Recensioni JACK FRUSCIANTE E` USCITO DAL GRUPPO di

Transcript

Recensioni JACK FRUSCIANTE E` USCITO DAL GRUPPO di
20
Recensioni
Libri
JACK FRUSCIANTE E’ USCITO DAL GRUPPO di Emanuel Castellarin 4H
Scritto nel 1994 da un Enrico Brizzi allora diciannovenne, “Jack
Frusciante è uscito dal gruppo” divenne presto un libro cult per gli
adolescenti degli anni Novanta e rimane ancor oggi molto amato
tra i giovani: in fondo, dieci anni non sono tanti e per molti aspetti
questo libro potrebbe essere stato scritto molto meno tempo fa.
Ambientato nel 1992 a Bologna, ha per protagonista il liceale
Alex, diciassettenne che si definisce “skazzato tardoadolescente“. Ad Alex piacciono il ciclismo, la poesia e la musica: una fittissima rete di riferimenti ai gruppi rock più importanti degli Ottanta
e dei Novanta contestualizza la vicenda in un background al crocevia tra diversi generi musicali. La colonna sonora ideale degli
eventi, per la gioia degli appassionati, è costituita da un potpourri di punk alla Ramones e alla Clash, ma anche rock dei Red Hot Chili
Peppers, dei Cure e dei
Velvet Undergruond, softrock degli Housemartins,
musica irlandese dei Pogues e ska degli Specials
e dei Madness. C’è da
farsi una cultura in merito.
Ma soprattutto ad Alex
piace Adelaide, detta Aidi,
e si può dire che il libro
parli innanzitutto di una
storia d’amore. Una strana
storia d’amore, dal momento che Alex e Aidi non
stanno insieme, una sorta
di amore platonico in cui
conta più che altro il bene
velle in senso catulliano,
una relazione che secondo
Alex “è una storia che nel
cinema non avrebbe funzionato”. In realtà credo
che oggi una storia del genere non possa non piacere, sia su
carta sia sullo schermo cinematografico, tant’è che dal libro è
stato tratto un film con Stefano Accorsi.
Ciò che nobilita il libro è il fatto che fortunatamente non scade
mai nel sentimentalismo. Lo stile (abilmente l’autore alterna la
narrazione di un narratore di secondo grado con quella diretta di
Alex), la lingua (viene utilizzato con originalità un gergo giovanile
in buona parte ancora utilizzato), le stesse atmosfere rassicurano
continuamente il lettore: non siamo in un romanzo romantico
dell’Ottocento, ma in un romanzo recente, verosimile e che presenta problemi, situazioni e pensieri molto vicini a quelli degli
adolescenti di oggi. Proprio per questo “Jack Frusciante è uscito
dal gruppo” è stato ed è tanto popolare tra adolescenti e giovani.
Alex non è certo un eroe, ma un ragazzo come tanti, alle prese
con le crisi tardoadolescenziali che seguono “il giro di boa dei
sedici anni e mezzo”. Una buona dose di immedesimazione è
assicurata, anche se a volte i riferimenti sono a luoghi e ambienti
precisi, quelli di una Bologna giovane e vivace.
Ma questo romanzo non è soltanto narrazione di verosimili vicende personali: è anche riflessione sulla società vista con gli occhi
di un adolescente che sta lentamente diventando adulto. Alex
vive una crisi anche nel rapporto con la società nel suo complesso, si ribella agli schemi che fino a poco tempo prima aveva ritenuto validi, quelli delle persone che si considerano e sono considerate perbene, rifiuta ogni ipocrisia, parte in pratica alla ricerca
di sé stesso.
Qui il cerchio si chiude: la particolare storia d’amore con Aidi è
proprio un mezzo di questa ricerca e nella valorizzazione del
rapporto tra i due si crea un’alternativa alle regole che entrambi,
in un modo o nell’altro, rifiutano. O meglio, il cerchio si chiude
solo dal punto di vista concettuale, perché la vicenda rimane
senza un particolare scioglimento, né uno scontato lieto fine
(meno male, avrebbe rovinato tutto): Aidi va per un anno in America in scambio culturale, Alex ha trovato una certa serenità, ma
non c’è quella che in un film potrebbe essere un’ideale scena
conclusiva, magari un interminabile bacio holliwoodiano.
Sicuramente molti avranno già letto “Jack Frusciante è uscito dal
gruppo” e tra chi non l’ha letto alcuni ne avranno sentito parlare,
probabilmente bene, forse senza capire che legame ci sia tra le
vicende e il titolo. Il titolo, in effetti, è un po’ fuorviante (allude al
musicista dei Red Hot Chili Peppers che, proprio nel 1992, lasciò
il gruppo in un momento di grande successo, come anche Alex
abbandona le convenzioni che gli avevano dato sicurezza per
andare alla ricerca della propria personalità), ma anche questo fa
parte delle caratteristiche del libro: intitolarlo “Le avventure di
Alex” o in maniera simile sarebbe stato ridicolo, ben più adatto a
un personaggio come Gianburrasca o Pinocchio che a un adolescente che sta diventando adulto.
Secondo me questo è un libro da leggere finché si è in tempo.
Dubito che per un quarantenne con la pancetta e l’auto in garage
possa avere tutto il fascino che ha per un ragazzo della nostra
età. Tanto più che si tratta di un libro breve, ben scritto e coinvolgente, quindi estremamente indicato per la lettura. Già dalle prime pagine ci si accorge che, chiuso il libro, si ha qualcosa in più
di quando lo si è aperto.
Musica
Intervista agli Hyperion di Emanuel Castellarin 4H
Un marinelliano, uno studente del Copernico, uno dello Stellini ed
uno dello Zanon, 75 anni in quattro: ecco gli Hyperion, uno dei
non moltissimi gruppi musicali giovanili udinesi, nato nel 2002
come “Lymph”, con cui vi proponiamo un’intervista. Emanuel
Castellarin ha fatto una chiacchierata con Enea (marinelliano
doc, attualmente in 4H, bassista), Leonardo (ex marinelliano ora
al Copernico, batterista), Daniele (voce e chitarrarista, dello Stellini) e Denis (anche lui ex marinelliano, secondo chitarrista).
Domanda: Da quanto tempo suonate assieme? Quanto a
lungo avete intenzione di suonare assieme?
Risponde Leo: Io Denis e Daniele suoniamo insieme da circa due
21
Intervista agli Hyperion di Emanuel Castellarin 4H (continua da pag.18)
anni. Enea si è unito al gruppo un anno e mezzo fa. Per quanto
riguarda il futuro abbiamo intenzione di continuare a suonare
finché sarà possibile anche in relazione alle diverse strade che
ognuno di noi prenderà una volta finito il liceo.
D: Cosa vi ha spinti a fondare un gruppo? Suonate per semplice
divertimento o avete anche altri obiettivi? Credete che la musica
abbia un significato “sociale” e possa essere usata per lanciare
messaggi, oppure sia principalmente un hobby?
R: Il progetto è nato per gioco. Il sabato ci riunivamo a casa di
Daniele e suonavamo con strumenti rudimentali; poi c’è stato il
salto di qualità dovuto non solo ai mezzi più costosi ma anche ad
un maggiore coinvolgimento da parte di tutti i membri della band.
Gli obbiettivi ovviamente si sono formati con il formarsi del gruppo. Si può dire che in questi ultimi due anni siamo cresciuti notevolmente e ogni volta che ci riuniamo per provare scopriamo che
il nostro interesse per il mondo della musica si è evoluto. La musica è prima di tutto un hobby, ma non nel senso più futile del
termine. Noi suoniamo perché ci fa stare bene insieme. Esprimere le proprie emozioni e le proprie idee in una canzone non
significa soltanto inviare un messaggio al pubblico ma anche a
noi stessi. Quindi il divertimento e il benessere prima di tutto sono nostri; poi si innesca anche l’irrefrenabile voglia di comunicare
qualcosa a quelli che ci stanno intorno, per far sì che chi ci ascolta sia consapevole della nostra esistenza e di come vogliamo
gestire emotivamente il fatto di esistere.
D: Come definireste la vostra musica? A quali modelli vi ispirate?
R: In una parola la nostra musica è rock, con qualche sonorità
alternativa ma legata ancora al classico prototipo di canzone
pop. Le influenze sono parecchie e talvolta involontarie. La nostra musica e una sintesi di tutti i gruppi che ascoltiamo: Pearl
Jam, Muse, Queens of The Stone Age, System of A Down, Aerosmith … Ma sono presenti alcuni inserti di musica classica, di
pop e di jazz.
D: Parliamo del vostro nome: fino all’inizio di quest’anno vi chiamavate Lymph, poi vi siete ribattezzati Hyperion: cosa significano
per voi i nomi del vostro gruppo?
R: Sono molto importanti. Volevamo un nome particolare, che
non rispecchiasse tanto il genere o il contenuto delle canzoni,
bensì il nostro modo di vedere la musica e anche l’arte in generale.
D: Quali sono i temi dei testi delle vostre canzoni? Ci sono
argomenti a cui siete particolarmente affezionati?
R: Alcune canzoni sono nonsense; la maggior parte dei testi parla di persone o di oggetti della nostra fantasia, per lo più celati
nella vita reale, che riescono ad emergere solo attraverso la musica. Il tema più importante è quello onirico, dove si intrecciano
figure surreali, fatti
personali e di attualità.
D: Con quale frequenza e quanto a
lungo provate? Trovate difficile conciliare le prove con i vostri altri impegni?
R: Proviamo ogni
sabato pomeriggio al
Pàbitelé in via Fiume
13. Anzi approfitto di
questo spazio per
invitare i lettori di
Preludio a trascorrere un pomeriggio di
musica insieme a
noi. (Il posto è vicino
al Copernico. Per
ulteriori informazioni chiedete ad Enea (4^H)). Finora siamo sempre riusciti a conciliare la passione per la musica con lo studio
ma a volte ci capita di dover saltare qualche prova.
D: Finora quanti concerti avete fatto? Il più importante?
R: Ci siamo esibiti una decina di volte. Abbiamo anche partecipato al concorso Rock River Festival di Palazzolo dello Stella dove
siamo arrivati quarti.
D: Mi sembrano buoni numeri; quale e quanto numeroso è normalmente il vostro pubblico? Cosa si prova a suonare davanti a
tante persone? Vi sentite in un certo senso “responsabilizzati”, in
grado di lanciare messaggi,. o per voi è assolutamente indifferente suonare su un palco o provare?
R: La media del pubblico è di 60-70 persone ma nei concorsi ci
siamo esibiti anche davanti a più di 100 persone. Posso dirti che
il pubblico può anche essere composto da poche persone; il feeling è comunque molto forte. Non sentiamo una vera e propria
responsabilità quando ci esibiamo. Il messaggio dei testi può
anche non venir colto; l’importante è che le parole e la musica
insieme trasmettano qualcosa di intenso.
D: A quando il vostro primo concerto al Marinelli?
R: Appena ci offriranno lo spazio.
D: Credo che i rappresentanti di istituto ne terranno conto. Quali
saranno i vostri prossimi impegni e le prospettive del gruppo?
R: Ci siamo iscritti a Pagella Rock e stiamo aspettando l’esito
delle ammissioni. Quest’estate suoneremo alla Festa della Musica di Martignacco e parteciperemo al Rock River Festival di Palazzolo.
D: Avete già prodotto un CD?
R: Gli strumenti oggigiorno costano parecchio, ma soprattutto
costa registrare. Abbiamo inciso il nostro primo demo da soli,
noleggiando l’apparecchiatura. A Pasqua registreremo ancora. In
futuro speriamo di riuscire ad auto-finanziarci una registrazione in
uno studio “vero”.
D: Passiamo ad un argomento più generale: cosa pensate
dei gusti musicali dei nostri coetanei?
R: I ragazzi d’oggi non ascoltano musica classica e jazz. Non
sanno cosa si perdono.
D: Se poteste dare un consiglio a chi vuole fondare un gruppo musicale, cosa direste?
R: Di sentire molta musica e di creare un gruppo basato sulla
stima e sull’amicizia ma soprattutto avere qualcosa da dire.
D: Volete dire qualcosa di particolare ai lettori di Preludio?
Risponde Daniele: vorrei citare il testo di una nostra canzone
Feel the last pain
Feel the past or…kill the cant?
(Tratto da “Kill the Kant”, una delle migliori canzoni del gruppo,
anche se un po’ ermetica, n.d.r.).
22
Musica
Michael Bublè – Michael Bublè (genere: Swing) di Micio 5H
Questo venticinquenne canadese si sente molto l'erede di The
Voice, mi incanta con la sua aria da crooner, che è tutto ma non
demodè. Per chi non sa cos'è lo swing, sarebbe ora di iniziare ad
ascoltare.. pezzi classici, ottimamente scelti, di Frank Sinatra,
Van Morrison, George Michael, addirittura i Bee Gees! ricantati
nel 2003 con un'ensemble jazz per accompagnamento non sto-
nano per nulla. Un po' come aveva fatto qualche anno fa lo stesso George Michael con il bellissimo Songs From the Last Century, anche se quest'ultimo più intimista. Ascoltando il disco, c'è
chi si immagina giovani donne in cappotto giallo che danzano
(sotto la pioggia?) a ritmo sincopato, e sembrano felici di essere
comparse dagli anni '50 senza scolorire.
Agoria – Blossom (genere: Electro-house) di Micio 5H
Dietro a questo pseudonimo si nasconde Sebastien Devaud, un
promettente produttore (si perdoni la forte allitterazione) ovviamente francese (la sua origine infatti si tradisce dopo trenta secondi di ascolto del disco) che irrompe con questo suo primo LP
nella scena di avanguardia elettronica che dico europea, dico
internazionale! (vado fiero di queste affermazioni assolutamente
impopolari) Spinach Girl, il primo singolo è dominato da un groo-
ve piuttosto schizofrenico e il suo video è davvero svarione, peccato che circoli poco e ad ore tarde. Segnalo fortemente La 11ème Marche, già un classico della techno (brrr che paura la techno.. in realtà qui si tratta della vera techno che non ha nulla a
che spartire con certa musica che circola nella maggior parte dei
locali italiani).
Jet – Get Born (genere: Rock) di Micio 5H
Beh, che dire? Alzi la mano chi non ha mai sentito nemmeno una
volta Are You Gonna Be My Girl?, seconda traccia del disco! (se
non nella versione originale, almeno nella cover degli SpLeeN, sì
tina la prossima volta te la dedico...) mi gasano veramente tanto,
anche il resto del disco va di pari passo alla hit. Fico il batterista
col cappello dei Led Zeppelin, qualcuno però gli dica che John
Bonham, il batterista dei LedZep è morto di droga... Certo il cantante ha un po' di sfiga addosso, ma chi d'altronde non ne ha?
Bravi bravi. You Jet are kickin' ass!
Un'ultima raccomandazione: andate al cinema a vedere Coffee and cigarettes, potete trovarci dentro Benigni (e vabbè direte voi Benigni in un film sai che novità), ma anche due attoroni come Steve Buscemi (Fargo, Le iene) e Bill Murray (Ghostbusters, Groundhog
Day, Lost in translation), e nientepopodimeno che Iggy Pop, Tom Waits e i White Stripes, tutti facenti la parte di loro stessi! Spasmico!
Film
Pagella di Vigliani Luca 5B
Lost in translation
zzzz{
Commento nella recensione a pag. 21
Tutto può succedere
zz{{{
Commedia da noleggio, con qualche buona
battuta.Unico barlume più che rilevante è un
Jack Nicholson superlativo nella recitazione.
21 grammi
zzzz{
Gran parte girato con cinepresa a mano, e un
cast incredibilmente adatto e capace. La storia
è molto triste, ma è intrecciata magistralmente
dal regista messicano Iñarritu. Inquadrature
audaci ma efficaci
Il signore degli anelli
Il ritorno del re
zzz{{
La trasposizione cinematografica non poteva
essere migliore. Adatto ai fanatici e agli appassionati. Ottima realizzazione, ma risulta assente un tocco personale del regista P. Jackson.
E’ già ieri
zzzz{
Uno straordinario Antonio Albanese, protagonista e co-regista. Per chi lo sa apprezzare, è un
film stupendo, estremamente divertente, in
grado di trasmettere un sorriso difficile da eliminare. Storia originale, con sketch e battute
degne di un grande comico.
23
Film
Lost in Translation di Vigliani Luca 5B
Alla regia,un cognome d’eccezione: Sofia Coppola (Il Giardino
Delle Vergini Suicide); attore protagonista, una ritrovata
stella del cinema: Bill
M u r r a y
(GhostBusters, Ricomincio Da Capo,
Space Jam); attrice
protagonista,
una
promettente Scarlett
Johansson
(Ghost
World). le premesse
per un buon film ci
s o n o
t u t t e
(tralasciando la pessima traduzione del
titolo in italiano –
L’amore
tradotto-),
ma i concorrenti nelle
sale sono molti e
imperiosi: “Il ritorno
del Re”, “Underworld”
per citarne alcuni;
tutti filmoni dal budget importante, girati esclusivamente in digitale. Chi se la sentirebbe di rischiare la visione del film di una figlia d’arte, quando
può puntare sul sicuro e spendere i suoi soldi per vedere uno dei
suddetti? Ebbene “Lost In Translation” è in grado di tenere lo
spettatore incollato alla poltrona per tutto Il film più di un interminabile “Signore degli Anelli”; sia dal trailer che dalle recensioni
sui quotidiani, Lost In Translation dà l’impressione della solita
commediola, la cui trama racconta la solita storia dei soliti personaggi stanchi della loro solita vita, che si conoscono in un posto
insolito, e finisce (come al solito) a letto. Tutt’altro: la trama in sé
non rappresenta una vera e propria deviazione dal genere della
commedia, ma Sofia Coppola confeziona una storia lineare,senza tempi morti, e con una giusta bilancia tra comicità e
serietà. Bill Murray è Bob Harris, un attore diretto verso la fine
della carriera, che per guadagnare ancora si ritrova a girare spot
per whiskey in una spumeggiante e illuminatissima Tokyo. Nella
stessa città, nello stesso momento e nello stasso (lussuoso) albergo, Scarlett Johansson interpreta Charlotte, una giovane ragazza che segue il marito sposato due anni prima che di mestiere fa il fotografo. I protagonisti soffrono parallelamente di inson-
nia e di solitudine. Bob non trova la voglia di telefonare alla moglie, Charlotte non vede il marito neanche con la coda
dell’occhio. Allora il bar dell’albergo fa da teatro agli incontri dei
due; la settimana che passano insieme scorre velocemente tra
uscite notturne, visite della città e bevute al bar. Neanche lo spettatore più attento riesce a capire se tra i due sia nato amore, ma
entrambi ritrovano sé stessi, l’uno nell’altra, e trascorrono magnificamente quei giorni. Il momento di tornare alla normalità arriva
sempre, e quindi anche per loro, che a malincuore devono separarsi. Una frase sussurrata da Bob nell’orecchio della ragazza
però sospende la storia: solo la regista ( o forse neanche lei?) sa
cosa si siano detti, ma un pizzico di mistero rappresenta un perfetto finale per una storia leggera ma non superficiale, come
quella vissuta dai protagonisti.
La cinepresa si sofferma spesso sulle espressioni facciali di Bill
Murray, ed esse costituiscono buona parte del succo di questa
pellicola, che vede in questo attore un personaggio stanco, ma
capace di ritrovare, e far ritrovare il sorriso; lo fa con battute semplici ma efficaci, mai fuori luogo o inadatte, condite da un volto
funambolicamente spassoso, in grado da solo di prendere in giro
la società giapponese.
Scarlett Johannsson non è la solita modella che invece di recitare sfila. Nei sui occhi si legge la sua parte, recita sinceramente,
riempiendo l’interpretazione con un tocco personale, malinconico
ma voglioso di esplodere.
Oltre le parti comiche, sono presenti tocchi d’arte, come la proie-
zione de “La dolce Vita” di Fellini nella televisione giapponese,in
lingua originale -romana(!)-. Buona importanza ha anche il punto
di vista della metropoli: Inizialmente Tokyo sembra sovrastare
inesorabilmente i due personaggi, che la osservano entrambi con
lo stesso sguardo dal finestrino di un taxi. L’immagine della grande metropoli sembra affievolirsi col passare del tempo, come se i
protagonisti riuscissero insieme a prendere le misure dei grattacieli che li circondano, uscendo piano piano dal guscio insonne
che si erano creati. Fortuna o destino, non si sa, ma riescono
addirittura ad incontrarsi casualmente in pieno centro; o forse
sono realmente riusciti a dominarla quell’oppressione che inizialmente li limitava.
Mai banale e mai sdolcinato, è un bel lavoro di Sofia Coppola,
che non riuscirà certamente a passare sulle orme tracciate dal
padre, ma non è detto che non sia in grado lei di segnare nuovi
passi e più profondi, e l’oscar come “miglior sceneggiatura originale” ne è il primo. Ma un film non necessita di un oscar per trasmettere emozioni…