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Rassegna Stampa del giorno 12 Maggio 2011
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UN AFORISMA AL GIORNO
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di Stefania Tamburelllloo
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Lunedì l’eurogruppo, il 24 giugno la nomina da parte del Consiglio Ue
ROMA -L’Italia ha ufficialmente candidato il governatore Mario Draghi alla presidenza della Bce, la
banca centrale europea, per sostituire Jean-Claude Trichet il cui mandato terminerà alla fine di ottobre.
«Sì, ho firmato il documento» ha confermato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, al termine
della conferenza stampa organizzata con gli esponenti del Fondo monetario internazionale (Fmi) in
missione in Italia, mentre il direttore generale del ministero, Vittorio Grilli, ha spiegato che la lettera
con la proposta di candidatura di Draghi è stata inviata ieri a Bruxelles. Dove lunedì si riunirà
l’Eurogruppo che farà partire, con il recepimento delle candidature, le complesse procedure che porteranno alla nomina del nuovo responsabile di Eurotower da parte del Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo programmato per il 24 giugno. Spetta insomma ai ministri delle Finanze e
dell’Economia dell’Eurozona indicare il candidato con i maggiori consensi o la rosa dei candidati in
lizza, ma tocca ai Capi di Stato la scelta finale. La discesa ufficiale in campo dell’Italia e di Draghi è
avvenuta nel giorno in cui Berlino ha messo da parte la prudenza, mista a perplessità, espressa finora
nei confronti di un candidato italiano al vertice dell’Istituto di Francoforte e ha fatto la prima vera
mossa di sostegno a Draghi. Certo sul nome del governatore era già arrivato il consenso del ministro
delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ma non ancora quello, importante, della Cancelliera Angela
Merkel. La quale dopo il naufragio del candidato tedesco Axel Weber, dimessosi dalla Bundesbank,
era rimasta nel vago, facendo prima trapelare la preoccupazione sulla possibile reazione dell’opinione
pubblica tedesca nei confronti di un presidente Bce proposto da un paese con un debito altissimo, poi
esprimendosi a favore di una nomina di Draghi alla direzione generale del Fmi in sostituzione di Dominique Strauss-Khan, che in giugno dovrebbe lasciare Washington per scendere in campo nella corsa
per l’Eliseo contro Nicolas Sarkozy. Non era in realtà una vera opposizione ma la voglia di rallentare i
tempi, forse anche come reazione al deciso passo in avanti fatto dal presidente francese Nicolas Sarkozy che ha manifestato il suo sostegno ufficiale a Draghi il 26 aprile, nel corso del vertice italofrancese di Roma. «Conosco Mario Draghi. È un uomo molto interessante e di grande esperienza. È
molto vicino al nostro concetto di cultura della stabilità e di un’economia solida» ha invece affermato
ieri la Cancelliera in un intervista al settimanale Die Zeit. Ed il portavoce del governo di Berlino Cristoph Steegmans ha fatto eco precisando che «se sarà avanzata la candidatura di Draghi, il governo tedesco la sosterrà» . Una presa di posizione precisa, che rilancia fuori di ogni dubbio Draghi come il favorito alla corsa per la presidenza di Eurotower. E che per questo viene salutata con soddisfazione dal
premier Silvio Berlusconi, che proprio lunedì sera ha avuto con Angela Merkel una telefonata chiarificatrice. «Siamo felici, è un buon successo per l’Italia» , afferma Berlusconi dicendosi «sicuro che la
scelta del governatore italiano verrà confermata dal Consiglio Ue dei capi di Stato e di governo di giugno» . Col sostegno di Francia e Germania ed i consensi arrivati nelle scorse settimane un po’da tutti i
paesi dell’eurozona, la strada di Draghi -governatore di Bankitalia ma anche presidente del Financial
stability board, l’organismo internazionale che sta costruendo la riforma delle regole della finanza su
mandato del G20 -sembra spianata. Anche se la cautela, quando c’è di mezzo la politica e i processi
decisionali sono molto lunghi, è d’obbligo. Si vedrà comunque lunedì, all’Eurogruppo, all’avvio delle
procedure, se la candidatura di Draghi sarà, come sembra, l’unica ad essere presentata e quindi incontestabilmente la favorita. L’avvicinamento dell’inquilino di palazzo Koch alla Bce apre un altro terreno
di confronto, la successione in Banca d’Italia. I tempi sono ovviamente ampiamente prematuri per avere indicazioni precise sul nome del prossimo governatore, che sarà nominato dal Quirinale su proposta
di Palazzo Chigi. Così i possibili candidati sono tra gli interni il direttore generale Fabrizio SaccomanRassegna Stampa del giorno 12 Maggio 2011
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ni ed il vicedirettore Ignazio Visco, mentre gli esterni sono il direttore generale del Tesoro Vittorio
Grilli ed il componente del board della Bce, Lorenzo Bini Smaghi che ha ancora due anni di mandato
da completare a Francoforte, ma che forse dovrebbe lasciare anzitempo per evitare la presenza contemporanea di due italiani nell’esecutivo della Banca. La soluzione è apertissima ma l’ipotesi che circola al momento vedrebbe la nomina di Saccomanni al vertice e quella di Bini Smaghi alla direzione
generale della Banca, in posizione strategica per fare in un secondo momento il passo successivo.
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di Federico Fubini
Le ultime obiezioni olandesi
«Troppo presto per decidere»
«Il lungo periodo di interregno indebolisce Trichet»
MILANO -Potrebbe persino finire con Mario Draghi e Jean-Claude Trichet che si scambiano i posti. Il
primo è il solo candidato alla presidenza della Banca centrale europea, il secondo potrebbe rivelarsi il
più credibile per quella del Financial Stability Board: l’organismo, oggi guidato da Draghi, che coordina le riforme del settore finanziario dopo il crash del 2008. Probabile che il francese, capace di guidare
l’Eurotower in anni difficili, pensi di far valere la sua esperienza anche in futuro. Ma il riassestamento
nella diplomazia finanziaria internazionale non è ancora a quello stadio: resta da vedere cosa accadrà
anche al Fondo monetario internazionale, dalla cui guida il francese Dominique Strauss-Kahn si dimetterà quasi certamente molto presto. Ma soprattutto, in Europa, resta da vedere come saranno superate
le ultime obiezioni dell’Olanda alla nomina di Mario Draghi a Francoforte. Il calendario, almeno sulla
carta, è chiaro: lunedì l’Eurogruppo dei ministri finanziari dell’area-euro dovrebbe indicare per il dopo-Trichet (senza diritti nazionali di veto) il governatore della Banca d’Italia. Quindi l’Europarlamento
avrà 40 giorni per sentirlo in un’audizione e esprimere il suo voto non vincolante. Infine il Consiglio
europeo dei capi di Stato e di governo formalizzerà la scelta il 24 o 25 giugno e la successione scatterà
dal primo novembre. Il problema degli olandesi sembra essere sui tempi: secondo loro decidere subito
significa rendere per molti mesi Trichet un’«anatra zoppa» , delegittimandolo mentre infuria la crisi
del debito. In realtà l’Olanda in passato ha già accettato di peggio, in tema di anatre zoppe: con Wim
Duisenberg espresse nel ’97 un presidente della Bce disposto a annunciare le proprie dimissioni premature ancora prima di entrare in carica. Plausibile dunque che l’ostacolo dell’Aia sia superato e a quel
punto a Roma la riflessione sulle nomine alla Banca d’Italia dovrà accelerare. Per il momento i candidati i cui nomi ricorrono sono Lorenzo Bini Smaghi, oggi nell’esecutivo della Bce, il direttore generale
del Tesoro Vittorio Grilli, il direttore generale della Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni e il suo dice
Ignazio Visco. Più dei profili personali però conterà la qualità del processo istituzionale che porta alla
nomina del governatore: tradizionalmente si tratta di una figura indipendente e autorevole, oltre che
per il governo, anche per il Quirinale, per l’opposizione e per la stessa Banca d’Italia. Grilli ha dalla
sua la competenza, l’esperienza internazionale e il forte sostegno del ministro dell’Economia Giulio
Tremonti, ma la Banca d’Italia sta dando segnali di disagio all’idea di una figura che arrivi direttamente dal governo. Bini Smaghi ha un passato in Banca d’Italia e Parigi ha già implicitamente chiarito che
si aspetta le sue dimissioni dalla Bce per far spazio a Draghi e a un banchiere francese nell’esecutivo;
secondo il Financial Times, Roma potrebbe dovergli offrire la guida della Banca d’Italia perché Bini
Smaghi accetti di dimettersi spontaneamente, senza ledere le norme sull’indipendenza negli statuti della Bce. Ma un passaggio chiave sarà nel confronto fra Tremonti e Silvio Berlusconi. In caso di divergenze fra i due, su Grilli o su altri candidati, il premier potrebbe anche decidere di rimettersi al capo
dello Stato: a quel punto il Quirinale potrà optare per una scelta europea come Bini Smaghi o per una
figura di continuità fra i dirigenti attuali di Via Nazionale.
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L’agenda (difficile) dell’italiano
con l’incarico più alto
Dalla gestione della crisi greca e irlandese alle pressioni sulla moneta unica. I dubbi
tedeschi
BERLINO -Complimenti a Mario Draghi. Al povero Mario Draghi, è però forse meglio dire. Il governatore della Banca d’Italia sta per assicurarsi la nomina a presidente della Banca centrale europea
(Bce) soprattutto grazie alla personalità e ai meriti propri. Ma lo attende la traversata del Mar Rosso:
portare in salvo l’armata poco composta dei Paesi dell’Eurozona alle prese con le crisi del debito
quando le onde internazionali -dollaro, Cina, prezzi delle materie prime -sono alte come poche volte
era capitato nella storia recente. Detto in altri termini: l’uomo che a novembre quasi certamente andrà a
occupare uno dei posti più importanti e prestigiosi mai ricoperti da un italiano a livello internazionale
dovrà anche affrontare le sfide di un mondo poche volte così turbolento e in cambiamento. Probabilmente Draghi dovrà iniziare il suo lavoro da Berlino. Ieri Angela Merkel ha rotto gli indugi e gli ha dato il via libera. Il governo tedesco, però, ha tutte le intenzioni di rimanere l’azionista di maggioranza,
relativa fino a un certo punto, della zona euro. Questo significa che la relazione tra la Bce e l’esecutivo
della cancelliera non sarà tranquillo come lo era prima della crisi finanziaria: ne sa qualcosa il suo predecessore Jean-Claude Trichet, il quale in questi mesi si è trovato in più di un caso su posizioni divergenti da quelle tedesche, per esempio sul programma di acquisto di titoli di Paesi in difficoltà e
sull’eventualità di dovere accettare una ristrutturazione del debito greco. Il primo test, per il governatore italiano, potrebbe essere proprio la Grecia. La Bce di oggi è contraria senza se e senza ma a una ristrutturazione del debito di Atene, cioè alla rinegoziazione delle sue obbligazioni emesse finora: Trichet ne ha fatto quasi un punto d’onore. Il governo tedesco, però, è molto più possibilista. Il ministro
delle Finanze Wolfgang Schäuble ha fatto preparare scenari e piani che lo prevedono: sa che politicamente sarebbe impossibile per la Germania continuare a prestare denaro alla Grecia per evitare che le
banche e i fondi d’investimento subiscano perdite, accollando così ogni passività ai bilanci pubblici e
quindi ai cittadini europei. Su questo, Draghi ha accennato nei giorni scorsi alla possibilità che i privati
debbano accettare essi stessi perdite sui debiti dei Paesi in crisi e al ministero delle Finanze di Berlino
si ritiene egli sia più flessibile di Trichet nel considerare l’inevitabilità di una seria rinegoziazione del
debito greco, come ormai ritengono certo un gran numero di economisti. Se si vuole guardare
all’intero ventaglio delle possibilità di crisi che il debito dei Paesi dell’euro ha aperto, il futuro presidente della Bce potrebbe dovere affrontare anche l’impensabile. Un buon numero di parlamentari tedeschi della maggioranza di governo sta sostenendo che dare altro denaro alla Grecia è inutile. Dice che
non ce la può fare a tornare a raccogliere denaro sui mercati -nessun investitore è disposto a darglielo a
tassi decenti -e anche i suoi piani di risanamento sono pochissimo credibili. L’esperto finanziario dei
liberali tedeschi Frank Schäffler ieri ha fatto notare che il piano per 50 miliardi di privatizzazioni deciso da Atene in proporzione corrisponderebbe a un piano di privatizzazioni di 500 miliardi in Germania,
dove la Borsa capitalizza 835 miliardi: del tutto insensato. Molti, dunque, stanno pensando che la sola
soluzione per la Grecia sia l’abbandono -dolorosissimo e costosissimo per tutti -della moneta unica.
Per un governatore della Bce sarebbe qualcosa di più di una prova del fuoco. Per aggiungere problema
a problema, non c’è solo l’Europa. La crisi finanziaria 2008-2009 ha messo sottosopra il sistema finanziario internazionale, e Draghi lo sa meglio di ogni altro, come presidente del Financial Stability
Board, l’organismo incaricato di disegnare una riforma del sistema finanziario internazionale. Da una
parte c’è il fatto che il sistema bancario mondiale non ha ancora effettuato cambiamenti capaci di renderlo più resistente e meno pericoloso durante le crisi. Dall’altra, sul piano macroeconomico, gli squilibri finanziari che hanno alimentato la drammatica crisi finanziaria degli anni scorsi non sono stati suRassegna Stampa del giorno 12 Maggio 2011
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perati: i Paesi con grandi surplus commerciali -Cina e Germania in testa -rimangono tali, i Paesi importatori, Stati Uniti in testa, faticano a uscire dall’angolo. Con effetti di instabilità sul dollaro. In più,
le tensioni sui mercati delle materie prime, con prezzi in altalena, rendono il quadro economico prospettive dell’inflazione in testa -estremamente instabile. Felicitazioni, dunque, signor Draghi: ha
preso l’incarico più ingrato disponibile su piazza.
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di Massimo Sideri mssiid
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Scalata Parmalat, perquisite le banche
Spuntano 4 indagati per insider e aggiotaggio. Nel mirino Socgen, Lazard, Agricole e
Intesa
MILANO — La giornata della Parmalat ieri si è aperta con la Guardia di Finanza inviata dal magistrato Eugenio Fusco a perquisire gli uffici milanesi di Intesa Sanpaolo, di Societé Generale, del Crédit
Agricole e di Lazard e quelli di Brunswick e Image Building, le due società che si sono occupate della
comunicazione rispettivamente dei tre fondi esteri Skagen, MacKenzie e Zenit e di Lactalis. E si è
chiusa con quattro indagati: sono Fabio Canè, manager di primo piano della banca milanese che aveva
lavorato alla lista Bondi, la moglie Patrizia Micucci, capo dell’investment banking in Italia di Société
Generale e sua concorrente al tavolo dei fondi, Carlo Salvatori, presidente di Lazard Italia, e Massimo
Rossi, il manager «svedese» che era stato designato amministratore delegato ad interim nella lista dei
fondi esteri. Per la Micucci, Salvatori e Rossi l’accusa è di aggiotaggio per aver «diffuso informazioni
false e aver posto in essere artifizi concretamente idonei ad azzerare il corso della Parmalat» come si
legge nei decreti di perquisizione delle Fiamme gialle. Per Canè— di cui i finanzieri hanno perquisito
non solo l’ufficio, ma anche l’abitazione privata, i computer e l’automobile — l’accusa è di insider
trading. Secondo il magistrato quest’ultimo reato si sarebbe consumato tra il 18 marzo, all’indomani
del blitz dei francesi sull’11,42%della Parmalat, e il 22 marzo, quando dopo un rocambolesco week
end di indecisioni da parte della «cordata italiana» e un viaggio notturno di Emmanuel Besnier a Milano, i francesi rilevarono a 2,8 euro il pacchetto del 15,3%in tasca ai tre fondi. In sostanza l’accusa è di
pillow talk, cioè chiacchiere da cuscino, che possono essere penalmente rilevanti se, come aveva rilevato il Corriere, marito e moglie si trovano come rappresentanti di due cordate concorrenti davanti a
uno stesso venditore. Secondo l’ipotesi di Fusco Canè avrebbe rivelato il prezzo di Intesa alla Micucci
permettendole di chiudere la partita con un lieve ritocco verso l’alto dell’offerta. Il nucleo valutario
della Finanza era stato messo al lavoro dal pm fin dalle prime battute. Ma è probabile che anche il venire meno della cordata italiana, sempre annunciata da Intesa ma mai concretizzata, abbia spinto ora il
magistrato a tirare la rete a riva. Intesa Sanpaolo ha fatto sapere ieri di «non aver mai avuto evidenze di
elementi in base ai quali ritenere l’operato di Fabio Canè lesivo degli interessi della banca» . Per Salvatori a finire sotto la lente del pm è stata un’intervista alla Voce di Parma, dove il manager suffragava
l’idea— comunicata fin dall’inizio dai fondi quando, dopo che il Corriere aveva svelato il patto segreto, erano dovuti uscire allo scoperto— di un’operazione industriale il cui obiettivo era trasformare la
Parmalat in un campione internazionale. Il gruppo Lactalis ha dichiarato di «non essere oggetto di alcuna indagine giudiziaria» . D’altra parte per adesso le prove sono indiziarie e dunque non sufficienti a
chiedere l’avvio di un processo, fanno sapere fonti vicino alla magistratura. Intanto la Consob, che sta
indagando sempre sugli stessi movimenti, dovrebbe dare il via libera ai documenti sull’Opa francese a
2,6 euro entro sabato. La Parmalat ieri ha chiuso a Piazza Affari sulla parità, pur restando sopra il
prezzo dell’Opa, 2,636. Oggi il board della società potrebbe svelare la fairness opinion di Goldman.
Che probabilmente sarà unfair: in poche parole Enrico Bondi potrebbe richiedere un ritocco verso
l’alto come si attende il mercato.
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di Mario Sensini
Unico, in ritardo le istruzioni
Il Fisco pronto alla proroga
ROMA — Il governo sta valutando una proroga dei termini per il pagamento delle imposte attraverso
il modello Unico per le persone fisiche, che interessa in modo particolare i lavoratori autonomi. La data per il pagamento dell’acconto è attualmente fissata al 16 giugno, con la possibilità di versare il dovuto anche entro i 30 giorni successivi, cioè il 16 luglio, pagando una maggiorazione dello 0,4%. Nulla
dovrebbe cambiare, invece, per il modello 730 dal quale, per inciso, sono sparite, quest’anno, le detrazioni del 19%per gli abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico. Fonti dell’esecutivo hanno confermato ieri che è effettivamente allo studio un decreto del Presidente del Consiglio per concedere lo slittamento dei termini di pagamento, che tra l’altro è stato accordato anche lo scorso anno. Un orientamento definitivo non c’è ancora, ma lo slittamento appare molto probabile, considerato che mancano alcuni
elementi fondamentali per la compilazione di Unico 2011, a cominciare dai nuovi studi di settore. La
nuova versione del software Gerico, che serve per applicare gli studi di settore alle piccole imprese ed
ai lavoratori autonomi, deve essere ancora messa a disposizione dei contribuenti dall’Agenzia delle
Entrate. E senza quel programmino, che tiene conto di tutti i correttivi anticrisi apportati quest’anno,
sarebbe impossibile determinare gli importi "congrui"delle imposte da pagare. Mancano, poi, le istruzioni dettagliate per l’applicazione della cedolare secca sugli affitti, introdotta dal decreto sul federalismo municipale. L’opzione di ricorrere alla cedolare secca, in alternativa alla denuncia degli affitti nella dichiarazione dei redditi e alla loro tassazione in base all’aliquota marginale, è già operativa, ma chi
la sceglie ha l’obbligo di versare con il modello Unico un acconto dell’85%dell’imposta dovuta. Non
sarebbe di per sé un ostacolo, ma è probabile che si attenda anche la pubblicazione del nuovo software
per verificare la "tenuta"della propria dichiarazione dei redditi alla prova del nuovo redditometro, che
mette in relazione la capacità di spesa reale dei contribuenti con il loro reddito dichiarato. La proroga,
se ci sarà, non dovrebbe riguardare comunque i termini per la presentazione di Unico 2011. La scadenza è fissata al 30 giugno per il modello cartaceo, al 30 settembre per quello telematico.
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di Stefania Tamburelllloo
L’Fmi promuove l’Italia:
riforme per crescere
La missione a Roma. Tremonti: i piani non si fanno in un giorno o con un solo decreto
ROMA — «Abbiamo garantito la tenuta del bilancio, del risparmio e della coesione sociale negli anni
della crisi. Ora penseremo a sostenere la crescita» , assicura il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti incassando il giudizio positivo degli ispettori del Fondo monetario (in Italia per l’annuale missione
di verifica della situazione economica del paese) sul miglioramento dei conti pubblici ed invece le osservazioni più critiche sulla lentezza della ripresa. «Ma dobbiamo sapere che non sono cose che si fanno in un giorno, con un solo decreto ad opera di un unico soggetto, l’amministrazione pubblica» prosegue il ministro prefigurando nuovi interventi a favore dello sviluppo. E dunque gli economisti di
Washington pensano che «l’Italia sia sulla strada giusta» per il riequilibrio delle finanze pubbliche dove ha fatto «considerevoli progressi» . Ma, dice il capo della missione Fmi in Italia, Antonio Borges
nella conferenza stampa di chiusura della verifica, «vorremmo vedere una crescita economica più veloce» . Sul problema della «modesta» crescita italiana c’è «grande preoccupazione» : servono sforzi
sul lungo periodo per eliminare gli «ostacoli strutturali» che frenano lo sviluppo. E che sono soprattutto il divario tra Nord e Sud, un pesante carico fiscale, pubblici servizi inefficienti, un mercato del lavoro duale e un’eccessiva regolazione per le imprese. Per Borges comunque la priorità resta l’economia
del Mezzogiorno tanto che «qualunque successo l’Italia dovesse compiere sul suo rilancio sarebbe
molto apprezzato» dal Fondo perché contribuirebbe a superare quel «dualismo» che continua a caratterizzare l’economia della penisola. La ripresa «debole» inoltre non consentirà «un significativo miglioramento dell’occupazione» che resta alta in particolare fra i giovani. Quanto ancora ai conti pubblici
l’Fmi «accoglie con favore» l’impegno del governo a portare in pareggio il bilancio entro il 2014 e intanto a ridurre il rapporto deficit -Pil sotto il 3%entro il 2012. Anche se considera «ottimistiche» le
previsioni sull’effetto del consolidamento sulle entrate. In ogni caso il riequilibrio del bilancio italiano
«dovrà essere basato sulla razionalizzazione della spesa pubblica» . Quanto al federalismo non deve
«minare la disciplina di bilancio» e deve essere modulato a «velocità variabili» a seconda delle differenze regionali. Positivo è invece il giudizio sul sistema creditizio: «Le banche italiane sono abbastanza solide» dice Borges che rileva come gli istituti di credito ora siano sulla strada volta ad aumentarne
la capitalizzazione. «È un buon modello per il resto dell’Ue» . Insomma per l’Fmi la strada intrapresa
dall’Italia è «giusta» ma bisogna rilanciare la crescita.
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di Enrico Marro
«Salari italiani sotto la media Ue
Il prelievo fiscale sale al 46,9%»
ROMA— È brutta la fotografia dell’Italia che scatta l’Ocse nel suo rapporto sulla tassazione dei salari
(Taxing wages) diffuso ieri. Il nostro Paese, messo a confronto con altri 33 Paesi industrializzati, presenta infatti retribuzioni molto basse, circa 1.500 euro al mese, e tasse molto alte. Nel 2010 l’Italia si
colloca al 22esimo posto nella classifica dei salari netti a parità di potere d’acquisto per un single senza
figli a carico. Con 25.155 dollari (18.913 euro al tasso di cambio medio del 2010, pari a 1,33) risulta
sia sotto la media dei Paesi Ocse (26.436 dollari) sia sotto la media dell’Ue a 15 (30.089 dollari). La
classifica è guidata dalla Svizzera con 42.136 dollari netti, seguita dal Regno Unito (39.929). Nella
parte alta della graduatoria ci sono anche Norvegia, Olanda, Irlanda, Giappone, Stati Uniti e Australia.
La Germania è all’11esimo posto con 31.573 dollari, il 50%in più dell’Italia. La Francia al 16esimo,
con 28.028 dollari. Meglio di noi anche la Spagna, con 27.094 dollari. Peggio dell’Italia fanno solo
Portogallo, Grecia, i Paesi dell’Est Europa, la Turchia, il Cile e il Messico. Le basse buste paga italiane
si spiegano anche con l’alto prelievo fiscale e contributivo, di «almeno 11 punti superiore rispetto alle
medie Ocse per tutti i tipi di famiglie» . Un lavoratore sigle intasca «meno del 54%» di quanto quello
stesso lavoratore costa all’azienda. Il cuneo fiscale e contributivo nel 2010 è stato infatti del 46,9%, in
aumento di 0,4 punti rispetto al 2009. Un valore che colloca l’Italia al quinto posto dopo Belgio
(55,4%), Francia (49,3%), Germania (49,1%) e Austria (47,9%). Prendendo a riferimento una coppia
sposata con due figli, in Italia il cuneo è il terzo più alto, col 37,2%, dopo quelli di Francia (42,1%) e
Belgio (39,6%). La media Ocse è del 24,8%. Il rapporto concede però che il prelievo sui redditi da lavoro in Italia, dal 2000 a oggi è «leggermente diminuito» , a beneficio soprattutto delle famiglie con
figli. Per il Pd, che ieri ha presentato un piano in 10 punti per la crescita, i dati dell’Ocse dimostrano
che con il governo Berlusconi, dice l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, «come sempre paga il
lavoro dipendente mentre le rendite continuano ad essere tassate al 12%» .
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DAL NOSTRO INVIATO
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Grecia in piazza, no all’austerità Ue
Protesta contro il programma di privatizzazioni da 50 miliardi del governo
ATENE— Il capo del governo greco, il socialista George Papandreou, da ieri è ancora più solo. Lo
sciopero generale dichiarato dai sindacati ha bloccato il Paese. La manifestazione nel centro di Atene è
stata vibrante, tesa e, purtroppo, anche violenta. Un dimostrante ricoverato in coma è stato operato ieri
sera. E'in condizioni gravissime. Secondo le fonti ufficiali gli altri feriti sono 11, tra i quali due agenti
e altri cinque manifestanti. Ma dopo una verifica con gli ospedali il numero dei contusi sale ad almeno
30. La polizia si è schierata in maniera arcigna a protezione del Parlamento, pronta a manganellare con
un'inquietante facilità. C'è stato un solo vero scontro, ma molto duro, davanti all'Università, sul viale
che porta verso piazza Syntagma, il baricentro della città. Un gruppo di anarco-antagonisti, vestiti di
nero e con il visto coperto, ha cominciato a lanciare sassi e addirittura pezzi di marmo contro il cordone delle forze dell'ordine. Risposta immediata con lacrimogeni e carica indiscriminata su uno spezzone
del corteo. Mezz'ora dopo abbiamo visto quattro signore sovrappeso, distanti anni luce dal profilo del
perfetto black-block, sedute su un marciapiede, ancora sotto shock e con la testa sanguinante. Sono state portate via da un'autoambulanza. Al momento il bollettino di giornata si ferma qui. Ma anche questo
verrà messo sul conto politico di Papandreou. Il premier si ritrova accerchiato, in difficoltà in Europa e
ora anche nel cortile di casa. Gli amici di un tempo, i leader sindacali a capo di organizzazioni da sempre fabbriche di consenso per il Pasok (il partito socialista che ha vinto le elezioni un anno e mezzo fa),
ieri sembravano gli oppositori più determinati. Il blocco sociale confluito sotto le bandiere dei socialisti si sta frantumando, disperdendosi tra le decine di formazioni della sinistra radicale che ieri hanno
dominato la piazza e che si sono federate in un cartello elettorale (Synaspismos) subito accreditato di
almeno il 10%. dai sondaggi. No al piano di privatizzazioni da 50 miliardi, no alla politica economica
consegnata alla Bce. Ma non basta. Anche le vecchie certezze identitarie del Pasok vengono rimesse in
discussione. A cominciare proprio dall'euro, diventato il simbolo della crisi economica, di scelte nate
male e gestite ancora peggio dal governo socialista. Un sentimento di reazione quasi istintiva, diffuso
in proporzioni sorprendenti tra le almeno 30 mila persone che hanno sfilato ieri. Spiros Niacos, un ingegnere elettronico di 31 anni, disoccupato come più della metà dei giovani greci, regge uno striscione
«contro i capitalisti » e non ha esitazioni: «L'euro non è più un tabù intoccabile, si può tornare anche
alla dracma, se serve a salvare il Paese, per esempio svalutando il debito pubblico che certo non è esploso per colpa della popolazione» . E lo stesso concetto ritorna nelle parole di Basil Alexandratos,
pensionato di 67 anni; di Yoannes Yajnisis, 47 anni, elettricista nell'azienda di stato dell'energia che il
governo vuole privatizzare, o, infine, di Heleni Spanaouti, 45 anni, professoressa di filologia, pure lei
senza lavoro, perché la disoccupazione falcia ovunque (il tasso ufficiale è pari al 15%). E'un dubbio
che comincia a camminare, con cui fanno i conti anche i manifestanti ancorati comunque alla linea Pasok (euro irrinunciabile). Mela Vana, avvocatessa sulla quarantina, è una di loro, ma riconosce che
«solo l'anno scorso un dibattito simile sarebbe stato impensabile» . I vertici sindacali, per ora, fanno
finta di non sentire e restano fedeli al malconcio monumento dell'euro. Ma è l'unica concessione al
premier. Yannis Panagopoulos, segretario generale della Gsee, la confederazione più grande e influente del Paese (450 mila iscritti nel settore privato) probabilmente è il leader della vera opposizione,
quella che può far male davvero a Papandreou: «Questo governo non ha niente di socialista, sta conducendo politiche liberali che scaricano tutto sui lavoratori. Vogliono recuperare 50 miliardi con un piano di privatizzazioni, che significherebbe solo smantellare il sistema economico e non muovono un dito per recuperare l'evasione fiscale che vale almeno 30 miliardi di euro. E alla Ue chiediamo: perché
non emettete degli eurobond a garanzia del debito di tutti i Paesi?» . Il corteo passa davanti a un'edicola da cui pende il titolo di prima pagina di «Ta Nea» , il quotidiano del centro liberale: «Merkel pronta
a dare il via libera a un altro prestito Ue alla Grecia, se passa il piano di privatizzazioni» . Forse mai
come oggi Berlino e Bruxelles sono state così lontane da Atene.
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Porte aperte per Draghi alla Bce
Merkel: “La Germania lo sosterrà”
Il governo
lancia la candidatura. Berlusconi: successo per l´Italia
Colloquio telefonico tra il premier e il cancelliere prima del via libera
BERLINO - Draghi ce l´ha praticamente fatta, grazie al sì di Angela Merkel. Con l´appoggio tedesco
quindi sarà un italiano il prossimo presidente della Banca centrale europea, e resterà in carica da ottobre - quando l´attuale titolare, il francese Jean-Claude Trichet, lascerà la guida della Eurotower - fino al 2019. La cancelliera in persona ha annunciato il suo sostanziale beneplacito in un´intervista che
esce oggi su Die Zeit, il più autorevole settimanale tedesco. Poco dopo, dal Tesoro e dal ministro
dell´Economia Giulio Tremonti giungeva la notizia che i documenti italiani di richiesta ufficiale di candidatura di Draghi erano stati appena firmati. «Siamo contenti, è un buon successo per l´Italia», ha
commentato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. La decisione dovrà andare all´esame del
consiglio dei ministri delle Finanze europei di lunedì a Bruxelles e venire ufficializzata al vertice del 24
giugno, ma appare a questo punto scontata. Resta da vedere quali contropartite Berlino chiederà
all´Italia e agli altri membri dell´eurozona.
Dopo mesi di incertezze e apparenti tentennamenti, Angela Merkel ha deciso di annunciare lo scioglimento d´ogni riserva in una lunga intervista appunto con Die Zeit. Ha detto la cancelliera: «Io conosco Mario Draghi. E´ una personalità molto interessante e di grande esperienza. Mi appare molo vicino alle nostre idee di cultura dellastabilità monetaria e di solida politica economica. La Germania potrebbe appoggiare una sua candidatura all´incarico di futuro presidente della Banca centrale europea».
Potrebbe, al condizionale. Perché non all´indicativo? La cancelliera ha fatto poi spiegare ai suoi portavoce la scelta sintattica: al momento della registrazione e dell´autorizzazione dell´intervista, non era
stata ancora presentata da parte italiana una candidatura ufficiale del governatore della Banca d´Italia
a successore di Trichet. Adesso che, poche ore fa, questo passo formale è stato compiuto da Roma,
è ovvio, dicono ancora i portavoce di "Angie", che il condizionale diventa indicativo.
Martedì, del resto, Angela Merkel ha avuto un lungo colloquio telefonico con Silvio Berlusconi, dedicato a tutti i temi più attuali e importanti di politica europea. Ed è difficile immaginare che, ad appena
sette settimane dal vertice dell´Unione europea del prossimo 24 giugno la questione della futura guida della Eurotower sia stata lasciata da parte nella telefonata. Ma lo scioglimento delle riserve tedesche è comunque significativo e decisivo. Ancora martedì, la cancelliera si era mantenuta nel riserbo,
annunciando che avrebbe deciso «al momento opportuno» e «contro nessuno».
Con il sì a Draghi, Angela Merkel non solo prende atto che - dopo il ritiro dalla corsa dell´ex presidente della Bundesbank, il ocntroverso Axel Weber - Berlino non aveva più candidati del calibro di Draghi. Affronta anche il rischio di critiche e contestazioni dell´ala destra del suo partito, degli alleati liberali e degli elettori più conservatori contro il sì a un candidato dell´Europa mediterranea sempre ritenuta "inaffidabile e spendacciona". Resta ora aperta la questione delle contropartite che i tedeschi
chiederanno. A Berlino si ipotizzano richieste di più peso nel board della Bce. Ma anche un pressing
più forte per una linea di ancor maggiore rigore monetario in difesa della moneta unica e sul problema
delle crisi dei debiti sovrani di paesi membri dell´eurozona.
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di ELENA POLIDORI
Euforia nel fortino di Bankitalia
ma sul successore è sfida col Tesoro
Il governatore punta su Saccomanni, Tremonti su Grilli
Il piano interno prevede Visco direttore generale e Bini Smaghi nel direttorio
Il secondo tentativo del ministro di far passare il suo candidato. E si riparla di Monti
ROMA - Dal fortino di via Nazionale filtra soddisfazione. Si percepisce un´atmosfera più euforica del
solito, ora che il Cancelliere Angela Merkel ha sciolto le riserve sul nome di Mario Draghi e il governo
ha lanciato ufficialmente la sua candidatura per il vertice della Bce. Ma l´ordine di scuderia è fare finta
di niente: il governatore è chiuso nel suo ufficio a lavorare alle Considerazioni Finali, probabilmente le
sue ultime, come se nulla fosse. Il direttore generale Fabrizio Saccomanni è in teleconferenza con la
Bce, alle prese con i problemi del debito sovrano. Gli altri vice Ignazio Visco, Anna Maria Tarantola e
Giovanni Carosio sono impegnati nelle incombenze quotidiane. Le luci del piano 1N, quello nobile,
sono accese fino a tardi.
Ma via via che la partenza del governatore per Francoforte s´avvicina, inevitabilmente da via Nazionale traspare una certa fibrillazione sul toto-nomine, su chi sarà il prescelto per guidare la Banca
d´Italia del domani. La soluzione interna è quella che Draghi preferisce. Se dipendesse da lui,
l´organigramma ideale vedrebbe Saccomanni governatore, Visco direttore generale e Lorenzo Bini
Smaghi, attuale membro italiano nel board della Bce, inserito all´interno del direttorio, la plancia di
comando dell´Istituto centrale. Sempre, nei cento anni di storia dell´Istituto, il governatore è arrivato
dall´interno. Anzi, proprio Draghi, in un certo senso, ha rotto la tradizione: quando il governo Berlusconi lo sceglie, nel dicembre del 2005, dopo le vicende turbinose del suo predecessore Antonio Fazio, è un esperto autonomo, quasi esterno alla banca se si esclude una breve consulenza all´ufficio
studi con Ciampi governatore. L´altro link viene dal papà, Carlo, che aveva a suo tempo lavorato con
Donato Menichella.
Lo scandalo non solo modifica la prassi delle successioni interne, ma le stesse procedure di nomina,
cambiate in quei giorni a tempo di record. Così oggi la scelta del governatore avviene con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta dell´esecutivo e dunque del presidente del Consiglio, sentito il consiglio superiore della Banca. Perciò, la politica ha il suo peso. Si sa che il ministro
dell´economia Giulio Tremonti, che lunedì discuterà all´Eurogruppo la candidatura di Draghi, vorrebbe
per via Nazionale il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. Ci ha già provato nel 2005, senza riuscire. Intende riprovarci adesso. Ma si sa pure che ad altri esponenti del governo, compreso il sottosegretario Gianni Letta, piacerebbe riportare a Via Nazionale Bini Smaghi, che viene dall´interno e il
cui mandato oltretutto scade solo a maggio del 2013, cioè molto dopo l´avvicendamento di vertice,
previsto per la fine di quest´anno. C´è anche un precedente del genere nella stessa Bce: è la «staffetta» praticata a suo tempo tra i francesi Jean Claude Trichet e Christian Noyer che si sono scambiati i
posti, uno a Francoforte, l´altro alla Banque de France. Se valesse questa stessa logica, sarebbe più
semplice per il premier Berlusconi mantenere la promessa che ha fatto al collega Nicholas Sarkozy:
Draghi al vertice della Banca centrale europea e un francese nel board al posto di Bini Smaghi. Il terzo candidato esterno è l´ex commissario Ue, Mario Monti: anche di lui si parlò nel 2005.
Una soluzione di compromesso, non sgradita all´interno di via Nazionale, ipotizza infine una reggenza
breve di Saccomanni, che poi passerebbe il bastone del comando a Bini Smaghi.
Di sicuro dopo il caso Fazio, il mandato del governatore della Banca d´Italia non è più a vita: dura sei
anni e può essere rinnovato una sola volta. Certo anche che la partita-nomine s´annuncia lunga. Sul
nome di Draghi dovrà pronunciarsi lunedi l´Eurogruppo ma la scelta finale è dei capi di stato e di governo della Ue, convocati a Bruxelles a fine giugno. L´insediamento vero e proprio è previsto per il 1
novembre. Di conseguenza le scelte per la Banca d´Italia avverranno tra l´estate e l´autunno.
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di ROBERTO PETRINI
Il dossier
Addizionali, fisco locale, casa
via a tutti i rincari del federalismo
La riforma in Gazzetta Ufficiale. Spuntano nuovi balzelli
I produttori di auto protestano per il maggior peso sui passaggi di proprietà
Il federalismo porta fondi freschi alle province, che dovrebbero essere abolite
ROMA - Il principio era piuttosto semplice: meno spese, meno tasse, cittadini più contenti, più consenso per i bravi amministratori locali. Ma nonostante l´euforia di Bossi, non sarà così: il federalismo
in salsa italiana sarà l´occasione per un aumento spropositato della pressione fiscale locale già tra le
più alte in Europa.
Fare un primo bilancio è possibile ora che, dopo un iter lungo e tortuoso, i due decreti chiave sono
giunti in porto: il federalismo municipale (pubblicato nelle settimane scorse sulla Gazzetta ufficiale) e il
federalismo regionale e provinciale, appena firmato da Napolitano e atteso ad ore sulla Gazzetta ufficiale. Due leggi che arrivano prima delle elezioni ma che non è detto che facciano bene alla maggioranza.
Grazie alle nuove norme i governatori delle Regioni italiane potranno aumentare l´addizionale Irpef,
che oggi non può superare l´1,4 per cento, fino al 2,1 per cento nel 2014 e al 3 per cento nel 2015 (si
salveranno solo i redditi sotto i 28 mila euro lordi). Solo in zona Cesarini si è evitato uno «scongelamento» fin da quest´anno.
Se per quest´anno l´intervento delle Regioni è stato fugato, i Comuni avranno invece il disco verde: le
nuove leggi federali prevedono che fin dal 2011 i circa 4.000 comuni che attualmente hanno adottato
una addizionale inferiore allo 0,4 per cento potranno aumentarla nella misura di uno 0,2 all´anno per
un biennio. Dal 2013 tana libera tutti: tutti i Comuni che sono sotto potranno raggiungere lo 0,8 per
cento.
La sventagliata di aumenti presenti e futuri non finisce qui. Se ne parlerà nella prossima legislatura,
ma la norma è già in vigore: dal 2014 entrerà in vigore l´Imu, imposta municipale unica, che di fatto
sostituisce l´Ici e che sarà fissata al 7,6 per mille del valore catastale di una abitazione. L´Imu sarà più
alta del 7 per mille dell´Ici ma comprenderà anche l´Irpef sul possesso della seconda casa. Lo scambio converrà ai contribuenti? Certamente non a tutti, perché i sindaci avranno la facoltà di portare
l´aliquota fino al 10,6 per mille. Senza contare artigiani, commercianti e professionisti: oggi sono esenti dall´Ici al 50 per cento sui fabbricati strumentali ma dal 2014 dovranno pagare interamente
l´aliquota Imu.
Tutto qui? No. Il federalismo apre la strada ad una serie tasse locali nuove di zecca. La tassa di soggiorno, ad esempio, contestata duramente dagli albergatori, andrà da 1 a 5 euro a notte ed è già in
vigore. Potranno utilizzarla tutte le località turistiche, ma anche i Comuni che, pur non avendo mai visto un turista, decideranno di consorziarsi con la vicina località balnerare.
Dietro l´angolo, esplicitamente prevista dalla legge federale, c´è anche la tassa di scopo: non è una
invenzione di Berlusconi e Tremonti, nacque con il governo Prodi. Tuttavia in quella versione i Comuni potevano imporre una maggiorazione dell´Ici dello 0,5 per mille ma se l´opera non veniva realizzata
entro due anni la tassa doveva essere restituita al contribuente. Oggi, al contrario, il tempo che viene
concesso alla pubblica amministrazione per completare l´opera è assai generoso: 8 anni, ben più di
un mandato di un sindaco.
Anche le Regioni avranno la propria tassa di scorta: potranno applicare tributi su basi imponibili non
soggette ad altre imposizioni. Chi rischia? Se si escludono caminetti e finestre, si può pensare a tasse
sulle abilitazioni professionali o sul passaggio di cavi elettrici e condotte. Ci sarà lavoro per le Commissioni tributarie e, forse, per la Corte costituzionale. Intanto il cittadino dovrà pagare.
Il federalismo fa la respirazione artificiale anche alle Province che gran parte dello schieramento politico giura di voler abolire. A fare da donatori di sangue sono gli automobilisti: la legge prevede auRassegna Stampa del giorno 12 Maggio 2011
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menti dell´Imposta provinciale di trascrizione di un veicolo, nuovo o usato, al Pra (il pubblico registro
automobilistico) che arriveranno, in alcuni casi, fino al 600 per cento. Una norma che ha scatenato la
protesta di pezzi importanti del nostro mondo produttivo come i costruttori di auto dell´Anfia e
dell´Unrae e una serie di interrogazioni parlamentari del Pd. Come se non bastasse, sempre a sfavore dell´automobilista e a favore delle casse delle province, aumenta la tassa assurda che paghiamo
sulle polizze Rc auto che oggi è pari al 12 per cento e che potrà essere elevata fino al 15 per cento.
L´Italia federale rischia di essere un´Italia delle tasse.
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di WALTER GALBIATII
Insider trading e aggiotaggio
ombre su Lactalis-Parmalat
Canè (Intesa) avrebbe passato informazioni alla moglie Micucci (Socgen)
Perquisizioni della Finanza. Indagati anche Salvatori (Lazard) e Rossi (fondi esteri)
MILANO - La prima parte della storia Parmalat è appena diventata un film, "Il gioiellino" di Andrea Molaioli. Il sequel invece potrebbe essere girato a Hollywood sotto la regia di Oliver Stone. A ispirarlo, le
nuove indagini della procura di Milano che dalle prime mosse sembrano delineare un intrigo tra lenzuola e banche d´affari difficile anche solo da immaginare nella assopita Piazza milanese.
La Parmalat è sotto scalata da parte della francese Lactalis che ha raggiunto la maggioranza relativa
del capitale (29%) comprandone un 15% dai tre fondi (Zenith, Skagen e Mackenzie) e il resto sul
mercato. Ora ha lanciato un´offerta sull´intero capitale. Un esposto dell´attuale numero uno di Parmalat, Enrico Bondi, ha svegliato la procura chiedendo di vedere se tutte le cose sono state fatte secondo la legge. E ieri il Nucleo valutario della Guardia di Finanza ha deciso su mandato del pm Eugenio
Fusco di perquisire le sedi di Lazard, advisor dei fondi, di SocGen, advisor di Lactalis, e di Credit Agricole, la banca che insieme con la stessa SocGen ha costruito le operazioni finanziarie che hanno
permesso a Lactalis di rastrellare i titoli in Borsa. Ma le fiamme gialle non si sono limitate a questo e
poiché uno dei due reati contestati è l´aggiotaggio hanno messo sotto sopra anche le sedi di due società di comunicazione, la Brunswick (per i tre fondi) e la Image Bulding (per Lactalis). Indagati per
aggiotaggio sono Patrizia Micucci, responsabile dell´Investment banking di SocGen, Massimo Rossi,
candidato dai fondi alla guida del consiglio Parmalat, prima della cessione delle loro quote a Lactalis,
e Carlo Salvatori, presidente di Lazard. La procura contesta loro di aver comunicato al mercato il 25
gennaio 2011 che i tre fondi avevano siglato fra loro un accordo di coordinamento per portare la Parmalat in una nuova fase di sviluppo. Poi su richiesta della Consob, tre giorni dopo viene pubblicato
addirittura un accordo di voto da esercitare nella assemblea che si sarebbe tenuta a metà aprile. Lo
stesso Salvatori in un´intervista dell´8 marzo sostiene che i fondi volevano aumentare il valore di
Parmalat, attraverso una nuova gestione. Invece, pochi giorni dopo, il 22 marzo vendono tutto a Lactalis e abbandonano la partita con la loro plusvalenza.
E qui si innesta il secondo reato, quello di abuso di informazioni privilegiate, per il quale è indagato
Fabio Cané, responsabile dei progetti speciali della divisione Corporate e Investment Banking di Banca Intesa, ma soprattutto marito di Patrizia Micucci. Tra il 18 e il 22 marzo, infatti, secondo le ipotesi
della procura avrebbe comunicato a sua moglie il prezzo che Intesa, la banca che stava cercando di
costruire una cordata alternativa a Lactalis, avrebbe offerto ai tre fondi per l´acquisto della loro quota.
Come avrebbe passato l´informazione alla moglie non si sa, di certo le Fiamme Gialle sono convinte
di poter trovare qualche traccia nell´abitazione di Cané e nel suo ufficio presso Banca Intesa, entrambi perquisiti ieri.
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di ANDREA GRECO
L’ad Nagel: “In Banca Esperia stiamo bene con Mediolanum”
Mediobanca, utili doppi il dividendo
“può crescere”
Torna in nero il Retail & Private, CheBanca! verso il pareggio. L’
azione in Borsa fa +2,58%
MILANO - Mediobanca manda in archivio un trimestre «tra i migliori del dopo crisi», che vede l´utile
netto raddoppiare a 156 milioni (gli analisti finanziari ne aspettavano 140) e pone le premesse per un
rialzo della cedola a giugno.
Nei nove mesi il risultato è salito del 18% a 419 milioni, grazie al calo delle rettifiche su crediti, al miglior profilo dei rischi e alla ripresa delle quotazioni. I ricavi sono stabili nei nove mesi (1.566 milioni) e
nel trimestre salgono a 532,2 milioni (da 454,6 milioni di marzo 2010). «Sono tra i migliori risultati degli ultimi due anni e mezzo –ha detto l´ad Alberto Nagel –se conseguiremo un altro buon trimestre
con un buon livello di patrimonializzazione ci sarà spazio per aumentare il dividendo. Ma è troppo
presto per dire adesso di quando, sarà in funzione di diversi elementi». L´esercizio della banca
d´affari chiude il 30 giugno. I risultati sono stati premiati dal mercato, dove il titolo ha chiuso in rialzo
del 2,58% a 7,76 euro, maglia rosa del Ftse Mib con discreti volumi e staccando l´indice bancario italiano, piatto.
Le singole attività sono differenziate. I prestiti alle imprese e mercati portano profitti trimestrali di 93
milioni, quasi doppi, soprattutto per l´incremento degli utili da trading. Il portafoglio partecipazioni, nei
nove mesi, porta 154 milioni di utili (+27%), il retail & private banking torna in utile, per 50 milioni, dopo ricavi saliti del 15%. Alle domande degli analisti sull´uscita di Mediolanum da Banca Esperia –c´è
stata una trattativa, interrotta, con Julius Baer –Nagel ha fatto il pompiere: «Mediolanum è un partner
molto buono in Banca Esperia. Siamo pienamente convinti che continueremo insieme come coazionisti in Esperia». Frasi piuttosto diplomatiche, Piazzetta Cuccia da anni sommessamente chiede
a Ennio Doris di esercitare la sua prelazione di acquisto sul 50% di Esperia. CheBanca! ha dimezzato
le perdite a 28 milioni, e vede «primi segnali di pareggio nel dicembre 2011».
Nelle stesse ore ha diffuso la prima trimestrale d´esercizio Banca Imi, controllata di Intesa Sanpaolo e
forte rivale di Mediobanca in Italia. Imi a fine marzo ha guadagnato 160 milioni, -24,3% rispetto allo
stesso periodo 2010, «estremamente favorevole». I ricavi sono scesi del 6% a 328 milioni, il risultato
operativo è di 252 milioni (-8,8%).
Rassegna Stampa del giorno 12 Maggio 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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di ETTORE LIVINI
Solo il sequestro delle azioni potrebbe creare ostacoli all´iter dell´offerta
Ma l’inchiesta non ferma l’operazione
In arrivo l’ok Consob all’Opa francese
Difficile anche un ritocco verso l´alto del prezzo di 2,6 euro poiché si vuole ridurre l´esborso
MILANO - L´inchiesta di Milano non ferma (almeno per ora) l´iter dell´Opa di Lactalis su Parmalat. I
tempi ormai stringono. Oggi –o più probabilmente domani –arriverà il via libera della Consob al prospetto informativo dell´offerta da 2,6 euro ad azione. Collecchio alzerà in giornata il velo sui conti trimestrali e il cda potrebbe esaminare i primi risultati del lavoro degli advisor sulla congruità della proposta francese. Difficile, però, possa emergere già un orientamento definitivo –magari corredato da
una richiesta di alzare il prezzo ai 2,8 euro pagati dalla famiglia Besnier a Skagen, Zenit e McKenzie
per il loro 15,6% –fino al via libera della commissione guidata da Giuseppe Vegas.
Gli avvocati dei francesi hanno esaminato ieri fino a tarda sera i possibili effetti dell´inchiesta di Eugenio Fusco sulla scalata a Collecchio. Il rischio («molto limitato», sostengono fonti vicino ai legali di
Lactalis) è che i pm possano provare a chiedere il sequestro del pacchetto acquistato dai tre fondi
andato in porto –secondo la ricostruzione della procura –grazie anche a un´operazione di insider
trading. C´è il precedente di Antonveneta, quando proprio i pm milanesi ottennero il congelamento
della partecipazione di controllo in mano ai concertisti coordinati dalla Banca Popolare Italiana. Ma si
tratterebbe di casi completamente diversi, gettano acqua sul fuoco i legali, confortati dall´apatia con
cui ieri il titolo ha reagito alle notizie a Piazza Affari chiudendo sui valori della vigilia.
La stessa Consob –che pur avrebbe potuto cogliere la palla al balzo per chiedere un allungamento
del periodo di esame del prospetto –ha deciso di tirare dritto, limitandosi a chiedere che gli elementi
di incertezza legati all´inchiesta meneghina vengano segnalati nel documento.
Nelle scorse settimane del resto anche Intesa Sanpaolo e il ministro dell´economia Giulio Tremonti, i
difensori più strenui dell´italianità di Collecchio, avevano alzato bandiera bianca dichiarandosi soddisfatti di aver costretto il gruppo transalpino all´Opa sul 100% del capitale della società.
L´operazione, Fusco permettendo, procede dunque come da tabellino di marcia. In teoria con il via
libera della Consob in retta d´arrivo, Lactalis potrebbe riuscire a chiudere l´Opa prima dell´assemblea
di fine giugno, presentandosi in quell´occasione con in mano la solida maggioranza del gruppo. La
probabile richiesta di un ritocco al rialzo del prezzo da parte del cda Parmalat guidato da Enrico Bondi
non sarebbe vincolante, visto che si tratta di un´offerta volontaria. Anzi, l´interesse dei francesi è con
ogni probabilità quello di ridurre al minimo le adesioni (loro hanno già in portafoglio il 29% di Collecchio) per ridurre al minimo l´esborso necessario a chiudere la partita.
Rassegna Stampa del giorno 12 Maggio 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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La Fiba-Cisl
augura a tutti voi
una giornata serena!!
Arrivederci a
domani 13 Maggio
per una nuova
rassegna stampa!
Rassegna Stampa del giorno 12 Maggio 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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