La parola che viene dal teatro: la poetica di Mariangela Gualtieri
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La parola che viene dal teatro: la poetica di Mariangela Gualtieri
Atlante digitale del '900 letterario www.anovecento.net La parola che viene dal teatro: la poetica di Mariangela Gualtieri luogo al poetico e che agevola l’accadere all’interno del testo. L’autrice non dimentica però che all’interno del testo è importante “risparmiare fiato”. Bisogna infatti riuscire ad allungare e ad accorciare con consapevolezza le parole che hanno l’importante compito di dare vita al testo. Risparmiare infatti il fiato permette di alleggerire e rilassare il testo per poi arrivare ai punti salienti, permettendo all’autore di coinvolgere con più enfasi il lettore, prendendolo alla sprovvista con un’efficace effetto-sorpresa. In questa tecnica è evidente il portato dell’esperienza teatrale dell’autrice. Mariangela Gualtieri si distingue dagli a u t o r i c o n t e m p o ra n e i p e r l a s u a originalità. Il suo modo di esprimere questa originalità l’ha resa celebre come una poetessa che non delude mai, capace di sorprendere il lettore con le sue novità. L a s u a p a ro l a è p o e t i c a m e n t e e fatalmente efficace sebbene sia “semplice”. Nelle sue opere, parole elementari quali “cielo”, “amore”, “silenzio”, “mistero”, “pane”, si rinnovano e vibrano di un significato rinnovato. Il suo linguaggio nasce continuamente, grazie alla grande forza rigeneratrice che possiede. La sua scrittura coinvolge il lettore e ne richiede l’attenzione, trasmettendogli la bellezza nascosta tra le pause, i silenzi, l’alternanza di versi lunghi e brevi di cui si compone questa poesia. Una poesia che contiene un dono: ha la qualità di “accadere” e “far accadere”. L’autrice è dunque capace di creare nella mente del lettore un mondo che nasce dalla sua poesia, tanto da spingerlo a porsi domande e a proiettarsi nei suoi testi. E a sostenere questo dono interviene la voce. La voce è lo strumento che dà Analisi e commento di «Per te bambina mia» Per te bambina mia Bambina mia, Per te avrei dato tutti i giardini del mio regno, se fossi stata regina, fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma. Tutto il regno per te. E invece ti lascio baracche e spine, polveri pesanti su tutto lo scenario battiti molto forti palpebre cucite tutto intorno.Ira nelle periferie della specie. E al centro ira. Ma tu non credere a chi dipinge l’umano come una bestia zoppa e questo mondo come una palla alla fine. Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e di sangue. Lo fa perché è facile farlo. Noi siamo solo confusi,credi. Ma sentiamo. Sentiamo ancora. www.anovecento.net Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci di amare qualcosa. Ancora proviamo pietà. Tocca a te,ora, a te tocca la lavatura di queste croste delle cortecce vive. C’è splendore in ogni cosa. Io l’ho visto. Io ora lo vedo di più. C’è splendore. Non avere paura. Ciao faccia bella, gioia più grande. L’amore è il tuo destino. Sempre. Nient’altro. Nient’altro. Nient’altro Da Paesaggio con fratello rotto, Luca Sossella Editore, Roma, 2007. Quale regno lasceremo ai nostri figli e agli sventurati posteri? Un regno di “baracche e di spine”? O siamo ancora in grado di provare emozioni? Le notizie che provengono dal mondo sconvolgono tutti e fanno sprofondare tutti in un abisso profondo. Si vive in un mondo violento e pericoloso, in cui le parole “speranza” e “futuro” rimangono solo belle parole a cui si stenta a credere. E per quei giovani che ci credono ancora, le tragedie quotidiane rappresentano il crollo delle certezze e sicuramente sono fonte di grande paura. È la stessa paura che i genitori hanno per i propri figli, anime innocenti a cui verrà consegnato un mondo in questo stato. C’è da vergognarsi di questa realtà che lasceremo ai posteri: è questa la frase che sentiamo ripetere più o meno ogni giorno. Ma che cosa, allora, tiene gli uomini ancorati a questa vita tragica e desolante? Mariangela Gualtieri, nella raccolta poetica Fuoco centrale, e in particolare nella poesia Per te bambina mia, ha cercato di dare una risposta a questo interrogativo. Il tema predominante della poesia è, infatti, il recupero della speranza in un mondo che dipinge l’umano come una «bestia zoppa» e l’oggi come «una palla alla fine». L’autrice esorta dunque, con i modi tipici dell’esortazione, come le continue ripetizioni (anche in posizione di anafora), un’ipotetica figlia a non credere a chi «dipinge tutto di buio» in quanto “c’è splendore in ogni cosa”. Sarà ancora una volta la bellezza a salvare il mondo, dal momento che solo la ricerca dello splendore fa ritornare uomini, riconcilia con quello che sta intorno, anche se significa dolore e spine. Non è vero che l’uomo è una “bestia zoppa” […] siamo ancora capaci di amare qualcosa, / ancora proviamo pietà”. Anche nel fallimento e nella desolazione si può trovare il proprio “Graal”. Proprio come i c a va l i e r i d e l l a t a vo l a r o t o n d a , è necessario penetrare nella foresta più fitta e perdersi nel suo interno per capire che siamo ancora capaci di raggiungere l’oggetto desiderato, noi stessi, la nostra umanità. Dalla poesia emerge lo sforzo della voce poetica che vuole vincere la paura. Sarebbe semplice fare pressione sui lettori affinché mollino le briglie e si abbandonino a una visione buia delle cose, come succede quotidianamente attraverso le strumentalizzazioni delle www.anovecento.net tragedie da parte del politico di turno e dei media, anziché avere il coraggio di provare ancora a crederci, ma l’autrice non ci sta e con la forza di un proclama, sostenuto dalla continua ripetizione, sostiene che “siamo solo confusi […] ma sentiamo. Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci di amare qualcosa”. Il destino umano è quello di amare. Dunque la poesia di Mariangela Gualtieri è un invito ad affrontare la palude plumbea che oscura le nostre giornate, sfidando i limiti del pessimismo e della sfiducia. Contributo: Giulia von Siebenthal, Elena Campo, Maria Felicita Mucci (Istituto S. Orsola, IV Liceo classico, Roma) www.anovecento.net