La grande scommessa - La scheda del film

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La grande scommessa - La scheda del film
BRESSON APERTO 2016
Brugherio
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Martedì 27 settembre 2016 ore 21.15
“I film che parlano di finanza ed economia hanno tutti delle atmosfere molto austere, e per
quanto siano fatti molto bene, non rendono realmente l’idea di quello che succede in quelle
stanze. Invece volevo stare addosso ai miei personaggi, sentire la loro adrenalina quando sono
attaccati al telefono e quando scoprono la truffa che si sta perpetrando ai danni dell’America”.
Adam McKay, il regista
LA GRANDE SCOMMESSA
di Adam McKay con Brad Pitt, Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carell, Marisa Tomei
USA 2015, 130’
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(…)questa è una commedia seria, o forse
addirittura una tragicommedia, sull'avventura di
quattro broker, sorta di outsider genialoidi che,
prevedendo a tempo debito la catastrofe finanziaria
del 2008, decidono di scommettere contro il
mercato dei mutui a rischio. Non essendo tuttavia né
corrotti né completamente cinici, il piacere di aver
visto giusto e di aver guadagnato somme
stratosferiche verrà in loro contro-bilanciato dallo
sgomento di assistere alla strage economica di
milioni di innocenti.
Il film si basa sulle persone e i fatti veri raccontati
dal giornalista Michael Lewis in 'The Big Short:
Inside the Doomsday Machine' - libro che nel 2010
è restato 28 settimane nella lista dei bestseller del
'New York Times'.(…) Anche sceneggiatore con
Charles Randolph, McKay trae spunto dalla pagina con ritmo ed energia(…)mostrandoci gli stravolti meccanismi
finanziari (e l'avidità, la stupidaggine, l'irresponsabilità) che hanno portato il sistema al collasso.
Gli interpreti, fra cui spicca un malmostoso, fantastico Carell, caratterizzano felicemente i rispettivi personaggi,
giocando anche d'improvvisazione: e si ride come di fronte a un teatro dell'assurdo, ma è un riso amaro che sboccia
dall'indignazione e dalla consapevolezza di una coscienza morale oltraggiata. Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa
E' un grande film per tre motivi: quel che racconta, come lo racconta e, osiamo, perché lo racconta. Quali sono state le radici del
collasso del mercato globale nel 2008? Lo vediamo attraverso gli occhi (undici) di sei addetti ai lavori che ne fiutarono le avvisaglie e
agirono di conseguenza, arricchendosi parecchio. L'apripista è Michael Burry (Christian Bale, super), (...) il banchiere fighetto di
Deutsche Bank Jared Vennett (Ryan Gosling, perfetto), (...) l'irascibile, abile e cazzuto Mark Baum (Steve Carell: 'Foxcatcher' non fu
un caso, che attore!) (...). Infine, gli ultimi tre cavalieri di questa apocalisse finanziaria: dal Colorado i giovani Charles Geller (John
Magaro) e James Shipley (Finn Wittrock) (...) e il loro passepartout Ben Rickert (Brad Pitt) (...). Sono loro i nostri eroi, ma - è una
delle grandezze del film - McKay non lavora sulla immedesimazione, nei fatti impossibile, dello spettatore e nemmeno sull'empatia,
che spetta al solo Baum/Carell.
Veniamo, appunto, a come The BigShort racconta queste vicende: Vennett /Gosling a far da narratore e guardarci in camera,
intromissioni di star quali Margot Robbie e Selena Gomez che provano a spiegarci operazioni e termini finanziari a mo' di tutorial,
macchina da presa in costante e spesso frenetico movimento, riempitivi di 'found footage' (la tecnica di presentare un film come una
serie di filmati ritrovati e testimonianze) per abbassare la tensione narrativa e, in primis, cognitiva, tutto concorre a una narrazione
iperrealistica, quasi extraterrestre, che si attaglia perfettamente all'universo per noi alieno e incomprensibile della finanza. Vi girerà la
testa, e potrebbe girarvi qualcos'altro, ma questo è il - migliore - cinema americano: indagare, informare, denunciare (le
responsabilità degli organi di controllo governativi furono enormi) e, sperabilmente, far capire.
Federico Pontiggia - Il Fatto Quotidiano
Incalzante e brutale, solo se appunto non ci si lascia troppo intimidire da un linguaggio apparentemente riguardante
i giochi perversi di un manipolo di addetti, il film spiega cose che hanno pesantemente toccato la vita di milioni di
persone.
Paolo D'Agostini - La Repubblica
La grande scommessa ci tiene con il fiato sospeso raccontandoci un meccanismo perverso, nel quale tutti
giocano sulla pelle dei risparmiatori: protagonisti tre diversi gruppi di analisti che sin dal 2005 intuiscono che il
sistema non potrà reggere, e a dispetto di chi gli ride dietro, agiscono prevedendo il collasso del castello di
carte, diventando ricchissimi al crollo. Quella è la “grande scommessa” del titolo, quella contro il sistema
economico corrotto e pronto ad implodere, travolgendo i risparmiatori. Il modo in cui lo fanno, resta
francamente un mistero per gli spettatori non economisti, i dialoghi serratissimi infatti diventano talvolta
incomprensibili, eppure si resta inchiodati alla poltrona, perché al di là del linguaggio tecnico, il film ci svela il
funzionamento della macchina dalla quale dipendiamo tutti. Eroi? Decisamente no, visto che dietro i loro profitti
ci sono i cittadini sul lastrico. Eppure si fa il tifo per loro, grazie al cast, coro di solisti che non sbaglia una nota:
Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carell sempre più bravo in ruoli drammatici, Brad Pitt. Star trasformate da
parrucche e trucco, talvolta platealmente, e che – soprattutto nei personaggi di Pitt e Carell – si interrogano su
cosa c’è dietro i numeri: case, lavoro, vita. La questione finanziaria si fa morale, e l’happy end non c’è.
Miriam Mauti – cinematografo.it
(...) ritmo frenetico (...), tono da delirante commedia
cameratesca (il bravo regista viene da ottimi demenziali con
maschi idioti allo sbando come la saga 'Anchorman'), icone
pop pronte a spiegare guardando nell'obiettivo astrusità
economiche (geniale Margot Robbie di 'The Wolf of Wall
Street' che ci chiarisce gli interessi delle banche nei mutui
mentre è mezza nuda in vasca) e un cast pazzesco (...). A
volte testosterone e comicità di testa vanno a braccetto. Ne
esce fuori un film forse ancora più drammatico perché
estremamente comico. L'Altman di 'M.A.S.H.' avrebbe
apprezzato. (...) Nessun film aveva raccontato finora così
bene la crisi finanziaria del 2008: né l'ottimo doc 'Inside Job'
né il volenteroso dramma morale 'Margin Call'. Ci voleva un
cineasta proveniente dalla commedia di pancia per
descrivere un universo di maschi in grado di distruggere ridendo l'economia dell' Occidente.
Francesco Alò - Il Messaggero
Ci sono film che non si amano, ma si ammirano. È questa la sensazione che ci accompagna nel raccomandare
attenzione per "La grande scommessa", una farsa acida, cinica, a tratti sguaiata e grottesca incentrata sugli annessi e i
connessi della spaventosa crisi che devastò Wall Street nel 2008 e ancora oggi minaccia la stabilità anche politica
mondiale. Non siamo ai livelli di "The Wolf of Wall Street" di Scorsese, però l'ex sceneggiatore del 'Saturday Night Live'
McKay ha congegnato un meccanismo formidabile di decostruzione stilistica: spezzoni di finto documentario, siparietti
con gli attori che parlano in macchina, dialoghi svalvolati, show storici che sembrano deliri personali e viceversa,
insomma un mega-mix immerso in un magma tutt'altro che serioso e moralistico eppure estremamente illuminante
sulle logiche dell'idra finanziaria nutrita da un establishment pervertito ben al di là della famigerata truffa dei
subprime. La vera storia di un gruppetto di esilaranti 'mostri' americani (…) che si lanciano nel progetto
apparentemente folle di scommettere sul default lascia un sapore spiazzante sul piano narrativo, ma davvero
strepitoso su quello della satira.
Valerio Caprara - Il Mattino
Verboso e nevrotico, il film di McKay è anche punteggiato di alcune riuscite trovate autoironiche, quali la scelta di
lasciare le spiegazioni più tecniche a Margot Robbie o Selena Gomez, riprese in contesti vergognosamente
deputati al lusso e al piacere, e interpellate col loro nome, "bucando" così la parete della mezza finzione per
sconfinare comunque in un altro artificio.
Alla fine dei conti, però, l'affondo che porta il film alla vittoria, riporta il castello di carte ad un terreno di scontro
umano e comune: alla scelta personale che Baum/Carell è obbligato a compiere al termine della sua crociata e
all'epilogo storico e giuridico della grande truffa delle banche. Un epilogo onesto e amaro, in cui il tasso variabile
che oscilla più spaventosamente non è quello del mutuo ma della morale.
Marianna Cappi – Mymovies
La grande scomessa ha un ritmo nervoso e incalzante,
si apre con la citazione di Mark Twain (Non è ciò che
non sai che ti mette nei guai. È ciò di cui sei sicuro che
non è come credi) poi salta dalla fine degli anni ’70 fino
al 2005 con una successione inarrestabile tra Reagan, i
Blues Brothers, Top Gun fino ad arrivare a Selena
Gomez che spiega che cos’è un CDO sintetico.
Quasi le forme di un mockumentary ma è tutto vero.
Dalla storia reale alla base, dal best seller di Michael
Lewis da cui è tratto. (…)Ma La grande scommessa,
titolo italiano di The Big Short (letteralmente “il grande
scoperto”) che rende alla perfezione un film dove dietro
la sua iniziale, vistosissima, densità di immagini che
creano un volume spropositato, si apre come una
voragine, ha qualcosa del film catastrofico. (…) Le
immagini degli uffici vuoti, delle famiglie in miseria sfrattate dalle loro abitazioni sembrano filmate come se fosse la conseguenza del
naufragio di una nave o di un incidente aereo. Con gli effetti devastanti dei titoli di coda: 8 milioni di persone che hanno perso il
lavoro e 6 la casa. E questo solo negli Stati Uniti. Ma sono anche i rumori che lo fanno progressivamente esplodere: cellulari, avvisi
di mail, vibrazioni dettano quasi una sottotraccia sonora. Che può amplificarsi con Michael/Bale scatenato alla batteria, quasi
metafora di un paese a cui sta crollando la terra sotto i piedi. Oppure quell’assordante silenzio. Come quello, presente a livello
extradiegetico, del rumore di un disco che è finito ma continua a girare come se si fosse incantato. Come incantato, paralizzato è La
grande scommessa. Quella che Adam McKay e il suo cast hanno vinto alla grande.
Simone Emiliani – Sentieri selvaggi