Appalti Contratti Pubblici 2006
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Appalti Contratti Pubblici 2006
Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Appalti Contratti Pubblici 2006 09\11 Decreto Bersani Circolare INAIL su lavoro nero e sicurezza nei cantieri INAIL Direzione Generale - Direzione Centrale Rischi Circolare n. 45 del 23 ottobre 2006. Misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro. Legge n. 248 del 4 agosto 2006, art. 36 bis Quadro normativo • Legge 4 agosto 2006 n. 248: “Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 4 luglio 2006 n. 223 recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”, art. 36 bis: “Misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro”. • Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 agosto 2006: “Decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006 – Primi chiarimenti” • Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 29 del 28 settembre 2006: “Art. 36 bis D.L. n. 223/2006 (conv. con Legge n. 248/2006”. • Decreto Legislativo 23 aprile 2004 n. 124: “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell’art. 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30”. • Circolare Inail n. 86 del 17 dicembre 2004: “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”. • Decreto Legislativo 10 settembre 2003 n. 276: “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla Legge 14 febbraio 2003 n. 30” e successive modificazioni, art. 86: “norme transitorie e finali”, comma 10 bis. • Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66: “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 200/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”. • Decreto Legge 22 febbraio 2002 n. 12 convertito con modificazioni nella Legge 22 aprile 2002 n. 73: “Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all'estero e di lavoro irregolare”, art. 3. • Circolare interamministrativa n. 56/E del 20 giugno 2002 Agenzia delle Entrate, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’Interno, INPS e INAIL: “Norme per incentivare l’emersione dell’economia sommersa. Capo I della Legge 18 ottobre 2001 n. 383 e successive modifiche e integrazioni”. 1 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) • Circolare Inail n. 56 del 27 luglio 2001: “Legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante “disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001), articolo 116, commi da 8 a 20. Nuovo sistema sanzionatorio”. • Legge 23 dicembre 2000 n. 388, art. 116: “Misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare”, comma 8. • Decreto Legislativo 23 febbraio 2000 n. 38: “Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’art. 55, comma 1 della Legge 17 maggio 1999, n. 144”, art. 14, comma 2. • Circolare Inail n. 1 dell’8 gennaio 1999: “Nuove modalità dell’attività ispettiva”. • Circolare Inail n. 14 del 12 marzo 1998: “Nuovo sistema sanzionatorio”. • Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494: “Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili” e successive modifiche. • Decreto Legge 23 giugno 1995 n. 244 convertito con modificazioni nella Legge 8 agosto 1995 n. 341, art. 29: “Retribuzione minima imponibile nel settore edile”, comma 2. • Lettera circolare Inail n. 40 del 23 giugno 1984: “Sanzioni previste dall’articolo 50, 4 comma, del Testo Unico approvato con D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124”. • Legge 24 novembre 1981 n. 689: “Modifiche al sistema penale”. Premessa La legge n. 248/2006 (1), entrata in vigore il 12 agosto u.s., contiene un complesso di misure finalizzate al rilancio economico e sociale, al contenimento e alla razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale. L’art. 36 bis della legge, in particolare, introduce disposizioni specifiche in materia di contrasto del lavoro “nero” e per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro, che interessano l’Istituto sotto diversi aspetti. Sulla materia il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ha emanato l’allegata Circolare (2) , che ha fornito alcuni chiarimenti operativi ed interpretativi delle innovazioni introdotte ed alla quale si fa integrale rinvio per gli aspetti generali. Sulla base degli orientamenti ministeriali, si forniscono prime indicazioni operative per le questioni di stretta competenza dell’Istituto. Provvedimento di sospensione dei lavori La legge introduce il potere di adottare il provvedimento di sospensione dei lavori nell’ambito dei cantieri edili (3), attribuendone la competenza esclusiva al personale ispettivo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. La finalità è individuata dalla stessa legge nel rafforzamento delle misure in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori operanti nel cantiere nonché di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare. 2 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Il provvedimento di sospensione può essere adottato qualora si riscontri l’impiego di personale non risultante da scritture o da altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 % del totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere, ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale (4). La sospensione può essere attivata anche su segnalazione degli ispettori di vigilanza di Inail e Inps ed a tal fine la circolare ministeriale specifica che, qualora questi ultimi accertino la sussistenza dei presupposti che legittimano l’adozione del provvedimento, ne diano immediata comunicazione alla competente Direzione Provinciale del Lavoro mediante trasmissione del verbale. Laddove, tuttavia, i tempi di conclusione dell’accertamento non consentano una tempestiva redazione del verbale, è necessario che gli ispettori anticipino la segnalazione mediante comunicazioni specifiche alle competenti Direzioni Provinciali del Lavoro. Le comunicazioni, redatte secondo uno schema che potrà essere concordato con le suddette Direzioni, dovranno contenere tutti gli elementi utili per la valutazione circa la ricorrenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione, compresa l’indicazione delle fasi di lavorazione effettuate dall’azienda al momento della verifica ispettiva. Per quanto concerne l’ambito di applicazione, l’oggetto, il calcolo della percentuale del personale “in nero” nonché le condizioni per l’adozione del provvedimento, si rinvia a quanto esposto nella circolare ministeriale. Si precisa che nell’ipotesi di “reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro…”, gli ispettori dell’Inail devono limitarsi a segnalare gli elementi di fatto risultanti dalla documentazione esaminata, in quanto il giudizio sulla “reiterazione” è riservato agli ispettori del lavoro. Il provvedimento di sospensione può essere revocato dagli ispettori del lavoro a condizione che i lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria siano regolarizzati ovvero che siano ripristinate, nel caso delle reiterate violazioni già citate, le regolari condizioni di lavoro. La circolare ministeriale specifica quali adempimenti sono posti a carico della ditta ai fini della regolarizzazione, individuando tra gli obblighi anche quelli dei versamenti contributivi (premi ed eventuali sanzioni). E’ necessario, pertanto, considerati gli effetti dei provvedimenti di sospensione, che le Unità operative procedano sollecitamente a quantificare e richiedere gli importi dovuti, tenendo presente quanto illustrato al successivo paragrafo concernente le sanzioni amministrative e civili. Non è trascurabile, a tale proposito, la previsione di un provvedimento interdittivo - a cura del Ministero delle infrastrutture - alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche per tutto il periodo di sospensione o per un maggiore periodo, fino al massimo di due anni. Tessera di riconoscimento o registro Sempre nell’ambito dei cantieri edili è previsto (5) , a decorrere dal 1° ottobre 2006, l’obbligo per i datori di lavoro di munire il personale occupato di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. I lavoratori, compresi gli autonomi (es. artigiani) che operano nel cantiere, sono tenuti ad esporre detta tessera. 3 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) In via alternativa, i soli datori di lavoro che occupano meno di dieci dipendenti possono assolvere all’obbligo di esporre la tessera “mediante annotazione, su apposito registro di cantiere vidimato dalla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente da tenersi sul luogo di lavoro, degli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori” (6). La circolare ministeriale definisce l’ambito applicativo della previsione normativa, chiarendo i criteri con cui va calcolato il limite numerico e fissando, altresì, le modalità di tenuta dei registri e delle relative annotazioni. L’inosservanza di tutti gli obblighi descritti comporta l’applicazione di sanzioni amministrative sia a carico del datore di lavoro (da 100 a 500 Euro per ciascun lavoratore), sia a carico del lavoratore che, munito della tessera di riconoscimento, non provveda ad esporla (da 50 a 300 euro) (7). Nel silenzio della norma, che non riserva agli ispettori del lavoro la specifica competenza ad irrogare questa tipologia di sanzioni, si ritiene che la stessa possa essere comminata anche dal personale di vigilanza dell’Istituto. E’ da tenere presente che, nel caso in cui siano presenti nel cantiere contemporaneamente più datori di lavoro o lavoratori autonomi, la contestazione di violazione dell’obbligo di esporre la tessera di riconoscimento deve essere notificata anche al committente, atteso che, per espressa previsione normativa, lo stesso risponde in solido di tale obbligo. Comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro La legge (8) rende immediatamente operative alcune disposizioni già contenute nel decreto di attuazione della cosiddetta “legge Biagi” (9), stabilendo che, nei casi di instaurazione di rapporti di lavoro nel settore edile, i datori di lavoro sono tenuti a darne comunicazione al Centro per l’impiego (10), mediante documentazione avente data certa, il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti. La circolare ministeriale precisa che la norma è indirizzata alle imprese edili in senso stretto (si deve pertanto tenere conto dell’inquadramento o inquadrabilità ai fini previdenziali) e fornisce anche indicazioni sulle modalità di invio della comunicazione. La violazione dell’obbligo è punita con una sanzione amministrativa da 100 a 500 Euro. La norma non contiene alcun riferimento alla denuncia nominativa degli assicurati (D.N.A) da effettuare contestualmente all’instaurazione del rapporto di lavoro (11), e pertanto, in assenza di espressa abrogazione, l’obbligo verso l’Istituto è da considerarsi tuttora vigente. Né si può ritenere, per quanto concerne il profilo sanzionatorio, che possa applicarsi il principio del “cumulo giuridico”, qualora si accerti che il datore di lavoro non abbia effettuato né la comunicazione anticipata al Centro per l’impiego né quella contestuale all’Inail, trattandosi di violazioni di disposizioni diverse scaturenti da fatti illeciti distinti. Sanzioni amministrative e civili per il lavoro nero E’ stato rafforzato il sistema sanzionatorio per l’impiego di lavoratori non risultanti da scritture o altra documentazione obbligatoria, con riferimento alle aziende di qualsiasi settore, sia con riguardo alle sanzioni amministrative che a quelli civili. Le nuove disposizioni si applicano alle violazioni commesse dal 12 agosto 2006, con la precisazione che per le condotte di carattere permanente (iniziate anche anteriormente all’entrata in vigore della legge) occorre fare riferimento alla data di cessazione del comportamento lesivo, che di norma coincide con quella dell’accertamento da parte del personale ispettivo. 4 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) a) Maxisanzione amministrativa La norma (12) modifica la “maxisanzione” per il lavoro nero introdotta nel 200213 , prevedendo che “ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, è altresì punito con la sanzione amministrativa da Euro 1.500 a Euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di Euro 150 per ciascun giornata di lavoro effettivo”. Le novità, rispetto alla formulazione del 2002, non si limitano solo alla misura della sanzione (secondo la previgente normativa la violazione era punita con una sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo del costo del lavoro per ciascun lavoratore irregolare) ma riguardano anche l’ambito soggettivo di applicazione, nonché la competenza all’irrogazione. Sotto il primo profilo, infatti, la dizione “impiego di lavoratori dipendenti non risultanti da scritture…” contenuta nel precedente testo (14) è stata sostituita con la seguente “l’impiego di lavoratori …”. Questo significa che è da considerare lavoratore “ in nero”, ai fini dell’applicazione della sanzione, non soltanto il lavoratore subordinato non registrato sui libri paga e matricola o di cui non si sia comunicata l’assunzione, ma anche il para-subordinato e il lavoratore autonomo sconosciuti agli enti previdenziali, in quanto non risultanti da alcuna “documentazione obbligatoria” (ad esempio mancata iscrizione alla Camera di Commercio). E’ stata altresì modificata la competenza ad irrogare la sanzione, prima riferita all’Agenzia delle Entrate e riservata ora alle Direzioni Provinciali del Lavoro, alle quali compete sia la contestazione della violazione che l’eventuale ordinanza ingiunzione. Nulla cambia circa le competenze degli organi di vigilanza degli Enti previdenziali e pertanto gli ispettori devono continuare ad effettuare la constatazione dell’illecito, segnalando tempestivamente la stessa alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio. b) Sanzioni civili connesse all’omesso versamento del premio Di particolare rilievo per l’Istituto è la previsione della soglia minima della sanzione civile, dovuta per l’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non risultante dalle scritture o altra documentazione obbligatoria. La legge, infatti, prevede che “l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a Euro 3.000 indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata” (15). Tale previsione integra quindi il sistema sanzionatorio in vigore dal 2001 (16), in quanto non solo viene introdotta una soglia minima, nei casi in cui la quantificazione della sanzione civile risulti inferiore all’importo di Euro 3.000, ma questa stessa è riferita al singolo lavoratore e non più alle retribuzioni complessivamente evase. La circolare ministeriale chiarisce che la quantificazione della stessa in misura non inferiore ad Euro 3000 per ciascun lavoratore deve essere “distintamente riferita alla contribuzione previdenziale ed alla assicurazione Inail ”. Secondo l’interpretazione ministeriale, inoltre, la sanzione trova applicazione nelle ipotesi in cui sia scaduto il termine per il “versamento dei contributi relativi al periodo di paga in corso al momento dell’accertamento”. 5 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Questo fa ritenere, ai fini Inail, che presupposto per la sua applicazione - nei casi in cui la ditta sia comunque già titolare di un rapporto assicurativo per l’attività svolta - è che sia scaduto il termine di legge per la dichiarazione delle retribuzioni afferenti l’anno o il minor periodo di riferimento e per il conseguente versamento del premio definitivamente dovuto per lo stesso periodo (17). c) Istruzioni operative per le sanzioni civili In attesa della necessaria implementazione procedurale idonea a gestire le sanzioni civili in discorso, le Sedi devono operare come segue: • all’atto della liquidazione del verbale ispettivo, che dovrà riportare l’importo delle retribuzioni non denunciate per ciascun lavoratore interessato, l’operatore deve inserire l’evasione salariale distintamente per singolo lavoratore, evitando di sommare le retribuzioni riferite a soggetti diversi; • la procedura provvede a calcolare il premio e la relativa sanzione civile nella misura prevista dalla Legge n. 388/2000; • al momento dell’invio alla verifica, l’operatore ha la possibilità di vedere l’importo della sanzione calcolata dalla procedura e quindi valutare se la stessa è congrua rispetto al limite minimo di Euro 3.000; • qualora sia inferiore, applicherà lo specifico “codice di funzione” per escludere detta sanzione dalla richiesta; • procederà, quindi, all’inserimento di un titolo manuale - con valore di sanzione civile per l’importo suddetto - avendo cura di indicare anche una data di scadenza uguale a quella fissata per il pagamento del premio; • effettuata la stampa del provvedimento elaborato da GRA, è necessario integrare lo stesso per la parte riguardante i riferimenti normativi (“sanzione civile ex art. 36 bis comma 7 della Legge n. 248/2006”) e l’importo, provvedendo, altresì, a completare il fac simile dell’F24 con tutti i dati utili. E’ indispensabile che le richieste in esame siano raccolte in apposite evidenze, sia per agevolarne l’individuazione in vista dell’eventuale successivo recupero coattivo, sia ai fini di monitoraggio (numero casi e importo dei premi e delle sanzioni). Le Direzioni Regionali, a tale proposito, cureranno il monitoraggio mensile delle richieste effettuate dalle Unità dipendenti, trasmettendo trimestralmente alla Direzione Centrale Rischi i dati di sintesi riferiti alla regione. Requisiti per lo sconto edile L’agevolazione trova ora applicazione “esclusivamente nei confronti dei datori di lavoro del settore edile in possesso dei requisiti per il rilascio della certificazione di regolarità contributiva anche da parte delle casse edili. Le predette agevolazioni non trovano applicazione nei confronti dei datori di lavoro che abbiano riportato condanne passate in giudicato per la violazione della normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro per la durata di cinque anni dalla pronuncia della sentenza” (18). Secondo l’interpretazione letterale del dispositivo le aziende “devono essere in possesso dei requisiti per il rilascio della regolarità contributiva” nei confronti di INAIL, INPS E CASSE EDILI; ciò significa che non è richiesta - almeno per ora - l'acquisizione del "DOCUMENTO UNICO DI REGOLARITA'" e che tale condizione può essere quindi oggetto di autodichiarazione, fermi restando i poteri di verifica successiva da parte degli enti previdenziali. 6 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Per quanto in particolare concerne lo sconto sulla regolazione 2006, si manterrà, pertanto, il sistema dell'autodichiarazione attraverso una modulistica opportunamente modificata ed integrata, che sarà resa disponibile e scaricabile dal sito www.inail.it . Saranno comunque fornite istruzioni dettagliate in occasione dell’emanazione del decreto ministeriale, che come di consueto fissa ogni anno la misura dell’agevolazione. Si richiama l’attenzione dei Dirigenti sull’opportunità di curare con particolare attenzione la diffusione della presente circolare, organizzando specifici incontri di approfondimento presso ogni struttura, sia con il personale ispettivo, sia con il personale addetto al processo Aziende. Allegato n. 1: Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 29 del 28 settembre 2006. Allegato n. 2: Provvedimento di sospensione dei lavori nell’ambito dei cantieri. Note 1.Gazzetta Ufficiale n. 186 del 11 agosto 2006 2.Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 29 del 28 settembre 2006. 3. Art. 36 bis, comma 1. 4.Artt. 4, 7 e 9 del Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66. 5.Art. 36 bis, comma 3. 6.Art. 36 bis, comma 4. 7.Art. 36 bis, comma 5. 8.Art. 36 bis, comma 6. 9.Art. 86 bis, comma 10 bis del Decreto Legislativo n. 276/2003. 10.Art. 9 bis della Legge 28 novembre 1996 n. 608 e successive modifiche. 11.Art. 14, comma 2 Decreto Legislativo 23 febbraio 2000 n. 38. 12.Art. 36 bis, comma 7. 13.Art. 3 del Decreto Legge n. 12/2002 convertito nella Legge n. 73/2002. 14.Art. 3 c.3 Decreto Legge n. 12/2002 convertito nella Legge n. 73/2002 15.Art. 36 bis, comma 7, ultimo periodo. 16.Art. 116, comma 8, lettera b) della Legge 23 dicembre 2000 n. 388. 17.Articoli 28 e 44 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e successive modifiche. 18.Art. 36 bis, comma 8. Il Direttore Generale 7/11 Tar Lazio L'avvalimento in un gara di licitazione privata dopo il Codice dei Contratti Il Consorzio ricorrente era stato escluso da una gara di licitazione privata indetta dal Formez per l’affidamento del servizio di pulizia dei locali di Roma, Cagliari e Vibo Valenzia. Il Tar Lazio ha accolto il ricorso osservando che chi partecipa ad un appalto di servizi "... abbia o meno personalità giuridica, può avvalersi, al fine di comprovare i requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria, dei requisiti di altri soggetti, purché sia in grado di dimostrare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti". I Giudici romani hanno precisato che "il principio dell’avvalimento, affermato dalla giurisprudenza comunitaria con riguardo agli appalti di servizi, è stato successivamente generalizzato ed esteso a tutti i pubblici appalti dalla direttiva unica appalti n. 18/2004 ed è oggi recepito nel nostro ordinamento dal Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12.4.2006 n. 163). 7 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) In definitiva, rimangono esclusi da questo istituto solo i requisiti di ordine generale, relativi "alla regolarità della gestione delle singole imprese sotto il profilo dell’ordine pubblico, anche economico, nonché alla moralità". TAR Lazio, sezione I Sentenza 10 ottobre 2006 n. 10233 (presidente de Lise, estensore Martino) Consorzio Hiram Contro Formez - Centro di Formazione Studi Oggetto: esclusione dalla gara di licitazione privata per l’affidamento del servizio di pulizia, igiene e sanificazione dei locali di Roma, Cagliari e Vibo Valenzia in uso al Formez. Fatto e Diritto 1. Il Consorzio Hiram è stato escluso dalla gara in oggetto per mancanza del requisito prescritto dall’art. 14, lett. b9) del capitolato d’oneri (relativo allo svolgimento dell’attività di pulizia, igiene e sanificazione a partire almeno dall’anno 2000). controinteressata nella rinnovazione della notificazione del ricorso (cfr. ex multis, Cass., sez, lav., 9 settembre 2004, n.18165), dimostrando la possibilità, nonché la volontà da parte di quest’ultima di esercitare il diritto di difesa. 2.b Il Formez ha altresì eccepito la mancata tempestiva impugnativa del bando, asserendo che quest’ultimo era del tutto chiaro ed esplicito nel richiedere che il requisito relativo allo svolgimento dell’attività oggetto di gara almeno dall’anno 2000 dovesse essere soddisfatto sia dai consorzi che dalle imprese consorziate. Sottolinea al riguardo che Hiram ha chiesto a più riprese chiarimenti circa l’interpretazione del capitolato, ottenendo risposta nei termini successivamente trasfusi nel provvedimento di esclusione. 2.c Come implicitamente ammesso dalla stessa resistente (nel ricostruire la disciplina di gara) l'immediata impugnazione del bando è configurabile unicamente nelle ipotesi in cui una clausola ivi contenuta impedisca, in modo certo, la partecipazione formale o sostanziale al procedimento concorsuale, solo tale situazione comportando una lesione attuale dell'impresa aspirante. L'immediata ed autonoma impugnazione del bando di gara non è, invece, necessaria quando la lesione dell'interesse del partecipante derivi non già da una tassativa prescrizione del bando bensì dall'applicazione o dall’interpretazione che della clausola del bando viene data e la cui lesività si estrinseca unicamente con l'atto di esclusione (così ad esempio TAR Lazio, I, 16 maggio 2005, n. 3774). Nella fattispecie, le prescrizioni di gara sono state calibrate sulle imprese partecipanti singolarmente ed adattate alle r.t.i. e ai consorzi mediante disposizioni che tuttavia non recano alcuna specifica indicazione in ordine all’applicazione della clausola controversa, tanto da aver costretto Hiram a formulare diversi quesiti interpretativi. Pertanto, non essendo le regole di gara formulate in modo tale da configurare in modo certo l'esclusione dalla gara del consorzio ricorrente, l’eccezione di inammissibilità deve essere rigettata. 8 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 3. Nel merito il ricorso è fondato. Risulta invero fondato e assorbente il primo motivo, secondo cui il soggetto che partecipa ad un appalto di servizi, abbia o meno personalità giuridica, può avvalersi, al fine di comprovare i requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria, dei requisiti di altri soggetti, purché sia in grado di dimostrare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti. Il principio dell’avvalimento, affermato dalla giurisprudenza comunitaria con riguardo agli appalti di servizi (Corte di Giustizia, sentenza 2 dicembre 1999, in causa C – 176/1998), è stato successivamente generalizzato ed esteso a tutti i pubblici appalti dalla direttiva unificata n. 18/2004, (art. 47, par. 2, nonché art. 48, par. 3) ed è oggi disciplinato nel nostro ordinamento dall’art. 49 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12.4.2006, n. 163). Nella fattispecie, il principio e la disciplina appena richiamati risultano recepiti dalla stessa lex specialis per quanto riguarda i requisiti del “fatturato globale complessivo realizzato dal soggetto proponente” e del “fatturato realizzato in servizi identici a quello oggetto di gara” (art. 14, punti b5) e b6) del capitolato). In caso di consorzio viene infatti precisato che “Resta fermo che i requisiti di cui al punto b5) e b6) dovranno essere complessivamente posseduti dalle ditte consorziate che eseguiranno il servizio”. Orbene, a parere del Collegio, l’anzianità operativa dell’impresa - alla quale fa riferimento l’art. 14, punto b9) del capitolato - non è che un ulteriore indice di affidabilità tecnica per il quale trova applicazione il medesimo principio dell’avvalimento, con conseguente illegittimità della lex specialis sia per contrarietà alla disciplina di derivazione comunitaria, sia per l’illogicità interna alle stesse regole di gara. Non può infatti condividersi quanto sostenuto dal Formez secondo cui il requisito in esame ha carattere generale e pertanto doveva essere dimostrato non solo dalla singole imprese designate quali esecutrici del servizio ma anche dallo stesso consorzio. Ha articolato tre motivi deducendo; - che tanto alla stregua dell’art. 12 comma 8 - ter della l.n. 109/94 quanto della direttiva comunitaria n. 18/2004, i consorzi stabili possono avvalersi dei requisiti tecnici, economici e finanziari posseduti dalla proprie consorziate ai fini della partecipazione alle procedure di gara. Illegittimamente, pertanto, la stazione appaltante ha proceduto all’esclusione, pur essendo il requisito dell’anzianità operativa posseduto dalle consorziate Puliservice s.r.l. e Octava Service s.r.l.; - che l’esclusione palesa comunque difetto di motivazione e assoluta carenza istruttoria, non essendo all’uopo sufficiente il mero richiamo “alle valutazioni della Commissione riportate nel verbale n. 3 del 26.9.2005”. Si sono costituiti per resistere il Formez e la società Cometa s.r.l., depositando documenti e memorie. L’amministrazione ha altresì depositato memorie conclusive in vista dell’udienza di discussione del 21.6.2006 alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione. 2. Le parti resistenti hanno sollevato due eccezioni preliminari. E’ stata in primo luogo eccepita l’inammissibilità per mancata notifica nei termini di decadenza alle ditte aggiudicatarie, ed, in particolare, alla ditta Cometa s.r.l. In un primo tempo infatti il consorzio Hiram ha effettuato la notificazione del ricorso alla società “La Cometa”, omonima ma diversa da quella aggiudicataria dell’appalto e solo tardivamente ha rinnovato la notificazione nei confronti dell’effettiva controinteressata indicata nel provvedimento impugnato. 9 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2.a Osserva il Collegio che non vi è contestazione sulla circostanza che il ricorso è stato tempestivamente notificato alla ditta Sanital s.r.l., aggiudicataria del lotto 2 – Cagliari. Ai fini della ricevibilità del ricorso è sufficiente che lo stesso venga notificato nel termine di decadenza “tanto all'organo che ha emesso l'atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l'atto direttamente si riferisce, o almeno ad alcuno tra essi”, salvo l’obbligo di integrare il contraddittorio con le notifiche ordinate dal Tribunale. In particolare, non può condividersi l’affermazione della società Cometa secondo cui essa si configurerebbe, relativamente al primo lotto di cui è risultata aggiudicataria, come l’unica controinteressata. Il procedimento di gara in esame è infatti disciplinato dallo stesso bando (pur esso oggetto di impugnativa) oltre ad essersi svolto in maniera unitaria, sia per quanto riguarda la fase di verifica dei requisiti di partecipazione, sia relativamente alla valutazione delle offerte. Inoltre, la costituzione in giudizio della Cometa s.r.l. ha sanato l’ulteriore irregolarità riscontrata dalla La stessa giurisprudenza invoca da parte resistente definisce infatti come requisiti di ordine generale esclusivamente quelli relativi “alla regolarità della gestione delle singole imprese sotto il profilo dell’ordine pubblico,anche economico, nonché alla moralità” (così ad esempio Cons. St., sez. V, 30 gennaio 2002, n. 507). Detta giurisprudenza risulta altresì recepita dal Codice dei contratti pubblici (cfr. l’art. 38 del cit. d.lgs.n.163/2006). Nella fattispecie, tra i requisiti “generali” di partecipazione disciplinati dal capitolato d’oneri vi sono ad esempio il “non aver riportato condanne, con sentenza passata in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla moralità professionale e per delitti di natura finanziaria e comunque [...] non avere subito condanne per delitti che comportino l’incapacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione”, “l’insussistenza delle cause di esclusione previste dall’art. 12 del d.lgs. 17.3.1995, n. 157”, “l’insussistenza delle cause di esclusione dalla gara di cui all’art. 1/bis della l. n. 383/2001 e s.m.i.”, “l’ottemperanza del soggetto proponente alle norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili [..]” (artt. 14 – lett. b1, b2, b3, b4, b7, del capitolato d’oneri). Al contrario, lo svolgimento dell’attività oggetto di gara da tempo risalente, non appare rispondente ad una specifica esigenza di ordine pubblico quanto alla necessità di individuare imprese aventi maggiore esperienza nel settore. Detto requisito poteva quindi essere dimostrato anche dallo sole ditte consorziate, designate ai fini dell’esecuzione del servizio. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso merita accoglimento. Giusti motivi inducono peraltro a compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione I, accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati. Compensa tra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 giugno 2006. Depositato il 10 ottobre 2006. 10 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 07/11 Quali regole per scegliere un avvocato Gara pubblica per affidare l'incarico di difesa e consulenza dell'ente pubblico Pubblicata il 25 ottobre 2006 TAR Puglia, Lecce, II sezione Sentenza 25 ottobre 2006 n. 5053 (presidente Cavallari, estensore Capitanio) TAR Puglia, Lecce, II sezione Sentenza 25 ottobre 2006 n. 5053 (presidente Cavallari, estensore Capitanio) In fatto e in diritto Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni preliminari rassegnate dalle parti resistenti, eccezioni che sono strettamente correlate fra di loro, nel senso che viene innanzitutto eccepito il difetto di giurisdizione del TAR (sul presupposto che nel caso di specie si tratta del conferimento di incarico professionale ad un legale esterno all’Amministrazione); per il caso in cui il Tribunale dovesse ritenere sussistente la giurisdizione amministrativa, viene eccepita la tardività del deposito del ricorso, trovando applicazione nel caso di specie l’art. 23-bis della L. n. 1034/1971 (dovendosi qualificare la fattispecie come una procedura finalizzata all’aggiudicazione di un appalto di servizi). Per quanto concerne la prima eccezione, il Tribunale ritiene sussistente la giurisdizione amministrativa, in quanto: nel caso di specie l’Amministrazione intimata ha posto in essere una procedura selettiva, al termine della quale ha adottato un provvedimento autoritativo di scelta del legale a cui affidare la propria difesa in giudizio e l’attività di consulenza professionale; per cui, la presente controversia rientra nella giurisdizione del TAR, secondo i consueti criteri di riparto della giurisdizione. Analoga sorte merita l’altra eccezione preliminare, relativa alla presunta tardività del deposito del ricorso. Tale conclusione discende dalle seguenti considerazioni: l’art. 23-bis della legge n. 1034 del 1971 (che sarebbe applicabile ratione temporis al presente giudizio, visto che il ricorso è stato notificato il 23 maggio 2006 e depositato il 13 giugno 2006, in un momento antecedente, quindi, all’entrata in vigore del D.gs. 12 aprile 2006, n. 163) si applica letteralmente ai giudizi aventi ad oggetto, fra l’altro, “…i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti…”; il D. Lgs. n. 157/1995 si applica solo negli artt. 8, comma 3, 20 e 21 ai servizi compresi nell’allegato 2, fra i quali rientrano i servizi legali (specificatamente quelli di cui al n. 861 della CPC); 11 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) peraltro, è noto come anche per gli appalti di servizi sotto soglia (fra i quali rientra quello di specie atteso che il compenso è di 20.000 Euro annui per il massimo di cinque anni) e così pure per gli appalti di servizi sopra soglia soggetti solo ad alcune delle regole comunitarie, le amministrazioni pubbliche sono tenute ad applicare, in fase di individuazione del contraente privato, i principi di trasparenza, non discriminazione e pubblicità delle procedure, ed è proprio ciò che nel caso di specie ha fatto l’Amministrazione intimata, ponendo in essere un procedimento amministrativo (assimilabile certamente ad una gara d’appalto) al cui esito l’avv. M.è stato individuato come consulente legale del Comune di Palagianello per il periodo di durata del mandato dell’attuale Sindaco; Il procedimento di notifica del ricorso ha avuto avvio in data 23 maggio 2006, mentre il deposito è stato effettuato il successivo 13 giugno 2006; oltre il termine dimidiato di cui all’art. 23 bis, comma 2; la obiettiva difficoltà di ricondurre la fattispecie all’ipotesi dell’incarico professionale (estranea all’istituto dell’appalto, secondo il diritto nazionale) o all’ipotesi di un appalto di servizi assoggettato all’ipotesi dell’art. 23 bis permette la concessione dell’errore scusabile; Giova premettere che il ricorrente principale ha conseguito, nella graduatoria contestata, 25 punti a fronte dei 33 ottenuti dal controinteressato, mentre con il ricorso egli chiede l’annullamento della graduatoria nella titolo “Dottorato di ricerca” (non avendo l’interessato frequentato un corso avente le caratteristiche di durata di cui al D.M. n. 224 del 30.4.1999), per cui al punteggio complessivo di 33 attribuito dalla Commissione esaminatrice debbono essere sottratti due punti, con il che all’avv. M. spettano in realtà 31 punti. Per il resto, invece, le valutazioni della Commissione vanno sostanzialmente confermate, per le seguenti ragioni. Per quanto riguarda il punteggio assegnato al controinteressato per la voce “Corsi di perfezionamento”, non si può concordare con quanto sostenuto dal ricorrente, e ciò – sia pure in presenza di clausole del bando non troppo esaustive – in forza di un elementare canone di ragionevolezza: in effetti, se un soggetto ha diritto all’attribuzione del punteggio di che trattasi per la frequenza di corsi di perfezionamento in qualità di discente, a fortiori tale punteggio spetta a chi tali corsi frequenta come docente o relatore. Tale conclusione, come detto, discende da un ragionamento elementare, e cioè dalla considerazione che il docente/relatore deve necessariamente essere in possesso di un bagaglio cognitivo superiore a quello dei suoi discenti/uditori, e che, per converso, l’attività di docenza contribuisce ad arricchire il bagaglio esperienziale e tecnico del docente stesso. Per quanto riguarda, invece, il punteggio attribuito all’avv. M. per la voce “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”, si deve anzitutto osservare che il bando di selezione in esame non è sul punto molto perspicuo, in quanto viene prevista la valutabilità di “Prestazioni rese sotto forma di tirocini attinenti le materie su cui è richiesta la specifica professionalità per la selezione in oggetto”. Si tratta quindi di un concetto abbastanza indeterminato e vago, atteso che nel caso di un avvocato per “tirocinio” non si può intendere né il biennio di pratica forense (anche perché è prevista l’attribuzione di 2 punti per ciascun “corso”, il che significa che l’estensore del bando non intendeva riferirsi al cd. praticantato), né all’esercizio dell’attività professionale post-abilitazione (e ciò in quanto dopo il conseguimento del titolo abilitativo l’avvocato non può più essere considerato tirocinante). Pertanto, si deve concludere che, sotto la voce “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”, si possono ricomprendere tutte quelle attività, diverse dai corsi di perfezionamento e dalle altre attività valutabili ad altro titolo, che il candidato abbia svolto nel corso della propria vita accademica e/o in contemporanea con l’esercizio dell’attività professionale. Se ciò è vero, ne consegue che del tutto legittimamente la Commissione ha attribuito all’avv. M. tre punti per i corsi tenuti presso l’Università di Bari, sede di Taranto nel periodo febbraio-aprile 2000, 12 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) mentre – come invocato nel ricorso incidentale - è illegittima la mancata attribuzione allo stesso del punteggio per le attività svolte dal controinteressato nel corso dell’a.a. 1998/1999 presso l’Università “LUISS” di Roma (si tratta, nello specifico, di attività di docenza in corsi aventi ad oggetto il diritto amministrativo sostanziale e processuale) e successivamente in favore della Scuola Forense del Consiglio dell’Ordine di Taranto e della Corte di Appello di Lecce (attività di docenza), le quali sono sicuramente riconducibili alla nozione di “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”. Infatti, l’attività di docente in corsi seminariali o di aggiornamento professionale si configura sicuramente come attività da cui deriva un’implementazione del bagaglio culturale e professionale di un avvocato, specie se le materie oggetto dei corsi in argomento sono, come nel caso di specie, attinenti all’oggetto principale dell’incarico che il Comune di Palagianello aveva intenzione di conferire all’esito della selezione per cui è causa. Viceversa, non era valutabile né l’attività che l’avv. P. ha dichiarato di avere svolto presso il Dipartimento di Diritto Privato dell’Università di Bari (in quanto si tratta di generica attività di collaborazione con un docente, come tale non riconducibile alla nozione di “corso” di cui parla il bando di selezione), né l’attività di correlatore del progetto “Campus One” (con relazione dal titolo “Proprietà intellettuale, diritto d’autore ed internet”), la quale pure potrebbe essere ricompresa nella nozione di “corso”, in quanto non attinente alle materie oggetto della selezione de qua. Non sono invece fondate le altre doglianze articolate nel ricorso incidentale, in quanto: rientrava nella discrezionalità dell’Amministrazione stabilire i criteri di valutazione dei curricula, per cui non è illegittimo ex se il fatto che non siano stati previsti subcriteri di valutazione delle pubblicazioni scientifiche o che non sia stato previsto un punteggio premiale per l’idoneità alla pubblicazione della tesi di laurea; ricomprendere tutte quelle attività, diverse dai corsi di perfezionamento e dalle altre attività valutabili ad altro titolo, che il candidato abbia svolto nel corso della propria vita accademica e/o in contemporanea con l’esercizio dell’attività professionale. Se ciò è vero, ne consegue che del tutto legittimamente la Commissione ha attribuito all’avv. M. tre punti per i corsi tenuti presso l’Università di Bari, sede di Taranto nel periodo febbraio-aprile 2000, mentre – come invocato nel ricorso incidentale - è illegittima la mancata attribuzione allo stesso del punteggio per le attività svolte dal controinteressato nel corso dell’a.a. 1998/1999 presso l’Università “LUISS” di Roma (si tratta, nello specifico, di attività di docenza in corsi aventi ad oggetto il diritto amministrativo sostanziale e processuale) e successivamente in favore della Scuola Forense del Consiglio dell’Ordine di Taranto e della Corte di Appello di Lecce (attività di docenza), le quali sono sicuramente riconducibili alla nozione di “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”. Infatti, l’attività di docente in corsi seminariali o di aggiornamento professionale si configura sicuramente come attività da cui deriva un’implementazione del bagaglio culturale e professionale di un avvocato, specie se le materie oggetto dei corsi in argomento sono, come nel caso di specie, attinenti all’oggetto principale dell’incarico che il Comune di Palagianello aveva intenzione di conferire all’esito della selezione per cui è causa. Viceversa, non era valutabile né l’attività che l’avv. P. ha dichiarato di avere svolto presso il Dipartimento di Diritto Privato dell’Università di Bari (in quanto si tratta di generica attività di collaborazione con un docente, come tale non riconducibile alla nozione di “corso” di cui parla il bando di selezione), né l’attività di correlatore del progetto “Campus One” (con relazione dal titolo “Proprietà intellettuale, diritto d’autore ed internet”), la quale pure potrebbe essere ricompresa nella nozione di “corso”, in quanto non attinente alle materie oggetto della selezione de qua. Non sono invece fondate le altre doglianze articolate nel ricorso incidentale, in quanto: rientrava nella discrezionalità dell’Amministrazione stabilire i criteri di valutazione dei curricula, per cui non è illegittimo ex se il fatto che non siano stati previsti subcriteri di valutazione delle pubblicazioni 13 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) scientifiche o che non sia stato previsto un punteggio premiale per l’idoneità alla pubblicazione della tesi di laurea; è legittima l’attribuzione al ricorrente principale di un punteggio per il corso di notariato e per la frequenza del corso per la preparazione del concorso ad uditore giudiziario (in quanto si tratta di corsi di perfezionamento), così come è legittima l’attribuzione di 2 punti per la voce “Dottorato di ricerca” (in quanto il bando non prevedeva l’attinenza della materia); costituisce mera irregolarità (di cui peraltro si è giovato lo stesso ricorrente incidentale, come risulta dalla scheda di valutazione dell’avv. M.) il fatto che alcuni punteggi siano stati riportati in calce alle firme dei componenti della Commissione esaminatrice. Pertanto, non potendo il ricorrente principale superare in graduatoria il controinteressato, anche in caso di accoglimento delle doglianze proposte dall’avv. P. che il Tribunale ritiene fondate, il ricorso principale va dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra le parti costituite. Sentiti i difensori delle parti costituite in ordine alla possibilità di definire nel merito il presente giudizio con sentenza in forma semplificata, ai sensi degli artt. 3 e 9 della L. 21.7.2000, n. 205. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Seconda Sezione di Lecce – dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa. Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 13 luglio 2006. Pubblicata il 25 ottobre 2006. Per gli appalti di servizi sotto soglia e cosi' pure per gli appalti di servizi sopra soglia soggetti solo ad alcune delle regole comunitarie (quali i servizi legali), le amministrazioni pubbliche sono tenute ad applicare, in fase di individuazione del contraente privato, i principi di trasparenza, non discriminazione e pubblicita' delle procedure, ed e' proprio cio' che nel caso di specie ha fatto Comune di Palagianello, ponendo in essere un procedimento amministrativo (assimilabile certamente ad una gara d'appalto) al cui esito un avvocato e' stato individuato come consulente legale del Comune per il periodo di durata del mandato del Sindaco parte in cui: non gli sono stati attribuiti ulteriori 3 punti (per la voce “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”); al controinteressato sono stati illegittimamente assegnati 11 punti (di cui 2 per la voce “Dottorato di ricerca”, 6 per la voce “Corsi di perfezionamento” e 3 per la voce “Prestazioni rese sotto forma di tirocini” – a quest’ultimo riguardo, in subordine il ricorrente afferma che al controinteressato poteva al massimo essere assegnato 1 punto). Ciò premesso, il ricorso principale è inammissibile per difetto di interesse, il che discende dagli esiti della cd. prova di resistenza a cui devono essere sottoposti i punteggi numerici conseguiti dal ricorrente principale e dal controinteressato, alla luce delle doglianze articolate nel ricorso principale e nel ricorso incidentale. Va in primo luogo condivisa la doglianza dell’avv. P. relativa al mancato possesso, in capo all’avv. M., del titolo “Dottorato di ricerca” (non avendo l’interessato frequentato un corso avente le caratteristiche di durata di cui al D.M. n. 224 del 30.4.1999), per cui al punteggio complessivo di 33 attribuito dalla Commissione 14 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) esaminatrice debbono essere sottratti due punti, con il che all’avv. M. spettano in realtà 31 punti. Per il resto, invece, le valutazioni della Commissione vanno sostanzialmente confermate, per le seguenti ragioni. Per quanto riguarda il punteggio assegnato al controinteressato per la voce “Corsi di perfezionamento”, non si può concordare con quanto sostenuto dal ricorrente, e ciò – sia pure in presenza di clausole del bando non troppo esaustive – in forza di un elementare canone di ragionevolezza: in effetti, se un soggetto ha diritto all’attribuzione del punteggio di che trattasi per la frequenza di corsi di perfezionamento in qualità di discente, a fortiori tale punteggio spetta a chi tali corsi frequenta come docente o relatore. Tale conclusione, come detto, discende da un ragionamento elementare, e cioè dalla considerazione che il docente/relatore deve necessariamente essere in possesso di un bagaglio cognitivo superiore a quello dei suoi discenti/uditori, e che, per converso, l’attività di docenza contribuisce ad arricchire il bagaglio esperienziale e tecnico del docente stesso. Per quanto riguarda, invece, il punteggio attribuito all’avv. M. per la voce “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”, si deve anzitutto osservare che il bando di selezione in esame non è sul punto molto perspicuo, in quanto viene prevista la valutabilità di “Prestazioni rese sotto forma di tirocini attinenti le materie su cui è richiesta la specifica professionalità per la selezione in oggetto”. Si tratta quindi di un concetto abbastanza indeterminato e vago, atteso che nel caso di un avvocato per “tirocinio” non si può intendere né il biennio di pratica forense (anche perché è prevista l’attribuzione di 2 punti per ciascun “corso”, il che significa che l’estensore del bando non intendeva riferirsi al cd. praticantato), né all’esercizio dell’attività professionale post-abilitazione (e ciò in quanto dopo il conseguimento del titolo abilitativo l’avvocato non può più essere considerato tirocinante). Pertanto, si deve concludere che, sotto la voce “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”, si possono ricomprendere tutte quelle attività, diverse dai corsi di perfezionamento e dalle altre attività valutabili ad altro titolo, che il candidato abbia svolto nel corso della propria vita accademica e/o in contemporanea con l’esercizio dell’attività professionale. Se ciò è vero, ne consegue che del tutto legittimamente la Commissione ha attribuito all’avv. M. tre punti per i corsi tenuti presso l’Università di Bari, sede di Taranto nel periodo febbraio-aprile 2000, mentre – come invocato nel ricorso incidentale - è illegittima la mancata attribuzione allo stesso del punteggio per le attività svolte dal controinteressato nel corso dell’a.a. 1998/1999 presso l’Università “LUISS” di Roma (si tratta, nello specifico, di attività di docenza in corsi aventi ad oggetto il diritto amministrativo sostanziale e processuale) e successivamente in favore della Scuola Forense del Consiglio dell’Ordine di Taranto e della Corte di Appello di Lecce (attività di docenza), le quali sono sicuramente riconducibili alla nozione di “Prestazioni rese sotto forma di tirocini”. Infatti, l’attività di docente in corsi seminariali o di aggiornamento professionale si configura sicuramente come attività da cui deriva un’implementazione del bagaglio culturale e professionale di un avvocato, specie se le materie oggetto dei corsi in argomento sono, come nel caso di specie, attinenti all’oggetto principale dell’incarico che il Comune di Palagianello aveva intenzione di conferire all’esito della selezione per cui è causa. Viceversa, non era valutabile né l’attività che l’avv. P. ha dichiarato di avere svolto presso il Dipartimento di Diritto Privato dell’Università di Bari (in quanto si tratta di generica attività di collaborazione con un docente, come tale non riconducibile alla nozione di “corso” di cui parla il bando di selezione), né l’attività di correlatore del progetto “Campus One” (con relazione dal titolo “Proprietà intellettuale, diritto d’autore ed internet”), la quale pure potrebbe essere ricompresa nella nozione di “corso”, in quanto non attinente alle materie oggetto della selezione de qua. Non sono invece fondate le altre doglianze articolate nel ricorso incidentale, in quanto: rientrava nella discrezionalità dell’Amministrazione stabilire i criteri di valutazione dei curricula, per cui non è 15 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) illegittimo ex se il fatto che non siano stati previsti subcriteri di valutazione delle pubblicazioni scientifiche o che non sia stato previsto un punteggio premiale per l’idoneità alla pubblicazione della tesi di laurea; è legittima l’attribuzione al ricorrente principale di un punteggio per il corso di notariato e per la frequenza del corso per la preparazione del concorso ad uditore giudiziario (in quanto si tratta di corsi di perfezionamento), così come è legittima l’attribuzione di 2 punti per la voce “Dottorato di ricerca” (in quanto il bando non prevedeva l’attinenza della materia); costituisce mera irregolarità (di cui peraltro si è giovato lo stesso ricorrente incidentale, come risulta dalla scheda di valutazione dell’avv. M.) il fatto che alcuni punteggi siano stati riportati in calce alle firme dei componenti della Commissione esaminatrice. Pertanto, non potendo il ricorrente principale superare in graduatoria il controinteressato, anche in caso di accoglimento delle doglianze proposte dall’avv. P. che il Tribunale ritiene fondate, il ricorso principale va dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra le parti costituite. Sentiti i difensori delle parti costituite in ordine alla possibilità di definire nel merito il presente giudizio con sentenza in forma semplificata, ai sensi degli artt. 3 e 9 della L. 21.7.2000, n. 205. 04/11 Rigettato il ricorso di Alitalia Il Tar Lazio conferma il divieto di trasporto aereo verso la Sardegna Gara per le rotte aeree verso la Sardegna. Il Tar Lazio, con sentenza depositata lo scorso 2 novembre, ha respinto il ricorso presentato da Alitalia contro l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile per avere disposto l'interruzione del servizio da essa prestato, avendo presentato in ritardo la domanda di accettazione degli oneri di servizio pubblico imposti per lo svolgimento del trasporto lungo le rotte Cagliari - Roma e Cagliari - Milano. Il termine fissato per la presentazione aveva carattere perentorio, per consentire all’ENAC di conoscere, prima dell’assegnazione delle rotte, quanti erano gli operatori interessati e se il loro numero era adeguato al volume di traffico delle rotte. In un primo momento il Tar aveva accolto l'istanza cautelare presentata da Alitalia, ma poi la sesta sezione dell Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2555 del 23 maggio 2006, l'aveva annullata. Di seguito, il testo della decisione. TAR Lazio, sezione terza-ter Sentenza 2 novembre 2006 n. 11612 (presidente Corsaro, estensore Ferrari) Fatto 1. Con ricorso notificato in data 3 maggio 2006, e depositato il successivo 10 maggio, l’Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a. (d’ora in poi, Alitalia) impugna gli atti in epigrafe indicati e ne chiede l’annullamento. 16 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Espone, in fatto, che con decreto 29 dicembre 2005 n. 35 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in applicazione dell’art. 4 del Regolamento CEE n. 2408 del 23 luglio 1992 e della L. 17 maggio 1999 n. 144, ed al fine di assicurare la continuità territoriale con la Sardegna, ha sottoposto ad oneri di servizio pubblico, tra le altre, le rotte Cagliari-Roma e viceversa e Cagliari-Milano e viceversa, rotte che, già prima, nella vigenza della precedente disciplina di oneri di servizio pubblico, erano esercitate dall’Alitalia. Il nuovo decreto prevedeva che detti oneri sarebbero divenuti obbligatori alla data del 31 marzo 2006, con scadenza al 30 marzo 2009. I vettori, che intendessero accettare i predetti oneri, dovevano presentare formale accettazione dell’intero operativo voli di ciascun gruppo di rotte o singole rotte entro trenta giorni dalla data di pubblicazione nella GUCE della comunicazione della Commissione relativa all’imposizione di detti oneri. La comunicazione della Commissione, pubblicata sulla GUCE del 24 marzo 2006, ha individuato nel 2 maggio 2006 il termine iniziale e nell’1 maggio 2009 il termine finale di operatività del nuovo sistema. Intanto l’E.N.A.C., con nota del 6 marzo, aveva chiesto alle compagnie aeree, che intendevano operare sulle rotte onerate, di sottoscrivere l’estensione dei precedenti atti convenzionali relativi al previgente regime fino all’assunzione dei provvedimenti di assegnazione delle rotte per il nuovo periodo. Tali convenzioni sono state stipulate il 24 marzo 2006. Con nota del 24 aprile, pervenuta all’ E.N.A.C. il successivo 27, la ricorrente ha “confermato, secondo quanto già anticipato nel corso delle riunioni svoltesi in merito, di accettare i predetti oneri nei termini, alle condizioni e con le modalità di cui al decreto ed alla comunicazione, sulle rotte Cagliari - Roma e vv. e Cagliari - Milano e vv. ed autocertificato, altresì, di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dall’allegato al decreto, nonché, segnatamente, di quelle di cui al punto 6 dello stesso”. Con l’impugnata nota del 27 aprile 2006 l’ E.N.A.C. ha però negato all’Alitalia la conferma di accettazione degli oneri per essere stata la stessa presentata oltre il termine di trenta giorni dalla pubblicazione, sulla GUCE, della comunicazione dell’imposizione di oneri. Con successiva nota del 28 aprile lo stesso E.N.A.C. ha reso noto di aver stipulato con i vettori Meridiana e Air One le relative convenzioni, senza specificare a quali rotte le stesse si riferivano, e che il servizio avrebbe avuto inizio il 2 maggio 2006, data dalla quale i precedenti vettori avrebbero cessato di operare. 2. Avverso i predetti provvedimenti la ricorrente è insorta deducendo: a) Violazione e falsa applicazione art. 4 del Regolamento CE n. 2408/92 e 26 L. n. 144 del 1999 Violazione art. 3 D.M. 29 dicembre 2005 n. 35 e dei principi generali in materia di perentorietà dei termini desumibili dalle previsioni di cui al secondo comma degli artt. 152 e 154 cod. proc. civ. - Violazione dei principi generali di buona amministrazione e proporzionalità dell’azione amministrativa - Eccesso di potere per travisamento dei fatti, arbitrarietà, illogicità ed ingiustizia manifesta. Il termine previsto dall’art. 3 D.M. n. 35 del 2005 per la presentazione della formale accettazione dell’operativo entro 30 giorni dalla data di pubblicazione sulla GUCE della Comunicazione della Commissione relativa all’imposizione di detti oneri non è perentorio, con la conseguenza che illegittimamente all’Alitalia è stata negata la conferma dell’accettazione solo perché asseritamente presentata dopo la scadenza del predetto termine. b) Violazione e falsa applicazione artt. 3 e 10 bis L. n. 241 del 1990 - Eccesso di potere per mancata considerazione di circostanze di fatto essenziali, travisamento, violazione degli obblighi di partecipazione procedimentale - Violazione del principio di affidamento e di buona fede - Eccesso di potere sotto gli ulteriori profili della contraddittorietà con i precedenti atti e comportamenti dell’Amministrazione, nonché dell’illogicità ed ingiustizia manifesta. Illegittimamente è stato omesso di dare ad Alitalia la comunicazione, ex art. 10 bis L. 7 agosto 1990 n. 241, di esclusione. c) Incompetenza - Violazione e mancata applicazione del punto 1.5 della Comunicazione della Commissione CE 2006/C 72/03, pubblicata sulla GUCE il 24 marzo 2006. L’affidamento delle rotte Cagliari - Roma e vv. e Cagliari - Milano e vv. a Meridiana s.p.a. è avvenuto senza il concerto tra l’ E.N.A.C. e la Regione Sardegna, previsto come obbligatorio dall’ordinamento comunitario 3. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l’ E.N.A.C. non si sono costituiti in giudizio. 4. Si è costituita in giudizio la controinteressata Meridiana s.p.a., che ha sostenuto l'infondatezza, nel merito, del ricorso. 5. Si è costituita, con atto di intervento ad opponendum, notificato il 15, 18 e 19 maggio 2006, l’Air One s.p.a., che ha sostenuto l'infondatezza, nel merito, del ricorso. 6. La Regione Sardegna non si è costituita in giudizio. 17 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 7. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti in causa costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive. 8. Con ordinanza n. 2660 del 2006, riformata dalla VI Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza n. 2555 del 23 maggio 2006, è stata accolta l’istanza cautelare di sospensiva. 9. All’udienza del 26 ottobre 2006 la causa è stata trattenuta per la decisione. Diritto 1. Una breve precisazione appare al Collegio necessaria prima di procedere all’esame del merito della controversia. Nella memoria (pag. 4) depositata l’8 luglio 2006 la s.p..a. Alitalia Linee Aeree Italiane (d’ora in poi, Alitalia) ha ampiamente illustrato il gravissimo danno economico che non solo per essa, ma per la stessa utenza, è derivato dall’ordinanza (n. 2555 del 23 maggio 2006) con la quale la VI Sezione del Consiglio di Stato, pronunciando sull’appello proposto dall’ interventore ad opponendum Air One s.p.a., ha riformato l’ordinanza di questa Sezione che aveva disposto la temporanea sospensione degli effetti del provvedimento impugnato. A questo riguardo preme al Collegio chiarire che il danno grave ed irreparabile derivante dal diniego, opposto dall’E.N.A.C. all’Alitalia, di confermare l’accettazione degli oneri per l’esercizio di servizi aerei di linea tra Cagliari - Roma e vv. e Cagliari - Milano e vv., se indubbiamente è stato motivo rilevante, se non determinante, della determinazione adottata dal Collegio nella fase cautelare, è ininfluente nella successiva fase di merito, nella quale rileva solo la legittimità o illegittimità del provvedimento impugnato. 2. Passando al merito, privo di pregio, in punto di fatto e di diritto, è il primo motivo di ricorso, con il quale Alitalia afferma che il termine previsto dall’art. 3 D.M. 29 dicembre 2005 n. 35 per presentare l’accettazione degli oneri di servizio avrebbe natura ordinatoria e, comunque, sarebbe stato ampiamente rispettato. Anche per quanto attiene a questa questione il Collegio ritiene necessaria una preliminare precisazione anche solo in punto di fatto. Contrariamente a quanto affermato da Alitalia nella memoria (pag. 6) depositata l’8 luglio 2006, il Tribunale, “pur non avendone fatto espressa menzione nella motivazione”, non aveva affatto “accordato assorbente rilievo al nostro primo motivo di impugnazione”, ma aveva fatto riferimento a “elementi di fumus”, in realtà ravvisati, come poi si dirà (sub 5), nei vizi denunciati in altro motivo di doglianza, oltre che alla sussistenza di un pregiudizio obiettivamente grave ed irreparabile. Ciò premesso, il motivo è infondato in punto di diritto, perché il termine in questione ha necessariamente carattere perentorio, conclusione questa che emerge con chiara evidenza da un breve excursus della disciplina che regola il settore. Per "onere di servizio pubblico" si intende, ai sensi dell’art. 2, lett. o), del Regolamento CEE 23 luglio 1992 n. 2408, l’onere, imposto a un vettore aereo, di prendere tutte le misure necessarie, relativamente a qualsiasi rotta sulla quale sia stato abilitato da uno Stato membro ad operare, per garantire la prestazione di un servizio che soddisfi determinati criteri di continuità, regolarità, capacità e tariffazione, criteri cui il vettore stesso non si atterrebbe se tenesse conto unicamente del proprio interesse commerciale. Più specificatamente, il regime giuridico degli oneri di servizio pubblico ne autorizza l'imposizione da parte di uno Stato membro riguardo ai servizi aerei di linea effettuati verso un aeroporto che serve una Regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto regionale, a condizione che tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico della Regione in cui si trova l'aeroporto stesso, nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati adeguati servizi aerei di linea rispondenti a determinati criteri che gli operatori si impegnano a rispettare anche a costo di un proprio sacrificio economico. Nel valutare l'adeguatezza dei servizi aerei di linea gli Stati membri tengono conto, in particolare, dell’interesse pubblico, della possibilità di ricorrere ad altre forme di trasporto, dell'idoneità di queste ultime a soddisfare il concreto fabbisogno di trasporto e dell'effetto combinato di tutti i vettori aerei che operano o intendono operare sulla rotta di cui trattasi (punti 9 e 10 della decisione della Commissione della Comunità europea n. 247 del 3 marzo 2005). Per disciplinare l’assegnazione di detti oneri l’ art. 4, primo comma, lett. a) del cit. Regolamento CEE n. 2408 del 1992 ha previsto che lo Stato membro può, previa consultazione con gli altri Stati membri 18 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) interessati e dopo aver informato la Commissione e i vettori aerei operanti sulla rotta, imporre oneri di servizio pubblico su una o più rotte, che rimangono aperti a tutti i vettori comunitari, con l’unico vincolo del rispetto di tali oneri. La successiva lett. d) dello stesso art. 4 ha precisato che, qualora nessun vettore si dichiari disponibile ad operare sulla rotta soggetta a oneri di servizio pubblico, lo Stato membro può passare alla seconda fase, che consiste nel limitare l’accesso alla rotta ad un unico vettore aereo per un periodo massimo di tre anni, rinnovabile. Il vettore scelto previa gara d’appalto comunitaria può ricevere una compensazione finanziaria per l’esercizio degli oneri di servizio pubblico. Il 10 dicembre 2004 l’Italia ha chiesto alla Commissione della Comunità europea di pubblicare nella GUCE l’imposizione degli oneri per diciotto rotte fra gli scali aeroportuali della Sardegna e i principali aeroporti nazionali italiani. Tra queste erano annoverate le rotte Cagliari - Roma e vv. e Cagliari Milano e vv.. Ciò in quanto la condizione di insularità della Sardegna limita fortemente le opportunità di collegamento, attribuendo al trasporto aereo un ruolo fondamentale, insostituibile e privo di valide alternative comparabili. In tale contesto il servizio aereo di linea deve essere considerato servizio di pubblico interesse, essenziale sia per lo sviluppo economico e sociale dell'Isola che per garantire la libera circolazione ed il diritto alla mobilità delle persone. Con comunicazione 2006/C 72/03, pubblicata sulla GUCE 24 marzo 2006, sono stati disciplinati gli oneri relativi, tra gli altri, alle predette rotte, le frequenze minime del servizio, il sistema tariffario e la regolarità del servizio stesso. Al punto 8 è stato precisato che “i vettori che intendono accettare gli oneri di servizio pubblico contenuti nel presente documento devono presentare, entro 30 giorni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea della comunicazione della Commissione relativa all’imposizione dei citati oneri, formale accettazione da indirizzare all’Ente Nazionale dell’Aviazione Civile”. Infine, l’art. 3 D.M. 29 dicembre 2005 n. 35 ha ribadito che i vettori, che intendono accettare gli oneri di servizio pubblico di cui allo stesso decreto, devono presentare, entro 30 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Unione europea della comunicazione della Commissione relativa all'imposizione dei citati oneri, formale accettazione dell'intero operativo di ciascuno dei gruppi di rotte o singole rotte, così come indicato nell'allegato al decreto, con le modalità specificate nell'allegato stesso. Dall’esame di tutta la complessa normativa si evince che l’E.N.A.C. offre a tutti i vettori il servizio di trasporto aereo su determinate rotte coperte da oneri di servizio pubblico. Sono stabiliti tempi e modi perché gli operatori interessati manifestino la loro volontà di accettare l’offerta. In particolare, nell’allegato al cit. D.M. n. 35 del 2005 è previsto che per l'accettazione dell'onere di servizio su ciascuna delle rotte o dei pacchetti di rotte considerati è necessario il possesso, da parte di ciascun vettore accettante, di requisiti minimi specificamente indicati. Gli operatori, che abbiano accettato gli oneri e che siano in possesso di detti requisiti, gestiscono la rotta scelta. Ciò però non avviene incondizionatamente, atteso che, al fine di evitare gli inconvenienti che deriverebbero dall’accettazione di una rotta onerata da parte di più vettori, considerate le limitazioni ed i condizionamenti infrastrutturali degli aeroporti coinvolti, l'Ente nazionale per l'aviazione civile, sentita la Regione autonoma della Sardegna, deve, per la miglior cura dell'interesse pubblico, intervenire per contenere i programmi operativi dei vettori accettanti in modo da renderli complessivamente proporzionati alle esigenze di mobilità poste alla base dell'imposizione d'oneri. Tale intervento dovrà ispirarsi ad un'equa ridistribuzione delle rotte e delle frequenze fra i vettori accettanti anche sulla base dei volumi di traffico sulle rotte (o i pacchetti di rotte) in questione, accertati per ciascuno di essi nel biennio precedente. In altri termini, per i singoli vettori non è indifferente la presentazione, da parte di altri operatori, dell’accettazione di oneri perché il loro numero ha effetti immediati sul riparto dell’utenza. Pertanto, come in ogni procedura latu sensu selettiva, i termini per manifestare la volontà di partecipare alla procedura (id est, per presentare l’offerta o, in questo caso, l’accettazione degli oneri di servizio pubblico) devono essere necessariamente di natura perentoria, a tutela del principio della par condicio tra i concorrenti. Non è di ostacolo all’estensione al caso in esame dei principi che regolano le procedure di evidenza pubblica la circostanza che la procedura attivata dall’E.N.A.C. non è volta all’individuazione dell’unico vincitore della selezione, proprio perché è comunque comune ai partecipanti ad entrambi i tipi di competizione l’interesse a vedere scremato il più possibile il numero degli aspiranti all’assegnazione del servizio. E’ quindi comune la pretesa dei partecipanti a che sia escluso colui che non ha rispettato il termine, previsto dalla lex specialis, per manifestare la propria disponibilità all’ammissione alla procedura. Né è possibile ritenere, come sostiene invece Alitalia, che l’interesse privato dei vettori a ridimensionare il numero dei concorrenti si porrebbe in insanabile contrasto con quello pubblico a consentire alla più ampia cerchia possibile di vettori di operare sulle rotte onerate in applicazione del 19 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) principio della massima partecipazione. Infatti, anche detto principio, al quale generalmente si fa riferimento per interpretare in bonam partem clausole dubbie dei disciplinari di gara, non esclude che l’ iter sia procedimentalizzato e siano individuati, nella sua scansione temporale, termini perentori. In altri termini, e per concludere, il carattere perentorio del termine fissato per l’accettazione degli oneri di servizio pubblico, pur se non risultante dal testo letterale delle disposizioni comunitarie e nazionali, è ricavabile dalla funzione allo stesso affidata, e cioè quantificare ad una data certa gli aventi titolo a gestire le rotte onerate da servizio pubblici. Esigenza, questa, che implica la necessità di uno sbarramento temporale netto e sufficientemente anticipato anche al fine di consentire ai vettori assegnatari l'espletamento di tutti gli incombenti organizzativi e funzionali all’inizio della gestione del servizio. Aggiungasi che, in applicazione di un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, ove manchi una specifica disposizione che espressamente individui la natura, sollecitatoria o decadenziale, del termine, questo deve essere qualificato perentorio se dal suo inutile decorso consegue la perdita della possibilità di azione da parte del soggetto a favore del quale quel termine era stato previsto. Nel caso in esame, tale perdita è implicitamente sancita (art. 4, primo comma, lett. d) del Regolamento CEE n. 2408 del 1992) con l’espressa previsione che ove alcun vettore accetti gli oneri di sicurezza l’E.N.A.C. potrà bandire una gara pubblica. Ciò comporta la necessità di individuare un dies a quo certo a decorrere dal quale sorge in capo a detto Ente il potere di attivarsi per iniziare la procedura ad evidenza pubblica, termine che non può che coincidere con il giorno successivo a quello stabilito ope legis per accettare gli oneri. Né può influire su tale conclusione la circostanza, dedotta dalla ricorrente nella memoria depositata l’ 8 luglio 2006, che l’E.N.A.C., con riferimento alle rotte Cagliari - Milano e vv. e Cagliari - Roma e vv., abbia escluso tale possibilità. Questa decisione dell’Ente non può infatti ragionevolmente essere intesa come rinuncia ad assicurare la copertura di un servizio pubblico ma come scelta di un diverso modus operandi, il quale - al pari della previsione della lett. d) del primo comma dell’art. 4 del Regolamento CEE n. 2408 del 1992 - in tanto può essere intrapreso in quanto si è chiusa la precedente fase e si è definitivamente accertato, per essere scaduti i relativi termini, che nessun vettore ha accettato gli oneri di servizio. Peraltro, proprio la ratio sottesa alla natura decadenziale del termine ne giustifica la legittimità, perché risponde sia all’interesse dei privati a limitare, nel pieno rispetto delle regole di mercato, la platea di concorrenti che a quello pubblico alla corretta scansione temporale della procedura di assegnazione delle rotte. Di qui l’infondatezza della censura di illegittimità dell’art. 3 D.M. n. 35 del 2005. Infine, non rileva accertare se, agli effetti della tempestività della manifestazione di volontà di Alitalia di accettare gli oneri, debba farsi riferimento alla data (24 aprile 2006) apposta sulla lettera anziché a quella in cui quest’ultima è pervenuta all’E.N.A.C. E’ infatti assorbente la considerazione che dalla nota dell’Ente del 27 aprile 2006 risulta che la lettera di accettazione di Alitalia è stata consegnata a mano presso gli Uffici dell’Ente e protocollata alla suddetta data. Né sul punto la ricorrente ha provato - come era nelle sue possibilità - il contrario, e cioè che la lettera era stata spedita il 24 aprile o depositando copia di una ricevuta fattasi diligentemente rilasciare dal dipendente dell’E.N.A.C. al quale, nella predetta data, sarebbe stata materialmente consegnata. 3. Il primo motivo di ricorso è infondato anche in punto di fatto. Come già chiarito sub 2 l’accettazione degli oneri di sicurezza comporta l’osservanza di una serie di formalità (ad es. dichiarazione del possesso dei requisiti) che presuppongono un’accettazione scritta. Lo stesso art. 3 del D.M. n. 35 del 2005 precisa che entro il termine di trenta giorni deve pervenire all’E.N.A.C. “formale accettazione”. Non è quindi sufficiente, come afferma Alitalia, che risulti per facta concludentia (ad es. con la vendita di 220 biglietti per il giorno 2 maggio) la sua volontà di continuare a gestire la rotta né può rilevare che con due atti, entrambi sottoscritti da E.N.A.C. e da Alitalia il 24 marzo 2006, sia stato esteso fino all’1 maggio 2006 l’affidamento dei servizi di trasporto aereo di linea sulla rotta Cagliari - Roma e vv. e Cagliari - Milano e vv., trattandosi della prosecuzione della precedente gestione, necessaria per garantire la continuità del servizio proprio fino alla data (1 maggio 2006) in cui avrebbero cominciato ad operare i vettori che avevano accettato i nuovi oneri. 4. Priva di pregio è anche la seconda censura, che ricollega l’illegittimità del provvedimento impugnato alla mancata previa comunicazione dell’avviso di rigetto, ai sensi dell’art. 10 bis L. 7 agosto 1990 n. 241. 20 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Tale norma, infatti, prevede l’obbligo in capo all’Amministrazione di comunicare tempestivamente al privato i motivi ostativi all’accoglimento di una domanda da questi presentata. Si riferisce, quindi, ai soli procedimenti iniziati ad istanza di parte. Nel caso in esame Alitalia non ha presentato ad E.N.A.C. alcuna istanza, non potendosi certamente considerare tale l’accettazione degli oneri tardivamente presentata, la quale deve essere piuttosto qualificata come manifestazione di volontà di aderire a tutte le condizioni imposte dall’Ente pubblico per poter servire le rotte in questione. In altri termini, e per concludere, come già chiarito sub 2, Alitalia ha, seppure tardivamente, accettato un’offerta presentata dall’E.N.A.C. 5. Con il terzo motivo di ricorso Alitalia afferma che l’affidamento delle rotte Cagliari - Roma e vv. e Cagliari - Milano e vv. è avvenuto senza il concerto tra l’ E.N.A.C. e la Regione Sardegna, previsto come obbligatorio dall’ordinamento comunitario. Preliminarmente il Collegio afferma l’interesse della ricorrente a proporre tale motivo di doglianza e, quindi, l’ammissibilità dello stesso. Non è infatti applicabile al caso in esame il principio, elaborato dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo cui il concorrente legittimamente escluso da una procedura concorsuale non è legittimato ad impugnare i relativi atti, dato che l' interesse dello stesso alla loro rimozione non è diverso da quello di qualunque terzo titolare di un interesse di mero fatto non qualificabile, in quanto tale, come posizione giuridica di interesse legittimo. Ed invero, l’eventuale accoglimento del motivo in esame comporterebbe l’obbligo dell’E.N.A.C. di rinnovare il procedimento dalla fase immediatamente precedente l’assegnazione dell’esercizio delle rotte Cagliari - Roma e vv. e Cagliari - Milano e vv., con la possibilità che, non raggiungendosi l’intesa con la Regione Sardegna, l’ente suddetto debba assumere nuove e diverse determinazioni. Peraltro, ciò premesso e vista la nuova documentazione acquisita dopo l’udienza pubblica del 12 ottobre u.s., la censura non risulta fondata in punto di fatto. E’ ben vero, infatti, che i punto 1.5 della Comunicazione 2006/C 72/03, pubblicata sulla GUCE 24 marzo 2006, prevede espressamente che “l’E.N.A.C., di concerto con la Regione Autonoma della Sardegna, verificherà l’adeguatezza della struttura dei vettori accettanti ed il possesso dei requisiti minimi di accesso al servizio ai fini del soddisfacimento degli obiettivi perseguiti con l’imposizione di oneri di servizio pubblico. All’esito della verifica i vettori ritenuti idonei ad effettuare i servizi onerati verranno ammessi ad effettuare il servizio”. Identica previsione è contenuta nell’allegato al D.M. n. 35 del 2005. E’ dunque evidente che sia la normativa comunitaria che quella statale hanno condizionato l’affidamento del servizio all’intesa tra l’E.N.A.C. e la Regione Sardegna, che devono congiuntamente procedere all’accertamento del possesso dei requisiti minimi da parte degli operatori i quali, presentando l’accettazione degli oneri, hanno espresso la volontà di ottenere l’affidamento della rotta. Le norme precisano infatti che solo all’esito della verifica i vettori verranno ammessi ad effettuare il servizio. Da questa premessa in punto di diritto consegue la non condivisibilità, questa volta in punto di fatto, delle due affermazioni sulle quali l’interventore ad opponendum Air One aveva fondato la propria difesa nei confronti del terzo motivo di ricorso. Non è infatti rispondente al vero che il punto 1.5 della Comunicazione 2006/C 72/03 non prevederebbe la predetta concertazione, così come non è esatto che, al fine di ritenere assolto l’obbligo di concertazione, sarebbe sufficiente l’intesa che si assume essere intervenuta tra l’E.N.A.C. e la Regione Sardegna prima dell’emanazione del D.M. 29 dicembre 2005 n. 35, in sede di conferenza di servizi svoltasi sotto la Presidenza della stessa Regione Sardegna. La normativa è infatti chiara ed inequivoca nel richiedere che l’intesa intervenga dopo la presentazione, da parte dei vettori, dell’accettazione degli oneri ed ha per oggetto la verifica congiunta da parte delle due Autorità del possesso, da parte di ciascun vettore accettante, dei requisiti ritenuti necessari per la gestione del servizio. Senonché è documentato che alla verifica del possesso da parte dei vettori dei requisiti necessari per ottenere lì’affidamento della rotta ha provveduto la Commissione incaricata della selezione dei vettori, di cui è componente fisso un rappresentante della Regione Sardegna il quale nel caso in esame ha partecipato ai lavori dell’organo collegiale ed alla redazione del deliberato finale. E’ indubbio che il testo del preambolo della convenzione, con la proposizione “sentita la Regione autonoma della Sardegna”, sembra assegnare a quest’ultima un ruolo meramente consultivo rispetto alle determinazioni dell’Enac, in contrasto con il testo in equivoco del punto 1.5 della cit. Comunicazione 2006/C/72/03, che invece riconosce ai due soggetti (Regione ed Enac) una posizione assolutamente paritetica in sede di verifica dei requisiti di cui si è detto. Ma le incertezze di ordine 21 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) interpretativo, che giustificano la censura della ricorrente, sono superate in punto di fatto dai dati desumibili dalla documentazione ora in atti e non contestati. 6. Il ricorso deve pertanto essere respinto con conseguente reiezione anche dell’istanza di risarcimento danni presentata da Alitalia, ma sussistono giuste ragioni per disporre l’integrale compensazione tra le parti in causa delle spese e degli onorari del giudizio. P.Q.M. Il TAR Lazio, sezione terza-ter definitivamente pronunciando sul ricorso proposto, come in epigrafe, dall’Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a., lo respinge. Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, addì 26 ottobre 2006. Depositato il 2 novembre 2006 04/11 Accolto il ricorso di Air One Il Tar Lazio annulla la gara per l'acquisizione di Volare da parte di Alitalia Il TAR del Lazio, con sentenza depositata il 2 novembre scorsa, ha annullato la gara per l'acquisizione di Volare, accogliendo il ricorso presentato dalla Air One contro il Ministero delle Attivita' Produttive (ora dello Sviluppo Economico) e nei confronti del Commissario Straordinario delle Società del Gruppo Volare in Amministrazione Straordinaria, della stessa Alitalia e di Volare S.p.A. La sentenza dispone il parziale accoglimento del ricorso di Air One e la parziale inammissibilità per difetto di giurisdizione dello stesso nella restante parte in cui non ha accolto, per tale motivo, la declaratoria di nullità e/o inefficacia del contratto di compravendita del complesso aziendale Volare, stipulato il 13 aprile 2006 tra il Commissario Straordinario pro tempore e la Volare S.p.A., costituita da Alitalia. Di seguito, il testo della sentenza. TAR Lazio - sezione III ter Sentenza 2 novembre 2006 n. 11613 (presidente Corsaro, estensore Dell'Utri) Fatto Con ricorso notificato il 27, 28 aprile e 2 maggio 2006 la Air One S.p.A., compagnia aerea italiana, partecipante alla procedura indetta dal Commissario straordinario delle società Volare Group S.p.A., Volare Airlines S.p.A. ed Air Europe S.p.A. in amministrazione straordinaria, dott. Carlo Rinaldini, per la cessione del relativo complesso aziendale, premesse notazioni in fatto circa la contestazione da parte sua della partecipazione alla stessa procedura di Alitalia Linee Aeree Italiane S.p.A. e circa il procedimento posto in essere, ha impugnato gli atti in epigrafe, concernenti l’aggiudicazione e la vendita del complesso aziendale di cui trattasi in favore di quest’ultima, ed ha chiesto nel contempo la declaratoria di nullità e/o inefficacia del contratto stipulato il 13 aprile 2006, deducendo: 1.- Violazione e falsa applicazione dei punti 5.3.1., n. (vi) e 6.4 del bando. Violazione dell’autolimite della pubblica amministrazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, sviamento, ingiustizia manifesta e disparità di trattamento. Poiché dal verbale del 28 dicembre 2005 risulta che Alitalia ha prodotto una dichiarazione sostitutiva del Presidente della Società in luogo dell’estratto del libro dei soci contenente l’elenco dei primi dieci soci, espressamente richiesto dal bando che commina l’esclusione per la mancanza o, comunque, la 22 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) non conformità alle modalità e formalità previste dallo stesso bando di anche uno solo dei documenti prescritti, la medesima avrebbe dovuto essere immediatamente esclusa. 2.- Violazione e falsa applicazione del punto 6.1, n. 5) del bando di gara. La valutazione delle offerte tecniche ed economiche, difformemente dalle prescrizioni del bando che stabiliva come ciò dovesse avvenire alla presenza del notaio con redazione di verbale, è stata effettuata dal Commissario straordinario senza la presenza del notaio, che si è limitato a ricevere la dichiarazione del medesimo di aver valutato le offerte ed assegnato i punteggi, così privandosi di certezza pubblica privilegiata tale delicatissima operazione, comprensiva della predisposizione dei relativi criteri e rispettivi pesi. 3.- Violazione di ogni norma e principio in materia di predeterminazione dei criteri di valutazione delle offerte. Eccesso di potere per sviamento, ingiustizia manifesta, irragionevolezza. a.- E’ mancata un’effettiva predeterminazione dei criteri di valutazione delle offerte, posto che il Commissario si è limitato a riprodurre i quattro generici “criteri” (in realtà “elementi”) del bando, senza alcuna specificazione, e a prevedere il relativo peso in percentuale. Sicché il giudizio ne è risultato arbitrario ed assolutamente svincolato da regole predeterminate ed uniformi, tanto che - ad esempio – alla ricorrente ed ad Alitalia è stato attribuito lo stesso punteggio per i livelli occupazionali benché la prima avesse offerto di mantenere i 707 dipendenti per un anno in più. b.- I c.d. “criteri” e, segnatamente, i “pesi” sono stati elaborati successivamente all’apertura delle buste contenenti sia le offerte economiche che quelle tecniche. 4.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, l. n. 241 del 1990 nonché del punto 6.2 del bando di gara. Violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990: difetto e/o contraddittorietà di motivazione. Eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza, per disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta. Come da bando, il Commissario era tenuto a valutare le offerte tenendo conto delle differenze in esse presenti in ordine al regime temporale del mantenimento dei livelli occupazionali, mentre ha valutato con lo stesso punteggio di Air One l’offerta Alitalia di mantenere gli occupati per il solo biennio minimo da garantirsi, senza peraltro fornire alcuna motivazione al riguardo. Ove valutata secondo un corretto criterio di proporzionalità, l’offerta della ricorrente sarebbe risultata prima in graduatoria. 5.- Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca, difetto assoluto di istruttoria, travisamento dei fatti. Il decreto impugnato riferisce solo una parte della nota del Presidente della CONSOB (sollecitata dallo stesso Ministero a fornire elementi in merito alla notizia dell’operazione in questione ai soci di Alitalia), senza menzionare l’omissione nel prospetto informativo di Alitalia di uno specifico riferimento all’eventualità di proporre un’offerta di acquisizione del Gruppo Volare e, soprattutto, senza dar conto del carattere interlocutorio della stessa nota. Contraddittorietà si ravvisa laddove, a seguito di una precedente nota, si era ritenuto inopportuno concludere l’iter di aggiudicazione e non anche a seguito della seconda nota, altrettanto interlocutoria ed esprimente il perdurante dubbio circa la correttezza informativa di Alitalia. Non vi è motivazione sul punto. 6.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 5.1 del bando di gara. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 27, 37, 42 e 63, co. 2 e 3, D.Lgs. n. 270 del 1999, anche in combinato disposto con la previsione del bando di gara. Illogicità e manifesto contrasto con le finalità ed i principi posti dalla legge n. 270 del 1999 (art. 63). Il contratto di acquisto del Gruppo Volare è stato stipulato da Volare S.p.A. con socio unico Alitalia; ma, nonostante quanto prescritto dal bando, Alitalia ha partecipato alla gara senza evidenziare nell’offerta la propria volontà di procedere all’eventuale acquisizione tramite una società veicolo di recente costituzione e, di conseguenza, senza identificare chiaramente il soggetto diverso che avrebbe formalmente acquistato. In tal modo ha violato il principio dell’immodificabilità della persona che partecipa ad una procedura per la stipula di un contratto, ha violato la prescrizione di bando ed il preciso impegno di acquistare direttamente, assunto con l’offerta priva di indicazione della volontà di procedervi mediante una newco, nonché ha di conseguenza radicalmente modificato il contenuto della propria offerta. Ciò altera le condizioni di gara, vìola la par condicio e vanifica la verifica dei requisiti di ammissione. Essendo stato individuato il soggetto legittimato all’acquisto in una società che non aveva preso parte alla procedura, risulta inficiato in radice il successivo contratto. 7.- Violazione delle stesse norme e principi di cui al precedente motivo. Violazione dell’art. 1 del decreto 17 marzo 2006 del Ministero della attività produttive. 23 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) L’art. 1 dell’impugnato decreto autorizzava il Commissario straordinario a stipulare il contratto esclusivamente con Alitalia ed alle condizioni di cui all’offerta del 28 dicembre 2005; non indica perciò la possibilità di acquisto da parte di soggetto diverso. Di qui un ulteriore profilo di nullità del contratto. 8.- Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 27, 37, 42 e 63, co. 2 e 3, D.Lgs. n. 270 del 1999, anche in combinato disposto con le previsioni del bando di gara. Violazione falsa applicazione della disciplina in materia di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria e di mobilità dei dipendenti. Eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto connessi all’affidabilità dell’aggiudicatario sulla salvaguardia delle attività aziendali in liquidazione. Sotto altro profilo, eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà interna al provvedimento ed esterna con i principi di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa. Alitalia, stante lo stato di profonda crisi in cui - nonostante gli aiuti di Stato, peraltro sorvegliati dalle Autorità comunitarie - versa, tanto che si è fatto ricorso agli ammortizzatori sociali, è priva del requisito dell’affidabilità dell’acquirente e del relativo piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali anche in ordine alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali, prescritto dal cit. art. 63, co. 1.e 2. Quindi il Ministero avrebbe dovuto negare la partecipazione alla gara della stessa Alitalia o, quantomeno, sottoporre al proprio vaglio le misure che la stessa avrebbe potuto o dovuto adottare per il riassorbimento del proprio personale ed il risanamento delle proprie attività; né poteva ritenere adeguata la sanzione di cui all’art. 1456 c.c. inserita nel bando, giacché l’eventuale risoluzione non giova alla conservazione delle attività imprenditoriali e dell’occupazione. Non considera il fatto che Alitalia dichiara di ricorrere alla CIGS anche per i dipendenti del Gruppo Volare, senza spiegare come possa assumerli senza riassorbire i propri dipendenti, come possa mantenere i benefici della CIGS per i dipendenti propri e del Gruppo Volare, né come conservare e sommare i relativi sgravi contributivi con l’assorbimento di ulteriori risorse da reintrodurre in un altro trattamento CIGS. La situazione di Alitalia non è stata tenuta presente neppure ai fini dell’attribuzione del punteggio per affidabilità e per il livello occupazionale garantito, per i quali identica valutazione è stata effettuata nei riguardi di Air One. In tale contesto, la modificazione soggettiva realizzata con la costituzione di Volare S.p.A. appare intesa ad eludere le predette gravissime criticità. 9.- Violazione e falsa applicazione della disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato e di compatibilità con il mercato. Violazione e falsa applicazione della decisione della Commissione UE n. 270/2004. Sotto altro profilo: Eccesso di potere per contraddittorietà con gli impegni assunti in sede comunitaria, per carenza dei presupposti di fatto e di diritto connessi ai requisiti per l’ammissione della società Alitalia alla gara. Sotto altro profilo: Eccesso di potere per violazione del principio della par condicio. Per quanto esposto il Ministero non avrebbe dovuto non solo emettere l’impugnato decreto autorizzativo, ma neanche ammettere Alitalia presentare offerta giacché alla data ultima (20 novembre 2005) non erano ancora operanti gli imponenti aiuti “di salvataggio” (non “di ristrutturazione”) autorizzati dalla Commissione europea, idonei essi stessi a pregiudicarne l’ammissione in quanto suscettibili – seppur indirettamente - di essere impiegati per falsare il gioco della concorrenza nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica quale quella per cui è causa, quindi idonei alterare la par condicio tra i partecipanti in contrasto con ogni regola e principio comunitario. D’altra parte la Commissione europea aveva autorizzato gli aiuti di salvataggio prendendo atto dell’impegno di Alitalia e del Governo italiano a non aumentare la capacità dell’offerta e a non utizzare gli stessi aiuti per la copertura di nuovi investimenti; e l’acquisizione del complesso aziendale è proprio un nuovo investimento, comportando aumento di capacità; né l’acquisizione in questione era prevista nel piano di risanamento che ha rappresentato il presupposto essenziale degli aiuti, senza i quali anche Alitalia sarebbe stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria. Il Ministero non poteva superare quanto sopra prendendo atto del rimborso del “prestito ponte”, sia perché proprio il Ministero ha autorizzato il Commissario straordinario a differire dal 20 al 28 dicembre la scadenza per la presentazione delle offerte proprio per consentire ad Alitalia di effettuare il rimborso - avvenuto sempre grazie agli impegni dello stesso Ministero – in data 21 dicembre, sia perché alla data del 20 novembre prevista per la manifestazione dell’interesse Alitalia versava in un grave stato di insolvenza sicché in carenza degli aiuti non avrebbe potuto effettuare tale manifestazione. 10.- Eccesso di potere per carenza, in capo ad Alitalia, dei requisiti di ammissione alla procedura di evidenza pubblica per la cessione del complesso aziendale del Gruppo Volare in costanza di procedura idonea a denotare stato di insolvenza della medesima Compagnia, per illogicità e manifesto contrasto con le finalità ed i principi posti dalla legge n. 270 del 1999. 24 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Alitalia non poteva essere ammessa, atteso il divieto di partecipazione stabilito dal bando per le imprese sottoposte a qualsiasi procedura che denoti lo stato di insolvenza, sia per la sua suddetta situazione economico finanziaria, sia perché una siffatta procedura è quella di controllo di compatibilità degli aiuti, nonché in quanto la sua partecipazione si pone in contrasto con le stesse finalità della cessione, consistenti nella salvaguardia delle attività aziendali in liquidazione ed il mantenimento dei livelli occupazionali attraverso il recupero di un effettivo equilibrio economico. 11.- Eccesso di potere, contraddittorietà ed illogicità del provvedimento ministeriale per omessa e/o erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto relativi alle condizioni ed ai limiti imposti dalla Commissione europea in ordine al procedimento di privatizzazione di Alitalia, ai fini dell’esclusione dell’operazione di ricapitalizzazione come aiuto di Stato. L’impegno di privatizzazione di Alitalia è stato sostanzialmente eluso sia per il comportamento statuale quale privato investitore che per la limitatezza dell’intervento privato. 12.- Manifesta violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 22 e 25 della legge n. 287/1990. Eccesso di potere per omessa e carente istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 63 D.Lgs. n. 270/1999. Il Ministero avrebbe dovuto inoltre verificare l’inesistenza di ulteriori impedimenti alla stregua della normativa antitrust, peraltro espressamente segnalati dall’attuale ricorrente (quali il sommarsi – per effetto della concentrazione - degli slots posseduti dal Gruppo Volare e da Alitalia sull’aeroporto di Linate, tale da impedire all’istante di operarvi, specie per i collegamenti con l’aeroporto di Orly) ed interessare l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di cui avrebbe dovuto acquisire preventivamente il parere. Le parti intimate, con esclusione di Volare S.p.A., si sono costituite in giudizio; Alitalia ed il Commissario straordinario, nella persona del dott. Carlo Rinaldini presente anche in proprio, hanno svolto controdeduzioni; il secondo ha altresì eccepito il difetto di giurisdizione. In relazione al deposito da parte di quest’ultimo, tra l’altro, della dichiarazione di offerta di Alitalia, contenente l’indicazione di acquisto mediante società veicolo appositamente costituita, con atto notificato il 22 ed il 26 maggio 2006 Air One ha proposto motivi aggiunti contestando la mancata osservanza del punto 5.1 del bando, il quale imponeva all’offerente di identificare chiaramente una società veicolo già costituita al momento dell’offerta e non consentiva la presentazione di un’offerta per persona da nominare. Con ordinanza collegiale 11 maggio 2006 n. 2657 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare avanza dalla ricorrente. Con ordinanza 23 maggio 2006 n. 2464 la Sezione VI del Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto avverso la prima ed ha sospeso gli effetti degli atti impugnati, salvi gli ulteriori provvedimenti di rinnovazione della gara e quelli volti alla salvaguardia medio tempore degli interessi pubblici e privati. Con memoria del 3 ottobre 2006 il Ministero dello sviluppo economico (già delle attività produttive) ha svolto anch’esso controdeduzioni. Con memoria del 13 seguente Air One ha replicato all’eccezione formulata dal Commissario straordinario dott. Rinaldini ed alle avversarie argomentazioni difensive. In data 17 ottobre 2006 si è costituito in giudizio anche in proprio il dott. Fabio Franchini, subentrato quale Commissario straordinario, e con memoria del successivo giorno 20, richiamate le eccezioni svolte, ha confutato tutte le proposte censure, soffermandosi in specie sulle due che hanno formato oggetto di censura da parte del Consiglio di Stato in sede cautelare, ed ha inoltre sostenuto che l’eventuale annullamento dell’atto conclusivo del procedimento amministrativo non può spiegare effetti sul contratto, già stipulato anteriormente alla proposizione del ricorso. Infine, in pari data ha prodotto memoria anche Alitalia, con cui ha ribadito ed ulteriormente illustrato le proprie difese, rimarcando altresì l’inammissibilità della richiesta pronuncia di nullità e/o inefficacia del contratto stipulato il 13 aprile 2006. All’odierna udienza pubblica la causa è stata posta in decisione, previa ampia trattazione orale. Diritto 1.- Com’è esposto nella narrativa che precede, col ricorso in esame la compagnia aerea Air One S.p.A., partecipante alla “procedura di vendita del complesso aziendale del Gruppo Volare” (Volare Group S.p.A., Volare Airlines S.p.A. e Air Europe S.p.A.) in amministrazione straordinaria indetta con bando pubblicato il 25 ottobre 2005 e classificatasi al secondo posto della relativa graduatoria, impugna il decreto ministeriale 17 marzo 2006, col quale il Commissario straordinario del Gruppo è stato autorizzato ad aggiudicare la gara ad Alitalia Linee Aeree Italiane S.p.A. ed a stipulare con la medesima il contratto di compravendita del Gruppo stesso, nonché gli atti della medesima procedura tra i quali, in particolare, i due verbali in date 28 e 29 dicembre 2005, di “apertura dei plichi contenenti le offerte di acquisto” e “selezione della migliore offerta” da parte del Commissario straordinario. 25 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Chiede, altresì, che sia dichiarato nullo e/o inefficace il detto contratto, stipulato il 13 aprile 2006 tra il Commissario straordinario e Volare S.p.A., “società veicolo” appositamente costituita da Alitalia. 2.- In via preliminare, va esaminata l’eccezione formulata dalla difesa del Commissario straordinario Carlo Rinaldini, richiamata dalla difesa del Commissario straordinario dott. Fabio Franchini, subentrato al primo, con la quale si adduce, oltre all’inconferenza del richiamo di parte ricorrente all’art. 23 bis l. n. 1034/71, “l’assoluto difetto di giurisdizione in capo al Giudice Amministrativo nelle controversie aventi ad oggetto l’attività di gestione straordinaria e in generale di liquidazione dei complessi aziendali in crisi, per ciò che attiene ai comportamenti posti in essere da Commissario straordinario”. Si sostiene che, nonostante la presenza di profili procedimentali e provvedimentali di tipo amministrativo, attinenti in particolare alla vigilanza del Ministero delle attività produttive, non per questo la materia che attiene al salvataggio realizzata dal Commissario straordinario è attratta dalla giurisdizione amministrativa, tant’è che l’art. 40 del D.Lgs. n. 270 del 1999 non gli conferisce alcun tipo di funzione amministrativa, ma solo i poteri (privatistici) di gestione del complesso aziendale, e tenuto conto che l’art. 1 della legge 23 agosto 1988 n. 391 (che riservava ai TAR la competenza, oltre che sui ricorsi contro atti e provvedimenti di autorizzazione alla vendita dei beni di proprietà delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, quelli “contro atti o provvedimenti adottati nel corso della suddetta procedura di vendita”) è stato espressamente abrogato dall’art. 109 del D.Lgs. n. 270/99 il quale, d’altra parte, all’art. 65 ribadisce che la sede naturale delle censure avverso l’attività del Commissario straordinario è quella del giudice ordinario, vertendosi in tal caso in materia di diritti soggettivi. Al riguardo, il Collegio osserva che, se va condivisa la tesi del resistente secondo cui la fattispecie in esame non rientra in alcuna delle ipotesi previste dall’art. 23 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (aggiunto dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000 n. 205), non trattandosi, in particolare, di procedura di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità (lett. b) né di servizi pubblici o forniture (lett. c), e neppure, all’evidenza, di provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici (lett. e), l’eccezione di cui innanzi non può invece che essere disattesa. Invero, come oppone controparte il cit. art. 65 del D.Lgs. 8 luglio 1999 n. 270, nello stabilire che “Contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, è ammesso ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati”, non fa altro che ribadire il tradizionale criterio di riparto fondato sulla natura e consistenza della posizione giuridica fatta valere in giudizio, sicché, pur dopo l’abrogazione dell’art. 1, co. 1, della legge 23 agosto 1988 n. 361, che in materia configurava la giurisdizione amministrativa esclusiva, appartiene alla cognizione del giudice amministrativo l’impugnazione da parte di un offerente alla procedura di vendita della serie procedimentale culminata con l’autorizzazione ministeriale alla vendita dei beni dell’impresa insolvente, dal momento che le posizioni soggettive ivi coinvolte non possono che essere qualificate di interesse legittimo (cfr., in tal senso, TAR Liguria, Sez. II, 25 maggio 2005 n. 715). In altri termini, il detto art. art. 65, lungi dal configurare a sua volta un’ipotesi di giurisdizione ordinaria esclusiva, attribuisce al giudice ordinario le sole controversie riguardanti atti e provvedimenti relativi alla liquidazione dei beni dell’impresa in amministrazione straordinaria “lesivi di diritti soggettivi”, mentre per il resto opera il generale criterio di riparto della giurisdizione, in base al quale spetta al giudice amministrativo ogni controversia relativa alla legittimità degli atti lesivi di posizioni di interesse legittimo. L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, equiparata per legge alla liquidazione coatta, dà luogo, infatti, ad un procedimento amministrativo essenzialmente finalizzato al mantenimento dell’occupazione, nell’ambito del quale anche la cessione dei singoli cespiti, pur mediante strumenti di carattere privatistico, è volta a realizzare, oltre all’interesse dei creditori, le finalità pubbliche della salvaguardia dei livelli occupazionali e del risanamento economico dell’impresa. Sulla base di tali premesse, è stato affermato in giurisprudenza che tale procedura è “presidiata da esigenze di politica industriale di carattere generale, la cui valutazione è rimessa all’autorità di vigilanza (Ministero delle attività produttive), con conseguente degradazione dei diritti soggettivi dei privati coinvolti nel procedimento al ruolo d’interesse legittimo, implicante la sola pretesa alla legittimità degli atti e dei provvedimenti attraverso i quali si sviluppa il procedimento”; ed in tale prospettiva l’art. 1, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 391 aveva “la mera finalità di dar lume agli interpreti e dissipare possibili equivoci in relazione al massiccio ricorso da parte dei privati 26 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) all’autorità giudiziaria ordinaria con l’intento di sovrapporre le loro esigenze individuali a quelle collettive che l’autorità di vigilanza è tenuta a tutelare (Cass. SS.UU. 20 dicembre 1990, n. 12068)”, ragion per cui il ripetuto art. 65 “non introduceva un nuovo riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, avendo avuto riguardo alla consistenza delle posizioni giuridiche coinvolte, quali risultavano dalle norme sostantive senza forzarle in ambito di tutela diversa attraverso la degradazione, ovvero con l’introduzione ex novo di un ambito di giurisdizione esclusiva (investendo il giudice amministrativo anche della cognizione di diritti soggettivi). Di modo che, anche se il legislatore non fosse intervenuto, l’interprete sarebbe potuto giungere ugualmente alla conclusione che rientrassero nell’ambito della giurisdizione generale amministrativa di legittimità tutte le impugnazioni di atti amministrativi adottati nel corso della procedura di vendita (Cass. SS.UU. 23 agosto 1990, n. 8579)”. Con la conseguenza che “l’esplicita abrogazione dell’indicato art. 1 della legge 23 agosto 1988, n. 391 ad opera dell’art. 109 lett. b) del decreto legislativo n. 270/99 (Prodi bis), non ha avuto neanch’essa alcuna incidenza sul riparto della giurisdizione che, come avveniva precedentemente, continuava ad essere distribuita tra giudice ordinario e giudice amministrativo sulla base della sostanziale posizione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio dall’interessato”. Si è così riconosciuto che la controversia concernente l’autorizzazione ministeriale alla liquidazione del complesso aziendale rientra nella competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, mentre ricade in quella del giudice ordinario la controversia relativa al subprocedimento di liquidazione del complesso aziendale instaurata dal creditore che, temendo le conseguenze di una vendita antieconomica, contesti l’adeguatezza del prezzo e la legittimità delle previste modalità di pagamento, la regolarità delle garanzie, la scomposizione dell’oggetto con l’attribuzione agli immobili di un valore del tutto irrisorio; controversia, quest’ultima, intesa ad ottenere “tutela piena di diritto soggettivo” e, dunque, “la posizione giuridica fatta valere al riguardo” va parimenti “qualificata come diritto soggettivo pieno” (Cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 aprile 2004 n. 1674). Ricordato che l’oggetto della controversia in trattazione non è costituito dalla liquidazione del complesso aziendale del Gruppo Volare, ma dalla procedura vendita dello stesso complesso, e che parte ricorrente non è creditrice del medesimo né rivendica diritti sul relativo patrimonio, bensì è soggetto partecipante a detta procedura conclusasi col provvedimento ministeriale impugnato, alla stregua delle considerazioni che precedono deve ritenersi che la controversia rientri nell’ambito della giurisdizione generale amministrativa di legittimità, tenuto conto che a fronte della procedura in parola sono configurabili esclusivamente posizioni di interesse legittimo. 3.- Risolta nei sensi di cui innanzi la questione di giurisdizione sulla svolta impugnativa, nel merito già il primo motivo di gravame si rileva fondato. Con tale mezzo, rubricato violazione del bando ed eccesso di potere sotto vari profili, si deduce che Alitalia avrebbe dovuto essere esclusa dalla competizione ai sensi del punto 6.4 dello stesso bando, non avendo osservato la prescrizione che in sede di presentazione dell’offerta imponeva l’inclusione nella busta A del documento n. 6 consistente in un “estratto del libro soci con l’indicazione di tutti i soci o almeno dei dieci maggiori soci” (punto 5.3.1.vi), giacché essa aveva prodotto in luogo di tale documento una dichiarazione sostitutiva del Presidente. Il richiamato punto 6.4 del bando, denominato “cause di esclusione”, stabilisce l’esclusione dalla procedura di vendita degli “Offerenti che avranno omesso di presentare anche uno solo dei documenti richiesti (…) o che comunque non si siano attenuti alle modalità e formalità previste nel presente Bando”. Ora, nel verbale di apertura dei plichi in data 28 dicembre 2005 si dichiara che nelle buste degli offerenti sono stati rinvenuti tutti i documenti prescritti “ad eccezione 1) del documento numero 6 (sei) della Busta ‘A’ dell’offerta ‘ALITALIA- LINEE AEREE ITALIANE S.P.A.’ che in sostituzione dell’estratto del libro dei soci contenente l’elenco dei primi dieci azionisti contiene una dichiarazione sostitutiva del Presidente della Società”. Tuttavia, da tale carenza il Commissario straordinario non ha tratto le previste, tassative conseguenze in caso di mancanza anche soltanto di un solo documento; e non v’è dubbio sulla mancanza del documento n. 6, posto che la formula della prescrizione non consentiva equipollenti, richiedendo soltanto ed esclusivamente l’estratto del libro soci. Tenuto conto di ciò, in ogni caso la presentazione di tale dichiarazione si traduce nella non conformità del documento alle modalità e formalità previste, e per ciò solo sanzionabile con l’esclusione anche per questo aspetto. Né può sostenersi che, in base alla natura di società quotata di Alitalia, il documento prescritto non sarebbe stato rappresentativo della compagine azionaria - peraltro notoria - per effetto, tra l’altro, dei costanti e repentini cambiamenti della platea azionaria in funzione delle negoziazioni dei titoli e che, in realtà, la dichiarazione ne assolverebbe la funzione, essendo idonea sotto il profilo formale in quanto 27 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) l’estratto veniva richiesto senza precisazione di alcuna formalità, quale l’autenticazione, e sotto il profilo sostanziale, in quanto ritenuta dall’ENAC sufficiente per la verifica della sussistenza dei requisiti di nazionalità per il rilascio della licenza di vettore aereo. Sta di fatto che il bando, costituente la lex specialis della procedura di vendita - non diversamente che nel caso di una vera e propria procedura di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità o di servizi pubblici o forniture da parte di un’amministrazione pubblica -, richiedeva un “estratto del libro soci” e che la dichiarazione in parola in parola non lo è. Né, sotto un aspetto maggiormente sostanziale, può seguirsi la tesi difensiva dell’Avvocatura dello Stato e del Commissario Rinaldini, secondo cui giustamente quest’ultimo ha ritenuto la dichiarazione equipollente al previsto estratto poiché “l’informazione che la procedura di amministrazione straordinaria voleva trarre dal documento stesso poteva essere fornita anche da tale dichiarazione”. Ciò perché la dichiarazione contiene non già l’indicazione quanto meno dei dieci maggiori soci, ossia l’informazione che l’amministrazione straordinaria intendeva acquisire, bensì quella dei soli tre soci con quote che superano la soglia del 2% del capitale sociale. E’ evidente che se tale fosse stato il dato che si intendeva conoscere, e non quello dei dieci maggiori soci, il bando tanto avrebbe dovuto richiedere in luogo di quest’ultimo. D’altro canto, si è già detto che il bando in parola costituisce la lex specialis della procedura che, com’è noto, non è disapplicabile – ancorché in ipotesi non osservi il principio del favor partecipationis - neanche da parte dello stesso soggetto emanante, di cui costituisce autolimite e, nel contempo, regola esterna intesa ad assicurare la par condicio tra i concorrenti e l’imparzialità delle scelte amministrative, sicché la sua inosservanza si risolve nella violazione di tali principi (ed in ciò sta la lesione della sfera giuridica propria dell’istante in conseguenza della rilevata difformità, radicandosi in tal modo il suo interesse a siffatta deduzione e senza che abbia rilievo la circostanza che analoga dichiarazione ha prodotto anche altra concorrente, non aggiudicataria né anteposta in graduatoria). Infine, neppure ha rilievo la facoltà del Commissario di richiedere all’offerente integrazioni e precisazioni, cui alludono ancora l’Avvocatura dello Stato ed il dott. Rinaldini. A prescindere dall’effettiva sussistenza nella specie di una tal facoltà alla stregua sia della clausola di cui al punto 6.1, n. 3), del bando, sia dei principi generali in tema di irregolarità sanabili o meno, va invero osservato che della stessa facoltà il Commissario non si è avvalso, avendo egli, in sostanza, ammesso senz’altro Alitalia alla valutazione. 4.- L’accoglimento della doglianza trattata al paragrafo che precede consentirebbe all’evidenza l’assorbimento degli altri motivi. Tuttavia, per completezza d’indagine il Collegio ritiene di procedere all’ulteriore disamina dei motivi di gravame attinenti all’espletamento della gara, ed in particolare del successivo mezzo, col quale si lamenta violazione del punto 6.1, n. 5), del bando per aver il Commissario valutato le offerte non in presenza del notaio. La doglianza è fondata. Il cit. punto 6.1, n. 5, recita: “Il Commissario Straordinario (o soggetto da esso delegato) con l’assistenza dei propri Advisor procederà, alla presenza del notaio, in una o più riunioni successive, alla valutazione delle Offerte Tecniche ed Economiche relative alle Offerte rimaste in gara e all’assegnazione dei relativi punteggi, secondo i criteri di valutazione indicati nella Sezione 6.2, di cui verrà redatto apposito verbale dal notaio”. Nella specie risulta quanto segue. Col verbale notarile “di apertura di plichi contenenti offerte di acquisto del Gruppo Volare” in data 28 dicembre 2005 si dà atto, in chiusura (avvenuta alle ore 19,55), che “i plichi con i relativi contenuti vengono ritirati dal Commissario Straordinario onde consentirgli la valutazione delle offerte ai sensi dell’art. 63, comma 3, del D.Lgs. 8 luglio 1999 n. 270, come previsto al punto 6.2 del Bando”. Col verbale notarile “di selezione della migliore offerta di acquisto del Gruppo Volare” in data 29 seguente, aperto alle ore 10,15, dato atto della comparsa del dott. Rinaldini e, tra l’altro, del precedente verbale, si espone che, completate le formalità di apertura delle buste, occorre proseguire nella procedura e si richiama al riguardo il disposto dei punti 6.1 (n. 5, sopra riportato) e 6.5 (rubricato “graduatoria”, secondo cui “completate le formalità di apertura delle buste, il Commissario Straordinario (o soggetto da esso delegato), con l’assistenza degli advisors, procederà, alla presenza del Notaio, in una o più riunioni successive, alla valutazione delle Offerte Vincolanti rimaste in gara, alla determinazione della graduatoria delle stesse ed alla selezione della migliore Offerta”). Quindi “Tutto ciò premesso e costituente con il seguito unico ed inscindibile contesto, alla mia presenza, il Commissario Straordinario dichiara quanto segue: 28 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) ) di aver proceduto alla valutazione delle offerte (…) con l’assistenza degli Studi Legali (…), come da documento che, sottoscritto dal Comparente e da me Notaio, si allega al presente atto sotto la lettera “A”; b) di aver stabilito l’assegnazione dei punteggi sotto indicati a ciascuna delle offerte pervenute e, pertanto, di aver stabilito la seguente graduatoria (..) c) di aver, pertanto, selezionato quale migliore offerta quella pervenuta dalla Società “ALITALIALINEE AEREE ITALIANE S.P.A.”, portante un prezzo non inferiore al valore di stima …”. Il verbale si chiude alle ore 11,25. Se le espressioni usate nella redazione del verbale hanno un senso (ed un senso debbono avere, non essendo consentito all’interprete del testo - anche di un atto negoziale privato - prescindere dal significato oggettivo delle parole, pur non intese in senso strettamente letterale), risulta da tali atti che: - il giorno 28 dicembre 2005 il Commissario straordinario ha ritirato i plichi, completi del rispettivo contenuto, relativi alle offerte di che trattasi; - il giorno seguente, come detto alle ore 10,15, si è presentato davanti al notaio ed ha reso le dichiarazioni suddette (“di aver proceduto …”. “di aver stabilito …”, “di aver selezionato …”), evidentemente riferite ad attività già svolte e, dunque, non effettuate in quella sede, relative alle operazioni di cui agli elaborati poi allegati a verbale. Pertanto, risulta dagli stessi verbali che il Commissario straordinario non ha agito alla presenza del notaio, non avendone questi dato atto nonostante il richiamo alla prescrizione di bando, né tanto meno risulta che sia stato “redatto apposito verbale” della valutazione delle offerte e dell’assegnazione dei relativi punteggi, come richiesto per queste operazioni dallo stesso bando (riportato punto 6.1) In senso contrario non può attribuirsi rilievo alla dichiarazione del medesimo notaio rilasciata, dietro richiesta del Commissario, in data 10 maggio 2006, con la quale si “conferma per quanto possa occorrere che, come si evince dalla natura dell’atto stesso di cui in oggetto e dal suo contenuto, le operazioni di valutazione delle offerte presentate per l’acquisizione del Complesso Aziendale del Gruppo Volare sono state effettuate “in un unico ed inscindibile contesto” alla mia presenza e presso il mio Studio …”. A parte l’equivocità della dichiarazione successiva, quanto meno laddove si rifà alle dizioni utilizzate nel verbale del 29 dicembre 2005 (“unico ed inscindibile contesto”) riferendone il senso alla valutazione anziché, come dallo stesso verbale, alle premesse ed alle dichiarazioni che seguono, resta il fatto, da un lato, della diversa natura e diversa efficacia probatoria dei due atti – il verbale e la dichiarazione -, il secondo dei quali non è per legge assistito dalla fede privilegiata assegnata all’atto pubblico; dall’altro lato, v’è il dato oggettivo dell’omessa redazione dello “apposito verbale” delle operazioni di predisposizione dei criteri nonché - diversamente da quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, anche - di attribuzione dei punteggi (operazioni di cui, peraltro, riesce difficile ipotizzare l’esecuzione nel lasso di tempo di soli un’ora e dieci minuti, stante la loro complessità ed articolazione e l’implicazione dell’esame di ponderosa documentazione presentata dalle cinque offerenti ammesse), giacché le stesse operazioni sono descritte negli allegati, neppure richiamati quali parti integranti del verbale stesso. Non senza dire che tale dichiarazione non è entrata a far parte del procedimento e, dunque, di valutazione da parte dell’Autorità ministeriale emanante l’impugnato decreto, in data ben ad essa anteriore. Ed infine, parimenti irrilevanti sono la qualità di pubblico ufficiale del Commissario straordinario, a lui conferita per quanto attiene alle sue funzioni dall’art. 40, D.Lgs. n. 270/1999, e la mancanza di alcun potere del notaio in merito alla selezione della migliore offerta, dal momento che è la lex specialis – avente la suesposta valenza – a richiedere lo svolgimento delle attività di cui trattasi alla presenza del notaio e la verbalizzazione delle medesime. 5- Ugualmente fondato è il motivo seguente, il quale è articolato in due censure, con la prima delle quali si contesta la mancata predeterminazione di effettivi criteri di massima per la valutazione delle offerte e con la seconda la fissazione dei “pesi” riservati a ciascuno dei quattro elementi individuati dal bando in momento successivo all’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche e le offerte economiche. Con formula pressoché identica al disposto dell’art. 63, co. 3, D.Lgs. n. 270/1999, il bando richiedeva al punto 6.2 che la valutazione delle offerte fosse effettuata “tenendo conto oltre che dell’ammontare del prezzo offerto, dell’affidabilità dell’Offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche dei livelli occupazionali previsti e del loro mantenimento, anche successivamente al biennio garantito successivo al trasferimento del Complesso Aziendale”. 29 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Coerentemente, il Commissario straordinario ha individuato i seguenti elementi: 1) prezzo offerto; 2) affidabilità dell’offerente; 3) piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali; 4) livello occupazionale. Dopodiché ha stabilito di attribuire agli stessi la “ponderazione” rispettivamente del 40%, 15%, 15% e 30%. Ciò posto, in relazione alla seconda delle censure suaccennate deve rilevarsi che siffatta determinazione forma oggetto dell’allegato ‘A’ al verbale del 29 dicembre 2005, come si è visto al paragrafo precedente. Tuttavia, dal verbale del giorno anteriore risulta che il Commissario straordinario “dà seguito all’apertura delle buste ‘A’, ‘B’ e ‘C’ di tutti i plichi …”, ossia delle buste contenenti, oltre alla documentazione amministrativa, l’offerta tecnica (busta B) e l’offerta economica (busta C) di ciascuno dei cinque offerenti. Chiarissimo è perciò, in punto di fatto, che la predeterminazione dei “pesi” in base ai quali valutare i singoli quattro elementi è stata effettuata dopo che il Commissario si era posto di grado di prendere conoscenza degli specifici contenuti delle offerte tecniche ed economiche. In linea giuridica, il Collegio osserva come tale modus operandi si riveli in aperto contrasto con i generalissimi e fondamentali canoni di garanzia di imparzialità, trasparenza e par condicio che, secondo ampia, consolidata e pacifica giurisprudenza, debbono presidiare ogni forma di gara ad evidenza pubblica, qual è la procedura di vendita di cui si discute. E’ evidente, invero, che anche solo la mera possibilità della conoscenza dell’entità dell’offerta economica e delle caratteristiche di quella tecnica metta in pericolo tale garanzia, comportando il rischio che i criteri siano plasmati ed adattati alle offerte in modo che ne sortisca un effetto potenzialmente premiante nei confronti di una di esse. Nel caso in esame, ad esempio, la conoscibilità delle cinque, diverse offerte tecniche ed economiche ben consentiva in astratto di assumere per i singoli elementi di valutazione una determinata misura percentuale (ad es. 40%) in luogo di altra (ad es. 30 o 20%), talché nella combinazione delle rispettive valutazioni ne risultasse attribuito un miglior punteggio complessivo ad un offerente anziché ad un altro. Ex adverso si oppone che l’iniziativa di vendita non comporterebbe “alcun obbligo legale (…) di esperire qualsivoglia procedura concorsuale di selezione, né ancor meno di improntare la contrattazione a regole e principi valevoli per le tipiche procedure ad evidenza pubblica”, e che, nella specie, sarebbe stata delineata una procedura in cui “l’unica regola per la valutazione delle offerte e l’individuazione del contraente migliore si sostanziava nell’obbligo di prendere in considerazione e di verificare taluni fattori, peraltro mutuati pedissequamente dalla legge (…), senza alcun obbligo di pesarli percentualmente e di graduarli preventivamente secondo valori numerici”. Dimenticano però parti resistenti che lo stesso Commissario straordinario ha stabilito di procedere adottando i valori di “ponderazione” di cui sopra, optando in tal modo – sia pur illegittimamente a buste aperte – per una autolimitazione della propria discrezionalità di valutazione. D’altra parte, la presenza di un bando propriamente di gara (tale anche nella definizione datagli nell’impugnato decreto ministeriale del 17 marzo 2006), le regole dettate e le garanzie apprestate in esso conducono a ritenere che sia stato prescelto un modello dell’intera procedura di vendita (meglio: di individuazione del contraente) ispirato alle non dissimili regole e garanzie della gara ad evidenza pubblica, con la conseguenza che tale soluzione imponeva poi l’osservanza quantomeno dei ricordati canoni fondamentali, ai quali il Commissario, non diversamente da una amministrazione pubblica, deve ritenersi vincolato, pena il venir meno di ogni utilità stessa della gara (cfr., in fattispecie analoga, cit. TAR Liguria, Sez. II, n. 715/2005). Neanche è valida la tesi secondo cui il Commissario avrebbe seguito la sequenza procedimentale fissata dal bando (non oggetto di impugnazione), che richiedeva, dopo una prima fase concernente la verifica della integrità e della tempestività della ricezione dei plichi pervenuti, l’apertura dei plichi medesimi e la verifica della presenza delle tre buste A, B e C, una seconda fase consistente nell’apertura di tutte e tre tali buste per tutte le offerte e nella constatazione della presenza dei documenti ivi contenuti, come indicati dal bando (punto 6.1.A). Ciò per il semplice motivo che nulla impediva al Commissario di procedere alla specificazione dei criteri prima ancora di iniziare tale sequenza, oppure subito dopo la prima fase. Neppure possono essere seguite le parti resistenti laddove osservano come la verifica effettuata dal Comitato di sorveglianza (verbale n. 11 del 23 gennaio 2006, richiamato nel decreto impugnato) abbia dato un esito del tutto confermativo delle valutazioni effettuate dal Commissario sostenendo, di qui, l’inidoneità delle doglianze in parola a riverberare sulla legittimità dell’aggiudicazione e, in ultima analisi, la carenza di interesse alle relative deduzioni. 30 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) La verifica in questione risulta infatti eseguita conservando la stessa proporzione dei “pesi” del 40%, 15%, 15% e 30% fissata appunto dal Commissario, rapportati rispettivamente a 400, 150, 150 e 300 anziché ciascuno a 1.000, come fatto dal Commissario. Anche in relazione a tale esito resta pertanto integro l’interesse dell’istante a far valere il vizio riscontrato, stante la sua perdurante incidenza sulla legittimità delle valutazioni operate dal Commissario straordinario, sulla conseguente aggiudicazione e, in via derivata, sul decreto ministeriale del 17 marzo 2006, conclusivo della procedura. 5.- Corollario dell’esigenza dell’osservanza dei canoni essenziali di imparzialità, trasparenza e par condicio tipici dell’evidenza pubblica, sopra evidenziata, è nella specie la necessità, attesa la genericità dei criteri di legge e di bando - consistenti in realtà, va ribadito in questa sede, nella previsione dei soli elementi di valutazione -, di predisporne una specificazione che tenesse conto dei singoli aspetti a ciascuno connessi; necessità alla quale non assolve la semplice previsione dei predetti “pesi”. Circa tale necessità ed in generale, in tema di gare ad evidenza pubblica è ben noto principio giurisprudenziale che, quando la scelta della migliore offerta non scaturisce da una meccanica ricognizione dei prezzi offerti, ma segue al vaglio di una pluralità di elementi di natura tecnica ed economica dell’offerta, suscettibili di valutazione sia in termini assoluti che comparativi, la commissione giudicatrice della gara può legittimamente introdurre elementi di specificazione, nell’ambito dei criteri generali stabiliti dal bando o dalla lettera d’invito, mediante la previsione di sottovoci rispetto alle categorie generali già fissate, ove queste ultime non risultino adeguate a rappresentare la peculiarità delle singole offerte; si tratta però non di una mera facoltà, ma di una potestà il cui esercizio assume il carattere della doverosità tutte le volte che i margini di discrezionalità, lasciati dalla disciplina generale della gara, risultino tanto ampi, quanto alle valutazioni di convenienza ed agli apprezzamenti tecnici, che l’esame delle singole offerte richiede, da incidere sull’espletamento della gara (cfr. ad es., Cons. St., Sez. V, 25 novembre 2002 n. 6479 e TAR Liguria, Sez. II, 31 marzo 2004 , n. 312). Tale principio, che ben si attaglia alla fattispecie in discussione per le ragioni spiegate innanzi, consente di ritenere fondata anche la prima articolazione del terzo motivo. 6.- Quanto sin qui esposto conduce inevitabilmente all’annullamento degli atti accennati, a partire – per le considerazioni di cui al precedente paragrafo 3) – dal verbale notarile del 28 dicembre 2005 e con assorbimento di ogni ulteriore censura non esaminata, in accoglimento della rispettiva domanda formulata da Air One. A questo punto della trattazione viene in rilievo l’altra domanda avanzata nell’atto introduttivo del giudizio, con la quale si chiede la declaratoria di nullità e/o inefficacia del contratto di compravendita del Gruppo Volare stipulato tra il Commissario straordinario e la newco Volare S.p.A., costituita da Alitalia, in ordine alla quale è stato eccepito il difetto di giurisdizione amministrativa. Al riguardo, occorre ricordare le conclusioni alle quali il Collegio è pervenuto al paragrafo 2) nell’affermare la sussistenza di giurisdizione amministrativa sulla domanda di annullamento precedentemente esaminata, e cioè la ricomprensione della relativa controversia nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità. In tale contesto, la domanda ora in trattazione non può aver accesso poiché per sua natura essa ricadrebbe nel diverso ambito della giurisdizione esclusiva che qui appunto non ricorre. Difatti, in tema di appalti pubblici proprio e solo sulla base della sussistenza della pienezza di giurisdizione, che il legislatore del 1990 e del 2000 ha conferito al plesso giurisdizionale amministrativo, è stata affermata la spettanza della potestas decidendi in ordine alla declaratoria in parola da parte dello stesso giudice che pronuncia la sentenza costitutiva di demolizione dell’atto gravato. In altri termini, si è ritenuto che la concentrazione e la pienezza di tutela proprie della giurisdizione esclusiva sulle procedure di affidamento - tali da superare il sistema che imponeva al cittadino di moltiplicare i giudizi passando dall’una all’altra giurisdizione per conseguire il bene dell’effettività della tutela stessa - consentissero al giudice amministrativo di indagare anche sugli effetti prodotti dall’annullamento della procedura sul contratto stipulato (cfr., tra le tante, Cons. St., Sez. V, 28 maggio 2004 n. 3465). Devesi dunque declinare la giurisdizione in favore del giudice ordinario. Tale affermazione, ma anche l’assunto secondo cui l’ormai acquisita situazione proprietaria del complesso aziendale in capo ad Alitalia avrebbe prodotto effetti irreversibili, nulla tolgono all’attuale permanenza dell’interesse 31 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) dell’istante alla pronuncia demolitoria, se non altro in considerazione della possibilità del ripristino per equivalente della posizione giuridica lesa. 7.- In conclusione, il ricorso va in parte accolto ed parte dichiarato inammissibile. Quanto alle spese di causa, nella complessità della vicenda il Collegio ravvisa giusti motivi affinché ne possa essere disposta la compensazione tra tutte le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III ter, così dispone sul ricorso in epigrafe: a.- lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto annulla gli atti impugnati; b.- lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione nella restante parte. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 ottobre 2006. Francesco Corsaro PRESIDENTE Angelica Dell'Utri ESTENSORE Depositato il 2 novembre 2006 02/11 Quale tutela nelle gare d'appalto Codice de Lise, al via il nuovo servizio telematico per adire l'Autorita' sui Contratti Pubblici L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha approvato lo scorso 10 ottobre il Regolamento recante la nuova procedura di soluzione delle controversie prevista dall'art. 6, comma 7, lett n) del Codice del Contratti Pubblici (D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163). Stazioni appaltanti e aziende partecipanti possono adesso rivolgere all'Autorità un'istanza per ottenere la possibile soluzione di una questione insorta durante lo svolgimento della procedura di gara, e l'Autorità formulerà in tempi brevissimi (30 giorni dall'inoltro dell'istanza) un parere relativo alla questione sollevata. Peraltro, fino alla definizione della questione da parte dell'Autorità, la stazione appaltante non potrà porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione stessa. La sede di Roma dello Studio Legale Giurdanella attiva pertanto un nuovo servizio legale on line, impegnandosi a svolgere, per conto dei soggetti interessati, ogni attività tecnico-giuridica prevista dalla suddetta procedura innanzi all'Autorità Contratti pubblici. L'utente del servizio dovrà limitarsi a conferire a distanza l'incarico allo Studio Legale, compilando uno specifico modulo elettronico; sarà poi lo Studio ad occuparsi della redazione dell'istanza, del suo deposito, dell'eventuale audizione presso l'Autorità, e di ogni altro rapporto con l'Autorità stessa. Ulteriori vantaggi del servizio sono l'approfondimento giuridico della questione da parte dello Studio Legale, nonché l'esclusivo utilizzo di 32 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) strumenti telematici, che determina, oltre ad un'ulteriore accelerazione dei tempi, l'abbattimento dei costi della procedura in questione. 27/10 Diritto Amministrativo 2007 Codice dei Contratti Pubblici 163/2006 e SpA pubbliche Codice dei Contratti Pubblici; Proroga e rinnovo dei contratti; SpA miste e affidamenti in house; Strumenti deflattivi del contenzioso amministrativo; Effetti dell'annullamento dell'aggiudicazione sul contratto. Sono alcuni degli argomenti trattati dagli autori di Giurdanella.it, nel volume a più mani, "Diritto Amministrativo, Temi e Percorsi", appena uscito in libreria, per la Esselibri - Simone e coordinato da Carlo Buonauro, giudice amministrativo. Di seguito, il sommario degli scritti: Carmelo Giurdanella Gli strumenti deflattivi del contenzioso amministrativo Premessa La partecipazione al procedimento Il preavviso di rigetto Gli accordi con la pubblica amministrazione Rassegna giurisprudenziale Bibliografia Carmelo Giurdanella, Benedetta Caruso Proroga e divieto di rinnovo dei contratti alla luce del Codice dei contratti pubblici Premessa Evoluzione legislativa e giurisprudenziale degli istituti del rinnovo e della proroga Possibilità di rinnovo e proroga dei contratti dopo la legge n. 62/2005 Il Codice dei contratti pubblici Rassegna giurisprudenziale Bibliografia Carmelo Giurdanella, Benedetta Caruso Gli effetti dell'annullamento dell'aggiudicazione sul contratto L'illegittimità successiva e derivata del provvedimento amministrativo Le conseguenze dell'annullamento dell'aggiudicazione sul contratto stipulato tra P.A. e aggiudicatario Le varie tesi: la tesi dell'annullabilità del contratto La tesi della nullità del contratto la tesi dell'inefficacia sopravvenuta cd. relativa del contratto La tesi della caducazione automatica del contratto Il Codice dei contratti Rassegna giurisprudenziale Bibliografia Carmelo Giurdanella, Ilenia Miccichè Gli affidamenti in house providing: delimitazione dell'istituto alla luce dell'interpretazione comunitaria e problematiche connesse Definizione e delimitazione dell'istituto: regola o eccezione ? 33 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Requisito del "controllo analogo" Requisito della "attività prevalente" Le pronunce della Corte di Giustizia Rassegna giurisprudenziale 25/10 parere del Consiglio di Stato sul Decreto correttivo al Codice dei Contratti Pubblici 163/2006 Consiglio di Stato Sezione Consultiva per gli Atti Normativi Adunanza del 28 settembre 2006 Parere n. 3641 /2006 Oggetto: Ministero delle infrastrutture. Schema di decreto legislativo contenente modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. La Sezione, Vista la relazione, trasmessa con nota, prot. n. 0013580 del 13 settembre 2006, pervenuta il 15 settembre 2006, con la quale il Ministero delle infrastrutture, Ufficio legislativo, ha chiesto il parere sullo schema di decreto legislativo indicato in oggetto. Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Consigliere Guido Salemi; Premesso e Considerato a) Lo schema di decreto legislativo in esame, deliberato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 23 giugno 2006, apporta modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE” ed è stato predisposto ai sensi dell’art. 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62, che consente l’adozione di disposizioni correttive ed integrative del Codice entro due anni dalla sua emanazione, in relazione alla dichiarata finalità di: - rideterminare l’efficacia temporale di alcune disposizioni del Codice, con particolare riferimento ad istituti giuridici di nuova introduzione, limitando l’intervento a quelle disposizioni a recepimento facoltativo, ai sensi della normativa europea, ovvero ad altre disposizioni che, seppure modificate, non incidono sugli obblighi nazionali di adeguamento alle direttive comunitarie; - apportare alcune modifiche consequenziali rese indispensabili in relazione al differimento dell’entrata in vigore dei summenzionati istituti; - valorizzare i contenuti che più direttamente possono esprimere forme di tutela effettiva e sostanziale per i principi di libera concorrenza, trasparenza, pubblicità, non discriminazione, proporzionalità; - assicurare l’adeguamento pieno ed effettivo alla decisioni della Commissione europea in materia di contratti pubblici medio tempore intervenute; - apportare al testo alcune correzioni di natura prevalentemente formale, ovvero dettate dall’esigenza di adeguamento a normative sopravvenute su disposizioni richiamate, ma esterne allo stesso. Riferisce preliminarmente l’Amministrazione che lo schema di decreto legislativo è stato trasmesso alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, la quale, nella seduta del 3 agosto 2006, ha chiesto l’inserimento, in un atto avente forza di legge, di una disposizione di carattere transitorio, in attesa di ulteriori interventi modificativi sul decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, che è stata così formulata: “Fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo correttivo ed integrativo del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, da adottarsi d’intesa con la Conferenza Unificata, si applicano, anche in deroga all’art. 4 del citato decreto legislativo n. 163 del 2006, le disposizioni normative delle Regioni e delle Province autonome in materia di appalti di lavori, servizi e forniture concernenti la stipulazione e l’approvazione dei contratti, il responsabile unico del procedimento, la pubblicazione dei bandi e le procedure di affidamento degli appalti d’importo alla soglia comunitaria, se non in contrasto con la normativa comunitaria”. 34 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) In relazione alla suesposta proposta di modifica, l’Amministrazione esprime parere contrario per la considerazione di fondo che la stessa tocca una problematica (quella, cioè del rapporto tra la normazione statale e la disciplina regionale nella materia) della quale lo schema di decreto correttivo in esame non ha inteso mutare alcunché rispetto a quanto definito con il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche all’esito delle valutazioni espresse dal Consiglio di Stato, in occasione del parere reso all’esito dell’Adunanza del 6 febbraio 2006. Al riguardo si concorda con l’avviso contrario dell’Amministrazione. In particolare si ribadisce che nei contratti al di sotto della soglia comunitaria compete allo Stato la fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione e che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto la legittimità dell’applicabilità alle Regioni dei principi desumibili dalla normativa nazionale di recepimento della disciplina comunitaria, là dove impongono la gara, fissano l’ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, limitano il ricorso alla trattativa privata e collegano alla violazione dell’obbligo sanzioni civili e forme di responsabilità (Corte cost. n. 345 del 2004). In ogni caso, appare opportuno soprassedere ad eventuali modificazioni dell’art. 4 del codice, come pure del successivo art. 5, in attesa di conoscere le decisioni della Corte costituzionale sui ricorsi di legittimità costituzionale che, in relazione a dette norme, sono stati recentemente proposti dalle Regioni Piemonte, Lazio e Abruzzo. b) Quanto ai sei articoli di cui si compone lo schema di decreto legislativo si svolgono le osservazioni che seguono. Art.1 (Termini di efficacia) Come osservato dall’Amministrazione, le norme contenute nel presente articolo sono entrate a far parte della legislazione vigente con l’art. 1-octies delle disposizioni contenute in tale legge, in vigore del decreto legge 12 maggio 2006, n. 173, convertito nella legge 12 luglio 2006, n. 228. Tale articolo va, pertanto, stralciato dal testo del provvedimento. Con riferimento all’art. 49, comma 10, del codice, contenuto nell’art. 1, comma 2, dello schema di decreto, il quale fa divieto all’impresa ausiliaria di assumere a qualsiasi titolo il ruolo di appaltatore o di subappaltatore, deve, peraltro, rappresentarsi l’esigenza di recepire sin da adesso l’avviso manifestato, sia pure in un parere informale, dal Servizio legale della Commissione europea in ordine alla coerenza del citato art. 49, comma 10, con la normativa comunitaria (“…il divieto per l’impresa ausiliaria di partecipare alla realizzazione dell’appalto a qualsiasi titolo può annientare la portata dell’avvalimento. Perché non dovrebbe poter partecipare come subappaltatore? Il subappalto non può essere vietato dalla stazione appaltante. Se c’è un caso in cui può essere utile il ricorso al sub appalto è proprio quando le capacità della società ausiliaria sono necessarie alla realizzazione dell’appalto. Altrimenti, in questo caso, diventa obbligatorio raggrupparsi. E perché, invece, non potrebbero indicare nell’offerta che la società ausiliaria realizzerà la parte per la quale è competente”). Pertanto, allo scopo di prevenire l’instaurazione di una procedura di infrazione, si propone, la soppressione dell’art. 49, comma 10, e, in sua sostituzione, la previsione a favore dei concorrenti della facoltà per i medesimi di avvalersi nell’esecuzione dei lavori della società ausiliaria, nei limiti della competenza di questa ultima. Art. 2 (Disposizioni correttive) Al n. 1, lett. b), si prevede di introdurre, dopo la lettera f) dell’art. 40, comma 4, del codice, la lettera fbis, con il quale si consente, in sede regolamentare, di “disciplinare le modalità per il coordinamento in materia di vigilanza sull’attività degli organismi di attestazione avvalendosi delle strutture e delle risorse già a disposizione per tale finalità e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Riferisce in proposito l’Amministrazione che, al fine di assicurare una integrale e penetrante vigilanza sull’attività delle S.O.A, fermo quanto già disposto nel codice relativamente al ruolo dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, si affida all’emanando regolamento generale per lavori, servizi e forniture di cui all’art. 5 – destinato a disciplinare anche il sistema di qualificazione – la definizione delle modalità di coordinamento della vigilanza sull’attività delle S.O.A. Soggiunge l’Amministrazione che già l’art. 4 del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 19 aprile 2005 riconosce alle competenti articolazioni del Ministero medesimo attribuzioni in tema di qualificazione delle imprese, anche con la possibilità di rispondere a quesiti, adottare pareri e circolari in materia di lavori pubblici con riferimento al sistema di qualificazione delle imprese, con la conseguente necessità di coordinamento con l’Autorità di vigilanza e l’Osservatorio dei lavori pubblici. La Sezione ritiene che siffatte considerazioni non siano suscettive di condivisione. 35 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) E’ noto che nell’ambito della complessiva riforma del sistema dei lavori e delle opere pubbliche, avviata con la legge n. 109 del 1994 e successive modificazioni ed integrazioni, il Legislatore ha innovato il sistema di verifica della qualificazione delle imprese a progettare e realizzare opere pubbliche, abbandonando il criterio della gestione della materia da parte di una amministrazione che è anche stazione appaltante e quindi parte del rapporto ed affidandola ad organismi di diritto privato, preventivamente autorizzati dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, che la esercitava sulla base delle disposizioni legislative di cui all’art. 4 della legge n. 109 del 1994 e regolamentari di cui al d.P.R. n. 34 del 2004, e ora del nuovo Codice, in attuazione dell’espresso criterio di delega di cui all’art. 25, comma 1, lett. c), della legge n. 62 del 2005, anche nei settori delle forniture e dei servizi. Dal citato quadro normativo emerge, con specifico riferimento alla vigilanza sugli organismi di attestazione, che: - l’Autorità indica in maniera vincolante le condizioni che le S.O.A. devono rispettare nel contenuto dell’atto che esse adottano (rilascio, modifica, revoca, diniego dell’attestazione); - può sanzionare la S.O.A. che rimane inadempiente alle indicazioni, addirittura con la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività; - le S.O.A. sono tenute ad inviare all’Autorità tutte le attestazioni che rilasciano; - l’Autorità controlla le attestazioni, oltre che su iniziativa degli operatori nel mercato, anche di propria iniziativa, mediante periodico controllo a campione. Recependo un orientamento manifestato da questo Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI, n. 991 del 2004), il codice, all’art. 6, comma 7, lettera m), ha espressamente disposto che, nell’esercizio della vigilanza, “l’Autorità può annullare, in caso di constatata inerzia degli organismi di attestazione, le attestazioni rilasciate in difetto dei presupposti stabiliti dalle norme vigenti, nonché sospendere, in via cautelare, dette attestazioni”. Stante la posizione di preminenza attribuita all’Autorità nel sistema di vigilanza sull’attività degli organismi di attestazione, non è possibile prevedere, in via regolamentare, forme di coordinamento che possano prescindere da tale posizione. Del resto, già nel sistema vigente, l’Autorità esercita attività di direzione e di coordinamento, come è confermato proprio dal citato d.m. 19 aprile 2005, concernente l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale dell’allora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che, all’art. 4, ha attribuito alla Divisione IV, della Direzione Generale per la regolazione dei lavori pubblici del Dipartimento per le infrastrutture stradali, l’edilizia e la regolazione dei lavori pubblici, competenze nella materia dei rapporti con la vigilanza sui lavori pubblici, attribuendo, tra l’altro, a detta Divisione “il coordinamento con l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici per l’identificazione di linee guida comuni per la giusta interpretazione ed applicazione della normativa di settore”. Dal tenore di tale disposizione emerge, infatti, chiaramente che l’attività dell’organo di amministrazione attiva nell’interpretazione e attuazione della normativa non ha solo il vincolo dei comuni principi ermeneutici ma anche quello derivante dalle determinazioni e dagli orientamenti assunti dall’Autorità. A ciò si aggiunga – ed è argomento dirimente – che solo in questo quadro centrato sulla tutela del mercato e della concorrenza e non più sulla mera tutela della stazione appaltante si giustifica ed anzi si impone l’esclusione di una competenza regionale, se non addirittura locale, esclusione che nel sistema precedente sarebbe stata inaccettabile. Alla stregua delle suesposte considerazioni si esprime l’avviso che la disposizione in esame debba essere eliminata dal testo dello schema di decreto legislativo. Al n. 8, la formulazione è condivisibile ma occorre modificare la numerazione del comma da “1 bis”a “2”, non essendoci commi ulteriori. Non si hanno osservazioni da formulare sulle altre disposizioni. Art. 3 (Disposizioni di coordinamento) Riferisce l’Amministrazione che in tale articolo sono contenute disposizioni volte, per lo più, alla mera correzione di errori materiali del testo del Codice. Ciò peraltro non è esatto per il n. 7 che introducendo una modifica all’art. 110, comma 21, in realtà innova in modo sostanziale le procedure sotto soglia estendendo ad esse il sistema della gara. Con riferimento, poi, al n. 10, esso è volto a correggere un mero refuso materiale, contenuto nell’art. 194, comma 10 (terminali di gassificazione anziché di riclassificazione). Tuttavia l’Amministrazione, sul presupposto che il contenuto del comma appaia non del tutto omogeneo alla materia disciplinata nel codice, pone il quesito se sia opportuno conservarne traccia all’interno del medesimo codice, ovvero assicurarne la permanere vigenza con la disposizione dalla quale è tratta (art. 5, comma 10, del decreto legge n. 35 del 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 80 del 2005, peraltro espressamente abrogata per effetto dell’art. 256 del decreto legislativo n. 163 del 2006). In proposito si condivide l’avviso, con l’avvertenza che la reviviscenza della norma possa realizzarsi modificando l’art. 256 del codice nel senso di limitare l’abrogazione del citato art. 5 ai commi da 1 a 9 e da 10 a 13, nonché ai commi 16-sexies e 16-septies dell’articolo stesso. Con il numero 15 si prevede di modificare 36 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) l’art. 253, comma 21 del codice sostituendo le parole “di intesa” con la parola “sentita”; in particolare, detta norma dispone che “in relazione alle attestazioni rilasciate dalle SOA dal 1° marzo 2000 alla data di entrata in vigore del codice, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di intesa con l’Autorità, emanato ai sensi dell’art. 17 comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabiliti i criteri, le modalità e le procedure per la verifica dei certificati dei lavori pubblici e delle fatture utilizzati ai fini del rilascio delle attestazioni SOA. La verifica è conclusa entro un anno dall’entrata in vigore del predetto decreto”. Tenuto conto delle osservazioni sopra esposte sul ruolo attribuito dalla legge all’Autorità, si esprime parere contrario alla suddetta modifica. Per il resto non si hanno osservazioni da formulare. Art. 4 (Adeguamento a decisioni della Commissione europea) L’articolo in esame sopprime la lettera f) dell’art. 177, comma 4, del codice, il quale, riproducendo il contenuto dell’art. 20-octies, comma 4 del d.lgs. n. 190 del 2002, il quale ha previsto un nuovo criterio per l’aggiudicazione degli appalti ai contraenti generali con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, concernente la maggiore entità di lavori e servizi che il contraente generale si impegna ad affidare ad imprese nominate in sede di offerta. A seguito della procedura di infrazione n. 2005/4311, avviata dalla Commissione Europea nei confronti della Repubblica italiana, la disposizione in questione è stata abrogata dall’art. 1-octies aggiunto dalla legge 12 luglio 2006 n. 228 in sede di conversione del decreto legge 12 maggio 2006, n. 173. Conformemente a quanto osservato dall’Amministrazione, va disposto lo stralcio dell’articolo. Art. 5 (Disposizioni finanziarie) Sulla disposizione contenuta in tale articolo, che mira a garantire l’assenza di riflessi finanziari dalle disposizioni contenute nello schema di decreto, non si hanno osservazioni da formulare. Art.6 (Disposizioni transitorie) Detto articolo detta disposizioni volte a disciplinare, al primo comma, l’entrata in vigore delle modifiche introdotte (identificate nel giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana) e, al secondo comma, il regime normativo applicabile alle procedure già iniziate alla data di entrata in vigore dello schema di decreto. Conformemente a quanto osservato dall’Amministrazione, si esprime l’avviso che detto secondo comma debba essere stralciato dal testo del provvedimento, atteso che le disposizioni ivi contenute sono già state introdotte nell’ordinamento dal citato art. 1-octies del decreto legge n. 173 del 2006. Ne consegue che il titolo dell’articolo deve essere mutato in “Entrata in vigore”. P.Q.M. Esprime parere favorevole con le osservazioni sopra indicate. (Il Presidente della Sezione, Giancarlo Coraggio) 25/10 Appalti Il parere della Conferenza unificata sul decreto correttivo al Codice dei Contratti Pubblici Presidenza del Consiglio dei Ministri Conferenza unificata Parere, ai sensi dell’art.25, comma 2, della legge 18 aprile 2005, n.62, sullo schema di decreto legislativo recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17 e 2004/18/CE (Rep. Atti n. 960/CE del 27 luglio 2006) La Conferenza unificata Nell’odierna seduta del 27 luglio 2006; 37 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) VISTE le direttive 2004/17 e 2004/18, che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali e le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi; VISTA la legge 18 aprile 2005, n. 62, art. 25, che al comma 1, delega il Governo a recepire le direttive 2004/17 e 2004/18 prevedendo la raccolta, in un unico testo normativo, sia della disciplina degli appalti e concessioni di rilevanza comunitaria, sia degli appalti e concessioni sotto soglia comunitaria; VISTO lo schema di decreto legislativo predisposto dal Governo in attuazione della delega prevista dal citato articolo 25 della L. n. 62/2005, esaminato dalla Conferenza Unificata nella Seduta del 9 febbraio 2006, nel corso della quale le Regioni hanno espresso parere negativo con le osservazioni contenute in due documenti coordinati, consegnati nel corso della Seduta; VISTO il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, emanato in attuazione delle direttive 2004/17 e 2004/18CE; VISTO l’articolo 25, comma 3, della citata legge n. 62/2005 che prevede la possibilità di emanare disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, entro due anni dalla sua data di entrata in vigore; VISTO lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a norma dell’art. 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62, approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 23 giugno 2006, VISTI gli esiti della riunione tecnica del 10 luglio 2006, nel corso della quale le Regioni hanno espresso parere favorevole sullo schema di decreto in esame condizionato all’apertura di un tavolo tecnico per discutere le ulteriori modifiche da apportare al codice degli appalti; VISTI gli esiti dell’odierna Seduta, nel corso della quale le Regioni hanno espresso parere favorevole sullo schema di decreto legislativo in esame, con la richiesta di aprire un tavolo tecnico volto alla modifica del decreto legislativo recante il Codice dei contratti pubblici, e a individuare, in attesa di tale provvedimento, misure idonee a regolare e rendere chiaro il regime vigente in rapporto alla legislazione regionale; CONSIDERATO che l’ANCI, l’UPI e l’UNCEM hanno espresso parere favorevole sullo schema, secondo quanto contenuto nel documento che, allegato al presente atto, ne costituisce parte integrante (All. sub.A), contenente alcune considerazioni; CONSIDERATO che il Ministro per le infrastrutture ha ritenuto di poter aderire alla richiesta delle Regioni di apertura di un tavolo tecnico, per la revisione del decreto legislativo recante il Codice dei contratti pubblici e che il citato tavolo avrà sede presso la Conferenza ESPRIME PARERE FAVOREVOLE nei termini di cui in premessa, sullo schema di decreto legislativo recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17 e 2004/18/CE. Il Presidente On.le Prof. Linda Lanzillotta Il Segretario 38 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Dott. Riccardo Carpino CONFERENZA UNIFICATA 27 luglio 2006 Elenco A – punto 6) all’ordine del giorno SCHEMA DI DECRETO DEGISLATIVO RELATIVO A DISPOSIZIONI INTEGRATIVE E CORRETTIVE DEL DECRETO LEGISLATIVO 12 APRILE 2006, N. 163, RECANTE IL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI RELATIVI A LAVORI, SERVIZI E FORNITURE, A NORMA DELL’ART. 25, COMMA 3, DELLA LEGGE 18 APRILE 2005, N. 62 PREMESSA L’introduzione del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, risponde anche all’esigenza in sede europea di recepire le direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18. In sede di Conferenza Unificata l’ANCI ha espresso parere non favorevole sul decreto legislativo del 12 aprile 2006, n. 163 c.d. Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture motivando tale decisione nel merito del provvedimento allora in esame e sottolineando la necessità di procedere ad importanti modifiche al testo allora presentato. Il 12 luglio u.s. è stato convertito il c.d. Decreto Milleproroghe (l. 228/06) dove sono state inserite all’interno alcuni degli emendamenti formulati durante gli incontri tra Governo ed Autonomie locali anche in riferimento alla incertezza della disciplina nel periodo transitorio dopo che l’art. 256 del Codice aveva abrogato le norme di riferimento mentre il decreto correttivo in esame, a sua volta, rinvia al 1 febbraio 2007 l’entrata in vigore delle medesime disposizioni normative. Il testo del decreto correttivo in oggetto muove delle correzioni per lo più di carattere formale ed in ogni caso si esprime parere favorevole. CONSIDERAZIONI A LATERE Inoltre sarebbe stato il caso, per lo meno per due questioni urgenti procedere ad una modifica del D.Lgs. 163/06 prevedendole all’interno di future previsioni di carattere correttivo, ed in particolare: Regime di pubblicità: ovvero l’introduzione dell’art. 122, comma 5 del D.Lgs. 163/06 in cui è sancito l’obbligo di pubblicazione in Gazzette Ufficiale per i contratti di importo pari o superiore a € 500.000,00. Precedentemente le pubblicazioni in G.U. erano obbligatorie per i contratti pari o superiori a € 1.000.000,00. Questo comporterà delle ripercussioni notevoli, dal punto di vista economico, alle casse comunali. Responsabilità dei procedimenti interni all’amministrazione: ovvero con l’introduzione del comma 5 dell’art. 10 del D.lgs. n. 163/2006 il responsabile del procedimento “deve essere un dipendente di ruolo”. Tale precisazione, così tassativamente formulata, rischia di creare non pochi problemi ai Comuni, che si vedono costretti ad affidare necessariamente gli incarichi di responsabile del procedimento al personale a tempo indeterminato in organico; tale previsione crea, dunque, notevoli difficoltà operative soprattutto alla luce dei rigorosi vincoli in materia di assunzioni e di contenimento dei costi del personale intervenuti negli ultimi anni. Il ricorso a formule flessibili di utilizzo del personale per l’affidamento di incarichi di responsabilità, meno rigide rispetto all’assunzione a tempo indeterminato, anche avvalendosi ad esempio di personale comandato o distaccato da altro ente, 39 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) rappresenta una valida soluzione per reperire personale altamente qualificato riducendo al contempo i costi in un ottica di complessiva razionalizzazione degli oneri del personale pubblico. 25/10 In Gazzetta Il procedimento per la risoluzione delle controversie innanzi all'Autorita' sui Contratti Pubblici E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri (n. 248 del 24.10.2006) il Regolamento sul procedimento per la soluzione delle controversie, ai sensi del Codice dei Contratti Pubblici, innanzi all'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture. Si tratta dei nuovi poteri attribuiti all'Autorità dall'articolo 6, comma 7, lettera n), del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163. Abbiamo già pubblicato sul sito il regolamento e lo schema. 25/10 Friuli Venezia Giulia Applicabilita' alle Regioni del Codice dei Contratti Pubblici Circolare del Friuli Venezia Giulia sull'applicabilita' alle regioni del codice dei contratti pubblici, e in definitiva sul riparto di competenza Stato-Regioni in materia di lavori pubblici. Si osserva che "anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e sino all’emanazione della normativa regionale di recepimento delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, per i lavori pubblici da realizzarsi nel territorio regionale, debbano continuare a trovare applicazione le leggi regionali". Il D.Lgs. 163/2006 andrà dunque applicato solo in quelle specifiche parti “riservate” alla normativa statale e "salva la necessità in ogni caso di disapplicare le disposizioni regionali che debbono ritenersi in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario". Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Direzione centrale ambiente e lavori pubblici Circolare del 21 luglio 2006 (prot. ALD/DIR/ 23820 E/35/14) Oggetto: Decreto Lgs 163/2006 e LR 14/2002. Competenze dello Stato e della Regione in materia di Lavori Pubblici Con la presente si intende fare chiarezza sulla portata applicativa, nell’ambito della nostra Regione, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (cd. “Codice dei contratti pubblici”), emanato in attuazione della disposizione contenuta nell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004) che ha delegato il Governo a recepire nel nostro ordinamento le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. L’art. 4 del succitato Codice ha attratto alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la parte principale degli ambiti di disciplina che costituiscono la materia dei contratti pubblici (art. 4 comma 3) lasciando alla potestà delle Regioni la regolazione dei profili di ordine organizzativo – procedurale – economico. 40 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) La previsione sopra richiamata va peraltro letta avendo riguardo anche a quanto disposto dall’art. 4, punto 9, dello Statuto regionale (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 e successive modifiche ed integrazioni) che individua espressamente i lavori pubblici tra le materie attribuite alla potestà legislativa primaria della Regione. Fatta eccezione per quelle materie che l’art. 117 della Costituzione riserva alla competenza statale esclusiva (quali: tutela della concorrenza; ordine pubblico e sicurezza; ordinamento civile; giurisdizione e norme processuali), nonché per le quali opera l’esplicito rinvio da parte della normativa regionale, continua pertanto a permanere in capo alla Regione un ampio potere dispositivo nella materia di che trattasi, in armonia con i caratteri di autonomia di cui la Regione gode e che – giuste sentenze della Corte cost. n. 345/2004 e n. 272/2004 – non possono essere illegittimamente compressi (in parere del consiglio di Stato del 6 febbraio 2006, sezione 355/06). Sulla base di queste considerazioni si ritiene quindi che, anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e sino all’emanazione della normativa regionale di recepimento delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, per i lavori pubblici da realizzarsi nel territorio regionale, debbano continuare a trovare applicazione la L.R. 14/2002, come modificata dalla L.R. 9/2006, ed i D.P.Reg. 0165/82003 e 0166/2003 come rivisti e modificati secondo le (...) di derivazione comunitaria- mentre il D.Lgs. 163/2006 andrà applicato (salve le modifiche in corso di applicazione) in quelle specifiche parti “riservate” alla normativa statale. Si precisa da ultimo, per ordine di chiarezza, la necessità in ogni caso di disapplicare quelle disposizioni che debbono ritenersi in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario, come già precisato nella circolare dd. 17 maggio 2006 – prot. N. ALP 16450 E/35/14 – in attesa del rispettivo adeguamento nel senso previsto dalla recente legge regionale 26 maggio 2006, n. 9. Trieste, 21 luglio 2006 Il Direttore centrale Dott. Franco Scubogna 25/10 Appalti in Sicilia Sull'applicabilita' del Codice dei Contratti Pubblici alle Regioni Circolare della Regione Sicilia sui limiti di applicabilita' delle nuove disposizione contenute nel Codice dei Contratti Pubblici, approvato con decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, alle Regioni a statuto speciali. Il codice dei contratti, secondo la Regione Sicilia, deve essere certamente applicato ove recepisca norme comunitarie immediatamente precettive (direttive "self executing"). Al di fuori di tali ipotesi, anche dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 163/2006, e "sino all'emanazione della normativa regionale di adeguamento", troverebbe applicazione in Sicilia la legislazione regionale in materia di lavori pubblici, "fermo restando l'obbligo della Regione di adeguarsi ai principi fondamentali del codice dei contratti che costituiscono norme di grande riforma economico-sociale". Regione Sicilia Assessorato dei Lavori Pubblici 41 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Circolare 18 settembre 2006 Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE Applicazione nella Regione siciliana. L'entrata in vigore del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive comunitarie nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE, ha posto la questione dell'immediata efficacia del predetto decreto legislativo nell'ordinamento della Regione siciliana, dotata di competenza legislativa esclusiva in materia di lavori pubblici. L'Ufficio legislativo e legale della Presidenza della Regione, all'uopo interpellato, ha, con parere 4 agosto 2006, n. 13583.198.11.06, formulato i necessari chiarimenti al riguardo che costituiscono oggetto della presente circolare. Il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 ha ridisciplinato la materia degli appalti pubblici coordinando le disposizioni relative ai settori ordinari (disciplinati dalla direttiva n. 2004/18), quelli relativi ai settori cosiddetti speciali (disciplinati dalla direttiva n. 2004/17), fino ad oggi distinte nel nostro ordinamento, riunendo in maniera organica le regolamentazioni degli appalti sopra e sotto soglia comunitaria, e abrogando, ad un tempo, tutta la previdente legislazione interna. Occorre effettuare una distinzione tra la disciplina concernente le forniture di beni, gli appalti di servizi e gli appalti inerenti ai settori esclusi e la disciplina relativa agli appalti di lavori. 1) Per le prime tre tipologie di appalti il legislatore regionale ha operato un rinvio dinamico alla disciplina statale, richiamando, agli artt. 31, 32, e 33 della legge regionale n. 7/2002, rispettivamente i decreti legislativi nn. 358/92, 157/95 e 158/95, e successive modifiche ed integrazioni; poiché tali normative sono state abrogate dal decreto legislativo n. 163/2006, quest'ultima disciplina risulta immediatamente applicabile in virtù del predetto rinvio "dinamico" alle norme statali che consente l'adeguamento della legge regionale alle modifiche eventualmente intervenute nell'ordinamento statale. Tale affermazione trova un correttivo nell'ipotesi in cui vi sia una diversa regolamentazione della stessa materia ad opera di una disposizione regionale. Per esempio, nell'ipotesi di norme che regolano la pubblicità dei bandi di gara per gli appalti di forniture di beni e per gli appalti di servizi, sussistendo una specifica disciplina regionale, l'art. 35 della legge regionale n. 7/2002 e successive modifiche ed integrazioni, non potrà farsi luogo all'applicazione dell'art. 66 del decreto legislativo n. 163/06. 2) Diversa è la fattispecie riguardante la materia dei lavori pubblici. Il comma 3 dell'art. 4 del decreto legislativo n. 163/2006, rubricato " Competenze legislative di Stato, regioni e province autonome", enumera una serie di materie, che, in ossequio all'art. 117, comma 2, della Costituzione, come novellato a seguito della legge costituzionale n. 3/2001, di riforma del titolo V della Costituzione, (che, a sua volta, ha individuato le materie in cui sussiste la legislazione esclusiva statale) sono rimesse alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e per le quali non è ammessa alcuna disciplina regionale difforme. Tale disposizione del codice, tuttavia, non può riguardare le regioni a statuto speciale, atteso che la specifica esclusività della competenza legislativa della Regione siciliana in materia di lavori pubblici deriva non tanto dal novellato art. 117 Cost., quanto dall'art. 14, lett. g), dello Statuto della Regione siciliana, approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455. Così come è pacifico considerare che la modifica del titolo V non ha inciso sull'assetto della precedente distribuzione di competenze tra Stato e Regioni speciali, se non nel senso di ampliare anche per queste le materie di competenza esclusiva, così, allo stesso modo, l'art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 42 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 163/06, che enuclea le materie di competenza esclusiva dello Stato, non ha refluenze sulla previsione statutaria dell'esercizio esclusivo della funzione legislativa della Regione in tale materia. Quanto predetto non significa naturalmente che la competenza esclusiva della Regione in materia di lavori pubblici non trovi dei limiti; questi sono costituiti in primo luogo dal rispetto della Costituzione, dello Statuto e delle relative norme di attuazione, nonché dai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali ed infine dei principi delle grandi riforme economico-sociali. Il comma 4 dell'art. 4 del codice dei contratti prevede "Nelle materie di competenza normativa regionale, concorrente o esclusiva, le disposizioni del presente codice si applicano alle regioni nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione e perdono comunque efficacia a decorrere dall'entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione". Tale disposizione non sembra riguardare le regioni a statuto speciale e ciò è confermato dal successivo comma 5 che statuisce "Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione". Per verificare se vi siano disposizioni contenute nel codice dei contratti che possono avere immediata efficacia nella Regione, sembra necessario esaminare, sinteticamente, la legislazione ad oggi vigente in materia di lavori pubblici. L'art. 1 della legge regionale 2 agosto 2002, n. 7, ha statuito che la legge 11 febbraio 1994, n. 109, (recante "Legge quadro in materia di lavori pubblici"), "si applica nel territorio della Regione siciliana nel testo vigente alla data di approvazione della presente legge". Alla stregua di un'interpretazione strettamente letterale, poiché il rinvio alla norma statale contenuto nella legge regionale n. 7/2002, è un rinvio "statico" o ricettizio, la legge statale richiamata è stata applicata nell'ordinamento regionale secondo la formulazione vigente al momento dell'entrata in vigore di quella regionale di recepimento. Quindi, le modifiche o le abrogazioni apportate dal legislatore statale alla normativa nazionale recepita, non hanno avuto effetto sull'ordinamento della Regione se non a seguito di un'ulteriore intervento del legislatore regionale, ad eccezione di quelle norme concernenti materie che sono riservate all'esclusiva competenza dello Stato. Tali norme, infatti, sono state formalmente recepite dal legislatore regionale con le leggi regionali nn. 7/2002 e 7/2003, e pertanto le loro successive modificazioni, ivi comprese quelle del codice dei contratti, hanno diretta applicazione nell'ordinamento regionale senza trovare preclusioni nel menzionato rinvio statico. Ci si riferisce ad esempio alla materia dell'arbitrato o della giurisdizione su cui la Regione siciliana non ha potestà legislativa. Il codice dei contratti, inoltre, va applicato ove recepisca norme comunitarie immediatamente precettive (direttive "self executing"). Si pensi, a titolo esemplificativo all'istituto del dialogo competitivo (art. 58 ) o dell'avvalimento (art. 49), la cui entrata in vigore, tuttavia, con decreto legge n. 173/2006, convertito in legge 12 luglio 2006, n. 228 (cosiddetta "legge milleproroghe"), è stata differita (per l'avvalimento solo relativamente al comma 10 che riguarda il divieto di subappalto), differimenti che, ovviamente, trovano pure applicazione pure essi in Sicilia. Pertanto, al di fuori delle surriferite ipotesi, si ritiene che, anche dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 163/2006, e sino all'emanazione della normativa regionale di adeguamento, trovi applicazione in Sicilia la legislazione regionale in materia di lavori pubblici, fermo restando l'obbligo della Regione di adeguarsi ai principi fondamentali del codice dei contratti che costituiscono norme di grande riforma economico-sociale. 43 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 24/10 Tendenze Evolutive del diritto amministrativo, II Edizione Corso di formazione avanzata in Contrattualistica Pubblica (Catania, 30 novembre 2006 - 15 febbraio 2007) Catania, 30 novembre 2006 - 15 febbraio 2007 giovedì 30 novembre 2006 Avv. Gabriella Caudullo OBBLIGHI E RESPONSABILITA’ DELLA P.A. NELLE FASI PRODROMICHE ALL’AGGIUDICAZIONE DEI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, FORNITURE E SERVIZI: L’EVIDENZA PUBBLICA giovedì 7 dicembre 2006 Avv. Claudia Ferlito LA FASE INTERMEDIA INTERCORRENTE TRA L’AGGIUDICAZIONE E LA STIPULA DEI CONTRATTI PUBBLICI: OBBLIGHI E RESPONSABILITA’ DELLA P.A. Avv. Benedetta Caruso RIPARTO DI GIURISDIZIONE E TUTELA RISARCITORIA DALL’ AGGIUDICAZIONE ALLA STIPULA DEL CONTRATTO giovedì 14 dicembre 2006 Avv. Benedetta Caruso ESECUZIONE DEI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: RILIEVI IN TEMA DI RESPONSABILITA’ DELLA P.A. Avv. Carmelo Giurdanella L’ARBITRATO NEGLI APPALTI PUBBLICI giovedì 21 dicembre 2006 Avv. Gabriella Caudullo LA PARTECIPAZIONE DELLE IMPRESE ALLE GARE D’APPALTO MEDIANTE CONSORZI, ASSOCIAZIONI TEMPORANEE E AVVALIMENTO Avv. Benedetta Caruso PROROGA E DIVIETO DI RINNOVO DEI CONTRATTI ALLA LUCE DEL CODICE. LE SORTI DEL CONTRATTO IN CASO DI ANNULLAMENTO DELLA GARA giovedì 11 gennaio 2007 Avv. Carmelo Giurdanella – Avv. Fabrizio Traina S.P.A. MISTE E PROCEDURE DI AFFIDAMENTO DEI CONTRATTI PUBBLICI: IL TEMA DEL «IN HOUSE PROVIDING» giovedì 18 gennaio 2007 44 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Avv. Gabriella Caudullo LA L. 241/90 NEL PROCEDIMENTO AD EVIDENZA PUBBLICA: ACCESSO, PARTECIPAZIONE, PREAVVISO DI RIGETTO Dott.ssa Vania Scalambrieri MECCANISMI DI RISOLUZIONE ALTERNATIVA DELLE CONTROVERSIE: IL RICORSO INNANZI ALL’AUTORITA’ DI VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI giovedì 25 gennaio 2007 Avv. Elio Guarnaccia COMUNICAZIONI, INVII E TRASMISSIONI NELLE PROCEDURE DI GARA. L'UTILIZZO DELLE TECNOLOGIE INFORMATICHE Avv. Gabriella Caudullo GLI APPALTI DI PROGETTAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI DOPO LA RIFORMA giovedì 1 febbraio 2007 Avv. Carmelo Giurdanella IL PROCESSO AMMINISTRATIVO IN MATERIA DI APPALTI venerdì 9 febbraio 2007 Avv. Ernesto Belisario I DECRETI CORRETTIVI AL CODICE: INNOVAZIONI E SPUNTI CRITICI giovedì 15 febbraio 2007 Dott. Stefano Minieri – Avv. Carmelo Giurdanella INQUADRAMENTO SISTEMATICO DELLA MATERIA: DALLE NORME COMUNITARIE ALL’EMANAZIONE DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI. IL TEMA DELLA COMPETENZA A LEGIFERARE: RAPPORTI TRA FONTI STATALI E REGIONALI 19/10 Gare d'appalto Lo schema di istanza per adire l'Autorita' sui Contratti Pubblici Istanza di parere per la soluzione delle controversie ex articolo 6, comma 7, lettera n) del d. lgs. n. 163/2006 All'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture Ufficio affari giuridici Settore precontenzioso Via di Ripetta, 246 00186 Roma - Fax 06.36723362 classifica della richiesta (barrare quello di riferimento) Lavori/ Servizi/ Forniture 45 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 1. A) Soggetti richiedenti 1.1 Stazione appaltante ed indicazione del nominativo e della qualifica del soggetto che formula la richiesta (la richiesta di parere deve pervenire dalla persona fisica titolata ad esprimere all'esterno la volontà del soggetto richiedente): ………………………………………… 1.2 indirizzo ……………………………………………………………… 1.3 recapito telefonico …………………………………………………… 1.4 numero fax …………………………………………………………… 1.1.1 denominazione sociale impresa …………………………………… 1.1.2 indirizzo …………………………………………………………….. 1.1.3 recapito telefonico …………………………………………………... 1.1.4 numero fax …………………………………………………………… B) Eventuali controinteressati ………………………………………….. 2. Pendenza di giudizio: l’istante è tenuto a comunicare se per la fattispecie in esame risulta pendente un ricorso innanzi all'autorità giudiziaria. Si/ No 3. Individuazione dell’intervento 3.1 Tipologia appalto Appalto di lavori pubblici Appalto di forniture Appalto di servizi Contratto misto Concessione di lavori Concessione di servizi Contratti relativi ai settori speciali, come definiti dalla parte III del D.Lgs. 163/06 Contratti esclusi dall’applicazione del D.Lgs. 163/06 (artt.16-27) Appalto avente ad oggetto la progettazione e l’esecuzione Project financing Lavori in economia Concorso di progettazione 46 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Concorso di idee 3.2 Procedura di scelta del concorrente: Procedura aperta Procedura ristretta Procedura ristretta semplificata Procedura negoziata con pubblicazione del bando di gara Procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara Accordo quadro Dialogo competitivo Altro 3.3 Oggetto dell’appalto : ………………………..……………………….…….……………… Data di pubblicazione del bando: ….. /.….. / ……. Termine ultimo per la presentazione delle offerte: ….. / …... / …… Importo a base d’asta …………………………………… Nome del responsabile del procedimento ..........…………. 3.4 Criterio di aggiudicazione di istanza presentata dalla S.A. - Dichiarazione di impegno (detta dichiarazione deve contenere l’impegno della S.A. a non porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione, fino alla definizione della stessa da parte dell’Autorità.): …………………………………………………………………………………………………… . Data, Firma di colui che prezzo più basso offerta economicamente più vantaggiosa 4. Oggetto della richiesta e rappresentazione delle rispettive posizioni delle parti (da indicare in modo sintetico): ……………………………………………………………… .. ……………………………………………………………… .. 5. Eventuale richiesta di audizione SI/ NO 6. Elenco dei documenti citati nella presente richiesta ed allegati alla medesima: 6.1 bando di gara/disciplinare 6.2 capitolato speciale 6.3 verbali di gara 6.4 deliberazioni 6.5 altro In caso sottoscrive la richiesta. ………………………… 19/10 gara d’apalto lo schema di istanza per adire lìautorità sui contratti pubblici 19/10 Gare d'appalto Il testo del regolamento sulle controversie innanzi all'Autorita' sui Contratti Pubblici Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori , servizi e forniture Deliberazione del 10 ottobre 2006 "Regolamento sul procedimento per la soluzione delle controversie ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera n) del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163" Art. 1 (Oggetto) 47 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 1. Il presente regolamento disciplina la procedura per la soluzione delle controversie di cui all’art. 6, comma 7, lettera n) del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163. Art. 2 (Soggetti richiedenti) 1. La stazione appaltante, una parte interessata ovvero più parti interessate possono, singolarmente o congiuntamente, rivolgere all’Autorità istanza di parere per la formulazione di una ipotesi di soluzione della questione insorta durante lo svolgimento delle procedure di gara degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture. 2. A pena di improcedibilità, l’istanza deve essere sottoscritta dalla persona fisica legittimata ad esprimere all’esterno la volontà del soggetto richiedente. Art. 3 (Presentazione e contenuti dell’istanza) 1. L’istanza, da inoltrare secondo il modello presente sul sito dell’Autorità, può essere trasmessa tramite: -raccomandata del servizio postale; - fax; - per posta elettronica certificata ai sensi della normativa vigente. 2. L’istanza deve obbligatoriamente contenere le seguenti informazioni: - intestazione riportante la seguente dicitura “istanza di parere per la soluzione delle controversie ex articolo 6, comma 7, lettera n) del d. Lgs. n. 163/2006”; - indicazione del/i soggetto/i richiedente/i; - eventuali soggetti controinteressati; - rappresentare l’eventuale pendenza, per la fattispecie in esame, di un ricorso innanzi all'autorità giudiziaria; - oggetto della gara ed importo a base d’asta; - compiuta e succinta descrizione della fattispecie cui attiene la controversia, con allegazione della documentazione di riferimento; - sintetica rappresentazione delle rispettive posizioni delle parti; - eventuale richiesta di audizione. 3. Quando l’istanza è formulata dalla stazione appaltante, la stessa deve contenere l’impegno della medesima a non porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione, fino alla definizione della stessa da parte dell’Autorità. Art. 4 (Avvio dell’istruttoria) 1. l’Ufficio Affari Giuridici - Settore Precontenzioso apre l’istruttoria rendendo noto l’avvio del procedimento ed il nominativo del relativo responsabile, mediante comunicazione formale da inviarsi entro cinque giorni dal ricevimento dell’istanza al protocollo dell’Autorità, nei confronti: - del/i sottoscrittore/i dell’istanza; - dei controinteressati chiaramente identificati nell’istanza stessa. 2. In detta comunicazione è altresì riportato che in caso di mancata partecipazione al contraddittorio documentale e/o orale di una delle parti interessate, l’Autorità valuterà la questione sulla base degli elementi di fatto in suo possesso. 3. La comunicazione di avvio del procedimento contiene la fissazione della data dell’eventuale audizione di cui al successivo articolo 5. 4. Quando l’istanza è presentata da una parte diversa dalla stazione appaltante, con la comunicazione di avvio del procedimento l’Autorità formula alla stazione appaltante l’invito a non porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione, fino alla definizione della stessa da parte dell’Autorità. 5. Ove ritenuto necessario dall’Ufficio Affari Giuridici - Settore Precontenzioso, con la comunicazione di avvio del procedimento, si chiedono alle parti interessate ulteriori informazioni e deduzioni sulla questione oggetto dell’istanza, fissando il termine di cinque giorni dalla data della comunicazione stessa per la ricezione di memorie scritte e/o documenti. 6. In caso di eventuale audizione di cui al successivo articolo 5, l’integrazione documentale dovrà pervenire all’Autorità entro il giorno precedente la data dell’audizione. Art. 5 48 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) (Partecipazione all’istruttoria) 1. Se richiesta dalle parti interessate, singolarmente o congiuntamente, la “Commissione per la soluzione delle controversie”, di cui al successivo articolo 6, procede all’audizione delle stesse. 2. Anche se non richiesta dalle parti, l’audizione di cui al comma 1. ha luogo nel caso in cui l’Ufficio Affari Giuridici – Settore Precontenzioso lo ritenga necessario al fine di chiarire aspetti rilevanti della fattispecie sottoposta all’esame dell’Autorità. 3. L’audizione è effettuata entro dieci giorni dalla data di acquisizione al protocollo dell’Autorità dell’istanza di parere. 4. All’audizione partecipa, in qualità di relatore, il responsabile del procedimento che espone alla “Commissione per la soluzione delle controversie”, di cui al successivo articolo 6, la questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità. 5. Il responsabile del procedimento redige processo verbale dell’audizione. Art. 6 (Commissione per la soluzione delle controversie) 1. Presso l’Autorità è istituita la “Commissione per la soluzione delle controversie” presieduta a rotazione da un membro del Consiglio dell’Autorità e composta da esperti nei settori degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, nominati dal Consiglio dell’Autorità. 2. La Commissione adotta con propria deliberazione il parere sulla questione oggetto della controversia. 3. Fino alla costituzione di detta Commissione, le competenze e le attività ad essa attribuite sono svolte dal Consiglio dell’Autorità. Art. 7 (Adozione del parere) 1. Il dirigente responsabile dell’Ufficio Affari Giuridici trasmette alla Commissione di cui all’art. 6 la relazione istruttoria finale redatta dal responsabile del procedimento, contenente l’ipotesi di soluzione della questione, entro il termine di dieci giorni dalla data di avvio del procedimento ovvero dalla data di ricezione dell’eventuale integrazione documentale ovvero dalla data dell’eventuale audizione. 2. La Commissione adotta la propria deliberazione entro il termine di dieci giorni dalla data di trasmissione della relazione istruttoria finale. 3. L’Ufficio Affari Giuridici trasmette tempestivamente alle parti interessate la deliberazione della Commissione. 4. L’Ufficio Affari Giuridici cura la raccolta sistematica delle deliberazioni della Commissione nel sito massimario dell’Autorità. (Roma, 10 ottobre 2006) 19/10 Gare d'appalto La nuova procedura di risoluzione delle controversie innanzi all'Autorita' sui Contratti Pubblici L'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha approvato, lo scorso 10 ottobre, il Regolamento recante la nuova procedura di soluzione delle controversie ed il relativo formulario per l’inoltro delle richieste di parere. L'1 luglio scorso, con l'entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, sono state ampliate le competenze dell’Autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici, ora denominata "Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture". In particolare, ai sensi dell’articolo 6, comma 7, lettera n) del decreto legislativo n. 163/2006, l'Autorita' esprime ora parere non vincolante, "su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione". 49 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) La stazione appaltante dovra' evitare di porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione, fino alla definizione della stessa da parte dell’Autorità. Il Presidente, nel comunicato diramato lo stesso giorno, ha chiarito che "l’Autorità provvederà a formulare parere esclusivamente alle richieste inoltrate utilizzando l’apposito modello presente nel sito". Inoltre, "relativamente alle questioni che rivestono carattere di generalità", l’Autorità provvederà ad unificare per tematiche le singole fattispecie, per l’emanazione di atti a valenza generale. L'Autorita' infine, individuera' le tariffe "sulla base del costo effettivo" per l'accesso alla procedura. (Roma, 10 ottobre 2006 13/10Secondo Di Pietro Il responsabile del procedimento nel codice appalti Il Ministro delle Infrastrutture Di Pietro, in risposta ad un'interrogazione scritta, presentata innanzi all'8° Commissione Permanente della Camera dei Deputati, ha chiarito se il responsabile del procedimento secondo il nuovo codice appalti debba o meno essere necessariamente un dipendente di ruolo. Di seguito, il testo dell'interrogazione e la risposta in Commissione del Ministro. Ministro delle Infrastrutture Risposta a interrogazione scritta (3 ottobre 2006) "Il responsabile del procedimento nel codice appalti" L'interrogazione "Al Ministro delle infrastrutture. Per sapere - premesso che: da numerosi Enti Locali, in particolare quelli di piccola dimensione, arrivano preoccupate segnalazioni per il contenuto del comma 5 dell'articolo 10 del codice degli appalti pubblici approvata con decreto legislativo n. 163 del 2006 (Gazzetta Ufficiale n. 10 del 2 maggio 2006) secondo cui il responsabile del procedimento dei pubblici appalti «deve essere un dipendente di ruolo»;questa disposizione così tassativa sembra precludere la possibilità di ricorrere a personale a tempo determinato ex articolo 110, commi 1 e 2, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), approvato con decreto legislativo n. 267 del 2000, ed anche di poter ricorrere a convenzioni con altri enti, onde potersi avvalere di personale cui affidare la responsabilità dei procedimenti. Non solo, ma in questo modo si rende impraticabile la possibilità di avvalersi di personale comandato o distaccato da altri enti; tale norma si prefigura come deleteria soprattutto per i piccoli comuni stanti anche i vincoli in materia di assunzioni -: se non intenda assumere iniziative normative per ovviare a tale situazione che di fatto blocca qualsiasi iniziativa in ambito di appalti pubblici per tutti gli enti locali sprovvisti del responsabile del procedimento (19 luglio 2006)" La risposta del Ministro "La questione sollevata dai deputati interroganti riguarda le segnalazioni inviate da diversi enti locali in ordine al disposto dell'articolo 10, comma 5 del decreto legislativo n. 163 del 2006 recante il Codice 50 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nella parte in cui si dispone che per le amministrazioni aggiudicatrici il responsabile del procedimento «deve essere un dipendente di ruolo». Ciò parrebbe precludere, a parere di detti enti locali, la possibilità di ricorrere a personale a tempo determinato ex articolo 110, commi 1 e 2, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali o a personale comandato ovvero distaccato da altri enti. In merito, si osserva che la lettura del citato articolo 10, comma 5 del decreto legislativo n. 163 del 2006 deve avvenire in combinato con quanto disposto al comma 7 del medesimo articolo laddove «nel caso in cui l'organico delle amministrazioni aggiudicatrici presenti carenze accertate o in esso non sia compreso alcun soggetto in possesso della specifica professionalità necessaria per lo svolgimento dei compiti propri del responsabile del procedimento, secondo quanto attestato dal dirigente competente, i compiti di supporto all'attività del responsabile del procedimento possono essere affidati con le procedure indicate nel decreto per l'affidamento di incarichi di servizi ai soggetti aventi le specifiche competenze previste dal Codice. Risulta evidente che, in presenza di determinate condizioni quale carenza di organico o carenza di professionalità accertate e attestate, il dirigente e/o il segretario comunale possa farsi affiancare da un tecnico in possesso delle specifiche competenze. Per una visione completa della materia, si deve altresì analizzare l'articolo 91, comma 8, dello stesso Codice dei contratti pubblici nella parte in cui vieta l'affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse da quelle previste. Nel merito, appare chiaro l'intento del legislatore di evitare, per quanto possibile, il ricorso a professionalità esterne all'Amministrazione pubblica per l'affidamento di incarichi di responsabile. Le disposizioni in esame debbono tuttavia essere collocate nel più ampio contesto della riforma del pubblico impiego che ha introdotto la possibilità di attribuire funzioni dirigenziali o di alta professionalità anche ad esterni all'Amministrazione tramite contratto individuale di lavoro di diritto privato, a determinate condizioni quali una elevata qualificazione professionale, posti limitati ad una percentuale dell'organico, eccetera. In tale quadro si colloca l'articolo 11 del citato testo unico degli enti locali che consente a questi ultimi, ove necessario, la copertura dei posti di responsabili di servizi o di uffici di qualifica dirigenziale o di alta specializzazione mediante la stipula di contratti a tempo determinato - di diritto pubblico o, eccezionalmente, di diritto privato - nella misura non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza. Viene previsto, sostanzialmente, la possibilità di nomina di un dirigente e/o direttivo e l'incardinamento funzionale dello stesso nell'ente tramite un contratto di diritto privato a tempo determinato. È possibile che alla struttura cui si è preposti inseriscano funzioni di responsabile del procedimento per determinate materie". (Roma, 3 ottobre 2006) 12/10 Decreto Bersani Circolare Minilavoro su lavoro nero e sicurezza nei cantieri Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Direzione generale per l'attivita' ispettiva Circolare 28 settembre 2006 n. 29 Oggetto: Art. 36 bis D.L. n. 223/2006 (conv. con L. n. 248/2006). Come noto, il D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni dalla L. n. 248/2006 (in G.U. n. 186 dell'11 agosto 2006), ha introdotto all'art. 36 bis "Misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro". La normativa, al fine di assicurare una più efficace azione di prevenzione oltre che di repressione del lavoro sommerso nonché di riduzione del fenomeno infortunistico dei luoghi di lavoro, da un lato 51 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) interviene a potenziare i poteri e le prerogative del personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e, dall'altro, introduce nuovi adempimenti volti a rendere più "trasparenti" le modalità di assunzione e di impiego del personale dipendente, riformulando, altresì, in senso conforme alle indicazioni della Corte Costituzionale, la c.d. maxisanzione per il lavoro "nero" già prevista dall'art. 3, comma 3, D.L. n. 12/2002 (conv. da L. n. 73/2002). Si ritiene utile fornire alcuni chiarimenti operativi sulle predette novità, al fine di una corretta interpretazione delle previsioni normative in fase di prima applicazione. Provvedimento di sospensione dei lavori nel cantiere L'art. 36 bis del D.L. n. 223/2006 si caratterizza, anzitutto, per aver concentrato l'attenzione sulle ricadute che l'utilizzo di manodopera irregolare può avere sulle problematiche di sicurezza nei luoghi di lavoro. Già in passato, infatti, si era avuto modo di constatare che le imprese che ricorrono a manodopera irregolare sono anche quelle che presentano maggiori tassi infortunistici; invero, prima d'oggi nessuna disposizione normativa aveva espressamente e direttamente collegato i due fenomeni, operando la presunzione secondo cui il lavoro irregolare determina automaticamente anche una condizione di criticità sul fronte della sicurezza sul lavoro. Tale collegamento emerge in particolare dalla previsione di cui al comma 1 del predetto articolo il quale prevede che "(…) il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche su segnalazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), può adottare il provvedimento di sospensione dei lavori nell'ambito dei cantieri edili qualora riscontri l'impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni". La ratio della disposizione, come accennato in premessa, individua una "presunzione" da parte dell'ordinamento circa la situazione di pericolosità che si verifica in cantiere in conseguenza del ricorso a manodopera "non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria" giacché la stessa, oltre a non essere regolare sotto il profilo strettamente lavoristico, non ha verosimilmente ricevuto alcuna "formazione ed informazione" sui pericoli che caratterizzano l'attività svolta nel settore edile. In primo luogo va chiarito l'ambito di applicazione della disposizione che – stante il riferimento a "l'ambito dei cantieri edili" – sembra coincidere con le imprese che svolgono le attività descritte dall'allegato I del D.Lgs. n. 494/1996, nel quale sono ricomprese sia aziende inquadrate o inquadrabili previdenzialmente come imprese edili sia imprese non edili che operano comunque nell'ambito delle realtà di cantiere. Si tratta in particolare di imprese che svolgono: 1) lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le linee elettriche, le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro; 2) scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per i lavori edili o di ingegneria civile. 52 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Per quanto concerne l'"oggetto" del provvedimento di sospensione dei lavori si ritiene che lo stesso vada riferito ad ogni singola azienda che, nell'ambito del cantiere, presenti i presupposti di irregolarità individuati dalla disposizione in esame e non riguardi invece il cantiere considerato nella sua interezza, tranne evidentemente le ipotesi in cui nel cantiere operi una sola azienda. Tale orientamento risponde alla logica di non penalizzare, con un provvedimento che sospenda la complessiva attività del cantiere, anche le imprese che in detto ambito operano in condizioni di regolarità e alle quali sarebbe peraltro inibita la prosecuzione dei lavori senza poter nemmeno incidere in alcun modo sulla regolarizzazione delle violazioni riscontrate; regolarizzazione che viene posta dal legislatore quale condizione per la ripresa dei lavori stessi. Venendo invece alle condizioni individuate dalla norma per l'adozione del provvedimento di sospensione si ritiene opportuno chiarire quanto segue. Con riferimento al personale "non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria" si precisa che lo stesso va individuato nel personale totalmente sconosciuto alla P.A. in quanto non iscritto nella documentazione obbligatoria né oggetto di alcuna comunicazione prescritta dalla normativa lavoristica e previdenziale. Ne consegue che, da tale formulazione, restano esclusi ad esempio gli eventuali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (o altre forme di lavoro autonomo) che, seppur ritenuti fittizi, risultano comunque iscritti sul libro matricola, così come previsto dal D.Lgs. n. 38/2000. Viceversa, eventuali forme di collaborazione occasionale ritenute non genuine, in assenza di qualunque formalizzazione su libri o documenti obbligatori, potranno, invece, contribuire alla determinazione della percentuale di personale irregolare. Relativamente al calcolo della percentuale del personale "in nero" va in secondo luogo chiarito che detta percentuale va rapportata alla totalità dei lavoratori della singola impresa operanti nel cantiere al momento dell'accesso ispettivo (e non già complessivamente in forza all'azienda) risultanti dalle "scritture o da altra documentazione obbligatoria" come sopra chiarito. A titolo esemplificativo si consideri l'ipotesi di un'impresa con 30 dipendenti in forza che occupa in un cantiere, al momento dell'accesso ispettivo, 10 lavoratori, di cui 3 non iscritti sul libro matricola. Detta impresa potrà essere destinataria del provvedimento di sospensione in quanto i 3 lavoratori irregolari – rapportati ai 7 lavoratori regolarmente occupati (i 3 lavoratori irregolari vanno dunque esclusi dalla base di calcolo) – rappresentano oltre il 40% della totalità della manodopera. Ancora con riferimento ai presupposti di adozione del provvedimento di sospensione, un ulteriore chiarimento attiene alla ipotesi "di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale". In tal caso, in particolare, il termine "reiterate" va interpretato come ripetizione di una o più delle diverse condotte illecite contemplate nella norma in esame, riferita ad almeno un lavoratore, in un determinato arco temporale (l'art. 8 bis della L. n. 689/1981, ad esempio, prende in considerazione gli ultimi 5 anni), tale da non poter considerare la condotta stessa meramente occasionale. Altre osservazioni attengono al carattere "discrezionale" del provvedimento cautelare in esame. In proposito va ricordato che la ratio della disposizione è quella di garantire l'integrità psicofisica dei lavoratori operanti nel settore edile e tale finalità deve opportunamente guidare il personale ispettivo nell'esercizio del potere discrezionale riconosciuto dalla disposizione. Proprio sulla base di tale premessa, quindi, considerata l'oggettività e la determinatezza dei presupposti normativi, si ritiene che il provvedimento di sospensione dei lavori nel cantiere debba essere "di norma adottato" ogniqualvolta si riscontri la sussistenza di uno o ambedue i presupposti sopra indicati, salvo valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell'opportunità, di non adottare il provvedimento in questione. In particolare, un utile criterio volto ad orientare la valutazione dell'organo di vigilanza va legato alla natura del rischio dell'attività svolta dai lavoratori irregolari, tenendo conto che il provvedimento può non essere adottato: 53 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) quando il rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori risulta di lieve entità in relazione alla specificaattività svolta nel cantiere (es. tinteggiatura interna, posa in opera di rivestimenti ecc.); 2) quando l'interruzione dell'attività svolta dall'impresa determini a sua volta una situazione di pericolo per l'incolumità dei lavoratori delle altre imprese che operano nel cantiere (si pensi, ad esempio, alla sospensione di uno scavo in presenza di una falda d'acqua o a scavi aperti in strade di grande traffico, a demolizioni il cui stato di avanzamento abbia già pregiudicato la stabilità della struttura residua e/o adiacente o, ancora, alla necessità di ultimare eventuali lavori di rimozione di materiale nocivo quale l'amianto). Tenendo conto di quanto sopra evidenziato e rilevata la necessità che l'obbligo di motivazione comporta sempre una adeguata valutazione dei presupposti del provvedimento di sospensione, si richiama l'attenzione del personale ispettivo sull'esigenza di specificare, oltre che nel provvedimento stesso, anche nel verbale di accertamento, le specifiche fasi di lavorazione effettuate dall'azienda al momento della verifica ispettiva. La necessaria valutazione di tali circostanze comporta, quale conseguente corollario, che nelle ipotesi in cui gli ispettori di vigilanza degli istituti previdenziali e assicurativi accertino la sussistenza dei presupposti che legittimano l'adozione del provvedimento di sospensione, gli stessi ne diano immediata comunicazione, mediante trasmissione del verbale anche in via telematica, alla Direzione provinciale del lavoro, affinché quest'ultima mediante proprio personale attivi le dovute valutazioni ai fini dell'adozione del provvedimento di sospensione dei lavori. Si sottolinea, inoltre, che l'informativa ai competenti uffici del Ministero delle infrastrutture relativa all'adozione del provvedimento di sospensione va fatta a cura della Direzione provinciale del lavoro e non già da parte del personale ispettivo che adotta il provvedimento medesimo. L'art. 36 bis, al comma 2, stabilisce inoltre che "è condizione per la revoca del provvedimento da parte del personale ispettivo a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria; b) l'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di reiterate violazioni alla disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni. È comunque fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali e amministrative vigenti". In proposito occorre chiarire che per la regolarizzazione dei lavoratori "in nero", oltre alla registrazione degli stessi sui libri obbligatori, al pagamento delle sanzioni amministrative e civili ed al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assicurativi, è necessaria anche l'ottemperanza agli obblighi più immediati di natura prevenzionistica di cui al D.Lgs. n. 626/1994,con specifico riferimento almeno alla sorveglianza sanitaria (visite mediche preventive) e alla formazione ed informazione sui pericoli legati all'attività svolta nel cantiere nonché alla fornitura dei dispositivi di protezione individuale. A tal proposito, si coglie l'occasione per ricordare al personale ispettivo che, ogniqualvolta venga accertata la presenza di manodopera "in nero" nelle attività edili, configurandosi nella quasi totalità dei casi la violazione degli obblighi, puniti penalmente, legati alla sicurezza dei lavoratori (almeno in riferimento all'omessa sorveglianza sanitaria e alla mancata formazione ed informazione), il predetto personale ispettivo dovrà adottare il provvedimento di prescrizione obbligatoria relativo a tali ipotesi contravvenzionali e verificare, conseguentemente, l'ottemperanza alla prescrizione impartita. 54 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Per quanto invece concerne il "ripristino delle regolari condizioni di lavoro" nelle ipotesi di violazioni in materia di tempi di lavoro e di riposi, detto ripristino non può che aversi con il solo pagamento delle relative sanzioni amministrative, stante l'impossibilità sostanziale di unareintegrazione dell'ordine giuridico violato, trattandosi di condotte di natura commissiva, come peraltro già chiarito con circolare n. 8/2005 di questo Ministero. L'inosservanza del provvedimento di sospensione dei lavori configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 650 c.p. il quale punisce "chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene" con l'arresto sino a tre mesi e l'ammenda sino ad € 206. In tal caso, infatti, si è in presenza di un provvedimento emanato per ragioni di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori che, quale bene costituzionalmente tutelato, rientra nell'ambito della nozione di sicurezza pubblica (in tal senso Cass. sez. III 17 novembre 1960 e Cass. sez. III 14 febbraio 1995 n. 3375). Ultime osservazioni attengono alla possibilità di impugnare il provvedimento cautelare in sede amministrativa. Al riguardo, pur in assenza di una espressa previsione normativa in tal senso – contrariamente a quanto avviene con riferimento ad altri poteri ispettivi (ad es. diffida accertativa ex art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004, impugnabile presso il Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui all'art. 17 dello stesso decreto) – sembra potersi ammettere un ricorso di natura gerarchica alle Direzioni regionali del lavoro territorialmente competenti, secondo quanto stabilito in via generale dal D.P.R. n. 1199 del 1971. Resta comunque inalterata la possibilità, da parte della Direzione provinciale del lavoro, di revocare il provvedimento di sospensione dei lavori in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. n. 241/1990. Si allega, in calce alla presente circolare, il modello da utilizzare per l'adozione del provvedimento di sospensione dei lavori, già diramato con nota prot. n. 25/I/0002975 del 24 agosto 2006. Lavoro nei cantieri: tessera di riconoscimento o registro Il comma 3 dell'art. 36 bis introduce l'obbligo per i datori di lavoro, nell'ambito dei cantieri edili, di munire il personale occupato, a decorrere dal 1º ottobre 2006, di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro. Anche in tal caso il campo di applicazione della previsione va individuato con riferimento a tutte le imprese che svolgono le attività di cui all'Allegato I del D.Lgs. 494/1996. Tenuto conto delle finalità della disposizione volta alla immediata identificazione e riconoscibilità del personale operante in cantiere, i lavoratori sono tenuti a portare indosso in chiara evidenza detta tessera di riconoscimento; medesimo obbligo fa capo ai lavoratori autonomi che operano nel cantiere stesso, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto (ad es. artigiani). I dati contenuti nella tessera di riconoscimento devono consentire l'inequivoco ed immediato riconoscimento del lavoratore interessato e pertanto, oltre alla fotografia, deve essere riportato in modo leggibile almeno il nome, il cognome e la data di nascita. La tessera inoltre deve indicare il nome o la ragione sociale dell'impresa datrice di lavoro. La previsione normativa stabilisce ancora che, in via alternativa, i soli datori di lavoro che occupano meno di dieci dipendenti (cioè massimo nove) possono assolvere all'obbligo di esporre la tessera "mediante annotazione, su apposito registro di cantiere vidimato dalla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente da tenersi sul luogo di lavoro, degli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori". Con riferimento all'ambito applicativo della previsione si precisa che il suddetto limite numerico va riferito al personale stabilmente in forza all'azienda, tenendo presente che per il computo dello stesso 55 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) "si tiene conto di tutti i lavoratori impiegati a prescindere dalla tipologia dei rapporti di lavoro instaurati, ivi compresi quelli autonomi". Il riferimento ai lavoratori autonomi, evidentemente, è da interpretarsi nel senso di comprendere nel calcolo i lavoratori non subordinati che intrattengono comunque un rapporto continuativo con l'impresa (ad es. collaboratori coordinati e continuativi a progetto e associati in partecipazione). Dalla formulazione della norma, inoltre, si evince che l'obbligo di tenere il registro in argomento è riferito a ciascun cantiere, cosicché l'impresa interessata è tenuta ad istituire più registri qualora impegnata contemporaneamente in lavori da effettuare in luoghi diversi. Viceversa, in caso di lavori da realizzarsi in tempi diversi, sarà possibile utilizzare il medesimo registro evidenziando tuttavia separatamente il giorno ed il luogo cui le annotazioni si riferiscono. Tale registro non può mai essere rimosso dal luogo di lavoro in quanto altrimenti si vanifica la finalità per la quale lo stesso è stato istituito; va altresì precisato che le annotazioni sullo stesso vanno effettuate necessariamente prima dell'inizio dell'attività lavorativa giornaliera in quanto trattasi di un registro "di presenza" in cantiere. Per quanto concerne le modalità di vidimazione del registro da parte delle Direzioni provinciali del lavoro è possibile rinviare in via analogica a quanto previsto dal T.U. n. 1124/1965 con riferimento ai libri di paga e matricola. Sotto il profilo sanzionatorio, la mancata tenuta sul luogo di lavoro del registro ovvero l'irregolare tenuta dello stesso comporta in capo al datore di lavoro la medesima sanzione prevista con riferimento alle tessere di riconoscimento (da €100 ad € 500 per ciascun lavoratore), essendo il registro uno strumento alternativo ed equipollente alle stesse. Nei confronti di tali sanzioni si ricorda da ultimo che non è ammessa la procedura di diffida di cui all'articolo 13 del D.Lgs. n. 124/2004 per espressa previsione normativa. Edilizia: comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro Il comma 6 dell'art. 36 bis ha previsto l'immediata operatività della previsione di cui all'art. 86, comma 10 bis, del D.Lgs. n. 276/2003 stabilendo che "nei casi di instaurazione di rapporti di lavoro nel settore edile, i datori di lavoro sono tenuti a dare la comunicazione di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1º ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa". Come noto, tale previsione era precedentemente subordinata all'emanazione del decreto interministeriale, non ancora adottato, di cui al comma 7 dell'art. 4 bis, del D.Lgs. n. 181/2000 cui viene demandata la definizione dei moduli unificati per le comunicazioni obbligatorie. In proposito va specificato che le imprese tenute a tale adempimento sono le imprese edili in senso stretto, non potendo trovare applicazione lo stesso criterio interpretativo adottato con riferimento al comma 1 dell'art. 36 bis che, come già detto, fa riferimento alle imprese rientranti nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 494/1996. Ciò significa, in sostanza, che va tenuto presente l'inquadramento – ovvero l'inquadrabilità – previdenziale delle imprese in questione ai fini della applicazione della norma. Quanto alla modalità di comunicazione dell'assunzione, che deve risultare da documentazione "avente data certa", si deve ritenere che tale circostanza sia desumibile, oltre che dalla tradizionale raccomandata a/r, anche da comunicazioni telematiche (fax ovvero posta elettronica certificata). 56 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Occorre precisare che, in caso di instaurazione di rapporti di lavoro in un giorno immediatamente successivo a una giornata festiva, l'adempimento in questione potrà essere effettuato anche nella stessa giornata festiva, stante il tenore letterale della previsione normativa e considerata la possibilità di avvalersi di strumenti telematici (fax e posta elettronica certificata). Si ricorda, da ultimo, che la violazione dell'obbligo di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro è punita con la sanzione amministrativa di cui all'art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003, pari ad una somma da € 100 ad € 500. Maxisanzione per il lavoro "nero" L'art. 36 bis, comma 7, modifica la c.d. maxisanzione per il lavoro nero, introdotta nel 2002 dal D.L. n. 12/2002 (conv. da L. n. 73/2002). La legge di conversione del D.L. n. 223/2006 stabilisce che "ferma restando l'applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, è altresì punito con la sanzione amministrativa da € 1.500 a € 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L'importo delle sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a € 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata". Senza modificare il comma 4 dell'art. 3 del D.L. 12/2002 – secondo il quale "alla constatazione della violazione procedono gli organi preposti ai controlli in materia fiscale, contributiva e del lavoro" – l'art. 36 bis sostituisce invece il comma 5 del predetto articolo, stabilendo che alla contestazione della sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 14 della L. n. 689/1981 provvede il personale ispettivo della Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente, Direzione che provvederà successivamente ad emettere l'eventuale ordinanza di ingiunzione o di archiviazione. È infine stabilito che nei confronti della sanzione non è ammessa la procedura di diffida di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004. In proposito va anzitutto sottolineato che la sanzione si aggiunge ("ferma restando l'applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore") ad ogni ulteriore provvedimento di carattere sanzionatorio legato all'utilizzo di manodopera irregolare (omessa comunicazione di assunzione, omessa consegna della relativa dichiarazione, omessa denuncia all'INAIL del codice fiscale ecc.). Va inoltre sottolineato che la fattispecie in argomento si realizza attraverso "l'impiego" di qualunque tipologia di lavoratore a qualunque titolo e per qualsiasi ragione non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, restando invece fuori dall'applicazione della sanzione tutte le forme di prestazione lavorativa che occultano rapporti di lavoro subordinato dietro altre tipologie contrattuali (ad es. contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto) sempre che risultino dalla documentazione aziendale o da comunicazioni effettuate ad amministrazioni pubbliche. Per quanto concerne l'importo sanzionatorio, è prevista una sanzione amministrativa da "€ 1.500 a € 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo" e una sanzione di natura civile connessa all'omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non inferiore a € 3.000, "indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata". Al riguardo si sottolinea che trattasi di una sanzione proporzionale che prevede un importo minimo e massimo (€ 1.500 - € 12.000) ed un importo in misura fissa di € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Tale ultimo importo (€ 150 giornaliere) costituisce una mera maggiorazione della sanzione edittale e perciò per esso non trova applicazione l'art. 16 della L. n. 689/1981. Per quanto attiene ai profili contributivi, la sanzione civile prevista dalla norma trova applicazione evidentemente con esclusivo riferimento ai contributi evasi, trattandosi di rapporti di lavoro totalmente in nero. La quantificazione della stessa in misura comunque non inferiore ad € 3.000 per ciascun lavoratore, e distintamente riferita alla contribuzione previdenziale e alla assicurazione INAIL, 57 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) costituisce una scelta del legislatore che interviene a stabilire una soglia minima di tale misura afflittiva nelle ipotesi in cui la quantificazione della stessa risulti inferiore a tale importo. Va peraltro precisato che la sanzione trova evidentemente applicazione nelle ipotesi in cui sia scaduto il termine per il versamento dei contributivi relativi al periodo di paga in corso al momento dell'accertamento. Occorre infine precisare il regime sanzionatorio applicabile alle fattispecie di "impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria", nelle ipotesi in cui la condotta sia iniziata anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 248/2006 (12 agosto 2006) e proseguita oltre tale data. Trattasi, in altre parole, di un problema di successione di leggi nel tempo che sanzionano condotte di natura permanente quale, per l'appunto, quella in esame. Va premesso, anzitutto, che nel campo degli illeciti amministrativi trova applicazione il principio del tempus regit actum, secondo il quale la disciplina applicabile è quella in vigore al momento della commissione della violazione, senza che – come avviene invece in campo penale – debba valutarsi il principio del favor rei alla luce delle previsioni sanzionatorie sopravvenute (v. circ. n. 37/2003). Per quanto attiene alla consumazione dell'illecito di natura permanente tuttavia – come sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria (Consiglio di Stato, sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7769) – bisogna tenere presente che lo stesso si realizza, non con l'inizio ma con la cessazione del comportamento lesivo che, di norma, coincide con la data dell'accertamento da parte del personale ispettivo. Nel caso in esame, pertanto, il rapporto di lavoro "in nero" iniziato prima del 12 agosto 2006 e proseguito oltre tale data rientra nel campo di applicazione della nuova disciplina introdotta dall'art. 36 bis, comma 7 che prevede, quale organo competente alla irrogazione della sanzione, la Direzione provinciale del lavoro e non già l'Agenzia delle Entrate. Facendo riserva di fornire ulteriori e più approfonditi chiarimenti in ordine alle problematiche sopra evidenziate, si invita il personale ispettivo di attenersi alle indicazioni fornite con la presente circolare 04/10 Decreto Bersani Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri interviene su tariffe e pubblicita' Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha diramato, lo scorso 18 settembre, una circolare interpretativa sulle novita' contenute nel decreto Bersani (D.L. 223/2006, come convertito dalla legge 248/2006), con cui sono state introdotte disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali. Tariffe inferiori ai minimi ma adeguate all'importanza dell'opera e al decoro della professione La circolare si sofferma in particolare sugli "effetti concreti dell'abrogazione generalizzata di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali, l'obbligatorietà delle tariffe nel settore dei contratti pubblici e nel settore privato", e conclude nel senso che è ora possibile pattuire compensi professionali in deroga ai minimi stabiliti dalle tariffe professionali, ma "il compenso deve essere adeguato all'importanza dell'opera e al decoro della professione". Pubblicità come elemento propulsivo della concorrenza. Il decreto Bersani ha abrogato tutte le norme che prevedevano, per i liberi professionisti, il divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni. Osserva il CNI: "è chiara la ratio ispiratrice della norma, finalizzata ad attribuire alla pubblicità il ruolo di elemento propulsivo della concorrenza". 58 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Pubblicità informativa L'attività pubblicitaria che il professionista potrà porre in essere dovrà essere di tipo informativo; quindi, "finalizzata a comunicare all'esterno i titoli e le specializzazioni professionali le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni". Secondo il CNI, devono, di conseguenza, "ritenersi esclusi i messaggi pubblicitari volti a richiamare l'attenzione su elementi marginali o addirittura diversi su quelli richiamati dalla norma". In conclusione, alla luce del decreto Bersani, "soltanto rendendo noti i corrispettivi ai quali i professionisti si impegnano a rendere la propria opera professionale, sarà possibile dare portata pratica alla abrogazione delle norme che prevedevano l'obbligatorietà dei minimi tariffari". Consiglio Nazionale degli Ingegneri Circolare del 18 settembre 2006, protocollo CNI n. 3118 Osservazioni e considerazioni sull'interpretazione della l. 4 agosto 2006, n. 248 di conversione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, recante 'disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e contrasto all'evasione fiscale' 1. Premessa. La presente circolare ha natura interpretativa ed è finalizzata a fornire indicazioni agli Ordini professionali ed ai loro iscritti in ordine all'interpretazione delle norme del d.l. 4 Luglio 2006, n. 223, come convertito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, con cui sono state introdotte disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali. In particolare, oggetto della circolare saranno gli effetti concreti dell'abrogazione generalizzata di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali, l'obbligatorietà delle tariffe nel settore dei contratti pubblici e nel settore privato. Inoltre, verranno fornite prime e generali indicazioni sul potere di vigilanza attribuito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248 agli ordini in merito alla veridicità ed alla trasparenza del messaggio pubblicitario. 2. L'abrogazione delle norme legislative e regolamentari che prevedono con riguardo alle attività libero professionali l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime nel settore degli appalti pubblici e nel settore privato. Una prima questione che la presente circolare intende chiarire riguarda l'effettiva portata della norma con cui sono state abrogate, in via generalizzata, tutte le disposizioni legislative e regolamentari recanti l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime. In particolare, si ritiene necessario distinguere il settore dei contratti pubblici dal settore privato. Ciò in ragione di alcuni argomenti che - a nostro parere - inducono a ritenere non operante in materia di contratti pubblici l'abrogazione dell'art. 92 del d.lgs. 163/06. In sostanza, in base alla disposizione appena citata, il Codice degli appalti rinvia ad un apposito regolamento ministeriale la determinazione dei corrispettivi minimi per alcune attività tipiche della professione di ingegnere (1), statuendo il carattere inderogabile di tali corrispettivi e prevedendo la nullità dell'eventuale patto contrario (2). 59 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Nelle more dell'emanazione del decreto previsto dal citato art. 92 trova applicazione l'analogo decreto emanato in base all'art. 17 della L. 109/94. Infatti, l'art. 253 comma 17 del d.lgs. n. 163/06 stabilisce che, fino alla ridefinizione delle tabelle dei corrispettivi prevista dall'art. 92 del d.lgs. 163/06, "continua ad applicarsi quanto previsto nel decreto del Ministro della Giustizia del 4 Aprile 2001 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 Aprile 2001" L'interpretazione qui sostenuta, in base alla quale l'art. 2 comma 1 let. a) del decreto Bersani (con cui è disposta l'abrogazione di tutte le disposizioni di legge e di regolamento che prevedono l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime) non incide sul d.lgs. 163/06, noto come Codice dei Contratti dei contratti pubblici, è confermata dagli argomento di seguito specificati. a) In primo luogo, vale richiamare il tenore dell'art. 255 del d.lgs 163/06, che prevede la c.d."clausola di resistenza". In base a tale disposizione ogni intervento normativo incidente sul codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, andrebbe attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute. La disposizione, che riproduce la norma di tenore analogo prevista dall'art. 1 comma 4 della l. 109/94, implica la possibilità incidere su una delle materie disciplinate dal codice soltanto attraverso l'introduzione di un'esplicita previsione normativa. Al riguardo, in primo luogo, sembra porsi la questione relativa all'omesso riferimento, nel testo dell'art. 255, all'abrogazione quale modalità di intervento normativo incidente sul codice. Ma, a meno di volere giungere a conclusioni illogiche, sembra da accogliere la tesi in base alla quale anche l'abrogazione delle disposizioni contenute nel codice, seppure non espressamente richiamata, sarebbe sottoposta alla predetta clausola di resistenza. Del resto l'abrogazione di una o più disposizioni del d.lgs. 163/2006 configurerebbe un intervento ancor più radicale rispetto a quelli espressamente citati (modifica, integrazione, deroga o sospensione). Tale orientamento sembra trovare un avallo nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 163/2006, che, nella parte che riguarda l'art. 255, inquadra il medesimo tra le disposizioni meramente riproduttive dell'art. 1 comma 4 della l. 109/1994, in cui, invece, l'abrogazione era espressamente contemplata. Tale circostanza sembra consentire di interpretare l'omesso riferimento all'abrogazione, nell'ambito della disposizione dell'art. 255, quale semplice dimenticanza, inidonea a mutare l'effettiva portata della clausola di resistenza nella nuova norma rispetto a quella previgente. Semmai il problema si pone su altro piano. Occorre rilevare, infatti, come la dottrina costituzionalistica abbia sempre dubitato della reale portata delle disposizioni legislative che considerano la sola abrogazione espressa quale meccanismo di intervento su una determinata disciplina normativa preesistente. La dottrina maggioritaria ritiene, infatti, che solo una fonte normativa superiore possa restringere o allargare la forza delle leggi nella prospettiva della loro successione nel tempo (3). Pertanto, la clausola "di sola abrogazione espressa" si configurerebbe, al massimo, come un invito all'autolimitazione rivolto al futuro legislatore, magari allo scopo di preservare l'organicità e la coerenza di un determinato testo legislativo (si pensi, appunto, al caso dei Codici o dei Testi unici). Tuttavia, pur riconoscendo che ogni legge in ogni tempo può derogare o sovrapporsi con effetto abrogativo alle norme delle leggi preesistenti, si può ritenere che la riserva di sola abrogazione espressa rivesta, comunque, nei casi dubbi, una valenza interpretativa in favore della sopravvivenza della norma cui si rivolge. b) Ad ogni modo, la non riconducibilità delle disposizioni del codice degli appalti nell'ambito di applicazione dell'art. 2 del decreto "Bersani" sembra possa essere dimostrata anche in base a due 60 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) ordini di considerazioni, espressione dell'applicazione del criterio di specialità nella successione di leggi nel tempo. Da un lato, infatti, il d.lgs. 163/06 configura un autonomo nucleo organico di norme, un "microsistema" utilizzato dal legislatore per disciplinare un vasto assetto di interessi e che deve essere valutato in ragione della propria logica settoriale. Ciò indurrebbe a ritenere che norme generali, quali l'art. 2, non siano in grado di incidere sulla disposizione speciale, seppure anteriore. Dall'altro lato, l'intervento legislativo volto a incentivare il rilancio economico e la concorrenza nel settore delle prestazioni professionali - caratterizzato per la sua generalità - è intervenuto ridefinendo il sistema di regole relativo alle tariffe professionali rivolgendosi ad un assetto di interessi in parte diverso da quello, particolare, che il legislatore del codice degli appalti ha tenuto presente proprio con riguardo alle disposizioni in materia di prestazioni di ingegneria. In materia di contratti pubblici, infatti, l'obbligo di ricorrere a procedure di evidenza pubblica, nonché il fondamentale ruolo della progettazione e dei servizi affini nell'ambito del processo di realizzazione di un'opera pubblica, inducono a ritenere che il sistema dei corrispettivi minimi - e non delle tariffe (ma sul punto vedi infra) - costituisca un complesso normativo speciale, in quanto tale sottratto agli effetti dell'abrogazione disposta dall'art. 2 del d.l. 223/06. c) La non incidenza dell'abrogazione delle norme sull'obbligatorietà di tariffe minime rispetto alle previsioni del codice degli appalti sembra potersi trarre anche dall'interpretazione letterale dell'art. 2 comma 1 let. a) del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, come convertito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248. Infatti, tale disposizione ha abrogato le norme di legge e di regolamento contenenti l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime. L'art. 92 del d.lgs 163/06, invece, rinvia ad un regolamento ministeriale l'individuazione dei corrispettivi minimi che devono essere stabiliti per alcune tipologie di attività rispetto ai quali le tariffe rappresentano meri parametri di riferimento, come è dato evincere dal comma 2 del citato articolo, in base al quale tali corrispettivi vengono stabiliti "tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate". Tale disposizione non fa altro che confermare la differenza tra tariffe e corrispettivi, differenza che consente di definire l'ambito di applicazione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, in cui non sembra possano essere ricondotte le disposizioni del codice degli appalti in materia di corrispettivi per le attività tecniche contemplate dall'art. 92. Peraltro, tale opzione ermeneutica sembra confermata dalla legge di conversione al decreto che ha aggiunto al comma 2 dell'articolo 2 il seguente periodo: "nelle procedure ad evidenza pubblica le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali". Tale norma, infatti, qualificando le tariffe come meri criteri per la determinazione dei corrispettivi riafferma la differenza tra queste e quelle, confermando al tempo stesso l'interpretazione qui proposta. Tale disposizione, comunque, non è ridotta al rango di mero criterio interpretativo in quanto essa ha una sua autonoma portata in relazione alle prestazioni professionali di ingegneria diverse da quelle indicate nell'art. 90 del d. lgs. 163/06, ovvero affidate da soggetti aggiudicatori diversi da quelli tenuti all'applicazione degli artt. 90 e ss. d. lgs. 163/06. 61 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) d) Infine, ad ulteriore conferma dell'interpretazione in base alla quale l'abrogazione delle norme contenenti l'obbligatorietà di tariffe minime non incide sul codice degli appalti, si sottolineano alcuni argomenti di carattere sostanziale. Infatti, le disposizioni in tema di affidamento dei servizi di ingegneria contemplati dall'articolo 90, impongono lo svolgimento di procedure concorsuali in cui il corrispettivo posto a base di gara è, proprio per l'intrinseca natura di una procedura di gara, sottoposto a ribasso, anche laddove venisse utilizzato il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Di conseguenza, lasciare alle stazioni appaltanti la possibilità di scendere al di sotto di corrispettivi minimi comporterebbe come conseguenza un'eccessiva riduzione dei compensi per le prestazioni professionali di ingegneria. Ciò avrebbe come ulteriore conseguenza la violazione dei parametri - rappresentati, per un verso, dal decoro della professione e, per altro verso, dall'importanza dell'opera - cui la misura del compenso professionale deve comunque essere riferita, nonché l'inevitabile peggioramento della qualità delle prestazioni di ingegneria che hanno un'importanza vitale nella realizzazione delle opere pubbliche. Infatti, il decreto non ha assolutamente inciso sulla portata applicativa dell'art. 2233 c.c. in base alla quale la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione. Si consideri che la sanzione di nullità per i patti posti in deroga ai corrispettivi professionali minimi, stabiliti dal d.m. previsto dall'art. 90 del d.lgs. 163/06 è espressione di una precisa valutazione del legislatore in ordine alla rilevanza pubblicistica degli interessi sottesi alla misura dei compensi per le attività professionali funzionali alla realizzazione di opere pubbliche. Le considerazioni sopra svolte sembrano - a nostro avviso - tali da ritenere che la riforma, introdotta con il decreto "Bersani", abbia determinato, con riguardo ai servizi professionali di ingegneria, il seguente nuovo assetto normativo: 1) i corrispettivi delle prestazioni di ingegneria, richiamate nell'art. 90 del d.lgs. 163/06, non possono essere posti in deroga ai corrispettivi minimi, atteso il carattere speciale della disciplina in materia di contratti pubblici, in quanto tale sottratta all'abrogazione in forza del decreto "Bersani"; 2) i contratti stipulati con corrispettivi inferiori ai minimi sono affetti da nullità, che ha carattere parziale ed è sottoposta al meccanismo della sostituzione automatica delle clausole nulle. Di conseguenza, il patto posto in deroga verrebbe sostituito dal corrispondete corrispettivo minimo previsto dalla tabella; 4) attualmente continua a trovare applicazione la tabella prevista dal d.m. 4 aprile 2001; 5) le stazioni appaltanti, chiamate ad affidare gli incarichi di ingegneria contemplati dall'art. 90 del d.lgs. 163/06, dovranno porre a base della procedura per l'affidamento i corrispettivi individuati dalla tabella di cui sopra, con l'avvertenza che il corrispettivo risultante dall'eventuale ribasso non dovrà essere inferiore ai minimi, salvo il disposto dell'art. 4, comma 12bis della legge 26 Aprile 1989, n. 155 che consente, per i soggetti aggiudicatori in esso indicati, il ribasso del 20 per cento rispetto ai minimi; 6) le stazioni appaltanti per le prestazioni professionali diverse da quelle indicate dal citato articolo 90, ed i soggetti aggiudicatori non tenuti all'applicazione degli artt. 90 e ss. applicheranno l'art. 2 comma 2 del d. l. 223/06 e, quindi, potranno utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali, e non saranno tenute all'applicazione dei corrispettivi minimi di cui al citato d.m., né ad esse risulterà applicabile la sanzione della nullità; 62 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 7) nell'ambito individuato nel precedente punto 6, però, non si può escludere che i professionisti siano sottoposti all'obbligo, sanzionabile in sede disciplinare, di individuare la misura del compenso in modo che essa risulti adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione. 3. ... nel settore privato. Tali considerazioni, valide per il settore degli appalti pubblici, non trovano invece riscontro nel settore privato. Infatti, l'abrogazione disposta dall'art. 2 comma 1 let. a) del decreto legge n. 223/2006, come modificato dalla legge di conversione spiega sicura efficacia in relazione disposizione dell'articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340 che ha aggiunto un comma all'articolo unico della legge n. 143/1958, secondo cui "i minimi di tariffa per gli onorari a vacazione, a percentuale ed a quantità, fissati falla legge 2 marzo 1949, n 143, o stabiliti secondo il disposto della presente legge, sono inderogabili. L'inderogabilità non si applica agli onorari a discrezione per le prestazioni di cui all'articolo 5 del testo unico approvato con la citata legge 2 marzo 1949, n. 143". In particolare, deve intendersi abrogato l'articolo unico della legge 143/1958 nella parte in cui, modificato dalla legge 340/1976, aveva sancito l'inderogabilità dei minimi tariffari. A ben riflettere, con riguardo alle prestazioni professionali di ingegneria nel settore privato, l'abrogazione introdotta con il decreto "Bersani" non sembra avere un impatto dirompente. Ciò in quanto la norma che statuiva il principio dell'inderogabilità dei minimi tariffari non era presidiata da una sanzione espressa di nullità per i patti negoziali posti in deroga. Opzione ermeneutica questa, ormai consolidata nelle pronunce della Corte di Cassazione, secondo la quale non è affetto da nullità il patto in deroga ai minimi inderogabili di tariffe professionali, essendo questi stabiliti nell'interesse delle categorie professionali, interesse che può essere tutelato adeguatamente in sede disciplinare. La norma che prevedeva l'inderogabilità dei minimi tariffari nel settore privato, infatti, non era posta nell'interesse generale della collettività, il solo idoneo giustificare l'imperatività del precetto ed a rendere eventualmente nulli i patti ad esso contrari, bensì era posta nell'interesse della categoria professionale. Tale giudizio è stato, invece, differente, da parte del legislatore, in materia di prestazioni professionali di ingegneria rese nei confronti di soggetti aggiudicatori per la realizzazione di opere pubbliche. In questo settore, infatti, come precisato, la rilevanza di interessi generali, connessi alla realizzazione di opere pubbliche, ha indotto il legislatore a comminare la sanzione della nullità per i patti posti in deroga alle tariffe professionali. Da ciò scaturisce che, nel settore privato, l'obbligatorietà dei minimi tariffari non trova più applicazione, con la conseguenza che non potranno più essere sanzionati, quali violazioni delle norme deontologiche, i patti negoziali posti in deroga ai minimi tariffari. La determinazione dei compensi professionali nel settore privato sarà, pertanto, integralmente rimessa alle libere pattuizioni tra privati e potrà anche discostarsi dalle tariffe professionali, che assolveranno ad una funzione meramente sussidiaria rispetto al generale potere di stabilire liberamente il compenso di cui all'art. 2233 c.c. Tuttavia, particolare attenzione si richiede agli ordini professionali nell'ambito dell'esercizio dei poteri disciplinari in quanto, se è vero che il decreto "Bersani", con riguardo alle prestazioni rese dagli 63 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) ingegneri, ha sottratto alla potestà disciplinare i professionisti che, nell'esercizio della professione, pongano in essere patti in deroga ai minimi tariffari, è altrettanto vero che non risulta abrogata la disposizione del secondo comma dell'art. 2233 c.c. in base alla quale "in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione". Di conseguenza, il professionista potrà pattuire compensi professionali in deroga ai minimi stabiliti dalle tariffe professionali, ma non potrà, comunque, pattuire compensi di entità tale da menomare il decoro della professione e, dunque, tali da violare il disposto del secondo comma dell'art. 2233 c.c. Sotto questo profilo, l'attività di verifica del rispetto delle regole deontologiche da parte degli ordini professionali acquista una maggiore importanza, trattandosi adesso di verificare in concreto la proporzione tra attività posta in essere e compenso pattuito al fine di scrutinarne la compatibilità con il nuovo sistema di regole deontologiche. Sotto tale profilo, una prima indicazione operativa consiste nella possibilità per gli ordini professionali di utilizzare i minimi tariffari quali indici sintomatici. In sostanza, la pattuizione di compensi in deroga ai minimi, laddove questi erano stati normativamente considerati inderogabili, rappresenterebbe l'indizio di una prestazione posta in violazione della regola codicistica che impone il rispetto del decoro della professione, rispetto alla quale, il professionista, chiamato in sede disciplinare dovrebbe fornire la prova contraria. In conclusione, dunque, gli effetti prodotti dall'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ha determinato il seguente nuovo assetto normativo: 1) le parti possono pattuire compensi professionali in deroga ai minimi stabiliti dalle tariffe professionali, ma sono tenute al rispetto del principio in base al quale il compenso deve essere adeguato all'importanza dell'opera e al decoro della professione; 2) in caso di mancanza di convenzione pattizia sul compenso questo può essere determinato in base alle tariffe professionali o dagli usi e, se non può essere in tal modo determinato, esso sarà stabilito dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionali a cui il professionista appartiene; 3) il compenso, comunque, deve essere di misura tale da risultare adeguato all'importanza dell'opera e al decoro della professione; 4) il compenso fissato in spregio ai criteri dettati dall'articolo 2233 c.c., richiamati al precedente punto, può assumere rilevanza in sede disciplinare, sia pure con valenza meramente indiziaria. 4. La possibilità di svolgere attività pubblicitaria da parte dei professionisti ed il nuovo compito di controllo sulla trasparenza e sulla veridicità dell'informazione pubblicitaria assegnato agli ordini professionali. Altra importante novità è l'introduzione da parte del decreto "Bersani" della possibilità per i professionisti di svolgere attività pubblicitaria. L'art. 2 comma 1 lett. b), infatti, abroga le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali, il divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni; la pubblicità dovrà rispondere, dunque, a criteri di trasparenza e veridicità del messaggio, il cui rispetto sarà verificato dall'ordine, mentre sono individuati con precisione gli elementi dell'attività professionale che possono essere reclamizzati all'esterno. 64 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Una prima notazione riguarda la tipologia di attività pubblicitaria che il professionista può porre in essere: si tratta, infatti, di pubblicità informativa; quindi, finalizzata a comunicare all'esterno i titoli e le specializzazioni professionali le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni. Devono, di conseguenza, ritenersi esclusi i messaggi pubblicitari volti a richiamare l'attenzione su elementi marginali o addirittura diversi su quelli richiamati dalla norma. È chiara la ratio ispiratrice della norma, finalizzata ad attribuire alla pubblicità il ruolo di elemento propulsivo della concorrenza. Soltanto rendendo noti i corrispettivi ai quali i professionisti si impegnano a rendere la propria opera professionale, infatti, è possibile dare portata pratica alla abrogazione delle norme che prevedevano l'obbligatorietà dei minimi tariffari. È evidente che l'attività pubblicitaria posta in essere dovrà essere veritiera e trasparente. Si apre dunque, un altro fronte per gli ordini professionali che acquistano un importanza fondamentale, con il nuovo assetto normativo, proprio in ragione dell'attribuzione ad essi del compito, qualificabile quale munus publico, di vigilare sulla vedicità sulla trasparenza e, verosimilmente, anche sulla decorosità dell'attività pubblicitaria. Roma, 18 settembre 2006 F.to per il CNI, il segretario, Renato Buscaglia, il presidente, Ferdinando Luminoso Note (1) Tali attività, indicate - sembrerebbe in modo tassativo - dal comma 1 dell'art. 90 del d.lgs. 163/06, sono quelle relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori, nonché alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo, alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici. (2) In base a tale disposizione "il Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, determina, con proprio decreto, le tabelle dei corrispettivi delle attività (che possono essere espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 90), tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate. I corrispettivi sono minimi inderogabili ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall'articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo. I corrispettivi delle attività di progettazione sono calcolati, ai fini della determinazione dell'importo da porre a base dell'affidamento, applicando le aliquote che il decreto di cui al comma 2 stabilisce". La norma, poi, individua le modalità concrete di determinazione dei corrispettivi con riguardo alle varie tipologie di attività. In base al comma 4 dell'art. 92, inoltre, "i corrispettivi determinati ai sensi del comma 3, fatto salvo quanto previsto dal comma 12-bis dell'articolo 4 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1989, n. 155, sono minimi inderogabili ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall'articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo". (3) In proposito, A. Ruggeri, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, Torino 2005, 62 ss.; in senso opposto, P. Carnevale, Riflessioni sul problema dei vincoli all'abrogazione futura: il caso delle leggi concernenti clausole"di sola abrogazione espressa" nella più recente prassi legislativa, in Dir.soc., 1998 407 ss. 65 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 28/09 DECRETO BERSANI Diritto amministrativo Europeo 2006 31/10 Corte di Giustizia La responsabilita' per danni dello Stato per violazione del diritto comunitario Uno Stato membro e' responsabile per i danni causati da una violazione manifesta del diritto comunitario, compiuta da un giudice. E la violazione e' sempre da ritenere "manifesta" quando la decisione interviene ignorando la giurisprudenza della Corte di Giustizia. E' quanto ha di recente stabilito la Corte di Giustizia, nel procedimento intentato dalla societa' Traghetti del Mediterraneo contro lo Stato italiano. Questi i fatti. Nel 1981 l'impresa di trasporti marittimi la Traghetti del Mediterraneo (TDM) citava in giudizio la Tirrenia di Navigazione, un'impresa concorrente, dinanzi al Tribunale di Napoli. La TDM intendeva ottenere il risarcimento del danno che, a suo avviso, la concorrente le aveva arrecato a causa della sua politica di prezzi bassi sul mercato del cabotaggio marittimo tra l'Italia continentale e le isole della Sardegna e della Sicilia grazie al conseguimento di sovvenzioni pubbliche. La TDM ha sostenuto, in particolare, che il comportamento contestato costituiva un atto di concorrenza sleale, nonché un abuso di posizione dominante, vietato dal Trattato CE. La domanda di risarcimento è stata respinta in tutti e tre i gradi di giudizio, ossia dal Tribunale di Napoli, poi successivamente, dalla Corte d'appello di Napoli e, infine, dalla Corte di Cassazione. 66 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Ritenendo che la sentenza di tale ultimo giudice fosse fondata su un'errata interpretazione delle norme comunitarie, il curatore fallimentare della TDM, società nel frattempo messa in liquidazione, ha citato in giudizio la Repubblica italiana dinanzi al Tribunale di Genova. Il suo ricorso è diretto ad ottenere il risarcimento del danno che la TDM avrebbe subito a seguito degli errori di interpretazione commessi dal giudice supremo e a seguito della violazione dell'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Il Tribunale di Genova ha chiesto alla Corte di Giustizia se il diritto comunitario e, in particolare, i principi sanciti dalla Corte nella sentenza "Köbler" ostino ad una normativa nazionale quale la legge italiana che, da un lato, esclude ogni responsabilità dello Stato membro per i danni causati a seguito di una violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado allorquando tale violazione risulti da un'interpretazione delle norme di diritto o da una valutazione dei fatti e delle prove ad opera di tale organo giurisdizionale e che, dall’altro lato, limita, peraltro, tale responsabilità ai soli casi del dolo e della colpa grave del giudice. La Corte di Giustizia, con la decisione che si riporta, ha anzitutto affermato che "il principio per il quale uno Stato membro è obbligato a risarcire i danni arrecati ai singoli per violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili vale in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario, e qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione". Secondo i Giudici europei, "escludere ogni possibilità di sussistenza della responsabilità dello Stato per il motivo che la violazione contestata al giudice nazionale riguarda l'interpretazione delle norme giuridiche ovvero la valutazione effettuata da quest’ultimo su fatti o prove equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio della responsabilità dello Stato e avrebbe come conseguenza che i singoli non beneficerebbero di alcuna tutela giurisdizionale ove un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado commettesse un errore manifesto nell'esercizio di tali attività di interpretazione o di valutazione". La violazione delle norme comunitarie è da ritenere "manifesta", in relazione ad un certo numero di criteri quali: - il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, - il carattere scusabile o inescusabile dell’errore di diritto commesso, - la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale. La violazione "manifesta" è in ogni caso presunta quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia. In conclusione, limitare la sussistenza della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, è contrario al diritto comunitario ove tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza di responsabilità nel caso in cui sia commessa una violazione manifesta del diritto vigente. Di seguito, il testo della decisione della Corte di Giustizia. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Grande Sezione Sentenza del 13 giugno 2006 (presidente Skouris, estensore Timmermans) Nel procedimento C-173/03, 67 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Genova con ordinanza 20 marzo 2003, pervenuta in cancelleria il 14 aprile 2003, nella causa Traghetti del Mediterraneo SpA, in liquidazione, contro Repubblica italiana, 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul principio e sulle condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale degli Stati membri per i danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto comunitario, allorquando tale violazione è imputabile a un organo giurisdizionale nazionale. 2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una causa intentata contro la Repubblica italiana dalla Traghetti del Mediterraneo SpA, impresa di trasporti marittimi, attualmente in liquidazione (in prosieguo: la «TDM»), al fine di ottenere il risarcimento del danno che essa avrebbe subito a causa di un’erronea interpretazione, da parte della Corte suprema di cassazione, delle norme comunitarie relative alla concorrenza e agli aiuti di Stato e, in particolare, per il rifiuto opposto da quest’ultima alla sua richiesta di sottoporre alla Corte le pertinenti questioni di interpretazione del diritto comunitario. Contesto normativo nazionale 3 Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 [sul] risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e [sulla] responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88 del 15 aprile 1988, pag. 3; in prosieguo: la «legge n. 117/88»), detta legge si applica «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria». 4 L’art. 2 della legge n. 117/88 prevede: «1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. 2. Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove. 3. Costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione». 68 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 5 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, prima frase, della legge n. 117/88, costituisce peraltro un diniego di giustizia «il rifiuto, l’omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria». 6 Gli articoli seguenti della legge n. 117/88 precisano le condizioni e le modalità per proporre un’azione di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2 o 3 di detta legge, così come le azioni che possono essere intraprese, a posteriori, nei confronti del magistrato che si sia reso colpevole di dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, se non addirittura di un diniego di giustizia. I fatti all’origine della controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali 7 La TDM e la Tirrenia di Navigazione (in prosieguo: la «Tirrenia») sono due imprese di trasporti marittimi che, negli anni ’70, effettuavano regolari collegamenti marittimi tra l’Italia continentale e le isole della Sardegna e della Sicilia. Nel 1981, mentre era stata sottoposta alla procedura di concordato, la TDM citava la Tirrenia in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli al fine di ottenere il risarcimento del pregiudizio che essa avrebbe subito, negli anni precedenti, a causa della politica di prezzi bassi praticata da quest’ultima. 8 La TDM invocava, a tal riguardo, tanto la violazione, da parte della sua concorrente, dell’art. 2598, n. 3, del codice civile italiano, relativo agli atti di concorrenza sleale, quanto la violazione degli artt. 85, 86, 90 e 92 del Trattato CEE (divenuti, rispettivamente, artt. 85, 86, 90 e 92 del Trattato CE, a loro volta diventati artt. 81 CE, 82 CE, 86 CE, e, in seguito a modifica, 87 CE) per il fatto che, a suo parere, la Tirrenia aveva violato le norme fondamentali di tale Trattato, e in particolare aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato in questione, praticando tariffe notevolmente inferiori al prezzo di costo grazie al conseguimento di sovvenzioni pubbliche la cui legittimità sarebbe stata dubbia alla luce del diritto comunitario. 9 Con sentenza del Tribunale di Napoli 26 maggio 1993, confermata in appello dalla sentenza 13 dicembre 1996 della Corte d’appello di Napoli, tale domanda di risarcimento veniva tuttavia respinta dai giudici italiani, poiché le sovvenzioni concesse dalle autorità di tale Stato erano legittime in quanto perseguivano obiettivi di interesse generale connessi, in particolare, allo sviluppo del Mezzogiorno ed in quanto, in ogni caso, non recavano pregiudizio all’esercizio di attività di trasporto marittimo diverse e concorrenti rispetto a quelle censurate dalla TDM. Pertanto, nessun atto di concorrenza sleale poteva essere imputato alla Tirrenia. 10 Ritenendo, da parte sua, che queste due sentenze fossero viziate da errori di diritto, in quanto fondate, in particolare, su un’interpretazione erronea delle norme del Trattato in materia di aiuti di Stato, il curatore fallimentare della TDM proponeva contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli un ricorso in cassazione, nell’ambito del quale invitava la Corte suprema di cassazione a sottoporre alla Corte, ai sensi dell’art. 177, terzo comma, del Trattato CE (divenuto articolo 234, terzo comma, CE), le pertinenti questioni d’interpretazione del diritto comunitario. 11 Con sentenza 19 aprile 2000, n. 5087 (in prosieguo: la «sentenza 19 aprile 2000»), la Corte suprema di cassazione tuttavia rifiutava di accogliere tale istanza poiché la soluzione adottata dai giudici di merito rispettava la lettera delle pertinenti disposizioni del Trattato ed era, per di più, perfettamente conforme alla giurisprudenza della Corte, in particolare alla sentenza 22 maggio 1985, causa 13/83, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. 1513). 12 Per giungere a tale conclusione, la Corte suprema di cassazione rilevava, da un lato, riguardo alla presunta violazione degli artt. 90 e 92 del Trattato, che tali articoli permettono di derogare, a certe condizioni, al divieto generale degli aiuti di Stato al fine di favorire lo sviluppo economico di regioni svantaggiate o di soddisfare domande di beni e servizi che il gioco della libera concorrenza non 69 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) permette di soddisfare pienamente. Orbene, secondo tale giudice, tali condizioni ricorrerebbero appunto nella fattispecie in quanto, nel corso del periodo contestato (cioè tra il 1976 e il 1980), i trasporti di massa tra l’Italia continentale e le sue isole maggiori potevano essere assicurati, attesi i loro costi, solo per via marittima, cosicché sarebbe stato necessario soddisfare la domanda, sempre più pressante, per tale tipo di servizi affidando la gestione di tali trasporti ad un concessionario pubblico che praticava una tariffa imposta. 13 Secondo lo stesso giudice, la distorsione della concorrenza che deriverebbe dall’esistenza di tale concessione non comporterebbe, tuttavia, l’illegittimità automatica dell’aiuto accordato. In effetti, l’attribuzione di una tale concessione di servizio pubblico comporterebbe sempre, implicitamente, un effetto distorsivo della concorrenza e la TDM non sarebbe riuscita a dimostrare che la Tirrenia avesse tratto vantaggio dall’aiuto accordato dallo Stato per realizzare utili connessi ad attività diverse da quelle per cui le sovvenzioni erano state effettivamente concesse. 14 Dall’altro lato, quanto al motivo relativo alla violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato, la Corte suprema di cassazione lo ha respinto in quanto infondato poiché, all’epoca dei fatti della controversia, l’attività di cabotaggio marittimo non era ancora stata liberalizzata e poiché la natura ed il contesto territoriale limitati di tale attività non consentivano di individuare chiaramente il mercato rilevante ai sensi dell’art. 86 del Trattato. In siffatto contesto, tale giudice ha, tuttavia, rilevato che, se era difficile identificare detto mercato, una concorrenza reale poteva nondimeno esercitarsi nel settore interessato dal momento che l’aiuto concesso nella fattispecie riguardava solamente una delle attività tra quelle, numerose, tradizionalmente svolte da un’impresa di trasporto marittimo e che era per di più limitata ad un solo Stato membro. 15 In tali circostanze, la Corte suprema di cassazione ha, di conseguenza, respinto il ricorso per cui era stata adita, dopo aver rigettato anche le censure sollevate dalla TDM riguardo alla violazione delle disposizioni nazionali relative agli atti di concorrenza sleale e all’omissione da parte della Corte d’appello di Napoli di statuire sulla domanda della TDM diretta a sottoporre alla Corte le pertinenti questioni d’interpretazione. Precisamente tale decisione di rigetto è all’origine del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio. 16 Infatti, ritenendo che la sentenza 19 aprile 2000 fosse fondata su un’errata interpretazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza e di aiuti di Stato e sulla premessa erronea dell’esistenza di una giurisprudenza costante della Corte in materia, il curatore fallimentare della TDM, società nel frattempo messa in liquidazione, citava la Repubblica italiana dinanzi al Tribunale di Genova per ottenere la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno che tale impresa avrebbe subito a causa degli errori di interpretazione commessi dalla Corte suprema di cassazione e a causa della violazione dell’obbligo di rinvio che graverebbe a carico di quest’ultimo organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE. 17 A tal riguardo, fondandosi, segnatamente, sulla decisione della Commissione 21 giugno 2001, 2001/851/CE, relativa agli aiuti di Stato corrisposti dall’Italia alla compagnia marittima Tirrenia di Navigazione (GU L 318, pag. 9) – decisione riguardante, sì, sovvenzioni concesse successivamente al periodo controverso nella causa principale, ma adottata al termine di un procedimento avviato dalla Commissione delle Comunità europee prima dell’udienza dibattimentale della Corte suprema di cassazione nella causa conclusasi con sentenza 19 aprile 2000 – la TDM sostiene che, se quest’ultimo giudice si fosse rivolto alla Corte, l’esito del ricorso in cassazione sarebbe stato completamente diverso. Al pari della Commissione, nella summenzionata decisione, la Corte avrebbe, infatti, rilevato la dimensione comunitaria delle attività di cabotaggio marittimo così come le difficoltà inerenti alla valutazione della compatibilità di sovvenzioni pubbliche con le norme del Trattato in materia di aiuti di Stato, il che avrebbe portato la Corte di cassazione a dichiarare illegittimi gli aiuti concessi alla Tirrenia. 18 La Repubblica italiana contesta la ricevibilità stessa di tale azione di risarcimento, basandosi sul tenore della legge n. 117/88, ed in particolare sul suo art. 2, n. 2, ai sensi del quale l’interpretazione di norme giuridiche effettuata nell’ambito dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali non potrebbe comportare la responsabilità dello Stato. Tuttavia, nel caso in cui la ricevibilità di tale ricorso dovesse 70 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) essere ammessa dal giudice del rinvio, essa sostiene, in subordine, che il ricorso deve in ogni caso essere respinto poiché non ricorrerebbero i presupposti per un rinvio pregiudiziale e la sentenza 19 aprile 2000, passata in giudicato, non potrebbe più essere rimessa in discussione. 19 In risposta a tali argomentazioni, la TDM si interroga sulla compatibilità della legge n. 117/88 con le prescrizioni del diritto comunitario. Essa sostiene, in particolare, che le condizioni di ricevibilità delle azioni previste da tale legge e la prassi seguita in materia dagli organi giurisdizionali nazionali (tra cui la stessa Corte suprema di cassazione) sono talmente restrittive che rendono eccessivamente difficile, se non addirittura impossibile, il conseguimento di un risarcimento da parte dello Stato dei danni causati da provvedimenti giurisdizionali. Di conseguenza, una tale normativa sarebbe in contrasto con i principi sanciti dalla Corte, in particolare, nelle sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357), e 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur et Factortame (Racc. pag. I-1029). 20 Pertanto, nutrendo dubbi quanto alla soluzione da dare alla controversia dinanzi ad esso pendente nonché quanto alla possibilità di estendere al potere giudiziario i principi sanciti dalla Corte, nelle sentenze citate al punto precedente, relative alle violazioni del diritto comunitario commesse nell’esercizio di un’attività legislativa, il Tribunale di Genova ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se uno Stato [membro] risponda a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti dei singoli cittadini degli errori dei propri giudici nell’applicazione del diritto comunitario o della mancata applicazione dello stesso e in particolare del mancato assolvimento da parte di un giudice di ultima istanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234, comma 3, del Trattato. 2) Nel caso in cui debba ritenersi che uno Stato membro risponda degli errori dei propri giudici nell’applicazione del diritto comunitario e in particolare dell’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte di un giudice di ultima istanza ai sensi dell’art. 234, comma 3, del Trattato, se osti all’affermazione di tale responsabilità – e sia quindi incompatibile con i principi del diritto comunitario – una normativa nazionale in tema di responsabilità dello Stato per errori dei giudici che: – esclude la responsabilità in relazione all’attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove rese nell’ambito dell’attività giudiziaria, – limita la responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice». 21 A seguito della pronuncia della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler (Racc. pag. I10239), il cancelliere della Corte ha inviato copia di tale sentenza al giudice del rinvio chiedendogli se, alla luce del contenuto della sentenza, ritenesse utile mantenere la sua domanda pregiudiziale. 22 Con lettera 13 gennaio 2004, pervenuta alla cancelleria della Corte il 29 gennaio seguente, il Tribunale di Genova, sentite le parti della causa principale, ha ritenuto che la summenzionata sentenza Köbler fornisse una risposta esauriente alla prima delle due questioni da esso proposte, di modo che non è più necessario che la Corte si pronunci su di essa. 23 Esso ha, invece, ritenuto utile mantenere la sua seconda questione affinché la Corte si pronunci, «anche alla luce dei principi affermati (…) nella sentenza Köbler», sulla questione se «osti all’affermazione della responsabilità dello stato per violazioni imputabili a un organo giurisdizionale nazionale una normativa nazionale in tema di responsabilità dello stato per errori del giudice che, come quella italiana, esclude la responsabilità in relazione all’attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove rese nell’ambito dell’attività giudiziaria e limita la responsabilità dello stato ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice». Sulla questione pregiudiziale 71 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 24 In via preliminare, occorre rilevare che la causa pendente dinanzi al giudice del rinvio ha per oggetto un’azione diretta a far sorgere la responsabilità dello Stato per una decisione, non impugnabile, emessa da un organo giurisdizionale supremo. La questione proposta dal giudice del rinvio deve quindi essere intesa come vertente, in sostanza, sulla questione se il diritto comunitario e, in particolare, i principi sanciti dalla Corte nella summenzionata sentenza Köbler, ostino ad una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale, che, da un lato, esclude ogni responsabilità dello Stato membro per i danni causati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado allorquando tale violazione risulta da un’interpretazione delle norme di diritto o da una valutazione dei fatti e delle prove ad opera di tale organo giurisdizionale e che, dall’altro lato, limita, peraltro, tale responsabilità ai soli casi del dolo e della colpa grave del giudice. 25 Per la TDM, come per la Commissione, tale questione richiede chiaramente una risposta affermativa. Infatti, dal momento che la valutazione dei fatti e delle prove nonché l’interpretazione delle norme di diritto sarebbero inerenti all’attività giurisdizionale, l’esclusione, in tali casi, della responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito dell’esercizio di tale attività equivarrebbe, in pratica, ad esonerare quest’ultimo da ogni responsabilità per violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario. 26 Per quanto riguarda, peraltro, la limitazione di detta responsabilità ai soli casi del dolo o della colpa grave del giudice, anch’essa sarebbe di natura da condurre ad un’esenzione di fatto da ogni responsabilità dello Stato, poiché, da un lato, la nozione stessa di «colpa grave» non sarebbe lasciata alla libera valutazione del giudice chiamato a statuire su un’eventuale domanda di risarcimento dei danni causati da una decisione giurisdizionale, ma sarebbe rigorosamente delimitata dal legislatore nazionale, che enumererebbe preliminarmente – ed in modo tassativo – le ipotesi di colpa grave. 27 Secondo la TDM si desumerebbe, dall’altro lato, dall’esperienza acquisita in Italia nell’attuazione della legge n. 117/88 che gli organi giurisdizionali di detto Stato, in particolare, la Corte suprema di cassazione, darebbero una lettura estremamente restrittiva di tale legge, così come delle nozioni di «colpa grave» e di «negligenza inescusabile». Questi nozioni sarebbero interpretate da tale ultimo organo giurisdizionale come una «violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma» o contenente una lettura di essa «in termini contrastanti con ogni criterio logico», il che condurrebbe, in pratica, al rigetto quasi sistematico delle denunce presentate contro lo Stato italiano. 28 Al contrario, secondo il governo italiano, sostenuto, su tale punto, dall’Irlanda e dal governo del Regno Unito, una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale sarebbe perfettamente conforme ai principi stessi del diritto comunitario dal momento che essa realizzerebbe un giusto equilibrio tra la necessità di preservare l’indipendenza del potere giudiziario e gli imperativi della certezza del diritto, da un lato, e la concessione di una tutela giurisdizionale effettiva ai singoli nei casi più evidenti di violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario, dall’altro lato. 29 In tale ottica, ove dovesse essere riconosciuta, la responsabilità degli Stati membri per i danni risultanti da tali violazioni dovrebbe dunque essere limitata ai soli casi in cui si possa identificare una violazione sufficientemente grave del diritto comunitario. Tuttavia, essa non potrebbe sussistere qualora un organo giurisdizionale nazionale abbia deciso una controversia sulla base di un’interpretazione degli articoli del Trattato che si rispecchi adeguatamente nella motivazione fornita da tale organo giurisdizionale. 30 A tal riguardo, occorre ricordare che, nella summenzionata sentenza Köbler, pronunciata successivamente alla data in cui il giudice del rinvio s’è rivolto alla Corte, quest’ultima ha ricordato che il principio per il quale uno Stato membro è obbligato a risarcire i danni arrecati ai singoli per violazioni del diritto comunitario che gli sono imputabili ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario, qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione (v. punto 31 di detta sentenza). 72 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 31 Al riguardo, fondandosi in particolare sul ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che derivano ai singoli dalle norme comunitarie, nonché sulla circostanza che un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce, per definizione, l’ultima istanza dinanzi alla quale essi possono far valere i diritti che il diritto comunitario conferisce loro, la Corte ne ha dedotto che la tutela di tali diritti sarebbe indebolita – e la piena efficacia delle norme comunitarie che conferiscono simili diritti sarebbe rimessa in questione – se fosse escluso che i singoli potessero ottenere, a talune condizioni, il risarcimento dei danni loro arrecati da una violazione del diritto comunitario imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado (v. sentenza Köbler, cit., punti 33-36). 32 È vero che, considerate la specificità della funzione giurisdizionale nonché le legittime esigenze della certezza del diritto, la responsabilità dello Stato, in un caso del genere, non è illimitata. Come la Corte ha affermato, tale responsabilità può sussistere solo nel caso eccezionale in cui l’organo giurisdizionale che ha statuito in ultimo grado abbia violato in modo manifesto il diritto vigente. Al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve, a tal riguardo, tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un’istituzione comunitaria nonché della mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE (sentenza Köbler, cit., punti 53-55). 33 Considerazioni analoghe, connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano, allo stesso modo, a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall’interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale. 34 Da un lato, infatti, l’interpretazione delle norme di diritto rientra nell’essenza vera e propria dell’attività giurisdizionale poiché, qualunque sia il settore di attività considerato, il giudice, posto di fronte a tesi divergenti o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche pertinenti – nazionali e/o comunitarie – al fine di decidere la controversia che gli è sottoposta. 35 Dall’altro lato, non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga commessa, appunto, nell’esercizio di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a una norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, la summenzionata sentenza Köbler, punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente. 36 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato a causa del fatto che la violazione del diritto comunitario deriva da un’operazione di interpretazione delle norme giuridiche effettuata da un organo giurisdizionale equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla Corte nella citata sentenza Köbler. Tale constatazione vale, a maggior ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare a livello nazionale l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche. 37 Si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione che escluda, in maniera generale, la sussistenza di una qualunque responsabilità dello Stato allorquando la violazione imputabile ad un organo giurisdizionale di tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle prove. 73 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 38 Da un lato, infatti, una simile valutazione costituisce, così come l’attività di interpretazione delle norme giuridiche, un altro aspetto essenziale dell’attività giurisdizionale poiché, indipendentemente dall’interpretazione effettuata dal giudice nazionale investito di una determinata causa, l’applicazione di dette norme al caso di specie spesso dipenderà dalla valutazione che egli avrà compiuto sui fatti del caso di specie così come sul valore e sulla pertinenza degli elementi di prova prodotti a tal fine dalle parti in causa. 39 Dall’altro lato, una tale valutazione – che richiede a volte analisi complesse – può condurre ugualmente, in certi casi, ad una manifesta violazione del diritto vigente, sia essa effettuata nell’ambito dell’applicazione di specifiche norme relative all’onere della prova, al valore di tali prove o all’ammissibilità dei mezzi di prova, ovvero nell’ambito dell’applicazione di norme che richiedono una qualificazione giuridica dei fatti. 40 Escludere, in tali casi, ogni possibilità di sussistenza della responsabilità dello Stato poiché la violazione contestata al giudice nazionale riguarda la valutazione effettuata da quest’ultimo su fatti o prove equivarrebbe altresì a privare di effetto utile il principio sancito nella summenzionata sentenza Köbler, per quanto riguarda le manifeste violazioni del diritto comunitario che sarebbero imputabili agli organi giurisdizionale. Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler. 41 Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 87-89 delle sue conclusioni, ciò avviene, in particolare, in materia di aiuti di Stato. Escludere, in tale settore, qualunque responsabilità dello Stato poiché la violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale risulterebbe da una valutazione dei fatti rischia di condurre a un indebolimento delle garanzie procedurali offerte ai singoli in quanto la salvaguardia dei diritti che essi traggono dalle pertinenti disposizioni del Trattato dipende, in larga misura, da successive operazioni di qualificazione giuridica dei fatti. Orbene, nell’ipotesi in cui la responsabilità dello Stato fosse esclusa in maniera assoluta, a seguito delle valutazioni operate su determinati fatti da un organo giurisdizionale, tali singoli non beneficerebbero di alcuna protezione giurisdizionale ove un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado commettesse un errore manifesto nel controllo delle summenzionate operazioni di qualificazione giuridica dei fatti. 42 Riguardo, infine, alla limitazione della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o di colpa grave del giudice, occorre ricordare, come rilevato al punto 32 della presente sentenza, che la Corte, nella summenzionata sentenza Köbler, ha dichiarato che la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado poteva sorgere nel caso eccezionale in cui tale organo giurisdizionale avesse violato in modo manifesto il diritto vigente. 43 Tale violazione manifesta si valuta, in particolare, alla luce di un certo numero di criteri quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile o inescusabile dell’errore di diritto commesso, o la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia (sentenza Köbler, cit., punti 53-56). 44 Pertanto, se non si può escludere che il diritto nazionale precisi i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, da soddisfare affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della summenzionata sentenza Köbler. 74 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 45 Il diritto al risarcimento sorgerà, dunque, se tale ultima condizione è soddisfatta, non appena sarà stato stabilito che la norma di diritto violata ha per oggetto il conferimento di diritti ai singoli e che esiste un nesso di causalità diretto tra la violazione manifesta invocata e il danno subito dall’interessato (v., segnatamente, a tale riguardo, le summenzionate sentenze Francovich e a., punto 40; Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 51, nonché Köbler, punto 51). Come risulta, in particolare, dal punto 57 della citata sentenza Köbler, tali tre condizioni sono, in effetti, necessarie e sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, senza tuttavia escludere che la responsabilità dello Stato possa essere accertata a condizioni meno restrittive in base al diritto nazionale. 46 Alla luce di quanto sopra considerato, si deve quindi risolvere la questione proposta dal giudice del rinvio, come riformulata con la sua lettera 13 gennaio 2004, nel senso che il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale. Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della citata sentenza Köbler. Sulle spese 47 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo 31/10 Dal 6 novembre Il regolamento con le nuove regole sul bagaglio a mano negli aerei Nuove regole sulla sicurezza in tutti gli aeroporti dell'Unione Europea (e in Norvegia, Islanda e Svizzera). Sono state introdotte dal Regolamento della Commissione Europea del 4 ottobre scorso, pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 17 ottobre. Decorsi i venti giorni previsti di vacatio legis, le nuove norme entrano in vigore il 6 prossimo novembre. Le nuove previsioni, che trovano applicazione anche sui voli nazionali, mirano a prevenire le nuove minacce terroristiche, effettuate con utilizzo di esplosivi in forma liquida. 75 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) In base al nuovo regolamento è consentito portare a bordo, nel bagaglio a mano, solo una piccola quantità di liquidi, in recipienti ciascuno di capacità massima di 100 millilitri o di misura equivalente, che dovranno essere inseriti in sacchetti di plastica trasparente e risigillabili con capienza massima di un litro oppure di dimensioni, ad esempio, di circa 18 cm x 20 cm. Questi sacchetti dovranno essere trasportati separatamente dall'altro bagaglio a mano. Per ogni passeggero sarà consentita solo una busta Tra gli articoli liquidi che sarà possibile portare a bordo solo in piccole quantità vi sono: acqua ed altre bevande, profumi, gel (inclusi prodotti gelatinosi per capelli e per la cura del corpo come bagno schiuma e doccia schiuma), sostanze in pasta (incluso il dentifricio), mascara, creme, lozioni ed oli, spray, contenuto di recipienti pressurizzati (incluse schiume da barba, altre schiume e deodoranti), miscele di liquidi e solidi, nonché ogni altro prodotto di consistenza analoga. E' pure utile consultare il documento informativa per i passeggeri, pubblicato sul sito dell'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile (ENAC). Di seguito, il testo del Regolamento, in cui tuttavia, l'allegato è stato secretato (cfr. il terzo "considerando"). Commissione delle Comunità Europee Regolamento (CE) n. 1546/2006 del 4 ottobre 2006 recante modifica del regolamento (CE) n. 622/2003 della Commissione che stabilisce talune misure di applicazione delle norme di base comuni sulla sicurezza dell'aviazione (Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 17.10.2006) La Commissione delle Comunità Europee visto il trattato che istituisce la Comunità europea, visto il regolamento (CE) n. 2320/2002 del Parlamento europeo essere introdotti negli aeromobili. e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile (1), in particolare l’articolo 4, paragrafo 2, considerando quanto segue: 1) A norma del regolamento (CE) n. 2320/2002 la Commissione è tenuta ad adottare, se necessario, misure di attuazione delle norme di base comuni per la sicurezza dell'aviazione in tutta la Comunità europea. Il regolamento (CE) n. 622/2003 della Commissione, del 4 aprile 2003, che stabilisce talune misure di applicazione delle norme di base comuni sulla sicurezza dell'aviazione (2) è stato il primo atto normativo contenente tali misure. 2) Sono necessarie misure che precisino ulteriormente le norme di base comuni, in particolare per far fronte al rischio crescente connesso all'introduzione di esplosivi liquidi negli aeromobili. Tali misure devono essere riesaminate ogni sei mesi, alla luce dell’evoluzione tecnica, delle implicazioni di carattere operativo per gli aeroporti e dell’impatto sui passeggeri. 3) A norma del regolamento (CE) n. 2320/2002 e al fine di prevenire atti di interferenza illecita, le misure istituite nell’allegato del regolamento (CE) n. 622/2003 devono essere segrete e non devono 76 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) essere pubblicate. La stessa regola vale necessariamente per tutti gli atti modificativi. I passeggeri devono comunque essere chiaramente informati delle regole applicabili agli articoli che non possono essere introdotti negli aeromobili. 4) Il regolamento (CE) n. 622/2003 deve essere modificato di conseguenza. 5) Le misure di cui al presente regolamento sono conformi al parere del comitato per la sicurezza dell'aviazione civile, Ha adottato il seguente regolamento Articolo 1 L'allegato del regolamento (CE) n. 622/2003 è modificato conformemente all'allegato del presente regolamento. Ai fini della riservateza del presente allegato si applica l'articolo 3 del suddetto regolamento. Articolo 2 Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Bruxelles, 4 ottobre 2006. Allegato A norma dell’articolo 1, l'allegato è stato segregato Note (1) Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 849/2004. (2) Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 240/2006 31/10 Corte di Giustizia L'avvocato puo' esercitare all'estero senza conoscere la lingua Ogni avvocato ha diritto ad esercitare stabilmente la sua attività in qualsiasi Stato membro con il suo titolo professionale d'origine senza essere soggetto alla preventiva verifica delle sue conoscenze linguistiche. E' quanto ha affermato la Corte di Giustizia, con sentenza, depositate il 19 settembre scorso. Il Lussemburgo prevedeva, per chi volesse esercitare la professione di avvocato nel proprio territorio, il requisito della "padronanza della lingua della legislazione e delle lingue amministrative e giudiziarie" ed imponeva una previa verifica di tali conoscenze. La Corte ha chiarito che il professionista dovrà comunque essere in possesso, in concreto e in relazione alla peculiarità della vicenda da lui seguita, delle necessarie conoscenze giuridiche e linguistiche. Infine, la Corte ha affermato che i rimedi "interni" previsti per tali casi dall'ordinamento lussemburghese non forniscono le medesime garanzie di imparzialità dei rimedi giurisdizionali: "in caso di diniego dell'iscrizione al foro dello Stato membro ospitante, un ricorso presentato dinanzi ad un collegio disciplinare composto esclusivamente o 77 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) prevalentemente di avvocati locali non può essere ritenuto equivalente al rituale ricorso giurisdizionale che la direttiva impone agli Stati membri di prevedere per tali casi". Corte di giustizia, Grande Sezione Sentenza del 19 settembre 2006 (presidente Skouris, relatore Lenaerts) cause C-506/04 e C-193/05 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta in seguito al rifiuto, da parte del conseil de l’ordre des avocats du barreau de Luxembourg (Consiglio dell’ordine degli avvocati del foro di Lussemburgo; in prosieguo: il «consiglio dell’ordine») d’iscrivere il sig. Graham J. Wilson, cittadino del Regno Unito, all’albo dell’ordine degli avvocati di Lussemburgo. Contesto normativo La direttiva 98/5 3 Ai sensi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 98/5: «Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all’articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine». 4 L’art. 3 della direttiva 98/5, rubricato «Iscrizione presso l’autorità competente», dispone quanto segue: «1. L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro. 2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l’attestato dell’autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa dà comunicazione dell’iscrizione all’autorità competente dello Stato membro di origine. 5 L’art. 5 della direttiva 98/5, intitolato «Campo di attività», stabilisce quanto segue: «1. Salvo i paragrafi 2 e 3, l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine svolge le stesse attività professionali dell’avvocato che esercita con il corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante, e può, in particolare, offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato membro d’origine, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante. Esso rispetta comunque le norme di procedura applicabili dinanzi alle giurisdizioni nazionali. 2. Gli Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati a redigere sul loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il 78 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) trasferimento di diritti reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati a professioni diverse da quella dell’avvocato, possono escludere da queste attività l’avvocato che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in uno di questi ultimi Stati membri. 3. Per l’esercizio delle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa di un cliente in giudizio e nella misura in cui il proprio diritto riservi tali attività agli avvocati che esercitano con un titolo professionale dello Stato membro ospitante, quest’ultimo può imporre agli avvocati che ivi esercitano con il proprio titolo professionale di origine di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente, responsabile nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un “avoué” patrocinante dinanzi ad essa. Ciononostante, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, gli Stati membri possono stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati». 6 L’art. 9 della direttiva 98/5, rubricato «Motivazione e ricorso giurisdizionale», dispone quanto segue: «Le decisioni con cui viene negata o revocata l’iscrizione di cui all’articolo 3 e le decisioni che infliggono sanzioni disciplinari devono essere motivate. Tali decisioni sono soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno». 7 L’art. 10, della direttiva 98/5, rubricato «Assimilazione all’avvocato dello Stato membro ospitante», contiene le seguenti disposizioni: «1. L’avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato l’esercizio per almeno tre anni di un’attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, e riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto comunitario, è dispensato dalle condizioni di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva [del Consiglio 21 dicembre 1988] 89/48/CEE [relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989 L 19, pag. 16)] per accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante. Per attività effettiva e regolare si intende l’esercizio reale dell’attività senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana. 3. Un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine, che dimostri un’attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore relativamente al diritto di tale Stato membro, può ottenere dall’autorità competente di detto Stato membro l’accesso alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 89/48 (…), alle condizioni e secondo le modalità qui di seguito indicate: a) L’autorità dello Stato membro ospitante prende in considerazione l’attività effettiva e regolare nel corsodel periodo sopra precisato, nonché le conoscenze e le esperienze professionali nel diritto dello Stato membro ospitante, nonché la partecipazione del richiedente a corsi o seminari che vertono sul diritto dello Stato membro ospitante, compreso l’ordinamento della professione e la deontologia professionale. Il diritto nazionale 8 Ai sensi dell’art. 5 della legge 10 agosto 1991 sulla professione di avvocato (Mémorial A 1991, pag. 1110; in prosieguo: la «legge 10 agosto 1991»): 79 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) «Nessuno può esercitare la professione di avvocato se non ha ottenuto l’iscrizione all’albo di un ordine degli avvocati stabilito nel Granducato di Lussemburgo». 9 L’art. 6 della legge 10 agosto 1991 dispone quanto segue: «(1) Ai fini dell’iscrizione all’albo è necessario: a) presentare le necessarie garanzie d’onorabilità. b) dimostrare di ottemperare alle condizioni d’ammissione al tirocinio. Eccezionalmente, il Consiglio dell’ordine può dispensare da determinati requisiti di ammissione al tirocinio coloro che abbiano completato il tirocinio professionale nel loro Stato d’origine e possano comprovare una pratica professionale di almeno cinque anni. c) avere la cittadinanza lussemburghese o la cittadinanza di uno Stato membro delle Comunità europee. Il Consiglio dell’ordine, sentito il parere del Ministro della Giustizia può, dietro prova di reciprocità da parte del paese non membro della Comunità europea di cui il candidato è cittadino, dispensare quest’ultimo dalla predetta condizione. Lo stesso vale per i candidati che godono dello status di rifugiati politici e che beneficiano del diritto d’asilo nel Granducato di Lussemburgo. (2) Prima di potere essere iscritti all’albo, i candidati avvocati, presentati dal presidente dell’ordine o dal suo delegato, prestano il seguente giuramento dinanzi alla Cour de cassation: “Giuro fedeltà al Granduca, obbedienza alla costituzione e alle leggi dello Stato, di non venire mai meno al rispetto dovuto ai tribunali e di non patrocinare alcuna causa che io non creda giusta secondo coscienza”». 10 Tali requisiti per l’iscrizione sono stati modificati dall’art. 14 della legge 13 novembre 2002, che recepisce nel diritto lussemburghese la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica e recante: 1. modifica della legge modificata 10 agosto 1991, sulla professione di avvocato; 2. modifica della legge 31 maggio 1999, sulla domiciliazione delle società (Mémorial A 2002, pag. 3202; in prosieguo: la «legge 13 novembre 2002»). 11 Il detto art. 14 ha aggiunto, in particolare, all’art. 6, n. 1, della legge 10 agosto 1991, il punto d), che stabilisce il seguente requisito per l’iscrizione: «abbia padronanza della lingua della legislazione e delle lingue amministrative e giudiziarie ai sensi della legge 24 febbraio 1984 sul regime linguistico». 12 La lingua della legislazione è disciplinata dall’art. 2 della legge 24 febbraio 1984, sul regime linguistico (Mémorial A 1984, pag. 196) nei seguenti termini: «Gli atti legislativi e i relativi regolamenti d’attuazione sono redatti in francese. Quando gli atti legislativi e regolamentari sono accompagnati da una traduzione, fa fede solo il testo francese. Quando regolamenti diversi da quelli di cui al comma precedente sono emanati da un organismo dello Stato, dei comuni o degli enti pubblici in una lingua diversa dal francese, fa fede solo il testo nella lingua utilizzata da tale organismo per la stesura. Questo articolo non deroga alle disposizioni applicabili in materia di convenzioni internazionali». 13 Le lingue amministrative e giudiziarie sono disciplinate dall’art. 3 della legge 24 febbraio 1984, sul regime linguistico, nei seguenti termini: 80 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) «In materia amministrativa, contenziosa o non contenziosa, e in materia giudiziaria è possibile utilizzare la lingua francese, tedesca o lussemburghese, fatte salve le disposizioni speciali vigenti in specifiche materie». 14 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della legge 13 novembre 2002, l’avvocato che ha conseguito la qualifica in uno Stato membro diverso dal Granducato di Lussemburgo (in prosieguo: l’«avvocato europeo») deve aver ottenuto l’iscrizione all’albo di uno degli ordini degli avvocati di quest’ultimo Stato membro per potervi esercitare con il proprio titolo d’origine. 15 In forza dell’art. 3, n. 2, della stessa legge: «Il Consiglio dell’ordine degli avvocati del Granducato di Lussemburgo, cui l’avvocato europeo presenti istanza di poter esercitare con il suo titolo professionale d’origine, procede all’iscrizione dell’avvocato europeo all’albo degli avvocati di tale ordine al termine di un colloquio che permette al Consiglio dell’ordine di verificare che l’avvocato europeo abbia la padronanza almeno delle lingue di cui all’art. 6, n. 1, lett. d), della legge 10 agosto 1991, dietro presentazione dei documenti elencati all’art. 6, n. 1, lett. a), c), prima frase, e d) della legge 10 agosto 1991 e dell’attestato di iscrizione dell’avvocato europeo presso l’autorità competente dello Stato membro d’origine 16 In conformità all’art. 3, n. 3, della legge 13 novembre 2002, le decisioni di diniego dell’iscrizione di cui al n. 2 di tale articolo devono essere motivate e notificate all’avvocato interessato e possono essere «impugnate ai sensi degli artt. 26, nn. 7 e segg., della legge 10 agosto 1991 alle condizioni e modalità ivi precisate». 17 L’art. 26, n. 7, della legge 10 agosto 1991 prevede, tra l’altro, in caso di diniego dell’iscrizione all’albo di un ordine di avvocati, la possibilità di adire il Conseil disciplinaire et administratif. 18 La composizione di tale organo è disciplinata come segue dall’art. 24 di detta legge: «1. La presente legge prevede l’istituzione di un Conseil disciplinaire et administratif composto da cinque avvocati iscritti all’elenco I degli avvocati, di cui quattro sono eletti a maggioranza relativa dall’assemblea generale dell’ordine di Lussemburgo e uno dall’assemblea generale dell’ordine di Diekirch. L’assemblea generale dell’ordine di Lussemburgo elegge quattro supplenti e l’assemblea generale dell’ordine di Diekirch elegge un supplente. Tutti i membri effettivi sono, laddove impossibilitati, sostituiti conformemente al grado di anzianità da un supplente dell’ordine di appartenenza e, laddove fossero impossibilitati i supplenti del proprio ordine, da un supplente dell’altro ordine. 2. Il mandato dei membri è di due anni a partire dal 15 settembre successivo alla loro elezione. In caso di vacanza di un posto di membro effettivo o membro supplente, il sostituto sarà cooptato dal Conseil disciplinaire et administratif. Le funzioni dei membri effettivi e supplenti cooptati terminano alla data di scadenza delle funzioni del rispettivo membro eletto sostituito. I membri del Conseil disciplinaire et administratif possono essere rieletti. 3. Il Conseil disciplinaire et administratif elegge un presidente ed un vicepresidente. Laddove presidente e vicepresidente fossero impossibilitati a svolgere le loro funzioni, il Conseil è presieduto dal membro titolare che vanta maggiore anzianità. Il membro più giovane del Consiglio svolge la funzione di segretario. 4. Per essere membro del Conseil disciplinaire et administratif è necessario avere la cittadinanza lussemburghese, essere iscritti nell’elenco I degli avvocati da almeno cinque anni e non essere membro di un Consiglio dell’ordine. 81 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 5. Qualora non fosse possibile comporre il Conseil disciplinaire et administratif secondo le modalità predette, i suoi membri sono designati dal Consiglio dell’ordine cui appartengono i membri da sostituire». 19 L’art. 28, n. 1, della legge 10 agosto 1991 prevede la possibilità di impugnare le decisioni del Conseil disciplinaire et administratif. 20 Nella versione precedente alla legge 13 novembre 2002, il n. 2 di tale articolo disponeva quanto segue: «A tale scopo è creato un Conseil disciplinaire et administratif d’appel (Consiglio disciplinare ed amministrativo d’appello) composto da due magistrati della Corte d’appello e da un aggiunto giudiziario iscritto nell’elenco I degli avvocati. I membri togati e i rispettivi supplenti, nonché il cancelliere assegnato al Consiglio, sono nominati con decreto granducale su proposta della Corte suprema per la durata di due anni. Le rispettive indennità sono fissate con regolamento granducale. L’aggiunto giudiziario e il suo sostituto sono nominati con decreto granducale per la durata di due anni. Sono scelti da una lista di tre avvocati, iscritti nell’elenco I degli avvocati da almeno cinque anni, proposta da ciascun Consiglio dell’ordine per ogni funzione. La funzione di aggiunto giudiziario è incompatibile con quella di membro di un Consiglio dell’ordine o con quella di membro del Conseil disciplinaire et administratif. Il Conseil disciplinaire et administratif d’appel si riunisce nei locali della Corte suprema ed usufruisce dei suoi servizi di cancelleria». 21 L’art. 28, n. 2, della legge 10 agosto 1991, come modificato dall’art. 14 della legge 13 novembre 2002, dispone ora: «A tale scopo è creato un Conseil disciplinaire et administratif d’appel composto da due magistrati della Corte d’appello e da tre avvocati-aggiunti giudiziari iscritti nell’elenco I dell’albo degli avvocati. Gli avvocati-aggiunti giudiziari ed i loro sostituti sono nominati con decreto granducale per la durata di due anni. Sono scelti da una lista di cinque avvocati presso la Corte iscritti all’elenco I dell’albo degli avvocati da almeno cinque anni, proposta da ciascun Consiglio dell’ordine per ogni funzione. Il giudice con maggiore anzianità di servizio presiede il Conseil disciplinaire et administratif d’appel». 22 In conformità all’art. 8, n. 3, della legge 10 agosto 1991, come modificato dall’art. 14, V, della legge 13 novembre 2002, l’albo degli avvocati di ciascun ordine contiene quattro elenchi, ossia: «1. L’elenco I degli avvocati che soddisfano i requisiti degli artt. 5 e 6 e che hanno superato l’esame di fine tirocinio previsto dalla legge; 2. L’elenco II degli avvocati che soddisfano i requisiti degli artt. 5 e 6; 3. L’elenco III degli avvocati onorari; 4. L’elenco IV degli avvocati che esercitano con il titolo professionale di origine». Causa principale e questioni pregiudiziali 82 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 23 Il sig. Wilson è un barrister di nazionalità britannica. Egli è membro dell’ordine degli avvocati d’Inghilterra e del Galles dal 1975. Esercita la professione di avvocato nel Lussemburgo dal 1994. 24 Il 29 aprile 2003 il sig. Wilson veniva convocato dal consiglio dell’ordine per sostenere il colloquio previsto dall’art. 3, n. 2, della legge 13 novembre 2002. 25 Il 7 maggio 2003 il sig. Wilson si presentava a tale colloquio accompagnato da un avvocato lussemburghese, ma il consiglio dell’ordine non consentiva che quest’ultimo assistesse al detto colloquio. 26 Con lettera raccomandata di data 14 maggio 2003, il consiglio dell’ordine notificava al sig. Wilson la sua decisione di negargli l’iscrizione all’albo degli avvocati nell’elenco IV degli avvocati che esercitano con il titolo professionale d’origine. Tale decisione veniva motivata nei seguenti termini: «Dopo che il consiglio dell’ordine la ha informata che non ammette l’assistenza di un avvocato, non prevista dalla legge, lei ha rifiutato di sostenere il colloquio senza essere assistito dall’avv. (…). Il consiglio dell’ordine, pertanto, non è in grado di verificare le sue conoscenze linguistiche ai sensi dell’art. l’art. 6, n. 1, lett. d), della legge 10 agosto 1991 (…)». 27 In tale lettera, il consiglio dell’ordine informava il sig. Wilson che, «[c]onformemente all’art. 26, n. 7, della legge 10 agosto 1991, la presente decisione può essere oggetto di impugnazione da esperire mediante ricorso dinanzi al Conseil disciplinaire et administratif (casella postale 575, L-1025, Lussemburgo) entro un termine di quaranta giorni dall’invio della presente». 28 Con atto introduttivo 28 luglio 2003, il sig. Wilson ha presentato un ricorso di annullamento avverso tale decisione di diniego dinanzi al tribunal administratif de Luxembourg (Tribunale amministrativo di Lussemburgo). 29 Con sentenza 13 maggio 2004, tale tribunale si è dichiarato incompetente a decidere il detto ricorso. 30 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Cour administrative (Corte d’appello amministrativa) il 22 giugno 2004, il sig. Wilson ha proposto appello avverso la detta sentenza. 31 Il giudice del rinvio spiega che la questione della compatibilità con l’art. 9 della direttiva 98/5 del procedimento di ricorso istituito dalla normativa lussemburghese si ripercuote direttamente su quella della competenza dei giudici amministrativi a dirimere la controversia della causa principale. Nel merito, esso si pone la questione della compatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni lussemburghesi che istituiscono una verifica delle conoscenze linguistiche degli avvocati europei che desiderano esercitare in Lussemburgo. 32 In tali circostanze, la Cour administrative ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’art. 9 della direttiva 98/5/ (…) debba essere interpretato nel senso che esclude un procedimento di ricorso quale quello previsto dalla legge 10 agosto 1991, come modificata dalla legge 13 novembre 2002; 2) più in particolare, se organi quali il Conseil disciplinaire et administratif e il Conseil disciplinaire et administratif d’appel rappresentino organi competenti a conoscere dei “ricors[i] giurisdizional[i] di diritto interno” ai sensi dell’art. 9 della direttiva 98/5 e se [tale articolo] debba essere interpretato nel senso che esclude un mezzo di ricorso che imponga di adire uno o più organi di tale natura prima di poter adire su una questione di diritto una “corte o un tribunale” ai sensi del [detto articolo]; 83 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 3) se le autorità competenti di uno Stato membro siano autorizzate a subordinare il diritto di un avvocato di un [altro] Stato membro di esercitare stabilmente la professione di avvocato con il proprio titolo professionale di origine, nei settori di attività specificati dall’art. 5 della direttiva [98/5], al requisito della padronanza delle lingue di tale [primo] Stato membro; 4) in particolare, se le autorità competenti possano disporre che tale diritto all’esercizio della professione sia subordinato al superamento, da parte dell’avvocato, di un esame orale di lingua in tutte o in alcune delle tre lingue principali dello Stato membro ospitante, al fine di consentire alle autorità competenti di verificare se l’avvocato conosca le tre lingue e, in tal caso, quali debbano essere le garanzie procedurali eventualmente richieste». Sulla prima e la seconda questione Sulla competenza della Corte a risolvere tali questioni e sulla loro ricevibilità 33 L’ordre des avocats du barreau de Luxembourg (ordine degli avvocati del foro di Lussemburgo), sostenuto dal governo lussemburghese, afferma che le prime due questioni non rientrano nella competenza della Corte. A suo avviso, infatti, con tali questioni il giudice del rinvio chiede l’interpretazione dell’art. 9 della direttiva 98/5 alla luce delle disposizioni nazionali. Orbene, esso è dell’avviso che la Corte non è competente né a verificare la compatibilità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, né ad interpretare tali disposizioni. 34 È vero che, nell’ambito di un procedimento ex art. 234 CE, non spetta alla Corte pronunciarsi sulla compatibilità di norme del diritto interno con disposizioni del diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 7 luglio 1994, causa C-130/93, Lamaire, Racc. pag. I-3215, punto 10). Inoltre, nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dal detto articolo, l’interpretazione delle norme nazionali incombe ai giudici nazionali e non alla Corte (v., in particolare, sentenza 12 ottobre 1993, causa C37/92, Vanacker e Lesage, Racc. pag. I-4947, punto 7). 35 Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v, in particolare, sentenza Lamaire, cit., punto 10). 36 Nel caso di specie, le prime due questioni implicano una richiesta di interpretazione dell’art. 9 della direttiva 98/5, destinata a consentire al giudice del rinvio di valutare la compatibilità del procedimento istituito dalla normativa lussemburghese con tale articolo. Pertanto, esse rientrano nella competenza della Corte. 37 L’ordre des avocats du barreau de Luxembourg sostiene inoltre che la decisione di rinvio non contiene indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle modalità di funzionamento degli organi competenti a conoscere del ricorso oggetto della causa principale, il che, a suo avviso, impedisce alla Corte di fornire una risposta utile al giudice del rinvio sulle prime due questioni. 38 A tale proposito, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., in particolare, sentenze 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, Racc. pag. I-5751, punto 39, e 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, Deliège, Racc. pag. I-2549, punto 30). 39 Le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio pregiudiziale devono non solo consentire alla Corte di dare risposte utili, ma altresì dare ai governi degli Stati membri, nonché agli altri interessati, la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia. Spetta alla Corte vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della 84 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) suddetta disposizione, agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v. in particolare, sentenze Albany, cit., punto 40, e 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller, Racc. pag. I-2529, punto 30). 40 Nel caso di specie, da un lato, dalle osservazioni presentate dalle parti della causa principale emerge che i governi degli Stati membri e la Commissione delle Comunità europee sono stati in grado di prendere posizione adeguatamente sulle prime due questioni. 41 Dall’altro, la Corte si considera sufficientemente edotta dalle informazioni contenute nella decisione di rinvio e nelle osservazioni che le sono state presentata da potere risolvere efficacemente le questioni che le sono state sottoposte. 42 Da quanto esposto risulta che la Corte deve risolvere le prime due questioni. Nel merito 43 Con le prime due questioni, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, di interpretare la nozione di ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 9 della direttiva 98/5 con riferimento ad una procedura di ricorso come quella prevista dalla normativa lussemburghese. 44 In proposito, occorre ricordare che l’art. 9 della direttiva 98/5 stabilisce che le decisioni dell’autorità competente dello Stato membro ospitante che respingono l’iscrizione di un avvocato che desidera esercitarvi le sue attività con il suo titolo professionale d’origine devono essere soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno. 45 Da tale disposizione si evince che gli Stati membri sono tenuti ad adottare provvedimenti sufficientemente efficaci per raggiungere lo scopo della direttiva 98/5 e a garantire che i diritti in tal modo attribuiti possano essere effettivamente fatti valere dagli interessati dinanzi ai giudici nazionali (v., per analogia, sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 17). 46 Come sottolineato dal governo francese e dalla Commissione, il controllo giurisdizionale imposto dalla detta disposizione è espressione di un principio generale del diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è inoltre sancito agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (v., in particolare, sentenze Johnston, cit., punto 18; 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 14; 27 novembre 2001, causa C-424/99, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9285, punto 45, e 25 luglio 2002, causa C-459/99, MRAX, Racc. pag. I-6591, punto 101). 47 Ai fini dell’effettiva tutela giurisdizionale dei diritti previsti dalla direttiva 98/5, l’organo chiamato a decidere i ricorsi contro le decisioni di diniego dell’iscrizione di cui all’art. 3 di tale direttiva deve corrispondere alla nozione di giudice come definita dal diritto comunitario. 48 La detta nozione è stata definita, nella giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla nozione di giudice nazionale ai sensi dell’art. 234 CE, enunciando una serie di requisiti che l’organo in questione deve presentare, quali la sua origine legale, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche (v., in questo senso, tra le altre, sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Göbbels, Racc. pag. 377, 395, e 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23) nonché l’indipendenza e l’imparzialità (v., in questo senso, tra le altre, sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X, Racc. pag. I-2545, punto 7; 21 aprile 1988, causa 338/85, Pardini, Racc. pag. 2041, punto 9, e 29 novembre 2001, causa C-17/00, De Coster, Racc. pag. I-9445, punto 17). 49 La nozione di indipendenza, intrinseca alla funzione giurisdizionale, implica innanzi tutto che l’organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso (v., in questo senso, in particolare, sentenza 30 marzo 1993, causa C-24/92, 85 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Corbiau, Racc. pag. I-1277, punto 15 e 30 maggio 2002, causa C-516/99, Schmid, Racc. pag. I-4573, punto 36). 50 Essa presenta inoltre due aspetti. 51 Il primo aspetto, avente carattere esterno, presuppone che l’organo sia tutelato da pressioni o da interventi dall’esterno idonei a mettere a repentaglio l’indipendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda le controversie loro sottoposte (v., in questo senso, sentenze 4 febbraio 1999, causa C-103/97, Köllensperger e Atzwanger, Racc. pag. I-551, punto 21, e 6 luglio 2000, causa C-407/98, Abrahamsson e Anderson, Racc. pag. I-5539, punto 36; v. anche, nello stesso senso, Corte eur. D.U., sentenza Campbell e Fell c. Regno Unito del 28 giugno 1984, serie A n. 80, § 78). Tale indispensabile libertà da siffatti elementi esterni richiede talune garanzie idonee a tutelare la persona che svolge la funzione giurisdizionale, come, ad esempio, l’inamovibilità (v., in questo senso, sentenza 22 ottobre 1998, cause riunite C-9/97 e C-118/97, Jokela e Pitkäranta, Racc. pag. I-6267, punto 20). 52 Il secondo aspetto, avente carattere interno, si ricollega alla nozione di imparzialità e riguarda l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi concernenti l’oggetto di quest’ultima. Questo aspetto impone il rispetto dell’obiettività (v., in questo senso, sentenza Abrahamsson e Anderson, cit., punto 32) e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica. 53 Tali garanzie di indipendenza e di imparzialità implicano l’esistenza di disposizioni, relative, in particolare, alla composizione dell’organo e alla nomina, durata delle funzioni, cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità del detto organo rispetto a elementi esterni ed alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti (v, al riguardo, citate sentenze Dorsch Consult, punto 36; Köllensperger e Atzwanger, punti 20-23, nonché De Coster, punti 18-21; v. anche, in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza De Cubber c. Belgio del 26 ottobre 1984, serie A n. 86, § 24). 54 Nel caso di specie, la composizione del Conseil disciplinaire et administratif, come stabilita dall’art. 24 della legge 10 agosto 1991, è caratterizzata dalla esclusiva presenza di avvocati di nazionalità lussemburghese, iscritti nell’elenco I dell’albo degli avvocati – ossia l’elenco degli avvocati che esercitano con il titolo professionale lussemburghese e che hanno superato l’esame di fine tirocinio – eletti dalle rispettive assemblee generali dell’ordine degli avvocati di Lussemburgo e di quello di Diekirch. 55 Per quanto riguarda il Conseil disciplinaire et administratif d’appel, la modifica apportata all’art. 28, n. 2, della legge 10 agosto 1991 dall’art. 14 della legge 13 novembre 2002 attribuisce peso preponderante ai membri aggiunti, che devono essere iscritti nel medesimo elenco e sono presentati dal consiglio di ciascuno degli ordini di cui al punto precedente di questa sentenza, rispetto ai magistrati di professione. 56 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle conclusioni, le decisioni di diniego dell’iscrizione di un avvocato europeo adottate dal conseil de l’ordre – i cui membri, a norma dell’art. 16 della legge 10 agosto 1991, sono avvocati iscritti nell’elenco I dell’albo degli avvocati – in primo grado sono soggette al controllo di un organo composto esclusivamente di avvocati iscritti nello stesso elenco e, in appello, di un organo prevalentemente composto di tali avvocati. 57 Pertanto, in tali condizioni, un avvocato europeo cui il conseil de l’ordre abbia negato l’iscrizione nell’elenco IV dell’albo degli avvocati ha dei motivi legittimi di temere che, a seconda dei casi, la totalità o la maggior parte dei membri di tali organi abbiano un comune interesse contrario al suo, ossia quello di confermare una decisione che esclude dal mercato un concorrente che ha acquisito la 86 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) sua qualifica professionale in un altro Stato membro, nonché di paventare il venir meno dell’equidistanza dagli interessi in causa (v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Langborger c. Svezia del 22 giugno 1989, serie A, n. 155, § 35). 58 Le disposizioni che disciplinano la composizione di organi come quelle in esame nella causa principale non risultano quindi idonee a fornire un’adeguata garanzia di imparzialità. 59 Contrariamente a quanto afferma l’ordre des avocats du barreau de Luxembourg, i timori suscitati da tali norme in materia di composizione non possono essere fugati dalla possibilità di esperire un ricorso in cassazione, prevista dall’art. 29, n. 1, della legge 10 agosto 1991, avverso le sentenze del Conseil disciplinaire et administratif d’appel. 60 L’art. 9 della direttiva 98/5, infatti, pur non escludendo la previa presentazione di un ricorso dinanzi ad un organo non giurisdizionale, non prevede però che l’interessato possa esperire il rimedio giurisdizionale solo dopo l’eventuale esaurimento di rimedi di altra natura. In ogni caso, quando un ricorso dinanzi ad un organo non giurisdizionale è previsto dalla normativa nazionale, il detto art. 9 richiede un acceso effettivo ed entro un termine ragionevole (v., per analogia, sentenza 15 ottobre 2002, cause riunite C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, C-250/99 P-C-252/99 P e C-254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I-8375, punti 180-205 e 223-234) ad un giudice ai sensi del diritto comunitario, competente a pronunciarsi sia in fatto che in diritto. 61 Ebbene, a prescindere dalla questione della compatibilità del previo passaggio per due organi non giurisdizionali con il requisito del termine ragionevole, la competenza della Cour de cassation del Granducato di Lussemburgo è limitata alle questioni di diritto, per cui essa non dispone di una piena giurisdizione (v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Incal c. Turchia del 9 giugno 1998, Recueil des arrêts e décisions 1998-IV, pag. 1547, § 72). 62 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere le prime due questioni dichiarando che l’art. 9 della direttiva 98/5 va interpretato nel senso che osta ad un procedimento di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego dell’iscrizione di cui all’art. 3 della detta direttiva deve essere contestata, in primo grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante e, in appello, dinanzi ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati, quando il ricorso in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro consente un controllo giurisdizionale solo in diritto e non in fatto. Sulla terza e la quarta questione 63 Con la terza e la quarta questione, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio vuole appurare se, ed eventualmente a quali condizioni, il diritto comunitario consenta allo Stato membro ospitante di subordinare il diritto di un avvocato ad esercitare stabilmente le sue attività nel detto Stato membro con il suo titolo professionale d’origine ad una verifica della padronanza delle lingue di tale Stato membro. 64 In proposito, come emerge dal sesto ‘considerando’ della direttiva 98/5, con essa il comunitario ha inteso, in particolare, porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative d’iscrizione presso le autorità competenti, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli circolazione (v. anche, in tal senso, sentenza 7 novembre 2000, causa Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-9131, punto 64). legislatore ai requisiti alla libera C-168/98, 65 In tale contesto, l’art. 3 della direttiva 98/5 prevede che l’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro, la quale è tenuta a procedere all’iscrizione «su 87 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine». 66 In considerazione dell’obiettivo della direttiva 98/5, richiamato al precedente punto 64, si deve ritenere, come fanno il governo del Regno Unito e la Commissione, che il legislatore comunitario, con l’art. 3 della direttiva medesima, abbia effettuato la completa armonizzazione dei requisiti preliminari richiesti ai fini dell’esercizio del diritto conferito dalla direttiva stessa. 67 La presentazione all’autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro d’origine risulta, in tal modo, l’unico requisito cui deve essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest’ultimo Stato membro con il suo titolo professionale d’origine. 68 Tale analisi trova conferma nell’esposizione dei motivi della proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica [COM(94) 572 def.], ove, nel commento all’art. 3, si precisa che «[l]’iscrizione [presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante] avviene di diritto qualora il richiedente presenti il documento attestante la propria iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine». 69 Come la Corte ha gia avuto occasione di rilevare, il legislatore comunitario, al fine di facilitare l’esercizio della libertà fondamentale di stabilimento di una determinata categoria di avvocati migranti, ha preferito non optare per un sistema di previo controllo delle conoscenze degli interessati (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto 43). 70 La direttiva 98/5, pertanto, non consente che l’iscrizione di un avvocato europeo presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante possa essere subordinata ad un colloquio inteso a consentire all’autorità medesima di valutare la padronanza, da parte dell’interessato, delle lingue di tale Stato membro. 71 Come sottolineato dal sig. Wilson, dal governo del Regno Unito e dalla Commissione, la rinuncia ad un sistema di previo controllo delle conoscenze, in particolare linguistiche, dell’avvocato europeo coesiste tuttavia, nella direttiva 98/5, con una serie di norme volte a garantire, ad un livello accettabile nella Comunità, la protezione degli assistiti ed una buona amministrazione della giustizia (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punti 32 e 33). 72 Ad esempio, l’obbligo imposto dall’art. 4 della direttiva 98/5 agli avvocati europei di esercitare nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale di origine è diretto, secondo il nono ‘considerando’ della direttiva medesima, a consentire di operare la distinzione tra tali avvocati e quelli integrati nella professione del detto Stato membro, in modo che l’assistito sia informato del fatto che il professionista cui affida la tutela dei propri interessi non ha conseguito la propria qualifica nello Stato membro medesimo (v., in tal senso, sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto 34) e non possiede necessariamente adeguate conoscenze linguistiche per la gestione della causa. 73 Quanto alle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa di un cliente in giudizio, gli Stati membri possono imporre agli avvocati europei che esercitano con il proprio titolo professionale di origine, a termini dell’art. 5, n. 3, della direttiva 98/5, di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente, responsabile nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un «avoué» patrocinante dinanzi ad essa. Tale facoltà consente di ovviare ad eventuali carenze dell’avvocato europeo quanto alla padronanza delle lingue giudiziarie dello Stato membro ospitante. 74 Ai sensi degli artt. 6 e 7 della direttiva 98/5, l’avvocato europeo non è tenuto solo al rispetto delle regole professionali e deontologiche dello Stato membro di origine, ma anche di quelle dello Stato 88 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) membro ospitante, a pena di incorrere in sanzioni disciplinari e nella propria responsabilità professionale (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punti 36-41). Tra le regole deontologiche applicabili agli avvocati ricorre generalmente, come previsto dal codice di deontologia adottato dal Consiglio degli ordini forensi europei (CCBE), l’obbligo per i professionisti interessati, corredato di sanzioni disciplinari, di non assumere incarichi in merito ai quali essi siano, o dovrebbero essere, consapevoli della loro incompetenza, ad esempio per una carenza nelle conoscenze linguistiche (v., in tal senso, sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto 42). La comunicazione con la clientela, con le autorità amministrative e con le associazioni professionali dello Stato membro ospitante, al pari del rispetto delle regole deontologiche emanate dalle autorità del detto Stato membro, infatti, è tale da richiedere all’avvocato europeo adeguate conoscenze linguistiche ovvero il ricorso ad un’assistenza in caso di conoscenze insufficienti. 75 Come osservato dalla Commissione, si deve ancora sottolineare che uno degli obiettivi della direttiva 98/5, a termini del suo quinto ‘considerando’, consiste nel rispondere «dando agli avvocati la possibilità di esercitare stabilmente con il loro titolo professionale d’origine in uno Stato membro ospitante, […] alle esigenze degli utenti del diritto, che a motivo del flusso crescente delle attività commerciali, dovuto particolarmente alla creazione del mercato interno, chiedono consulenze in occasione di operazioni transfrontaliere nelle quali si trovano spesso strettamente connessi il diritto internazionale, il diritto comunitario e i diritti nazionali». Siffatte questioni internazionali, al pari delle cause disciplinate dal diritto di uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante, possono non richiedere un grado di conoscenza delle lingue di quest’ultimo Stato membro tanto elevato quanto quello richiesto per la gestione di cause in cui sia applicabile il diritto del detto Stato membro. 76 Si deve osservare, infine, che l’assimilazione dell’avvocato europeo all’avvocato dello Stato membro ospitante, che la direttiva 98/5 intende facilitare, a termini del suo quattordicesimo ‘considerando’, richiede, ai sensi dell’art. 10 della direttiva medesima, che l’interessato dimostri un’attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni attinente al diritto di tale Stato membro ovvero, nell’ipotesi di durata inferiore, ogni altra conoscenza, attività formativa o esperienza professionale relativa al detto diritto. Una siffatta misura consente all’avvocato europeo che intenda integrarsi nella professione dello Stato membro ospitante di acquisire familiarità con la lingua ovvero le lingue di tale Stato membro. 77 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la terza e la quarta questione dichiarando che l’art. 3 della direttiva 98/5 deve essere interpretato nel senso che l’iscrizione di un avvocato presso l’autorità competente di uno Stato membro diverso da quello in cui egli ha acquisito la sua qualifica, ai fini dell’esercizio, in tale Stato, della sua attività con il titolo professionale d’origine, non può essere subordinata ad un previo controllo della padronanza delle lingue dello Stato membro ospitante. Sulle spese 78 Nei confronti delle parti nella causa principale, il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) L’art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, va interpretato nel senso che osta ad un procedimento di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego dell’iscrizione di cui all’art. 3 della detta direttiva deve essere contestata, in primo grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante e, in appello, dinanzi ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati, quando il ricorso in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro consente un controllo giurisdizionale solo in diritto e non in fatto. 89 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2) L’art. 3 della direttiva 98/5 deve essere interpretato nel senso che l’iscrizione di un avvocato presso l’autorità competente di uno Stato membro diverso da quello in cui egli ha acquisito la sua qualifica ai fini dell’esercizio, in tale Stato, della sua attività con il titolo professionale d’origine, non può essere subordinata ad un previo controllo della padronanza delle lingue dello Stato membro ospitante. 28/09 Dagli atti della Camera La relazione al disegno di legge comunitaria 2006 Disegno di legge n. 1042 AC (al Senato poi n. 1014/AS) Relazione Onorevoli Deputati! - Con il presente disegno di legge, che riproduce l'analogo provvedimento presentato nella XIV legislatura (atto Senato n. 3794), il Governo adempie all'obbligo di proporre al Parlamento l'approvazione del testo legislativo che la legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, ha individuato come lo strumento cardine, ancorché non esclusivo, per l'adeguamento dell'ordinamento interno al diritto comunitario. La struttura del disegno di legge in esame, pur differenziandosi il meno possibile dalle linee portanti già ampiamente sperimentate nelle precedenti leggi comunitarie, recepisce le innovazioni recate dalla riforma del 2005 e in particolare segue lo schema indicato all'articolo 9 della citata legge n. 11 del 2005. Il capo I contiene le disposizioni che conferiscono al Governo delega legislativa per l'attuazione di direttive (elencate negli allegati A e B) che richiedono l'introduzione di normative organiche e complesse. Viene anche conferita delega al Governo per l'adozione di decreti legislativi recanti sanzioni penali e amministrative di competenza statale per l'adempimento di obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario. L'articolo 1 regola il procedimento per l'adozione dei decreti legislativi; la responsabilità dello stesso è attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per le politiche europee al quale, nel rispetto delle competenze dei Ministeri di settore, spetta di operare per assicurare la conformità del disegno di legge all'obbligo comunitario da assolvere. Oggetto della delega legislativa, che deve essere esercitata entro diciotto mesi, sono le direttive comprese nell'allegato A e nell'allegato B; quest'ultimo si differenzia dal primo in quanto individua le direttive per il cui recepimento occorre osservare una procedura «aggravata» dalla sottoposizione del relativo schema di provvedimento attuativo al parere dei competenti organi parlamentari, derogandosi, per tale aspetto, alla disciplina generale della delega legislativa contenuta nella legge 23 agosto 1988, n. 400 (articolo 14, comma 4), che contempla l'intervento consultivo delle Commissioni parlamentari solo per deleghe ultrabiennali. Si sottolinea, altresì, che il passaggio per le Commissioni parlamentari è previsto anche per i decreti legislativi di cui all'allegato A che prevedano l'eventuale ricorso allo strumento delle sanzioni penali ai fini della repressione della violazione degli obblighi comunitari. Il comma 7 prevede la cosiddetta «clausola di cedevolezza», già inserita nei vari decreti legislativi di recepimento in materie di competenza regionale in conformità alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. La disposizione prevede che i decreti legislativi a tale fine eventualmente adottati nelle materie riservate alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, qualora queste ultime non abbiano provveduto con proprie norme attuative secondo quanto previsto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, entrino in vigore alla scadenza del termine stabilito per l'attuazione della normativa comunitaria e perdano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa regionale o provinciale. Il potere sostitutivo dello Stato trova chiaro fondamento nella circostanza che l'Unione europea costituisce un'unione di Stati e che lo Stato nel suo complesso, nella qualità di interlocutore primario della Comunità e dei partner europei, rappresenta il soggetto responsabile dell'adempimento degli obblighi comunitari. Di qui il corollario, a più riprese ribadito dalla Corte costituzionale, alla stregua del quale, ferma restando la competenza in prima istanza delle regioni e delle province autonome nelle materie di rispettiva competenza legislativa, allo Stato competono tutti gli strumenti necessari per non trovarsi impotente di fronte a violazioni di norme comunitarie determinate da attività positive od omissive dei soggetti dotati di autonomia costituzionale. «Gli strumenti consistono non in avocazioni di competenze a favore dello Stato, ma in interventi repressivi o sostitutivi e suppletivi - questi ultimi anche in via preventiva, ma cedevoli di fronte all'attivazione dei poteri regionali e provinciali normalmente competenti - rispetto a violazioni o carenze nell'attuazione e nell'esecuzione di norme comunitarie da parte delle Regioni e delle Province 90 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) autonome di Trento e di Bolzano» (Corte costituzionale, sentenza n. 126 del 1996; si veda, inoltre, la sentenza n. 425 del 1999. Entrambe le sentenze sono relative all'esercizio di competenza esclusiva da parte delle province autonome di Trento e di Bolzano). L'ammissibilità di un intervento suppletivo anticipato e cedevole è corroborata, oltre che dal dettato della citata legge n. 11 del 2005, anche da analoghe norme contenute nelle precedenti leggi comunitarie. Segnatamente, detta anticipazione del meccanismo sostitutivo fa sì che la supplenza, pur se concepita anticipatamente, sortisca il suo risultato nel momento stesso dell'inadempimento, così evitando ritardi tali da esporre l'Italia a sistematiche procedure di infrazione. La disposizione è finalizzata ad evitare l'inadempimento nell'attuazione della normativa comunitaria da parte delle regioni e delle province autonome, prevedendo una procedura sostitutiva, se necessario, anticipata: i decreti legislativi sostitutivi entrano comunque in vigore solo alla scadenza del termine stabilito per l'attuazione della normativa comunitaria e si caratterizzano per il fatto di essere cedevoli, nel senso che perdono efficacia con riferimento alle regioni che, anche dopo la scadenza del termine, provvedano al recepimento delle direttive nel rispetto dei vincoli comunitari e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale. L'utilizzo di tale forma di sostituzione preventiva è stato già favorevolmente valutato in numerose occasioni dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. L'articolo 2 detta princìpi e criteri di carattere generale per l'esercizio delle deleghe al fine dell'attuazione delle direttive comunitarie, in gran parte già contenuti nelle precedenti leggi comunitarie. L'articolo 3 conferisce una delega biennale al fine di consentire la gestione di una politica sanzionatoria dei comportamenti che costituiscono violazione di precetti comunitari non trasfusi in leggi nazionali, perché contenuti o in direttive attuate con fonti non primarie, inidonee quindi a istituire sanzioni penali, o in regolamenti comunitari, direttamente applicabili. Come è noto, infatti, non esiste una normazione comunitaria per le sanzioni in ragione della netta diversità dei sistemi nazionali. I regolamenti e le direttive lasciano quindi agli Stati membri di regolare le conseguenze della loro inosservanza. L'articolo 4 riproduce una disposizione già contenuta in precedenti leggi comunitarie in materia di oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici in applicazione delle normative comunitarie. Al comma 2 si prevede la riassegnazione delle entrate derivanti dalle tariffe previste al comma 1 alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli. L'articolo 5 delega il Governo all'adozione di testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite con le leggi comunitarie annuali. La previsione di tale delega rappresenta uno strumento utile per operare un'azione periodica di coordinamento e di riordino del sistema normativo, muovendo dalle conseguenze ordinamentali indotte dall'intervento delle norme comunitarie. L'articolo 6 prevede l'attuazione di direttive comunitarie attraverso lo strumento regolamentare, in ossequio a quanto disposto dagli articoli 9, comma 1, lettera d), e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Il capo II individua princìpi fondamentali in base ai quali informare l'esercizio da parte delle regioni e delle province autonome dell'attività normativa nelle materie di competenza concorrente, ai sensi del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione. L'articolo 7 attua una specifica previsione della legge n. 11 del 2005 [articolo 9, comma 1, lettera f)], recando disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione agli atti comunitari nelle materie di competenza concorrente. La disposizione, anche in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, individua, in particolare, alcuni princìpi fondamentali nel cui rispetto le regioni e le province autonome provvedono all'attuazione, per quanto di competenza, delle direttive comunitarie, di cui agli allegati al presente disegno di legge, in materie particolarmente rilevanti, quali «tutela e sicurezza del lavoro», «professioni» e «tutela della salute».Il capo III contiene disposizioni dirette a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti in contrasto con l'ordinamento comunitario ovvero predispongono condizioni normative migliori per il recepimento e l'attuazione della disciplina comunitaria. L'articolo 8 individua i criteri e i princìpi direttivi per l'attuazione della direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, sull'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli. In particolare, sono stabiliti i nuovi massimali minimi obbligatori di copertura per l'assicurazione di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. I massimali minimi obbligatori attualmente ammontano, indipendentemente dal numero delle vittime o dalla natura dei danni, a 774.685,35 euro per le autovetture, i veicoli per trasporto di cose, i ciclomotori e i motoveicoli ad uso privato, le macchine 91 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) operatrici e i carrelli e le macchine agricole, mentre per gli autobus e per le gare e competizioni sportive di veicoli a motore ammontano a 2.582.284,50 euro (decreto del Presidente della Repubblica 19 aprile 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 1993). Tali massimali sono aggiornati a 5.000.000 di euro per sinistro nel caso di danni alle persone, indipendentemente dal numero delle vittime, e a 1.000.000 di euro per sinistro nel caso di danni alle cose, indipendentemente dal numero delle vittime. Èanche previsto un periodo transitorio di cinque anni, a decorrere dalla data dell'11 giugno 2007 prevista per l'attuazione della direttiva in questione, per adeguare gli importi minimi di copertura obbligatoria per i danni alle cose e per i danni alle persone. Si fissa, inoltre, ai fini del risarcimento da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada dei danni alle cose causati da un veicolo non identificato, una franchigia di importo pari a 500 euro, qualora per lo stesso incidente il Fondo sia intervenuto anche per il risarcimento di gravi danni alle persone. Le disposizioni necessarie per l'attuazione della direttiva in questione andranno a modificare il codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209. Le nuove disposizioni non comportano oneri a carico del bilancio dello Stato. L'articolo 9 modifica l'articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), concernente la titolarità e gestione della farmacia. Finalità della disposizione è quella di rendere coerente tutta la disciplina del settore farmaceutico eliminando una previsione in contrasto con il principio che affida, in via esclusiva, la titolarità degli esercizi a farmacisti in possesso dell'abilitazione professionale. La legge dispone che, anche quando titolare della farmacia non sia una persona fisica, ma una società, questa sia costituita esclusivamente da farmacisti iscritti all'albo della provincia in cui ha sede la società. In contraddizione con detto principio, le norme oggetto della modifica consentono all'erede (che sia coniuge o erede in linea diretta entro il secondo grado) di un farmacista titolare di farmacia o socio di società titolare di farmacia di continuare a gestire l'esercizio (o a partecipare alla sua gestione con gli altri soci) fino al compimento del trentesimo anno di età ovvero, se successivo, fino al termine di dieci anni dal trasferimento mortis causa dell'esercizio o della quota societaria. La questione è stata oggetto di specifico rilievo da parte della Commissione europea. L'articolo 10 attua l'articolo 37, paragrafo 2, della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, con una norma transitoria che consente l'esercizio della professione di odontoiatra ai laureati in medicina e chirurgia il cui corso di studio abbia avuto inizio entro il 31 dicembre 1994. L'articolo 11 è finalizzato a creare le condizioni per rendere possibile, in tempi ravvicinati, la realizzazione di un sistema nazionale conforme, per i profili sanzionatori, alla normativa comunitaria nel settore della classificazione tradizionale e automatizzata delle carcasse bovine, di cui al regolamento (CEE) n. 344/91 della Commissione, del 13 febbraio 1991; in particolare, la modifica recata dal regolamento (CE) n. 1215/2003 della Commissione, del 7 luglio 2003, alla predetta norma di base, che ha dato facoltà agli Stati membri di autorizzare tecniche automatizzate, non è attualmente presidiata da specifiche sanzioni, mentre, per quanto attiene l'ambito applicativo, è stata emanata dal competente Ministero delle politiche agricole e forestali una circolare illustrativa delle relative procedure operative, in data 22 marzo 2005, rendendo così accessibile agli operatori la nuova forma di classificazione. L'articolo in esame interviene, quindi, a sanare la lacuna normativa esistente nei confronti del citato regolamento (CEE) n. 344/91, a seguito dell'intervenuta modifica riguardante i controlli delle operazioni di classificazione automatizzata, laddove l'articolo 3, paragrafo 3, da un lato rinvia alla disposizione generale del regolamento (CEE) n. 1186/90 del Consiglio, del 7 maggio 1990, disciplinante il settore, che prevede la predisposizione da parte degli Stati membri di misure appropriate per sanzionare comportamenti che non rispettino gli obblighi derivanti dal regolamento medesimo, dall'altro individua particolari fattispecie di infrazioni da perseguire, fra cui la classificazione ad opera di personale privo della prescritta licenza. Nel contempo, si è ritenuto necessario intervenire anche sulle procedure non automatizzate già presidiate dall'ordinamento, ai sensi della legge 8 luglio 1997, n. 213, nel cui ambito applicativo eventuali violazioni di obblighi e adempimenti sono risultate finora di difficile sanzionabilità, in quanto i 92 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) soggetti coinvolti (titolare dello stabilimento e tecnico classificatore) sono stati solo con la recente modifica regolamentare meglio identificati in base alle rispettive competenze. Il riassetto del complesso delle misure applicative sanzionatorie ha comportato altresì un adeguamento degli importi pecuniari, rimodulati a seconda delle irregolarità riscontrate, distinguendo le responsabilità del titolare dello stabilimento da quelle del tecnico classificatore nonché effettuando un preciso raccordo con le norme nazionali di attuazione, emanate successivamente alla citata legge n. 213 del 1997. L'articolo, in particolare, prevede la sostituzione integrale dell'articolo 3 della legge 8 luglio 1997, n. 213, nel senso di comminare sanzioni amministrative nei confronti dei titolari degli stabilimenti interessati, distinte per la fattispecie della classificazione tradizionale e per quella automatizzata, introducendo l'articolo 3-bis per tale ultima procedura. Da ultimo, con l'articolo 3-ter, in caso di comportamenti non conformi alle norme comunitarie e nazionali di settore, è disposta la revoca, previa diffida, delle prescritte forme di abilitazione e di licenza ad operare, rispettivamente per i tecnici classificatori e per i titolari degli stabilimenti autorizzati all'uso di classificazione automatizzata. Inoltre, per quanto concerne le competenze in materia irrogatoria, fermo restando il rinvio per gli accertamenti e le procedure alla legge 24 novembre 1981, n. 689, tenuto conto che si tratta di un sistema di controllo svolto a livello decentrato, è stata prevista la cosiddetta «clausola di cedevolezza», con riferimento agli organi regionali da individuare, per assicurare la necessaria continuità al sistema che attualmente prevede l'Ispettorato centrale repressione frodi del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali quale organo dell'Amministrazione preposto alla irrogazione sanzionatoria. L'articolo 12 sostituisce il comma 3 dell'articolo 7 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 174, di recepimento della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, che disciplina la materia dell'immissione sul mercato dei biocidi, in quanto non riproduce fedelmente la norma prevista dall'articolo 5, paragrafo 2, della suddetta direttiva. L'articolo ha, pertanto, lo scopo di conformare il decreto legislativo alla disciplina comunitaria, per consentire una corretta e completa applicazione del regime autorizzatorio armonizzato tra tutti gli Stati membri. Con tale articolo è stato sostituito il riferimento al decreto legislativo 16 luglio 1998, n. 285, con il decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, in quanto quest'ultimo, all'articolo 20, ha abrogato il primo. L'articolo 13 modifica il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194. La prima modifica consiste nella integrale sostituzione del comma 1 dell'articolo 11 e trova giustificazione nel fatto che il decreto legislativo n. 194 del 1995, con il quale è stata recepita la direttiva 91/414/CEE, non ha riportato integralmente quanto specificato al paragrafo 1 dell'articolo 11 della direttiva medesima. Tale direttiva, infatti, prevede la possibilità di limitare o proibire l'uso o la vendita di un prodotto fitosanitario «autorizzato o che è tenuto ad autorizzare ai sensi dell'articolo 10» facendo riferimento sia a quei prodotti che sono già stati autorizzati da un altro Stato membro (procedura dell'articolo 10), sia a quelli che, invece, sono stati autorizzati per la prima volta in Italia dal Ministero della salute. L'attuale formulazione del comma 1 dell'articolo 11 del citato decreto legislativo n. 194 del 1995 limita la predetta possibilità di intervenire in via cautelativa solo per i prodotti già autorizzati in un altro Stato membro. La seconda modifica è volta a introdurre il comma 4-bis dell'articolo 20, prevedendo l'aumento del numero degli esperti della Commissione consultiva prodotti fitosanitari. Ciò in considerazione della notevole mole di lavoro necessaria per mantenere gli impegni assunti a livello comunitario. Non si pone un problema di copertura finanziaria della norma in quanto le spese della suddetta Commissione consultiva sono a carico degli interessati alle attività svolte dalla Commissione stessa, secondo tariffe e modalità stabilite con decreti ministeriali. L'articolo 14 è finalizzato a modificare il comma 2 dell'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, fissando i criteri direttivi; la previsione normativa trova giustificazione nella circostanza che l'Unione europea ha da tempo avviato la revisione delle sostanze attive che sono presenti nei prodotti fitosanitari registrati e in commercio negli Stati membri. 93 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) L'obiettivo della revisione è quello di tutelare la salute dei consumatori e degli operatori attraverso una più corretta utilizzazione dei prodotti fitosanitari e una riduzione del loro impatto ambientale. Secondo la direttiva 91/414/CEE la procedura di revisione prevede la presentazione da parte delle aziende di una documentazione aggiornata che viene valutata dagli Stati membri al fine di creare una lista positiva (allegato I della direttiva) di sostanze attive che possono essere utilizzate nella formulazione di prodotti fitosanitari. Le sostanze attive attualmente in commercio sono 800 e l'Unione europea ha diluito nel tempo la procedura di revisione. Dette sostanze sono state suddivise in quattro liste di revisione, definite con appositi regolamenti (regolamento (CEE) n. 3600/92 della Commissione, dell'11 dicembre 1992; regolamento (CE) n. 451/2000 della Commissione, del 28 febbraio 2000; regolamento (CE) n. 1112/2002 della Commissione, del 20 giugno 2002; regolamento (CE) n. 1490/2002 della Commissione, del 14 agosto 2002). Poiché nell'articolato del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001 sono citati soltanto i primi due regolamenti n. 3600/92 e n. 451/2002, ciò impedisce che possa avere seguito l'istruttoria relativa alla proroga di autorizzazione per l'immissione in commercio di prodotti fitosanitari la cui sostanza attiva è stata inclusa negli allegati dei successivi regolamenti comunitari, ma di cui non esiste attualmente, nel citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001, alcun riferimento normativo. Ne consegue la necessità di modificare il citato comma 2. L'articolo 15 disciplina la materia della preparazione e del commercio degli alimenti per animali, di cui alla legge 15 febbraio 1963, n. 281, depenalizzata con il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, nell'ambito della generale depenalizzazione dei reati minori, come tutto il settore della produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande. Con il decreto-legge 11 gennaio 2001, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2001, n. 49, sono stati nuovamente penalizzati i soli articoli 22 e 23 della citata legge n. 281 del 1963, mentre in occasione del recepimento delle direttive 2001/102/CE del Consiglio, del 27 novembre 2001, 2002/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 maggio 2002, 2003/57/CE della Commissione, del 17 giugno 2003, 2003/100/CE della Commissione, del 31 ottobre 2003, sono state previste sanzioni penali per la violazione di alcune disposizioni concernenti i prodotti destinati all'alimentazione degli animali (articolo 9 del decreto legislativo 10 maggio 2004, n. 149). In proposito, occorre evidenziare che tutta la materia della sicurezza alimentare concernente gli alimenti e anche i mangimi è disciplinata dal regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che fissa tutte le procedure e gli obblighi a carico degli operatori. Per tale regolamento è stato predisposto un decreto legislativo recentemente entrato in vigore (decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 190). Con l'articolo proposto, pertanto, si persegue la finalità di uniformare la disciplina sanzionatoria della materia in questione. L'articolo 16 costituisce novella legislativa alla parte VI del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Con tale articolo, ai primi due commi, si individua nel Ministero dello sviluppo economico l'autorità competente per la cooperazione in materia di tutela dei consumatori, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, relativamente all'applicazione della normativa in materia di servizi turistici (parte III, titolo IV, capo II, del codice del consumo), di clausole abusive nei contratti (parte III, titolo I, del codice del consumo), e di garanzie nella vendita di beni di consumo (parte IV, titolo III, capo I, del codice del consumo), per i quali non sono state indicate autorità di riferimento in sede di recepimento delle direttive corrispondenti (rispettivamente il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111, la legge 6 febbraio 1996, n. 52, e il decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 24) e di elaborazione del codice del consumo. 94 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Il comma 3 estende l'operatività dei poteri dell'autorità competente per le infrazioni transfrontaliere anche alle infrazioni nazionali, al fine di evitare un diverso e discriminatorio livello di tutela dei consumatori nelle medesime materie, in caso di infrazioni nazionali rispetto alle infrazioni infracomunitarie. Il comma 4 disciplina le modalità di esercizio dei poteri dell'autorità competente, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 6, del citato regolamento (CE) n. 2006/2004, disponendo che, per l'attività sul territorio, il Ministero dello sviluppo economico possa avvalersi della collaborazione delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di altre autorità pubbliche, nonché delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, e perciò iscritte all'elenco di cui all'articolo 137 del codice del consumo. Si precisa che l'attività delle associazioni dei consumatori e degli utenti in tale materia rimane circoscritta alle azioni inibitorie di cui all'articolo 139 del codice del consumo. Il penultimo comma rinvia ad un successivo regolamento di attuazione la disciplina delle procedure istruttorie per l'esercizio dei poteri da parte dell'autorità competente, sulla falsariga di quello previsto per la pubblicità ingannevole e comparativa (articolo 26, comma 9, del codice del consumo). Infine, l'ultimo comma dell'articolo in esame individua nel Ministero dello sviluppo economico l'autorità competente a designare l'ufficio unico di collegamento, responsabile dell'applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004, definito all'articolo 3, lettera d), di tale regolamento. L'articolo 17 reca disposizioni attuative degli obblighi di cui al regolamento (CE) n. 865/2004 del Consiglio, del 29 aprile 2004, in materia di organizzazione comune di mercato dell'olio di oliva, prevedendo obblighi di comunicazione mensili all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) di elementi relativi alla produzione di olio di oliva realizzata. La norma prevede, altresì, che le modalità e la tempistica delle comunicazioni siano fissate con decreto ministeriale, sentita la Conferenza Stato-regioni. Il comma 3 reca disposizioni sanzionatorie. L'articolo 18 reca disposizioni in tema di trasformazione del Centro nazionale di informazione e documentazione europea (CIDE). Il CIDE è stato costituito con contratto tra il Governo italiano e la Commissione europea nella forma di Gruppo europeo di interesse economico (GEIE), ai sensi della legge 23 giugno 2000, n. 178. La Commissione europea, con decisione C(2005) 4477 del 28 novembre 2005, ha ritenuto di non rinnovare la sua partecipazione ai Centri nazionali di informazione sull'Europa nella forma di GEIE («Grandi centri» esistenti a Parigi, Lisbona e Roma) dopo la scadenza dei rispettivi contratti istitutivi (dicembre 2006 per Lisbona e marzo 2007 per Parigi e Roma). Con la stessa decisione, in coerenza con il Piano d'azione SEC(2005) 985 del 20 luglio 2005, relativo al miglioramento della comunicazione sull'Europa, la Commissione offre ai Governi dei Paesi membri e, in particolare, alla Repubblica francese, alla Repubblica del Portogallo e alla Repubblica italiana, nuove forme di collaborazione definite «partenariati di gestione», nelle quali è, tra l'altro, previsto di utilizzare lo strumento collaudato dei Grandi centri per fare fronte alle esigenze di informazione dell'opinione pubblica sulle attività dell'Unione europea, in maniera coordinata e permanente. Il partenariato di gestione, così come delineato dalla comunicazione della Commissione sulla attuazione della strategia d'informazione e di comunicazione dell'Unione europea - COM(2004) 196 del 20 aprile 2004 - istituisce un rapporto strutturato tra le parti, che governa il piano di comunicazione concordato. A questo fine, è previsto un accordo pluriennale con lo Stato membro per assicurare un contributo finanziario della Comunità all'organismo scelto e proposto dal Governo nazionale. Spetta dunque al Governo, in stretta collaborazione con il Parlamento nazionale, di aggiornare e di adeguare lo strumento esistente, in modo da renderlo capace di assolvere ai compiti di informazione, 95 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) documentazione e formazione verso i cittadini italiani e determinate categorie di utenti, in cooperazione strutturata con la Commissione europea. Completano il presente disegno di legge gli allegati A, B e C. I primi due allegati contengono l'elencazione delle direttive da recepire con decreto legislativo e, come per gli anni precedenti, la differenza è data dall'iter di approvazione parzialmente diverso, dal momento che per le sole direttive contenute nell'allegato B è previsto l'esame degli schemi di decreto da parte delle competenti Commissioni parlamentari. L'allegato C contiene l'elenco delle direttive per le quali il Governo è autorizzato all'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988. Va ricordato che l'articolo 8, comma 5, della legge n. 11 del 2005, impone l'obbligo alla relazione al disegno di legge comunitaria: a) di riferire sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato di eventuali procedure di infrazione, dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana; b) di fornire l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa; c) di dare partitamente conto delle ragioni dell'eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è già scaduto e di quelle il cui termine di recepimento scade nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l'esercizio della delega legislativa. 28/09 Approvata dalla Camera, e' al Senato disegno di legge comunitaria 2006 Dopo l'approvazione alla Camera dei Deputati, avvenuta lo scorso 21 settembre, è stato trasmesso al Senato il disegno di legge comunitaria per il 2006. E' la legge 4 febbraio 2005 n. 11 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari"), in sostituzione della precedente legge 86/89, a stabilisce un'apposita procedura di recepimento della normativa comunitaria, mediante presentazione al Parlamento -entro il 31 gennaio di ogni anno- di un disegno di legge annuale, con il quale dovrebbe essere assicurato l'adeguamento periodico dell'ordinamento nazionale a quello comunitario. Il disegno di legge comunitaria 2006 contiene anzitutto, al capo I, la delega al Governo per l'attuazione delle direttive comunitarie contenute negli allegati A e B. L'art. 1, c. 7, prevede un intervento suppletivo, anticipato e cedevole da parte dello Stato in caso di inadempienza delle regioni nell'attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. La norma stabilisce inoltre la necessaria indicazione espressa della natura sostitutiva e cedevole dei provvedimenti statali suppletivi. L'articolo 2 reca i princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa. Con l'articolo 6, si autorizza il Governo a dare attuazione alle direttive comprese nell'allegato C, con successivi regolamenti (di delegificazione). 96 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Il capo II, in adempimento di un obbligo recato dalla legge n. 11 del 2005, reca disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l'applicazione di atti comunitari nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. Il capo III, infine, reca modificazioni e abrogazioni di disposizioni vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea nonché criteri specifici di delega ed autorizzazione e disposizioni particolari. L'articolo 7 mira a facilitare alle regioni e alle province autonome l'esercizio della loro competenza legislativa concorrente nel recepimento di atti comunitari, individuando i princìpi fondamentali che le regioni e le province autonome sono tenute a rispettare. L'articolo 10 reca, in materia di acquisizione del titolo di odontoiatra, un'apposita norma transitoria. Il disegno di legge stabilisce che i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie riservate alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, qualora queste ultime non abbiano provveduto con proprie norme attuative secondo quanto previsto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, entrano in vigore alla scadenza del termine stabilito per l'attuazione della normativa comunitaria e perdono efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa regionale o provinciale. Riportiamo di seguito il disegno di legge n. 1014 AS, in attesa della sua definitiva approvazione. Disegno di legge di iniziativa governativa n. 1014/AS (già n. 1042 AC) Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2006 Capo I DELEGA AL GOVERNO PER L’ATTUAZIONE DI DIRETTIVE COMUNITARIE Art. 1. (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie) 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B. Per le direttive il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, il termine per l’adozione dei decreti legislativi di cui al presente comma è ridotto a sei mesi. 2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva. 3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all’attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato A sono trasmessi, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per 97 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni. 4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive che comportano conseguenze finanziarie sono corredati dalla relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni. La procedura di cui al presente comma si applica in ogni caso per gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive: 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005; 2005/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005; 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005; 2005/47/CE del Consiglio, del 18 luglio 2005; 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005; 2005/61/CE della Commissione, del 30 settembre 2005; 2005/62/CE della Commissione, del 30 settembre 2005; 2005/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005; 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005; 2005/81/CE della Commissione, del 28 novembre 2005; 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005; 2005/94/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2005; 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006. 5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6. 6. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per il recepimento di direttive per le quali la Commissione europea si sia riservata di adottare disposizioni di attuazione, il Governo è autorizzato, qualora tali disposizioni siano state effettivamente adottate, a recepirle nell’ordinamento nazionale con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e con le procedure ivi previste. 7. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione e dall’articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 11, comma 8, della medesima legge n. 11 del 2005. 8. Il Ministro per le politiche europee, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risultino ancora esercitate decorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dà conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche europee ogni sei mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza. 9. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. 98 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Decorsi trenta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono adottati anche in mancanza di nuovo parere. Art. 2. (Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa) 1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo IV e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all’articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali: a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative; b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa; c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli indicati nel secondo periodo della presente lettera. Nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate dalla presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole o alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati dalla presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi; d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro; e) all’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata; f) nella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega; 99 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili. Art. 3. (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie) 1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell’ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per le quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative. 2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c). 3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell’articolo 1. Art. 4. (Oneri relativi a prestazioni e controlli) 1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11. 2. Le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del comma 1, qualora riferite all’attuazione delle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469. Art. 5. (Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie) 1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa. 2. I testi unici di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. 100 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 3. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente articolo si applica quanto previsto al comma 7 dell’articolo 1. Art. 6. (Attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato) 1. Il Governo è autorizzato a dare attuazione alle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato C con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e con le procedure ivi previste, previo parere dei competenti organi parlamentari ai quali gli schemi di regolamento sono trasmessi con apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato e che si esprimono entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza di detti pareri. 2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri né minori entrate per la finanza pubblica. Capo II INFORMAZIONI AL PARLAMENTO SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO E SUI FLUSSI FINANZIARI CON L’UNIONE EUROPEA Art. 7. (Introduzione degli articoli 15-bis e 15-ter della legge 4 febbraio 2005, n. 11) 1. Dopo l’articolo 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, sono inseriti i seguenti: «Art. 15-bis. - (Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia). – 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche europee, sulla base delle informazioni ricevute dalle amministrazioni competenti, trasmette ogni sei mesi alle Camere e alla Corte dei conti un elenco, articolato per settore e materia: a) delle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e degli altri organi giurisdizionali dell’Unione europea relative a giudizi di cui l’Italia sia stata parte o che abbiano rilevanti conseguenze per l’ordinamento italiano; b) dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell’articolo 234 del Trattato istitutivo della Comunità europea o dell’articolo 35 del Trattato sull’Unione europea, da organi giurisdizionali italiani; c) delle procedure di infrazione avviate nei confronti dell’Italia ai sensi degli articoli 226 e 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea, con informazioni sintetiche sull’oggetto e sullo stato del procedimento nonché sulla natura delle eventuali violazioni contestate all’Italia; d) dei procedimenti di indagine formale avviati dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunità europea. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le politiche europee, trasmette ogni sei mesi alle Camere e alla Corte dei conti informazioni sulle eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti e delle procedure di cui al comma 1. 3. Nei casi di particolare rilievo o urgenza o su richiesta di una delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche europee trasmette alle Camere, in relazione a 101 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) specifici atti o procedure, informazioni sulle attività e sugli orientamenti che il Governo intende assumere e una valutazione dell’impatto sull’ordinamento. Art. 15-ter. - (Relazione trimestrale al Parlamento sui flussi finanziari con l’Unione europea). – 1. Il Governo presenta ogni tre mesi alle Camere una relazione sull’andamento dei flussi finanziari tra l’Italia e l’Unione europea. La relazione contiene un’indicazione dei flussi finanziari ripartiti per ciascuna rubrica e sottorubrica contemplata dal quadro finanziario pluriennale di riferimento dell’Unione europea. Per ciascuna rubrica e sottorubrica sono riportati la distribuzione e lo stato di utilizzo delle risorse erogate dal bilancio dell’Unione europea in relazione agli enti competenti e alle aree geografiche rilevanti». Capo III PRINCÌPI FONDAMENTALI DELLA LEGISLAZIONE CONCORRENTE Art. 8. (Individuazione di princìpi fondamentali in particolari materie di competenza concorrente) 1. Sono princìpi fondamentali, nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione degli atti comunitari di cui agli allegati alla presente legge in materia di «tutela e sicurezza del lavoro», i seguenti: a) salvaguardia delle disposizioni volte a tutelare in modo uniforme a livello nazionale il bene tutelato «tutela e sicurezza del lavoro», con particolare riguardo all’esercizio dei poteri sanzionatori; b) possibilità per le regioni e le province autonome di introdurre, laddove la situazione lo renda necessario, nell’ambito degli atti di recepimento di norme comunitarie incidenti sulla materia «tutela e sicurezza del lavoro» e per i singoli settori di intervento interessati, limiti e prescrizioni ulteriori rispetto a quelli fissati dallo Stato, con contestuale salvaguardia degli obiettivi di protezione perseguiti nella medesima tutela dalla legislazione statale. 2. Sono princìpi fondamentali, nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione degli atti comunitari di cui agli allegati alla presente legge nella materia «tutela della salute», i seguenti: a) salvaguardia delle disposizioni volte a tutelare in modo uniforme a livello nazionale il bene tutelato «salute», con particolare riguardo all’esercizio dei poteri sanzionatori; b) limitazione degli interventi regionali e provinciali in materie concernenti la tutela della salute e le scelte terapeutiche comunque incidenti su diritti fondamentali della persona interessata, qualora l’opzione normativa non risulti fondata sull’elaborazione di indirizzi basati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite istituzioni e organismi nazionali o sopranazionali e non costituisca il risultato di tale verifica; c) possibilità per le regioni e le province autonome di introdurre, nell’ambito degli atti di recepimento di norme comunitarie incidenti sulla tutela della salute e per i singoli settori di intervento interessati, limiti e prescrizioni più severi di quelli fissati dallo Stato, con contestuale salvaguardia degli obiettivi di protezione della salute perseguiti dalla legislazione statale. 3. Le regioni a statuto speciale e le province autonome danno attuazione o assicurano l’applicazione degli atti comunitari di cui al presente articolo compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti speciali di autonomia e delle relative norme di attuazione. 102 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Capo IV DISPOSIZIONI PARTICOLARI DI ADEMPIMENTO, CRITERI SPECIFICI DI DELEGA LEGISLATIVA Art. 9. (Introduzione dell’articolo 26-bis della legge 25 gennaio 2006, n. 29, recante attuazione della direttiva 2005/14/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli) 1. Dopo l’articolo 26 della legge 25 gennaio 2006, n. 29, è aggiunto il seguente: «Art. 26-bis. - (Attuazione della direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, che modifica le direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE, 90/232/CEE e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli). – 1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, che modifica le direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE, 90/232/CEE e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 3, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere che l’assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore sia obbligatoria almeno per i seguenti importi: 1) nel caso di danni alle persone, un importo minimo di copertura pari a euro 5.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime; 2) nel caso di danni alle cose, un importo minimo di copertura pari a euro 1.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime; b) prevedere un periodo transitorio di cinque anni, dalla data dell’11 giugno 2007 prevista per l’attuazione della direttiva, per adeguare gli importi minimi di copertura obbligatoria per i danni alle cose e per i danni alle persone secondo quanto indicato alla lettera a); c) prevedere, ai fini del risarcimento da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada costituito presso la Concessionaria servizi assicurativi pubblici – CONSAP Spa, in caso di danni alle cose causati da un veicolo non identificato, una franchigia di importo pari a euro 500 a carico della vittima che ha subìto i danni alle cose, qualora nello stesso incidente il Fondo sia intervenuto per gravi danni alle persone». 2. All’articolo 1, comma 4, della legge 25 gennaio 2006, n. 29, dopo le parole: «2004/113/CE» sono inserite le seguenti: «, 2005/14/CE». Art. 10. (Introduzione dell’articolo 9-bis della legge 18 aprile 2005, n. 62, e altre disposizioni per l’attuazione della direttiva 2004/39/CE, come modificata dalla direttiva 2006/31/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari) 103 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 1. Dopo l’articolo 9 della legge 18 aprile 2005, n. 62, è inserito il seguente: «Art. 9-bis. – (Attuazione della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio, nonché della direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, che modifica la direttiva 2004/39/CE). – 1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio, nonché della direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, che modifica la direttiva 2004/39/CE, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) apportare al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva e delle relative misure di esecuzione nell’ordinamento nazionale attribuendo le competenze rispettivamente alla Banca d’Italia e alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) secondo i princìpi di cui agli articoli 5 e 6 del citato testo unico, e successive modificazioni, e confermando la disciplina prevista per i mercati all’ingrosso di titoli di Stato; b) recepire le nozioni di servizi e attività di investimento, nonché di servizi accessori e strumenti finanziari contenute nell’allegato I alla direttiva; attribuire alla CONSOB, d’intesa con la Banca d’Italia, il potere di recepire le disposizioni adottate dalla Commissione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva; c) prevedere che l’esercizio nei confronti del pubblico, a titolo professionale, dei servizi e delle attività di investimento sia riservato alle banche e ai soggetti abilitati costituiti in forma di società per azioni, ferma restando l’abilitazione degli agenti di cambio ad esercitare le attività previste dall’ordinamento nazionale; d) prevedere che la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione sia consentita anche alle società di gestione di mercati regolamentati previa verifica della sussistenza delle condizioni indicate dalla direttiva; e) individuare nella CONSOB, in coordinamento con la Banca d’Italia, l’autorità unica competente per i fini di collaborazione con le autorità competenti degli Stati membri stabiliti nella direttiva e nelle relative misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all’articolo 64, paragrafo 2, della medesima direttiva; f) stabilire i criteri generali di condotta che devono essere osservati dai soggetti abilitati nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori, ispirati ai princìpi di cura dell’interesse del cliente, tenendo conto dell’integrità del mercato e delle specificità di ciascuna categoria di investitori, quali i clienti al dettaglio, i clienti professionali e le controparti qualificate; g) prevedere che siano riconosciute come controparti qualificate, ai fini dell’applicazione delle regole di condotta, le categorie di soggetti espressamente individuate come tali dalla direttiva, nonché le corrispondenti categorie di soggetti di Paesi terzi; attribuire alla CONSOB, sentita la Banca d’Italia, il potere di disciplinare con regolamento, tenuto conto delle misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all’articolo 64, paragrafo 2, della direttiva, i requisiti di altre categorie di soggetti che possono essere riconosciuti come controparti qualificate; h) attribuire alla CONSOB, sentita la Banca d’Italia, il potere di disciplinare con regolamento, in conformità alla direttiva e alle relative misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea, 104 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) secondo la procedura di cui all’articolo 64, paragrafo 2, della medesima direttiva, le seguenti materie relative al comportamento che i soggetti abilitati devono tenere: 1) le misure e gli strumenti per identificare, prevenire, gestire e rendere trasparenti i conflitti di interesse, inclusi i princìpi che devono essere seguiti dalle imprese nell’adottare misure organizzative e politiche di gestione dei conflitti; 2) gli obblighi di informazione, con particolare riferimento al grado di rischiosità dei prodotti finanziari e delle gestioni di portafogli di investimento offerti; a tale fine, la CONSOB può avvalersi della collaborazione delle associazioni maggiormente rappresentative dei soggetti abilitati e del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti previsto dall’articolo 136 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206; 3) la valutazione dell’adeguatezza delle operazioni; 4) l’affidamento a terzi, da parte dei soggetti abilitati, di funzioni operative; 5) le misure da adottare per ottenere nell’esecuzione degli ordini il miglior risultato possibile per i clienti, ivi incluse le modalità di registrazione e conservazione degli ordini stessi; i) disciplinare l’attività di gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione conferendo alla CONSOB il potere di stabilire con proprio regolamento i criteri di funzionamento dei sistemi stessi; l) al fine di garantire l’effettiva integrazione dei mercati azionari e il rafforzamento dell’efficacia del processo di formazione dei prezzi, eliminando gli ostacoli che possono impedire il consolidamento delle informazioni messe a disposizione del pubblico nei diversi sistemi di negoziazione, attribuire alla CONSOB, sentita la Banca d’Italia per i mercati all’ingrosso di titoli obbligazionari privati e pubblici, diversi dai titoli di Stato, nonché per gli scambi di strumenti previsti dall’articolo 1, comma 2, lettera d), del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e di strumenti finanziari derivati su titoli pubblici, su tassi di interesse e su valute, e al Ministero dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la CONSOB, per i mercati all’ingrosso dei titoli di Stato, il potere di: 1) disciplinare il regime di trasparenza pre-negoziazione e post-negoziazione per le operazioni riguardanti azioni ammesse alla negoziazione nei mercati regolamentati, effettuate nei mercati medesimi, nei sistemi multilaterali di negoziazione e dagli internalizzatori sistematici; 2) estendere, in tutto o in parte, quando ciò sia necessario per la tutela degli investitori, il regime di trasparenza delle operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari diversi dalle azioni ammesse alle negoziazioni nei mercati regolamentati; m) conferire alla CONSOB il potere di disciplinare con regolamento, in conformità alla direttiva e alle misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura di cui all’articolo 64, paragrafo 2, della medesima direttiva, le seguenti materie: 1) il contenuto e le modalità di comunicazione alla CONSOB, da parte degli intermediari, delle operazioni concluse riguardanti strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati prevedendo anche l’utilizzo di sistemi di notifica approvati dalla CONSOB stessa; 105 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2) l’estensione degli obblighi di comunicazione alla CONSOB delle operazioni concluse da parte degli intermediari anche agli strumenti finanziari non ammessi alle negoziazioni sui mercati regolamentati quando ciò sia necessario al fine di assicurare la tutela degli investitori; 3) i requisiti di organizzazione delle società di gestione dei mercati regolamentati; n) prevedere che la CONSOB possa individuare i criteri generali ai quali devono adeguarsi i regolamenti, adottati ai sensi dell’articolo 62 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, di gestione e organizzazione dei mercati regolamentati in materia di ammissione, sospensione e revoca degli strumenti finanziari dalle negoziazioni, di accesso degli operatori e di regolamento delle operazioni concluse su tali mercati, in conformità ai princìpi di trasparenza, imparzialità e correttezza stabiliti dalla direttiva e dalle misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura di cui all’articolo 64, paragrafo 2, della medesima direttiva; o) conferire alla CONSOB, d’intesa con la Banca d’Italia, il potere di disciplinare con regolamento, in conformità alla direttiva e alle relative misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura di cui all’articolo 64, paragrafo 2, della medesima direttiva, i criteri non discriminatori e trasparenti in base ai quali subordinare la designazione e l’accesso alle controparti centrali o ai sistemi di compensazione, garanzia e regolamento ai sensi degli articoli 34, 35 e 46 della direttiva; p) conferire alla CONSOB il potere di disporre la sospensione o la revoca di uno strumento finanziario dalla negoziazione; q) prevedere che la CONSOB vigili affinché la prestazione in Italia di servizi di investimento da parte di succursali di intermediari comunitari avvenga nel rispetto delle misure di esecuzione degli articoli 19, 21, 22, 25, 27 e 28 della direttiva, ferme restando le competenze delle altre autorità stabilite dalla legge; r) prevedere la possibilità per gli intermediari di avvalersi di promotori finanziari, secondo i princìpi già previsti dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni; s) attribuire alla Banca d’Italia e alla CONSOB i poteri di vigilanza e di indagine previsti dall’articolo 50 della direttiva, secondo i criteri e le modalità previsti dall’articolo 187-octies del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; t) prevedere, fatte salve le sanzioni penali già previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, per le violazioni delle regole dettate in attuazione della direttiva: l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 2.500 e non superiori nel massimo a euro 250.000; la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche; l’esclusione della facoltà di pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni; l’adeguamento alla complessità dei procedimenti sanzionatori dei termini entro i quali procedere alle contestazioni; la pubblicità delle sanzioni, salvo che la pubblicazione possa mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti coinvolte; 106 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) u) estendere l’applicazione del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori nelle materie previste dalla direttiva; v) prevedere procedure per la risoluzione stragiudiziale di controversie relative alla prestazione di servizi e di attività di investimento e di servizi accessori da parte delle imprese di investimento, che consentano anche misure di efficace collaborazione nella composizione delle controversie transfrontaliere; z) disciplinare i rapporti con le autorità estere anche con riferimento ai poteri cautelari esercitabili nelle materie previste dalla direttiva. 2. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo, nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi e delle procedure previsti dalla presente legge, può emanare disposizioni correttive e integrative del medesimo decreto legislativo, anche per tenere conto delle eventuali misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all’articolo 64, paragrafo 2, della direttiva successivamente alla predetta data. 3. All’attuazione del presente articolo si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». 2. Ai fini del recepimento della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, come modificata dalla direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, il termine per l’esercizio della delega previsto dall’articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62, è prorogato fino al 31 gennaio 2007. 3. Dopo il comma 1 dell’articolo 25 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, è inserito il seguente: «1-bis. Nei mercati regolamentati di strumenti finanziari previsti dall’articolo 1, comma 2, lettere f), g), h), i) e j), su merci e sui relativi indici, limitatamente al settore dell’energia, le negoziazioni in conto proprio possono essere effettuate da soggetti diversi da quelli di cui al comma 1 del presente articolo». 4. All’articolo 78 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «3-bis. L’attività di organizzazione e gestione dei sistemi di scambi organizzati di strumenti finanziari è riservata ai soggetti abilitati alla prestazione di servizi di investimento, alle società di gestione dei mercati regolamentati e, limitatamente agli strumenti finanziari derivati su tassi di interesse e valute, anche ai soggetti che organizzano e gestiscono scambi di fondi interbancari». 107 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 5. La disposizione di cui al comma 4 entra in vigore centottanta giorni dopo la data di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale. 6. Gli articoli 9, 10 e 14, comma 1, lettera a), della legge 28 dicembre 2005, n. 262, sono abrogati. Art. 11. (Attuazione della direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica) 1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche il seguente principio e criterio direttivo: prevedere che la domanda di ammissione possa essere accettata anche quando il cittadino del paese terzo si trova già regolarmente sul territorio dello Stato italiano. Art. 12. (Attuazione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) 1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) tenere conto, nella scelta delle opzioni che la direttiva prevede, di quelle più aderenti al disposto dell’articolo 10 della Costituzione; b) nel caso in cui il richiedente asilo sia cittadino di un Paese terzo sicuro, ovvero, se apolide, vi abbia in precedenza soggiornato abitualmente, ovvero provenga da un Paese di origine sicuro, prevedere che la domanda di asilo è dichiarata infondata, salvo che siano invocati gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente. Art. 13. (Modifiche alla legge 24 luglio 1985, n. 409. Attuazione della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, in materia di diritti acquisiti per l’esercizio della professione di odontoiatra) 1. All’articolo 19, comma 1, della legge 24 luglio 1985, n. 409, e successive modificazioni, è aggiunta, infine, la seguente lettera: 108 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) «b-bis) ai medici che hanno iniziato la loro formazione universitaria in medicina dopo il 31 dicembre 1984 e che sono in possesso di un diploma di specializzazione triennale in campo odontoiatrico il cui corso di studi ha avuto inizio entro il 31 dicembre 1994 e che si sono effettivamente e lecitamente dedicati, a titolo principale, all’attività di cui all’articolo 2 per tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni che precedono il rilascio dell’attestato». 2. All’articolo 20, comma 1, della legge 24 luglio 1985, n. 409, e successive modificazioni, è aggiunta, in fine, la seguente lettera: «b-bis) i medici che hanno iniziato la loro formazione universitaria in medicina dopo il 31 dicembre 1984 e che sono in possesso di un diploma di specializzazione triennale in campo odontoiatrico il cui corso di studi ha avuto inizio entro il 31 dicembre 1994». Art. 14. (Modifiche alla legge 8 luglio 1997, n. 213, recante classificazione delle carcasse bovine, in applicazione di regolamenti comunitari) 1. L’articolo 3 della legge 8 luglio 1997, n. 213, è sostituito dal seguente: «Art. 3. - (Sanzioni per violazione delle disposizioni in materia di tecniche di classificazione non automatizzata). – 1. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento, che vìola l’obbligo di identificazione e di classificazione di cui all’articolo 1, comma 1, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 3.000 a euro 18.000. 2. Il titolare dello stabilimento che utilizza una marchiatura o etichettatura difforme da quanto previsto dall’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 4 maggio 1998, n. 298, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000. 3. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento che vìola le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 2, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 12.000. 4. Salvo che il fatto costituisca reato, il tecnico classificatore, quale definito all’articolo 1, comma 1, che effettua le operazioni di identificazione e classificazione delle carcasse bovine con modalità difformi da quelle stabilite da atti normativi nazionali o comunitari, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 3.000, se la difformità, rilevata al controllo su un numero di almeno 40 carcasse, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 344/91 della Commissione, del 13 febbraio 1991, e successive modificazioni, supera la percentuale del 5 per cento. 5. Il decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 29, è abrogato». 2. Dopo l’articolo 3 della legge 8 luglio 1997, n. 213, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti: 109 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) «Art. 3-bis. - (Sanzioni per violazione delle disposizioni in materia di tecniche di classificazione automatizzata). – 1. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento che, in assenza della licenza di cui all’articolo 3, paragrafo 1-bis, del regolamento (CEE) n. 344/91, della Commissione, del 13 febbraio 1991, utilizza tecniche di classificazione automatizzata è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 6.000 a euro 36.000. Salvo che il fatto costituisca reato, alla medesima sanzione è soggetto il titolare dello stabilimento che modifica le specifiche delle tecniche di classificazione, in assenza dell’approvazione delle autorità competenti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1-quater, del citato regolamento (CEE) n. 344/91. 2. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento che vìola le disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi 2 e 2-bis, del citato regolamento (CEE) n. 344/91, e successive modificazioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000. 3. Il titolare dello stabilimento che vìola le disposizioni sulla identificazione delle categorie delle carcasse, ovvero sulla redazione dei rapporti di controllo, di cui all’articolo 3, paragrafo 1-ter, del citato regolamento (CEE) n. 344/91, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000. 4. Qualora nel corso dei controlli di cui all’articolo 3, paragrafo 2, del citato regolamento (CEE) n. 344/91, e successive modificazioni, venga rilevato che il livello di precisione della macchina classificatrice sia inferiore a quello ottenuto nel corso della prova di certificazione, il titolare dello stabilimento è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 3.000. Art. 3-ter. - (Disposizioni finali). – 1. Se nei cinque anni successivi alla commissione dell’illecito di cui all’articolo 3, comma 4, della presente legge, accertata con provvedimento esecutivo, il tecnico classificatore vìola nuovamente la medesima norma, l’organo competente al rilascio della licenza, ai sensi dell’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali 6 maggio 1996, n. 482, secondo la gravità della violazione, sospende o revoca l’abilitazione. 2. Se nei cinque anni successivi alla commissione dell’illecito di cui all’articolo 3-bis, comma 4, accertata con provvedimento esecutivo, il titolare dello stabilimento vìola nuovamente la medesima norma, l’organo competente al rilascio della licenza, di cui all’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 344/91, della Commissione, del 13 febbraio 1991, e successive modificazioni, secondo la gravità della violazione, sospende per un tempo determinato ovvero revoca la licenza. 3. Fino all’individuazione dell’organo competente da parte delle singole regioni e province autonome, le sanzioni di cui agli articoli 3 e 3-bis sono irrogate dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Ispettorato centrale repressione frodi, ai sensi dell’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 4 maggio 1998, n. 298. 4. Ai fini degli accertamenti e delle procedure di cui al comma 3 e per quanto non previsto dalla presente legge, restano ferme le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni». 110 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Art. 15. (Modifica all’articolo 7 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 174, recante attuazione dalla direttiva 98/8/CE, in materia di immissione sul mercato di biocidi) 1. Il comma 3 dell’articolo 7 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 174, è sostituito dal seguente: «3. Non è consentito il rilascio dell’autorizzazione all’immissione sul mercato per l’impiego da parte del pubblico di un biocida classificato a norma del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, e successive modificazioni, come “tossico“ o “molto tossico“, “cancerogeno di categoria 1 o 2“, “mutageno di categoria 1 o 2“ o “tossico per la riproduzione di categoria 1 o 2“, fermo restando che per l’impiego professionale ed industriale l’autorizzazione all’immissione sul mercato può essere sottoposta ad eventuali restrizioni di uso». Art. 16. (Modifiche al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, recante attuazione della direttiva 91/414/CEE, in materia di immissione in commercio di prodotti fitosanitari) 1. Al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 11, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Il Ministro della salute, sentita la Commissione di cui all’articolo 20, qualora vi siano motivi validi per ritenere che un prodotto fitosanitario da esso autorizzato o che è tenuto ad autorizzare ai sensi dell’articolo 10 costituisca un rischio per la salute umana e degli animali o per l’ambiente, provvede, con proprio decreto da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, a limitarne o proibirne provvisoriamente l’uso e la vendita, notificando immediatamente il provvedimento agli altri Stati membri e alla Commissione europea»; b) all’articolo 20, al comma 5 è premesso il seguente: «4-bis. Il Ministro della salute può disporre che la Commissione consultiva si avvalga di esperti nelle discipline attinenti agli studi di cui agli allegati II e III, nel numero massimo di cinquanta, inclusi in un apposito elenco da adottare con decreto del Ministro della salute, sentiti i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, sulla base delle esigenze relative alle attività di valutazione e consultive derivanti dall’applicazione del presente decreto. Le spese derivanti dall’attuazione del presente comma sono poste a carico degli interessati alle attività svolte dalla Commissione ai sensi del comma 5». Art. 17. (Criteri direttivi per le modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, in materia di immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari) 111 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 1. Il Governo è autorizzato a modificare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il comma 2 dell’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, in base ai seguenti criteri direttivi: a) prevedere la possibilità di disporre la proroga dell’autorizzazione all’immissione in commercio qualora si tratti di un prodotto contenente una sostanza attiva oggetto dei regolamenti della Commissione europea, di cui all’articolo 8, paragrafo 2, secondo capoverso, della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, e fino all’iscrizione della sostanza attiva medesima nell’allegato I del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, e successive modificazioni; b) prevedere che la proroga di cui alla lettera a) sia disposta a condizione che non siano sopravvenuti dati scientifici tali da alterare gli elementi posti a base del provvedimento di autorizzazione. 2. Il Governo è altresì autorizzato a modificare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, e successive modificazioni, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere, nel rispetto della normativa comunitaria relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, nonché degli obblighi derivanti dall’osservanza del diritto comunitario, che il solfato di rame, gli zolfi grezzi o raffinati, sia moliti, sia ventilati, gli zolfi ramati e il solfato ferroso, i prodotti elencati nell’allegato II, parte B, del regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991, e successive modificazioni, e i prodotti elencati nell’allegato 2 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001, siano soggetti a una procedura semplificata di autorizzazione, quando non siano venduti con denominazione di fantasia; b) demandare a un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, l’individuazione delle modalità tecniche di attuazione della procedura semplificata di cui alla lettera a), in modo da garantire il rispetto dei requisiti di tutela della salute previsti dalla normativa comunitaria. Art. 18. (Modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE, riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità) 1. All’articolo 3 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Le apparecchiature radio sono costruite in modo da utilizzare in maniera efficace lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di Terra e spaziali e le risorse orbitali, evitando interferenze dannose». 112 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2. Il numero 3 dell’allegato VII annesso al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, è sostituito dal seguente: «3. La marcatura CE è apposta sul prodotto o sulla placca di identificazione. La marcatura CE è apposta, inoltre, sull’imballaggio, se presente, e sulla documentazione che accompagna il prodotto». Art. 19. (Introduzione dell’articolo 144-bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante disposizioni per la tutela dei consumatori) 1. Dopo l’articolo 144 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, è inserito il seguente: «Art. 144-bis. – (Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori). – 1. Il Ministero dello sviluppo economico svolge le funzioni di autorità pubblica nazionale, ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa per la tutela dei consumatori. 2. In particolare, i compiti di cui al comma 1 riguardano la disciplina in materia di: a) servizi turistici, di cui alla parte III, titolo IV, capo II; b) clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di cui alla parte III, titolo I; c) garanzia nella vendita dei beni di consumo, di cui alla parte IV, titolo III, capo I; d) credito al consumo, di cui alla parte III, titolo II, capo II, sezione I; e) commercio elettronico, di cui alla parte III, titolo III, capo II. 3. Il Ministero dello sviluppo economico esercita le funzioni di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle materie di cui al comma 1, anche con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale. 4. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 1, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e può definire forme stabili di collaborazione con altre pubbliche amministrazioni. Limitatamente ai poteri di cui all’articolo 139, può avvalersi delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’articolo 137. 5. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati i procedimenti istruttori previsti dal presente articolo. In mancanza, i procedimenti sono regolati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. 113 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 6. Il Ministero dello sviluppo economico designa l’ufficio unico di collegamento responsabile dell’applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004». Art. 20. (Comunicazioni periodiche all’AGEA in materia di produzione di olio di oliva e di olive da tavola) 1. Al fine di adempiere agli obblighi di cui all’articolo 6 del regolamento (CE) n. 2153/2005 della Commissione, del 23 dicembre 2005, i frantoi e le imprese di trasformazione delle olive da tavola sono tenuti a comunicare mensilmente, anche attraverso le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale o i centri autorizzati di assistenza fiscale (CAAF), all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) gli elementi relativi alla produzione di olio di oliva e di olive da tavola. 2. Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti i dati, le modalità e la tempistica delle comunicazioni di cui al comma 1. 3. La violazione dell’obbligo di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 500 a euro 10.000 in relazione alla gravità della violazione accertata. L’irrogazione delle sanzioni è disposta dall’AGEA, anche avvalendosi dell’Agenzia per i controlli e le azioni comunitarie nel quadro del regime di aiuto alla produzione dell’olio di oliva (Agecontrol Spa). 4. In relazione alla nuova disciplina dell’organizzazione comune di mercato dell’olio di oliva di cui al regolamento (CE) n. 865/2004 del Consiglio, del 29 aprile 2004, all’articolo 7, comma 3, della legge 27 gennaio 1968, n. 35, e successive modificazioni, dopo le parole: «quantità nominali unitarie seguenti espresse in litri:» sono inserite le seguenti: «0,05,». Art. 21. (Modifiche all’articolo 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, in materia di rimborso di tributi) 1. Al comma 2 dell’articolo 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni». Art. 22. (Abrogazione della legge 10 agosto 2000, n. 250, recante norme per l’utilizzazione dei traccianti di evidenziazione nel latte in polvere destinato ad uso zootecnico) 1. La legge 10 agosto 2000, n. 250, è abrogata. 114 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Art. 23. (Modifica dell’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, in materia di servizi di assistenza a terra negli aeroporti) 1. L’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, è sostituito dal seguente: «Art. 14. - (Protezione sociale). – 1. Fatte salve le disposizioni normative e contrattuali di tutela, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B, al fine di individuare gli strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione, il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, garantisce il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di opportune forme di concertazione». Art. 24. (Modifiche all’articolo 21 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1999, n. 504, in materia di accise sugli oli minerali) 1. All’articolo 21 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e le relative sanzioni penali ed amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 6-bis, lettera b), le parole: «lire 560.000 per 1.000 litri» sono sostituite dalle seguenti: «euro 298,92 per 1.000 litri»; b) dopo il comma 6-ter è aggiunto il seguente: «6-quater. Con cadenza semestrale dall’inizio del progetto sperimentale di cui al comma 6bis, i Ministeri dello sviluppo economico e delle politiche agricole alimentari e forestali comunicano al Ministero dell’economia e delle finanze i costi industriali medi dei prodotti agevolati di cui al medesimo comma 6-bis, rilevati nei sei mesi immediatamente precedenti. Sulla base delle suddette rilevazioni, al fine di evitare la sovracompensazione dei costi addizionali legati alla produzione, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da emanare entro sessanta giorni dalla fine del semestre, è eventualmente rideterminata la misura dell’agevolazione di cui al medesimo comma 6-bis». Art. 25. (Attuazione delle decisioni dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell’Unione europea riuniti in sede di Consiglio del 21 ottobre 2001, del 28 aprile 2004 e del 10 novembre 2004, relative a privilegi e immunità accordati ad agenzie e meccanismi istituiti dall’Unione europea nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune e della politica europea di sicurezza e di difesa e ai membri del loro personale) 115 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 1. È data attuazione alle seguenti decisioni dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell’Unione europea riuniti in sede di Consiglio, le quali sono obbligatorie e vincolanti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge: a) decisione del 21 ottobre 2001, relativa a privilegi e immunità accordati all’Istituto per gli studi sulla sicurezza e al centro satellitare dell’Unione europea nonché ai loro organi e al loro personale; b) decisione del 28 aprile 2004, relativa a privilegi e immunità accordati ad ATHENA; c) decisione del 10 novembre 2004, relativa a privilegi e immunità accordati all’Agenzia europea per la difesa e ai membri del suo personale. Art. 26. (Modifiche alla legge 16 aprile 1987, n. 183, concernenti organismi consultivi con competenze in materia di politiche comunitarie) 1. L’articolo 4 e i commi 2 e 3 dell’articolo 19 della legge 16 aprile 1987, n. 183, sono abrogati. Allegato A (Articolo 1, commi 1 e 3) 2005/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2005, relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio nonché delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE. 2006/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 febbraio 2006, relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e che abroga la direttiva 76/160/CEE. Allegato B (Articolo 1, commi 1 e 3) 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione eco-compatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. 2005/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo. 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. 116 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2005/47/CE del Consiglio, del 18 luglio 2005, concernente l’accordo tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario. 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali. 2005/61/CE della Commissione, del 30 settembre 2005, che applica la direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità e la notifica di effetti indesiderati ed incidenti gravi. 2005/62/CE della Commissione, del 30 settembre 2005, recante applicazione della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme e le specifiche comunitarie relative ad un sistema di qualità per i servizi trasfusionali. 2005/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, sull’omologazione dei veicoli a motore per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità e che modifica la direttiva 70/156/CEE del Consiglio. 2005/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa al miglioramento della sicurezza dei porti. 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica. 2005/81/CE della Commissione, del 28 novembre 2005, che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche nonché fra determinate imprese. 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. 2005/89/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 gennaio 2006, concernente misure per la sicurezza dell’approvvigionamento di elettricità e per gli investimenti nelle infrastrutture. 2005/94/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2005, relativa a misure comunitarie di lotta contro l’influenza aviaria e che abroga la direttiva 92/40/CEE. 2006/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE. 2006/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, concernente la licenza comunitaria dei controllori del traffico aereo. 117 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE. 2006/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni ottiche artificiali) (diciannovesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE). 2006/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e recante abrogazione della direttiva 93/76/CEE del Consiglio. 2006/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture. 2006/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE (rifusione). 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (rifusione). 2006/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi (rifusione). 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione). Allegato C (Articolo 6, comma 1) 2005/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare e recante modificazione della direttiva 2001/25/CE. 19/09 Lo Stato deve rimborsare l'IVA alle imprese La sentenza della Corte di Giustizia sulla detraibilita' IVA La Corte di Giustizia delle Comunita' europee, con sentenza pubblicata il 14 settembre scorso, emessa in sede di interpretazione pregiudiziale della sesta direttiva europea sull'IVA tesa all'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia (77/388), ha escluso 118 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) limitazioni alla detraibilita' dell'IVA su beni come autoveicoli e carburanti utilizzati nell'attivita' d'impresa. Si tratta della causa C-228/05, instaurata su richiesta di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento, nel procedimento tra Stradasfalti Srl e Agenzia delle Entrate - Ufficio di Trento. La Corte ha così statuito, in sintesi: "La sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, non autorizza uno Stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto ... ove siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico". "Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente alla sesta direttiva 77/388, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto enunciato da tale direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni della sesta direttiva 77/388 nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta". Di seguito, il testo integrale della decisione della Corte di Giustizia. Corte di Giustizia delle Comunità europee, III Sezione sentenza del 14 settembre 2006 (presidente Rosas, estensore Puissochet) Procedimento C-228/05 (avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento, con ordinanza 21 marzo 2005, nel procedimento tra Stradasfalti Srl e Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento). 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la società a responsabilità limitata Stradasfalti Srl (in prosieguo: la «Stradasfalti») e l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento, in merito al rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») che la Stradasfalti sostiene di aver indebitamente versato negli anni 2000-2004 per l’acquisto, l’uso e la manutenzione di veicoli da turismo che non formano oggetto dell’attività propria di tale società. 119 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Contesto normativo La normativa comunitaria 3 L’art. 17 della sesta direttiva, intitolato «Origine e portata del diritto a deduzione», dispone, al suo n. 2, lett. a), che «[n]ella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore (...) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo». 4 L’art. 17, n. 6, della sesta direttiva prevede quanto segue: «Al più tardi entro un termine di quattro anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente direttiva, il Consiglio, con decisione all’unanimità adottata su proposta della Commissione, stabilisce le spese che non danno diritto a deduzione dell’imposta sul valore aggiunto. Saranno comunque escluse dal diritto a deduzione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza. Fino all’entrata in vigore delle norme di cui sopra, gli Stati membri possono mantenere tutte le esclusioni previste dalla loro legislazione nazionale al momento dell’entrata in vigore della presente direttiva». 5 Ai sensi dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva: «Fatta salva la consultazione prevista dall’articolo 29, ogni Stato membro può, per motivi congiunturali, escludere totalmente o in parte dal regime di deduzioni la totalità o parte dei beni di investimento o altri beni. Per mantenere condizioni di concorrenza identiche, gli Stati membri possono, anziché rifiutare la deduzione, tassare i beni fabbricati dallo stesso soggetto passivo o acquistati dal medesimo all’interno del paese, oppure importati, in modo che questa imposizione non superi l’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto che graverebbe sull’acquisto di beni analoghi». 6 L’art. 29, nn. 1 e 2, della sesta direttiva dispone quanto segue: «1. È istituito un comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto [in prosieguo: il «Comitato IVA»], in appresso denominato “comitato”. 2. Il comitato si compone di rappresentanti degli Stati membri e della Commissione. Il comitato è presieduto da un rappresentante della Commissione. Il segretariato del comitato è assicurato dai servizi della Commissione». Normativa nazionale 7 La normativa nazionale rilevante figura all’art. 19 bis 1, intitolato «Esclusione o riduzione della detrazione per alcuni beni e servizi», del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Supplemento ordinario alla GURI n. 292 dell’11 novembre 1972; in 120 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) prosieguo: il «DPR n. 633/72»), nella sua formulazione risultante dall’art. 3 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 313 (Supplemento ordinario alla GURI n. 219 del 27 dicembre 1997). 8 Il detto art. 19 bis 1 dispone quanto segue: «In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 19: c) l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione di ciclomotori, di motocicli e di autovetture ed autoveicoli indicati nell’articolo 54, lettere a) e c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, non compresi nell’allegata tabella B e non adibiti ad uso pubblico, che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa, e dei relativi componenti e ricambi, nonché alle prestazioni di servizi di cui al terzo comma dell’articolo 16 ed a quelle di impiego, custodia, manutenzione e riparazione relative ai beni stessi, non è ammessa in detrazione salvo che per gli agenti o rappresentanti di commercio; d) l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad autovetture e veicoli, aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto è ammessa in detrazione se è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto, all’importazione o all’acquisizione mediante contratti di locazione finanziaria, di noleggio e simili di dette autovetture, veicoli, aeromobili e natanti». 9 L’efficacia di tale disposizione è stata limitata al 31 dicembre 2000 dall’art. 7, terzo comma, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 27 dicembre 1999). 10 La misura è stata poi prorogata e il suo campo di applicazione modificato con l’art. 30, quarto comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 2000), a termini del quale: «L’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto afferente le operazioni aventi per oggetto ciclomotori, motocicli, autovetture e autoveicoli di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 19-bis 1 del [DPR n. 633/72], prorogata da ultimo al 31 dicembre 2000 dall’articolo 7, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, è ulteriormente prorogata al 31 dicembre 2001; tuttavia limitatamente all’acquisto, all’importazione e all’acquisizione mediante contratti di locazione finanziaria, noleggio e simili di detti veicoli la indetraibilità è ridotta al 90 per cento del relativo ammontare ed al 50 per cento nel caso di veicoli con propulsori non a combustione interna». 11 Tale testo è rimasto in vigore per effetto di ulteriori provvedimenti annuali di proroga. La scadenza è stata infatti modificata dall’art. 9, quarto comma, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, poi dall’art. 2, tredicesimo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dall’art. 2, diciassettesimo comma, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e, infine, dall’art. 1, comma 503, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ne ha prorogato gli effetti fino al 31 dicembre 2005. La controversia principale e le questioni pregiudiziali 121 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 12 La Stradasfalti è una società a responsabilità limitata di diritto italiano, con sede legale in provincia di Trento, che opera nel settore delle costruzioni stradali. 13 Essa dispone di veicoli aziendali che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa, e per il cui acquisto, uso, manutenzione e rifornimento di carburante non ha potuto beneficiare della detraibilità dell’IVA ad essi afferente, secondo quanto previsto dalla normativa italiana. 14 Il 7 luglio 2004 la Stradasfalti, ritenendo tale normativa incompatibile con le disposizioni della sesta direttiva relative alla detraibilità dell’IVA, chiedeva all’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento la restituzione di circa EUR 31 340, a titolo di rimborso dell’IVA indebitamente pagata dal 2000 al 2004 per l’acquisto, l’uso, la manutenzione ed il rifornimento di carburante dei propri veicoli aziendali. 15 Con varie decisioni adottate il 15 luglio 2004, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento respingeva tale istanza. 16 Il 22 novembre 2004, la Stradasfalti proponeva un ricorso alla Commissione tributaria di primo grado di Trento per ottenere l’annullamento di tali decisioni ed il rimborso dell’IVA per i periodi considerati. 17 In tale contesto, la Commissione tributaria di primo grado di Trento ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva (…) in relazione al n. 2 dello stesso articolo vada interpretato nel senso che: a) il detto articolo si oppone a considerare “consultazione del comitato IVA” di cui all’art. 29 della citata direttiva, la semplice notifica da parte di uno Stato membro dell’adozione di una norma di legge nazionale, come quella di cui all’attuale art. 19 bis 1 D.P.R. n. 633/72, lett. c) e d) e successive proroghe, che limita il diritto di detrazione dall’IVA relativa all’impiego e manutenzione dei beni di cui al paragrafo 2 dell’art. 17, sulla base di una semplice presa d’atto da parte del comitato IVA; b) lo stesso si oppone egualmente a considerare come misura ricadente nel suo campo di applicazione una qualsivoglia limitazione del diritto a fruire della detrazione IVA connessa all’acquisto, impiego e manutenzione dei beni sub a) introdotta prima della consultazione del comitato IVA e mantenuta in vigore attraverso numerose proroghe legislative, ripetutesi a catena e senza soluzione di continuità da oltre venticinque anni; c) in caso di risposta affermativa alla questione sub 1 b) si chiede che la Corte indichi i criteri sulla scorta dei quali si possa determinare l’eventuale durata massima delle proroghe, in relazione ai motivi congiunturali presi in considerazione dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva; ovvero che precisi se l’inosservanza della temporaneità delle deroghe (ripetute nel tempo) attribuisca al contribuente il diritto a fruire della detrazione; 2) qualora i requisiti e le condizioni della procedura di cui all’art. 17, n. 7, sopra richiamato, non risultassero rispettati, dica la Corte se l’art. 17, n. 2, della citata direttiva vada interpretato 122 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) nel senso che esso si oppone a che una norma di legge nazionale od una prassi amministrativa adottata da uno Stato membro dopo l’entrata in vigore della sesta direttiva (1º gennaio 1979 per l’Italia) possa limitare la detrazione dell’IVA connessa all’acquisto, impiego e manutenzione di determinati autoveicoli, in via oggettiva e senza limitazioni di tempo». Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione, sub a) 18 Con la prima questione, sub a), il giudice del rinvio chiede se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva vada interpretato nel senso che si oppone a che si consideri «consultazione del comitato IVA» di cui all’art. 29 della citata direttiva, la notifica da parte di uno Stato membro dell’adozione di una norma di legge nazionale che limita il diritto di detrazione dell’IVA afferente all’impiego e alla manutenzione dei beni di cui all’art. 17, n. 2, laddove il comitato IVA si è limitato a prendere atto di tale notifica. Osservazioni presentate alla Corte 19 La Commissione sostiene che la consultazione del comitato IVA, prevista dall’art. 29 della sesta direttiva costituisce un’imprescindibile condizione procedurale per l’esercizio delle deroghe congiunturali relative all’IVA. La consultazione di tale comitato deve permettere ai rappresentanti degli Stati membri e della Commissione di esaminare congiuntamente le misure nazionali che derogano al principio della detraibilità dell’IVA. Al riguardo, non basta a configurare una consultazione la mera notifica al comitato IVA della normativa nazionale adottata o in via di adozione, né una presa d’atto, da parte di tale comitato, della normativa nazionale ad esso notificata. 20 Una conferma di tale interpretazione dell’art. 29 della sesta direttiva sarebbe offerta dalle varie versioni linguistiche della formula usata dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Inoltre, nella sentenza 8 gennaio 2002, causa C-409/99, Metropol e Stadler (Racc. pag. I-81), la Corte ha già statuito che la consultazione del comitato IVA era un presupposto per l’adozione di qualsiasi misura basata sul detto art. 17, n. 7. 21 Per quanto riguarda la misura in questione nella controversia principale, il governo italiano ha consultato il comitato IVA nel 1980 e ha illustrato, attraverso il proprio rappresentante, il contenuto e la portata della misura nella riunione del comitato tenutasi in quell’anno. Esso ha seguito la stessa procedura in occasione delle successive proroghe della misura, consultando il comitato nel 1990, nel 1995, nel 1996, nel 1999 e nel 2000. 22 La Commissione riconosce che la consultazione del comitato IVA ha avuto luogo dopo l’entrata in vigore della misura derogatoria e che ci si può chiedere se l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva imponga questa consultazione prima di tale entrata in vigore. Tuttavia, la procedura seguita dalle autorità italiane nel caso di specie sembra rispettosa delle prerogative del comitato IVA e conforme alla prassi seguita dagli altri Stati membri. La Commissione rimette quindi la decisione su tale questione alla saggezza della Corte. 123 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 23 Il governo italiano, da parte sua, sostiene che la procedura seguita nel caso di specie non ha violato l’obbligo di consultazione del comitato IVA. Infatti, questo è stato investito di un’espressa domanda del governo italiano, sulla base della quale i servizi della Commissione hanno potuto elaborare un documento di lavoro, prima che il fascicolo fosse sottoposto a tale comitato. Quella che il giudice del rinvio chiama «una semplice presa d’atto» è in realtà la decisione conclusiva della procedura di consultazione prevista dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, adottata dal comitato IVA. 24 In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui la procedura non fosse stata seguita alla lettera, il governo italiano ritiene che non vi sia stata alcuna violazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. 25 La Stradasfalti sostiene, innanzi tutto, che l’art. 19 bis 1, lett. c) e d), del DPR n. 633/72, modificato, è incompatibile con le disposizioni della sesta direttiva in quanto l’indetraibilità da esso introdotta non rientra in alcuna delle categorie di deroghe lecite previste da tale direttiva. La misura in questione violerebbe le disposizioni dell’art. 17, n. 7, della medesima direttiva, per il fatto che il comitato IVA non è stato previamente consultato dal governo italiano, che gli unici motivi che potrebbero giustificare la deroga al diritto di detrazione dell’IVA, ossia i motivi congiunturali, non sono mai sussistiti e che la misura di cui trattasi, lungi dall’essere temporanea, si applica in maniera strutturale da più di venticinque anni. 26 Relativamente alla prima questione, sub a), la Stradasfalti sostiene che la normativa comunitaria prescrive una concertazione effettiva nell’ambito del comitato IVA, in quanto unico mezzo che consente di controllare come gli Stati membri si avvalgono della possibilità di deroga offerta dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Tale disposizione osta quindi all’introduzione di una deroga al diritto di detrazione dell’IVA previa mera notifica di una disposizione legislativa nazionale di uno Stato membro o previa semplice notifica dell’intenzione dello Stato membro di adottare tale disposizione, seguita da semplice presa d’atto da parte del comitato IVA. Giudizio della Corte 27 L’art. 17, n. 7, della sesta direttiva prevede una delle procedure di autorizzazione di misure derogatorie contemplate dalla detta direttiva, accordando agli Stati membri la facoltà di escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni «fatta salva la consultazione prevista dall’articolo 29». 28 Tale consultazione permette alla Commissione e agli altri Stati membri di controllare l’uso da parte di uno Stato membro della possibilità di derogare al regime generale delle detrazioni dell’IVA, verificando, in particolare, se la misura nazionale di cui trattasi soddisfi la condizione di essere stata adottata per motivi congiunturali. 29 L’art. 17, n. 7, della sesta direttiva prevede così un obbligo procedurale che gli Stati membri devono rispettare per potersi avvalere della norma derogatoria da esso stabilita. La consultazione del comitato IVA risulta essere un presupposto dell’adozione di qualsiasi misura basata su detta disposizione (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punti 61-63). 124 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 30 L’obbligo di consultare il comitato IVA sarebbe privo di senso qualora gli Stati membri si limitassero a notificare al medesimo la misura nazionale derogatoria che intendono adottare senza corredare tale notifica della minima spiegazione sulla natura e sulla portata della misura. Il comitato IVA deve essere in grado di deliberare validamente sulla misura ad esso sottoposta. L’obbligo procedurale previsto all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva presuppone quindi che gli Stati membri informino tale comitato del fatto che intendono adottare una misura derogatoria e che gli forniscano informazioni sufficienti per consentirgli di esaminare tale misura con cognizione di causa. 31 Per contro, l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva non prevede alcun obbligo quanto al risultato della consultazione del comitato IVA, e in particolare non impone a tale comitato di pronunciarsi favorevolmente o sfavorevolmente sulla misura nazionale derogatoria. Nulla impedisce quindi al comitato IVA di limitarsi a prendere atto della misura nazionale derogatoria che gli viene comunicata. 32 Occorre dunque risolvere la prima questione, sub a), nel senso che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva impone che gli Stati membri, per rispettare l’obbligo procedurale di consultazione di cui all’art. 29 della medesima direttiva, informino il comitato IVA del fatto che intendono adottare una misura nazionale che deroga al regime generale delle detrazioni dell’IVA e che forniscano a tale comitato informazioni sufficienti per consentirgli di esaminare la misura con cognizione di causa. Sulla prima questione, sub b) e c), prima parte 33 Con la prima questione, sub b) e c), prima parte, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che esso autorizza uno Stato membro ad escludere taluni beni indicati all’art. 17, n. 2, della medesima direttiva, dal regime delle detrazioni dell’IVA: – senza la previa consultazione del comitato IVA e – senza limitazioni temporali. Osservazioni presentate alla Corte 34 La Commissione ricorda che le disposizioni che prevedono deroghe al principio del diritto alla detrazione devono essere interpretate restrittivamente (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 59). La Corte ha già dichiarato che l’applicazione dei provvedimenti previsti all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, il quale permette di introdurre, per «motivi congiunturali», eccezioni alla regola della detraibilità, dev’essere limitata nel tempo e che, per definizione, tali provvedimenti non possono essere di natura strutturale (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 67). 35 A tale proposito, la misura in questione nella causa principale è stata introdotta nella legislazione italiana nel 1979 come norma permanente. Solo a partire dal 1980 è stato fissato un limite temporale alla sua efficacia, limite da allora peraltro sistematicamente prorogato. In realtà, la misura sembra essere stata adottata al fine di prevenire le frodi e l’evasione fiscale, 125 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) obiettivi questi riconducibili alla procedura e alle condizioni particolari previste dall’art. 27 della sesta direttiva. 36 Del resto, sin dal 1980, il comitato IVA ha costantemente segnalato al governo italiano come la deroga in questione non potesse giustificarsi sulla base dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. L’atteggiamento più conciliante adottato da tale comitato nelle sue riunioni del 1999 e del 2000 si spiega alla luce dell’impegno, assunto e non mantenuto dalle autorità italiane, di riesaminare la misura a partire dal 1º gennaio 2001, e sulla base delle prospettive allora aperte dalla proposta della Commissione di modificare la sesta direttiva per quanto concerne il regime del diritto alla detrazione dell’IVA. 37 Ciò premesso, la Commissione ritiene la deroga in questione nella causa principale incompatibile con le disposizioni dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. 38 Il governo italiano sostiene che la prima questione, sub b), non è pertinente ed è quindi irricevibile. 39 Infatti, la controversia di cui alla causa principale riguarda solo l’IVA versata nel corso degli anni 2000-2004. Orbene, nel 1999 e nel 2000 le richieste di consultazione del comitato hanno preceduto l’adozione del provvedimento nazionale di proroga. In tale contesto, la questione sottoposta alla Corte va al di là della normativa applicabile alla controversia principale ed è pertanto irricevibile (v., da ultimo, sentenza 30 giugno 2005, causa C-165/03, Mathias Längst, Racc. pag. I-5637). Ad ogni modo, la Corte avrebbe dichiarato che l’art. 27 della sesta direttiva non esclude che la decisione del Consiglio di autorizzare uno Stato membro a introdurre misure particolari in deroga alla detta direttiva intervenga a posteriori (v. sentenza 29 aprile 2004, causa C-17/01, Sudholz, Racc. pag. I-4243, punto 23). Lo stesso dovrebbe valere per la consultazione del comitato IVA prevista all’art. 17, n. 7, della medesima direttiva. 40 Per quanto riguarda la prima questione, sub c), prima parte, essa sarebbe puramente ipotetica e quindi parimenti irricevibile. 41 Secondo la Stradasfalti, occorre risolvere la prima questione, sub b), nel senso che l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva osta all’introduzione di una deroga al diritto alla detraibilità dell’IVA prima della consultazione del comitato IVA, dato che la normativa comunitaria richiede espressamente che tale comitato sia consultato in via preventiva. 42 Inoltre, l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva impone che la deroga conservi un carattere temporaneo, posto che, come statuito dalla Corte, essa deve rispondere a motivi congiunturali. Tale articolo osta quindi al mantenimento della deroga in questione da oltre venticinque anni, sulla base di proroghe successive. 43 Per quanto riguarda la prima questione, sub c), la Stradasfalti fa valere che, nella citata sentenza Metropol e Stadler, la Corte ha già dichiarato che l’art. 17, n. 7, autorizza uno Stato membro a discostarsi dal regime comunitario della detrazione dell’IVA solo per una «durata limitata». Del resto, l’avvocato generale Geelhoed, nelle conclusioni in tale causa, ha definito la politica congiunturale come diretta ad influenzare «a breve termine» e su «un periodo di 126 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) uno-due anni» i dati macroeconomici del paese. Una deroga mantenuta per più di venticinque anni manifestamente viola l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Giudizio della Corte – Sulla ricevibilità delle questioni 44 Il procedimento ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (v., segnatamente, sentenza 5 febbraio 2004, causa C-380/01, Schneider, Racc. pag. I-1389, punto 20). 45 Nell’ambito di tale cooperazione, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una decisione pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza Schneider, cit., punto 21). 46 Tuttavia, la Corte ha parimenti affermato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza. Il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza Schneider, cit., punto 22). 47 Infatti, lo spirito di collaborazione che deve presiedere allo svolgimento del procedimento pregiudiziale implica che il giudice nazionale, dal canto suo, tenga presente la funzione di cui la Corte è investita, che è quella di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche (sentenza Schneider, cit., punto 23). 48 Nella fattispecie, dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che, sebbene la causa principale riguardi solo l’IVA versata nel corso degli anni 2000-2004, anni per i quali le richieste di consultazione del comitato IVA, secondo il governo italiano, hanno preceduto l’adozione del provvedimento nazionale di proroga, quest’ultimo è in realtà entrato in vigore prima di tale periodo e viene sistematicamente prorogato da molti anni. Non appare quindi che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non abbia manifestamente alcuna relazione con l’oggetto della controversia o che sollevi un problema di natura ipotetica. 49 Di conseguenza, va constatato che la prima questione, sub b) e c), prima parte, è ricevibile. – Nel merito 127 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 50 Per quanto riguarda la prima questione, sub b), con cui si chiede se l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva autorizzi uno Stato membro a escludere taluni beni dal regime di detrazione dell’IVA senza previa consultazione del comitato IVA, la Corte ha già dichiarato, come è stato osservato sopra al punto 29, che la consultazione di tale comitato è un presupposto dell’adozione di qualsiasi misura basata su detta disposizione (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punti 61-63). 51 Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, la risposta a tale questione non può essere dedotta dalla soluzione elaborata dalla Corte nella citata sentenza Sudholz. Con tale sentenza, la Corte ha dichiarato segnatamente che l’art. 27 della sesta direttiva non imponeva al Consiglio di dare la sua autorizzazione a misure particolari derogatorie prese dagli Stati membri, prima dell’adozione di tali misure. Tuttavia, la procedura di consultazione prevista all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, in questione nella fattispecie, non ha il medesimo oggetto della procedura di autorizzazione prevista all’art. 27 della stessa direttiva. Non è dunque fondata la tesi del governo italiano secondo cui dalla sentenza Sudholz, citata, risulterebbe che la soluzione già fornita dalla Corte nella citata sentenza Metropol e Stadler andrebbe esclusa nella fattispecie. 52 Quanto alla prima questione, sub c), prima parte, con cui si chiede se l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva autorizzi uno Stato membro ad escludere taluni beni dal regime di detrazione dell’IVA senza limitazioni temporali, va ricordato che tale articolo autorizza gli Stati membri a escludere taluni beni dal regime delle detrazioni «per motivi congiunturali». 53 Tale disposizione autorizza dunque uno Stato membro ad adottare misure temporanee destinate ad ovviare alle conseguenze di una situazione congiunturale in cui si trova la sua economia in un determinato momento. Pertanto, l’applicazione delle misure a cui si riferisce tale disposizione deve essere limitata nel tempo e, per definizione, le medesime non possono essere di natura strutturale. 54 Ne consegue che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva non autorizza uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano beni dal regime delle detrazioni dell’IVA ove siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 68). 55 Pertanto, la prima questione pregiudiziale, sub b) e c), prima parte, va risolta dichiarando che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso non autorizza uno Stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’IVA senza previa consultazione del comitato IVA. La detta disposizione non autorizza nemmeno uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta ove siano privi di indicazioni quanto al loro limite temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico. Sulla prima questione, sub c), seconda parte, e sulla seconda questione 56 Con tali questioni, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se le autorità tributarie nazionali possano opporre ad un soggetto passivo una disposizione derogatoria al principio 128 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) del diritto alla detrazione dell’IVA che non sia stata introdotta conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Osservazioni presentate alla Corte 57 La Commissione sostiene che, secondo una costante giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punti 16-18), il diritto a detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, attribuisce al contribuente un diritto che può essere soggetto alle sole limitazioni stabilite dalla direttiva stessa. 58 Nel caso in cui uno Stato membro abbia introdotto una deroga nazionale al principio della detraibilità dell’IVA in violazione delle disposizioni della sesta direttiva, il contribuente ha diritto alla detrazione dell’IVA versata sui beni interessati dalla misura nazionale. In tal senso, al punto 64 della citata sentenza Metropol e Stadler, la Corte ha già dichiarato che, qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, che impone agli Stati membri un obbligo di consultazione, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art. 17, n. 1, della stessa direttiva. 59 Il governo italiano sostiene che, per il periodo 2000-2004, il rispetto della procedura prevista dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, il parere favorevole emesso dalla Commissione sulle domande di deroga e la situazione congiunturale in cui si trovava l’economia italiana ostano a che la normativa nazionale sia disapplicata e, quindi, al riconoscimento di un diritto di detrazione a favore del contribuente. 60 A parere del governo italiano, la seconda questione sarebbe doppiamente irricevibile. Da un lato, essa fa riferimento a periodi anteriori al 2000, che non sono oggetto della causa principale. 61 Dall’altro, tale questione, nella parte in cui parla di una limitazione della detrazione «in via oggettiva e senza limitazioni di tempo», sarebbe inconferente alla situazione in Italia tra il 2000 e il 2004. Infatti, una prima deroga è stata stabilita fino al 31 dicembre 2000 in seguito a consultazione del comitato IVA e parere favorevole della Commissione. La seconda deroga per tale periodo è stata chiesta con efficacia a partire dal 1º gennaio 2001 ed era preceduta da un parere favorevole della Commissione, che ha ritenuto che la misura fosse giustificata fino all’adozione della nuova direttiva. 62 Ad ogni modo, il governo italiano sostiene che il fatto che il comitato IVA prenda atto di una misura nazionale derogatoria successivamente all’adozione di tale misura non consente di considerarla illegittima, come statuito dalla Corte, in riferimento all’art. 27 della sesta direttiva, al punto 23 della sentenza Sudholz, citata. 63 La Stradasfalti sostiene che, nel caso di una violazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, l’art. 17, n. 2, della medesima direttiva osta ad una disposizione nazionale che impedisca ai soggetti passivi di esercitare pienamente e immediatamente il loro diritto alla 129 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) detrazione in relazione all’imposta versata per l’acquisto, l’impiego e la manutenzione di autoveicoli c.d. da turismo. Giudizio della Corte – Sulla ricevibilità della questione 64 Come è stato dichiarato al punto 46 della presente sentenza, il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta da tale giudice non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica o quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza Schneider, cit., punto 22). 65 Nella fattispecie, dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che, sebbene la causa principale riguardi solo l’IVA versata nel corso degli anni 2000-2004, anni per i quali le richieste di consultazione del comitato IVA, secondo il governo italiano, hanno sempre preceduto l’adozione del provvedimento nazionale di proroga, questo in realtà è entrato in vigore prima di tale periodo e viene sistematicamente prorogato da molti anni. Non appare quindi che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non abbia manifestamente alcuna relazione con l’oggetto della controversia. – Nel merito 66 In forza dell’obbligo generale sancito dall’art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE), gli Stati membri sono tenuti a conformarsi a tutte le disposizioni della sesta direttiva (v. sentenza 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz, Racc. pag. I-3795, punto 33). Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art. 17, n. 1, della stessa direttiva (v. sentenza Metropol e Stadler, citata, punto 64). 67 Nella controversia principale, anche se il governo italiano sostiene che le richieste di consultazione del comitato IVA, nel 1999 e nel 2000, hanno preceduto l’adozione della misura nazionale di proroga della disposizione derogatoria al principio del diritto a detrazione dell’IVA, è pacifico che tale disposizione, salvo modifiche di esigua importanza, è stata sistematicamente prorogata dal governo italiano a partire dal 1980. Essa non può presentare quindi un carattere temporaneo e non può nemmeno essere considerata motivata da ragioni congiunturali. Tale misura deve, di conseguenza, essere considerata parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale, non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. Il governo italiano non può dunque invocare tali misure a discapito di un soggetto passivo (v., in tal senso, sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 65). 68 Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura deve poter ricalcolare il suo debito IVA conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta. 130 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 69 Occorre dunque risolvere la prima questione, sub c), seconda parte, e la seconda questione nel senso che, qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art. 17, n. 1, della medesima direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo debito IVA conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta. Sulla richiesta di limitazione degli effetti nel tempo della sentenza 70 Il governo italiano ha evocato la possibilità che la Corte, nel caso in cui dovesse ritenere che le deroghe al diritto a detrazione per gli anni 2000-2004 non siano state introdotte conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, limiti nel tempo gli effetti della presente sentenza. 71 A sostegno di tale domanda, il governo italiano invoca il grave danno per l’erario che può essere causato dalla sentenza della Corte e la tutela del legittimo affidamento che esso poteva nutrire quanto alla conformità al diritto comunitario della misura in questione. Esso osserva, a tale riguardo, che la Commissione, nel 1999 e nel 2000, ha emesso un parere favorevole alle misure da adottare in attesa dell’approvazione della direttiva che doveva disciplinare in via organica la materia e che la Commissione non ha mai formulato alcuna contestazione alla Repubblica italiana circa il mantenimento della deroga. 72 Si deve rilevare che solo in via eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico comunitario, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Per stabilire se si debba limitare la portata di una sentenza nel tempo, è necessario tener conto del fatto che, benché le conseguenze pratiche di qualsiasi pronuncia del giudice vadano vagliate accuratamente, non ci si può tuttavia spingere fino a sminuire l’obiettività del diritto e compromettere la sua applicazione futura a motivo delle ripercussioni che la pronuncia può avere per il passato (sentenze 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag. 379, punti 28 e 30, nonché 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a., Racc. pag. I-4625, punto 30). 73 Nella fattispecie, se è vero che la Commissione ha avallato la domanda delle autorità italiane per gli anni in questione nella controversia principale, dalle osservazioni presentate alla Corte risulta tuttavia che il comitato IVA, fin dal 1980, ha costantemente segnalato al governo italiano come la deroga in questione non potesse giustificarsi sulla base dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, e che l’atteggiamento più conciliante adottato dal detto comitato nelle sue riunioni del 1999 e del 2000 si spiega alla luce dell’impegno assunto dalle autorità italiane di riesaminare la misura a partire dal 1º gennaio 2001, nonché sulla base delle prospettive allora aperte dalla proposta della Commissione di modificare la sesta direttiva per quanto concerne il regime del diritto alla detrazione dell’IVA. 74 Ciò premesso, le autorità italiane non potevano ignorare che una proroga sistematica, a partire dal 1979, di una misura derogatoria che doveva essere temporanea e che, in virtù della 131 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) lettera stessa dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, poteva essere giustificata solo da «motivi congiunturali», non era compatibile con tale articolo. 75 Le autorità italiane non possono, di conseguenza, far valere l’esistenza di rapporti giuridici costituiti in buona fede per chiedere alla Corte di limitare nel tempo gli effetti della sua sentenza. 76 Inoltre, il governo italiano non è riuscito a dimostrare l’affidabilità del calcolo in base al quale ha sostenuto dinanzi alla Corte che la presente sentenza rischierebbe, qualora i suoi effetti non fossero limitati nel tempo, di comportare conseguenze finanziarie rilevanti. 77 Di conseguenza, non occorre limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza. Sulle spese 78 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 1) L’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, impone che gli Stati membri, per rispettare l’obbligo procedurale di consultazione di cui all’art. 29 della medesima direttiva, informino il comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto istituito da tale articolo del fatto che essi intendono adottare una misura nazionale che deroga al regime generale delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto e che forniscano a tale comitato informazioni sufficienti per consentirgli di esaminare la misura con cognizione di causa. 2) L’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva 77/388 dev’essere interpretato nel senso che esso non autorizza uno Stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto senza previa consultazione del comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto, istituito all’art. 29 della detta direttiva. La detta disposizione non autorizza nemmeno uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta ove siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico. 3) Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva 77/388, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto enunciato dall’art. 17, n. 1, di tale direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della 132 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) sesta direttiva 77/388 nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta 08/05 Corte di Giustizia Pensione a transessuale secondo il nuovo sesso La Corte di Giustizia delle Comunità europee, con sentenza depositata lo scorso 28 aprile, ha stabilito che il rifiuto di concedere una pensione, alla stessa età di una donna, ad una transessuale passata dal sesso maschile al sesso femminile viola il diritto comunitario, ed in particolare la direttiva 79/7/CEE sulla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale. La vicenda si è svolta nel Regno Unito, nel cui ordinamento gli uomini possono beneficiare di una pensione di vecchiaia all'età di 65 anni e le donne all'età di 60 anni. Si è posta questione circa la corretta età pensionabile da riconoscere ad una transessuale divenuta donna, per effetto di successivo intervento chirurgico. Secondo la Corte di Gisutizia, il diritto di non essere discriminati in ragione del proprio sesso, uno dei diritti fondamentali della persona umana, è ì applicabile alle discriminazioni determinate dal cambiamento di sesso dell'interessato. Corte di Giustizia, Prima Sezione Sentenza del 27 aprile 2006 (presidente Jann, estensore Cunha Rodrigues) Nel procedimento C-423/04, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Social Security Commissioner (Regno Unito), con decisione 14 settembre 2004, pervenuta in cancelleria il 4 ottobre 2004, nella causa tra Sarah Margaret R. E Secretary of State for Work and Pensions, 1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione degli artt. 4 e 7 della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24). 2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra la sig.ra R., una persona che si è sottoposta ad un intervento chirurgico di mutamento di sesso, e il Secretary of State 133 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) for Work and Pensions (segretario di Stato per il lavoro e per le pensioni; in prosieguo: il «Secretary of State») relativa al rifiuto di quest'ultimo di concederle una pensione di vecchiaia a partire dal compimento del suo sessantesimo anno di età. Il contesto normativo La normativa comunitaria 3. Ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva 79/7: «Il principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda: – il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi, – l'obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi, – il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni». 4. L’art. 7, n. 1, della stessa direttiva prevede che quest'ultima non pregiudichi la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione: «a) la fissazione del limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni; La normativa nazionale 5. L'art. 29, nn. 1 e 3, della legge del 1953 sulla registrazione delle nascite e dei decessi (Birth and Deaths Registration Act 1953) vieta ogni modifica al registro degli atti di nascita, salvo nel caso di errore di scrittura o di errore materiale 6. L’art. 44 della legge del 1992 relativa ai contributi e alle prestazioni di sicurezza sociale (Social Security Contributions and Benefits Act 1992) prevede che una persona possa beneficiare di una pensione di vecchiaia di categoria A (pensione di vecchiaia «normale») quando essa raggiunga l'età pensionabile e soddisfi diverse condizioni in materia di contributi. 7. Secondo l'allegato 4, parte I, art. 1, della legge del 1995 relativa alle pensioni di vecchiaia (Pensions Act 1995), un uomo raggiunge l'età della pensione a 65 anni e una donna nata prima del 6 aprile 1950 a 60 anni. 8. Il 1° luglio 2004 è stata adottata la legge del 2004 sul riconoscimento del genere (Gender Recognition Act 2004; in prosieguo: la «legge del 2004»), entrata in vigore il 4 aprile 2005. 9. Detta legge consente alle persone che abbiano già mutato sesso o che prevedano di sottoporsi ad un apposito intervento chirurgico di chiedere il rilascio di un certificato di 134 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) riconoscimento del genere («gender recognition certificate»), in base al quale può essere ottenuto un riconoscimento quasi completo del loro mutamento di sesso. 10. Ai sensi dell'art. 2, n. 1, della legge del 2004, il certificato di riconoscimento del genere deve essere rilasciato qualora il richiedente soddisfi in particolare le seguenti condizioni: «a) è o è stato affetto da disforia sessuale, b) alla data della richiesta ha vissuto nel sesso acquisito per un periodo di due anni, 11. L’art. 9, n. 1, della legge del 2004 dispone: «Quando ad una persona è rilasciato un certificato completo di riconoscimento del genere, il sesso di detta persona diviene ad ogni effetto il sesso acquisito (cosicché, in caso di nuova identità sessuale maschile, la persona è considerata di sesso maschile e, in caso di nuova identità sessuale femminile, essa è considerata di sesso femminile». 12. In base all'art. 9, n. 2, della legge del 2004, il certificato di riconoscimento del genere non produce effetti sugli atti compiuti o sui fatti occorsi precedentemente al suo rilascio. 13. Riguardo alle prestazioni di vecchiaia, l'allegato 5, parte II, art. 7, n. 3, della legge del 2004 prevede: « se (immediatamente prima che il certificato sia rilasciato) la persona a) è un uomo che ha raggiunto l'età alla quale una donna raggiunge l'età pensionabile, ma b) non ha raggiunto l'età di 65 anni, la persona in questione deve essere considerata come se avesse raggiunto l'età pensionabile quando detto certificato è stato rilasciato». La causa principale e le questioni pregiudiziali 14. La sig.ra R., ricorrente nella causa principale, è nata il 28 febbraio 1942 e nel suo atto di nascita è stata registrata come persona di sesso maschile. Essendole stata diagnosticata una disforia sessuale, essa si è sottoposta il 3 maggio 2001 ad un intervento chirurgico di mutamento di sesso. 15. Il 14 febbraio 2002 essa ha presentato domanda al Secretary of State per beneficiare di una pensione di vecchiaia a partire dal 28 febbraio 2002, data in cui essa compiva 60 anni, età alla quale, ai sensi del diritto nazionale, una donna nata prima del 6 aprile 1950 può ottenere una pensione di vecchiaia. 135 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 16. Con decisione 12 marzo 2002, la detta domanda è stata respinta in quanto essa «[era] stata presentata più di quattro mesi prima che il richiedente compisse i 65 anni», vale a dire l'età pensionabile prevista per gli uomini nel Regno Unito. 17. Poiché il ricorso proposto dalla signora R. dinanzi al Social Security Appeal Tribunal (Commissione di secondo grado per la legislazione sociale) è stato respinto, quest'ultima ha adito il Social Security Commissioner, rilevando che, a seguito della sentenza della Corte 7 gennaio 2004, causa C-117/01, K. B. (Racc. pag. I-541), il rifiuto di corrisponderle una pensione di vecchiaia a partire dall'età di 60 anni costituiva una violazione dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché una discriminazione contraria all'art. 4 della direttiva 79/7. 18. Dinanzi al giudice del rinvio, il Secretary of State ha sostenuto che la domanda della ricorrente nella causa principale non rientrasse nell'ambito di applicazione della detta direttiva. Infatti, secondo lo stesso, il diritto comunitario prevede, riguardo alle prestazioni di vecchiaia, soltanto misure di armonizzazione, senza pertanto attribuire il diritto di ottenere siffatte prestazioni. Inoltre, la sig.ra R. non sarebbe stata discriminata nei confronti delle persone che costituiscono l'adeguato elemento di comparazione, vale a dire gli uomini che non si sono sottoposti ad un intervento chirurgico di mutamento di sesso. 19. Al fine di risolvere la controversia, il Social Security Commissioner ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) se la direttiva 79/7 osti al rifiuto di una pensione di vecchiaia, prima del raggiungimento dei 65 anni di età, ad una persona transessuale passata dal sesso maschile a quello femminile, quando invece essa avrebbe avuto diritto a detta pensione all’età di 60 anni se fosse stata considerata una donna in base al diritto nazionale; 2) in caso affermativo, a partire da quale data debba avere effetto la pronuncia della Corte sulla prima questione.» Sulla prima questione 20. Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’art. 4, n. 1, della direttiva 79/7 osti ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia ad una persona passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto i 65 anni di età, quando invece questa stessa persona avrebbe avuto diritto a detta pensione all'età di 60 anni se fosse stata considerata una donna in base al diritto nazionale. 21. In via preliminare, si deve rilevare che spetta agli Stati membri determinare le condizioni del riconoscimento giuridico del mutamento di sesso di una persona (v., in tal senso, sentenza K. B., cit., punto 35). 22. Per rispondere alla questione, si deve sottolineare anzitutto che la direttiva 79/7 costituisce l'espressione, nell'ambito della sicurezza sociale, del principio di parità di trattamento tra uomini e donne, che è uno dei principi fondamentali del diritto comunitario. 136 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 23. Inoltre, in conformità ad una giurisprudenza costante della Corte, il diritto di non essere discriminata in ragione del proprio sesso costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana, di cui la Corte deve garantire l'osservanza (v. sentenze 15 giugno 1978, causa 149/77, Defrenne, Racc. pag. 1365, punti 26 e 27, nonché 30 aprile 1996, causa C-13/94, P./S., Racc. pag. I-2143, punto 19). 24. Di conseguenza, la sfera d'applicazione della direttiva non può essere ridotta soltanto alle discriminazioni dovute all'appartenenza all'uno o all'altro sesso. Tenuto conto del suo scopo e della natura dei diritti che mira a proteggere, la direttiva può applicarsi anche alle discriminazioni che hanno origine nel mutamento di sesso dell'interessata (v., a proposito della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), sentenza P./S., cit., punto 20). 25. Il governo del Regno Unito sostiene che i fatti all'origine della controversia di cui alla causa principale sono conseguenza della scelta operata dal legislatore nazionale di stabilire una diversa età pensionabile per gli uomini e per le donne. Poiché una siffatta facoltà è espressamente accordata agli Stati membri ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7, questi ultimi sarebbero autorizzati a derogare al principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di pensioni di vecchiaia. Il fatto che, come nella causa principale, la distinzione del regime pensionistico in funzione del sesso pregiudichi i diritti dei transessuali sarebbe priva di importanza.. 26. Tale argomento non può essere accolto. 27. La sig.ra R. sostiene che le sia stato impedito di godere di una pensione di vecchiaia dal momento in cui essa avesse raggiunto l'età di 60 anni, vale a dire dal momento in cui le donne nate prima del 6 aprile 1950 possono godere di detta pensione nel Regno Unito. 28. La disparità di trattamento controversa nella causa principale è dovuta all'impossibilità per la sig.ra R. di vedersi riconoscere, ai fini dell'applicazione della legge del 1995 relativa alle pensioni di vecchiaia, il nuovo sesso da essa acquisito a seguito di un intervento chirurgico. 29. Contrariamente alle donne il cui genere non risulta da un intervento chirurgico di mutamento di sesso, le quali possono beneficiare di una pensione di vecchiaia all'età di 60 anni, la sig.ra R. non può soddisfare una delle condizioni di accesso alla detta pensione, nella fattispecie quella relativa all'età pensionabile. 30. Poiché consegue ad una conversione sessuale, la disparità di trattamento che ha colpito la sig.ra R. dev'essere considerata una discriminazione vietata dall'art. 4, n. 1, della direttiva 97/7. 31. Infatti la Corte ha già dichiarato che una normativa nazionale che impedisce che un transessuale, a causa del mancato riconoscimento del suo sesso acquisito, possa soddisfare una condizione necessaria all'esercizio di un diritto tutelato dal diritto comunitario dev'essere 137 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) considerata in linea di principio incompatibile con le prescrizioni del diritto comunitario (v. sentenza K. B., cit., punti 30-34). 32. Il governo del Regno Unito rileva che nessun diritto attribuito dal diritto comunitario è stato violato attraverso la decisione 12 marzo 2002 di diniego della pensione, poiché il diritto a beneficiare di una pensione di vecchiaia deriva soltanto dal diritto nazionale. 33. Al riguardo è sufficiente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il diritto comunitario non menoma la competenza degli Stati membri ad organizzare i loro sistemi previdenziali, e che, in mancanza di un'armonizzazione a livello comunitario, spetta alla normativa di ciascuno Stato membro determinare, da un lato, le condizioni del diritto o dell'obbligo di iscriversi a un regime di previdenza sociale e, dall'altro, le condizioni cui è subordinato il diritto a prestazioni (sentenze 12 luglio 2001, causa C-157/99, Smits e Peerbooms, Racc. pag. I-5473, punti 44-46, e 4 dicembre 2003, causa C-92/02, Kristiansen, Racc. pag. I-14597, punto 31). 34. Peraltro, le discriminazioni contrarie all'art. 4, n. 1, della direttiva 97/7 ricadono nell'ambito della deroga prevista dall'art. 7, n. 1, lett. a), di questa stessa direttiva soltanto a condizione di essere necessarie per raggiungere gli obiettivi che la direttiva intende perseguire, lasciando agli Stati membri la facoltà di mantenere un'età pensionabile diversa per gli uomini e per le donne (sentenza 7 luglio 1992, causa C-9/91, Equal Opportunities Commission, Racc. pag. I-4297, punto 13). 35. Benché i ‘considerando’ della direttiva non precisino la ragion d'essere delle deroghe che essa prevede, dalla natura delle deroghe che figurano all'art. 7, n. 1, della direttiva si può dedurre che il legislatore comunitario ha inteso autorizzare gli Stati membri a mantenere temporaneamente, in materia di pensioni di vecchiaia, i benefici riconosciuti alle donne, al fine di consentire loro di procedere gradualmente ad una modifica dei sistemi pensionistici su tale punto senza perturbare il complesso equilibrio finanziario di questi sistemi, di cui non poteva disconoscere l'importanza. Tra questi benefici figura in particolare la possibilità, per i lavoratori di sesso femminile, di beneficiare del diritto alla pensione prima dei lavoratori di sesso maschile, come prevede l'art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva (sentenza Equal Opportunities Commission, cit., punto 15). 36. Secondo una giurisprudenza costante, la deroga al divieto delle discriminazioni fondate sul sesso, prevista nell'art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7, dev'essere interpretata in modo restrittivo (v. sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 36, e causa 262/84, Beets-Proper, Racc. pag. 773, punto 38, e 30 marzo 1993, causa C-328/91, Thomas e a., Racc. pag. I-1247, punto 8). 37. Pertanto tale disposizione dev'essere interpretata nel senso che essa si limita a stabilire una diversa età pensionabile per gli uomini e per le donne. La causa principale non riguarda tuttavia una siffatta misura. 38. Da quanto precede risulta che l’art. 4, n. 1, della direttiva 79/7 osta ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia ad una persona che, in conformità alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, sia passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto l'età di 65 anni, quando invece questa stessa persona 138 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) avrebbe avuto diritto a detta pensione all'età di 60 anni se fosse stata considerata come donna in base al diritto nazionale. Sulla seconda questione 39. Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, nel caso in cui la Corte dovesse dichiarare che la direttiva 79/7 osti alla normativa nazionale controversa nella causa principale, se gli effetti di una tale sentenza debbano essere limitati nel tempo. 40. Solo in via eccezionale, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all'ordinamento giuridico comunitario, la Corte può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede (sentenze 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag. 379, punto 28, e 23 maggio 2000, causa C-104/98, Buchner e a., Racc. pag. I3625, punto 39). 41. Inoltre, secondo costante giurisprudenza, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione dell'efficacia nel tempo di tale sentenza (sentenze 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk, Racc. pag. I-6193, cit., punto 52, e 15 marzo 2005, causa C-209/03, Bidar, Racc. pag. I-2119, punto 68). 42. La Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, quando, da un lato, vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all'elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente, e quando, dall'altro, risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione (sentenza Bidar, cit., punto 69). 43. Nel caso di specie, l'entrata in vigore, il 4 aprile 2005, della legge del 2004 ha l'effetto di far venir meno controversie quali quella che ha dato luogo alla causa principale. Inoltre, sia nelle osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte, sia in udienza, il governo del Regno Unito non ha mantenuto la domanda presentata nell'ambito della causa principale riguardante la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza. 44. Di conseguenza, si deve rispondere alla seconda questione che non è necessario limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza. Sulle spese 45. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione. P.Q.M. 139 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 1) L’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, osta ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia ad una persona che, in conformità alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, sia passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto l'età di 65 anni, quando invece questa stessa persona avrebbe avuto diritto a detta pensione all'età di 60 anni se fosse stata considerata una donna in base al diritto nazionale. 2) Non è necessario limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza. 31/03 Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea CAF fuorilegge secondo il diritto comunitario Il diritto esclusivo dei centri di assistenza fiscale italiani di compilare la dichiarazione dei redditi dei lavoratori è incompatibile col diritto comunitario. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia delle Comunità Europee con una sentenza depositata ieri, 30 marzo, nella causa C451/03 (ADC Servizi Srl / Calafiori). Secondo la Corte europea, un siffatto diritto esclusivo costituisce una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi. Occorre premettere che la normativa italiana riserva esclusivamente ai centri di assistenza fiscale (CAF) il diritto di esercitare determinate attività di consulenza e di assistenza in materia tributaria, tra le quali rientrano le attività relative alla dichiarazione annuale dei redditi dei lavoratori dipendenti e assimilati. I CAF possono essere costituiti solo da taluni organismi (associazioni datoriali o organizzazioni sindacali aventi complessivamente almeno 50.000 aderenti o sostituti d'imposta, aventi almeno 50.000 dipendenti, o associazioni di lavoratori promotrici di istituti di patronato aventi almeno 50.000 aderenti). Essi esercitano la loro attività previa autorizzazione del Ministero delle Finanze e ricevono, per ciascuna dichiarazione elaborata e trasmessa all'amministrazione fiscale, un compenso a carico del bilancio dello Stato. La ADC Servizi, società con sede a Milano, aveva ad oggetto l'assistenza e la consulenza in materia contabile e amministrativa. Nel 2003, essa ha adottato un nuovo statuto per tener conto del fatto che la società esercitava anche attività di assistenza fiscale per le imprese, per i lavoratori e per i pensionati. Il notaio verbalizzante, sig. Calafiori, ha rifiutato di procedere all'iscrizione di questa decisione nel registro delle imprese di Milano, ritenendo che la modifica dello statuto, con la quale si autorizzava la società ad esercitare le dette attività di assistenza fiscale, fosse incompatibile con la normativa italiana sui CAF. La ADC, ritenendo che questa normativa fosse incompatibile col diritto comunitario, ha presentato un ricorso dinanzi ai giudici italiani contro il rifiuto dell'iscrizione richiesta. La Corte d'appello di Milano ha quindi sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunità europee alcune questioni pregiudiziali riguardanti, in particolare, la compatibilità della normativa italiana con le norme comunitarie in materia di libera prestazione di servizi, libertà di stabilimento e aiuti di Stato. 140 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) La Corte di Giustizia ha rilevato innanzitutto che, in relazione alla libera prestazione di servizi, la normativa italiana, riservando le dette attività di consulenza e di assistenza ai CAF, impedisce totalmente l'accesso al mercato dei detti servizi agli operatori economici stabiliti in altri Stati membri. Inoltre, per quanto riguarda la libertà di stabilimento, una tale normativa, limitando la possibilità di costituire i CAF a taluni organismi che soddisfano condizioni tassative e a taluni di questi organismi aventi la loro sede in Italia, rischia di rendere più difficile, se non impedire totalmente, l'esercizio da parte degli operatori economici provenienti da altri Stati membri del loro diritto di stabilirsi in Italia al fine di fornire i servizi in questione. In tale contesto, l'attribuzione di una competenza esclusiva ai CAF di offrire i detti servizi costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi, vietata dal diritto comunitario. Questa restrizione non è giustificata dall'interesse pubblico collegato alla tutela dei destinatari dei servizi di cui trattasi nei confronti del danno che essi potrebbero subire a causa di servizi prestati da soggetti che non abbiano le necessarie qualifiche professionali o morali. Infatti, gli organismi autorizzati a costituire i CAF non offrono garanzie e competenze professionali specifiche. In definitiva, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi si oppongono ad una normativa nazionale che riserva esclusivamente ai CAF il diritto di esercitare talune attività di consulenza e di assistenza in materia fiscale. In relazione infine al compenso versato ai CAF a carico del bilancio dello Stato, la Corte conclude che spetta al giudice nazionale valutare, in concreto, se esso costituisca un aiuto di Stato ai sensi del Trattato CE. 22/03Riconoscimento diplomi in Europa La Corte di Giustizia interpreta la direttiva 89/48/CEE (il caso di un ingegnere italiano in Spagna) Corte di Giustizia delle Comunità Europee Sentenza del 19 gennaio 2006 (prima sezione) (procedimento C-330/03) Libera circolazione dei lavoratori – Riconoscimento dei diplomi – Direttiva 89/48/CEE – Professione di ingegnere (nella specie italiano, stabilito in Spagna) – Riconoscimento parziale e limitato delle qualifiche professionali – Artt. 39 CE e 43 CE 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione degli artt. 3, primo comma, lett. a), e 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16; in prosieguo: la «direttiva»), oltre che degli artt. 39 CE e 43 CE. 141 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2 La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il Colegio de Ingenieros de Caminos, Canales y Puertos (Ordine degli ingegneri civili spagnoli; in prosieguo: il «Colegio») e l’Administración del Estado relativamente alla domanda del sig. Imo, cittadino italiano, in possesso di un diploma di laurea in ingegneria civile ad indirizzo idraulico, ottenuto in Italia, finalizzata a poter accedere alla professione di ingegnere civile in Spagna. Contesto normativo Diritto comunitario 3 La direttiva ha lo scopo di istituire un metodo di riconoscimento dei diplomi atto a facilitare ai cittadini europei l’esercizio di tutte le attività professionali subordinate in un determinato Stato membro ospitante al possesso di una formazione di livello universitario, sempreché essi siano in possesso di diplomi che li preparino a dette attività, sanzionino un ciclo di studi di almeno tre anni e siano stati rilasciati in un altro Stato membro. 4 Ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva, per «professione regolamentata» si intende «l’attività o l’insieme delle attività professionali regolamentate che costituiscono questa professione in uno Stato membro». 5 L’art. 3, primo comma, della direttiva così prevede: «Quando nello Stato membro ospitante l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l’autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini: a) se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro 6 L’art. 4, n. 1, della direttiva prevede quanto segue: «L’articolo 3 non osta a che lo Stato membro ospitante esiga inoltre che il richiedente: a) provi che possiede un’esperienza professionale, quando la durata della formazione addotta a norma dell’articolo 3, lettere a) e b) è inferiore di almeno un anno a quella prescritta nello Stato membro ospitante. b) compia un tirocinio di adattamento, per un periodo massimo di tre anni, o si sottoponga a una prova attitudinale: – quando la formazione ricevuta conformemente all’articolo 3, lettere a) e b) verte su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate nel diploma prescritto nello Stato membro ospitante, oppure – quando, nel caso di cui all’articolo 3, lettera a), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione regolamentata nello Stato membro di origine o provenienza del richiedente, e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal diploma dichiarato dal richiedente 142 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 7 L’art. 7 della direttiva disciplina il diritto di coloro che si servono del sistema comunitario di riconoscimento dei diplomi di fregiarsi dei propri titoli professionali e di fare uso dei propri titoli di studio. L’art. 7, nn. 1 e 2, è del seguente tenore: «1. L’autorità competente dello Stato membro ospitante riconosce ai cittadini degli altri Stati membri, che soddisfino alle condizioni di accesso e di esercizio di una professione regolamentata sul suo territorio, il diritto di fregiarsi del titolo professionale dello Stato membro ospitante che corrisponde a questa professione. 2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante riconosce ai cittadini degli Stati membri, che soddisfino alle condizioni di accesso e di esercizio di una attività professionale regolamentata sul suo territorio, il diritto di avvalersi del loro legittimo titolo di studio ed eventualmente della relativa abbreviazione, dello Stato membro di origine o di provenienza, nella lingua di tale Stato. Lo Stato membro ospitante può prescrivere che il titolo sia seguito dal nome e dal luogo dell’istituto o della commissione che lo ha rilasciato». Diritto nazionale 8 Alla direttiva è stata data esecuzione, nel diritto spagnolo, con il regio decreto 25 ottobre 1991, n. 1665/1991, che disciplina il sistema generale di riconoscimento dei titoli d’istruzione superiore degli Stati membri dell’Unione europea che richiedono una formazione di durata almeno triennale (BOE 22 novembre 1991, n. 280, pag. 37916). Gli artt. 4 e 5 di tale decreto riprendono in sostanza le disposizioni degli artt. 3 e 4 della direttiva. 9 Ai sensi della normativa spagnola, la professione di «ingeniero de caminos, canales y puertos» (in prosieguo: di «ingegnere civile») abbraccia un ampio ambito di attività, come la progettazione e la costruzione di impianti idraulici, di infrastrutture per trasporti terrestri, marittimi e fluviali, la protezione delle spiagge e la pianificazione territoriale, anche urbanistica. Risulta dall’ordinanza di rinvio che si tratta di una professione regolamentata, poiché l’accesso ad essa e il suo esercizio sono subordinati al possesso di un titolo di studio spagnolo, conferito al termine di una formazione specifica di livello universitario di sei anni, o di una formazione equivalente ottenuta in un altro Stato membro e riconosciuta dal Ministero per la Promozione dello Sviluppo. Chiunque desideri esercitare tale professione in Spagna deve previamente iscriversi al Colegio, e tale iscrizione è subordinata al possesso della formazione appena descritta. Causa principale e questioni pregiudiziali 10 Il sig. Imo è in possesso di un diploma di laurea in ingegneria civile idraulica, conseguito in Italia, il quale consente, in tale Stato, di esercitare la professione di ingegnere civile in ambito idraulico. Il 27 giugno 1996 egli ha chiesto al Ministero spagnolo per la Promozione dello Sviluppo il riconoscimento del suo diploma al fine di poter accedere, in Spagna, alla professione di ingegnere civile. 11 Con provvedimento 4 novembre 1996, il citato Ministero ha riconosciuto il diploma del sig. Imo e lo ha autorizzato ad accedere alla professione di ingegnere civile in Spagna senza alcuna condizione preliminare. 143 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 12 Il Collegio ha impugnato tale provvedimento dinanzi all’Audiencia Nacional (Tribunale spagnolo con competenze speciali e giurisdizione su tutto il territorio nazionale). Nel corso del procedimento, esso ha insistito sulla differenza fondamentale tra la professione di ingegnere civile in Spagna e quella di ingegnere civile in ambito idraulico in Italia, sia sul piano dei contenuti della formazione che su quello delle attività abbracciate da ciascuna di tali professioni. 13 Con decisione 1 aprile 1998, l’Audiencia Nacional ha respinto il ricorso, in particolare poiché il diploma di ingegneria civile ad indirizzo idraulico consentirebbe, in Italia, di accedere alla medesima professione svolta da un ingegnere civile in Spagna. D’altra parte, tale giudice ha osservato che la formazione ricevuta dal titolare del citato diploma in ingegneria comprendeva le materie fondamentali richieste in Spagna per il settore dell’ingegneria di cui si discute. 14 Il Colegio ha presentato ricorso per cassazione dinanzi al Tribunal Supremo. Quest’ultimo ha subito osservato che le due formazioni comportano rilevanti differenze sostanziali e che quindi la valutazione dei fatti compiuta dall’Audiencia Nacional era errata. 15 In tale contesto, il Tribunal Supremo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 3, lett. a), e 4, n. 1, della direttiva 21 dicembre 1988, 89/48 (…), consenta allo Stato ospitante di procedere a un riconoscimento limitato delle qualifiche professionali di un richiedente in possesso del titolo di ingegnere civile idraulico (rilasciato in Italia) che intenda esercitare la professione in un altro Stato membro la cui legislazione riconosce come professione regolamentata quella di Ingeniero de Caminos, Canales y Puertos. Si parte dal presupposto che quest’ultima professione comprende nello Stato ospitante attività non sempre corrispondenti con il titolo del richiedente e che la formazione riconosciuta in capo a quest’ultimo non comprende materie fondamentali richieste, a carattere generale, al fine di ottenere il titolo di Ingeniero de Caminos, Canales y Puertos nello Stato ospitante. 2) In caso di soluzione affermativa alla prima questione: se sia conforme agli artt. 39 CE e 43 CE il fatto d’imporre restrizioni ai richiedenti che intendano esercitare la loro professione, per conto proprio o di terzi, in uno Stato membro diverso da quello nel quale hanno conseguito la qualifica professionale, nel senso che il detto Stato ospitante possa escludere, con le sue norme interne, il riconoscimento limitato delle qualifiche professionali, qualora una tale decisione, conforme in linea di principio all’art. 4 della direttiva 89/48 , implichi l’imposizione di requisiti supplementari sproporzionati ai fini dell’esercizio della professione. Per riconoscimento limitato s’intende, in questa sede, quello che autorizzerebbe il richiedente ad esercitare la propria attività di ingegnere soltanto nel settore corrispondente (quello idraulico) della professione, più ampia, di Ingeniero de Caminos, Canales y Puertos, regolamentata nello Stato ospitante, senza imporgli i requisiti supplementari di cui all’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48 Sulle questioni pregiudiziali 144 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Sulla prima questione 16 Con la prima questione il giudice della causa principale chiede, in sostanza, se la direttiva osti al fatto che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richiede l’autorizzazione per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, le autorità di tale ultimo Stato accolgano la domanda parzialmente, a determinate condizioni, limitando la portata dell’autorizzazione alle sole attività alle quali il diploma in questione dà accesso nello Stato membro in cui è stato conseguito. 17 Per rispondere a tale questione è necessario esaminare, in primo luogo, la formulazione delle pertinenti disposizioni della direttiva, in secondo luogo, il sistema e la ratio generale di quest’ultima e, in terzo luogo, gli obiettivi che essa persegue. 18 Innanzitutto, va ricordato che il testo della direttiva non consente né vieta esplicitamente il riconoscimento parziale delle qualifiche professionali, come definito nell’ordinanza di rinvio. Infatti, il divieto previsto dall’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva non osta ad un simile riconoscimento parziale, poiché un provvedimento assunto su domanda dell’interessato, che autorizzi quest’ultimo ad accedere ad una parte soltanto dell’ambito di attività compreso nella professione regolamentata nello Stato membro ospitante, non può essere equiparato ad un rifiuto d’accesso a tale professione. 19 Inoltre, per quanto riguarda il sistema della direttiva, va ricordato che il sistema di mutuo riconoscimento dei diplomi istituito dalla direttiva non implica che i diplomi rilasciati da altri Stati membri attestino una formazione analoga o comparabile a quella prescritta dallo Stato membro ospitante. Infatti, secondo il sistema creato dalla direttiva, un diploma non è riconosciuto in ragione del valore intrinseco della formazione che sanziona, ma in quanto dà accesso, nello Stato membro in cui è stato rilasciato o riconosciuto, ad una professione regolamentata. Differenze nell’organizzazione o nel contenuto della formazione acquisita nello Stato membro di provenienza rispetto a quella impartita nello Stato membro ospitante non possono bastare a giustificare il rifiuto di riconoscimento della qualifica professionale di cui si tratta. Al massimo, se tali differenze sono di natura sostanziale, possono giustificare che lo Stato membro ospitante esiga che il richiedente soddisfi l’una o l’altra misura di compensazione prevista dall’art. 4 della direttiva (v., in tal senso, sentenza 29 aprile 2004, causa C-102/02, Beuttenmüller, Racc. pag. I-5405, punto 52). 20 Ne consegue che, come giustamente rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 40-43 delle sue conclusioni, l’espressione «questa stessa professione», contenuta all’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva, deve essere intesa come riferita a professioni che sono, nello Stato di provenienza e in quello ospitante, o identiche o analoghe o, in certi casi, semplicemente equivalenti per quanto riguarda le attività in cui esse si estrinsecano. Tale interpretazione è confermata dall’art. 4, n. 1, lett. b), secondo trattino, della direttiva. Nei casi a cui tale disposizione si riferisce, le autorità nazionali competenti devono considerare tutte le attività riferite alla professione in questione nei due Stati membri interessati, per determinare se se si tratti effettivamente della «stessa professione» e se, eventualmente, sia necessario applicare una delle misure di compensazione previste da tale norma. Ciò significa che, anche se la direttiva concepisce una professione regolamentata come un insieme unitario, essa riconosce tuttavia l’esistenza effettiva di attività professionali distinte e di formazioni corrispondenti. Di conseguenza, considerare separatamente ciascuna delle attività 145 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) professionali riferite ad una professione regolamentata non è contrario né estraneo alla ratio generale della direttiva. 21 La posizione contraria, sostenuta sul punto dai governi spagnolo e svedese, non può essere accolta. Infatti, anche se l’art. 3, primo comma, della direttiva fissa il diritto del cittadino di uno Stato membro, titolare di un diploma previsto dalla direttiva, all’«accesso e/o [all’]esercizio [della] professione [sancita da tale diploma], alle stesse condizioni che vengono applicate ai (…) cittadini» del detto Stato, tale disposizione non può essere interpretata nel senso che essa imponga, sempre e senza alcuna eccezione, di consentire l’accesso integrale a tutte le attività relative a tale professione nello Stato membro ospitante. Come ha in sostanza rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 48-53 delle sue conclusioni, tale frase è una mera riformulazione dei principi fondamentali di non discriminazione e di reciproco affidamento, che sono insiti nel sistema comunitario di riconoscimento dei diplomi. 22 Quanto all’art. 7, n. 1, della direttiva, esso prevede che le autorità competenti dello Stato membro ospitante riconoscano ai cittadini degli altri Stati membri che soddisfano le condizioni di accesso e di esercizio di una professione regolamentata nel suo territorio il diritto di fregiarsi del titolo professionale dello Stato membro ospitante che corrisponde a questa professione. Tale disposizione, che riguarda le conseguenze concrete dell’applicazione delle norme di cui agli artt. 3 e 4 della medesima direttiva, ha l’obiettivo di agevolare l’assimilazione dei cittadini degli altri Stati membri, che abbiano conseguito il proprio titolo in tali Stati, ai cittadini dello Stato membro ospitante che abbiano acquisito la loro qualifica professionale nel medesimo. Tuttavia, il riconoscimento del diritto di fregiarsi del detto titolo professionale previsto dal citato art. 7, n. 1, è possibile solo quando gli interessati soddisfano tutte le condizioni di accesso e di esercizio prescritte per la professione di cui trattasi. 23 Infine, il ragionamento appena svolto è confermato in pieno da un’interpretazione teleologica della direttiva. Infatti, risulta dal terzo e dal tredicesimo ‘considerando’ della direttiva che il suo obiettivo principale è quello di agevolare l’accesso dei titolari di diplomi conferiti in uno Stato membro alle attività professionali corrispondenti negli altri Stati membri, e di rafforzare il diritto dei cittadini europei ad utilizzare le loro conoscenze professionali in tutti gli Stati membri. Va inoltre osservato che la direttiva è stata adottata sulla base dell’art. 57, n. 1, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 47, n. 1, CE). Ebbene, emerge dal testo di tale ultimo articolo che le direttive come quella della quale si discute in questa sede mirano a facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, certificati ed altri titoli stabilendo norme e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli. Per contro, esse non hanno come obiettivo e non possono avere come effetto quello di rendere più difficile il riconoscimento di tali diplomi, certificati ed altri titoli nelle situazioni da esse non contemplate (sentenza 22 gennaio 2002, causa C-31/00, Dreessen, Racc. pag. I-663, punto 26). 24 A tale proposito, va osservato che l’ambito di applicazione dell’art. 4, n. 1, della direttiva, il quale esplicitamente consente misure di compensazione, deve essere limitato ai casi in cui queste ultime si rivelano proporzionate al fine perseguito. In altri termini, sebbene siano espressamente autorizzate, tali misure possono, in taluni casi, rappresentare un elemento in grado di dissuadere pesantemente il cittadino di uno Stato membro dall’esercitare i diritti che gli sono conferiti dalla direttiva. Infatti, un tirocinio di adattamento e una prova attitudinale 146 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) richiedono entrambi un tempo e uno sforzo considerevoli da parte dell’interessato. La disapplicazione di tali misure può rivelarsi importante, se non addirittura decisiva, per il cittadino di uno Stato membro che desideri accedere, in un altro Stato membro, ad una professione regolamentata. In un caso come quello di cui alla causa principale, un accesso parziale alla professione in questione, concesso su domanda dell’interessato, che non imponga a quest’ultimo misure di compensazione e gli consenta un accesso immediato alle attività professionali per le quali egli è già qualificato, sarebbe conforme agli obiettivi perseguiti dalla direttiva. 25 Ne consegue dunque che né il tenore, né il sistema, né gli obiettivi della direttiva escludono la possibilità di un accesso parziale ad una professione regolamentata, nei termini di cui all’ordinanza di rinvio. Si potrebbe certo sostenere, come fanno il governo spagnolo e quello svedese, che un simile accesso parziale potrebbe comportare un rischio di moltiplicazione delle attività professionali esercitate in modo autonomo da cittadini di altri Stati membri, e di conseguenza una certa confusione nella mente dei consumatori. Tuttavia, tale rischio potenziale non è sufficiente per affermare l’incompatibilità con la direttiva di un riconoscimento parziale dei titoli professionali. Esistono infatti mezzi sufficientemente efficaci per porvi rimedio, come la possibilità di obbligare gli interessati ad indicare nome e luogo dell’istituzione o della commissione che ha conferito loro il titolo di studio. Inoltre, lo Stato membro ospitante può sempre obbligare gli interessati ad utilizzare, per tutti i rapporti giuridici e commerciali nel suo territorio, sia il titolo di studio ovvero il titolo professionale nella lingua e nella forma originale che la sua traduzione nella lingua ufficiale dello Stato membro ospitante, al fine di assicurarne la comprensione e di evitare ogni rischio di confusione. 26 Sulla base di quanto precede, alla prima questione va risposto dichiarando che la direttiva non osta al fatto che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richiede l’autorizzazione per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, le autorità di tale ultimo Stato accolgano la domanda parzialmente, se il titolare del diploma lo chiede, limitando la portata dell’autorizzazione alle sole attività alle quali il diploma in questione dà accesso nello Stato membro in cui è stato conseguito. Sulla seconda questione 27 Con la seconda questione il giudice della causa principale chiede in sostanza se, in un caso come quello posto al suo esame, gli artt. 39 CE e 43 CE ostino a che lo Stato membro ospitante escluda la possibilità di un accesso parziale ad una professione regolamentata, limitato allo svolgimento di una o più attività rientranti in tale professione. 28 A tale proposito va ricordato che ai sensi dell’art. 43, secondo comma, CE, l’esercizio della libertà di stabilimento è subordinato alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini. Ne consegue che, qualora l’accesso a un’attività specifica o l’esercizio della stessa sia subordinato nello Stato membro ospitante a una determinata disciplina, il cittadino di un altro Stato membro che intenda esercitare tale attività deve, di regola, soddisfare i requisiti fissati da tale normativa (sentenze 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 36, e 1 febbraio 2001, causa C-108/96, Mac Quen e a., Racc. pag. I-837, punto 25). 147 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 29 Le condizioni di accesso alla professione di ingegnere civile non sono state oggetto, a tutt’oggi, di un’armonizzazione a livello comunitario. Pertanto, gli Stati membri restano competenti a definire i citati requisiti, poiché la direttiva non limita la loro competenza sul punto. Ciò non toglie che gli Stati membri debbono esercitare i loro poteri in tale settore nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE (v. sentenze 29 ottobre 1998, cause riunite C-193/97 e C-194/97, De Castro Freitas e Escallier, Racc. pag. I-6747, punto 23; 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten, Racc. pag. I-7919, punto 31, e Mac Quen e a., cit., punto 24). 30 Secondo giurisprudenza costante, i provvedimenti nazionali che possono limitare o scoraggiare l’esercizio di tali libertà sono accettabili solo qualora soddisfino quattro condizioni: -non devono essere applicati in modo discriminatorio; -devono rispondere a motivi imperativi di interesse pubblico; -devono essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito; -e non devono eccedere quanto necessario per il raggiungimento di questo. (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32; Gebhard, cit., punto 37; 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-5123, punto 57, e Mac Quen e a., cit., punto 26). 31 In casi come quello di cui alla causa principale, una normativa dello Stato membro ospitante che escluda la possibilità, per le autorità di tale Stato, di consentire un accesso parziale ad una professione può limitare o scoraggiare l’esercizio sia della libera circolazione delle persone che della libertà di stabilimento, anche qualora tale normativa sia indistintamente applicabile ai cittadini dello Stato membro ospitante e a quelli degli altri Stati membri. 32 Riguardo all’obiettivo della normativa in esame nel procedimento principale, si deve ammettere, come evidenziano i governi spagnolo e svedese, che un riconoscimento parziale delle qualifiche professionali potrebbe in linea di principio avere l’effetto di suddividere le professioni regolamentate all’interno di uno Stato membro in diverse attività. Ciò comporterebbe in sostanza il rischio di produrre confusione nella mente dei destinatari dei servizi, che potrebbero essere indotti in errore relativamente all’estensione di tali qualifiche. La protezione dei destinatari dei servizi, e in generale dei consumatori, è stata già ritenuta dalla Corte una ragione imperativa di pubblico interesse idonea a giustificare limitazioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenze 4 dicembre 1986, causa 220/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 3663, punto 20; 21 settembre 1999, causa C-124/97, Läärä e a., Racc. pag. I-6067, punto 33, e 11 settembre 2003, causa C-6/01, Anomar e a., Racc. pag. I-8621, punto 73). 33 È inoltre necessario che le misure finalizzate a tale obiettivo non eccedano ciò che è necessario per il suo conseguimento. A tale proposito, come ha osservato la Commissione delle Comunità europee, va fatta una distinzione tra due situazioni differenti che possono verificarsi quando le autorità di uno Stato membro sono investite di una domanda di riconoscimento di una qualifica professionale conseguita in un altro Stato membro, e quando la differenza tra i contenuti della formazione o tra le attività che possono essere esercitate in forza del titolo relativo nei due Stati impedisce un riconoscimento pieno ed immediato. Vanno 148 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) distinti i casi che possono essere obiettivamente risolti con gli strumenti previsti dalla direttiva e quelli che non possono esserlo. 34 Nella prima eventualità, si tratta dei casi in cui il livello di somiglianza delle due professioni, nello Stato membro di provenienza e in quello ospitante, è tale da consentire di parlare, in sostanza, della «stessa professione» ai sensi dell’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva. In casi del genere, le lacune esistenti nella formazione del richiedente se confrontata con quella necessaria nello Stato membro ospitante possono essere efficacemente colmate applicando le misure di compensazione previste dall’art. 4, n. 1, della direttiva, assicurando in tal modo una completa integrazione dell’interessato nel sistema professionale dello Stato membro ospitante. 35 Nella seconda eventualità invece, come giustamente osserva la Commissione, si tratta dei casi non contemplati dalla direttiva, poiché le differenze negli ambiti di attività sono così rilevanti che sarebbe in realtà necessario seguire una formazione completa. Ciò rappresenta un elemento in grado, obiettivamente, di spingere l’interessato a non svolgere, in un altro Stato membro, una o più attività per le quali egli è qualificato. 36 Spetta alle competenti autorità, soprattutto giurisdizionali, dello Stato membro ospitante determinare in quale misura, in ogni caso concreto, il contenuto della formazione seguita dall’interessato sia differente da quello richiesto in tale Stato. Nell’ambito della causa principale, il Tribunal Supremo ha rilevato che il contenuto della formazione di un ingegnere civile ad indirizzo idraulico in Italia e di un ingegnere civile in Spagna sono così profondamente differenti, che applicare una misura di compensazione o di adattamento significherebbe in pratica obbligare l’interessato ad acquisire una nuova formazione professionale. 37 Inoltre, in casi specifici analoghi a quello di cui alla causa principale, uno dei criteri decisivi consiste nel determinare se l’attività professionale che l’interessato intende svolgere nello Stato membro ospitante sia o meno oggettivamente separabile dall’insieme delle attività oggetto della corrispondente professione in tale Stato. Spetta in primo luogo alle autorità nazionali dare una risposta a tale questione. Tuttavia, come ha osservato l’avvocato generale ai paragrafi 86 e 87 delle sue conclusioni, uno dei criteri decisivi a tale proposito consiste nel determinare se tale attività possa essere esercitata, in forma indipendente o autonoma, nello Stato membro in cui la qualificazione professionale in questione è stata ottenuta. 38 Qualora tale attività sia oggettivamente separabile dall’insieme delle attività oggetto della professione interessata nello Stato membro ospitante, si deve concludere che l’effetto dissuasivo derivante dall’esclusione di ogni possibilità di riconoscimento parziale del titolo professionale in questione è troppo rilevante per essere bilanciato dal timore di un eventuale pregiudizio dei diritti dei destinatari dei servizi. In un simile caso, il legittimo obiettivo della protezione dei consumatori e degli altri destinatari dei servizi può essere ottenuto attraverso mezzi meno vincolanti, come l’obbligo di utilizzare il titolo professionale originario o il titolo di studio sia nella lingua in cui è stato ottenuto e nella forma originale che nella lingua ufficiale dello Stato membro ospitante. 39 Alla seconda questione va dunque risposto dichiarando che gli artt. 39 CE e 43 CE non ostano a che uno Stato membro non consenta l’accesso parziale ad una professione, qualora le 149 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) lacune nella formazione in possesso dell’interessato rispetto a quella necessaria nello Stato membro ospitante possano essere effettivamente colmate con misure di compensazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva. Viceversa, gli artt. 39 CE e 43 CE ostano a che uno Stato membro non accordi tale accesso parziale quando l’interessato lo richiede e quando le differenze tra gli ambiti di attività sono così rilevanti che sarebbe in realtà necessario seguire una formazione completa, a meno che il detto diniego di accesso parziale non sia giustificato da ragioni imperative di pubblico interesse, le quali siano adeguate a garantire la realizzazione dell’obiettivo che perseguono e non eccedano ciò che è necessario per ottenerlo. Sulle spese 40 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: 1) La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, non osta al fatto che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richiede l’autorizzazione per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, le autorità di tale ultimo Stato accolgano la domanda parzialmente, se il titolare del diploma lo chiede, limitando la portata dell’autorizzazione alle sole attività alle quali il diploma in questione dà accesso nello Stato membro in cui è stato conseguito. 2) Gli artt. 39 CE e 43 CE non ostano a che uno Stato membro non consenta l’accesso parziale ad una professione, qualora le lacune nella formazione in possesso dell’interessato rispetto a quella necessaria nello Stato membro ospitante possano essere effettivamente colmate con misure di compensazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 89/48. Viceversa, gli artt. 39 CE e 43 CE ostano a che uno Stato membro non accordi tale accesso parziale quando l’interessato lo richiede e quando le differenze tra gli ambiti di attività sono così rilevanti che sarebbe in realtà necessario seguire una formazione completa, a meno che il detto diniego di accesso parziale non sia giustificato da ragioni imperative di pubblico interesse, le quali siano adeguate a garantire la realizzazione dell’obiettivo che perseguono e non eccedano ciò che è necessario per ottenerlo 16/03 IRAP illegittima in Europa Le Conclusioni dell'Avvocato UE sull'IRAP L'Avvocato Generale dell'Unione Europea sancisce definitivamente la illegittimità, nel sistema comunitario, dell'IRAP, per contrasto con la sesta direttiva sull'IVA. 150 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) La vicenda trae origine da una richiesta di rimborso di taluni importi versati a titolo di imposta regionale italiana sulle attività produttive (IRAP), da parte della Banca Popolare di Cremona. Il ricorso è stato proposto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona, la quale ha chiesto alla Corte di giustizia se l'IRAP sia compatibile con le disposizioni della sesta direttiva IVA, n. 77/388/CEE (in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte) che vietano agli Stati membri di introdurre o mantenere imposte, diritti e tasse simili all'IVA, in modo da non danneggiare il corretto funzionamento di quest'ultima. Il 17 marzo 2005, il precedente Avvocato generale Jacobs aveva già presentato le sue conclusioni nel senso che un tributo con le caratteristiche dell'IRAP era da ritenersi vietato dalla sesta direttiva IVA. Nelle nuove conclusioni presentate oggi, l'Avvocato generale Stix-Hackl, al quale ora è assegnata la causa, concorda con quest'ultimo sul fatto che l'IRAP possiede le caratteristiche essenziali dell'IVA, a causa della sua applicabilità generale, della sua proporzionalità rispetto ai prezzi, del fatto che è riscossa ad ogni stadio della produzione e della distribuzione e che viene riscossa sul valore aggiunto alla cessione ad ogni stadio. L'Avvocato generale propone poi che la sentenza produca effetti solo per il futuro, a partire dalla fine del 2006.. Rimarrebbero tuttavia salve le azioni legali dirette al rimborso, proposte dai contribuenti anteriormente al 17 gennaio 2005 (data delle prime conclusioni dell'Avvocato generale Jacobs). CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE CHRISTINE STIX-HACKL presentate il 14 marzo 2006 (1) Causa C-475/03 Banca Popolare di Cremona Contro Agenzia Entrate Ufficio Cremona [domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Commissione Tributaria di Cremona] Introduzione Il procedimento 151 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 1. Nel presente procedimento, la Commissione Tributaria Provinciale di Cremona domanda se l’art. 33, n. 1, della sesta direttiva IVA (2) osti all’applicazione di un’imposta come l’imposta regionale italiana sulle attività produttive, più generalmente nota con il suo acronimo «IRAP». Nella causa principale, la Banca Popolare di Cremona (in prosieguo: la «Banca Popolare») chiede il rimborso di una serie di importi da essa versati a titolo di IRAP nel 1998 e 1999. 2. Dopo la presentazione di osservazioni scritte e orali da parte della Banca Popolare, del governo italiano e della Commissione, il 17 marzo 2005 l’avvocato generale Jacobs ha presentato le sue conclusioni (3), concludendo che un’imposta nazionale la quale – è riscossa su tutte le persone fisiche e giuridiche che esercitano abitualmente un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, – colpisce la differenza tra i ricavi e i costi dell’attività imponibile, – è applicata in ordine a ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione corrispondente ad una cessione o ad una serie di cessioni di beni o servizi effettuate da un soggetto passivo, e – impone, in ciascuna di tali fasi, un onere che è globalmente proporzionale al prezzo al quale i beni o servizi sono ceduti, dev’essere qualificata come un’imposta sulla cifra d’affari vietata dall’art. 33, n. 1, della sesta direttiva. 3. Tuttavia, siccome la necessità di rimborsare ingenti somme corrispondenti all’imposta riscossa in contrasto con il diritto comunitario potrebbe seriamente compromettere il finanziamento regionale in Italia, e atteso che la Commissione sembrava aver contribuito, con il suo comportamento, al convincimento del governo italiano che l’IRAP fosse compatibile con il diritto comunitario, l’avvocato generale Jacobs aveva altresì raccomandato che la Corte stabilisse una limitazione temporale agli effetti della sua sentenza. 4. Inoltre, in previsione delle varie tattiche che potrebbero essere adottate nelle more della pronuncia della sentenza, aveva preso in considerazione la possibilità di un nuovo approccio con riferimento a tale limitazione. Aveva sottolineato come alcuni giudici nazionali potessero dichiarare una misura illegittima, fissando nel contempo, per concedere tempo sufficiente all’emanazione di una nuova normativa, una data futura prima della quale i singoli non potessero far valere l’illegittimità in alcun ricorso contro lo Stato. Tuttavia, per il caso in cui una tale impostazione dovesse essere seguita nel caso di specie, riteneva auspicabile che dinanzi alla Corte si dibattesse ulteriormente la questione. Sette Stati membri hanno conseguentemente chiesto la riapertura della trattazione orale a tale scopo. 5. Il 21 ottobre 2005, la Grande Sezione ha disposto la riapertura della fase orale del procedimento, fissato una nuova udienza al 14 dicembre 2005, e chiesto alle parti nel procedimento principale, agli Stati membri , al Consiglio e alla Commissione di prendere posizione sulle seguenti questioni (4): 152 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) (a) Quali siano i criteri che consentono di qualificare un’imposta come imposta sulla cifra d’affari ai sensi dell’art. 33, n. 1, della sesta direttiva, tenuto conto dell’obiettivo di tale disposizione e del funzionamento del mercato. (b) In quale misura le operazioni bancarie possano essere assoggettate ad un’imposta di questo tipo. (c) Alla luce delle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs, in quali circostanze e in che maniera possano essere limitati nel tempo gli effetti delle sentenze pronunciate dalla Corte in via pregiudiziale. 6. La Banca Popolare, 13 Stati membri e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte, sebbene solo alcuni degli Stati membri abbiano affrontato la prima o la seconda questione; la Banca Popolare, 12 Stati membri e la Commissione hanno svolto osservazioni orali nel corso della seconda udienza, durante la quale, ancora una volta, la maggior parte degli Stati membri si è concentrata esclusivamente sull’aspetto della limitazione temporale. Le caratteristiche dell’IRAP 7. Come l’avvocato generale Jacobs ha sottolineato nelle sue conclusioni, solo i giudici italiani sono competenti a determinare le precise caratteristiche dell’IRAP. Il ruolo di questa Corte è quello di interpretare il diritto comunitario in modo che il giudice remittente possa applicarlo utilmente all’imposta in esame (5). Così facendo, questa Corte deve pertanto dare per assodata la natura di tale imposta come descritta nell’ordinanza di rinvio. 8. L’imposta è così descritta: «1) Come si ricava dalla definizione dell’art. 2 [(6)], l’Irap si applica, in modo generalizzato, a tutte le operazioni commerciali di produzione o di scambio aventi ad oggetto beni e servizi poste in essere nell’esercizio in modo abituale di una attività volta a tale fine, vale a dire nell’esercizio di imprese o di arti e professioni. Vi è, per ciò, una precisa corrispondenza tra il “presupposto dell’imposta” IRAP disegnato dal citato articolo 2 e l’area delle “operazioni imponibili” tracciata dall’art. 1 del decreto istitutivo dell’IVA e che costituisce il presupposto di quest’ultima imposta. 2) Ai sensi dell’art. 4, primo comma, l’IRAP colpisce il valore netto derivante dall’attività produttiva, ossia il valore netto “aggiunto” al prodotto dal produttore. L’IRAP è dunque una imposta sul “valore aggiunto” prodotto e giustamente si parla di “vap” [(7)] per designare la base di commisurazione della nuova imposta. Anche l’oggetto imponibile dell’IRAP coincide, per ciò, in tutto e per tutto, con quello dell’IVA. Nell’IVA la quantificazione e tassazione della frazione o segmento di valore aggiunto (vap) prodottasi presso il singolo produttore avvengono col meccanismo della detrazione imposta da imposta (l’imposta a valle, pagata sugli acquisti, si deduce dall’imposta a monte, incassata sulle vendite). Nell’IRAP la frazione è calcolata e tassata deducendo a un di presso dal ricavato delle “vendite” il costo di acquisto del “venduto”. 153 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Nella tassazione “frazionata” IVA e IRAP si assomigliano come due gocce d’acqua. Non inganni la diversità degli espedienti tecnici usati per la misurazione dell’imponibile e dell’imposta. Nell’IVA, per stabilire quanto il singolo operatore debba pagare si ricorre all’espediente di dedurre dall’IVA sul venduto 1’IVA sul costo del venduto; la differenza, se positiva per il fisco, è 1’IVA dovuta, da cui si può risalire alla determinazione quantitativa del valore aggiunto tassato presso l’operatore. Nell’IRAP il procedimento è rovesciato. Non si parte dall’imposta dovuta per risalire al valore aggiunto tassato, bensì, si parte dal valore aggiunto e da questo si risale all’imposta. Questa diversità non incide sulla sostanza delle cose, che è questa: entrambe le imposte tassano, in ogni fase del processo dì produzione e di distribuzione, la frazione di valore aggiunto che si è formata presso il singolo produttore che ha preso parte al processo produttivo e/o distributivo. Nell’un caso (IVA) detraendo imposta da imposta, nell’altro (IRAP) sottraendo base da base, costi da corrispettivi. 3) L’IRAP è riscossa in ogni fase del processo di produzione o di distribuzione, poiché ogni operatore che si inserisce in una fase del ciclo, producendo valore aggiunto tassabile, viene elevato, dalla legge, a soggetto passivo d’imposta. Se, in ipotesi, le fasi del ciclo sono tre, facenti capo a Tizio, Caio, Sempronio, tutti e tre sono distintamente, autonomamente, soggetti passivi di Irap, ciascuno con una tassazione su 100. Lo stesso accade nell’IVA. 4) Infine è da osservare che la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi del ciclo, dalla produzione alla immissione al consumo, è pari all’aliquota IRAP applicata al prezzo di vendita di beni e servizi praticato in sede di immissione al consumo. Nonostante il frazionamento, quindi, l’IRAP finisce per agire come una imposta generale e proporzionale sul prezzo di cessione al consumo di beni e servizi». 9. L’avvocato generale Jacobs ha fondato la sua analisi su tale descrizione, nonché sulla sentenza della Corte Costituzionale italiana 10 maggio 2001 nella causa 256/2001, con la quale diverse questioni di illegittimità dell’IRAP per incompatibilità con la Costituzione italiana sono state respinte. 10. In particolare, come rileva l’avvocato generale, la Corte Costituzionale ha dichiarato che l’IRAP «non colpisce il reddito personale del contribuente bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate» e che «l’onere economico dell’imposta potrà essere infatti trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative» (8). 11. Quanto al fatto che qualche aspetto della descrizione dell’IRAP fornita dal giudice nazionale può differire dalla descrizione contenuta nelle osservazioni presentate alla Corte – e in effetti la Banca Popolare, il governo italiano e la Commissione hanno tutti fornito una propria descrizione – la Corte deve, in linea di principio, attenersi alla narrativa dell’ordinanza di rinvio. Tuttavia, l’esistenza e la natura di queste eventuali differenze può suggerire che, sotto taluni aspetti, sarebbe utile che la Corte valutasse come la soluzione che essa darà potrà trovare applicazione in circostanze per ipotesi leggermente diverse. In ogni caso, ove la 154 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) valutazione svolta dal giudice del rinvio con riferimento alle caratteristiche dell’IRAP sia contestata nella causa principale, la sua sentenza sarà presumibilmente oggetto di appello per tale motivo all’interno dell’ordinamento giudiziario nazionale. Valutazione 12. La valutazione della causa cui procederò in questa sede si articolerà pertanto in due parti: in una prima parte mi occuperò della compatibilità di un’imposta come l’IRAP mentre, nella seconda parte, sarà affrontata la possibilità di una limitazione degli effetti della sentenza nel tempo. 13. All’interno di ciascuna di queste parti, esporrò anzitutto una serie di considerazioni generali, ivi inclusa una panoramica della giurisprudenza della Corte, dopodiché cercherò di applicare tali considerazioni alle circostanze del presente rinvio pregiudiziale. I – La compatibilità di un’imposta come l’IRAP con la sesta direttiva A – Considerazioni generali 1. Imposte vietate dall’art. 33, n. 1, della sesta direttiva 14. Vi è un corpus giurisprudenziale ben consolidato in merito alle circostanze in cui un’imposta nazionale si scontra con il divieto, sancito dall’art. 33, n. 1, della sesta direttiva, di imposte diverse da quelle «che non abbia[no] il carattere di imposta sulla cifra d’affari» (9). In particolare, si rinviene nella giurisprudenza una serie di criteri specifici che il giudice nazionale aveva manifestamente in mente allorché ha redatto la sua ordinanza di rinvio, sullo sfondo dei quali l’avvocato generale Jacobs ha valutato l’IRAP come descritta in tale ordinanza (10). 15. Il fatto che, nel riaprire la fase orale del procedimento, la Corte abbia chiesto alle parti, agli Stati membri e alle istituzioni di esporre le loro osservazioni in merito ai criteri per qualificare un’imposta come imposta sulla cifra d’affari ai sensi dell’art. 33, n. 1, alla luce dello scopo di tale disposizione e del funzionamento del mercato, potrebbe suggerire che essa non esclude la possibilità di rivedere, precisare o sviluppare tali criteri. Li esaminerò pertanto con una certa cura. 2. Sintesi della giurisprudenza allo stato attuale 16. La giurisprudenza sinora invalsa in questa materia ricomprende in particolare (11) le sentenze Rousseau Wilmot (12), Bergandi (13), Wisselink (14), Giant (15), Dansk Denkavit (16), Bozzi (17), Beaulande (18), Careda (19), UCAL (20), Solisnor (21), SPAR (22), Pelzl (23), EKW (24), Tulliasiamies (25) e GIL Insurance (26). Si rilevi come, tra queste, soltanto le sentenze Bergandi, Wisselink e Dansk Denkavit siano state definite dalla Corte in seduta plenaria, mentre le altre sono state decise dalle sezioni. 17. In questa giurisprudenza, che si estende su un arco di circa vent’anni, possono ravvisarsi una serie di costanti ed alcune linee evolutive. 155 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 18. In primo luogo, la Corte ha esaminato le finalità della normativa IVA e la ratio del divieto di altri tipi di imposta sulla cifra d’affari. In secondo luogo, ha definito una serie di caratteristiche dell’IVA, in presenza delle quali un’altra imposta nazionale va ricondotta alla sfera del divieto. Infine, esaminando le diverse imposte nazionali di volta in volta in questione, ha identificato varie caratteristiche specifiche che sono o non sono ammissibili sotto tale profilo, nonché un’altra serie di caratteristiche che ha considerato invece come irrilevanti. 19. Tre sono le finalità principali che la Corte ha ravvisato nell’adozione del sistema comune di IVA: – abolire e sostituire i sistemi di imposte sulla cifra d’affari cumulative a cascata, come precedentemente applicate in molti Stati membri (27); – instaurare un mercato comune all’interno del quale vi sia una concorrenza non alterata e che abbia caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno, eliminando le differenze di oneri fiscali che possano alterare la concorrenza ed ostacolare gli scambi (28); e – garantire parità nelle condizioni di tassazione dello stesso negozio, indipendentemente dallo Stato membro nel quale viene effettuato (29). 20. La finalità del divieto di imposte sulla cifra d’affari è, come chiarito in numerose sentenze (30), quella di evitare che il sistema comune di IVA sia pregiudicato, il che avverrebbe nel caso in cui fossero applicate imposte, dazi o oneri sulla circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello dell’IVA. Nella sentenza Wisselink (31), viene fatto un riferimento ancor più generale al rischio che siano compromesse le finalità sottese al sistema comune di IVA nella fase attuale del processo di armonizzazione. 21. Le caratteristiche dell’IVA vengono descritte inizialmente mediante riferimento all’art. 2 della prima direttiva e all’art. 17, n. 2, della sesta direttiva: il principio consiste nell’applicare ai beni e ai servizi, fino allo stadio del commercio al minuto compreso, un tributo generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, indipendentemente dal numero di passaggi avvenuti nel processo di produzione e di distribuzione anteriore alla fase dell’imposizione; tuttavia, ad ogni passaggio, l’IVA è dovuta solo previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei vari elementi costitutivi del prezzo, essendo i soggetti passivi autorizzati a detrarre dall’imposta di cui sono debitori l’imposta già riscossa a monte sui beni (32). 22. A partire, poi, dalla sentenza Dansk Denkavit, è stato elaborato un elenco più formale di «caratteristiche essenziali» dell’IVA, segnatamente: – si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; – è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo d’imposta quale contropartita dei beni e servizi forniti; 156 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) – viene riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni effettuate precedentemente; – gli importi pagati nelle fasi precedenti del processo sono detratti dall’imposta che il soggetto passivo deve pagare, cosicché l’imposta si applica, ad ogni passaggio, solo sul valore aggiunto in quella fase, e l’onere finale dell’imposta va in definitiva a carico del consumatore (33). 23. Le caratteristiche di un’imposta nazionale rientrante nella sfera del divieto di cui all’art. 33, n. 1, della sesta direttiva sono descritte, anzitutto, in termini generali, come quelle aventi l’effetto di danneggiare il funzionamento del sistema comune di IVA, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpendo i negozi commerciali in modo analogo a quello che caratterizza l’IVA (34). Nelle sentenze in cui sono elencate le quattro caratteristiche essenziali dell’IVA (35), viene altresì specificato che tasse, dazi e oneri devono in ogni caso essere considerati imposti sulla circolazione di beni e servizi in modo analogo all’IVA ove posseggano tali caratteristiche essenziali. Non è tuttavia necessario che siano simili all’IVA sotto ogni profilo (36). 24. Inoltre, entrando nello specifico, soltanto una volta, e precisamente nella sentenza Dansk Denkavit, la Corte ha dichiarato un’imposta effettivamente incompatibile, descrivendone le caratteristiche come segue (37): – veniva versata sia per attività soggette ad IVA sia per altre attività a carattere industriale o commerciale consistenti nell’effettuazione di prestazioni a titolo oneroso; – era riscossa, per quanto concerneva le imprese soggette ad IVA, su una base imponibile identica a quella utilizzata per l’IVA, cioè sotto forma di una percentuale sull’importo delle vendite realizzate, previa detrazione dell’importo degli acquisiti effettuati; – a differenza dell’IVA, non veniva percepita all’importazione, ma era riscossa sul prezzo pieno di vendita delle merci importate al momento della loro prima rivendita nello Stato membro considerato; – a differenza dell’IVA, non occorreva che fosse indicata a parte nella fattura; – era riscossa parallelamente all’IVA. 25. Nella sentenza Careda (38), la Corte ha ulteriormente specificato che, affinché un tributo sia assoggettato al divieto, esso deve poter essere trasferito al consumatore. 26. Nelle altre sentenze, invece, la Corte ha ritenuto che varie imposte nazionali fossero compatibili con la sesta direttiva in quanto le loro caratteristiche erano sufficientemente diverse da quelle dell’IVA. Nella maggior parte dei casi, la Corte ha fondato il suo accertamento sull’esistenza di un fascio di caratteristiche idonee a distinguere l’imposta in oggetto dall’IVA, mentre nella sentenza Solisnor (39) e nella sentenza EKW (40) ha ritenuto che la mancanza di applicazione generale fosse sufficiente ad escludere, di per sé, l’imposta dall’ambito di applicazione del divieto; anche una limitazione a determinate categorie di beni 157 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) o di servizi è stata presa in considerazione nella maggior parte delle altre sentenze e sembra comunque essere stata una caratteristica di tutte le imposte contestate, salvo forse quelle oggetto delle sentenze Rousseau Wilmot e SPAR. 27. Altre caratteristiche che la Corte ha ritenuto differire da quelle dell’IVA, e che ha considerato rilevanti nel valutare la compatibilità di un’imposta nazionale, sono le seguenti: – calcolo dell’imposta sulla base del fatturato annuo, di modo che sia impossibile determinare l’importo preciso trasferito sui consumatori (41); – applicazione dell’imposta sulla base della circostanza che un bene sia semplicemente messo a disposizione del pubblico, a prescindere dall’importo o anche dall’esistenza di un onere per l’uso, oppure calcolo sulla base di un prezzo stimato piuttosto che effettivo (42); più in generale, calcolo su una base imponibile diversa da quella del valore aggiunto (43); – assenza di disposizioni in merito alla detraibilità dell’imposta versata a monte (44); – mancanza di una diretta o stretta proporzionalità rispetto al prezzo dell’operazione tassata (45); – applicazione dell’imposizione soltanto in una fase nell’ambito di una catena di operazioni (46); tuttavia, nella sentenza Wisselink (47), la Corte ha chiarito che anche un’imposta riscossa una sola volta può essere contraria al diritto comunitario qualora ostacoli la piena efficacia del sistema comune dell’IVA; – applicazione dell’imposta sulle operazioni effettuate a monte, e non a valle, dal soggetto passivo (48). 28. Infine, la Corte ha altresì identificato una serie di caratteristiche che non rilevano al fine di valutare la compatibilità di un’imposta nazionale: – la denominazione dell’imposta in diritto nazionale, il testo letterale della norma o le ragioni per la sua adozione (49); – il fatto che l’imposta sia applicata in maniera concorrente all’IVA (50); – la mancanza di uno specifico obbligo di trasferire l’imposta al consumatore (51); – la mancanza di un obbligo di menzionare l’imposta in una fattura o di rilasciare o detenere fatture (52); – il fatto che l’imposta non sia pagata all’importazione ma al momento della prima cessione ad essa successiva (53); – il fatto che l’imposta sia calcolata su una base imponibile diversa nel caso di soggetto passivo non soggetto all’IVA (54). 158 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 3. Commenti generali sulla giurisprudenza 29. Vi sono dunque due aspetti principali nell’impostazione seguita dalla Corte: da un lato, a livello fondamentale, lo scrupolo di tutelare i principi sottesi al sistema dell’IVA e di evitare interferenze con lo stesso; dall’altro, la volontà di definire, più formalmente e nell’interesse della certezza del diritto, i criteri alla luce dei quali un’imposta nazionale può chiaramente essere qualificata come incompatibile con il sistema dell’IVA. 30. Una panoramica della giurisprudenza rivela come, mentre il primo aspetto non è mai stato trascurato, il riferimento ai criteri specifici abbia assunto crescente importanza nelle sentenze più recenti. Gli Stati membri che hanno risposto al primo quesito posto dalla Corte (55) auspicano tutti una conferma di tale importanza; la Finlandia, in particolare, chiede che ci si attenga fermamente alle quattro «caratteristiche essenziali» nell’interesse della chiarezza, coerenza e certezza del diritto. 31. Tale posizione è comprensibile. Gli Stati membri debbono sapere quali limiti possono applicarsi alla loro libertà di azione allorché introducono nuove forme di tassazione ovvero mantengono o modificano forme esistenti. È importante in tale contesto che vi siano criteri chiari e obiettivi. 32. Tuttavia, vi è sempre il rischio che un’applicazione puramente formale di regole o criteri conduca a risultati contrastanti con lo scopo fondamentale perseguito quando tali regole o criteri sono stati adottati – nella fattispecie, quello di garantire che non sia pregiudicato il corretto funzionamento del sistema comune di IVA. 33. Mi pare dunque indispensabile, nel valutare le caratteristiche di qualunque tributo nazionale messo in discussione rispetto alle caratteristiche dell’IVA, continuare a farlo alla luce di tale scopo, al fine di prevenire qualunque interferenza con gli obiettivi fondamentali consistenti nel sostituire le imposte sulla cifra d’affari cumulative a cascata, predisporre le condizioni per una sana concorrenza nel mercato comune, eliminare le differenze nella tassazione idonee a distorcere la concorrenza o a ostacolare gli scambi, e garantire parità nelle condizioni di tassazione di una determinata operazione, a prescindere dallo Stato membro in cui essa viene effettuata. 34. In tale contesto, le caratteristiche di un’imposta nazionale possono variare quanto al loro grado di somiglianza con le caratteristiche essenziali dell’IVA. Sembra improbabile che, ove un’imposta pregiudichi il funzionamento del mercato comune in quanto possiede quelle caratteristiche in forma identica, smetterà di pregiudicare il sistema semplicemente in conseguenza di differenze minori. 35. Giustamente la Corte ha dichiarato che, per essere ricompresa nel divieto, non è necessario che un’imposta sia identica all’IVA sotto tutti i profili, dovendo invece essere considerata ricompresa nel divieto qualora possegga le caratteristiche essenziali dell’IVA. Allo stesso modo, ritengo che ciò che è necessario, con riferimento a ciascuna di quelle caratteristiche individuali, non sia un’identità stretta e assoluta bensì un’identità sostanziale. 36. Per contro si può ipotizzare che nella pratica, e forse prima facie paradossalmente, un’imposta interferisca tanto meno con il sistema di IVA quanto più gli assomiglia. 159 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Un’ipotetica imposta aggiuntiva rispetto all’IVA ma altrimenti identica ad essa sotto tutti i profili non sarebbe infatti molto diversa da un aumento dell’aliquota standard dell’IVA, per la quale non vi è, attualmente, alcun limite massimo (56). Ciò che rischia di interferire in maggior misura con il sistema comune è un’imposta che, pur possedendo caratteristiche essenziali dell’IVA, ne possieda anche altre con essa contrastanti (57). 37. In tale contesto, l’avvocato generale Jacobs ha riconosciuto (58) che la presenza di tutte le quattro caratteristiche essenziali dell’IVA è condizione necessaria perché un’imposta nazionale sia incompatibile con la sesta direttiva, il che implicherebbe che, in mancanza di una qualunque di tali caratteristiche, l’imposta sia compatibile. 38. Tuttavia, è anche possibile un’interpretazione della giurisprudenza leggermente diversa. 39. In tutte le sentenze, salvo Solisnor e EKW, la Corte ha sottolineato che all’imposta nazionale di cui trattavasi mancava più di una delle quattro caratteristiche essenziali mentre, nelle due sentenze citate, decisiva è stata l’assenza di applicazione generale. Ciò potrebbe suggerire che, delle quattro caratteristiche, quella dell’applicabilità generale debba essere considerata di maggior peso rispetto alle altre tre. Tuttavia, non mi sembra che tale conclusione possa essere tratta con certezza, cosicché non propongo di accogliere quest’interpretazione. 40. Che cosa può dirsi allora, in termini generali e con sicurezza, circa le caratteristiche essenziali dell’IVA, alla luce dello scopo del sistema comune e del divieto di imposte nazionali idonee a pregiudicarne il funzionamento? 41. Possono anzitutto essere fissati alcuni punti in negativo. Un’imposta non è idonea a pregiudicare il funzionamento del sistema comune se non si applica in modo generale; le imposte che si limitino a categorie specifiche di beni o servizi non sono idonee ad interferire con il sistema nel complesso. Un’imposta che non sia applicata in ciascuna fase della catena produttiva o distributiva è meno probabile che possa compromettere il sistema; tali imposte possono incidere su una fase specifica della catena, ma non sull’intero sistema (59). Un’imposta che non sia proporzionale al valore aggiunto in ciascuna fase, e quindi al prezzo complessivo in ciascuna fase, è meno probabile che interferisca con il sistema di IVA; imposte forfettarie possono in generale coesistere con imposte proporzionali (60). E, naturalmente, un’imposta non trasferibile sul consumatore non può compromettere il funzionamento dell’IVA come imposta sul consumo. 42. Prima di esaminare l’applicazione della giurisprudenza, e dei criteri da essa elaborati, a un’imposta come l’IRAP, è tuttavia necessario, ancora a livello generale, considerare l’eventuale rilevanza di due punti specifici: lo status delle operazioni bancarie in riferimento alle imposte sulla cifra d’affari e la distinzione tra imposizione fiscale diretta e indiretta alla luce dell’art. 93 CE. 4. Assoggettamento delle operazioni bancarie all’imposta sulla cifra d’affari 43. La Corte ha chiesto alle parti, agli Stati membri e alla Commissione di chiarire in quale misura, a loro parere, le operazioni bancarie possano essere assoggettate ad un’imposta avente il carattere di imposta sulla cifra d’affari ai sensi dell’art. 33, n. 1, della sesta direttiva. 160 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 44. La Banca Popolare, i governi francese e ungherese e la Commissione hanno risposto brevemente, concordando sul fatto che le operazioni bancarie possano, in via di principio, essere assoggettate ad un’imposta del genere (sebbene possano sorgere difficoltà pratiche maggiori rispetto al caso di altre operazioni commerciali) sottolineando comunque anche l’esistenza di un ampio numero di esenzioni dall’IVA nell’ambito dei servizi finanziari (61). 45. Il governo ungherese ritiene pertanto che agli Stati membri non sia preclusa, in forza dell’art. 33, n. 1, la possibilità di imporre un tributo diverso dall’IVA sulle operazioni bancarie. La Banca Popolare è in disaccordo con questa tesi, sottolineando che la questione sollevata dal giudice del rinvio riguarda la compatibilità dell’ IRAP «tout court», e non quella della sua applicazione alle operazioni bancarie. 46. Non credo che un’approfondita analisi della questione potrebbe rivelarsi proficua (62). I servizi bancari rientrano nell’ambito dell’IVA in forza dell’art. 6, n. 1, della sesta direttiva; sono ampiamente esenti in forza dell’art. 13, parte B, lett. d); tuttavia, gli Stati membri possono accordare ai loro soggetti passivi il diritto di optare per l’imposizione a norma dell’art. 13, parte C, lett. b). Qualora un’imposta di applicazione generale soddisfi tutti i criteri per essere ricompresa nel divieto di cui all’art. 33, n. 1, non dovrebbe esserne esclusa semplicemente perché si applica anche a una categoria di operazioni che è esente e per la quale, eventualmente, lo Stato membro di cui trattasi non abbia previsto la possibilità di optare per l’imposizione (63). 47. Non mi sembra dunque rilevante, ai fini della valutazione cui la Corte dovrà procedere, il fatto che la maggior parte delle operazioni effettuate dalla Banca Popolare, o dalle banche in generale, possa essere esente da IVA. 5. L’art. 93 CE e la distinzione tra imposte dirette e indirette 48. Infine, vorrei passare ad esaminare una questione generale sollevata da vari Stati membri nelle loro osservazioni: ci si chiede se l’eventuale qualificazione di un’imposta come imposta diretta possa essere rilevante ai fini della valutazione della sua compatibilità con la sesta direttiva. 49. Tutte le direttive IVA si fondano sull’art. 93 CE (ex art. 99 del Trattato CE), in forza del quale il Consiglio adotta le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative «alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette» nella misura «necessaria per assicurare l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno» (originariamente «nell’interesse del mercato comune»). 50. Ne è stato desunto che, poiché l’art. 93 CE riguarda soltanto l’imposizione fiscale indiretta, la sesta direttiva non può vietare tributi che non configurino, di per sé, un’imposta indiretta. 51. A mio parere, tuttavia, tale conclusione non è giustificata. 52. In primo luogo, si rilevi che, come la Commissione ha sottolineato nel corso della seconda udienza, la Corte, nel valutare la compatibilità di un’imposta nazionale con la sesta direttiva, non l’ha mai qualificata come «diretta» o «indiretta» (64). Chiaramente, da tale circostanza 161 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) non può trarsi alcuna conclusione determinante, tuttavia essa indica che la distinzione tra imposizione diretta e indiretta non è stata considerata, ad oggi, un criterio essenziale, e può suggerire che dovrebbe essere introdotta come criterio solo ove vi fossero fondate ragioni per farlo, il che resta da verificare. 53. In tale contesto, va ricordato che il Trattato non contiene alcuna definizione in merito alla differenza tra imposizione diretta e indiretta, ed è pacifico che non può formularsi alcuna definizione completa, inequivocabile e universalmente valida. 54. Certamente, l’essenza della distinzione è chiara: un’imposta diretta è riscossa direttamente presso il soggetto su cui grava l’onere economico; un’imposta indiretta è inclusa in un importo pagato da tale soggetto a un altro, che non sopporta l’onere economico ma che risponde del pagamento dell’imposta. 55. Tipiche imposte dirette sono quelle sul patrimonio personale, sulla proprietà o sul reddito; si potrebbe dire che solo le imposte riscosse sui singoli come tali abbiano natura veramente diretta. Al contrario, l’IVA, come disciplinata dalla sesta direttiva, è un’imposta indiretta per eccellenza, in quanto del tutto neutrale rispetto agli operatori economici presso i quali è riscossa ed in quanto viene in via di principio sempre trasferita sul consumatore finale quale percentuale identificabile del prezzo (e quale importo specificato allorché viene emessa una fattura). 56. Tuttavia, la situazione non sempre è nitida. Alcune imposte che sono in primo luogo dirette possono condividere in parte la natura dell’imposizione fiscale indiretta, e viceversa. E anche qualora potesse rinvenirsi un criterio soddisfacente per distinguere giuridicamente tra imposizione fiscale diretta e indiretta, alcuni degli effetti di un’imposta come l’IRAP sembrano potersi sovrapporre a quelli dell’IVA, cosicché un’interferenza tra le due non può essere esclusa. 57. Inoltre, è stato correttamente sottolineato come l’art. 93 CE non possa chiaramente fornire un valido fondamento normativo per un’armonizzazione comunitaria dell’imposizione fiscale diretta. Tuttavia, altrettanto chiaramente, secondo me, esso può fornire un tale fondamento per una norma comunitaria che vieti un’imposta nazionale idonea a pregiudicare il funzionamento di una forma di imposizione indiretta armonizzata – come l’IVA. Non credo sia necessario esigere un fondamento normativo diverso semplicemente perché il tributo nazionale in questione può presentare alcune caratteristiche dell’imposizione diretta. Ciò che importa è che possegga oppure no caratteristiche idonee a compromettere il funzionamento del sistema dell’IVA, a prescindere dal fatto che ne possegga anche altre che non lo sono – e si ricordi che solo le caratteristiche lesive del funzionamento del sistema dell’IVA saranno in conflitto con il divieto fondato sull’art. 93 CE. 58. In termini più succinti, si può dire che l’art. 93 CE non consente alla legislazione comunitaria di ledere la sovranità fiscale degli Stati membri nel settore della fiscalità diretta; reciprocamente, non consente agli Stati membri di adottare, nell’esercizio di tale sovranità, misure idonee a compromettere l’armonizzazione, come pattuita, della fiscalità indiretta. Di conseguenza, esso può fungere da valido fondamento normativo per una normativa che vieti siffatte misure. 162 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 59. Si rilevi infine che, sebbene dal 1989 (65) in poi tutte le direttive IVA risultino essere state adottate soltanto sulla base dell’art. 93 CE (o del suo predecessore, l’art. 99 del Trattato CE), non così era avvenuto per le direttive precedenti. Fino al 1986 (66) esse erano fondate nel contempo sull’art. 99 e sull’art. 100 del Trattato CE, vale a dire sugli attuali artt. 93 CE e 94 CE. Ai sensi di quest’ultima norma, il Consiglio stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni nazionali «che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune». 60. Pertanto la sesta direttiva, che rientra nel primo gruppo, è stata adottata sulla base non soltanto di una disposizione del Trattato che autorizza l’armonizzazione delle imposte indirette, ma anche sulla base di un’altra disposizione che autorizza, più in generale, qualunque armonizzazione che sia in rapporto indiretto con l’instaurazione e il funzionamento del mercato comune. 61. Di conseguenza, non vi è alcuna ragione per cui il divieto di imposte nazionali sulla cifra d’affari diverse dall’IVA non debba potersi estendere a tutte le imposte idonee a pregiudicare il funzionamento del sistema dell’IVA. Ciò dipenderà dalle caratteristiche e dagli effetti di ciascuna imposta, e non da una sua classificazione teorica nella categoria delle imposte dirette o di quelle indirette. Non paiono esservi ragioni cogenti per introdurre un criterio del genere in sede di valutazione della compatibilità con l’art. 33, n. 1, della sesta direttiva, e l’art. 93 CE, in quanto fondamento normativo della sesta direttiva, non fornisce pertanto alcun ausilio diretto sotto tale profilo. 6. Conclusione sulla scorta delle considerazioni generali in merito alla compatibilità con la sesta direttiva 62. Giungo pertanto alla conclusione che né la peculiarità delle operazioni bancarie né la qualificazione di un’imposta come diretta o indiretta possono incidere sulla valutazione che qui ci occupa, la quale deve basarsi su un esame delle quattro caratteristiche essenziali, le quali tutte debbono ricorrere affinché un’imposta nazionale rientri nella sfera del divieto sancito dalla sesta direttiva. 63. Tuttavia, ritengo che la Corte, con riferimento a taluni aspetti di questi criteri, si trovi di fronte ad una scelta tra un’applicazione restrittiva ed una più estensiva, quest’ultima quantomeno implicitamente insita nell’analisi svolta dall’avvocato generale Jacobs. 64. Orbene, si può desumere dagli orientamenti giurisprudenziali innanzi delineati che tanto l’approccio estensivo quanto quello restrittivo già sono presenti, in gradi diversi, nella giurisprudenza della Corte, che può dunque aver mantenuto un qualche grado di incertezza. Nella fattispecie, la Corte deve dissipare ogni eventuale incertezza indicando se le quattro caratteristiche essenziali, utilizzate come criteri per accertare se un’imposta nazionale sia vietata dalla sesta direttiva, debbano essere considerate in maniera puramente formale oppure alla luce delle finalità del divieto, da un lato, e del sistema dell’IVA armonizzata visto nel suo insieme, dall’altro. 65. Considerato inoltre il rango della presente causa – l’attenzione che ha attirato, il fatto che, diversamente dalla maggior parte delle cause precedenti, sarà giudicata dalla Corte in seduta plenaria e la circostanza che il procedimento sia stato riaperto espressamente per valutare, 163 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) inter alia, i criteri per qualificare un’imposta come imposta sulla cifra d’affari ai sensi dell’art. 33, n. 1, della sesta direttiva – occorre altresì tener presente che la scelta che sarà operata inciderà in maniera determinante sulla futura giurisprudenza in materia. B – Applicazione ad un’imposta come l’IRAP 66. Passo ora ad esaminare come i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte dovrebbero essere applicati all’IRAP, tenendo presente che non spetta alla Corte definire le caratteristiche di tale imposta. È questo un compito che tocca ai giudici italiani, ed occorre in linea di principio accettare la descrizione che fa dell’imposta l’ordinanza di rinvio. Tuttavia, ci si potrà soffermare sugli aspetti di tale descrizione che appaiono contestati. 67. L’avvocato generale Jacobs ha, ovviamente, già esaminato gli stessi criteri nelle sue conclusioni e sarebbe di poco profitto riprodurre la sua analisi. 1. Generalità di applicazione 68. Risulta dalla giurisprudenza della Corte che la prima fondamentale caratteristica dell’IVA è il fatto di essere generalmente applicata ad operazioni concernenti beni e servizi. 69. Come è ricordato nell’ordinanza di rinvio, «l’IRAP si applica, in modo generalizzato, a tutte le operazioni commerciali di produzione e di scambio aventi ad oggetto beni e servizi poste in essere nell’esercizio in modo abituale di un’attività volta a tale fine» e «nella tassazione “frazionata”» IVA e IRAP si assomigliano come due gocce d’acqua [nonostante] la diversità degli espedienti tecnici usati per la misurazione dell’imponibile e dell’imposta». 70. L’avvocato generale Jacobs ha affrontato questi aspetti nei paragrafi 28-40 delle sue conclusioni, in cui afferma che l’IRAP possiede tali caratteristiche. 71. Tenuto conto di questo, ed alla luce del punto 15 della sentenza Dansk Denkavit, non sembra che l’applicazione generale dell’IRAP a beni e servizi costituisca un problema: è pacifico che, diversamente da quasi tutte le imposte nazionali esaminate dalla Corte e giudicate compatibili con la Sesta direttiva, l’applicazione dell’IRAP non si limita a particolari categorie di beni e di servizi. 72. Mi pare, inoltre, che una divergenza di opinioni tra la Banca Popolare e il governo italiano, alla quale l’avvocato generale Jacobs si riferiva nel paragrafo 32 delle sue conclusioni, sia stata chiarita nella seconda udienza. La Banca Popolare negava che l’IRAP fosse riscossa su beni fabbricati ma non ancora venduti, gravando così sulle scorte e non solo sulle cessioni. Se ho ben capito ciò che è stato detto in udienza, l’affermazione del governo sarebbe a rigore esatta, ma il fatto che le scorte siano valutate al prezzo di costo e che il costo di fabbricazione sia dedotto dalla base imponibile avrebbe per effetto che in quasi tutti i casi l’importo dell’imposta riscossa sia praticamente pari a zero. Di conseguenza, è inutile che la Corte si soffermi ulteriormente su questo problema. 73. Rimane tuttavia un aspetto in relazione al quale può risultare necessario vedere se occorra adottare un approccio più ampio o più ristretto: nonostante la formulazione dell’ordinanza di 164 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) rinvio, sembra che l’IRAP non sia calcolata sulle singole operazioni in quanto tali, mentre la giurisprudenza della Corte, rifacendosi all’art. 2 della Sesta direttiva, definisce l’IVA come un’imposta che si applica in generale ad «operazioni» (e, come sarà chiarito in seguito, questa distinzione appare rilevante per più di una delle caratteristiche fondamentali dell’IVA). 74. L’avvocato generale Jacobs ha concluso che vi è in pratica poca differenza tra un’imposta calcolata, come l’IRAP, sulla sola base di un cumulo periodico ed un’altra calcolata, come l’IVA, sulla base di ogni singola operazione per le fatture individuali e sulla base di un cumulo periodico per i commercianti. 75. Sembra infatti evidente che la differenza fra le entrate totali e le uscite totali durante un periodo d’imposta sarà identica alla somma delle differenze tra le singole entrate e le singole uscite durante lo stesso periodo. 76. La Corte potrebbe nondimeno applicare rigorosamente la propria precedente giurisprudenza, considerando che solo le imposte calcolate sulla base di singole operazioni in quanto tali ricadono sotto l’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva a prescindere dal cumulo periodico. In numerose sentenze (67), il fatto che un’imposta sia calcolata sulla base del giro d’affari annuo è stato considerato come una caratteristica rilevante che distingue tale imposta dall’IVA, sebbene non sembrino esserci casi in cui non ci fossero anche altre caratteristiche distintive. 77. Un simile approccio farebbe dipendere l’incompatibilità da una corrispondenza più precisa tra le modalità di calcolo dell’imposta interna e quelle dell’IVA di quanto non abbia suggerito l’avvocato generale Jacobs. 78. Esso implicherebbe altresì un cambio d’orientamento rispetto alla giurisprudenza risultante dalla sentenza Dansk Denkavit, che fu pronunciata dalla Corte in seduta plenaria: l’imposta che tale sentenza ritenne incompatibile era calcolata secondo un meccanismo apparentemente assai simile a quello dell’IRAP giacché veniva riscossa «come percentuale del volume delle vendite previa deduzione degli acquisti». 79. A mio parere, l’interpretazione più ampia, fatta propria dalla sentenza Dansk Denkavit, è la più appropriata in quanto include nel divieto imposte che, pur non essendo calcolate nello stesso modo, conducono, per i commercianti e per i consumatori, ad un risultato identico a quello delle imposte riscosse sulle singole operazioni. Essa serve meglio lo scopo di garantire che il funzionamento del sistema dell’IVA non sia perturbato. 80. Se si accoglie questo punto di vista, e se si parte dal presupposto che il metodo di calcolo dell’imposta in questione porta in pratica ad un’imposta di ammontare identico a quello che risulterebbe da un metodo basato sul valore delle singole operazioni, mi sembra chiaro che la caratteristica dell’applicazione generale ad operazioni concernenti beni e servizi è presente in un’imposta come l’IRAP. 81. Il governo italiano nega – è vero – che l’IRAP, calcolata sui risultati globali di un’impresa, possa essere equiparata all’IVA, che è invece calcolata su ciascuna delle singole operazioni effettuate dall’impresa stessa. 165 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 82. Tuttavia, i suoi argomenti non si fondano direttamente sulla differenza tra i metodi di calcolo. Esso sostiene, piuttosto, in primo luogo, che l’IRAP è riscossa sull’impresa in quanto tale e non sulle operazioni da questa poste in essere, cosicché è un’imposta diretta e non già un’imposta indiretta (68); è questo un aspetto di cui ho già trattato ai paragrafi 48 e segg., concludendo che era irrilevante. In secondo luogo, il governo italiano sostiene che il valore cumulato su cui viene riscossa l’IRAP non equivale alla somma dei valori individuali su cui si basa l’IVA; questo argomento concerne però la natura del valore aggiunto usato come base imponibile piuttosto che il metodo di calcolo dell’importo dovuto e lo prenderò perciò in considerazione nell’ambito della quarta caratteristica fondamentale (69), dove appare più rilevante che nel presente contesto. 83. Le precedenti considerazioni non influenzano perciò la mia opinione sull’imponibile di un’imposta come quella descritta dal giudice remittente in relazione alla prima caratteristica fondamentale dell’IVA. 84. Prima di passare alla seconda di tali caratteristiche, vorrei menzionare brevemente un argomento dedotto dal governo ungherese secondo cui un’imposta non è di applicazione generale se è riscossa a livello locale o regionale, in particolare se la sua riscossione è facoltativa e/o se l’autorità locale o regionale può determinarne l’aliquota. Non mi pare che questo sia un criterio rilevante; di certo non è stato considerato rilevante dalla Corte nella causa Pelzl e nella causa EKW, ciascuna delle quali riguardava imposte regionali (70). Si tratta piuttosto di accertare se l’imposta sia generale nella propria area di applicazione, indipendentemente dal fatto che essa si applichi su scala nazionale o puramente locale. 85. Di conseguenza, ritengo che un’imposta nazionale dotata delle caratteristiche descritte dal giudice remittente abbia in comune con l’IVA la caratteristica fondamentale di essere generalmente applicata ad operazioni concernenti beni e servizi. Se, nondimeno, la Corte dovesse ritenere – scostandosi dalla sua giurisprudenza Dansk Denkavit – che la caratteristica fondamentale in questione implica necessariamente l’applicazione a singole operazioni, tale imposta non evidenzierebbe tale caratteristica. 2. Rapporto proporzionale tra l’imposta e il prezzo 86. La seconda caratteristica fondamentale dell’IVA consiste nel fatto che essa è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto d’imposta per i beni o i servizi che egli fornisce. 87. L’ordinanza di rinvio indica che «la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi del ciclo, dalla produzione alla immissione al consumo è pari all’aliquota IRAP applicata al prezzo alla vendita di beni e servizi praticato in sede di immissione al consumo. (…) Quindi l’IRAP finisce per agire come imposta generale e proporzionale sul prezzo di cessione al consumo di beni e servizi». 88. L’avvocato generale Jacobs ha trattato questo aspetto nei paragrafi 59 e segg. delle sue conclusioni. Egli ha riconosciuto che il meccanismo dell’IRAP era tale da non poter sempre rimanere strettamente proporzionale al prezzo di ciascuna operazione, ma ha ritenuto che ciò non fosse determinante dal momento che, in sostanza, il carico effettivo dell’IVA può, contrariamente all’importo figurante nella fattura, essere ridistribuito da un commerciante fra 166 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) i vari tipi di cessioni che egli compie, adeguando i propri margini di profitto, nello stesso modo in cui ciò può essere fatto per l’IRAP. In altri termini, entrambe le imposte sono, per loro natura, proporzionali ed i commercianti finiranno, in situazioni normali, per distribuire proporzionalmente il carico di ciascuna di esse tra i propri prodotti e servizi; in entrambi i casi, essi possono astenersi da tale distribuzione, ma lo faranno soltanto per raggiungere un preciso obiettivo commerciale. 89. È vero che in numerose cause (71) la Corte ha considerato che la mancanza di uno stretto rapporto di proporzionalità o un metodo di calcolo che non permettesse di determinare il preciso importo dell’imposta ripercossa sul consumatore era una caratteristica distintiva rilevante, almeno se presa in considerazione insieme ad altre, di un’imposta non vietata dall’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva. Se si segue tale giurisprudenza, mi sembra che l’IRAP possa essere distinta dall’IVA anche per questo motivo. 90. Tuttavia, l’imposta che venne ritenuta incompatibile nella causa Dansk Denkavit era stata descritta dal giudice del rinvio come un contributo «riscosso in ciascuna fase della catena commerciale (…) sotto forma di percentuale delle vendite realizzate dall’impresa, previa detrazione degli acquisti effettuati, sulla base dei quali è stato riscosso il contributo a monte» e non indicato a parte nella fattura – situazione che sembra corrispondere a quella dell’IRAP. E, nella sentenza Careda (72), la Corte ha chiaramente statuito che era sufficiente che un’imposta potesse essere ripercossa sul consumatore, senza che occorresse alcun obbligo a questo riguardo; in tali circostanze è ovviamente impossibile applicare anche la condizione che l’importo dell’imposta risulti sempre costantemente proporzionale al prezzo di ciascuna operazione. 91. La Corte sembra quindi aver oscillato fra una nozione più ampia ed una nozione più restrittiva del principio di proporzionalità al prezzo e, nel presente caso, dovrà decidere quale di questi due approcci è maggiormente appropriato. 92. A mio parere, occorre optare per l’approccio più ampio se si intende perseguire l’obiettivo di non mettere in pericolo il funzionamento del sistema dell’IVA. Non sembra possibile ritenere che un’imposta interferisca con il sistema dell’IVA se è strettamente proporzionale ai prezzi delle operazioni; può invece interferire se la proporzionalità è solo approssimativa. Come l’avvocato generale Jacobs ha precisato, sinteticamente, al paragrafo 69 delle sue conclusioni, ciò consentirebbe ad uno Stato membro di eludere il divieto, magari ricorrendo a qualche minuscolo aggiustamento, ma continuando nondimeno a riscuotere un’imposta che, nella sua funzione, coincide sostanzialmente con l’IVA. 93. Un altro punto di cui si può nondimeno tener conto nel presente contesto e che è stato messo in evidenza dal governo italiano è il regime di IRAP applicato alle importazioni. Sebbene ciò non sia menzionato nell’ordinanza di rinvio, è pacifico che l’IRAP grava unicamente sul valore che è stato aggiunto nella regione italiana (di cui trattasi). Di conseguenza, se una merce è importata per essere (trattata e) rivenduta, l’importo totale dell’IRAP riscossa sarà proporzionale solo alla differenza fra il costo di importazione ed il prezzo di vendita e non già all’intero prezzo di vendita, come accadrebbe per l’IVA. 167 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 94. Questo tratto distingue in effetti l’IRAP dall’IVA, che si applica al valore delle importazioni in quanto tale, e dall’imposta di cui si discuteva nella causa Dansk Denkavit, che si applica a tale valore in quanto incorporato in una successiva cessione del prodotto. A stretto rigore, perciò, è un tratto idoneo ad escludere l’IRAP dal divieto. 95. Non sono tuttavia convinta – ripeto – che si possa giungere a questa conclusione sulla base di un approccio più ampio che tenga conto dell’obiettivo di evitare che il funzionamento del sistema dell’IVA sia messo in pericolo. 96. È nella natura delle imposte interne – almeno nel caso delle imposte indirette – che, qualora vengano riscosse sul valore aggiunto, tali imposte non siano riscosse sul valore aggiunto realizzato al di fuori del territorio in cui esse si applicano; inoltre, una imposta sulle importazioni violerebbe gli artt. 25 CE e 26 CE. Si potrebbe dunque ritenere che un criterio di proporzionalità rispetto al prezzo nel contesto del divieto di imposte nazionali che interferiscano con il funzionamento del sistema comune dell’IVA debba essere inteso come un criterio di proporzionalità rispetto al valore aggiunto al prezzo nel territorio fiscale dello Stato di cui trattasi. 97. Per quanto riguarda tale criterio, dunque, sono del parere che l’IRAP, come ci è stata descritta, sia sufficientemente proporzionale al prezzo percepito nelle operazioni su cui essa grava così da non essere esclusa dal divieto di cui all’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva, qualora il suddetto divieto sia inteso nel senso che esso preclude le imposte nazionali che, sovrapponendosi, interferiscono con il funzionamento dell’IVA. Diverse sarebbero le conclusioni se il criterio dovesse essere applicato in modo più formale. 3. Riscossione ad ogni stadio della produzione 98. La terza caratteristica fondamentale dell’IVA consiste nel fatto che l’imposta è riscossa ad ogni stadio della produzione e della distribuzione, fino alla fase della vendita al dettaglio, indipendentemente dal numero di operazioni che hanno già avuto luogo. 99. L’ordinanza di rinvio precisa che «l’IRAP è riscossa in ogni fase del processo di produzione o di distribuzione, poiché ogni operatore che si inserisce in una fase del ciclo, producendo valore aggiunto tassabile, viene elevato, dalla legge, a soggetto passivo di imposta». 100. L’avvocato generale Jacobs ha trattato questi aspetti nei paragrafi 55-58 delle sue conclusioni, in cui ha affermato che l’imposta, quale descritta, soddisfa tale criterio. 101. Le principali obiezioni a questo punto di vista sono simili a quelle che ho già esaminato in precedenza e si basano, in particolare, sul fatto che l’IRAP non è riscossa allo stadio delle singole operazioni, bensì sulla base di cifre annuali, e sul fatto che essa non grava le importazioni. 102. Per quanto attiene alla prima obiezione, mi sembra che un approccio restrittivo non sia comunque giustificato. L’IRAP è riscossa, come ha spiegato l’avvocato generale Jacobs, «in ogni fase del processo di produzione o di distribuzione in corrispondenza di una cessione o di cessioni di beni o di servizi fatte da un soggetto passivo d’imposta». Questa terza 168 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) «caratteristica fondamentale» dell’IVA può solo essere intesa nel senso che essa significhi che non le sfugge alcuno stadio nella trafila delle cessioni (73), ed è forse significativo il fatto che la maggior parte dei tributi che la Corte ha ritenuto compatibili con l’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva, se non tutti, erano imposte riscosse in un singolo stadio di produzione (74). L’obiettivo è essenzialmente quello di proteggere il funzionamento dell’IVA da interferenze dovute ad imposte cumulative riscosse in differenti fasi della produzione, ed è in tale prospettiva che occorre vedere il criterio della riscossione ad ogni stadio della trafila di produzione. 103. Per quanto riguarda la seconda obiezione, vorrei ripetere (75) che il fatto di essere riscossa sulla base del valore aggiunto prodotto nel territorio fiscale dello Stato interessato è una caratteristica intrinseca di qualsiasi imposta interna sul valore aggiunto. Poiché un’imposta da riscuotere nel territorio di uno Stato membro è chiaramente idonea a mettere in pericolo un sistema di imposizione comune, operante su scala comunitaria, è irrilevante che la suddetta imposta si applichi o meno a fattispecie che si producono al confine dello Stato. 104. Di conseguenza, concordo con l’avvocato generale Jacobs su questo punto e non vedo spazio per un’interpretazione più restrittiva che escluda l’IRAP dal divieto sulla base di questo criterio. 4. Imposizione del valore aggiunto, previa deduzione dell’imposta pagata a monte 105. L’ultima delle quattro caratteristiche fondamentali dell’IVA è il fatto che l’imposta viene riscossa sul valore aggiunto alla cessione ad ogni stadio, con un meccanismo per la detrazione della tassa pagata sul valore aggiunto negli stadi precedenti. 106. L’avvocato generale Jacobs ha trattato di questi aspetti nei paragrafi 41-54 delle sue conclusioni, in cui ha affermato che essi sono sostanzialmente identici tanto per l’IVA quanto per l’IRAP. Anche qui, egli ha fatto proprio l’approccio più ampio, che toccherà alla Corte decidere se seguire o meno. 107. Tratterò anzitutto del primo aspetto di questa caratteristica che, a mio parere, è il più lineare, precisamente l’esistenza di un meccanismo di detrazione per l’imposta pagata a monte. 108. È evidente che l’IRAP non possiede un tale meccanismo proprio perché, a differenza dell’IVA, non è calcolata previa deduzione dell’imposta pagata a monte dall’imposta fatturata al cliente, bensì deducendo il valore d’acquisto dal valore di cessione. Ciò che importa è il fatto che esiste una somiglianza sostanziale fra i due tipi di meccanismo o, per esprimerci con le parole dell’avvocato generale Jacobs, che la differenza tra di essi è in pratica limitata. 109. Checché ne sia, mi sembra che l’esistenza di un meccanismo di deduzione non sia comunque un criterio indipendente, ma piuttosto un inevitabile corollario del fatto che l’imposta è riscossa sul valore aggiunto ad ogni stadio della produzione e non sul valore cumulato. 110. In effetti, risulta chiaro che non è necessario, per vietare un’imposta, che quest’ultima possieda un meccanismo per la deduzione dell’imposta pagata a monte, dal momento che uno 169 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) dei principali ed espliciti obiettivi dell’IVA è quello di sostituire dei sistemi comportanti la tassazione cumulativa di singole operazioni in più stadi di produzione (che per definizione non contenevano meccanismi di deduzione) con un sistema comune non cumulativo operante in più stadi di produzione. 111. Potenzialmente più problematica è la questione della natura del valore aggiunto in quanto tale. 112. Il giudice del rinvio osserva che «l’IRAP colpisce il valore netto derivante dall’attività produttiva, ossia il valore netto “aggiunto” al prodotto dal produttore. L’IRAP è dunque un’imposta sul “valore aggiunto” prodotto (…). La quantificazione e tassazione della frazione o segmento di valore aggiunto (…) avvengono (…) deducendo a un di presso dal ricavato delle “vendite” il costo di acquisto del “venduto”». 113. Se così fosse, l’IRAP sembrerebbe possedere la quarta caratteristica fondamentale dell’IVA. 114. Il governo italiano ha tuttavia obiettato che, sebbene l’IRAP sia riscossa sul «valore aggiunto» in senso economico, si tratta di un valore aggiunto diverso da quello preso in considerazione ai fini dell’IVA. Esso sostiene che il valore aggiunto sul quale è riscossa l’IRAP non si calcola sulla sola base dei costi degli acquisti e dei ricavati delle cessioni ma anche sulla base di criteri quali le variazioni delle scorte (siano o meno tali variazioni il risultato di cessioni), le variazioni del valore del lavoro corrente realizzato, i contributi previdenziali, l’ammortizzamento etc. e che l’IRAP consente la deduzione delle importazioni, ma grava sulle esportazioni, mentre l’IVA è riscossa sulle importazioni, ma rimborsata sulle esportazioni. Di conseguenza, due ditte che pagano importi simili per l’IVA, potrebbero pagare importi assai differenti per l’IRAP. 115. Se così fosse, se ne potrebbe dedurre che, in caso di interpretazione restrittiva di tale criterio, l’IRAP non sarebbe vietata. 116. D’altra parte, ci si potrebbe domandare se il grado di differenza non sia di scarsa importanza. Mi sembra che un’imposta non possa sfuggire al divieto di cui all’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva semplicemente grazie alla circostanza che il valore aggiunto sulla base del quale è riscossa viene definito in modo diverso da come fa la direttiva. Tuttavia, perché essa ricada sotto il divieto, occorre che vi sia una somiglianza sostanziale tra i due tipi di valore aggiunto, tale da poter causare interferenze e mettere così a rischio il funzionamento del sistema comune. La somiglianza in questione può essere esaminata a due livelli. 117. Il primo livello è il principio generale che caratterizza la base imponibile, la quale, perché ci possa essere somiglianza sostanziale, deve poter essere chiaramente definita come il valore aggiunto in ciascuno stadio della produzione. Nel caso dell’IRAP, ciò è pacifico e può essere riconosciuto dalla Corte alla luce della normativa che le è stata sottoposta. 118. Il secondo livello è il contenuto dettagliato della base imponibile, cioè gli elementi inclusi nel valore aggiunto tassato o esclusi da questo. A questo riguardo, è pacifico che non tutti gli elementi rilevanti per l’IVA lo sono del pari per l’IRAP, e viceversa. Tuttavia, non mi 170 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) sembra che la mera elencazione di tali elementi possa esserci d’aiuto; ciò che è in discussione è la somiglianza sostanziale, che può essere accertata solo guardando agli effetti sostanziali. 119. La Corte non dispone di sufficienti informazioni a proposito di tali effetti né rappresenta la sede opportuna per accertarli; un accertamento definitivo può essere effettuato solo dai giudici italiani. La Corte può nondimeno fornire indicazioni circa i criteri grazie ai quali può essere accertata la somiglianza sostanziale. Io propongo un criterio basato sul parallelismo tra gli importi riscossi a titolo d’IVA e quelli riscossi a titolo d’IRAP sul valore aggiunto da ciascuna impresa. 120. Se due imposte sono calcolate in funzione di aliquote diverse sulla stessa base imponibile, il rapporto tra le due rimarrà costante per ciascuna impresa interessata. Si potrebbe elaborare un grafico rappresentante l’importo di ciascuna imposta che un certo numero di imprese, operanti in diversi settori, disposte in ordine progressivo da quelle di minori dimensioni alle più grandi, hanno dovuto pagare alle autorità fiscali, e le due linee del grafico risulterebbero parallele. 121. Se un elemento della base imponibile venisse modificato per una delle suddette imposte, ciò potrebbe effettivamente influire sul parallelismo del rapporto, sulla sua costanza. Quanto più grande fosse il numero di elementi sottratti alla base imponibile di un tributo e/o aggiunti a quella dell’altro, tanto più risulterebbe probabile una distorsione del parallelismo. 122. Non si tratta però di un risultato obbligato. Se la base imponibile di entrambi i tributi fosse il valore aggiunto, ma taluni elementi di questo valore fossero presenti nel caso di un tributo e assenti nel caso dell’altro, il valore aggiunto nel secondo caso potrebbe sempre rimanere in un rapporto costante, sebbene più ridotto, con il valore aggiunto nel primo, cosicché continuerebbe ad esserci parallelismo tra i due tracciati del grafico. 123. In tali circostanze, si dovrebbe concludere, a mio parere, che vi è somiglianza sostanziale tra le due nozioni di valore aggiunto, poiché lo stesso effetto si potrebbe raggiungere adeguando le aliquote d’imposta piuttosto che la definizione della base imponibile. Più ancora, sarebbe evidente che la natura dell’attività era irrilevante e che le scelte strategiche effettuate da ciascuna impresa – se investire di più nel personale o nei macchinari, se prendere fondi a prestito o reinvestire i profitti,e così via – non influenzavano il risultato. 124. Se, nondimeno, le differenze fra gli elementi che compongono la base imponibile dei due tributi portassero ad una flagrante mancanza di parallelismo tra i due tracciati del grafico, con variazioni imprevedibili, sarei del parere che si dovrebbe concludere per l’assenza di somiglianza sostanziale tra le due imposte. Lo stesso sarebbe vero se le variazioni non risultassero accidentali, ma potessero essere sistematicamente riportate a scelte strategiche del tipo sopra ricordato, con differenti effetti sull’IVA, da una parte, e sull’imposta in questione, dall’altra. Ma, in caso di differenze tra settori di attività, giungerei a questa conclusione soltanto se vi fossero anche variazioni all’interno dei singoli settori; tracciati paralleli all’interno di ciascun settore costituirebbero un forte indizio di una somiglianza sostanziale delle imposte. 171 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 125. Un tale criterio mi sembra essere adeguatamente obiettivo anche se, di necessità, alcuni suoi dettagli devono essere lasciati alla valutazione dei giudici nazionali, i quali potranno ricorrere, se del caso, al parere di esperti statistici. In particolare, sarà necessario stabilire che cosa costituisca un campione rappresentativo di imprese ed in che misura si possano trascurare variazioni di portata ridotta nel rapporto fra gli importi dei due tributi. Nessuno di questi punti dovrebbe comunque, a mio parere, risultare problematico, se il principio della comparazione è chiaro. 126. Con riserva, pertanto, di una valutazione definitiva della somiglianza sostanziale tra il valore aggiunto su cui si basa l’IRAP e quello su cui si basa l’IVA da parte dei giudici italiani, ritengo che un’imposta interna che presenti le caratteristiche descritte dal giudice remittente abbia in comune con l’IVA la caratteristica fondamentale dell’essere riscossa sul valore aggiunto alle cessioni in ogni stadio della produzione, con un meccanismo di detrazione dell’imposta pagata a monte. 5. Conclusioni sulla valutazione di un’imposta come l’IRAP alla luce dell’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva 127. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, condivido largamente le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs per quanto riguarda l’incompatibilità con l’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva di un’imposta corrispondente alla descrizione che l’ordinanza di rinvio fa dell’IRAP. Dei due approcci che ho cercato di descrivere, egli opta per il più ampio, e cosi faccio anch’io. A questo riguardo, mi sembra di particolare rilievo il fatto che l’approccio più ampio si concilia con la sentenza Dansk Denkavit, pronunciata dalla Corte in seduta plenaria, mentre altre sentenze, che sembrerebbero favorire un approccio più restrittivo, sono state pronunciate da singole sezioni della Corte. 128. Di conseguenza, ritengo che un’imposta corrispondente alla descrizione fatta dell’IRAP nell’ordinanza di rinvio possieda le quattro caratteristiche essenziali dell’IVA e ricada pertanto nel campo d’applicazione del divieto di altre imposte nazionali aventi il carattere di imposte sul giro d’affari, divieto previsto dall’art. 33, n. 1, della Sesta direttiva, purché, per un campione rappresentativo di imprese assoggettate ad entrambe le imposte, il rapporto tra gli importi pagati a titolo d’IVA e gli importi pagati a titolo dell’imposta in questione risulti sostanzialmente costante. 129. La sussistenza di tale condizione va accertata dal giudice nazionale, tenendo conto delle dettagliate caratteristiche dell’imposta in questione. II – Limitazione nel tempo degli effetti di una sentenza resa in un procedimento pregiudiziale A – Considerazioni generali 130. L’ultimo dei tre quesiti posti dalla Corte prima della seconda udienza è stato suggerito dalle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs ed è quello che ha ottenuto il maggior numero di risposte da parte degli Stati membri. Esso riguarda le circostanze e le modalità di un eventuale assoggettamento a limiti degli effetti nel tempo di una sentenza emessa dalla Corte in sede di procedimento pregiudiziale. 172 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 131. Nel limitare nel tempo gli effetti di una sentenza si deve sempre cercare di raggiungere un contemperamento tra, da un lato, il principio di una corretta e coerente interpretazione del diritto e, dall’altro, il principio di certezza dei rapporti giuridici instaurati in buona fede, anche se in base ad interpretazioni errate. 1. Validità di atti comunitari ed efficacia nel tempo 132. La prassi della Corte trova fondamento nell’art. 231, secondo comma, CE, articolo che, con riferimento ad azioni di annullamento di atti comunitari, così dispone: «Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. Tuttavia, per quanto concerne i regolamenti, la Corte di giustizia, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati come definitivi». 133. Fondandosi direttamente su tale disposizione, la Corte ha adottato sostanzialmente due tipi di condotta, o dichiarando definitivi gli effetti dell’atto impugnato (76) oppure confermando i detti effetti fino all’adozione di un nuovo e valido provvedimento – specificando talvolta che ciò dovesse avvenire in tempi ragionevoli (77). 134. Ma la Corte può inoltre riesaminare la validità di un atto comunitario in risposta ad una domanda di pronuncia pregiudiziale. Sostanzialmente, per garantire una certa coerenza tra le due situazioni, essa ha pertanto applicato, in via analogica, l’art. 231, secondo comma, CE, nelle opportune ipotesi di tale natura. In quest’ambito, essa ha adottato diversi metodi. In alcune cause, la Corte ha puntualizzato che la dichiarazione di invalidità non aveva nessun effetto retroattivo (78). In altre, essa ha dichiarato che gli effetti, in generale, non erano retroattivi, eccezion fatta per coloro i quali avessero promosso azioni basate sull’invalidità prima della data della sentenza (79). In un caso, la Corte ha confermato l’efficacia di norme invalide sino all’adozione di nuove norme (80), e in un tipo di situazione molto specifico, quando una disposizione era stata dichiarata invalida non per il suo contenuto, ma per un’omissione in essa rilevata, la Corte ha semplicemente dichiarato che spettava all’istituzione interessata adottare i provvedimenti necessari per porre rimedio all’incompatibilità (81). Indubbiamente, la scelta del metodo è stata determinata ogni volta dalle specifiche circostanze del caso. 2. Interpretazione del diritto comunitario ed efficacia nel tempo 135. Inoltre, la Corte ha imposto, in taluni casi (82), una limitazione nel tempo degli effetti di una pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione di una disposizione del diritto comunitario. 136. La maggior parte di queste cause rientra in due ampie categorie: mancata concessione, avente natura discriminatoria, di un beneficio finanziario, e imposizione di un tributo nazionale in contrasto con il diritto comunitario. Entrambe le categorie possono concernere importi molto elevati ingiustamente trattenuti o riscossi, il pagamento o il rimborso dei quali può provocare serie difficoltà alle finanze dello Stato membro interessato (83). a) Efficacia ex tunc 173 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 137. In cause del genere, dopo aver formulato un’interpretazione secondo la quale la linea di condotta nazionale in esame doveva essere considerata illegittima, la Corte ha sistematicamente ricordato che la sua sentenza interpretativa definisce il significato e la portata della norma comunitaria nel senso secondo il quale essa doveva essere intesa ed applicata sin dalla sua entrata in vigore. b) Efficacia ex nunc 138. Eccezionalmente, quando lo Stato membro aveva buoni motivi per ritenere che la sua condotta fosse compatibile con il diritto comunitario e sussisteva un rischio di serie ripercussioni economiche, la Corte ha proseguito decidendo che la sua interpretazione non poteva essere invocata per rimettere in discussione situazioni consolidatesi in buona fede nel passato: l’interpretazione avrebbe prodotto effetti dalla data della sentenza stessa (84). c) Eccezioni alla limitazione dell’efficacia nel tempo 139. A tutt’oggi, la Corte ha escluso una qualsiasi forma di limitazione degli effetti nel tempo per azioni basate sull’interpretazione formulata ma proposte prima della data della sua pronuncia (85). d) La soluzione ipotizzata nella causa Meilicke 140. Nella causa Meilicke (86), una causa attualmente pendente dinanzi alla Corte, l’avvocato generale Tizzano, nelle sue conclusioni presentate il 10 novembre 2005, ha proposto una soluzione diversa da quella fino ad oggi adottata dalla Corte. 141. Egli ha concluso, in primo luogo, che una disposizione tedesca sulla tassazione di dividendi era contraria al diritto comunitario – come risultava chiaro in base alla precedente sentenza della Corte nella causa Verkooijen (87), riguardante una norma paragonabile dell’ordinamento olandese – ma che le condizioni per limitare nel tempo gli effetti della futura sentenza erano soddisfatte. 142. Egli è poi passato a considerare (88) quale forma di limitazione si dovesse adottare, esaminando una gamma di possibilità più ampia di quella di cui la Corte ha finora fatto uso. Egli ha concluso nel senso che la sentenza dovrebbe produrre effetti dalla data della pronuncia Verkooijen, quando è divenuta chiara la corretta interpretazione del diritto comunitario (89). Nondimeno, si dovrebbe fare un’eccezione a siffatta limitazione per le azioni proposte prima di tale data. Inoltre, sarebbe ingiusto respingere tutte le azioni proposte dopo la sentenza Verkooijen, sebbene la notorietà che ha accompagnato il procedimento Meilicke abbia portato a un così gran numero di azioni che un’eccezione per tutte loro potrebbe rendere inevitabile il rischio di serie ripercussioni economiche. 143. Di conseguenza, egli ha suggerito che l’eccezione debba applicarsi a tutte le azioni proposte prima della data in cui la comunicazione dell’ordinanza di rinvio relativa al procedimento Meilicke è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, momento in cui si può supporre che la possibilità di un rimborso abbia attirato l’attenzione persino dei ricorrenti meno diligenti. 174 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) e) Effetti a partire da una data futura 144. Per completare la gamma di possibilità ipotizzabili, può essere utile esaminare un’altra opzione ammessa negli ordinamenti costituzionali di alcuni Stati membri (90) in situazioni analoghe a quelle di cui alla presente causa (91), vale a dire quella di stabilire una data futura a partire dalla quale la sentenza possa essere invocata. 145. In tali ordinamenti, lo scopo sembra soprattutto quello di evitare situazioni in cui una lacuna del diritto potrebbe essere peggiore di una cattiva norma (comprese, per esempio, quelle in cui lo Stato non potrebbe essere più in grado di tassare determinati redditi o disporre determinati pagamenti) e di concedere al legislatore un tempo sufficiente all’adozione di un provvedimento che soddisfi le condizioni poste dalla norma di rango superiore. In molte cause, la competenza del giudice a stabilire una data futura è limitata per legge entro precisi limiti di tempo. All’interno di tale periodo, la scelta può essere determinata dalla valutazione del giudice relativa al tempo ragionevole ai fini dell’adozione di una nuova normativa, oppure dal carattere periodico della legislazione esaminata (nel caso, ad esempio, della normativa tributaria) (92). 3. Natura peculiare delle sentenze pregiudiziali di interpretazione del diritto comunitario che possono condurre all’invalidità di provvedimenti nazionali 146. Prima di procedere oltre, può essere utile attirare l’attenzione sulle caratteristiche specifiche di una sentenza pregiudiziale di questa Corte che interpreti il diritto comunitario in modo tale da comportare l’invalidità di un provvedimento nazionale, le quali possono condizionare le opzioni a disposizione della Corte al momento di decidere di limitare nel tempo l’efficacia della sua pronuncia. 147. La Corte non è competente a decidere sulla compatibilità di un provvedimento nazionale con il diritto comunitario, ma può solo interpretare quest’ultimo in modo tale da consentire al giudice nazionale di decidere in merito a tale compatibilità (93). 148. Ovviamente, nella presente causa la Corte può interpretare la sesta direttiva in modo da far sì che il giudice remittente dichiari l’IRAP incompatibile con il diritto comunitario. Ciò è comunque molto diverso dal dichiarare che il tributo nazionale in esame è esso stesso invalido, una dichiarazione che può essere formulata solo dal competente giudice nazionale qualora lo si ritenga opportuno, con effetti dalla data determinata da detto giudice o in applicazione del diritto nazionale, e diverge dall’ipotesi di un rinvio pregiudiziale vertente sulla validità di un atto comunitario, che in effetti la Corte può annullare direttamente. 149. La data a partire dalla quale la pronuncia della Corte produce effetti acquisterà rilevanza al momento di decidere se una parte in causa possa o meno invocare dinanzi ad un giudice l’incompatibilità del provvedimento nazionale con il diritto comunitario risultante chiaramente dalla pronuncia, con riferimento al periodo in cui il detto provvedimento è stato applicato. Questo non sarà comunque l’unico fattore rilevante, dal momento che le norme di procedura nazionali possono limitare in altro modo la portata dell’azione. B – Limitazione degli effetti nel tempo in relazione al presente procedimento 175 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 150. Anche se le considerazioni generali che ho sviluppato in precedenza possono essere di aiuto alla Corte, qualsiasi decisione di limitare gli effetti nel tempo di una sua pronuncia dev’essere adottata in base ad un’analisi di ogni singolo caso concreto, alla luce volta per volta del complesso delle circostanze. 151. Sono tre le questioni cui va pertanto data risposta nel presente procedimento: se sussistano ragioni per limitare gli effetti nel tempo della sentenza; in caso di soluzione affermativa, a partire da quale data sia possibile invocare la sentenza; se vada stabilita una qualche eccezione a favore di azioni promosse prima di una certa data. 152. Nel prosieguo, per evitare continue ripetizioni dei necessari presupposti, mi baserò sull’ipotesi che la Corte fornisca un’interpretazione da cui risulti dimostrata l’incompatibilità dell’IRAP con il diritto comunitario. 1. Motivi per una limitazione degli effetti nel tempo 153. Occorre soddisfare due criteri essenziali, ossia che gli interessati devono aver agito in buona fede e che deve sussistere il rischio di serie difficoltà in caso di mancata fissazione di un limite (94). L’avvocato generale Jacobs ha ritenuto che entrambi i criteri fossero soddisfatti nel caso di specie. 154. Tutti gli Stati membri che si sono espressi su questo aspetto concordano sul fatto che i criteri siano soddisfatti nel caso di specie. Molti di loro hanno anche affermato che la Corte dovrebbe definire tali criteri in modo più elastico di quanto ha fatto alcune volte in passato, facendo riferimento, tra l’altro, al paragrafo 42 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Tizzano nella causa Meilicke. Anche la Commissione concorda sul fatto che i criteri siano soddisfatti, e la Banca Popolare non solleva obiezioni di principio alla determinazione di un limite agli effetti nel tempo. 155. Concordo pienamente con l’analisi dell’avvocato generale Jacobs sul punto. In base agli elementi di prova prodotti dinanzi alla Corte e non contestati, solo una considerazione della limitazione degli effetti nel tempo più rigorosa rispetto a quella adottata in passato giustificherebbe la decisione di non fissare limiti nel tempo nella presente fattispecie. Nessun argomento è stato dedotto a favore di una modifica di tal natura, né sembra che sussistano ragioni nelle circostanze del caso di specie per intraprendere un riesame della prassi passata. Alla luce di ciò, non c’è alcuna necessità di riflettere sulla possibilità di fare appello, in una qualsiasi causa futura, ad una più elastica considerazione della questione della limitazione degli effetti nel tempo. 156. Desidero comunque sottolineare che le circostanze del presente giudizio sono davvero particolari. Nel 1997 il governo italiano ha ricevuto dalla Commissione ciò che si può interpretare solo come un’espressa garanzia che l’IRAP fosse compatibile con il diritto comunitario (95). L’importo del tributo di cui può essere chiesto il rimborso è stato valutato dal governo italiano come pari a circa 120 miliardi di euro, e tale dato non è stato contestato (96). Il procedimento si è protratto a lungo, tanto a livello nazionale che dinanzi alla Corte (97). In quest’ultimo ambito, la Grande Sezione ha assunto la rara iniziativa di riaprire la fase 176 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) orale del procedimento e di tenere una seconda udienza, una mossa che ha suscitato ancora più attenzione. 2. Scelta di una data per la limitazione degli effetti nel tempo 157. In passato, quando la Corte ha determinato una limitazione degli effetti nel tempo eccezion fatta per le azioni avviate prima di una certa data, essa ha sempre utilizzato la stessa data come base sia per la limitazione, sia per l’eccezione: la limitazione non si applica alle azioni già proposte prima della data in cui si poteva invocare la sentenza (in pratica, sino ad oggi, sempre a partire dalla sua pronuncia). Comunque, come ha proposto l’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni da lui presentate nella causa Meilicke, due date differenti potrebbero essere più adeguate in alcune circostanze. Nella presente sezione, mi occuperò solo della data principale, che è proprio quella della limitazione degli effetti nel tempo. 158. Chiaramente, se gli effetti di una sentenza nel tempo vanno limitati, ciò deve avvenire o dalla data di pronuncia della sentenza stessa o da un’altra data specifica, anteriore o successiva a tale pronuncia. 159. Non mi sembra possibile individuare nella presente causa nessuna data precisa nel passato a partire della quale la sentenza dovrebbe produrre effetti. Nelle circostanze della causa Meilicke, l’avvocato generale Tizzano ha posto in rilievo il fatto che la portata delle disposizioni rilevanti del diritto comunitario era divenuta chiara a partire dalla pronuncia della sentenza Verkooijen. Nel nostro caso, non sembra che sussista nessuna data equivalente. Ovviamente, è possibile un parallelo con la sentenza Dansk Denkavit, ma aspetti della giurisprudenza successiva a tale sentenza, unitamente alle divergenti opinioni manifestate nella presente causa, che hanno dato origine ad una seconda udienza, rendono ben difficile considerare la sentenza Dansk Denkavit come un precedente giurisprudenziale di valore equivalente alla sentenza Verkooijen. La questione dell’incompatibilità con la sesta direttiva di un tributo nazionale del tipo dell’IRAP, quale descritto dal giudice remittente, non avrà una soluzione autorevole fino a quando la Corte non abbia pronunciato la sua sentenza sul caso – la quale forse potrà rappresentare la «Verkooijen» per i casi futuri. 160. La data di tale pronuncia potrebbe pertanto sembrare una data appropriata e, qualora fosse scelta, seguirebbe le tracce di questo consolidato indirizzo della Corte. 161. Nondimeno, alla luce delle specifiche circostanze di questo giudizio, sarebbe possibile pure adottare un diverso metodo e stabilire una data futura, ispirandosi sia alla prassi di quei giudici nazionali i quali, in circostanze analoghe, concedono al legislatore un periodo ragionevole per emanare un nuovo atto compatibile, sia alla prassi della stessa Corte, con riferimento alla validità di atti comunitari, esemplificata dalle sentenze citate nelle note 77 e 80. 162. Secondo me, un metodo del genere sarebbe più opportuno in questa sede. Non ci si può realisticamente attendere che le autorità italiane modifichino da un giorno all’altro il loro intero sistema di finanziamento delle spese regionali, né ci si può attendere che esse lo abbiano mutato anticipando la sentenza della Corte. Se tutti i contribuenti potessero invocare immediatamente la sentenza per chiedere il rimborso di importi versati a titolo di IRAP a 177 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) partire dalla data della sua pronuncia, tanto varrebbe abolire con effetto immediato il tributo, e i mezzi di finanziamento delle regioni italiane. 163. D’altro canto, non si può stabilire una data troppo lontana nel futuro. Se è irragionevole aspettarsi l’immediata sostituzione di un tributo con un altro, non è irragionevole ipotizzare che le autorità italiane abbiano già ora approntato piani contingenti ai fini di una tale sostituzione. Esse hanno appreso, nel marzo 2004, l’opinione della Commissione che l’IRAP fosse incompatibile, quando tale istituzione ha depositato le sue osservazioni dinanzi alla Corte, benché le dette osservazioni fossero di carattere riservato, e, nel marzo 2005, hanno appreso quella dell’avvocato generale Jacobs, che essa fosse incompatibile, quando egli ha presentato ufficialmente le sue conclusioni in pubblica udienza. In effetti, sembra che la graduale eliminazione dell’IRAP sia stata programmata a livello normativo sin dall’aprile 2003, ed è lecito presumere che la situazione da allora abbia fatto passi avanti (98). 164. Per garantire che l’IRAP venga sostituita da uno strumento finanziario compatibile con il diritto comunitario nel modo meno traumatico possibile e quanto prima, la data appropriata mi sembrerebbe quella corrispondente alla scadenza dell’esercizio tributario in corso nel giorno della pronuncia della sentenza della Corte (99). Dato che la sentenza sarà presumibilmente pronunciata quest’anno e poiché sembra che l’esercizio tributario dell’IRAP corrisponda all’anno civile, ciò significherebbe che la sentenza non potrebbe essere invocata per promuovere giudizi vertenti sull’IRAP riscossa in relazione a qualsiasi esercizio tributario scaduto il, oppure anteriormente al, 31 dicembre 2006 ma che, nel caso di ritardi nella riforma del sistema, potrebbe essere chiesto il rimborso di ogni importo riscosso in relazione a qualsiasi esercizio tributario successivo. 3. Eccezioni alla data stabilita per la limitazione degli effetti nel tempo 165. La limitazione che suggerisco cerca di tener conto dell’interesse degli Stati membri nell’ambito di uno specifico insieme di circostanze. Essa tuttavia si pone in contrasto con il principio che chiunque ha il diritto di ottenere il rimborso di tributi nazionali riscossi in violazione delle disposizioni comunitarie (100). Pertanto, occorre prestare attenzione al fine di garantire che la restrizione di tale principio non sia eccessiva, anche tenendo conto delle specifiche circostanze del caso di specie. 166. Di solito, nella prassi sia di questa Corte sia dei giudici di un certo numero di Stati membri, si dispone un’eccezione ad una limitazione degli effetti nel tempo di una sentenza a favore di azioni avviate prima di una certa data. Detta eccezione può coprire tutte le azioni promosse prima della data della sentenza che ha accertato l’incompatibilità (questa è stata la prassi abituale di questa Corte), oppure solo alcune di esse; inoltre, può essere lecito scegliere un differente termine ultimo (come suggerito dall’avvocato generale Tizzano in occasione della causa Meilicke). 167. La difficoltà notevole che si pone nel caso di specie è il numero apparentemente enorme di azioni avviate ai fini del rimborso dell’IRAP in base alla sua presunta incompatibilità con il diritto comunitario. Dato che il presente procedimento ha suscitato una grande attenzione per un periodo di tempo relativamente lungo, appare possibile che molte di queste azioni, in particolare le più recenti tra di esse, abbiano natura speculativa, essendo state promosse senza grande sforzo o spese allo scopo di approfittare della prossima sentenza. Un’eccezione a 178 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) favore di azioni del genere non solo sembra meno giustificata a causa della loro natura ma, a causa del loro numero, potrebbe probabilmente inficiare seriamente il risultato ricercato mediante la limitazione. 168. Se un’eccezione dev’essere stabilita a favore di azioni avviate prima di una certa data e se tale data va scelta alla luce delle considerazioni sviluppate nel precedente paragrafo, essa deve soddisfare le seguenti condizioni: dev’essere la più oggettiva possibile; deve dare la possibilità di distinguere il più possibile tra le azioni avviate tempestivamente, nella convinzione che fossero realmente fondate, e nondimeno con un certo rischio vista l’incertezza del loro risultato, e quelle avviate in epoca successiva, nella prospettiva di un successo considerato abbastanza probabile; e dovrebbe essere tale da risolvere efficacemente il problema posto dal numero estremamente elevato di ricorsi. 169. Seguendo il suggerimento dell’avvocato generale Tizzano dato nella causa Meilicke, la Banca Popolare, il governo italiano e la Commissione, insieme a molti altri Stati membri, hanno proposto tutti la data del 21 gennaio 2004, quando la comunicazione del ricevimento, da parte della Corte, dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale nella presente causa è apparsa sulla Gazzetta ufficiale (101). 170. Tuttavia, mi sembra che, applicando al caso di specie un ragionamento analogo a quello alla base del suggerimento dell’avvocato generale Tizzano, si dovrebbe giungere ad una data diversa. La ragione che lo ha indotto a proporre la data della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale nella causa Meilicke era che si poteva ragionevolmente supporre che, a partire da tale data, sia stata suscitata l’attenzione persino del meno diligente dei ricorrenti sulla possibilità di un rimborso (102). L’interpretazione del diritto comunitario era divenuta chiara a partire dalla sentenza Verkooijen, ma la probabilità di una sua applicazione alla normativa tributaria tedesca non è divenuta concreta sino al rinvio operato dinanzi alla Corte. Una volta che i potenziali ricorrenti furono informati di tale rinvio, apparve plausibile poter avviare azioni con ragionevoli probabilità di successo. 171. Non penso che la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale abbia fornito un’informazione equivalente nel presente caso, dato che qui manca l’«elemento Verkooijen» (103). La domanda di pronuncia pregiudiziale ha sollevato la questione della compatibilità dell’IRAP con il diritto comunitario, ma il risultato del rinvio non era assolutamente scontato come nella causa Meilicke, dove le disposizioni pertinenti del diritto comunitario erano già state interpretate dalla Corte in circostanze analoghe. Nel caso di specie, come ho dimostrato, la giurisprudenza non è stata del tutto inequivocabile nel suo giudizio sulla compatibilità con la sesta direttiva. 172. Comunque, sembra pacifico che adesso ci sia una diffusa impressione – o quantomeno una speranza – in Italia sul fatto che la Corte probabilmente pronuncerà una sentenza in esito alla quale l’IRAP verrà dichiarata incompatibile con il diritto comunitario. L’individuazione di una data a partire dalla quale tale impressione sia divenuta concreta è destinata a risultare in qualche misura arbitraria, ma secondo me la presentazione delle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs il 17 marzo 2005 è, sotto tale profilo, la meno arbitraria e la più oggettiva delle date (104). È da tale momento che è divenuta concreta la probabilità che la Corte pronunciasse una sentenza di tal genere; al contrario, se le sue conclusioni fossero giunte ad esiti diversi, le probabilità sarebbero state considerevolmente minori. 179 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 173. Sono pertanto del parere che un’eccezione alla limitazione nel tempo degli effetti della sentenza, a favore di coloro i quali abbiano avviato azioni anteriormente al 17 marzo 2005, consenta probabilmente di operare una distinzione tra le azioni avviate tempestivamente e quelle promosse solo quando le possibilità di successo sono apparse rafforzate. E sebbene il governo italiano abbia suggerito una data anteriore, è tuttavia lecito ritenere che il rischio di inficiare gli effetti della limitazione non debba essere indebitamente esacerbato. 174. Rimane comunque una perplessità, sollevata in particolare dal governo olandese. 175. Come l’avvocato generale Jacobs aveva notato nel paragrafo 85 delle sue conclusioni, una qualsiasi diminuzione delle entrate provocata dal rimborso dell’IRAP dovrà essere compensata da altri tributi. Il governo olandese nutre perplessità in merito all’ingiustizia che potrebbe realizzarsi qualora tutti i contribuenti (inclusi i più recenti operatori del mercato, che non sono stati assoggettati all’IRAP) dovessero far fronte a tale diminuzione, mentre solo alcuni di loro beneficerebbero del rimborso. Per di più, secondo il suo ragionamento, se l’onere del tributo è stato trasferito sui consumatori (come dev’essere avvenuto in generale, se l’IRAP è colpita dal divieto posto dalla sesta direttiva), il beneficio del rimborso risulterà moltiplicato. 176. Questo ragionamento parrebbe suggerire che in realtà non si dovrebbe fare alcuna eccezione alla limitazione degli effetti della sentenza. Concordo che possono esservi circostanze nelle quali ciò sia opportuno (e che in tali circostanze sarebbe ingiustificato fare un’eccezione persino per le parti in causa nel giudizio che abbia dato origine al rinvio, dal momento che il carattere specifico di un procedimento, che dia origine a un rinvio pregiudiziale, non dipende assolutamente dallo zelo con cui il ricorrente ha promosso il giudizio), ma non penso che ciò possa valere in questa sede. 177. Il problema della disparità di trattamento, come ad esempio tra contribuenti, non risulterà significativo se il numero dei ricorrenti avvantaggiati dall’eccezione rimarrà sufficientemente circoscritto – e ciò appare probabile qualora venga adottata una data persino posteriore a quella suggerita dal governo italiano. E il problema dell’ingiustificato arricchimento realizzato mediante il rimborso di un tributo il cui onere sia stato trasferito è stato adeguatamente affrontato dalla giurisprudenza della Corte, più di recente nella sentenza Weber’s Wine World (105), adottata sulla scia della sentenza EKW. C – Conseguenze per altri Stati membri 178. Passo infine a riflettere brevemente sulle conseguenze di più ampio respiro della sentenza (la quale, ribadisco, ai fini della presente trattazione ipotizzo che implichi l’incompatibilità di un tributo che corrisponda alla descrizione dell’IRAP data dal giudice remittente) e di una qualsiasi limitazione nel tempo dei suoi effetti. 179. Qualora venga imposta una limitazione nel tempo degli effetti di una siffatta pronuncia, ciò avverrà a vantaggio dello Stato membro interessato, al fine di evitare disfunzionamenti eccezionali. Qualora si conceda un’eccezione alla limitazione ciò avverrà, viceversa, nell’interesse di coloro i quali, all’interno dello Stato membro, hanno cercato di far valere determinate pretese facendo affidamento sull’ordinamento comunitario. 180 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 180. Una sentenza interpretativa ha però efficacia generale. Qualora la Corte dovesse dichiarare che un tributo con le caratteristiche dell’IRAP quali descritte dal giudice remittente sia incompatibile con la sesta direttiva, ciò varrà per l’IRAP e parimenti per qualsiasi altro tributo che abbia tali caratteristiche in qualsiasi altro Stato membro. 181. Tuttavia, qualsiasi limitazione nel tempo degli effetti e qualsiasi eccezione a quest’ultima stabilite dalla Corte si baseranno su una valutazione della situazione – esistenza di una buona fede da parte dello Stato, rischio di gravi disfunzionamenti per lo Stato e necessità di un’efficace tutela giurisdizionale per i ricorrenti diligenti – in Italia, e tale valutazione potrebbe risultare ben diversa riguardo ad un altro Stato membro il quale applichi anch’esso un tributo con le stesse caratteristiche. 182. Tale riflessione implica che qualsiasi limitazione debba non solo operare nel tempo ma anche, in realtà, nello spazio – problema di una certa rilevanza nel caso di specie, dato che, in base a diversi tra i numerosi articoli già apparsi nelle riviste giuridiche e tributarie in merito al presente procedimento, sembra che uno o più tra gli Stati membri diversi dall’Italia applichi forse imposte le quali, quantomeno secondo il parere di alcuni autori, condividono alcune caratteristiche dell’IRAP. 183. Ovviamente, non è possibile per la Corte decidere nella presente causa se una limitazione degli effetti nel tempo sia appropriata in relazione a tali altri tributi oppure, se appropriata, quale data debba essere stabilita e quali eccezioni debbano essere, se del caso, concesse. La Corte ha però costantemente dichiarato che una limitazione nel tempo degli effetti può essere concessa solo nell’ambito dello specifico giudizio vertente sull’interpretazione richiesta (106), e la decisione è peculiare al contesto materiale proprio del rinvio pregiudiziale. 184. Di conseguenza, in osservanza dei principi fondamentali che regolano gli effetti di tutte le sentenze pregiudiziali della Corte di natura interpretativa, la pronuncia si applicherà ex tunc con riferimento a qualsiasi altro tributo che presenti le caratteristiche rilevanti in un altro Stato membro. 185. Le difficoltà che ciò potrebbe comportare sono analoghe a quelle delineate dall’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni da lui presentate nella causa Meilicke, in particolare nei paragrafi 47 e seguenti. Si potrebbe immaginare il seguente scenario. 186. Qualora alcuni contribuenti impugnino un tributo nazionale basandosi sulla sentenza resa nella presente causa, il giudice nazionale avrà facoltà di formulare una domanda di pronuncia pregiudiziale; indubbiamente, non c’è nessuna certezza che un altro tributo nazionale possegga le caratteristiche definite in questa causa in modo tanto simile da escludere qualsiasi dubbio sulla sua compatibilità. Nell’ambito del procedimento cui darà luogo tale rinvio, sarà facoltà dello Stato membro interessato chiedere una limitazione nel tempo degli effetti della futura pronuncia. Qualora le circostanze appaiano idonee, la Corte potrebbe decidere di concedere una limitazione in base alla data della sentenza nella presente causa – in modo analogo a quanto proposto dall’avvocato generale Tizzano in occasione della causa Meilicke, e cioè che gli effetti dovrebbero restare limitati alla data della sentenza Verkooijen – e fissare qualsiasi eccezione che possa risultare opportuna agli effetti della limitazione. Conclusione 181 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 187. Alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, sono del parere che la Corte debba risolvere nella seguente maniera le questioni sollevate dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona: 1) Un’imposta con le caratteristiche dell’IRAP quali descritte nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, vale a dire la quale – è riscossa su tutte le persone fisiche e giuridiche che esercitano abitualmente un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, – colpisce la differenza tra i ricavi e i costi dell’attività tassabile, – è applicata in ordine a ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione corrispondente ad una cessione o ad una serie di cessioni di beni o servizi effettuata da un soggetto passivo, e – impone, in ciascuna di tali fasi, un onere che è globalmente proporzionale al prezzo al quale i beni o i servizi sono ceduti, ricade nell’ambito del divieto di cui all’art. 33, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE, riguardante altri tributi nazionali che abbiano le caratteristiche di un’imposta sulla cifra d’affari purché, per un campione rappresentativo di imprese assoggettate ad entrambe le imposte, il rapporto tra gli importi pagati a titolo d’IVA e gli importi pagati a titolo dell’imposta in questione risulti sostanzialmente costante. La sussistenza di tale condizione va accertata dal giudice nazionale, tenendo conto delle dettagliate caratteristiche dell’imposta in questione. 2) Il divieto disposto dal detto articolo non può essere invocato al fine di far valere il diritto al rimborso dell’IRAP riscossa con riferimento a qualsiasi esercizio tributario anteriore alla sentenza della Corte, oppure con riferimento all’esercizio nel corso del quale detta sentenza venga pronunciata, fatta eccezione per chiunque abbia agito in giudizio o abbia promosso un equivalente ricorso amministrativo anteriormente al 17 marzo 2005, data in cui sono state presentate le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella presente causa. Siffatte parti in causa possono invocare tale divieto purché alle loro azioni non vadano applicate preclusioni di altro tipo in forza delle norme di procedura nazionali, le quali rispettino i principi di equivalenza ed effettività. NOTE: 1 – Lingua originale: l'inglese. 2 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»). 182 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 3 – Faccio rinvio a tali conclusioni per quanto riguarda il contesto normativo, fattuale e procedurale della causa, che richiamerò o integrerò solo ove necessario. 4 – Ho semplificato il testo delle questioni come compaiono nell'ordinanza di riapertura della fase orale. 5 – Paragrafo 27 delle conclusioni. V., anche, ad esempio, sentenza 3 marzo 1988, causa 252/86, Bergandi (Racc. pag. 1343, punto 13); nonché sentenza 26 giugno 1997, cause riunite da C-370/95 a C-372/95, Careda e a. (Racc. pag. I-3721, punti 25 e 26). 6 – Del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che istituisce l'IRAP, pubblicato in GURI n. 298 del 27 dicembre 1997. 7 – Per «valore aggiunto prodotto». 8 – Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs, paragrafi 36 e 67. 9 – Poiché tale disposizione è redatta in termini permissivi («(…) le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre (…) qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d'affari (…)») si potrebbe ritenere preferibile considerare il divieto come derivante piuttosto dalla direttiva nel suo complesso, con le sue norme di armonizzazione piuttosto dettagliate, in combinato disposto con l'art. 10 CE – che vieta qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del Trattato –laddove l'art. 33, n. 1, della direttiva chiarisce il divieto specificando che riguarda solo le imposte che abbiano il carattere di imposta sulla cifra d'affari. Tuttavia, la differenza di impostazione non ha conseguenze pratiche, cosicché darò per presupposto, adeguandomi alla giurisprudenza costante, che il divieto risieda nell'art. 33, n. 1. 10 – V., supra, paragrafi 2 e 8, nonché infra, paragrafo 22. 11 – Una serie di altre cause ha importanza minore: la sentenza 8 luglio 1986, causa 73/85, Kerrutt (Racc. pag. 2219), riguardava un tipo di imposta di registro esplicitamente consentita dall'art. 33 della sesta direttiva; nella sentenza 15 marzo 1989, cause riunite 317/86, 48/87, 49/87, 285/87 e 363/87-367/87, Lambert e a. (Racc. pag. 787), la Corte ha ribadito lo stesso principio enunciato nella sentenza Bergandi (cit. alla nota 5), con riferimento alla stessa imposta; l'imposta oggetto della sentenza 31 marzo 1992, causa C-200/90, Dansk Denkavit (Racc. pag. 12217) è stata successivamente anche oggetto di un ricorso per inadempimento sfociato nella sentenza 1° dicembre 1993, causa C-234/91, Commissione/Danimarca (Racc. pag. I-6273), nella quale la Corte ha seguito lo stesso ragionamento; nella sentenza 17 settembre 1997, causa C-28/96, Fricarnes (Racc. pag. I-4939, punti 34 e segg.), la Corte ha seguito il medesimo iter logico della sentenza, pronunciata in pari data nella causa C-347/95, UCAL, avente ad oggetto una tassa analoga. 12 – Sentenza 27 novembre 1985, causa 295/84 (Racc. pag. 3759, in particolare punti 14-17). 13 – Cit. supra alla nota 5, punti 6-20. 183 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 14 – Sentenza 13 luglio 1989, cause riunite 93/88 e 94/88 (Racc. pag. 2671, punti 6-21). 15 – Sentenza 19 marzo 1991, causa C-109/90 (Racc. pag. I-1385, in particolare punto 14). 16 – Cit. alla nota 11. 17 – Sentenza 7 maggio 1992, causa C-347/90 (Racc. pag. I-2947). 18 – Sentenza 16 dicembre 1992, causa C-208/91 (Racc. pag. I-6709). 19 – Cit. supra alla nota 5. 20 – Cit. supra alla nota 11, punti 30 e segg. 21 – Sentenza 17 settembre 1997, causa C-130/96 (Racc. pag. I-5053). 22 – Sentenza 19 febbraio 1998, causa C-318/96 (Racc. pag. I-785). 23 – Sentenza 8 giugno 1999, cause riunite C-338/97, C-344/97 e C-390/97 (Racc. pag. I3319). 24 – Sentenza 9 marzo 2000, causa C-437/97 (Racc. pag. I-1157, in particolare punti 19-25). 25 – Sentenza 19 settembre 2002, causa C-101/00 (Racc. pag. I-7487, in particolare punti 91107). 26 – Sentenza 29 aprile 2004, causa C-308/01 (Racc. pag. I-4777, in particolare punti 23-37). 27 – Sentenze Rousseau Wilmot, punto 13; Wisselink, punto 8; v. anche l'ottavo ‘considerando’ della prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari (GU 71, pag. 1301; in prosieguo: la «prima direttiva). 28 – Sentenze Bergandi, punto 7; SPAR, punto 17; Pelzl, punto 14; v. anche primo e secondo ‘considerando’ della prima direttiva. 29 – Sentenze Bergandi, punto 9; SPAR, punto 19; Pelzl, punto 18. 30 – Sentenze Rousseau Wilmot, punto 16; Bergandi, punto 14; Wisselink, punto 17; Dansk Denkavit, punto 11; Bozzi, punto 9; Beaulande, punto 12; Careda, punti 13 e 24; UCAL, punto 33; Solisnor, punto 13; EKW, punto 20. 31 – Punto 19. 32 – Sentenze Rousseau Wilmot, punto 15; Bergandi, punti 8 e15; Wisselink, punto 18; Giant, punto 12; SPAR, punto 23; Pelzl, punto 16. 184 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 33 – Questa sintesi è tratta dalla sentenza Pelzl, punti 20 e 21. Le caratteristiche così delineate sono rimaste sostanzialmente invariate, sebbene vi siano lievi differenze nell'esatta formulazione: v. sentenze Dansk Denkavit, punto 11; Bozzi, punto 12; Beaulande, punto 14; Careda, punto 14; UCAL, punto 34; Solisnor, punto 14; EKW, punto 22; Tulliasiamies, punto 99; nonché GIL Insurance, punto 33. 34 – V. sentenze Bergandi, punto 14; Giant, punto 11; SPAR, punto 22; Pelzl, punto 20. 35 – V. supra, paragrafo 22, e la giurisprudenza ivi citata. 36 – Sentenze Dansk Denkavit, punto 14; Careda, punto 14; Solisnor, punto 14; SPAR, punto 21; EKW, punto 22; GIL Insurance, punto 32. 37 – Punto 15 e dispositivo. Si noti tuttavia che non tutte quelle caratteristiche sono state considerate rilevante nell'analisi svolta dalla Corte; v. infra, paragrafo 28 nonché note 50, 52 e 54. 38 – Al punto 15. 39 – Ai punti 18 e 19. 40 – Ai punti 24 e 25. 41 – Sentenze Rousseau Wilmot, punto 16; Giant, punto 14; Pelzl, punti 24 e 25. 42 – Sentenze Bergandi, punti 16 e segg.; Wisselink, punto 20. 43 – Sentenze Beaulande, punto 18; UCAL, punto 36; GIL Insurance, punto 36. 44 – Sentenze Wisselink, punto 20; Bozzi, punto 16; Beaulande, punto 17; UCAL, punto 36; Pelzl, punto 23. 45 – Sentenze Bozzi, punto 15; UCAL, punto 36; Tulliasiamies, punto 102. 46 – Sentenze Bozzi, punto 16; Beaulande, punto 17; UCAL, punto 36; SPAR, punto 27; Tulliasiamies, punto 103; GIL Insurance, punto 36. 47 – Ai punti 11 e 12. 48 – Sentenza SPAR, punti 25 e 26. 49 – Sentenze Wisselink, punto 10; Careda, punto 17; Tulliasiamies, punto 98. 50 – Sentenze Giant, punto 9; Dansk Denkavit, punto 15; SPAR, punto 21. 51 – Sentenza Careda, punto 18. 52 – Sentenze Dansk Denkavit, punto 15; Careda, punti 23 e 25. 185 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 53 – Sentenza Dansk Denkavit, punto 15. 54 – Ibidem. 55 – Finlandia, Francia, Ungheria, Italia e Spagna. 56 – V. art. 12, n. 3, lett. a), della sesta direttiva. In varie occasioni la Commissione ha proposto un'aliquota massima, ma tale proposta non è stata accettata, sebbene, de facto, si applichi un'aliquota massima del 25%, probabilmente per ragioni pratiche connesse all'aumento del rischio di frodi allorché l'aliquota cresce. 57 – V. anche le conclusioni dell'avvocato generale Tesauro presentate nella causa Dansk Denkavit (paragrafo 8, sesto capoverso, a pag. I-2235). 58 – Ai paragrafi 24 e 25 delle sue conclusioni. 59 – Sebbene risulti dai punti11 e 12 della sentenza Wisselink che tale conclusione non ha valenza assoluta, e che anche un'imposta che si applica in una singola fase può in alcuni casi impedire il corretto funzionamento del sistema comune di IVA. 60 – La sentenza Bergandi suggerisce tuttavia, al punto 17, che un'imposta forfettaria basata su una valutazione obiettiva dei prevedibili ricavi potrebbe essere ricompresa nel divieto, se trasferita sul consumatore. 61 – In particolare all'art. 13, parte B, lett. d). 62 – La Commissione ha fatto approntare diverse relazioni sull'applicazione dell'IVA ai servizi finanziari, ivi incluse le operazioni bancarie. In particolare, sul sito web della Commissione è rinvenibile uno studio effettuato nel 1996 dalla Ernst & Young. 63 – V. paragrafi 39, 40 e 53 delle conclusioni dell'avvocato generale Jacobs presentate in questa causa. 64 – V. la giurisprudenza citata supra , al paragrafo 16. La Corte ha ovviamente tenuto conto della possibilità di trasferire l'onere dell'imposta, che è una caratteristica dell'imposizione indiretta, ma solo a fini di raffronto con l'IVA, e non per qualificare l'imposta come diretta o indiretta. 65 – Diciottesima direttiva del Consiglio 18 luglio 1989, 89/465/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Soppressione di talune deroghe previste dall'articolo 28, paragrafo 3, della sesta direttiva 77/388/CEE (GU L 226, pag. 21). 66 – Tredicesima direttiva del Consiglio 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità (GU L 326, pag. 40); sebbene le direttive IVA siano numerate in 186 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) ordine progressivo, non tutte quelle nell'ordine sono state di fatto adottate (o adottate nell'ordine progressivo). 67 – V. paragrafo 27 e nota 41. Va rilevato che, a differenza di quanto avvenuto nella causa Dansk Denkavit, tutte queste sentenze sono state pronunciate da una sezione della Corte. 68 – I governi francese ed ungherese hanno formulato osservazioni analoghe. 69 – V. i successivi paragrafi 105 e segg. 70 – V., in particolare, la sentenza Pelzl, punto 27; v. inoltre, con riferimento alla compatibilità di un tributo di livello locale con il divieto di imposte aventi effetto equivalente a quello a quello di un dazio sulle esportazioni, sentenza 9 settembre 2004, causa C-72/03, Carbonati (Racc. pag. I-8027, punti 27 e segg.). 71 – V. il precedente paragrafo 27, note 41 e 45. 72 – Punto 18 della motivazione. 73 – Con la forse inopportuna eccezione, di minor rilievo, di operazioni esenti, qualora esse si pongano a monte di successive e collegate operazioni a valle. 74 – Fatta forse eccezione per quelle di cui alle sentenze Rousseau Wilmot e SPAR, in nessuna delle quali la Corte ha fatto espresso riferimento alle quattro «caratteristiche essenziali». 75 – V. il precedente paragrafo 96. 76 – In numerose sentenze, dalla sentenza 3 luglio 1986, causa 34/86, Consiglio/Parlamento (Racc. pag. 2155, punto 48) alla sentenza 11 settembre 2003, causa C-445/00, Austria/Consiglio (Racc. pag. 8549, punti 103-106). 77 – In numerose sentenze, dalla sentenza 5 giugno 1973, causa 81/72, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 575) alla più recente sentenza 10 gennaio 2006, causa C178/03, Commissione/Parlamento e Consiglio (non ancora pubblicata nella Raccolta). 78 – V., in particolare, le prime tre cause dove la Corte ha fatto uso di questa possibilità: sentenze 15 ottobre 1980, causa 4/79, Providence Agricole de la Champagne (Racc. pag. 2823, punti 42-46), causa 109/79, Maïseries de Beauce (Racc. pag. 2883, punti 42-46), e causa 145/79, Roquette Frères (Racc. pag. 2917, punti 50-52). 79 – V., per esempio, sentenze 15 gennaio 1986, causa 41/84, Pinna (Racc. pag. 1, punti 2630); 26 aprile 1994, causa C-228/92, Roquette Frères (Racc. pag. I-1445, punti 17-30). 80 – Sentenza 29 giugno 1988, causa 300/86, Van Landschoot (Racc. pag. 3443, punti 22-24). 81 – Sentenze 19 ottobre 1977, cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel (Racc. pag. 1753), e cause riunite 124/76 e 20/77, Moulins Pont-à-Mousson (Racc. pag. 1795). 187 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 82 – Dalla prima, e più famosa, sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne II (Racc. pag. 455, punti 69-75), alla più recente, almeno per ora, sentenza EKW (punti 57-60). 83 – V., per esempio, sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889), la quale inoltre mostra come serie difficoltà non siano sufficienti a giustificare una limitazione degli effetti nel tempo: dopo aver rilevato (punti 40 e 41) che un numero molto consistente di lavoratori avrebbe potuto invocare il diritto alla parità di trattamento in base all'interpretazione del Trattato formulata, la Corte è poi passata ad accertare (punti 42 e 43) che gli Stati membri avevano potuto legittimamente ritenere che fosse possibile un'altra interpretazione. 84 – A livello nazionale, la normale efficacia nel tempo di una sentenza di incompatibilità è parimenti o ex tunc (la norma generale, ad esempio, per i giudici di Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Spagna, Polonia e Portogallo) oppure ex nunc (la norma generale, ad esempio, per alcuni, se non tutti, i giudici di Austria, Repubblica ceca, Grecia, Ungheria e Slovenia; nel caso, quantomeno, di Grecia e Slovenia, le sentenze di alcuni altri giudici producono normalmente effetti ex tunc), con un'apparente prevalenza di ex tunc. 85 – A livello nazionale, una simile prassi può essere seguita, a prescindere dal fatto che l'efficacia operi normalmente ex tunc o ex nunc. In generale, nell'interesse della certezza del diritto, su un'efficacia ex tunc ci si può basare solo in procedimenti che siano stati o possano ancora essere avviati entro i pertinenti termini processuali di decadenza, sebbene in alcuni ordinamenti giurisdizionali l'efficacia possa essere espressamente limitata al caso di specie, poiché il giudice non ha competenza ad annullare un provvedimento legislativo, ma solo a disapplicarlo (la norma generale, ad esempio, per i giudici di Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Svezia e Regno Unito). Quando gli effetti operano ex nunc, si fa normalmente eccezione per procedimenti che alla data della sentenza siano stati o possano ancora essere avviati entro i pertinenti termini procedurali di decadenza; per quelli i quali a tale data erano già stati avviati; oppure per quelli che hanno concretamente portato alla pronuncia. 86 – Causa C-292/04. 87 – Sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98 (Racc. pag. I-4071). 88 – Paragrafi 43 e segg. 89 – Sembrano rare le cause in cui i giudici nazionali dispongano l'annullamento di un atto legislativo con effetti a partire da una precisa data del passato. 90 – Tra cui Austria, Belgio, Repubblica ceca, Germania, Ungheria, Polonia, Slovenia e Spagna. In altri ordinamenti, sussistono obiezioni di principio a questa soluzione, detta anche della «decorrenza futura». Come Lord Nicholls of Birkenhead ha spiegato recentemente nella causa National Westminster Bank/Spectrum Plus (2005; UKHL 41): «Il nocciolo dell'argomento principale contro le sentenze con decorrenza futura è che in questo paese l'adozione di una sentenza di tal genere eccede i limiti costituzionali imposti alla funzione giurisdizionale. Ciò equivarrebbe ad un'usurpazione, da parte del giudice, della funzione legislativa». 188 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 91 – Ossia, in cui una norma di legge esistente, avente portata generale, è dichiarata incompatibile con una norma di rango più elevato; ammesso che ciò sia possibile, sarà difficile trovare una situazione assolutamente identica, in cui il giudice che accerta l'incompatibilità rinvii la causa ad un altro giudice, affinché quest'ultimo si pronunci sulla validità. 92 – Il periodo tra la data della sentenza e la data a partire dalla quale si può invocare la medesima è talvolta denominato «transitorio». Va sottolineato comunque che ciò è fuorviante; il provvedimento nazionale impugnato è invalido e deve essere sostituito con effetti da una data precisa. 93 – V., ad esempio, sentenza 16 gennaio 2003, causa C-265/01, Pansard (Racc. pag. I-683, punto 18); v., inoltre, la nota informativa della Corte riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte delle giurisdizioni nazionali (GU 2005, C 143, pag. 1), punto 6. 94 – V. anche, più di recente, sentenza 10 gennaio 2006, causa C-402/03, Skov (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 51). 95 – La circostanza che in questa sede le ragioni dell'affidamento del governo italiano si basino sulla garanzia della Commissione ovviamente non è decisiva; la buona fede si può anche fondare su progetti normativi fuorvianti o persino su una giurisprudenza poco chiara. 96 – Si paragoni ciò con il dato, oscillante tra i 5 e i 13 miliardi di euro, in Germania, per la causa Meilicke; v. paragrafo 35 delle conclusioni. 97 – La Banca Popolare ha proposto originariamente la sua azione nel 2001 e il rinvio è stato operato nell'ultima parte del 2003. 98 – V. legge delega per la riforma del sistema fiscale statale (legge 7 aprile 2003, n. 80) in GURI 18 aprile 2003, n. 91, in particolare artt. 8 e 10, quarto, quinto e settimo comma, della medesima. 99 – Ci sono precedenti (quantomeno) in pronunce del Bundesverfassungsgericht tedesco e della Cour d'Arbitrage belga (ossia, della Corte costituzionale, rispettivamente, di Germania e Belgio) a favore della scelta di una data futura corrispondente alla scadenza del pertinente periodo in corso, come un anno civile, un esercizio fiscale o un anno accademico. 100 – V., ad esempio, sentenza 2 ottobre 2003, causa C-147/01, Weber's Wine World (Racc. pag. I-11365, punto 93 e giurisprudenza ivi citata). 101 – GU 2004, C 21, pag. 16. 102 – V. paragrafo 62 delle conclusioni. 103 – V. le mie osservazioni nel paragrafo 159. 189 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 104 – La precedente esposizione delle tesi della Commissione, tanto in sede di osservazioni scritte, che non sono rese pubbliche, quanto in udienza, potrebbe anche essere tenuta in considerazione, ma secondo me non può essere paragonata alla prima dichiarazione pubblica, per iscritto, motivata e in forma accessibile a tutti, dell'opinione di un membro della Corte. 105 – Cit. alla nota 100 (punti 93-102). 106 – V. sentenza EKW (punto 57, e giurisprudenza ivi citata). 02/03 Parlamento europeo Approvata in prima lettura la Direttiva servizi (16.2.2006) Dal sito del Parlamento europeo: "Il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza, in prima lettura, la direttiva relativa ai servizi nel mercato interno. Si tratta, allo stato, di una prima lettura (che dovrà ora essere vagliata da Commissione e Consiglio) di uno dei testi di maggiore importanza per l'UE, avente l'obiettivo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi (salvi i diritti sociali dei lavoratori previsti dalle legislazioni nazionali). Lo scopo della direttiva è di realizzare un vero mercato interno dei servizi stabilendo un quadro giuridico volto a eliminare, da un lato, gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi e, dall'altro, le barriere alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri. Secondo il Parlamento europeo è sì importante realizzare un mercato unico dei servizi ma, contemporaneamente, è anche necessario mantenere «un equilibrio tra apertura dei mercati, servizi pubblici, nonché diritti sociali e del consumatore». Oggetto della direttiva La direttiva «si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro». Essa intende stabilire le disposizioni generali che permettono di agevolare l'esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori di servizi nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi. Esclusioni L'elenco delle attività escluse è particolarmente ampio. La direttiva «non riguarda la liberalizzazione dei servizi di interesse economico generale, né la privatizzazione di enti pubblici che prestano tali servizi». 190 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Essa non intende pregiudicare le misure adottate a livello comunitario o nazionale volte a tutelare o a promuovere la diversità culturale o linguistica o il pluralismo dei media, così come non incide sul diritto del lavoro e, in particolare, sulle disposizioni relative «ai rapporti tra le parti sociali, compresi il diritto di svolgere un'azione sindacale e il diritto a contratti collettivi». Infine, la presente vigenti negli Stati membri. La direttiva poi, non riguarda l'abolizione dei monopoli che forniscono servizi (come ad esempio le lotterie o taluni servizi di distribuzione), né gli aiuti concessi dagli Stati membri in base alle norme europee sulla concorrenza. La direttiva, infine, non incide sulla libertà degli Stati membri di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d'interesse economico generale, né di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. Il provvedimento non vuole incidere nemmeno sulle norme penali degli Stati membri (che non devono essere oggetto di abuso per aggirare le disposizioni della direttiva), né sui servizi che perseguono un obiettivo nel settore dell'assistenza sociale, come quelli destinati alle famiglie e ai bambini nonché i servizi di istruzione e culturali che tipicamente perseguono obiettivi sociali oppure il sostegno per gli alloggi sociali. Parimenti, non sono messe in discussione le legislazioni in materia di sicurezza sociale degli Stati membri. E' anche precisato che la direttiva non si applica e non pregiudica il diritto del lavoro e, in particolare, le disposizioni relative ai rapporti tra le parti sociali, compresi il diritto di svolgere un'azione sindacale e il diritto a contratti collettivi, né le disposizioni nazionali in materia di previdenza sociale vigenti negli Stati membri. In particolare, deve essere pienamente rispettato il diritto di negoziare, concludere, estendere e applicare i contratti collettivi, e il diritto di sciopero. La direttiva, inoltre, non riguarda i servizi pubblici sanitari e l'accesso al finanziamento pubblico da parte dei prestatori di cure sanitarie. La direttiva, è infine specificato, non deve essere interpretata in modo tale da recare pregiudizio all'esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e della Carta europea. Essa non sarà applicata ai servizi d’interesse generale «quali definiti dagli Stati membri», a meno che, è spiegato in un considerando, non si tratti di attività economiche «aperte alla concorrenza», ossia alla cui fornitura partecipano anche imprese private. Sono anche esclusi i servizi sociali come l'edilizia sociale, l'assistenza ai figli e i servizi alla famiglia. Considerando le attività sportive senza scopo di lucro di notevole importanza sociale, i deputati ritengono che esse non debbano essere considerate un'attività economica e, pertanto, non rientrano nel campo d'applicazione della direttiva. In merito all'esclusione dei “servizi finanziari”, il Parlamento specifica che la direttiva non si applica ai «servizi di natura bancaria, creditizia, assicurativa» né ai «servizi pensionistici professionali o individuali, di investimento o di pagamento». E’ poi confermata l’esclusione dei servizi e delle reti di comunicazione elettronica. I deputati mantengono l’esclusione dei servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, portuali, i taxi e le ambulanze e, in un considerando precisano che sono invece inclusi nel campo d'applicazione della direttiva il trasporto di fondi e di salme, «visto che in tale ambito sono stati identificati problemi di mercato interno». L’elenco dei servizi esclusi è poi allungato con i servizi giuridici già 191 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) disciplinati da altri strumenti comunitari e con i servizi medico-sanitari, prestati o meno nel quadro di una struttura sanitaria. Riguardo a questi ultimi, è inoltre precisato che comprendono anche quelli farmaceutici e che tali servizi devono essere forniti ai pazienti da professionisti qualora queste attività sono professioni regolamentate negli Stati membri in cui è prestato il servizio. Nel ritenere che svolgono «un ruolo fondamentale in sede di formazione delle identità culturali e delle opinioni pubbliche europee», il Parlamento esclude esplicitamente i servizi audiovisivi, a prescindere dal modo di produzione, distribuzione e trasmissione, inclusi i servizi radiofonici e cinematografici. Per i deputati, infatti, la salvaguardia e la promozione della diversità e del pluralismo culturali «postulano misure particolari in grado di tener conto delle specifiche situazioni regionali e nazionali». Non sono comprese nel campo d’applicazione nemmeno le attività di giochi d'azzardo, inclusi i giochi con poste in denaro, le lotterie, i casinò e le transazioni relative a scommesse. Tale esclusione è anche giustificata dai deputati dalla totale impossibilità di attuare una concorrenza transfrontaliera leale tra gli operatori europei senza trattare - in parallelo o preventivamente - le questioni di coerenza della fiscalità fra gli Stati membri. Inoltre, sono escluse le professioni e le attività «associate permanentemente o temporaneamente all'esercizio dei poteri pubblici in uno Stato membro», in particolare la professione di notaio. I deputati, poi, escludono del tutto i servizi fiscali dal campo d'applicazione della direttiva, mentre la Commissione prevedeva una serie di eccezioni. Il Parlamento prevede anche l'esclusione delle agenzie di lavoro interinale, dei servizi di sicurezza e segnala quindi, la necessità di armonizzare pienamente le norme sullo stabilimento per definire un quadro legale in merito all'attuazione del mercato interno in questi settori. L'esclusione degli obblighi contrattuali ed extracontrattuali dal campo d'applicazione della direttiva comporterà che i consumatori beneficeranno in ogni caso della tutela riconosciuta loro dalla normativa in materia, nel proprio Stato membro. Libertà di presentazione di servizi e principio del paese d'origine Cancellato del principio del paese d'origine. Gli Stati membri devono «rispettare il diritto dei prestatori di servizi» di operare in uno Stato membro diverso da quello «in cui hanno sede», e devono assicurare il libero accesso a un'attività di servizio e il libero esercizio dell'attività di servizio sul proprio territorio. Inoltre, gli Stati membri non devono ostacolare la prestazione di servizi sul loro territorio imponendo requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati. La discriminazione, in particolare, non deve essere fondata sulla cittadinanza o sulla sede sociale. I requisiti, poi, sono ritenuti giustificati solamente per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e della salute. 192 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Il compromesso, inoltre, elenca una lunga serie di requisiti non giustificati. In particolare, sono considerati incompatibili con la libertà di prestazione dei servizi: - gli obblighi di stabilirsi sul territorio dove si presta il servizio; - gli obblighi di ottenere un'autorizzazione, inclusa la registrazione in un albo professionale (salve le eccezioni contenute in norme comunitarie); - gli obblighi al prestatore di aprire un ufficio o una sede sul proprio territorio oppure di possedere un documento d'identità emesso dalle autorità locali; - i divieti al prestatore di ricorrere a materiali o attrezzature «che costituiscono parte integrante della prestazione del servizio». Queste disposizioni non ostano a che gli Stati membri in cui è prestato un servizio impongano requisiti specifici giustificati con motivi di politica pubblica, di politica di sicurezza, di protezione dell'ambiente e di salute pubblica. Lo stesso vale per quanto riguarda le condizioni di assunzione, inclusi gli accordi collettivi. Entro cinque anni dall'entrata in vigore della direttiva, e previa consultazione degli Stati membri e delle parti sociali, la Commissione dovrà presentare una relazione sull'applicazione di queste disposizioni in cui dovrà essere esaminata la necessità di proporre misure di armonizzazione per le attività di servizio rientranti nel campo d'applicazione della direttiva. Le deroghe Il Parlamento precisa che le disposizioni previste dall'articolo relativo alla libertà di prestazione dei servizi non si applicano ai servizi di interesse economico generale forniti in un altro Stato membro, come ad esempio, ai servizi postali (coperti dalla direttiva 97/67/CE), ai servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica (direttiva 2003/54/CE ), ai servizi di trasmissione, distribuzione e di fornitura e stoccaggio di gas (direttiva 2003/55/CE), ai servizi di distribuzione e di fornitura idrica e ai servizi di gestione delle acque reflue e al trattamento dei rifiuti. Una deroga generale vale anche per le materie disciplinate dalle direttive sul distacco dei lavoratori e per le disposizioni che determinano la legislazione applicabile in materia di lavoratori subordinati, per il controllo legale dei conti, per le spedizioni di rifiuti nonché per le attività di recupero giudiziario dei crediti. La deroga, inoltre, rimane applicata alle disposizioni della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali, compresi i requisiti fissati dagli Stati membri (dove il servizio è prestato) che riservano un’attività ad una particolare professione Gli Stati membri dunque potranno continuare ad applicare le norme che riservano alcune attività a particolari professioni, tra cui le consulenze giuridiche agli avvocati. La deroga è valida anche per tutte le disposizioni di diritto internazionale privato, in particolare quelle relative al trattamento dei rapporti obbligatori contrattuali e extracontrattuali, compresa la forma dei contratti. Controlli consentiti 193 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Lo Stato membro di destinazione ha la facoltà di adottare delle misure di controllo al fine di garantire che il prestatore si conformi al proprio diritto nazionale per quanto riguarda l'esercizio della sua attività. Lo Stato membro può quindi procedere alle verifiche, ispezioni e indagini necessarie per controllare il servizio prestato, comprese quelle richieste dallo Stato membro di primo stabilimento Qualora lo Stato membro di destinazione constati che il prestatore di servizi non ha rispettato i propri obblighi, esso può obbligare il prestatore di servizi a depositare una cauzione oppure applicargli misure intermedie. La cauzione può essere utilizzata per l'esecuzione di decisioni e di sentenze di carattere amministrativo, civile e penale. Restrizioni vietate Gli Stati membri non possono imporre requisiti che limitano a un destinatario l'utilizzazione di un servizio fornito da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. Non possono quindi imporre l'obbligo di ottenere un'autorizzazione dalle autorità competenti o di effettuare una dichiarazione presso di esse. Non è nemmeno possibile limitargli le possibilità di detrazione fiscale o la concessione di aiuti finanziari a causa del fatto che il prestatore è stabilito in un altro Stato membro o in funzione del luogo di esecuzione della prestazione. Infine, è vietato l’assoggettamento del destinatario ad imposte discriminatorie o sproporzionate sull'attrezzatura necessaria per ricevere un servizio a distanza proveniente da un altro Stato membro. La risoluzione di conflitti con altre norme comunitarie In caso di conflitto, tra le disposizioni della direttiva e altre normative comunitarie che disciplinano aspetti specifici dell'accesso all'attività di un servizio e del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, «prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche» le normative comunitarie speciali. Norme sociali per il distacco dei lavoratori La direttiva non concerne le condizioni di lavoro e di occupazione che si applicano ai lavoratori distaccati per prestare un servizio nel territorio di un altro Stato membro. In tali casi, è precisato, la direttiva 96/71/CE prevede che i prestatori dei servizi debbano conformarsi alle condizioni di occupazione applicabili, in alcuni settori elencati, nello Stato membro in cui viene prestato il servizio. Tra tali condizioni figurano: periodi massimi di lavoro e minimi di riposo, durata minima delle ferie annuali retribuite, tariffe minime salariali, condizioni di cessione temporanea dei lavoratori, salute, sicurezza e igiene sul lavoro, provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti, puerpere, bambini e giovani, parità di trattamento tra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione. Si aggiunge che ciò non riguarda solo le condizioni di occupazione stabilite per legge, ma anche quelle stabilite in contratti collettivi o sentenze arbitrali. La direttiva, infine, non dovrebbe impedire agli Stati membri di applicare condizioni di lavoro e condizioni di occupazione a questioni diverse da quelle elencate nella direttiva 96/71/CE per motivi di ordine pubblico. 194 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Alcune definizioni fondamentali contenute nella proposta di direttiva - Servizio E' qualsiasi attività economica non salariata «fornita normalmente dietro retribuzione, la quale costituisce il corrispettivo economico della prestazione in questione ed è di norma convenuta tra prestatore e destinatario del servizio». La retribuzione è assente nelle attività svolte dallo Stato o da un’autorità regionale o locale, in campo sociale, culturale e giudiziario e, pertanto, non rientrano in tale definizione i corsi impartiti nell’ambito della pubblica istruzione da istituti pubblici e privati o la gestione dei regimi di previdenza sociale non impegnati in attività economiche. - Servizi d'interesse economico generale Sono quelli qualificati in quanto tali dallo Stato membro e che sono soggetti a specifici obblighi di servizio pubblico imposti al prestatore di servizi dallo Stato membro interessato al fine di rispondere a determinati obiettivi di interesse pubblico. - Prestatore E' qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro, o qualsiasi persona giuridica, stabilita in conformità con la legge di detto Stato membro, che offre o fornisce un servizio. Per evitare il ricorso a società di facciata, sono poi specificati i criteri per poter considerare un’impresa come “stabilita”: occorre esercitare effettivamente un'attività economica a tempo indeterminato mediante un’installazione stabile e con un'adeguata infrastruttura a partire dalla quale viene effettivamente offerto un servizio. Una semplice casella postale, quindi, «non costituisce uno stabilimento - Stato membro di destinazione E' il paese in cui un servizio è fornito ed eseguito «su base transfrontaliera in modo saltuario» da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro. Semplificazione amministrativa La direttiva prevede una serie di misure volte ad agevolare la prestazione di servizi transfrontalieri, eliminando regimi, procedure e formalità di autorizzazione eccessivamente onerosi «che ostacolano la libertà di stabilimento e la creazione di nuove società di servizi». Più in particolare, è chiesto agli Stati membri, d'intesa con la Commissione, di introdurre, se necessario e possibile, moduli europei armonizzati, equivalenti ai certificati, agli attestati e ad altri documenti in materia di stabilimento che sanciscono il rispetto di un requisito nello Stato membro di destinazione. D’altra parte, gli Stati membri che chiedono ad un prestatore o ad un destinatario di fornire un qualsiasi documento attestante il rispetto di un particolare requisito, dovranno accettare i documenti rilasciati da un altro Stato membro che abbiano valore equivalente o dai quali risulti che il requisito in questione è rispettato. Di norma, inoltre, non potranno imporre la presentazione di documenti rilasciati da un altro Stato membro sotto forma di originale, di copia conforme o di traduzione autenticata. 195 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Tre anni dopo l'entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri dovranno istituire un punto di contatto denominato “sportello unico” che dovranno essere coordinati dalla Commissione attraverso uno sportello europeo. In queste strutture, ogni prestatore di servizi potrà espletare una serie di procedure e formalità necessarie per poter svolgere le attività di servizio di sua competenza - come dichiarazioni, notifiche o domande di autorizzazione presso le autorità competenti, comprese le domande di iscrizione in registri, ruoli, banche dati, o ordini professionali - oppure inoltrare le domande di autorizzazione necessarie all'esercizio delle attività di servizio di sua competenza. Attraverso gli sportelli unici, inoltre, gli Stati membri dovranno garantire ai prestatori e ai destinatari di prendere agevolmente conoscenza di una serie di informazioni relative alle procedure e alle formalità, alle coordinate delle autorità competenti, alle condizioni di accesso ai registri e alle banche dati pubblici, nonché alle informazioni concernenti le possibilità di ricorso disponibili e gli estremi delle associazioni presso le quali possono ricevere assistenza. Dopo tre anni dall’entrata in vigore della direttiva - e non entro il 31 dicembre 2008, come proposto dalla Commissione - tutte le procedure e le formalità dovranno poter essere espletate anche a distanza e per via elettronica. Libertà di stabilimento La direttiva prevede anche una semplificazione delle procedure di autorizzazione per l'accesso alle attività di servizi e il loro esercizio. Gli Stati membri possono prevedere un regime di autorizzazione, se: - ciò non comporti una discriminazione nei confronti del prestatore; - l’obiettivo perseguito non possa essere conseguito tramite una misura meno restrittiva; - la sua necessità sia giustificata da «motivi imperativi di interesse generale». Con quest’ultima nozione i deputati intendono, tra gli altri, la protezione della politica pubblica, l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica e la sanità pubblica. Ma anche il mantenimento dell'equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, «compreso il mantenimento di servizi medici equilibrati e accessibili a tutti», la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l'equità delle transazioni commerciali e la lotta alla frode. E ancora la tutela dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio nazionale storico ed artistico od obiettivi di politica sociale e di politica culturale. I regimi di autorizzazione, d’altra parte, devono basarsi su criteri che inquadrino l'esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti «affinché non sia utilizzato in modo arbitrario o discrezionale». Più in particolare, i criteri devono essere non discriminatori, giustificati da un motivo imperativo di interesse generale e ad esso commisurati, precisi e inequivocabili, oggettivi, resi pubblici in precedenza e, hanno aggiunto i deputati, trasparenti e accessibili. 196 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) L'autorizzazione che, in principio, ha durata illimitata, deve permettere al prestatore di accedere all’attività di servizio o di esercitarla su tutto il territorio nazionale, anche mediante l’apertura di agenzie, di succursali, di filiali o di uffici. Ciò non vale nei casi in cui un motivo imperativo di interesse generale giustifichi la necessità di un’autorizzazione specifica per ogni installazione o di un'autorizzazione limitata ad una specifica parte del territorio nazionale. Gli Stati membri, inoltre, non potranno subordinare l'accesso ad un'attività di servizi e il suo esercizio sul loro territorio al rispetto di una serie di requisiti fondati, ad esempio, sulla nazionalità del prestatore o del suo personale o sulla sede della società. Non si potrà neanche ricorrere al divieto di essere stabilito in diversi Stati membri o di essere iscritto nei registri o nell'albo professionale di diversi Stati membri. Oppure, non si potrà imporre l'obbligo di presentare una garanzia finanziaria o di sottoscrivere un'assicurazione presso un prestatore o presso un organismo stabilito sul territorio degli Stati membri in questione, né quello di essere già stato iscritto per un determinato periodo nei registri degli Stati membri in questione o di aver esercitato in precedenza l'attività sul loro territorio per un determinato periodo". (Parlamento europeo, 16 febbraio 2006 14/02 Pubblicata l'8 febbraio 2006 Legge Comunitaria 2005 LEGGE COMUNITARIA 2005 E' stata pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 34 della Gazzetta Ufficiale n. 32 dell'8 febbraio 2006 la Legge comunitaria 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29). La legge delega il Governo ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dal prossimo 23 febbraio, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi degli allegati A e B dello stesso provvedimento tra le quali rivestono particolare importanza quelle relative alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche ed all'interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità. Gazzetta Ufficiale N. 32 del 8 Febbraio 2006 LEGGE 25 gennaio 2006, n.29 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2005. Capo I DISPOSIZIONI GENERALI SUI PROCEDIMENTI PER L'ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI COMUNITARI 197 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Art. 1. (Delega al Governo per l'attuazione di direttive comunitarie) 1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B. 2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva. 3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B, nonche', qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all'attuazione delle direttive elencate nell'allegato A, sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perche' su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni. 4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive 2003/123/CE, 2004/9/CE, 2004/36/CE, 2004/49/CE, 2004/50/CE, 2004/54/CE, 2004/80/CE, 2004/81/CE, 2004/83/CE, 2004/113/CE, 2005/19/CE, 2005/28/CE, 2005/36/CE e 2005/60/CE sono corredati dalla relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi e' richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni. 5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo puo' emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6. 6. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 adottato per l'attuazione della direttiva 2004/109/CE, di cui all'allegato B, il Governo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 3 e con la procedura prevista dal 198 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) presente articolo, puo' emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 27, paragrafo 2, della medesima direttiva. 7. In relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione e dall'articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 11, comma 8, della medesima legge n. 11 del 2005. 8. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o piu' deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresi' la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza. 9. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi trenta giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere. Art. 2. (Modifica all'articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11) 1. Il comma 4 dell'articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e' sostituito dal seguente: "4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega e' contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, fatti salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle normative comunitarie da attuare, sono adottati nel rispetto degli altri principi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge comunitaria per l'anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della normativa". Art. 3. (Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa) 1. Salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo II e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti principi e criteri direttivi generali: 199 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative; b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa; c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravita'. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro e' prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate sono determinate nella loro entita', tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena sopra indicati sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensivita' rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi; d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attivita' ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonche' alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi gia' assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro; e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive gia' attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata; f) i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, 200 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega; g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di piu' amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le piu' opportune forme di coordinamento, rispettando i principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili. Art. 4. (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni a disposizioni in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale) 1. Al fine di garantire la parita' di trattamento tra agricoltori ed evitare distorsioni del mercato e della concorrenza, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, e' delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, uno o piu' decreti legislativi recanti sanzioni penali o amministrative, ivi comprese misure reintegratorie e interdittive, per le violazioni accertate a disposizioni dei regolamenti e delle decisioni emanati dalla Comunita' europea in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale. 2. La delega di cui al comma 1 e' esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali. I decreti legislativi si informano ai seguenti principi e criteri direttivi: a) le sanzioni amministrative sono dissuasive, nonche' proporzionate alle somme indebitamente percepite, tenendo conto del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al beneficiario delle provvidenze; b) le sanzioni reintegratorie o interdittive, determinate anche in funzione della gravita', portata, durata e frequenza dell'infrazione commessa, possono arrivare fino all'esclusione totale da uno o piu' regimi di aiuto ed essere irrogate per uno o piu' anni civili. 3. Per le sanzioni penali i decreti legislativi si uniformano ai principi e criteri direttivi indicati nell'articolo 3, comma 1, lettera c). 4. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte delle competenti 201 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Commissioni parlamentari con le modalita' e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell'articolo 1. Art. 5. (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie) 1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, e' delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non siano gia' previste sanzioni penali o amministrative. 2. La delega di cui al comma 1 e' esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. decreti legislativi si informano ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c). 3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalita' e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell'articolo 1. Art. 6. (Oneri relativi a prestazioni e controlli) 1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli si applicano le disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11. 2. Le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del comma 1, qualora riferite all'attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B, nonche' di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469. Art. 7. (Attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato) 1. Il Governo e' autorizzato a dare attuazione alle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato C con uno o piu' regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e con le procedure ivi previste, previo parere dei competenti organi parlamentari ai quali gli schemi di regolamento sono trasmessi con apposite relazioni cui e' 202 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) allegato il parere del Consiglio di Stato e che si esprimono entro quaranta giorni dall'assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza di detti pareri. 2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Art. 8. (Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie) 1. Il Governo e' delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalita' di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa. 2. I testi unici di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Fermo restando quanto disposto al comma 3, le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l'indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare. 3. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente articolo si applica quanto previsto al comma 7 dell'articolo 1. Capo II DISPOSIZIONI PARTICOLARI DI ADEMPIMENTO, CRITERI SPECIFICI DI DELEGA LEGISLATIVA Art. 9. (Modifiche all'articolo 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, a parziale recepimento della direttiva 2004/57/CE della Commissione, del 23 aprile 2004) 1. All'articolo 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al terzo comma: 1) le parole: "di qualsiasi genere" sono sostituite dalle seguenti: "di Iª, IIª, IIIª, IVª e Vª categoria, gruppo A e gruppo B,"; 203 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2) dopo le parole: "dal Questore" sono inserite le seguenti: ", nonche' materie esplodenti di Vª categoria, gruppo C, a privati che non siano maggiorenni e che non esibiscano un documento di identita' in corso di validita'"; b) dopo il quinto comma e' inserito il seguente: "Gli obblighi di registrazione delle operazioni giornaliere e di comunicazione mensile all'ufficio di polizia competente per territorio non si applicano alle materie esplodenti di Vª categoria, gruppo D e gruppo E". Art. 10. (Modifica all'articolo 5 della legge 18 aprile 1975, n. 110) 1. All'articolo 5, primo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, le parole: "e dei giocattoli pirici" sono soppresse. Art. 11. (Adempimenti in materia di rifiuti pericolosi) 1. I produttori di rifiuti pericolosi che non sono inquadrati in un'organizzazione di ente o di impresa adempiono all'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, attraverso la conservazione, in ordine cronologico, delle copie del formulario proprie del detentore, di cui all'articolo 15 del citato decreto legislativo n. 22 del 1997. 2. I soggetti di cui al comma 1 non sono tenuti alla comunicazione annuale al Catasto, di cui all'articolo 11, comma 3, del citato decreto legislativo n. 22 del 1997, e successive modificazioni. 3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai rifiuti urbani. Art. 12. (Valutazione di titoli e certificazioni comunitarie) 1. Fatta salva la normativa vigente in materia, in caso di procedimento nel quale e' richiesto quale requisito il possesso di un titolo di studio, corso di perfezionamento, certificazione di esperienze professionali e ogni altro attestato che certifichi competenze acquisite dall'interessato, l'ente responsabile valuta la corrispondenza agli indicati requisiti dei titoli e delle certificazioni acquisiti in altri Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo o nella Confederazione elvetica. 2. La valutazione dei titoli di studio e' subordinata alla preventiva acquisizione sugli stessi del parere favorevole espresso dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca tenuto conto dell'oggetto del procedimento. Il parere deve essere comunque reso entro centottanta giorni dal ricevimento della documentazione completa. 204 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Art. 13. (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297) 1. Al testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 379, concernente la disciplina del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all'estero dai lavoratori italiani e loro congiunti emigrati: 1) le parole: "lavoratori italiani e loro congiunti emigrati", "lavoratori italiani e i loro congiunti emigrati" e "lavoratori italiani o loro congiunti emigrati", ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: "cittadini di Stati membri dell'Unione europea, degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo e della Confederazione elvetica"; 2) le parole: "all'estero", ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: "in uno Stato diverso dall'Italia"; 3) il comma 9 e' abrogato; b) l'articolo 380 e' abrogato. 2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Art. 14. (Modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformita) 1. All'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, le parole: "l'emissione e" sono sostituite dalle seguenti: "l'emissione ovvero". 2. All'articolo 10 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 e' sostituito dal seguente: "1. Chiunque immette sul mercato ovvero installa apparecchi non conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3 e' assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 4.131 a euro 24.789 e del pagamento di una somma da euro 20 a euro 123 per ciascun apparecchio. Alla stessa sanzione e' assoggettato chiunque apporta modifiche agli apparecchi dotati della prescritta marcatura che comportano mancata conformita' ai requisiti 205 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) essenziali. In ogni caso la sanzione amministrativa non puo' superare la somma complessiva di euro 103.291"; b) al comma 2, primo periodo, le parole: "da lire 4 milioni a lire 24 milioni" sono sostituite dalle seguenti: "da euro 1.032 a euro 12.394" e le parole: "da lire 20 mila a lire 120 mila" sono sostituite dalle seguenti: "da euro 10 a euro 61"; al secondo periodo, le parole: "lire 200 milioni" sono sostituite dalle seguenti: "euro 103.291"; c) dopo il comma 2 e' inserito il seguente: "2-bis. Il fabbricante o chiunque immette sul mercato apparecchi conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3, ma privi delle informazioni sull'uso cui l'apparecchio e' destinato, nonche' delle indicazioni relative agli Stati membri dell'Unione europea o alla zona geografica all'interno di uno Stato membro dove l'apparecchiatura e' destinata ad essere utilizzata, nonche' delle informazioni relative ad eventuali restrizioni o richieste di autorizzazioni necessarie per l'uso delle apparecchiature radio in taluni Stati membri, e' assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.032 a euro 12.394 e del pagamento di una somma da euro 10 a euro 61 per ciascun apparecchio. In ogni caso la sanzione amministrativa non puo' superare la somma complessiva di euro 103.291"; d) al comma 3, le parole: "da lire 2 milioni a lire 12 milioni" sono sostituite dalle seguenti: "da euro 1.032 a euro 6.197"; e) al comma 4, le parole: "da lire 5 milioni a lire 30 milioni" sono sostituite dalle seguenti: "da euro 2.582 a euro 15.493"; f) al comma 5, le parole: "da lire 500 mila a lire 3 milioni" sono sostituite dalle seguenti: "da euro 258 a euro 1.549"; g) al comma 6, le parole: "da lire 10 milioni a lire 60 milioni" sono sostituite dalle seguenti: "da euro 5.164 a euro 30.987". Art. 15. (Attuazione della decisione C (2004) 4746 della Commissione, del 14 dicembre 2004) 1. In attuazione della decisione C (2004) 4746 della Commissione, del 14 dicembre 2004, il regime di aiuti a favore delle imprese che hanno sostenuto, nel periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 2 ottobre 2003, spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e' interrotto a decorrere dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore della presente legge, non e' ancora scaduto il termine per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi. 2. Entro novanta giorni dalla data di emanazione del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate che determina le modalita' applicative della presente disposizione, i soggetti che hanno beneficiato degli aiuti di cui al comma 1 presentano in via telematica all'Agenzia delle 206 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) entrate una attestazione, ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con gli elementi necessari per l'individuazione dell'aiuto illegittimamente fruito sulla base delle disposizioni contenute nel citato provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da cui risulti comunque: a) l'ammontare delle spese sostenute sulla base delle quali e' stata calcolata l'agevolazione di cui al comma 1; b) l'importo corrispondente all'eventuale imposta sul reddito non dovuta per effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita. 3. Entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 2, i beneficiari del regime agevolativo di cui al comma 1 effettuano, a seguito di autoliquidazione, il versamento degli importi corrispondenti alle imposte non corrisposte per effetto del regime agevolativo medesimo relativamente ai periodi di imposta nei quali tale regime e' stato fruito, nonche' degli interessi calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, maturati a decorrere dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo. 4. L'Agenzia delle entrate provvede alle attivita' di liquidazione e controllo del corretto adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo e, in caso di mancato o insufficiente versamento, ai sensi del comma 3, si rendono applicabili le norme in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso nonche' le sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi. 5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle spese sostenute dalle piccole e medie imprese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 5, lettera b), del regolamento (CE) n. 70/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001. Art. 16. (Modifiche all'articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62) 1. All'articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62, dopo il comma 5 e' inserito il seguente: "5-bis. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per l'attuazione delle direttive 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto, il Governo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 2 e con la procedura prevista dal presente articolo, puo' emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui, rispettivamente, all'articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE, e all'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE". 2. All'articolo 1, comma 5, della legge 18 aprile 2005, n. 62, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ", fatto salvo quanto previsto dal comma 5-bis". 207 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) Art. 17. (Modifiche all'articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290) 1. I commi 1 e 2 dell'articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, sono abrogati. Art. 18. (Introduzione dell'articolo 29-bis della legge 18 aprile 2005, n. 62) 1. Alla legge 18 aprile 2005, n. 62, dopo l'articolo 29 e' inserito il seguente: "Art. 29-bis. (Attuazione della direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attivita' e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali). - 1. Il Governo, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e' delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, un decreto legislativo recante le norme per il recepimento della direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attivita' e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali. 2. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dal comma 3, e con la procedura stabilita per il decreto legislativo di cui al comma 1, puo' emanare disposizioni integrative e correttive del medesimo decreto legislativo. 3. L'attuazione della direttiva 2003/41/CE e' informata ai principi in essa contenuti in merito all'ambito di applicazione della disciplina, alle condizioni per l'esercizio dell'attivita' e ai compiti di vigilanza, nonche' ai seguenti principi e criteri direttivi specifici: a) disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri e competenze regolamentari e organizzative alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione, di cui all'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, i seguenti aspetti: 1) l'integrazione delle attribuzioni di vigilanza, in particolare quelle che prevedono l'adozione delle misure dirette a conseguire la corretta gestione delle forme pensionistiche complementari e ad evitare o sanare eventuali irregolarita' che possano ledere gli interessi degli aderenti e dei beneficiari, incluso il potere di inibire o limitare l'attivita'; 2) l'irrogazione di sanzioni amministrative di carattere pecuniario, da parte della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, nel rispetto dei principi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, nonche' dei seguenti criteri direttivi: nell'ambito del limite minimo di 500 euro e massimo di 25.000 euro, le suindicate sanzioni sono determinate nella 208 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) loro entita', tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole o alla persona o ente nel cui interesse egli agisce; deve essere sancita la responsabilita' degli enti ai quali appartengono i responsabili delle violazioni, per il pagamento delle sanzioni, e regolato il diritto di regresso verso i predetti responsabili; 3) la costituzione e la connessa certificazione di riserve tecniche e di attivita' supplementari rispetto alle riserve tecniche da parte dei fondi pensione che direttamente coprono rischi biometrici o garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni; 4) la separazione giuridica tra il soggetto promotore e le forme pensionistiche complementari con riguardo alle forme interne a enti diversi dalle imprese bancarie e assicurative; 5) l'esclusione dell'applicazione della direttiva 2003/41/CE alle forme pensionistiche complementari che contano congiuntamente meno di cento aderenti in totale, fatta salva l'applicazione dell'articolo 19 della direttiva e delle misure di vigilanza che la Commissione di vigilanza sui fondi pensione ritenga necessarie e opportune nell'esercizio dei suoi poteri. In ogni caso deve prevedersi il diritto di applicare le disposizioni della direttiva su base volontaria, ferme le esclusioni poste dall'articolo 2, paragrafo 2, della stessa direttiva; b) disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri e competenze regolamentari alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l'esercizio dell'attivita' transfrontaliera, da parte delle forme pensionistiche complementari aventi sede nel territorio italiano ovvero da parte delle forme pensionistiche complementari ivi operanti, in particolare individuando i poteri di autorizzazione, comunicazione, vigilanza, anche con riguardo alla vigente normativa in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale, nonche' in materia di informazione agli aderenti; c) disciplinare le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni tra la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, le altre autorita' di vigilanza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze, sia nella fase di costituzione che nella fase di esercizio delle forme pensionistiche complementari, regolando, in particolare, il divieto di opposizione reciproca del segreto d'ufficio fra le suddette istituzioni; d) disciplinare le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni fra le istituzioni nazionali, le istituzioni comunitarie e quelle degli altri Paesi membri, al fine di agevolare l'esercizio delle rispettive funzioni. 4. Il Governo, al fine di garantire un corretto ed integrale recepimento della direttiva 2003/41/CE, provvede al coordinamento delle disposizioni di attuazione della delega di cui al comma 1 con le norme previste dall'ordinamento interno, in particolare con le disposizioni del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, recante i principi fondamentali in materia di forme pensionistiche complementari, eventualmente adattando le norme vigenti in vista del perseguimento delle finalita' della direttiva medesima. 209 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 5. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 6. Si applica la procedura di cui all'articolo 1, comma 3". Art. 19. (Modifica al decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18) 1. L'articolo 20 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, recante attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunita', e' abrogato. Art. 20. (Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54) 1. Al fine di interrompere le procedure di infrazione 2003/2134 e 2003/2166 avviate dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, e in attesa del completo riordino della materia, da attuare mediante il recepimento della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3 (L): 1) al comma 3, le parole: "ai figli di eta' minore" sono sostituite dalle seguenti: "ai figli di eta' inferiore ai ventuno anni"; 2) al comma 4, le parole: "Il diritto di soggiorno e' inoltre riconosciuto ai familiari a carico del titolare del diritto di soggiorno, come individuati dall'articolo 29, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, a condizione che:" sono sostituite dalle seguenti: "Il diritto di soggiorno e' inoltre riconosciuto al coniuge non legalmente separato, ai figli di eta' inferiore agli anni ventuno e ai figli di eta' superiore agli anni ventuno, se a carico, nonche' ai genitori del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge, a condizione che:"; b) all'articolo 5 (R): 1) al comma 3, la lettera b) e' sostituita dalla seguente: "b) per i lavoratori subordinati e per i lavoratori stagionali, un attestato di lavoro o una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro; per i lavoratori stagionali l'attestato di lavoro o la dichiarazione di assunzione deve specificare la durata del rapporto di lavoro"; 2) al comma 3, lettera d), secondo periodo, dopo le parole: "Detta prova e' fornita" sono inserite le seguenti: ", nel caso dei cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e),"; dopo le parole: "con l'indicazione del relativo importo, ovvero" sono inserite le seguenti: ", nel caso 210 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) dei cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d)," e le parole: "comprovante la disponibilita' del reddito medesimo" sono sostituite dalle seguenti: "attestante la disponibilita' di risorse economiche tali da non costituire un onere per l'assistenza sociale"; 3) il comma 4 e' sostituito dal seguente: "4. Con la domanda, l'interessato puo' richiedere il rilascio della relativa carta di soggiorno anche per i familiari di cui all'articolo 3, commi 3 e 4, quale che sia la loro cittadinanza. Qualora questi ultimi abbiano la cittadinanza di un Paese non appartenente all'Unione europea, ad essi e' rilasciato il titolo di soggiorno ai sensi dell'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni"; 4) al comma 5, le parole: ", nonche', se si tratta di cittadini di uno Stato non appartenente all'Unione europea, della documentazione richiesta dall'articolo 16, commi 5 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394" sono soppresse; c) all'articolo 6 (R): 1) al comma 1, dopo le parole: "L'interessato puo' dimorare provvisoriamente sul territorio," sono inserite le seguenti: "nonche' svolgere le attivita' di cui all'articolo 3, comma 1,"; 2) al comma 5, le parole: "ai cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a)" sono sostituite dalle seguenti: "ai cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b)". Art. 21. (Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56) 1. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, recante attuazione della direttiva 2001/97/CE in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attivita' illecite, dopo la lettera s) e' inserita la seguente: "s-bis) a ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da revisori contabili, periti, consulenti ed altri soggetti che svolgono attivita' in materia di amministrazione, contabilita' e tributi;". 2. All'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, le parole: "lettere s) e t)" sono sostituite dalle seguenti: "lettere p), s), s-bis) e t)". Art. 22. (Attuazione della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita' criminose e di finanziamento del terrorismo, e previsione di modalita' operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dai regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002 nonche' dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunita' 211 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attivita' di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale) 1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro il termine e con le modalita' di cui all'articolo 1, uno o piu' decreti legislativi al fine di dare organica attuazione alla direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, al fine di prevedere modalita' operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dai regolamenti (CE) n. 2580/2001 del Consiglio, del 27 dicembre 2001, e n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, nonche' dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunita' europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attivita' di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale e al fine di coordinare le disposizioni vigenti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) recepire la direttiva tenendo conto della giurisprudenza comunitaria in materia nonche' dei criteri tecnici che possono essere stabiliti dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 40 della direttiva; b) assicurare la possibilita' di adeguare le misure nazionali di attuazione della direttiva ai criteri tecnici che possono essere stabiliti e successivamente aggiornati dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 40 della direttiva; c) estendere le misure di prevenzione contro il riciclaggio di denaro al contrasto del finanziamento del terrorismo e prevedere idonee misure per attuare il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, inclusa la possibilita' di affidare l'amministrazione e la gestione delle risorse economiche congelate ad un'autorita' pubblica; d) prevedere procedure e criteri per individuare quali persone giuridiche e fisiche che esercitano un'attivita' finanziaria in modo occasionale o su scala limitata, e quando i rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo sono scarsi, non sono incluse nelle categorie di "ente creditizio" o di "ente finanziario" come definite nell'articolo 3, punti 1) e 2), della direttiva; e) estendere, in tutto o in parte, le disposizioni della direttiva ai soggetti ricompresi nella vigente normativa italiana antiriciclaggio nonche' alle attivita' professionali e categorie di imprese diverse dagli enti e dalle persone di cui all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva stessa, le quali svolgono attivita' particolarmente suscettibili di essere utilizzate a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, tra le quali internet casino' e societa' fiduciarie; f) mantenere le disposizioni italiane piu' rigorose vigenti per impedire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, tra cui la limitazione dell'uso del contante e dei titoli al portatore prevista dall'articolo 1 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni; riordinare ed integrare la disciplina relativa ai titoli al portatore ed ai nuovi mezzi di pagamento, al fine di adottare le misure eventualmente necessarie per impedirne l'utilizzo per scopi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; 212 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) g) graduare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione; h) adeguare l'applicazione dettagliata delle disposizioni alle peculiarita' delle varie professioni e alle differenze in scala e dimensione degli enti e delle persone soggetti alla direttiva; i) prevedere procedure e criteri per stabilire quali Paesi terzi impongono obblighi equivalenti a quelli previsti dalla direttiva e prevedono il controllo del rispetto di tali obblighi, al fine di poter applicare all'ente creditizio o finanziario situato in un Paese terzo gli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela; l) prevedere procedure e criteri per individuare: 1) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva devono identificare il titolare effettivo ed adottare misure adeguate e commisurate al rischio per verificarne l'identita'; 2) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono calibrare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione di cui trattasi; 3) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono autorizzati, in deroga agli articoli 7, lettere a), b) e d), 8 e 9, paragrafo 1, della direttiva, a non applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura uno scarso rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea puo' adottare ai sensi dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva; 4) le situazioni, oltre a quelle stabilite dall'articolo 13, paragrafi 2, 3, 4, 5 e 6, della direttiva, nelle quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono tenuti ad applicare, oltre agli obblighi di cui agli articoli 7, 8 e 9, paragrafo 6, della direttiva medesima, obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, sulla base della valutazione del rischio esistente, in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura un elevato rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea puo' adottare ai sensi dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera c), della direttiva; m) evitare, per quanto possibile, il ripetersi delle procedure di identificazione del cliente, prevedendo in quali casi gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono ricorrere a terzi per l'assolvimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela; n) assicurare che, ogni qualvolta cio' sia praticabile, sia fornito agli enti e alle persone che effettuano segnalazioni di operazioni sospette un riscontro sull'utilita' delle segnalazioni fatte e sul seguito loro dato, anche tramite la tenuta e l'aggiornamento di statistiche; 213 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) o) garantire la riservatezza e la protezione degli enti e delle persone che effettuano le segnalazioni di operazioni sospette; p) ferme restando le competenze esistenti delle diverse autorita', riordinare la disciplina della vigilanza e dei controlli nei confronti dei soggetti obbligati in materia di prevenzione contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, assicurando che gli stessi siano svolti in base al principio dell'adeguata valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ed affidandoli, ove possibile, alle autorita' di vigilanza di settore prevedendo opportune forme di coordinamento nelle materie coperte dalla direttiva; q) estendere i doveri del collegio sindacale, previsti dalla normativa vigente in materia, alle figure dei revisori contabili, delle societa' di revisione, del consiglio di sorveglianza, del comitato di controllo di gestione ed a tutti i soggetti incaricati del controllo contabile o di gestione, comunque denominati; r) uniformare la disciplina dell'articolo 10 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni, e dell'articolo 7 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, modificando i doveri del collegio sindacale e dei soggetti indicati alla lettera q), rendendoli piu' coerenti con il sistema di prevenzione, ed evidenziando sia gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette sia gli obblighi di comunicazione o di informazione delle altre violazioni normative; riformulare la sanzione penale di cui all'articolo 10 del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, al fine di estendere la sanzione penale ai soggetti indicati alla lettera q); t) depenalizzare il reato di cui all'articolo 5, comma 4, del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie effettive, dissuasive e proporzionate; u) garantire l'economicita', l'efficienza e l'efficacia del procedimento sanzionatorio e riordinare il regime sanzionatorio secondo i principi della semplificazione e della coerenza logica e sistematica, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie effettive, dissuasive e proporzionate; v) prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per violazione delle norme della direttiva e delle norme nazionali vigenti in materia, qualora la persona fisica, autrice della violazione, non sia stata identificata o non sia imputabile; z) prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per l'omessa od insufficiente istituzione di misure di controllo interno, per la mancata previsione di adeguata formazione di dipendenti o collaboratori, nonche' per tutte le carenze organizzative rilevanti ai fini della corretta applicazione della normativa in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita' criminose e di finanziamento del terrorismo, attribuendo i relativi poteri di vigilanza, controllo, ispezione, verifica, richiesta di informazioni, dati e documenti e i poteri sanzionatori alle autorita' di vigilanza di settore ed alle amministrazioni interessate, laddove esigenze logiche e sistematiche lo suggeriscano; 214 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) aa) introdurre nel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, i reati di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale tra i reati per i quali e' prevista la responsabilita' amministrativa degli enti; bb) prevedere una disciplina organica di sanzioni amministrative per le violazioni delle misure di congelamento di fondi e risorse economiche disposte dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dai citati regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002 nonche' dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunita' europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attivita' di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale. 2. Ai fini dell'attuazione del comma 1, lettera c), e' autorizzata la spesa di 250.000 euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007 e di 1 milione di euro a decorrere dall'anno 2008. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito, dell'unita' previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. 3. Dall'attuazione delle restanti lettere del comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Art. 23. (Modifica al decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267, recante attuazione della direttiva 1999/74/CE e della direttiva 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento) 1. Il comma 5 dell'articolo 8 del decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267, e' abrogato. Art. 24. (Attuazione della decisione n. 2005/315/CE della Commissione, del 20 ottobre 2004, notificata con il numero C (2004) 3893) 1. In attuazione della decisione n. 2005/315/CE della Commissione, del 20 ottobre 2004, il regime di aiuti a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all'articolo 5-sexies del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, e' interrotto a decorrere dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore della presente legge, non e' ancora scaduto il termine per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, nella misura in cui gli aiuti fruiti eccedano quelli spettanti calcolati con esclusivo riferimento al volume degli investimenti eseguiti per effettivi danni subiti di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo. 2. Entro novanta giorni dalla data di emanazione del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate che determina le modalita' applicative della disposizione di cui al presente comma, i soggetti che hanno beneficiato degli aiuti di cui al comma 1 presentano in via telematica all'Agenzia delle entrate una attestazione, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di 215 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con gli elementi necessari per l'individuazione dell'aiuto illegittimamente fruito sulla base delle disposizioni contenute nel citato provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da cui risulti, comunque: a) il totale degli investimenti sulla base dei quali e' stata calcolata l'agevolazione di cui al comma 1; b) l'ammontare degli investimenti agevolabili effettuati a fronte degli effettivi danni subiti in conseguenza degli eventi di cui al comma 1, calcolati al netto di eventuali importi ricevuti a titolo di risarcimento assicurativo o in forza di altri provvedimenti; c) l'importo corrispondente all'eventuale imposta sul reddito non dovuta per effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita. 3. Entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 2, i beneficiari del regime agevolativo di cui al comma 1 effettuano, a seguito di autoliquidazione, il versamento degli importi corrispondenti alle imposte non corrisposte per effetto del regime agevolativo medesimo relativamente ai periodi di imposta nei quali tale regime e' stato fruito, nonche' degli interessi calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, maturati a partire dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo. L'attestazione prevista al comma 2 e' presentata anche nel caso di autoliquidazione negativa. 4. L'Agenzia delle entrate provvede alle attivita' di liquidazione e controllo del corretto adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo; in caso di mancato o insufficiente versamento, ai sensi del comma 3, si rendono applicabili le norme in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso, le sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi, nonche' l'articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni. 5. Nel caso in cui l'attestazione di cui al comma 2 non risulti presentata, l'Agenzia delle entrate provvede al recupero dell'importo dell'agevolazione dichiarata e dei relativi interessi. 6. Sono fatti salvi gli effetti derivanti dalle agevolazioni fruite in relazione agli investimenti il cui importo non superi il valore netto dei danni effettivamente subiti da ciascuno dei beneficiari a causa degli eventi calamitosi di cui all'articolo 5-sexies del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, tenuto conto degli importi ricevuti a titolo di assicurazione o in forza di altri provvedimenti. Art. 25. (Modifica al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada) 1. Al fine di definire la procedura di infrazione 2001/5165 e superare i rilievi mossi dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, al comma 1-bis dell'articolo 134 del 216 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo le parole: "cittadini comunitari" sono inserite le seguenti: "o persone giuridiche costituite in uno dei Paesi dell'Unione europea". Art. 26. (Modifica alla legge 20 ottobre 1999, n. 380) 1. All'articolo 1 della legge 20 ottobre 1999, n. 380, il comma 6 e' sostituito dal seguente: "6. Ferme restando le consistenze organiche complessive, il Ministro della difesa puo' prevedere limitazioni all'arruolamento del personale militare femminile soltanto in presenza di motivate esigenze connesse alla funzionalita' di specifici ruoli, corpi, categorie, specialita' e specializzazioni di ciascuna Forza armata, qualora in ragione della natura o delle condizioni per l'esercizio di specifiche attivita' il sesso rappresenti un requisito essenziale. Il relativo decreto e' adottato su proposta del Capo di stato maggiore della difesa, acquisito il parere della Commissione per le pari opportunita' tra uomo e donna, d'intesa con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e per le pari opportunita'". La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Allegato A (Articolo 1, commi 1 e 3) 2004/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative all'applicazione dei principi di buona pratica di laboratorio e al controllo della loro applicazione per le prove sulle sostanze chimiche. 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualita' e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani. 2004/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che abroga alcune direttive recanti norme sull'igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e 92/118/CEE del Consiglio e la decisione 95/408/CE del Consiglio. 2004/68/CE del Consiglio, del 26 aprile 2004, che stabilisce norme di polizia sanitaria per le importazioni e il transito nella Comunita' di determinati ungulati vivi, che modifica le direttive 90/426/CEE e 92/65/CEE e che abroga la direttiva 72/462/CEE. 2004/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente. 217 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato. 2004/117/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2004, che modifica le direttive 66/401/CEE, 66/402/CEE, 2002/54/CE, 2002/55/CE e 2002/57/CE per quanto riguarda gli esami eseguiti sotto sorveglianza ufficiale e l'equivalenza delle sementi prodotte in paesi terzi. 2005/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2005, che modifica le direttive 73/239/CEE, 85/611/CEE, 91/675/CEE, 92/49/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e le direttive 94/19/CE, 98/78/CE, 2000/12/CE, 2001/34/CE, 2002/83/CE e 2002/87/CE al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari. 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio ("direttiva sulle pratiche commerciali sleali"). 2005/50/CE della Commissione, dell'11 agosto 2005, relativa alla riclassificazione delle protesi articolari dell'anca, del ginocchio e della spalla nel quadro della direttiva 93/42/CEE concernente i dispositivi medici. Allegato B (Articolo 1, commi 1 e 3) 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 1998, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque. 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle societa' madri e figlie di Stati membri diversi. 2004/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, concernente l'ispezione e la verifica della buona pratica di laboratorio (BPL). 2004/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla sicurezza degli aeromobili di paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari. 218 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2004/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE). 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e recante modifica della direttiva 95/18/CE del Consiglio relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e della direttiva 2001/14/CE relativa alla ripartizione della capacita' di infrastruttura ferroviaria, all'imposizione dei diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza (direttiva sulla sicurezza delle ferrovie). 2004/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che modifica la direttiva 96/48/CE del Consiglio relativa all'interoperabilita' del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocita' e la direttiva 2001/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'interoperabilita' del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale. 2004/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che modifica la direttiva 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie. 2004/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea. 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato. 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorita' competenti. 2004/82/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, concernente l'obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate. 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonche' norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. 2004/108/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilita' elettromagnetica e che abroga la direttiva 89/336/CEE. 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE. 219 di 220 Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza (http://www.onps.org) 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parita' di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura. 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, che modifica le direttive del Consiglio 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE e 90/232/CEE e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull'assicurazione della responsabilita' civile risultante dalla circolazione di autoveicoli. 2005/19/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, che modifica la direttiva 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti societa' di Stati membri diversi. 2005/28/CE della Commissione, dell'8 aprile 2005, che stabilisce i principi e le linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonche' i requisiti per l'autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali. 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita' criminose e di finanziamento del terrorismo. ALLEGATO C (Articolo 7, comma 1) 2003/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 novembre 2003, che modifica la direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare. 2005/23/CE della Commissione, dell'8 marzo 2005, che modifica la direttiva 2001/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare. 220 di 220