Arabia Saudita - amnesty :: Rapporto annuale

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DUEMILA
ARABIA SAUDITA
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sitare soltanto i campi profughi saharawi di Tindouf, gestiti dal Fronte Polisario, ma non
gli altri del paese.
Algeria: Investigate and prosecute attacks against women (MDE 28/002/2010)
Algeria: Release Malik Medjnoun (MDE 28/008/2010)
ARABIA SAUDITA
REGNO DELL’ARABIA SAUDITA
Capo di stato e di governo:
re Abdullah bin ‘Abdul ‘Aziz Al-Saud
Pena di morte: mantenitore
Popolazione: 26,2 milioni
Aspettativa di vita: 73,3 anni
Mortalità infantile sotto i 5 anni (m/f): 26/17‰
Alfabetizzazione adulti: 85,5%
Durante l’anno, oltre 100 persone sospettate di reati in materia di sicurezza erano in
carcere. Lo status legale e le condizioni carcerarie di migliaia di detenuti per ragioni di
sicurezza arrestati negli anni precedenti, tra cui prigionieri di coscienza, sono rimasti
avvolti nella segretezza. Almeno due prigionieri sono deceduti in custodia, presumibilmente a causa delle torture, e sono emerse nuove informazioni riguardanti i metodi di
tortura e altri maltrattamenti impiegati contro detenuti, in carcere per reati legati alla sicurezza. È proseguita l’imposizione e l’applicazione di pene crudeli, disumane e degradanti, in particolare la fustigazione. Donne e ragazze hanno continuato a subire
discriminazione e violenza, che in alcuni casi sono state riportate dai mezzi d’informazione. Sia cristiani che musulmani sono stati arrestati per aver espresso il loro credo religioso. Le forze saudite coinvolte in un conflitto nello Yemen del Nord hanno condotto
attacchi a quanto pare indiscriminati o sproporzionati e che hanno causato morti e feriti
tra i civili, in violazione del diritto internazionale umanitario. Lavoratori stranieri migranti
sono stati vittime di sfruttamento e abusi da parte dei loro datori di lavoro. Le autorità
hanno violato i diritti di rifugiati e richiedenti asilo. Almeno 27 prigionieri sono stati
messi a morte, un numero significatamente inferiore rispetto agli ultimi due anni.
CONTESTO
A febbraio, il ministro della Giustizia ha affermato che l’Arabia Saudita mirava a sviluppare un sistema giudiziario che incorporasse il meglio dei sistemi giudiziari degli altri
stati, inserendo tra le altre cose un efficace quadro legislativo contro il terrorismo e perRapporto annuale 2011 - Amnesty International
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mettendo alle donne avvocato di rappresentare clienti in tribunale relativamente a dispute
coniugali. Tuttavia, a fine anno, il sistema di giustizia continuava a essere in larga parte
avvolto nella segretezza. Il Consiglio anziano degli ‘Ulema ha emanato una fatwa (n. 239
del 12 aprile 2010) che ascrive a reato il “finanziamento del terrorismo”. Questa conferisce ai giudici la discrezionalità di imporre qualsiasi condanna, compresa la pena morte.
A maggio, il re ha ordinato la formazione di un comitato per snellire le procedure basate
sulla sharia (legge islamica) e controllare l’uso delle punizioni corporali; ciò nell’intento
di stabilire il limite di 100 frustate e di porre così fine alla discrezionalità dei giudici
che in alcuni casi aveva portato a condanne di decine di migliaia di colpi. A fine anno la
riforma non era stata ancora introdotta.
CONTROTERRORISMO E SICUREZZA
I detenuti per reati in materia di sicurezza erano oltre un centinaio e lo status legale di
altre migliaia di persone arrestate negli anni precedenti è rimasto poco chiaro e avvolto
nella segretezza.
A marzo, le autorità hanno affermato di aver arrestato negli ultimi mesi 113 sospettati di questi reati: 58
sauditi, 52 yemeniti, un somalo, un bengalese e un cittadino eritreo. Secondo quanto riferito, tra i 58
cittadini sauditi c’era una donna, citata con il nome di Haylah al-Qassir, arrestata a febbraio a Buraidah.
A detta delle autorità, tra i 113 c’erano membri di tre cellule armate che stavano pianificando attacchi violenti, scoperti dopo che due sospetti membri di al-Qaeda erano stati uccisi dalle forze di sicurezza nell’ottobre 2009, nella provincia di Jizan. Non sono state rivelate altre informazioni.
Il dottor Ahmad ‘Abbas Ahmad Muhammad, cittadino egiziano, è rimasto nel carcere di al-Hair, a Riyadh.
Non ci sono informazioni chiare sul suo status legale. Era stato arrestato poco dopo un attentato suicida
nel maggio 2003 a Riyadh, in cui morirono 35 persone. Secondo quanto riferito, era in viaggio dall’Egitto
verso l’Arabia Saudita per iniziare un lavoro in un centro medico.
Almeno 12 sospettati, arrestati negli anni precedenti, sono stati rilasciati a luglio, a
quanto pare dopo che le autorità avevano stabilito che non rappresentavano più una minaccia in quanto avevano partecipato a un “programma di riabilitazione”. A marzo, altri
10, che pare fossero ex detenuti di Guantánamo Bay rimpatriati in Arabia Saudita dalle
autorità statunitensi, hanno ricevuto condanne con sospensione della pena dai tre ai 13
anni e il divieto di uscire dall’Arabia Saudita per cinque anni. Non sono stati forniti altri
dettagli sul loro processo o sulle accuse di cui dovevano rispondere. Circa altri 15 cittadini sauditi sono rimasti in detenzione statunitense a Guantánamo Bay.
A giugno, il viceministro dell’Interno ha riferito al quotidiano Okaz che un gran numero di
detenuti era sotto processo e che ciascuno di loro avrebbe “avuto ciò che si meritava”; non
ha fornito altri dettagli. A settembre, fonti di stampa hanno fatto sapere che sarebbero stati
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istituiti tribunali formati da tre giudici, per processare gli imputati che dovevano rispondere
di reati capitali, mentre i tribunali con un solo giudice avrebbero processato altri imputati.
Le notizie suggerivano che questi tribunali stavano per diventare operativi a Jeddah, per poi
essere spostati a Riyadh. Il primo processo a carico di 16 imputati si è aperto a ottobre, in
un carcere di Jeddah; tra questi c’erano sette promotori di riforme politiche pacifiche, detenuti dal febbraio 2007. Il processo si è tenuto a porte chiuse e le autorità non hanno rivelato i precisi capi d’accusa; gli imputati non hanno avuto accesso agli avvocati.
Sulaiman al-Rashudi, un ex giudice, fu arrestato il 2 febbraio 2007 a Jeddah assieme ad altri promotori di
riforme e figurava tra i 16 imputati sottoposti a processo a ottobre. Nell’agosto 2009, attivisti per i diritti
umani avevano presentato istanza al collegio interno, un tribunale amministrativo, affinché il ministero
dell’Interno ne ordinasse il rilascio. Il ministero ha dichiarato che questo tribunale non era competente per
esaminare il caso poiché Sulaiman al-Rashudi era stato incriminato e il suo caso era già stato inviato al
tribunale penale speciale.
LIBERTÀ DI RELIGIONE
Decine di musulmani e cristiani sono stati arrestati in relazione al loro credo religioso o
per averlo professato. Membri della comunità musulmana sciita sono stati presi di mira
per aver tenuto incontri di preghiera collettiva, celebrato festività religiose sciite e perché
sospettati di infrangere le restrizioni relative alla costruzione di moschee e scuole religiose sciite.
Turki Haydar Muhammad al-‘Ali e altre cinque persone, per lo più studenti, sono stati arrestati a gennaio
dopo che erano stati affissi manifesti di un al-Hussainiya (centro religioso sciita) in occasione della festa
sacra dell’Ashura, nel dicembre 2009. Sono stati trattenuti senza accusa né processo nel carcere di alIhsa dove si ritiene che a fine anno fossero ancora detenuti.
Makhlaf Daham al-Shammari, attivista per i diritti umani e musulmano sunnita, è stato arrestato il 15
giugno dopo aver pubblicato un articolo che criticava ciò che definiva un pregiudizio da parte dei religiosi
sunniti, nei confronti dei membri della comunità sciita e del loro credo. A fine anno si trovava ancora nella
prigione generale di Dammam e il ricorso contro la sua detenzione arbitraria presentato al collegio interno
non era stato ancora esaminato.
A ottobre, 12 cittadini filippini e un prete cattolico sono stati arrestati a Riyadh dalla polizia religiosa che
ha fatto irruzione durante una funzione religiosa che veniva celebrata in segreto; pare siano stati accusati
di proselitismo. Sono stati rilasciati su cauzione il giorno dopo.
TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Le autorità hanno mantenuto un elevato livello di segretezza sui prigionieri e le loro condizioni di detenzione e trattamento, ma sono giunte notizie di almeno due decessi in custodia, presumibilmente a causa delle torture o di altri maltrattamenti.
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Il dottor Muhammad Amin al-Namrat, un cittadino giordano, è morto a gennaio nel carcere dell’intelligence
centrale nella provincia di ‘Asir. Docente di lingua araba, secondo le notizie ricevute, era stato condannato
a due anni di carcere nel 2007 per aver esortato i suoi studenti a imbracciare le armi contro le forze statunitensi in Iraq. Sarebbe rimasto detenuto oltre la scadenza della sua sentenza. Non ci sono notizie di indagini
ufficiali sul suo decesso.
Mohammed Farhan è morto a settembre mentre era detenuto in una stazione di polizia di Jubail. Un referto
medico ha rilevato segni di strangolamento sul collo. A fine anno non c’era notizia di alcuna inchiesta avviata sulla sua morte.
Un ex detenuto, trattenuto nel carcere ‘Ulaysha di Riyadh perché sospettato di aver commesso reati in materia di sicurezza nel 2007 e 2008, ha raccontato ad Amnesty International di essere stato tenuto ammanettato e incatenato per 27 giorni in seguito
all’arresto, prima che gli fossero tolte le manette e potesse fare per la prima volta una
doccia. Ha affermato di essere stato interrogato durante la notte per oltre un mese e che
tale prassi era la norma per i sospettati in materia di sicurezza.
PENE CRUDELI, DISUMANE E DEGRADANTI
I tribunali hanno imposto abitualmente pene corporali, in particolare la fustigazione, che
sono state applicate come pena principale o aggiuntiva.
A gennaio, un tribunale di Jubail ha condannato una ragazza di 13 anni a ricevere 90 frustate davanti ai
compagni di scuola, dopo averla giudicata colpevole di aggressione nei confronti di una insegnante. La
ragazza è stata inoltre condannata a due mesi di reclusione. Non sono noti altri dettagli e non è chiaro se
la fustigazione sia stata eseguita o meno.
Secondo quanto riferito, a novembre un tribunale di Jeddah ha condannato un uomo a 500 frustate e a cinque anni di carcere per omosessualità, oltre ad altri reati.
DIRITTI DELLE DONNE
Le donne hanno continuato a incorrere in discriminazioni nella legge e nella prassi e a
essere vittime di violenza domestica e di altro tipo. La legge non dà alle donne parità di
status rispetto agli uomini e le norme che impongono il ruolo di tutore a un parente di
sesso maschile rendono le donne subordinate agli uomini, in questioni come il matrimonio, il divorzio, la custodia dei figli e la libertà di movimento. Questo fatto le rende vulnerabili alla violenza all’interno della famiglia, che viene commessa nell’impunità.
Il caso di una ragazza di 12 anni costretta dal padre a sposare per denaro un uomo di 80 anni ha ottenuto
ampia risonanza in Arabia Saudita e all’estero. Una causa legale intentata da attivisti per i diritti umani
locali ha attirato l’attenzione sul caso, permettendo alla ragazza di ottenere il divorzio a febbraio.
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A febbraio, il Consiglio supremo della magistratura ha ribaltato una decisione di un tribunale di primo
grado del 2006, che imponeva a una coppia di sposi, Fatima al-Azzaz e Mansur al-Taimani, di divorziare
contro la loro volontà. La causa iniziale era stata intentata dal fratello di Fatima al-Azzaz, con la motivazione
che il marito della donna apparteneva a una tribù di estrazione sociale inferiore e che pertanto non soddisfaceva la regola della parità di status, che stabilisce che i coniugi debbano avere un pari status sociale,
pena l’annullamento del matrimonio.
A novembre, l’Arabia Saudita è stata eletta nel comitato direttivo di un nuovo organismo
delle Nazioni Unite istituito per promuovere i diritti delle donne.
DIRITTI DEI MIGRANTI
Il sistema degli sponsor, che regola l’impiego dei cittadini stranieri, ha continuato a
esporli a sfruttamento e abusi da parte di datori di lavoro privati e statali, offrendo loro
scarse o nulle possibilità di ottenere un indennizzo. Tra gli abusi più comuni ci sono lunghi orari di lavoro, mancato pagamento dei salari, negazione del permesso di tornare a
casa dopo aver terminato il contratto e violenza, in particolare nei confronti delle lavoratrici domestiche.
Yahya Mokhtar, un medico sudanese bloccato assieme alla sua famiglia dal 2008, dopo che il suo ex datore
di lavoro si era rifiutato di permettergli di lasciare l’Arabia Saudita, a maggio è stato autorizzato a far
ritorno in Sudan.
LP Ariyawathie, una cittadina dello Sri Lanka, impiegata come lavoratrice domestica, è stata trovata con
24 chiodi e un ago conficcati nelle mani, in una gamba e sulla fronte. Tornata nel suo paese ad agosto, la
donna ha affermato che le ferite le erano state inflitte dalla sua datrice di lavoro quando aveva protestato
per i pesanti carichi. Non è chiaro se le autorità saudite stessero investigando sulla questione.
Una lavoratrice domestica indonesiana, Sumiati Binti Salan Mustapa, è stata ricoverata in ospedale a Medina a quanto pare dopo che i suoi datori di lavoro le avevano inflitto tagli al volto con le forbici, l’avevano
ustionata con un ferro da stiro e picchiata. Il corpo mutilato di un’altra lavoratrice indonesiana, Kikim Komalasari, è stato trovato in un cassone ad Abha. Secondo quanto riferito, sia le autorità saudite che indonesiane stavano indagando sui casi.
ATTACCHI AEREI E UCCISIONI DI CIVILI NELLO YEMEN DEL NORD
Nel novembre 2009, le forze saudite sono state coinvolte nel conflitto tra le forze governative yemenite e i ribelli huthi nella zona di Sa’dah, nello Yemen (cfr. Yemen). L’esercito
saudita si è scontrato con huthi armati e ha condotto attacchi aerei su città e villaggi di
Sa’dah. Alcuni degli attacchi sono parsi essere indiscriminati o sproporzionati e hanno
causato morti e feriti tra i civili, in violazione del diritto internazionale umanitario. A febbraio è stato raggiunto un cessate il fuoco tra il governo yemenita e i ribelli huthi.
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RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO
A giugno e luglio, le autorità hanno rimpatriato con la forza in Somalia circa 2000 cittadini somali, malgrado il perdurare del conflitto armato nel loro paese e gli appelli dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. La maggior parte dei rimpatriati
erano donne.
Ventotto eritrei hanno continuato a essere confinati in un campo nei pressi della città di Jizan; si ritiene
che si trovino lì dal 2005.
PENA DI MORTE
Il numero delle esecuzioni registrate è diminuito per il secondo anno consecutivo. Sono
state messe a morte almeno 27 persone, una significativa riduzione rispetto alle 69 del
2009 e le 102 del 2008. Tra queste c’erano sei cittadini stranieri.
Almeno 140 prigionieri erano in attesa di esecuzione, compresi alcuni condannati per
reati che non implicavano violenza, come apostasia e stregoneria.
‘Ali Hussain Sibat, un cittadino libanese, e ‘Abdul Hamid bin Hussain bin Moustafa al-Fakki, un cittadino
sudanese, erano in attesa di esecuzione dopo essere stati giudicati colpevoli in processi separati per “stregoneria”. In entrambi i casi, i loro processi sono risultati iniqui: svolti in segreto e senza garantire loro l’accesso a un avvocato difensore.
A dicembre, l’Arabia Saudita era nella minoranza di stati che hanno votato contro una
risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per una moratoria mondiale sulle
esecuzioni.
BAHREIN
REGNO DEL BAHREIN
Capo di stato: re Hamad bin ‘Issa Al Khalifa
Capo del governo: sceicco Khalifa bin Salman Al Khalifa
Pena di morte: mantenitore
Popolazione: 0,8 milioni
Aspettativa di vita: 76 anni
Mortalità infantile sotto i 5 anni (m/f): 13/13‰
Alfabetizzazione adulti: 90,8%
Sono state arrestate decine di attivisti antigovernativi. Venticinque attivisti di punta del-
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