migliorata anche per aggiunta di colloidi idrofili.
Il meccanismo di questa azione protettrice si spiega con la ricopertura dei colloidi liofobi
con uno strato di colloide idrofilo. L'insieme acquisisce allora le proprietà di quest'ultimo, in
particolare l’affinità per il solvente e quindi la stabilità.
Tale effetto viene quantificato attraverso la determinazione del numero d'oro. Esso
rappresenta la quantità minima (espressa in mg) di colloide idrofilo che è necessario
aggiungere a 10ml di una dispersione colloidale d'oro (conc. 0,05-0,06g/l) per impedirne la
flocculazione al seguito dell' aggiunta di 1ml di NaCl al 10%.
SISTEMI COLLOIDALI: APPLICAZIONI
FARMACEUTICHE
I colloidi sono sempre stati impiegati in campo farmaceutico, tuttavia, con lo sviluppo delle
nanotecnolgie, il loro utilizzo sta acquisendo sempre maggior interesse.
È utile ricordare che tutti i polimeri e le macromolecole in soluzione generano dei sistemi
colloidali e non soluzioni.
I colloidi sono utilizzati per :
•Preparazione dei sostituti sintetici del plasma sanguigno. Il colloide più usato per
questo scopo è il PVP.
•Sali colloidali di cloruro di argento e di alluminio sono utilizzati come antibatterici.
• Eccipienti per la preparazione di emulsioni, sospensione e gel (i colloidi idrofili hanno
tutti proprietà viscosizzante, in relazione alla concentrazione) o per la preparazione di
pseudosciroppi.
• Per la preparazione delle soluzione di rivestimento per i solidi orali.
• Aumentare solubilità, stabilità di principi attivi in preparazioni acquose ed oleose.
• Ottenere un rilascio modificato selettivo dei principi attivi, specie per via endovenosa,
intramuscolo, oculare o nasale (liposomi, nanoparticelle, micelle, microemulsioni ).
Tra i colloidi più comunemente utilizzati ci sono:
•Derivati della cellulosa (Metil-cellulosa, Idrossietil-cellulosa, Idrossipropil-cellulosa,
Idrossipropil-metil-cellulosa, Carbossimetil-cellulosa).
•Gomme (Gomma arabica, Gomma adragante, Gomma guar, Gomma xantana)
•Acido alginico ed alginato di sodio
•Pectina
•Amido
•Agar-agar
•Chitosani
•Carragenani
•Proteine (Gelatina, Albumina)
•Polivinilpirrolidoni (PVP)
•Carbossipolimetili (Carbopol)
POLIVINIL PIRROLIDONE (PVP)
Così come per tutti i polimeri, un peso molecolare
preciso della molecola non può essere stabilito,
essendo la polvere costituita da una miscela di
catene polimeriche a lunghezza diversa.
Si preferisce distinguere i vari tipi di PVP in base
alla viscosità.
Esistono due tipi di PVP: K e C. La serie K è
destinata alla formulazione di forme orali mentre
la serie C è destinata alla forme iniettabili.
Dal punto di vista tossicologico, il polimero è
assolutamente innocuo, indipendentemente dalla
via di somministrazione.
Usato per:
•preparare idrogeli,
•prep. di soluzioni leganti per granulazioni ad
umido,
•rivestimenti filmogeni gastrosolubili.
N
C
O
CH CH2
(n)
CARBOSSIPOLIMETILENE (CARBOPOL)
Si tratta di un polimero dell'acido acrilico,
reticolato con polialchenil alcoli o glicol divinilico o
anche non reticolaro. L'elevata percentuale di gruppi
carbossilici liberi permette alle molecole di
rigonfiarsi e solubilizzarsi in acqua. Neutralizzando
con una base solubile in acqua tali gruppi
carbossilici, si ottiene un rigonfiamento molto più
elevato, con un considerevole aumento della viscosità
del sistema. Esistono diversi tipi di carbopol, a
seconda della lunghezza delle catene polimeriche e
del grado
di reticolazione, aventi proprietà
reologiche e di addensamento diverse.
Per raggiungere la viscosità massima e mantenerla
costante, la molecola deve srotolarsi completamente.
Questo avviene mediante neutralizzazione del
polimero con una base che ionizza i gruppi
carbossilici generando cariche negative lungo la
catena del polimero.
CH2
CH
COOH
AMIDO
E' un polimero formato da unità di D-glucosio
esistente in due diverse forme: amilosio (20%),
amilopectina (80%); tali percentuali possono variare
anche consistentemente in base alla provenienza
dell'amido.
L'amido è insolubile in acqua fredda e si rigonfia
solo lentamente in essa. Ciò dipende dal fatto che
gli ossidrili di cui il polimero è provvisto, sono
normalmente impegnati in legami idrogeno intra o
intermolecolari.
Aumentando la temperatura e conferendo dunque
energia al sistema, le molecole cominciano via via a
vibrare più vigorosamente, rompendo tali legami
idrogeno e permettendo agli ossidrili di interagire con
le molecole di acqua: si va gradualmente verso una
fase
di
solvatazione
con
conseguente
gelatinizzazione.
Esistono amidi chimicamente modificati.
PECTINA
Ottenuta per estrazione dalla parte interna della buccia degli agrumi o dalla polpa delle mele,
è un polisaccaride costituito dal ripetersi di unità di acido D-galatturonico unite tra loro da
legami a 1-4, con i gruppi carbossilici parzialmente esterificati con metili.
Esistono pertanto diversi tipi di pectina in base alla percentuale di esterificazione.
E' moderatamente solubile in acqua (1:20) con la quale forma soluzioni colloidali viscose
mentre è insolubile in etanolo e solventi organici in genere.
Le pectine si insolubilizzano formando dei gel a determinate condizioni sperimentali:
•pH 2-3,5
•Presenza di soluti idrofili (saccarosio)
Per riscaldamento e successivo raffreddamento si forma un gel che mantiene le sue
caratteristiche perfino se riscaldato a quasi 100°C.
Ciò avviene poiché a pH acido i gruppi carbossilici si trovano in forma indissociata, mentre
l'elevata quantità di zucchero impedisce agli ossidrili del polimero di interagire con l'acqua,
competendo con essi per la formazione di legami idrogeno con l'acqua stessa.
In questo modo, gli ossidrili del polimero formano legami idrogeno intermolecolari (tra
catene polimeriche diverse) con formazione di un reticolo solido tridimensionale.
Gomma arabica
Tale gomma è l'essudato essiccato che
fuoriesce naturalmente o per incisione dal
fusto o dai rami, da alcune specie di acacia
del Senegal o del Sudan.
E' costituita da sali di calcio magnesio e
potassio dell'acido arabico, polisaccaride
piuttosto complesso costituito da Larabinosio, L-ramnosio, D-galattosio ed
acido D-glucuronico.
La presenza di tale polimero in soluzione
non provoca un notevole aumento della
viscosità.
Per ottenere consistenti aumenti di viscosità
bisogna arrivare a concentrazioni di oltre il
50%.
Gomma adragante
E' l'essudato che fuoriesce naturalmente
o per incisione da alcune specie di
Astragalus.
Anche la gomma adragante, come quasi
tutte le gomme, ha una struttura
chimica complessa, costituita da unità
di acido D-galatturonico, L-fucosio, Dgalattosio, D-xilosio e L-arabinosio
Ha un buon potere addensante,
decisamente superiore a quello della
gomma arabica.
Gomma Guar
E' costituita da uno scheletro lineare di
unità di mannosio unite da legami b 1-4,
al quale si uniscono, ogni due unità,
singole unità di galattosio tramite
legami a 1-6.
E' solubile in acqua dando soluzioni
molto
viscose
già
con
una
concentrazione dell'1%.
Gomma Xantana
La struttura consiste in uno scheletro di
cellulosa
con
attaccati
gruppi
oligosaccaridici.
E' prontamente solubile in acqua sia
calda che fredda e produce soluzioni
molto viscose a basse concentrazioni,
che si comportano come fluidi
pseudoplastici.
I cambiamenti di pH hanno solo un
debole effetto sulla viscosità stessa.
CARRAGENANO
Estratto da un particolare tipo di muschio irlandese, è
costituito da una complessa miscela di almeno 5
distinti diversi polimeri designati con k, l, m, i, n.
Le proprietà di questi polimeri dipendono dal tipo di
catione associato al solfato che esterifica alcuni degli
ossidrili delle singole unità di galattosio: il sale di
potassio forma un gel piuttosto rigido, mentre,
quando il catione è il sodio, il polimero è solubile
anche in acqua fredda e non gelifica.
Il carragenano commerciale è una miscela di k (60%,
gelificante) e l (40%, non gelificante).
Il polimero è stabile a pH superiori a 7, si degrada
lentamente a pH tra 5 e 7, si degrada velocemente a
pH inferiore a 5.
CHITOSANO
Il
chitosano
(poli
Ndeacetilglucosamina) è un polimero
ottenuto industrialmente a partire
dalla chitina naturale ottenuta dai
granchi o gamberi di mare, per
deacetilazione (idrolisi in ambiente
alcalino) dei gruppi ammidici.
E' insolubile in acqua ma solubile in
ambiente acido anche diluito. E'
insolubile nei solventi organici.
Esiste in commercio in diversi gradi
di purezza e peso molecolare medio
e, di conseguenza, diverse viscosità.
ALBUMINA
Esiste in commercio come albumina
d'uovo (scaglie o polvere gialla) o come
albumina umana in soluzione sterile ed
apirogena.
Insolubile in etanolo, solventi organici
ed oli.
Solubile in acqua tiepida (40°C)
rigonfiandosi dapprima e sciogliendosi
poi, formando un liquido neutro e un
po' torbido dal quale coagula e precipita
per riscaldamento a 65-70° o più.
GELATINA
Proteina purificata ottenuta per parziale
idrolisi o acida (gelatina tipo A) o basica
(gelatina tipo B) del collagene animale.
Solubile in acqua calda/tiepida, in
glicerolo ed acido acetico.
In acqua fredda la gelatina si rigonfia, si
ammorbidisce e gradualmente assorbe un
quantitativo d'acqua pari a 5-10 volte il
suo peso.
Per riscaldamento la sostanza forma una
soluzione colloidale che raffreddando da'
origine ad un gel piuttosto stabile.
La gelatina pura di tipo A ha un punto
isoelettrico variabile tra 6,3 e 9,2.; la
gelatina di tipo B tra 4,7 e 5,2.

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