Il vento di Porto Alegre di Alfredo Somoza A Porto Alegre, il

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Il vento di Porto Alegre di Alfredo Somoza A Porto Alegre, il
Il vento di Porto Alegre
di Alfredo Somoza
A Porto Alegre, il variegato movimento contro questa globalizzazione ha parlato una lingua
sola. Il secondo World social forum ha visto il consolidamento di una nuova idea di
progressismo che si batte contro il militarismo, la guerra e l'ingiustizia globale. I
protagonisti sono stati centinaia di movimenti sociali del Nord e del Sud del pianeta che
dalla protesta sono passati alla proposta.
A Porto Alegre per diventare maggiorenni. Il Secondo Forum Sociale Mondiale è stato il
momento di affermazione di un movimento fatto di tante voci distinte che solo unendosi
possono davvero incidere sulle scelte di un intero pianeta. Non si sono viste quest’anno le
laceranti divisioni del passato. Pochissime le contestazioni, tra cui quella tutta italoargentina contro i parlamentari e i ministri che hanno votato a favore della guerra in
Afganistan. Assente l’ossessione per quelle votazioni e conteggi finali che in passato
hanno spaccato più che unito. Le differenze, inutile negarlo, restano, in primis quella
storicamente irrisolta tra l’anima “rossa” e quella laica o cattolica del movimento, ma sono
state accantonate in nome della “lotta globale”. Il nemico, è stato più volte ripetuto a Porto
Alegre, è forte e combattivo. Il neoliberismo è un fatto che esiste, come esiste, e l’hanno
dimostrato le dichiarazioni del segretario di stato Usa Colin Powell a New York, il pericolo
di una guerra permanente globale. Avversari temibili che esigono la ridefinizione di ogni
singola realtà locale, dall’Europa all’Africa, dall’America Latina all’Asia e all’Oceania.
Concetti espressi chiaramente nel documento approvato dall’assemblea dei movimenti
sociali, che, di fatto, rappresentano più dell’ottanta per cento di tutto il FSM. “Siamo diversi
ma questa è la nostra forza e la base della nostra unità. Il movimento si trova di fronte a
enormi sfide per il futuro”. Resistere alla guerra, al militarismo, alle ingiustizie sociali, in
Argentina come in Medio Oriente, nei villaggi boliviani come nelle metropoli europee per
cambiare i connotati di “questa” globalizzazione. Parole d’ordine che ritornano a migliaia di
chilometri di distanza. Se Genova fu la svolta, il momento culminante della rabbia liberata
a Seattle, Porto Alegre è diventato il momento della riflessione. Il cuore prima, la ragione
poi. La stampa di tutto il mondo ha seguito attentamente quello che succedeva tra i
chiostri dell’Università Cattolica della città brasiliana, dimostrando che si può raccontare
qualcosa di “alternativo” senza che per questo ci siano battaglie di strada con morti e feriti.
Da Porto Alegre sono arrivate ore su ore di dirette televisive e radiofoniche, migliaia di
articoli e reportage fotografici. Sono mancati soltanto i grandi network nordamericani,
segno tangibile di una neonata guerra fredda mediatica, muro contro muro. Il cambio,
comunque, si è sentito. L’anno scorso Porto Alegre viveva in funzione della
contrapposizione al vertice economico ospitato a Davos. Quest’anno ha guardato assai
poco a cosa stava succedendo a New York, dove si era trasferito l’incontro annuale
sull’economia del pianeta nato sulle Alpi svizzere. E’ una maturità conquistata sul campo,
in quattro intensi giorni di dibattiti, iniziative, confronti. Troppo fresca per sondarla con
dettagliate analisi ideologiche, troppo giovane per darle già piena fiducia. L’agenda degli
appuntamenti per il futuro è fittissima. Momenti “contro” e nuovi spazi di rigenerazione
interna. Manifestazioni e cortei insieme alla riflessione di seminari e dibattiti. Dualismo
necessario e non sempre dispersivo. Come la presenza in massa di politici e governanti
al Forum: un segno importante che lascia però intravedere il pericolo di possibili
strumentalizzazioni e imbrigliamenti. Buona parte della “sfida globale” sta tutta qui, nel
conciliare i momenti di lotta con quelli di proposta. Il popolo di Porto Alegre sembra, per
ora, averlo capito molto bene.
La sinistra che riparte da Porto Alegre
Il clima che si è vissuto nella cinque giorni di Porto Alegre è stato paragonato da diversi
oratori, tra i quali il celebratissimo semiologo Noam Chomsky, a quello della fine dell’´800,
quando il movimento operaio dava vita ai partiti della sinistra. Un momento costituente, ma
originale perché allora si partiva dall’ideologia anarchica o marxista mentre oggi si parte
dalle lotte concrete e si cerca di trovare una sintesi non dogmatica. Se un secolo fa il
motore dell’internazionalizzazione della sinistra era la lotta di classe, oggi si ha una visione
più complessa nella quale si fondono l’ambientalismo, le lotte femministe, quelle delle
minoranze etniche e sessuali, che si ritrovano negli ideali di giustizia planetari, ma
soprattutto attorno al concetto di “partecipazione”. L’aggettivo “partecipato” è stato, infatti,
quello più ascoltato e dibattuto dalle migliaia di delegati di tutto il mondo: partecipazione
dei cittadini alle decisioni della pubblica amministrazione, alla scelta della pace, alla vita
democratica, all’accesso all’economica, alla definizione di trattati economici, alla qualità
del cibo e alla gestione delle risorse naturali. Una partecipazione che oggi non viene
nemmeno presa in considerazione perché i “signori dell’universo” (i grandi potentati
economici secondo Chomsky) usano operare nel silenzio e lontano dai riflettori.
Controllando il “circo mediatico” perché il cittadino non sappia, non chieda di partecipare,
non possa rifiutare. Nei paesi ricchi la partecipazione viene negata incentivando il
consumismo più cieco, che oltre a distrarre le menti dei giovani è pur sempre un gran
business. Nei paesi periferici, soltanto l’illusione del consumo, oppure i consumi made in
Cina, e se non basta, la repressione. Il graduale allontanamento del cittadino dalla sfera
decisionale porta come conseguenza diretta alla “stanchezza” della politica, meno gente
che vota, meno gente che partecipa, un ripudio generalizzato della politica (“sono tutti
ladri”) e una maggior chiusura nella sfera individuale.
La sinistra che sta nascendo a Porto Alegre gioca la sua carta migliore proprio
riproponendo un percorso che riavvicini la gente alla politica del fare in modo condiviso. E
non è utopia, proprio Porto Alegre e lo Stato di Rio Grande do Sul stanno già
sperimentando con gran successo un meccanismo chiamato “bilancio partecipativo”
attraverso il quale, mediante una consultazione aperta a tutti cittadini, si scelgono le
priorità nella gestione del Comune e si verifica il processo che dalla formulazione porta
fino all’esecuzione di quanto deciso. Un processo attraverso il quale il comune di Porto
Alegre amministra il 20% del suo bilancio coinvolgendo oltre 40.000 cittadini in una città di
circa 1.300.000 abitanti. E’ questo modello, del quale si è dibattuto approfonditamente nel
Forum Sociale, che si vuole proporre su scala mondiale per decidere le priorità
dell’umanità (salute, ambiente, scuola, ecc.) attraverso una consultazione in tutti i
continenti. Quest’anno sono stati diversi i sindaci di piccole e grandi città europee (tra le
quali Roma, Parigi e Berlino) che sono venuti a conoscere e discutere di quest’argomento,
che potrebbe diventare un punto di forza programmatico della sinistra europea alla ricerca
di nuove idee.
Come ci tengono a dire i dirigenti del Partido dos Trabalhadores (al governo a Porto
Alegre e Provincia, a San Paolo, Bahia e altre grandi città brasiliane, nonché uno dei
candidati a vincere le elezioni presidenziali del prossimo mese di ottobre), “noi qui in
Brasile stiamo lottando per far diventare realtà molte delle utopie dei giovani europei.
Partecipazione, sostenibilità, tutela del consumatori, terra a chi la lavora, solidarietà
internazionale, sono i punti aggreganti di una visione che vuole marcare le distanze da un
neoliberismo che ha creato soltanto miseria e solitudine. Per noi essere di sinistra oggi
vuol dire mettere in atto politiche costantemente dibattute e concordate con i movimenti
sociali per far prevalere gli interessi della comunità anche a costo di perdere simpatie e
appoggi da parte dei grandi capitali”. Questa linea del PT crea entusiasmo soprattutto tra i
giovani, come si è potuto vedere nella colorata festa a ritmo di carnevale del 22°
anniversario del partito brasiliano, celebrata nella stupenda cornice del Mercato Coperto di
Porto Alegre durante il Forum.
La drammatica ed incerta situazione che vive l’Argentina è stata al centro dell’attenzione a
Porto Alegre. Il modello applicato nel vicino paese lungo 10 anni è infatti considerato ora
l’esempio da rinfacciare al Fondo Monetario Internazionale e a tutti i profeti del cosiddetto
“pensiero unico” che negli anni ’90 celebravano a Buenos Aires la vittoria, molto effimera,
delle dottrine neoliberali. “L’Argentina è stata tradita, gli argentini derubati, e oggi i
responsabili fanno finta di niente”, è stata la lapidaria conclusione del Tribunale dei Popoli
sul Debito Estero celebrato durante il Forum Sociale. E da New York, dove si celebrava il
Forum di Davos in trasferta, nel quale l’Agenda sembrava suggerita dai dirigenti di Poto
Alegre, nessuno ha avuto il coraggio di smentirlo. Addirittura il principale contribuente del
fisco nordamericano, Bill Gates, si è lasciato andare in un confronto con il Ministro
dell’economia di Bush affermando che “la beneficenza che possono fare i privati non basta
se gli stati ricchi non fanno la loro parte”. Parole sacrosante, che però trovano al momento
orecchie da mercante da parte dei tutori internazionali dell’economia argentina che
continuano a ripetere che in realtà ci voleva ancora più libero mercato in un paese dove
soltanto la casa di Governo si è salvata dalla privatizzazione.
I partecipanti del Forum Sociale si sono posti con fermezza l’obiettivo di riconquistare il
primato della politica di tutti sull’economia dell’esclusione. Il treno della globalizzazione,
che secondo la metafora dell’uruguayano Eduardo Galeano “sfreccia in mezzo ad una
moltitudine di persone appiedate”, oggi forse comincia a rallentare la sua corsa e a Porto
Alegre decine di migliaia di persone di tutto il mondo hanno detto che non soltanto un altro
mondo è possibile, ma che è già in costruzione.
BOX: Globalizzazione e comunicazione: un dibattito sul potere
La sala Anfiteatro dell'Educazione della PUC (l'Università che ha ospitato il Forum Sociale
Mondiale) era piena al limite, con code fuori dall'unico accesso. Ma il pubblico, in
maggioranza di giovani brasiliani, é rimasto attentissimo e pronto a cogliere ogni battuta.
Tutti a sentire Ignacio Ramonet e Michael Albert parlare di comunicazione, informazione,
potere e politica, politica brasiliana.
Comincia Ramonet (Le Monde Diplomatique) con una lezione di scienza della
comunicazione: "La rivoluzione digitale é la seconda globalizzazione. Non ci sarebbe
globalizzazione senza rivoluzione tecnologica, la quale ha prodotto il capitalismo, prima
come industrializzazione e poi come movimento del capitale finanziario in tempo reale. La
rivoluzione digitale ha cambiato anche la comunicazione, amplificandola ma al tempo
stesso concentrandola in poche mani. Prima esistevano solo tre veicoli mediatici: testo,
suono, immagine; adesso i tre media viaggiano insieme, riunendo le tre industrie relative
e dando loro più potere. Il Citizen Kane di Kubric a confronto di quello odierno non é
niente: Murdoch possiede media in tutti i continenti, Kane li aveva solo nel suo. Ecco
dunque confermata l'equazione potere economico + potere mediatico = potere politico
(ovvero, sicura vittoria elettorale: si prenda per esempio l'Italia di Berlusconi)".
Ramonet affronta poi il paradosso dell'informazione moderna: più accessibile ma al tempo
stesso più debole. "L'informazione di oggi é in tempo reale, non è razionalizzata e resa
"comprensibile" con dati di un osservatore distaccato. La stessa censura ha subito una
radicale modificazione: prima si trattava di togliere parti di informazioni, oggi é l'opposto:
dare troppe informazioni e confondere il "consumatore". Il quinto elemento (dopo aria,
acqua, fuoco, terra) é l'informazione, ma ne siamo sommersi..."
Secondo il massmediologo americano Micheal Albert, l'informazione é una parte
essenziale per l'organizzazione e la mobilitazione delle comunità di base. Ad esempio, in
Nicaragua, se gli Stati Uniti temono che possano esserci libere elezioni, la prima cosa che
fanno é di far chiudere radio e giornali locali, impediscono il libero scambio d'informazioni
e tagliando alle comunità la possibilità di mettersi in collegamento e tenersi informarti. Il
New York Times non é da meno quanto a censura: il suo motto "all the news there is to fit"
(tutte le notizie che c’entrano) va in realtà letto come "all the news there is to PROfit" (tutte
le notizie che creano profitto). L'11 settembre i grandi media non hanno filmato solo
l'evento tragico delle torri, ma anche il dolore e le reazioni delle persone. I media sanno
trasmettere le emozioni e anche bene. Ma come mai non hanno trasmesso allo stesso
modo la tragedia della guerra in Iraq, anche dopo i bombardamenti? Lo fanno solo quando
hanno un ritorno immediato e non pregiudicano il potere costituito. L'America
é un paese un libero per la stampa - un giornalista può effettivamente scrivere quello che
vuole, e passa tempo prima che perda il posto. Il problema é che il suo materiale, se
contrario all'opinione pubblica che il potere vuole trasmettere, viene ignorato".
BOX: Il vecchio profeta delle nuove generazioni
L’ottantenne professore statunitense Noam Chomsky è stato l’oratore più seguito durante i
lavori del Forum Sociale di Porto Alegre. Circa 10.000 persone si sono strette nelle diverse
aule dell’Università Cattolica, per l’occasione dotate da maxischermo, oltre a quelli che lo
hanno seguito attraverso la diretta televisiva di RTVE, la televisione dello Stato di Rio
Grande do Sul che ha trasmesso in diretta l’intero evento. Questi sono stati i passaggi
salienti della sua “lezione”.
“Il sistema di dominazione dei popoli oggi è estremamente fragile. Il pretesto cambia ma le
politiche continuano sostanzialmente a essere le stesse. Negli ultimi anni abbiamo
conosciuto il comunismo, il crimine, la droga, il terrorismo. A volte il cambiamento dei
pretesti insieme alla continuità delle politiche è tanto drammatico che richiede un grande
sforzo per non rendercene conto. Ovviamente questi centri di potere sfruttano ogni
opportunità per portare avanti i loro programmi e usano la crisi, come un grande terremoto
o una guerra o perfino un atrocità come quella dell'11 settembre.
E la crisi fa sì che sia possibile sfruttare la paura e la preoccupazione del pubblico per
esigere che gli avversari siano umili, ubbidienti, distratti. In Stati più brutali può significare
l'aumento del terrore e della repressione. Questo è stato molto più facile negli ultimi mesi e non voglio insultare la vostra intelligenza dicendo a che cosa mi riferisco. Le vittime di
questo sistema certamente dovrebbero resistere allo sfruttamento prevedibile
dell'elemento "crisi". Dovrebbero concentrarsi sulle principali questioni che rimangono
pressappoco le stesse che erano prima: programmi di militarizzazione e l'attacco sempre
più forte contro la democrazia e la libertà, che sono il nucleo centrale dei programmi
cosiddetti
neoliberali.
Il conflitto in corso viene simbolizzato in questo momento dal FSM a Porto Alegre e dal
FEM di Davos a New York. Il FEM di Davos è una riunione di quelli che veramente
prendono le decisioni nel mondo dei ricchi e famosi del mondo, i leaders, gli uomini
d'affari, i politici. Dicono di riunirsi per pensare profondamente ai problemi che l'umanità
affronta. Temi come: come possiamo inserire valori morali in quello che facciamo?
Oppure: che cosa dobbiamo mangiare? In effetti, i ristoranti eleganti di New York saranno
pieni
zeppi
dei
partecipanti
di
Davos.
I media americani fanno riferimento in questi giorni a un anti-forum che si sta realizzando
in Brasile, frequentato da pazzi riuniti a Porto Alegre per protestare contro le decisioni
dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. E un altro riferimento è alla brutta faccia dei
partecipanti. Questa retorica è interessante: è infantile ovviamente. Secondo me, tale
infantilismo deve essere capito come segno di inferiorità e insicurezza. Noi ritenuti "pazzi",
riuniti qui a Porto Alegre, dobbiamo essere l'antiforum. E i pazzi dell'antiforum sono
ovviamente quelli che si oppongono alla globalizzazione: questa è un'altra retorica che
dobbiamo
rifiutare.
La globalizzazione significa integrazione internazionale, e nessuno ci si opporrà, e ciò
dovrebbe essere ovvio per il movimento sindacale dei lavoratori e della sinistra. Il FSM è
una delle realizzazioni più importanti della speranza della sinistra e del movimento dei
lavoratori e di altri movimenti popolari. Dobbiamo cercare un programma di
globalizzazione che si preoccupi dei reali interessi del popolo e combatta la
concentrazione illegittima di potere. Il termine globalizzazione non può essere ristretto alla
loro visione della integrazione internazionale. Una visione che si preoccupa solo degli
interessi corporativi, essendo gli interessi del popolo qualcosa di incidentale.
E' con questa terminologia ridicola che chi cerca una forma più giusta e decente di
globalizzazione viene definito "anti-globalizzatore". Non dobbiamo accettare questo
termine spregiativo con cui i primitivi, uomini dell'età della pietra, si riferiscono agli "antiglobalizzatori". I re Magi di Davos, si chiamano modestamente. Io preferirei il termine
usato dal Financial Times "I Signori dell'Universo". Giacché i signori dell'Universo
professano e ammirano Adam Smith allora possiamo sperare che seguano la sua
descrizione del proprio comportamento, sebbene Smith li chiamasse "Signori dell'Umanità"
(ciò è stato prima dell'era Spaziale), si riferiva a quello che lui chiamava i principali
architetti della politica del suo tempo: i mercanti e i fabbricanti d'Inghilterra, che cercavano
i propri interessi, anche a costo di avere un impatto sugli altri popoli.
Ora dirò qualche parola sul tema di questa conferenza, cioè, su un mondo senza guerre.
Parlerò in modo molto generico, le questioni specifiche su cosa fare in Colombia,
Palestina, saranno trattate poi in apposite conferenze. Non possiamo dire molto su temi
umani senza avere fiducia, ma a volte ciò è possibile. Noi possiamo per esempio avere
fiducia in due cose: o ci sarà un mondo senza guerre o non ci sarà più un mondo. Almeno
un mondo abitato da creature che non siano batteri, scarafaggi ed altri insetti.
E questo perché gli uomini hanno sviluppato mezzi per l'autodistruzione nell'ultimo secolo.
Inoltre, i leaders del mondo civilizzato hanno piena coscienza di quello che stanno
facendo, almeno così ammettono i funzionari delle loro agenzie di intelligence come la
Cia, tutti favorevoli alla corsa alla distruzione del mondo. Più terribile ancora è che ciò è
svolto e messo in atto in una base irrazionale. Esistono ideologie e valori dominanti che
classificano la sopravvivenza molto al di sotto dell'egemonia. Sono principalmente marxisti
volgari, come ho detto. Questa è la base per la militarizzazione dello spazio, che
appartiene a questi programmi, programmi che sono stati portati avanti sfruttando
l'opportunità aperta dagli eventi dell'11 settembre e quindi aumentando la minaccia di
distruzione
in
nome
della
difesa
contro
il
terrorismo.
La globalizzazione ha portato a una prosperità mai vista prima, ed è quello che ci dicono.
Ciò è vero soprattutto per quel che riguarda gli USA, e nella decade degli anni Novanta gli
USA hanno avuto il più grande boom economico del mondo. Alcuni sono rimasti indietro in
questo miracolo economico della decade. Noi "pazzi" ci preoccupiamo di questi poveretti.
Le falle del modello riflettono il dilemma sulla questione della crescita veloce e della
globalizzazione. Ci dicono che le disuguaglianze aumentano perché alcuni non sfruttano le
opportunità meravigliose di questo sistema. Questo quadro è falso. Ed è difficile percepire
che, indipendentemente dalla crescita della disuguaglianza, la crescita degli USA negli
anni Novanta è stata uguale a quella dell'Europa, molto al di sotto dei primi 25 anni dopo
la seconda guerra mondiale, e molto minore di quella degli anni durante la guerra in
un’economia
gestita
dallo
Stato.
Allora: come può un quadro convenzionale come questo essere tanto radicalmente
diverso? Come mai fatti così controversi? La risposta è semplice. Per una piccola parte
della società gli anni Novanta sono stati davvero anni di un boom economico e questo
settore include quelli che danno a tutti gli altri la meravigliosa notizia.
E in realtà non possono essere accusati di essere disonesti, leggono tale notizia ad ogni
momento sui giornali che scrivono sulla base della propria esperienza personale. Ciò è
vero anche per le persone con cui si riuniscono attraverso i circoli universitari e le
conferenze d'élite come quella che i Magi ora stanno frequentando a New York o nei
ristoranti eleganti dove si divertono. È soltanto il resto del mondo che è diverso da loro.
La globalizzazione è precedente alla prima guerra Mondiale. Allora era molto più ampia
che oggi. Per esempio, era molto più diffusa quella che Smith chiamava la libera
circolazione della mano d'opera. Il caso più drammatico che posso citare è il flusso di
capitale finanziario speculativo a breve termine che va ben oltre a qualsiasi fatto
precedente. Questa differenza fra la globalizzazione di oggi e quella del passato rivela
caratteristiche essenziali della versione contemporanea della globalizzazione: il capitale è
la
priorità,
il
popolo
è
qualcosa
di
incidentale.
I confini tra gli USA e il Messico sono artificiali, come del resto tutti i confini, sono risultato
di conquiste. I confini sono stati militarizzati dal governo. Clinton, per impedire la libera
circolazione della mano d'opera ha indebolito il libero commercio, nel senso classico del
termine, e ciò è stato importante per gli effetti del miracolo economico in Messico che ha
portato
al
disastro
la
maggior
parte
della
popolazione
messicana.
Il flusso di capitale è stato accelerato ancor di più. Due terzi del commercio oggi sono
gestiti da tiranni privati. Una misura più tecnica della globalizzazione è la convergenza in
rapporto al mercato globale: prezzo unico e salario unico. Certamente ciò non è ancora
avvenuto,
rispetto
al
reddito
sta
succedendo
il
contrario.
La disuguaglianza sta aumentando in diversi paesi e dentro ai paesi, noi ci aspettiamo che
continui l'aumento della disuguaglianza. La comunità di informazioni degli USA insieme a
esperti e accademici recentemente ha divulgato una relazione in cui rivelano le loro
aspettative per i prossimi 15 anni: l'evoluzione della globalizzazione sarà segnata da
volatilità finanziaria cronica e una divisione economica mondiale sempre più grande. Ciò
significa, meno convergenza e meno globalizzazione in senso tecnico, più globalizzazione
in senso dottrinario del termine e la volatilità finanziaria significa crescita più lenta, più
crisi,
più
povertà.
È esattamente in questo momento che abbiamo chiara la connessione stabilita tra
globalizzazione voluta dai cosiddetti Signori dell'Universo e la probabilità di guerra. Il
motivo è che gli esperti militari usano queste previsioni e hanno spiegato bene che questa
aspettativa sta dietro alla grande espansione degli armamenti, addirittura prima dell'11
settembre.
Vediamo che c'è una grande celebrazione della democrazia nell'emisfero, tuttavia un'altra
prospettiva dimostra che non è proprio così. Negli USA, i leaders delle aziende dicono che
bisogna imporre alla popolazione una filosofia di futilità perché ci sia una concentrazione
dell'attenzione umana in cose superficiali, cose che vanno di moda, beni di consumo; la
gente riceve bene queste idee e si dimentica di pensare su come gestire la propria vita e
finisce per lasciare in mano a questi grandi maghi le decisioni riguardo al suo futuro.
Questa lotta per imporre il regime assumerà molti volti, ma non finirà finché ci sarà una
concentrazione grande del potere di decisione. Quindi possiamo aspettarci che questi
Signori dell'Universo sfruttino qualsiasi opportunità - soprattutto quando sentono la paura
delle popolazioni come nell'11 settembre - ma possiamo non accettare queste ragioni e chi
ha a cuore il futuro dell'umanità può prendere una strada diversa. La lotta popolare contro
la globalizzazione basata sui diritti degli investitori, soprattutto nel Sud, sta influenzando la
retorica di questi Signori dell'Universo che sono spaventati. Questi movimenti non hanno
precedenti come scopo, come solidarietà, come ampiezza. Le riunioni come questa di oggi
sono estremamente importanti, il futuro è in mano a quelli che fa nno questi movimenti e
non dobbiamo sottovalutarli”.