“fuga” degli infermieri dai Paesi poveri
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“fuga” degli infermieri dai Paesi poveri
Attualità / Immigrazione Il fenomeno dell'immigrazione investe anche i sistemi sanitari, con migliaia di infermieri che abbandonano i Paesi poveri per cercare altrove condizioni di lavoro e di vita più sicure e gratificanti La “fuga” degli infermieri dai Paesi poveri di Ester Maragò L e donne rappresentano la metà dei migranti nel mondo: ben 95 milioni su 191. Un popolo che dall’Asia, dall’America Latina, dai Caraibi e dall’Africa si sposta verso l’Europa, l’America del Nord ed i Paesi del Golfo dando vita ad fenomeno non solo imponente, ma anche preoccupante. Molte di loro, infatti, sono impegnate nel campo sanitario, e la loro “fuga” verso i Paesi industrializzati provoca ripercussioni particolarmente negative sui fragili sistemi sanitari dei Paesi poveri. Basta pensare che solo dall’Africa sono emigrati circa 20mila infermieri e medici altamente qualificati e la penuria di personale sanitario è diventata quindi un vero dramma. A descrivere i contorni di uno dei fenomeni più rilevanti del terzo millennio, quello delle migrazioni internazionali, è il Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2006 del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), la cui edizione italiana è curata dall’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos). Il Rapporto parla chiaro: l’enorme richiesta internazionale di infermiere incoraggia sempre più donne a emigrare. Tant’è che più di una infermiera su quattro, tra specializzate e generiche, impiegate nelle maggiori città degli Stati Uniti è nata all’estero. Praticamente tutte le infermiere formate all’estero che lavorano nel Regno Unito provengono da Africa, Asia e dalla penisola indiana. Addirittura, tra il 1998 e il 2004, il numero delle infermiere di nuova iscrizione provenienti dall’Africa è quadruplicato. In particolare la necessità di emigrare è par- ticolarmente sentita tra il personale sanitario che vive nelle regioni più duramente colpite dall’Hiv/Aids: il 68% in Zimbabwe, e il 26% in Uganda. Nel 2000, le infermiere che hanno lasciato il Ghana sono state il doppio di quelle diplomate, e due anni dopo il ministero della Salute ha denunciato una carenza di personale del 57% rispetto al fabbisogno nazionale. Nel 2003, Giamaica e Trinidad-Tobago hanno dichiarato una carenza di infermieri rispettivamente del 58 e del 53%. Insomma, mentre i Paesi ricchi si affannano a soddisfare la domanda, quelli poveri devono fare i conti con sistemi sanitari prossimi al collasso, carenti di finanziamenti, forniture di base e attrezzature. Molti di questi Stati non si avvicinano nemmeno lontanamente alla percentuale minima di 100 infermiere ogni 100mila persone raccomandata dall’Oms. Nella Repubblica Centrafricana, in Liberia e Uganda la quota è meno di 10 infermiere per 100mila persone, a fronte di oltre 2mila infermieri per ogni 100mila persone nelle nazioni più ricche (Finlandia e Norvegia). In Europa la percentuale media è dieci volte superiore a quella dell’Africa e del Sud Est Asiatico. Soprattutto, l’esodo annuale di 20mila infermiere altamente specializzate e di medici dall’Africa sta aggravando una situazione già drammatica in un’area devastata dalle malattie, dall’Hiv/Aids, e dalla tragica realtà per cui una donna su sedici rischia di morire di parto. Ma quali sono i motivi che spingono le infermiere a migrare? Innanzitutto un carico di lavoro eccessivo, cui fa da contro altare una remunerazione insufficiente. Ci sono poi le scarse opportunità di promozione, la mancanza di supporto gestionale ed i pessimi rapporti di lavoro. E il quadro peggiora ulteriormente per chi rimane: infatti, il flusso ininterrotto di colleghi che partono aggrava non solo le disparità già esistenti, ma contribuisce a peggiorare il morale del personale rimasto. Il flusso massiccio di infermiere diplomate, ostetriche e medici dai Paesi più poveri a quelli più ricchi diventa quindi, sottolinea il Rapporto, una delle sfide più difficili poste oggi dalla migrazione internazionale. Anche perché, per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite e ridurre l’Hiv e la mortalità materna e infantile entro il 2015, l’Africa Sub-Sahariana avrà bisogno di un altro milione di operatori sanitari, tra cui 620mila infermiere. Comunque, alcuni Governi non sono rimasti a guardare e stanno attuando misure atte ad arginare il fenomeno. Il ministero della Salute della Gran Bretagna, solo per citarne uno, ha emanato nel 2004 un nuovo Codice deontologico che limita l’assunzione di infermiere dai Paesi in via di sviluppo, a meno che non vi sia un accordo ufficiale con il Paese di origine. E le associazioni professionali stanno studiando soluzioni per uscire dall’impasse salvaguardando al contempo la libertà di movimento, in quanto il flusso migratorio del personale infermieristico è uno dei pochi che offre alle donne opportunità di occupazione e stipendi dignitosi. Difficilmente, però, le misure che si stanno attuando riusciranno a rallentare la richiesta di personale. Infatti, secondo le stime dell’Oms, entro il 2008, la Gran Bretagna avrà bisogno di 25mila medici e 250 mila infermiere/i in più rispetto al 1997. Il Governo degli Stati Uniti prevede che entro il 2020 occorrerà coprire oltre un milione di posti di lavoro infermieristici, mentre Canada e Australia calcolano, per i prossimi quattro o cinque anni, una carenza di personale rispettivamente di 78mila e 40mila unità. Tirando le somme le prospettive per il futuro sono tutt’altro che confortanti. L’infermiere 7/2006 7