Oscar 2015 per Migliore Attrice

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Oscar 2015 per Migliore Attrice
dentro il personaggio. Scandito sul
succedersi delle quattro spedizioni
(...) e dei relativi difficili rientri nella
normalità, il racconto corre asciutto e
lineare. La parte familiare con la
mogliettina in ambasce per i travagli
psicologici del marito che non riesce
a rientrare nella normalità del
quotidiano rimane di maniera, ma è
un neo trascurabile. Nell'insieme
'American Sniper' è un film senza un
grammo di retorica, illuminato da un
magnifico interprete e forte della
semplicità di un classico.
Alessandra Levantesi Kezich
La Stampa
2 Gennaio 2015
Di una bellezza ipnotica. E perciò
angosciante. È per questo che più di
un critico, dopo aver visto 'American
Sniper', ha accusato Clint Eastwood
di essere tornato alla filosofia
giustizialista dell'ispettore Callaghan.
Stavolta però si tratta di qualcosa di
diverso e di moralmente più ambiguo. A cominciare dall'ambientazione della vicenda, che si snoda tra le
macerie fumanti di Falluja, in Iraq.
Chris Kyle non è un poliziotto
inasprito bensì un Navy Seal: un
cecchino infallibile che protegge i
marines alla caccia di Al Zar-qawi,
uno dei capi di Al Qaida. Kyle non
nasce dalla fantasia di uno sceneggiatore: è un uomo vero, un eroe per
gli americani. Il cecchino che con
oltre 160 bersagli accertati ha salvato
la vita di migliaia di marines. American Sniper è la guerra vista attraverso il potente binocolo di Kyle. Le lenti
mostrano in modo deformato,
ingrandendolo, lo strazio della guerra
moderna. (...) Etica pericolosissima
con cui certi revisionisti vorrebbero
perfino riabilitare i nazisti. Su questa
posizione impossibile difendere Clint
Eastwood. Ma all'attento osservatore, capace di guardare lo schermo
con occhi spalancati e vigile coscienza, non può sfuggire la sottile
morale già enunciata da 'Taxi Driver'
di Martin Scorsese: la morte genera
solo la morte. Anche se si pensa di
essere nel giusto. Anche se per un
intero Paese sei un eroe. Film
durissimo che richiede assoluta
maturità di giudizio.
Maurizio Turrioni
Famiglia Cristiana
11 Gennaio 2015
Mercoledì 25 marzo, ore 16.30-19.00-21.00
Giovedì 26 marzo, ore 19.00-21.00
Un film di R. Glatzer e W. Westmoreland,
con Julianne Moore e Alec Baldwin
La 50enne Alice Howland è una
rinomata professoressa di Linguistica. In
occasione di una lezione universitaria,
Alice inizia a dimenticare alcune parole.
Ben presto, a questo primo evento altri
ne seguono e Alice, convinta che si tratti
di un tumore al cervello, senza dire nulla
al marito e ai figli decide di fare una serie
di accertamenti. La diagnosi si rivelerà
devastante e metterà a dura prova
l'esistenza della donna e i suoi legami
familiari: Alzheimer precoce...
Oscar 2015 per Migliore Attrice
MERCOLEDI 18 MARZO 2015, ORE 16.30-19.00-21.30
GIOVEDI 19 MARZO 2015, ORE 19.00-21.30
Il cast tecnico.
Regia:
Clint
Eastwood.
Soggetto: Chris Kyle, Scott
McEwen,
Jim
DeFelice.
Sceneggiatura: Jason Hall.
Fotografia:
Ton
Stern.
Montaggio: Joel Cox, Gary
Roach. Scenografia: James J.
Murakami, Charisse Cardenas.
Costumi: Deborah Hopper.
Origine: USA, 2015.
Durata: 2h14.
Gli interpreti.
Bradley Cooper (Chris Kyle),
Sienna Miller (Taya Renae Kyle),
Jake McDorman (Ryan Job,
"Biggles"), Luke Grimes (Marc
Lee), Navid Negahban (Sceicco al
-Obodi), Keir O'Donnell (Jeff Kyle).
La trama.
Le vicende del Navy Seal Chris
Kyle, personaggio controverso
e considerato uno dei più letali
cecchini del reparto speciale.
Kyle ha infatti totalizzato il
record di uccisioni per un
militare nella storia degli Stati
Uniti. Chris viene inviato in Iraq
con una missione precisa:
proteggere i suoi commilitoni.
Allo stesso tempo, però, Chris
combatte un'altra battaglia, in
casa propria, nel tentativo di
essere un buon marito e un
buon padre.
La guerra e i suoi «eroi» hanno
spesso attraversato il cinema di Clint
Eastwood, non tanto per scegliere
tra militarismo o pacifismo quanto
per raccontare il confronto dell'uomo
con il coraggio e la paura, il dovere e
il dolore, la vita e la morte. Nei film di
Eastwood, il combattimento esalta
spesso l'individualismo e l'insofferenza per le gerarchie (come in 'Gunny')
ma non nasconde i segni che la
guerra ha lasciato sulla psiche delle
persone (come in 'Firefox - Volpe di
fuoco') e soprattutto sa rispettare il
nemico e vedere in chi combatte
dalla parte opposta (come ha
spiegato in 'Lettere da Iwo Jima') un
essere umano con lo stesso coraggio, le stesse paure e gli stessi ideali
di chi gli sta di fronte. Per ricordarci,
come ha fatto in 'Flags of Our
Fathers', che «qualsiasi somaro
crede di sapere che cos'è la guerra»
perché «le cose piacciono semplici e
lineari: buoni e cattivi, eroi e canaglie» mentre invece gli eroi non
esistono. Per questo stupisce che,
ormai arrivato alla maturità e alla
saggezza degli anni (a maggio
saranno ottantacinque), si sia
lasciato tentare da una storia come
quella di Chris Kyle, il cecchino più
letale dell'esercito americano (...).
Stupisce perché quel chiaroscuro
che Eastwood aveva raccontato così
bene in molti film, e non solo di
ambiente militare, quell'intreccio di
doveri e responsabilità, vitalismo e
dubbi che facevano la forza (e il
fascino) dei suoi personaggi, qui
spariscono o vengono ingabbiati
dentro troppo facili e schematiche
opposizioni, per restituirci un ritratto
a tutto tondo di uno di quegli «eroi
che non esistono», tanto per citare
ancora 'Flags of Our Fathers'. (...)
convincente Bradley Cooper (...).
Questa storia, che lo stesso Kyle ha
ricostruito in un libro autobiografico
(...), Eastwood la racconta con
inappuntabile ma scontato professionismo: alterna l'eccitazione dei
combattimenti alle depressioni del
ritorno a casa, esalta lo spirito di
corpo e il senso del dovere dei
soldati al fronte e non nasconde le
conseguenze psicologiche di chi
deve scegliere se uccidere o no,
mostra senza reticenze i traumi e le
mutilazioni dei reduci ma sembra
che niente scalfisca davvero quel
soldato dalla mira infallibile. Ogni
contraddizione e ogni problema alla
fine si risolve nel migliore dei modi
possibili, che si tratti di vendicare il
compagno caduto in battaglia o di
ritrovare l'affetto della famiglia, e
anche il dramma finale serve per
rafforzare il monumento all'eroismo
individuale di chi «fa il proprio
dovere». Dimenticando così proprio
la lezione che solo qualche anno fa
lui stesso ci aveva dato con i due
film sulla battaglia di Iwo Jima: che
gli eroi non esistono...
Paolo Mereghetti
Il Corriere della Sera
30 Dicembre 2014
Era stato sdoganato dalla critica
monopensante, ora tornerà tra i
(quasi) reprobi. Pazienza: Clint
Eastwood, 84 anni e oltre 50 film, si
è appostato dietro la cinepresa
scegliendo - al contrario di quanto
hanno fatto con la macchina
fotografica l'Hitchcock di «La
finestra sul cortile» o il Powell di
«L'occhio che uccide» - il mirino del
fucile di un cecchino dei Navy
Seals per la sommessa celebrazione dell'abilità di un guerriero e
insieme il lamento sulla sua
condizione di alienato votato alla
salvezza dei compagni e la morte
del nemico. «American Sniper» è il
potente diario audiovisivo tratto
dall'autobiografia di Chris Kyle (...).
Lo sguardo del demiurgo Eastwood, asciutto e implacabile come
quello del massiccio protagonista
texano, coglie senza perdersi in
ghirigori estetici lo stato di assoluto
disorientamento provocato dall'insanabile scissione tra le certezze
patriottiche e l'adrenalina della
missione foriera dell'impossibilità di
tornare alla normalità del quotidiano. Non è un pacifista, certo, il
grande vecchio del cinema americano e non lo è mai stato neppure
quando officiava le vendette di «Gli
spietati», i tormenti fisici e mentali di
«Mystic River», le insurrezioni antiapartheid di «Invictus» o gli assalti
da kamikaze per amore di giustizia
di «Gran Torino». Ma giudicarlo in
virtù
d'ideologie
pregiudiziali
significa non capire la sua tematica
fordiana, il suo interrogarsi sul
destino e la responsabilità individuali e il ricorrente dissidio tra
queste ultime e le ragioni primarie
di sopravvivenza di una comunità.
Il western, ancora: l'infallibile
fulminatore come sceriffo, il suo
contraltare adepto di Al-Qaida
come 'wanted'; il duello -tra l'altro
girato al culmine di una sequenza
mozzafiato, un inferno dantesco tra
tempeste di sabbia e corpi che
s'abbattonocome
versione
moderna dell'OK Corral; la moglie,
il cui rapporto col coniuge rischia
sempre più di deteriorarsi, come
Grace Kelly che attende trepidante
Gary Cooper mentre le pistole
cantano
nel
prefinale
di
«Mezzogiorno di fuoco». Scabro,
lucido e sintetico, Eastwood si
avvicina al Peckinpah di «Il
mucchio selvaggio» per come sa
trasferire il dramma delle acmi
mortali dalle quali non si può
più recedere nell'occhio, il
cuore e la mente dell'interprete
combattente (Bradley Cooper):
un procedimento d'alta miniatura filmica che funziona da
agente principale del suo
progressivo sprofondamento in
una realtà fantasmatica, ingiudicabile in astratto, inguaribilmente 'altra'. Cosa importa definire
Chris un eroe o un assassino,
cosa importa sentenziare se ha
ragione l'invasione Usa o il
terrorismo islamico? Il lavoro
dell'artista è quello di mettere a
disagio lo spettatore, mordergli
l'anima e suscitarne le emozioni
più
recondite
e
estreme
(Leonardo o Michelangelo non
erano biechi guerrafondai). In
«American Sniper» è stato fatto
così bene da rispondere al
compito come quasi mai succede.
Valerio Caprara
Il Mattino
2 Gennaio 2015
Per spiegare 'American Sniper'
occorre tenere presente un fatto: il
progetto cinematografico (...) è partito
su una sceneggiatura e il nome di
Bradley Cooper. La scelta del regista
è avvenuta in un secondo momento,
avrebbe dovuto essere Spielberg, ma
per problemi di inconciliabilità di date il
copione è passato a Clint Eastwood
giusto a ridosso dell'improvvisa morte
di Kyle (...). A questo punto il problema che si presentava a Eastwood era
doppio: cercare di non tradire le
comprensibili aspettative di vedova e
familiari; e al contempo trovare il
modo di non fare dell'eroe un santino.
(...) Se alla fine l'ex ispettore Callaghan ha realizzato il film è perché ha
trovato una chiave di approccio,
ovvero quella chiave intimista del
confronto ravvicinato con l'essere
umano che caratterizza gran parte del
suo cinema. Lasciando fuori ogni
polemica sulle discusse e discutibili
ragioni del conflitto iracheno, il
cineasta si focalizza sull'uomo che in
buona fede, con lo spirito protettivo
del cane pastore, mette un eccezionale talento di tiratore al servizio del
paese e a protezione del suo gregge
di marines. In perfetta sintonia con il
registro di regia, Cooper incarna Kyle
non solo raddoppiando mimeticamente la stazza e impugnando con
convincimento l'arma, ma portando
se stesso, la sua personale sensibilità