Il Femminismo e la politica dei beni comuni

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Il Femminismo e la politica dei beni comuni
(Draft) Intensive Program «I saperi delle donne» (Università del Salento, Lecce, 2014)
Tutti i testi sono pubblicati sotto cc by-nc-nd 4.0
LABORATORIO DI CRITICA
Silvia Federici, «Il Femminismo e la politica dei beni comuni»
Gabriella Paulì
Recensione a: Federici, Silvia (2012). «Il Femminismo e la politica dei beni comuni»,
trad. Fulvia Serra, in Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria
femminile, 20: 63-77.
Dati bibliografici del libro
Federici, Silvia (2012). «Il Femminismo e la politica dei beni comuni», trad. Fulvia
Serra, in Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria
femminile, 20: 63-77.
[Online] http://www.unive.it/media/allegato/dep/n202012/Ricerche/Riflessione/7_Federici_Politica__beni_comuni.pdf
Breve frammento significativo
«Il comunalismo delle donne del popolo porta oggi alla produzione di una nuova realtà,
alla creazione di una identità collettiva, alla costituzione di un contro-potere all’interno
della casa e della comunità e all’apertura di un processo di auto-valorizzazione e autodeterminazione dal quale c’è molto da apprendere» (p. 70)
Testo di biografia
Silvia Federici è Professoressa Emerita di Filosofia Politica e studi internazionali
all’Università Hofstra ed una attivista femminista di lunga data oltre che scrittrice. E’
autrice di molti saggi sulla teoria femminista, le donne e la globalizzazione ed i movimenti
femministi.
Testo di sinossi
La politica dei beni comuni può essere interrogata dal femminismo. La prospettiva
femminista proposta dell’autrice implica sia il riconoscimento e la memoria delle lotte
delle donne contro i processi di privatizzazione dei beni comuni sia la possibilità di
applicare il concetto di bene comune e le politiche dei beni comuni al lavoro domestico e
di cura delle donne.
(Draft) Intensive Program «I saperi delle donne» (Università del Salento, Lecce, 2014)
Tutti i testi sono pubblicati sotto cc by-nc-nd 4.0
Testo di recensione
Silvia Federici sollecita la costruzione di ponti concettuali tra teoria femminista e teoria
e politica dei beni comuni. Il concetto di politica del/i bene/i comune/i consente,
nell’interpretazione dell’autrice, il superamento della dicotomia stato/mercato intorno a
cui si è incardinato storicamente il discorso sulle forme e l’organizzazione della vita
economica e sociale e quindi sul modo di produzione.
Il paradigma dei beni comuni e la lotta politica per i beni comuni devono essere compresi
aldilà delle versioni deboli e mistificate proposte sia dagli organismi internazionali
(Banca Mondiale e Nazioni Unite in primis), che dalla necessità del capitale di integrare
e quindi depotenziare una qualche prospettiva sui beni comuni, come l’autrice sottolinea
nel suo testo quando sostiene che “il capitale sta imparando le virtù del bene”(p. 66).
Tale paradigma quindi, nella sua significazione radicale, compatibile con la formazione
marxista dell’autrice, non sembra essere estraneo alla esperienza delle donne, nei diversi
contesti geografici (nello spazio globale tracciato dal capitalismo contemporaneo), tanto
nel passato, quanto nel presente.
Una prospettiva femminista nel discorso sulla politica dei beni comuni sembra essere per
Silvia Federici sia una esperienza storica delle donne che la nuova frontiera della
resistenza delle donne al paradigma economico dominante e al progetto neoliberale che
attualmente lo sostiene.
L’autrice abbraccia e adotta come punto di partenza una visione: la lotta per i beni comuni
e le esperienze di messa in comune delle risorse per garantire la sussistenza, come la
creazione degli orti metropolitani per la sussistenza, la creazione del comune sono la
strategia di resistenza al capitalismo che consente di pensare a forme organizzate
alternative al capitalismo stesso. Allo stesso tempo, la rifondazione di una economica
basata sul principio del comune consente/richiede un ripensamento concettuale ed
organizzativo del lavoro domestico e di cura.
La lettura femminista dei beni comuni proposta dall’autrice invita ad una presa di
coscienza che i processi di privatizzazione hanno avuto nella storia (dall’accumulazione
primaria sino all’oggi) un impatto di genere diverso per uomini e donne perché le donne,
in quanto soggetti del lavoro riproduttivo hanno sempre avuto un maggior rapporto di
dipendenza rispetto agli uomini dall’accesso alle risorse naturali comuni. Attraverso
numerosi riferimenti alla storia, l’autrice sembra allora richiamare l’attenzione sulla
necessità della memoria dei movimenti delle donne e delle esperienze, delle pratiche delle
donne contro l’espropriazione delle risorse naturali, così facendo, tessendo una
genealogia di resistenza che dal passato arriva all’oggi (dalle ollas comunes del Perù, alle
tontines nel contesto africano, alle pratiche dell’agricoltura di sussistenza praticata
essenzialmente da donne).
Il comunalismo delle donne del popolo, per l’autrice vogliono incarnare l’alterità ed la
creazione delle donne che si configura come contro potere all’interno della casa e della
comunità, una strategia che le donne agiscono e praticano per superare la stretta del
capitalismo (con le sue crisi e contraddizioni cicliche).
(Draft) Intensive Program «I saperi delle donne» (Università del Salento, Lecce, 2014)
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Lungo questa cornice interpretativa, Silvia Federici suggerisce la riappropriazione ed il
ri-accomunamento dei mezzi di produzione come pratica capace di opporsi alla
«solidarietà astratta» (p. 70) interna ai movimenti, richiamando, ancora una volta, al
significato dell’agire sociale e delle pratiche, centrali nella riflessione femminista.
Le pratiche di riaccomunamento rispondono al principio di responsabilità ed al principio
dei superamento della condizione di oblio che induce a dimenticare le condizioni di
sfruttamento e di oppressione delle donne e degli uomini nel sistema capitalistico.
Principio di responsabilità, rimozione dell’oblio, pratiche di accomunamento diventano
allora per l’autrice tre snodi fondamentali del discorso femminista sulla politica dei beni
comini.
La proposta dell’autrice di una socializzazione, accomunamento del lavoro di cura per
distruggere l’isolamento della vita domestica ed accrescere il potere delle donne nei
confronti delle classi dominanti e degli uomini, consente allora di ripensare al lavoro
domestico aldi là della invisibilità storica che il paradigma dell’economia dominante
basata sulla separazione tra pubblico e privato gli ha storicamente assegnato. Se, come
sottolineato dalla Federici, l’accumulazione capitalistica è strutturalmente dipendente
dall’appropriazione di immense quantità di mano d’opera e risorse che devono apparire
esterne all’economia di mercato (come il lavoro domestico che le donne hanno fornito
per la riproduzione della forza lavoro), ri-concettualizzare il lavoro domestico in termini
di bene comune e riorganizzarlo come bene comune diventa l’escamotage simbolico e
una pratica per una sua valorizzazione e riconoscimento che può agire come
trasformazione del mondo.
Il saggio offre pertanto prospettive teoriche che integrano riflessione femminista e
politica dei beni comuni, sebbene lasciano aperto un problema di cui la stessa autrice
sembra intravederne la rilevanza: l’autrice rileva nel suo saggio come la sinistra, ad
eccezione dei lavori di Toni Negri citati nel testo, non si sia posta il problema di come
unificare le numerose iniziative collettive che si stanno sviluppando e di pensarle come
un tutto unico alternativo al paradigma capitalista. E’ una domanda che interroga, ad
avviso di chi scrive anche il movimento femminista internazionale: come pensare e
connettere le diverse esperienze, come metterle in rete, condividerle in modo che possano
sprigionare tutta la loro capacità trasformativa?