10 - sergiobottoni

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10 - sergiobottoni
indice
00 - DISCLAIMER e di una notte
disclaimer - inclassificabile - timide giustificazioni
poetiche
01 - IO ODIO LE DOMENICHE autobiografia minima
l'incipit convincente - avreste dovuto - non
principiare mai una frase con una congiunzione do.charlieparker.candele - prosieguo. il suono della
parola prosieguo - delle mattine e delle urgenze tutta colpa di RS - riorigine - l'ultimo disclaimer, giuro
02 - LE MILIOPARTIZIONI un bis trattato
poesia, l'alibi della - miliopartizioni - zentrifuge - end
neu - cinico poesia - pluridimensionale - ending
ovation, o del sollievo
03 - INTO A GREMBO in dialogo serrato con me stesso
04 - LINEE DI LINE labirilinee
il mondo è al di sotto - dialogo fra due desideri
05 - L'INSOLITA ALLEGRIA DEI KAFKA'S
adolescenzia e appartenenza
k0 - k1 - k2 - k3 - k4 - k5
06 - LADOLESCENZIA un inciso trattato
definizione - specifiche - postilla - "postillanime" (sei
un)
07 CARBURANTE personaggi a margine
quelli che aspettano carburante - struggenti &
metropolitani - Igor è un obeso senziente seduto
davanti a uno schermo - un altro risvolto d'Igor intermezzo: per 100 euro - Lola in una stanza poco
lontana controlla la contabilità dei mesi - rivolta a
nessuno dei miei personaggi - intermezzo del tutto
impersonale - intermezzo: a sera si profilano i profili
- Vanja l'immagino bella abitare appartamenti
eleganti - tribute to Cohen's brothers. quello che le
donne sentono - Levin è un adolescente che si
mimetizza nei bar di Corso Italia - intermezzo del
necessario per predisporsi all'apocalisse - coniugale
sferica e manomessa relativamente a Moni e Lele intermezzo degli ospedali e che è vietato suonare il
clacson - Dejan sull'erba del arco è un postmoderno
Siddharta - intermezzo: per 1000 euro - il cliente ha
ragione sempre e il pubblico è pagante - Boris è il
promettente portaborse di un parlamentare intermezzo dei pesci - this is the end my only firend
the end
08 - LE MILIOPARTIZIONI "sprose" e reprise
a casa - durante il tragitto - all'ufficio pubblico - per
ammazzare l'attesa - la (sottile) linea gialla - i moduli
sono da compilare - recapito e chiusa
09 - DE JO prodromi di un viaggio
davanti allo specchio - oltre le tende - senza darlo a
vedere - ancora più vita - a costo di - brucio negli
occhi
10 - LE SPROSE VIENNESI il viaggio
11 - ZAPPING le cose come le vede Dio
00
Disclaimer
e di una notte
disclaimer
Il presente testo è opera di semifinzione.
Le persone, i luoghi, le date e gli avvenimenti citati nelle
pagine che seguiranno prendono avvio perlopiù da
realtà prossime al microsistema dell’autore ma non per
questo corrispondono esattamente a ciò che davvero è
accaduto.
L’autore stesso è il primo, una volta che si ritrova a
leggere le sue stesse opere e passati un certo numero
di giorni dalla loro prima stesura, che non è più in grado
di riconoscere cosa sia reale e cosa lo sia di meno e
quali fatti reali possano essere all’origine di determinati
frammenti o passaggi interni al testo.
L’autore si dice beato di questa utile inconsapevolezza.
Dice infine di essere “pienamente d’accordo a metà” con
se stesso.
*
inclassificabile
Il presente testo rifiuta ogni classificazione e per tale
motivo l’autore ha deciso di non essere il primo a
incollargli una qualsiasi etichetta – un romanzo breve,
un poema, uno sventato racconto lungo, probabilmente
un insieme di sciocchezze – ma cercherà altresì di
confondere il più possibile le acque facendo di queste
pagine una mescolanza di generi, stili, voci, linee
narrative, insomma “un’assoluta confusione di intenti”.
Espressione che fra l’altro rispecchia fedelmente quelle
che sono le condizioni psicofisiche dell’autore (cioè io)
al maggio 2007, data verosimile in cui ne è stata tentata
la prima stesura complessiva.
*
timide giustificazioni poetiche
Non so fare altro che questo mio chiudere gli occhi
lasciare salire la musica dal fondo, passarmi una mano
sull’addome nudo, sudato, e fremere come fremono le dita
se lasciate libere, di non so fare altro che leggere del mondo,
dalle finestre, scostare poco le tende e così riportare il mondo
alla dimensione mia della scrittura, e solamente mia,
quel riproporre il caos che spaventa; non so fare altro che
respirare a fondo e non abbattermi mai e ironizzare ironizzare
traducendo le magnolie il pescivendolo e la bellezza o la viola
inquietudine in una frase, così, altro che vivere di questo
molto
e lamentarmi per tutto il resto che accettai, ventisei anni fa,
è tempo di dire, non so fare, io non lo voglio fare,
non voglio nemmeno impararlo, il tuo modo ed il vostro
blaterare mi è osceno, siete pulcini, pezzenti
di quei puzzle esistenziali che sulle tavole delle vostre cucine
stanno malinconici e incompleti fra tazze di caffè,
con solo il bordo intorno e nessuna immagine che si imponga,
a chi guarda, nessuna, un misero posacenere a margine.
*
Fin qui il rifiutare: voi; l’accettare di non essere speciali
o gli esseri speciali che ci volevano, e quant’altro – ma
nel ripartire il ripartir mi stanca, ogni mattina, quel piede
posato e già molle nel suo primo passo con l’intercedere
dei pensieri sulla giornata e già oltre, tutte le cose che non
mettemmo in fila, ieri, ieri l’altro, ancora prima e i
dopodomani
di sole ventiquattro banali ore (scrivere di cose vere, ricorda)
dopodomani di sole imposizioni di altri o imposizioni nostre
per amor di altri prima che diventi rabbia, “osa!”, ma in
gabbia
(il ragazzo esperto di libertà intelligenti in giornate spese
attentamente a soppesare energie e diplomazie poco devianti,
compensato dall’effetto dei cari, dal loro costante esserci
non esserci senza colpa)
che ci facciamo compagnia da soli, perlopiù,
una di alcune verità di questa notte – da soli
davanti allo specchio o riflessi sulle piastrelle tristi
di questa cucina è come se ci dicessimo “concedo fin qua
alla ribellione, non oltre, mi concedo solo fin qua”, dicessimo,
andando poi a capo.
*
Pochi secondi per premere un tasto e dimenticarsene,
di questo grido in versi, le quante volte è già successo
due ore zero tre minuti per terminare questo libro,
voglia di farla finita, di rinunciare alla penna
stendermi sul divano sfiatare accarezzare il telecomando.
Si ringraziano in ordine sparso Giovanni Trapattoni, Henry Miller,
Dave Eggers, gli Afterhours e i miei cari che al di là di tutto mi
sono e mi saranno sempre cari.
01
Io odio le domeniche
il lancio
l’incipit convincente
“Ero una volta giovane e aggiornato e lucido” e sapevo
correre di notte in preda alle passioni, a più di una
contemporaneamente e mi divincolavo insieme ad altri
corpi, nel letto li baciavo e li accarezzavo facendomi
accarezzare a mia volta ridendo come chi ride davvero
delle cose di questo strano stranissimo fottuto e ingiusto
mondo mostrandogli le gengive da cavallo che mi ritrovo
e che mi fanno vero, imperfetto camminavo o fingevo di
studiare o di far colpo sulle donne, sui loro genitori, sui
lettori e sui docenti che mi assegnarono il massimo dei
voti così spesso che ogni volta stavo fra l’incredulità e
l’orgoglio di meritarmi quello o solamente il massimo da
ogni altra cosa che la vita mi potesse, offrire solo e
semplicemente per il fatto che la offrisse a me, Sergio.
E’ il mio nome. Il piacere, mi augurerò, vostro.
avreste dovuto
Avreste dovuto leggere le poesie che scrivevo.
Che poi, il primo di innumerevoli incisi, di incisi degli
incisi – ero io quello che le chiamava poesie – senza
vergognarmi ma ben fiero e a testa alta avendo
superato da un po’ di anni quel particolare tipo di ritrosia
che mai ti permetterà di essere uno scrittore o di tentare
la carta senza che, per dire, tua mamma, il tuo miglior
amico o meglio ancora, generici amici possano un
giorno e per noia parlarne a qualcuno di importante ma
che ancora non sa chi tu sia, di quella tua follia, della
scrittura e di quel tuo crederti chissà chi, chissà quale
personalità da salotto, quale mente sopraffina o
perlomeno interessante, per la quale valga la pena di
ascoltare raccontare, o che la cosa – che io scrivevo,
scrivevo, passavo intere ore invece che a studiare a
scrivere, a penna a matita a computer e persino col vino
nelle vene, col sangue, dalle vene, scrivevo –
perlomeno si sapesse in giro; avendo superato quella
fase dunque della ritrosia e non avendo incominciato ad
intuire che non dovevo mai pronunciare la parola poesia
in pubblico o pensarci troppo su, io nelle mie nottate
solo mie scrivevo le poesie, semplicemente.
Le facevo piene di passione e di amore per la vita,
strane parole, neologismi inventati per l’occasione,
giochetti, scherzi cifrati solo per gli amici, nascosti agli
altri, citazioni più o meno colte, segni di interpunzioni
inusuali e abusati quel tanto che bastava perché
dessero un’impressione falsa d’avanguardia nonché,
piene di una certa inquietudine esistenziale, a tratti
eccessiva, di cui sono arrivato a vergognarmi in secondi
momenti, con la maturità.
Avreste dovuto leggerle, ad ogni modo.
non principiare mai una frase con una
congiunzione
E avreste dovuto vederla, quell’angioletto inaspettato
che capitò a un certo punto nella mia vita un po’
anonima di adolescente prossimo alla giovinezza.
Vi dico solo che avreste dovuto vederla, per il momento,
senza dover forzare la descrizione, e voi farete in modo
di credermi sulla fiducia – che dunque daremo per
acquisita, di già, dopo le poche pagine – sentitevi ecco,
un poco scossi come se in questo momento ce l’aveste
di fronte a voi e provate a immaginarla a partire dai suoi
lineamenti che io ho qui stampati indelebili nella mia
mente, inamovibili, taglienti e dolci e ingenui e giovani
così freschi e così morbidi come solo su una
diciassettenne che ti guarda diritto negli occhi piena di
gratitudine per la giornata che sta vivendo con te e che
sa che ti ama, che l’ami, che sai che l’ami e che lei ti
ama.
Immaginatela solo per queste poche informazioni e per
quei sette intensi anni che non saprei davvero come
raccontare, ancora, in quale altro modo e con quali
forme non ripetitive – a volte come l’impressione di aver
scritto finora sempre e solo e strenuamente di lei, lei,
solo di lei – come scriverlo senza che questo magone
mi s’intoppi in gola mi s’ingrassi nello stomaco, senza
che questo pugno, ben dato, mi stia colpendo proprio
mentre digito le parole: “ed io che non ho nessuna
volontà reale di schivarlo”.
Un suono attutito dai vestiti contro le nocche e di ossa e
di corpo che mi accascio infine qua per terra. Lettere
interro tt e sullo s c hermo caden.
do. Charlie Parker. candele
Una sigaretta appena dopo accesa. Un paio di tiri
sufficienti. Quest’incipit del quarto frammento. Non
credo nelle convenzioni artistiche e meno ancora credo
nelle mia parole quando si atteggiano a piccoli manifesti
sghembi abbandonati in qua ed in là. Le gambe del
tavolo costruito da mio fratello ed io, una decina di anni
fa, appaiono molto più solide a qualsiasi mente
ragionevole. Un dato di fatto almeno. Qualcosa di utile.
“Utile?”
L’utilità dell’utilità è a tutt’oggi incerta. Anch’essa incerta.
Non credo quasi più in nulla ed esattamente questo è
uno di motivi che mi spinge a scriverne.
prosieguo. il suono della parola prosieguo
Che ero una volta giovane e lucido e aggiornato e che
sapevo quel che sapevo, e lo sapevo bene, anche se
ora non mi sembra di ricordarlo più.
Come se mi muovessi per il mondo con sempre
maggiori cose da fare, da organizzare, impegni e
appuntamenti, responsabilità e scadenze, senza
rendermi mai davvero conto delle cose che faccio e di
quello che comporteranno. Con le conoscenze
prosciugate dai troppi ragionamenti e dalle troppe
filosofie abbracciate e dalle troppe esperienze che in
ogni vita, persino nelle più immobili, finiscono per
accumularsi.
Quella volta che ballavamo hip hop in una discoteca
bulgara con le nostre facce poco in sintonia col posto e
le risate ininterrotte e i prodromi di una rissa sventata.
Quella sigaretta buonissima, una delle meno salubri
della mia vita a esser sinceri, fumata dopo aver asceso
il monte con ancora l’imbragatura indosso e i
moschettoni e le corde da dieci metri e la vista
immensa, quota tremila metri all’incirca, la vista che ci
circondava lo sguardo e non c’era modo di fuggire
dall’incredibile bellezza, non c’era spazio per alcun
pessimismo, alcuna critica o bestemmia, niente di
niente. Quelle volte che bastava voltare lo sguardo dalla
strada per vederti reclinata sul sedile di fianco con i
piedi nudi sul cruscotto e quelle tue espressioni
leggermente nervose, in perenne positiva ansia. Tutte le
altre volte. Milioni di ricordi, di minuscole sfumature del
sentire accumulatesi dentro. Miliardi di parole lette sui
libri ben scelti o ben consigliati. Decine di miliardi di
secondi dedicati con tutto me stesso alla mia
personalissima ma smisurata forma di amore per questa
vita capitatami così. Ben felice, ecco.
Che ero una volta giovane e lucido e ben felice, senza
forzature, così com’ero.
delle mattine e delle urgenze
Chi di noi non adora quei brevissimi momenti in cui
dopo aver appena aperto gli occhi, la mattina molto
presto, sentendoci ad ogni modo sorprendentemente
riposati, muovendo un poco le gambe intorpidite e
riacquistando gradualmente la sensibilità della pelle nel
contatto con le lenzuola calde, sentiamo la mente
iniziare a prendere visione delle cose di questo mondo
grazie a semi pensieri ora slanciati verso la nuova
giornata, ma senza ansie ancora, badate bene, e dentro
ben felici delle piccole cose che, solo ora iniziamo a
ricordare, dovremmo impegnarci a fare – colazione
innanzitutto, recarsi al lavoro, all’università, dall’amante,
fare l’amore di mattina presto, la solita strada da
percorrere o nuove altre, i figli nel frattempo o la moglie,
la compagna, qualche amico verso sera o quel progetto
che avrebbe bisogno di una sterzata brusca, il corpo di
lei appisolato al tuo fianco, non importa precisamente
cosa – ma la voglia e l’urgenza lieve del vivere un’altra
volta ed ancora a pieno, “le ore”.
tutta colpa di Regina Spektor
Al contrario momenti come quello che seguirà capitano
esattamente quando ti sembra che le cose stiano
andando per il verso giusto. Sovrappensiero spingi il
tasto play del tuo compatto. Senti alcuni suoni,
innanzitutto, un pianoforte e uno strumento indefinito. La
sua voce. irrompe Colpa delle sua voce, ti dici.
Le cose che senti si moltiplicano e si moltiplicano e si
moltiplicano e non troveresti le parole per spiegare
perché tutto ad un tratto ti sorprendi a piangere, senza
lacrime, segretamente, piangere dentro tanta è la
freschezza che ti si riversa addosso dalle casse e tante
sono le sensazioni fra quelle che ti è capitato di vivere e
quelle che ti hanno invece raccontato ai tempi in cui le
persone a te vicine ti sceglievano come idoneo per dirti
le loro cose più intime e regalarti preziosi contenitori che
tu contenevi a tua volta lascando i tuoi amici, dopo un
paio di birre, o chilometri macinati, ritornare per la loro
strada un po’ più sollevati – e le sensazioni che infine
vorresti ritornare a provare e sono mesi su mesi che.
riorigine
“Ho camminato nel mio libro cercando pace.”
l’ultimo disclaimer, giuro
Che non si pensi, però, erroneamente né senza intuire
quanto lontani si sia dalla realtà delle cose al fondo delle
parole, ad una resa, per dire, al tedio o alla malinconia
della debolezza. Che non li si immagini alimentati dalla
noia muoversi come fantasmi dentro quattro pareti,
peraltro sempre le solite. Queste barbe lunghe non
curate. Queste occhiaie. Nascondere lo sguardo ai
passanti. Chinare la testa. Ridere senza risa. Muoversi
senza malizia e parlare senza enfasi. Sarebbe
un’ingiustizia nei loro confronti e sarebbe, perché no,
addirittura anacronistico considerare la faccenda in
questa ottica.
Ce li immagineremo, dunque, ben sapendo quello che
diciamo dal momento che qui si tratta di noi e delle
nostre ossessioni e di questo amalgama emotivo del
nuovo millennio, assolutamente bendisposti verso la vita
nonostante
l’interminabile
attesa
di.
Dentro
quest’interminabile attesa nel miglior modo che
conosciamo, vestiti di anno in anno sempre meglio,
capaci di indossare pantaloni di un arancione sgargiante
con invidiabile disinvoltura. Capaci di sorridere alle
infermiere che lavorano da millenni dentro i reparti di
morte. Forti. Tenaci. Simpaticissimi se ci versate un
bicchiere di vino ogni tanto e ci ascoltate sproloquiare
facendo ampi gesti, talvolta, raccontare nemmeno un
ventisettesimo delle cose che ci passano nella mente e
raccontarle bene. Con le pause al punto giusto. Con
autoironia e i giri a mille. Tutte le serate a teatro, senza
biglietto, l’entrata è popolare, venghino. Tutte le giornate
impegnati invece ad auspicare cose per le giornate che
verranno elaborando infinitesimali strategie per ‘metterlo
nel culo’ al destino, e scusate il francesismo.
Leggeteci fra le righe. C’è tanto di quello spazio fra le
righe. Io vi dirò solo questo, per il momento.
Dovete immaginarci stanchi, questo si, immaginateci
stremati.
Si ringraziano, per virgolettati, per affetto musiche e altro ancora,
Jack Kerouac de ‘I sotterranei’, il coro delle voci bulgare, DFW,
piccolakappa, il SELF e mio fratello, Micheal Cunningham, Regina,
Anais Nin e solo alcune fra le infermiere.
02
Le miliopartizioni
Un bis trattato
poesia, l’alibi della
Venne la notte da principio
filtrata dalle sbarre con il freddo
vennero le note in coda tenue
a rilassare il soggetto ingenuo
è il soggetto ideale: non riflette
ma osserva, lui sente, si fa spazio
e disperdesi nelle note, irrompe
la guardia: ci trascinano tutti via
improvvisamente di sgomento,
là dove s’interrompe la traccia,
scratch, “come sei veramente?”
ci chiederanno ed il movente
ci chiederanno
e saremmo soli al cospetto di una poesia,
l’alibi della – l’entropia che infine delibera
e altro che segue, a valle, rotolando come.
*
miliopartizioni
Facciamo un salto nel vuoto dentro alle miliopartizioni.
Accostiamole senza riserve ad opere fondamentali
dell’ingegno umano quali il materasso, la nicotina, la
gioia indotta, l’organizzazione degli spazi mensili in un
foglio, serrato, è il calendario delle incertezze quando
rimane strozzato come il collo della bottiglia lì al vostro
fianco, miei cari. Accostatele dunque alle migliori
iniziative mai concepite e per esempio, leggo e riporto, a
cose come gli studiosi hanno disegnato una mappa dei
sentimenti e delle pratiche sessuali. Cha cambiano con
le latitudini e le culture.
Buono a sapersi, pensai. Signorina, cancelli
immediatamente tutti i miei impegni precedentemente
assunti e si prenda decine di giorni liberi. Acquisterò
biglietti d’aereo verso mezzo mondo.
*
zentrifuge
Essenzialmente dimostrativo il contatore
delle volte in cui svoltammo l’idea
pupille nevrasteniche e flash a ripetizione,
la necessità del collirio il leggere
le avvertenze all’esistenza
che sia, almeno un comportamento
saggio al giorno, uno dico, è questa
la prescrizione, la perdizione
s.s.s. spezzasi dita a domicilio,
iper insoddisfazione dell’esito
poesia, l’alibi assorto
ad ideale del bello
condivisibili o meno: banalità.
*
Fra le varie cose di cui è preferibile rimanere all’oscuro
occorrerebbe comprendere anche le presenze in abito
elegante che camminano sui marciapiedi, nonché le
stesse, che con vestiti malamente accostati, e in un
secondo momento e rincasate le quali controllano
minuziosamente i tabulati delle conversazioni,
esaminano le lettere, cliccano sempre più stanche le
mail, annottano frammenti di sms.
Tutto questo per introdurre il come feci a venire in
possesso del dialogo del quale non ho affatto memoria
ma che ci vede, mio caro, entrambi protagonisti.
“Viviamo nel caos, non lo nego affatto, si parta dunque
da qui. Non dovrebbe interessare a tutti quello che ne
dovrà prima o poi derivare?”
“Buono il punto di partenza. Ma la tua domanda è nel
complesso mal posta.”
“Credi perlomeno che la strada sia quella giusta?”
Tacqui.
“In quale altro modo ne potrei parlare?”
Ti risposi nel silenzio.
*
end Neu.
Alle volte pensiamo un tutto questo
realmente eccessivo, capita, se intenti
a non perdere la metropolitana, o il varco
nel traffico delle città, e siamo mossi, come
se movimentate le interiora
in un crescendo di budella piene
l’ansia via via la confusione percettiva
perlopiù dagli occhi – sono
come ritagli di giornale conservati
nelle tasche bucate, tutti questi ricordi
persi camminando lungo il marciapiedi di destra
li raccoglieranno i filippini dei semafori, senza più monete
ormai, un tutto questo realmente eccessivo.
La necessità di un intervento alla radice.
*
“Una volta ci si interrogava sul senso del soffrire, oggi
su quello dello stesso esistere. Che non appare privo di
senso perché è tormentato dalla sofferenza, ma al
contrario appare insopportabile perché privo di senso.”
(Gunther Anders)
*
Con candelabri, scacchi o dettagli di saloon; con
evidente insufficienza di prove che confermi la tesi del
terrestre; con un silenzio puntellato da scratch
stratificazioni di memorie incalzanti sull’onda di un
istante precedente al – nel pensiero costante.
Nessun posto dove ci si possa fermare un po’ se non
scovato a fatica dopo laboriose ricerche, lottando nel
silenzio di quel cervello labirintico e con soluzioni
talvolta aggressive: le censorie riflessive praticate sui
nostri stessi pensieri, o sui filtrati.
Come una piccola sala d’essai gremita del ceto medio
mediamente a suo agio fra l’incomprensibile che fa chic;
qualcuno strapperà comunque i biglietti, ci sarà un
minino meccanismo a regolazione degli accessi e la
matrice finirà invece smarrita dietro l’armadio art
nouveau.
Con un diffuso sentore d’insostanza, nostro spazio
mentale.
Strategies against architecture.
*
Innanzitutto alla ricerca del varco,
poi della chiave, limando la giusta misura
di forza consigliata, ma consigliata da chi?
Voi avete mai pensato di limitarvi a bussare,
semplicemente, e con un qualche ritmo?
*
Cinico poesia
E’ come se mi sentissi con le spalle, le famose spalle al
muro. L’immagine efficace dello sconosciuto che mi
incalza di domande, m’offende, inanellando illazioni
sporche in un crescendo ancora una volta – anagrafica
è l’età dell’ansia, lo capirete – o come se mi sentissi
inserito a forza in questi tripudio del già visto,
l’immaginario esploso, e mi si domandasse
precisamente di questo.
Io come posso.
Nel frattempo hanno oscurato le trasmissioni del
programma fluido e tutto viene dimenticato con più cura.
Io come posso?
Come posso non snaturarmi nel lasciare che risponda
quella parte di me così gentilmente educata, la cui
barba accomodante, morbida affatto ispida, le cui frasi
lineari saranno costrette ad inventare retoriche efficaci
per giustificare il tutto questo?
Cinico poesia. Qualcuno che ne controlli la data di
scadenza.
Pare che cadrà in un millennio sconosciuto.
*
L’assoluta bellezza delle schiene
e delle spalle che vedi oscillar
leggere nell’andare ovunque
le mie gambe senza troppe possibilità
la bellezza a via via sfuggirmi, il gioco
facile se quasi m’implode fino al
fotogramma tagliato, non più
le schiene, le nuche dolci
le attribuzioni di senso
alterata
c’è invece l’assoluta indifferenza
per gli estratti conti, al momento
finché il coraggio, o mi sarà concessa
la prospettiva mobile di un senzatetto.
*
In altre porzioni di mondo, intanto, la classe dirigente del
futuro indossa camice che io immagino stirate nelle notti
da creaturine ufficialmente inesistenti. Fogli tristissimi, i
permessi di soggiorno stanno sotto ricatto in buste di
plastica dentro uffici di distinti e incravattati avvocati.
Immagino le madri rimaste sole, i figli talvolta riversi
sull’asfalto o in segretissime faccende, sotto lenzuola, i
padri con cui chiacchierare facilmente sorseggiando
vino o facendo le passeggiate.
Sono notti in cui mi è impossibile chiudere occhio.
Immagino quelli che guidano le macchine spargisale,
per dire, o altri professionisti silenziosi come i custodi
notturni, gli infermieri delle residenze psichiatriche. Un
popolo prolifico e muto che non vedrà luce.
Improvvisamente suona la sveglia in quella porzione di
mondo. Un messaggio ricevuto. E’ di Linda. Dice fra
un’ora davanti l’aula di diritto internazionale, ricordati di
portare il taccuino.
Il giovane dal Q.I. sufficientemente alto e dai modi
sufficientemente composti per far parte della futura
classe dirigente non ha mai saputo trascurare le proprie
emozioni. Presto s’accorgerà che quell’edificio enorme e
grigio non è posto per lui.
Si congederà dai suoi compagni, in parte orgoglioso, in
parte vergognandosi della sua tara affatto ereditaria,
oppure nobile, come di certo si sentirà dire.
Dagli sprovveduti. Avrà fatto la sua scelta.
La scrittura è per chi non ha potere.
*
pluridimensionale
Ancora corrispondenze fra il vero e l’inesatto,
ancora imperfezioni tattili, di questo ditopenna
in questi tempi moderni occorrerebbe mutare
tutte le metafore del tipo pensato a tavolino
e simili, i versi sostanzialmente di passaggio
alla ricerca del ritmo profondo che detterà
la lista delle priorità, poetiche e per il lettore
una sorte di aritmia fra il pensato e il nero
su bianco, che messo a fuoco, in principiovenne la notte, ricordi?, e dunque elaborato
oltrepassato, dal vero fino all’inesatto come
si diceva, in un circolare modo alla ricerca
del ritmo profondo, con il terrore di perderne
il mistero, la chiave ogniqualvolta, tortuoso
come scala stretta e di poca luce saliamo
di passi sciancati al ritmo tiptap e di un leggerola parola, ecco, di un leggero nostro sfasamento,
forse uno scarto, questo è l’intento del disvelare
svoltare direzione come un Garrincha verde-oro
per non non farsi rilevare dai satelliti americani,
non essere non come ci si aspetta e nemmeno
esserlo, contro s’intende, ma di traverso
in equilibrio di corda sul vuoto, il superuomo
e fra noi e lui, uno scarto, questo l’intento
ambiziosa è la poesia arrovellata sul vuoto
propedeutica al: della proliferazione il fulcro,
elusivo: basterà considerare quanto sia
naturale, questo moltiplicare, di creatore
in creatura creatrice in creatura evoluta,
come se lente che ingrandisse su una pagina
a modello di quanto qui, potesse mostrare
in un sol colpo d’occhio il tracciato colorato
e pluridimensionale di come le idee diffuse,
nei secoli dei, o le abitudini, le piccole tattiche
mai passate di moda per ribellarsi ai potenti
ma di nascosto, o di come le morali belle
e di quale ruolo, inaspettatamente, vedrete,
nei secoli dei secoli. Spetterà fra qualche mese
o anno alla cosiddetta casalinga di Voghiera,
nonsoloboutade – interdetta da queste poesie.
Mentre sarà intenta a cambiare sul 5, poniamo
si accarezzerà il grembo sapendo che presto
darà alla luce una bambina, paffuta e bionda, bella,
l’insospettabile mutamento di questo assetto. Speranza?
*
ending ovation,
o del sollievo
A quelli come quelli non serve
andare a capo, dico davvero
non serve contar le sillabe
e non servono gli asterischi
o gli spazi vuoti o le sacre
regole per il buon sregolato
nemmeno occorre laurearsi,
il titolo di studio sulla parete
affisso, uno studio mal riuscito,
direi: non gli occorrerà.
Piuttosto uno sguardo obliquo
alla parete, attaccato storto,
di chiodi addolorati arrugginiti
a cui lasciare, si, il poeta potere.
Si ringraziano Giovanni Allevi, da No Concept il brano “Come sei
veramente”, gli Einsturzende Neubauten, quelli veri, L’Espresso e
l’inventore del materasso, Blob ma non Ghezzi, per L’età dell’ansia
W. H. Auden, Herbie Hancock, Nietzsche, la madre di Gunther e la
madre degli imbecilli, Emilio Fede, come poteva mancare.
03
Into a grembo
in dialogo serrato con me stesso
Dio solo sa quanto quel giovane
abbia bisogno di carezze.
In stravagante notte
suoi i desideri stremati
ed il gelo sudore, suo
il liquid’antico sonno,
conforto di placenta
e singulto di feto che fu
sentimento a venire,
presagio di ciò che attende
nelle minuscole dita e poi.
*
Scompongo il ricordo, lo violo, lo sbriciolo, a pezzi
compongo un canto che suonerà nel deserto, dolce –
com’è naturale che sia – che sarà fiore per gli assettati
e acqua per i romantici predoni.
Un canto vano, un canto solo mio. Nessuno che
s’identifichi se non per via di un’illusione, di un gioco, di
una magia. Nessuno che non sia rappresentato se non
da sé stesso.
Il gioco consiste nello scomporre ricordi e ricomporli
secondo sequenze nuove, nuove le connessioni di
senso. Il gioco è consigliato agli adulti che accumulano
ragnatele e ne fanno collezione, d’equilibri minimi –
abitazione.
Indispensabili uno specchio impolverato su cui i versi si
leggano appena, una certa quantità di materiale umano,
una scadenza ed un controcanto in prosa – esplicazione
d’interiora in mutamento.
*
L’inerme godimento muto
per la voce di mamma
giunta attraverso tessuti
diffusa,
soffusa in amniotico
fino al minuscolo cuore d’embrione
che riconoscendola familiare
si scosse, e iniziò a pulsare.
*
Rinnegarsi può essere un modo per oltrepassare nuove
soglie. Mi capita spesso di immaginare una successione
di porte fluttuanti in uno spazio pluridimensionale, fittizio
e cervellotico, e di supporre che si possa individuare il
percorso da seguire semplicemente scegliendo, oltre la
soglia appena varcata, una nuova ma di poco più
piccola porta.
Occorre inevitabilmente liberarsi dei pesi in eccesso, ed
il processo, se da un lato appare frutto di lacerazioni,
strappi e privazioni, dall’altro non è che il modo naturale
di difendersi. L’evoluzione che gioca in difesa.
Ecco una buona domanda per iniziare: quale dio? Si
prosegue con la ribellione amorevole ai padri e alle
madri, con uno sputo sulle immagini sacre della cultura
che ci circonda e con l’indifferenza ironica – come un
sonoro ceffone – ai prepotenti. Il percorso, per poco
lineare e ripetibile che sia, deve passare
necessariamente
attraverso
la
disgregazione
temporanea di sé.
Fare attenzione alle cattive compagnie.
Alle illusioni e alle pozioni magiche.
A non costruire edifici moderni su fondamenta marce.
Non prestare mai il fianco a nessuno.
Ma al tempo stesso ricordarsi di mettere la sicura alla
pistola, talvolta.
Per ultimo, non sottovalutare le certezze. Sono criminali
violenti in cerca di una preda e si sa, colpiscono nel
mucchio.
*
Dio solo sa quanto un ricordo
se perduto, ci accascia,
e di qual specie è l’odiare
che proviamo, solitari noi
in solitarie notti
nel domandare alla luna
e nel vederla tacere,
beffarda
pallida
tronfia
ghignante di sfida
tacere
tacere
la luna – tacere.
*
L’antico adagio del saggio che indica la luna e dello
stolto che guarda il dito. Ho giocato il gioco dello stolto e
del miope e del pensatore positivo, ho passato troppi e
felici anni a giocare. Ho pianto nella notte, inginocchiato
su me stesso, rivolto parole come preghiere, ad un’idea
– e questo sarebbe il meno, chè ancora mi succede.
Infine l’ho tradita, l’idea inumana, semplicemente
pensando e provandoci gusto, ed insistendo a pensare,
a trarre conseguenze, soppesare, gestire implicazioni e
di riflesso agire, fino a estendere la superficie del
conoscibile e dell’apprezzabile.
Ciò che prima era importante, ho poi scoperto non
esserlo più.
L’ho fatto senza alcun astio e senza alcun orgoglio di
me.
In questo tradimento ho sentito d’essermi liberato,
seppur il vento del deserto mi sferzasse la faccia.
*
La luna e le stelle
-è il deserto di notteil vento, la pelle arrossata
ed il gesto di passare le mani
sul viso gelido di una ragazza
immaginata (nella sua casa
a cercare l’ennesima via di fuga
e di delizia, quel libro e quel canto,
psichedelica litania in viola)
fitte d’estraneità
per il lato oscuro del pianeta:
solo involucri freddi e lune silenti.
*
Infine la compagna dagli occhi buoni, l’immagine di lei.
In volti e vesti che si succedono nei mesi e che un poco
ci descrivono, descrivono periodi e bisogni, slanci
condivisioni e visioni.
E’ questo fascino dell’osservare il mondo attraverso gli
occhi di un altro che alle volte prende il sopravvento e ci
pervade. Il bisogno di parole che suonino nuove e
diversi punti di vista come momentanei incompleti
sollievi. Desidereremo essere altro da noi, è questo che
fondamentalmente s’impara.
Del mondo, che non è mai prevedibile come lo si crede.
Delle persone, che non sempre deludenti, ma specchi.
Riflessa, la delusione si rivela solo nostra in realtà ed il
rancore è per noi. Irrisolti.
S’impara quanto dolce sia un’ora lieta, e non lo si
dimentica più.
Quanto vasto sia un letto, e come l’incontro ci spinga
oltre.
Altro da noi.
Soli si sopravvive e lentamente si muore.
Quest’io non rinnego.
*
Dio solo sa a qual ora il giovane
s’addormenta e quanto geloil disco continuerà a girare
la gente per la strada, vagare
la donna bella inutilmente godrà
ma non si darà, non si lascerà sfiorare
-è l’insolente predona del deserto-
le rimembranze che s’insinuano stanche
nei labirinti dei sogni, oscuri passaggi
si dissolvono dunque al risveglio
come il pensiero:
due vite che potrebbero
e non s’incontrano
sono bestemmia.
Si ringraziano le mamme e tutti i romanzi di formazione letti o
ascoltati con le mie nude orecchie. E Giovanni Monasteri per
l’attenzione, l’ospitalità e il prezioso aiuto.
04
Linee di Line
labirilinee
il mondo è al di sotto
La penna nemica sottile sembra non scapparmi di
mano. Perdo tempo a accarezzarla. Ho l’impressione di
domarla ma alle volte mi si rivolta contro, anche. E’ che
forse sentivamo la mancanza l’uno dell’altra, come due
amanti contorsionisti e ciechi.
Intanto, al di sotto, l’inutile mondo vomita quotidianità in
proiezioni future, fra loro e da me, così distanti ( il
campo di studio la burocrazia il settore nonché il target il
bacino d’utenza l’operatore nella relazione d’aiuto la
terapia ) ed io divago. Vago. Sono lontano.
Il mondo ha una voce che è un gorgoglio inopportuno di
proposizioni in successione inesausta: il campo di studio
la burocrazia il settore…
Oggi no.
Non ascoltare.
E nemmeno piegarsi, no.
*
Lentamente e più volte. Assaporare anche solo la
parola, e come risuona nell’incavo della bocca: Line.
“Line dove sei? Eri tu occhiverdi – scarpeslacciate –
erbafraledita – quantidubbi – vocedolce – come
sommessa, eri tu? Te l’avrei sussurrata anch’io quella
domanda, e forse l’ho fatto: eri tu la mia Line tanto
attesa?”
*
Di dubbio viviamo
di dubbio, o di dubbi
mai sazi di dubbi
come calligrafie impilate
in un circolare perpetuo noi:
“in quale facce confonderci?”
Di dubbio nutriamo
di dubbio,
ed appunto è un quesito
che non prevede impazienza:
“eri tu – oggi – la mia Line tanto attesa?”
*
Io non ero sicuro del tuo odore.
*
E’ rotondo il blablabla del mondo, ficcante, ed ovunque
sulle coscienze si ripercuote e si ripropone
all’attenzione, ovunque allo stesso modo del dolore nero
della pancia, se spalmato sulla tela: invasivo è il mondo.
Giragiramondo ed ancora, sciocco di tono: bla blablabla
bla bla – stop. E punto a capo.
*
Io sarò altrove ( da loro )
per esempio sulla carta,
su questa gialla carta
consunta, celata
sarò altrove
e così facendo,
non so come,
ma farò ritorno.
*
Altrove è esser sospesi
sopra il tuttopesante
e silenziosi forse
o sussurranti, ed i sorrisi
le ciglia belle – le tue.
“Sulla strada del ritorno abbiamo avuto una paura fatta
a forma di labirinto” mi dicesti. Ed io che ho ancora sulle
mani il tuo calore, sulla punta delle dita percezioni
bollenti per un contatto osato, con queste stesse mani
annusai le cose tutt’intorno finché non ritornarono reali.
Irreale anche la mente,
rapita
fra l’attesaideale di Line
e l’improvvisa comparsa.
*
Io non ero al sicuro dal tuo odore.
*
Tu che hai un passato pesante di scatoloni dai lembi
squarciati, diktat pronunciati in dialetto e scotch a tenere
insieme il tutto, furiosi addii, scomparse improvvise dei
corpi creduti case (“Incongruenti quindi, i tuoi occhi
puri?”) ed io che nel mio volermi anonimo, ubiquo,
sempre disponibile, sebbene non lo diresti mai, io che
ho spalle larghe e timori quanto basta e racconti da
riempirci giorni interi.
*
C’è una zona nervosa però:
ci ricorda che il mondo
alle volte ammalia
e che noi non sappiamo
( staccarcene )
capire ommioddio
( lucidamente )
anche solo accettare
l’eccezionalità dell’evento.
Disillusione e dunque bisogno
isolatopensante pensarti
come isola:
sta qui il mio ritorno a Line.
*
dialogo fra due desideri
“Devi credermi, rivivremo ancora la condizione
sospesa.”
“Come puoi esserne sicuro?”
“Io che ti voglio leggere, annusare e mangiare saltando
le righe, a colpi di pagine, di pupilla in pensiero in
pupilla, ecco perché mi dico sicuro.“
“E s’io serrassi le palpebre?”
“Non crederlo, non mi saprai sfuggire. Non allo sguardo
che ho allenato negli anni interminabili, sfilati d’incontri
in pupille – perlopiù assurdo, vuoti – di pensieri in
speranze vane.”
“Così mi sorprendi. Sono madri stantie le speranze.”
“Come santa madre, direi.”
“Sarta che malricuce ferite.”
“Tu credilo, ti dico, speranza è solo madre venerabile e
calda. Ed ora taci, se puoi.”
(silenzio d’entrambi e d’occhi frastuono)
“Io cerco Gala.”
“Io cerco Line.”
*
Lentamente e più volte. Assaporare anche solo le
parole, e come dolci risuonano nell’incavo della bocca:
Gala e Line.
Si ringraziano i mecenati, gli invitati di Palazzo Gulinelli, Agota,
Giovanni e gli altri che si soffermavano sui gradini con le loro
sigarette sempre pronte. E’ impossibili nominarli tutti.
05
L’insolita allegria dei Kafka’s
adolescenzia e appartenenza
k0
Come una premessa doverosa scritta seduto a un
tavolino di bar, come era solito Hemingway, con la
minima cura possibile. Scritta in corsivo. Giusto per non
iniziare dalla fine e nemmeno da metà, per non
procedere a rovescio, come capita alle volte dentro
certe tipologie di teste. La genialità del saltare i
passaggi.
Giusto per poter principiare ad elencare queste
maledette e ossessionanti lettere kappa.
*
k1
Città predeserta, domenica di un’estate iniziata da poco.
C’è lei al mio fianco, rassicurante la sua presenza, sta in
piedi sul balcone: soffiando fuori dalle labbra il fumo
della sigaretta mi chiede (c’è un ricciolo di capelli
graziosi che le scende sulla fronte, bella com’è,
decisamente incongrua con la domanda): “Ok, ma
potresti almeno descrivermeli quelli che tu chiami i
Kafka’s?”
L’ascolto e nel mio silenzio fumo.
Per incitarmi aggiunge: “In pochi aggettivi. Fammi
capire.”
Eccomi ad alzare lo sguardo al vuoto, gesticolare
dentro, tozzo boccheggiare a disagio, pensare e
prendere tempo, dire in successione: “Inquieti, desolati,
lucidi, oppressi e della vita… innamorato distorti.”
C’è lei che ancor prima del mio proseguire, io non avevo
nemmeno iniziato, non dice. Ed è questo – in sostanza,
in crescere distanze – è questo che più di tutto mi
terrorizza.
*
k2
Io so dell’inquietudine bislacca
del camminare senza intendere
( del perpetuare in successione
i pomeriggi, inutili come mercenari
assoldati a caso – un panorama
desolante, disperante nel domani
e negli oggi – io so – io posso dire
di conoscere i sottili piaceri che:
nel piangere di sé (le femminucce)
nel sottomettersi (come schiavi)
nell’imbecille autodistruzione )
e del rifiutarsi persino: di parlare
non il coraggio di dirsi all’altro.
Peggio del disprezzo è il rimanere
solo, rimanere interno delirio
a notare di sconcerto le facce
le espressioni per distanziarsi
e peggio del disappunto,
è il silenzio.
Risulta immediato dirli superficiali
facili, illusi, vigliacchi e quant’altro
( la mala applicazione della teoria
secondo cui tanto più si vorrebbe
salda la coesione delle componenti
a noi interne, d’anima e mente
- quando si dice l’essere a pezzi tanto più conflittuale vien’esperito
il rapporto con gli elementi esterni )
“e purtroppo io so,
di questa estrema deriva.”
*
k3
E’ geografia d’interni e d’anime:
per dire del panorama – che vedo
desolante e disperante considero
come ripetizione di malefatte in
ripetizione di malefatte in cecità
in ripetizioni di gesti – le molle mani
la mattina su spaginate di giornale
nonché la sera con le dita mollicce
a spingere su tasti – il telecomando
è evasione dal reality- lo zapping
dei rapidi pensieri farneticanti
sul debito ai troppi paesi poveri
(e subito, in debito di continuità)
farneticanti di rate a interessi zero
e saldi offerte e accorrete numerosi
– voi che siete i danarosi –
e paghi due solo se sciupi tre
e queste stronze che sostengono
ammiccando: “perché io valgo”
o attraverso il dire i pomeriggi o
le mattine con le dita già stanche
per il far nulla se non il premere
– play – ed attendere rivelazioni
artificiali in pillola, inesistenze altrui
su schermi e come niente su carta
polpastrelli leccando, voltando pagina
mai una sola volta che io vi abbia letto:
vita, redenzione e verità sono là fuori
o dentro te, io sono solo un mezzo
imperfetto, accartocciami e gettami
in angolo. Sul ring caracolla la vita:
l’unico modo è darle e sudarla.
*
k4
In ultimo – per dire di solitudini
occorrerebbe tacere, mancanze
addirittura tacere alla pagina
bianca, l’assenza di colori
l’estremo grado
d’assenza
a sé.
“Noi non siamo nulla
che non abbia il dovere
(non solo il diritto, non solo)
d’essere almeno riconosciuto.”
*
k5
Mi spengo con un gesto conclusivo delle mani e nel
silenzio fumo.
C’è lei che dopo il mio aver proseguito, non dice. Ed è
questo – in sostanza, in crescere distanze – è questo
che più di tutto mi terrorizza.
Non dice quanto le costi insegnarmi giorno per giorno
l’entusiasmo e la leggerezza dell’esistenza, da
apprezzare come fosse un pasto (mangiare con le mani
unte, bere a grandi sorsate bagnandosi il mento, il petto,
le cosce e quando occorre, smettere di ridere ed in
silenzio assaporare i bocconi più insoliti, cercarne il
retrogusto ad occhi chiusi) . Lei che non dice dei miei
progressi. Nonostante tutto sono un buon allievo. Non
racconta dei piccoli fastidi quotidiani, delle furiose
frustrazioni. E nemmeno di quella paura che alle volte la
pervade tutta, comparendo dal nulla, senza alcuna
ragione. Non dice il timore all’idea del non saperci più
raggiungere, un giorno quanto lontano.
Nemmeno io continuai a raccontare. Quella volta lasciai
sotto silenzio l’altra parte di me, la tenacia, l’amore
distorto per la vita, il fascino delle cose complicate e
misteriose, la naturalezza della lotta, i miei “non sono
d’accordo”. Tutto rimase sotto silenzio.
E sotto il silenzio ci limitammo a stringerci nelle mani.
Si ringraziano Kafka e le pillole dei Jefferson Airplane, le Pall Mall
blu e le Diana rosse, alcuni vicini di casa dell’epoca in cui vivevo a
“Napoli” (si detestano con garbo), ancora Alessandro della fase
delle “teorie”, una gran parte di inutili docenti che mi regalò ore su
ore di prezioso tempo libero e Baudo Pippo, come ficcante modello
negativo di riferimento.
Dedicato ai miei sei meravigliosi nipoti e alle decine di ragazzini
conosciuti sulle panchine, al campo da basket, nelle sale biliardo,
dentro alle bocciofile o agli angoli di strada.
06
Ladolescenzia
un inciso trattato
definizione
O scienza dell’opporsi, dell’esprimere, del soddisfare,
del giocare sudare urlare del perennemente osare e
dell’ignorare rimproveri, lo sviare pressioni, spremere il
succo buono, farsi e far, di sé stessi, non l’uomo, ma
semplicemente e fino agli spasmi interiori, o del corpo, il
solo farsi sé stessi come si era ed era necessario
ritornare ad essere.
specifiche
Non necessariamente più forti.
Nonostante sarebbe auspicabile, se ne convincono tutti
prima o poi. Pensieri indotti negli anni ci hanno
suggerito altresì le seguenti ambizioni pratico mature: il
titolo di studio, il lavoro, la ragazza della porta accanto,
l’automobile, l’indipendenza economica, stare lontani
dalle droghe, il conoscere le cose del mondo, la
cittadinanza attiva, la passiva rassegnazione alle regole,
sorridere spesso, fare regolare esercizio fisico,
dichiararsi intellettualmente liberi e liberali, nelle
periferie starsene invece zitti, non alzare la voce,
prendersi cura delle frustrazioni, dirottarle nelle relazioni
a due, il fidanzamento ed il matrimonio in comune, fare
attenzione soprattutto a non interessarsi ad un
appartamento senza posto macchina e riscaldamento
autonomo.
Su un piano impercettibilmente diverso si sono alternate
invece le virtù della bontà, della forza, dell’amicizia,
della giustizia, della consapevolezza e del rigore e
improvvisamente, ad una certa età, come se fosse
scattato qualcosa di irrimediabile, le virtù dell’omertà,
della furbizia, del realismo e del cinismo,
dell’indipendenza dagli altri e della freddezza.
La sola verità è che mano a mano che passano gli anni
la confusione aumenta. Tanto più si tenta di
comprendere tanto più si fraintende il vero centro. Ogni
posizione ne contraddice altre ed è intollerabile questo
loro escludersi a vicenda. Occorre in ogni caso fare
delle scelte, e farle in fretta, siamo sottoposti a pressioni
continue e non ci rallegra sapere che i nomi per queste
nostre prevedibili crisi sono già lì che ci aspettano. O
forse basterebbe semplicemente non far più alcun tipo
di scelta.
Esploriamo questo campo di infinite possibilità fintanto
che ci troviamo ben al riparo nel territorio neutro e
accomodante delle parole. Ladolescenzia, dunque.
postilla
Prima che le forze dell’ordine si impossessino di questo
file.
“postillanime” (sei un)
E a seguire. I personaggi.
07
Carburante
personaggi a margine
quelli che aspettano carburante
Un benvenuto agli innocenti, stasera
saremo improvvisamente scagliati
nel cuore pulsante delle metropoli
dunque, fra quelli
che lentamente spopolavano:
ad ognuno sarà concesso
qualche verso di celebrità.
*
struggenti & metropolitani
Senza capire il rumore dei passi
avanzare – limitarsi a camminare
gelidi i lampioni e negli spigoli
noi, sbalzati da luci pallide
su di un marciapiede
poi sull’altro
– versus: la visuale opposta –
che “se la scelta è tra la strada
e la letteratura allora non c’è scelta.” (1)
*
Igor è un obeso senziente
seduto davanti allo schermo
Ho torturato lentamente
la giornata, disarmante
nei suoi movimenti tellurici
– contatti in rete o inreali –
la trasmissione dei pensieri
fra me e quelli che mi circondano
di un tessuto il più delle volte irritante
sedendo al tavolo della realtà
ingurgitati a ritmo d’inferno
dalla mia mente, sconnessa
in acido lattico post cerebrale
nonché in spugna ubriaca,
calamità dell’irrazionale
chiesi per un istante di allontanarmi
volevo. Essere. Meno. Agitato.
Essere. Meno. Ricettivo.
Essere. Almeno.
Essere.
*
un altro risvolto d’Igor
Intanto alla televisione
immagini di bambini scheletri
la pancia gonfia che se esplodesse
non conterrebbe visuale alcuna
tornando a casa
in risposta osservai
sul marciapiede
una farfalla con
ferite di terzo grado
incapace a volare,
aveva uno splendore
cromatico, un soffio
posato sulle ali
e la pestai – io
Dio – ommiodio –
se ci sei un colpo
o non ci sei più.
*
intermezzo:
per 100 euro
Quale di questa torture pensi
che ti si addicano maggiormente:
(rispondere il vero)
1) lavorare
2) tenere la contabilità
3) un guardaroba alla moda
4) visitata la città in un sol giorno
5) un fine settimana a casa di oscuri parenti?
*
*
Lola in una stanza
poco lontana controlla
la contabilità dei mesi
Io tasto il buio di una stanza vuota
come un ronzio di metallo se
nel cervello, di metallo anch’esso
io inspiro la costretta immobilità
del corpo, dei neuroni che non sembrano
sincopare un’alternanza di visi, apparizioni
ma con fatica
singultare monologhi
a una platea dito puntato
cos’altro poi, poco di più
o di meno, almeno in vita
e tutt’al più morrò, succederà ieri
“mi sembra proprio che qualcosa non torni
nella contabilità di questi miei mesi persi.”
*
rivolta a nessuno
dei miei personaggi
Quando
sinapsi sovraccariche di te
(ad esplodere furiose particelle
ancora ai margini della realtà)
onirico passaggio dentro cranio
pulsazioni male amplificate
sensazioni intrascrivibili
e tremori concentrici
eccoci, eccoci in partenza:
roteare eludendo le regole,
i vortici sull’asse immaginario
del corpo – compiamo – mentre io
come al solito baricentro maldestro
in sbalzi di emozioni preparatorie
alla pura libertà dell’Io
(come il passaggio
ad un colore diverso
ad un colore diverso
ad un colore diverso)
dimensione nella quale
non
valgono i riferimenti ordinari
o le aree di difficoltà quotidiane
(un sordo suono)
d’incanto
ti sorprenderai
a desiderare quel che
tu nemmeno immaginavi
fosse possibile in vita.
*
intermezzo
del tutto impersonale
Per quanti anni ancora credi
che conserverai il fasciatolo
e le cose del tuo primo figlio
pulite ben sigillate in cantina?
*
intermezzo: a sera
si profilano i profili
Il fascino di tutto ciò
che non si conosce ancora.
*
Vanja l’immagino bella
abitare appartamenti eleganti
Non conta più le notti svanite
nel sonno sdraiato su di un taccuino
solo rimane a ciondolare
al margine delle giornate
circuendo segnali indecifrabili
nelle stanze profonde: è sola.
*
tribute to Cohen’s brothers.
quello che le donne sentono
L’uomo che non c’era
la cui unica dimensione
era l'immagine
il cui solo dominio
era sulle illusioni
come ci fosse
invece non c’era.
*
Levin è un adolescente
che si mimetizza
nei bar di corso Italia
Vulnerabili ai loro minimi cenni con
nell’aria un odore nuovo che non aspettavo
come di pioggia notturna sull’asfalto a pois
quest’andatura sincronia nello spiarci
i profili dolci da sublimare all’istante
– stiamo in giochi d’equilibri precari –
a pochi centimetri dal tempo trascorso
in linea retta – loro sedevano solari
e belle, belle e
beneficiandoci con lampi e pose
di una qualche misteriosa intensità
sotto la quale sentimmo
di star cedendo
lentamente
desiderante
cedendo
a questa notte in avvicinamento gelido
a una qualsiasi di loro non m’importa
(un sordo suono)
“all’improvviso ho sessantaquattro anni
e ho finito le sigarette.” (2)
*
intermezzo del necessario
per predisporsi all’apocalisse
Fu così che i pianti si trasformarono in isteriche risate
che rimbombarono fra i palazzi nelle strade delle città
a migliaia forse a milioni sincrone a mezzanotte esatta
ci furono gli speciali alla tv
e le edizioni straordinarie
una commissione indagò invano
su quale frangia di comunisti
potesse avere organizzato il tutto.
*
coniugale sferica e manomessa
relativamente a Moni e Lele
Stanchezza stanchezza
fin dove tu sai ed io posso
l’ennesima dose di stanchezza
prego, gentilmente, e la ringrazio
a sguardi laterali la possibilità,
agli occhi tuoi sfuggenti
la possibilità di,
alle labbra sottili
sotto le troppe rughe
del tempo trascorso
“non ci resta che il tempo
di una sigaretta fumata qua fuori”
io sulle note di un jazz
e noi ci sorprenderemo così,
dimenticandoci di questa poesia.
*
intermezzo degli ospedali
e che è vietato suonare il clacson
Dorme
la linfa di un uomo
in figura di letto
fingendo l’esistenza
riposa il riposo
in prossimità.
*
Dejan sull’erba del parco
è un postmoderno Siddharta
Piange un po’, smettendo di fumare
accavalla le gambe nervosamente
e posa le magre dita sul mento
il tutto in memoria dei viaggi
e dei cieli scomparsi sopra le teste,
di una mattina svegliarsi in spiaggia
fu bello e tardivamente alcolico
ripensante agli amici di un tempo.
*
intermezzo:
per 1000 euro
“A colui che per una volta
dice qualcosa di intelligente
verrà perdonato il restante
così vistoso delle banalità.”
Quale scrittore pronunciò questa
frase e in quale circostanza?
*
il cliente ha ragione
sempre e il pubblico è pagante
Per lo spettacolo dei notturni e degli stanchi
clienti abituali alla ricerca di un contagio
o di una seconda pelle dentro la quale stare
umano riflesso condizionato
è lo sciamare verso l’entrata
– non basta e non potrà bastare –
in un crescendo di assuefazione
e miti proiettati su di un panno
nella sala vaga di cuore in cuore
l’intreccio coinvolgente metafora
se lo credi, o il tuo fardello
se capisci oltre qualcosa
che sia se non il sedere e
l’osservare
l’osservare
l’osservare
oltre ed ancora.
*
Boris è il promettente
portaborse di un parlamentare
Nei gesti nelle parole sprecate
nelle polemiche avulse dai minimi accenni
alla logica o anche solo al buon senso
nelle voci distorte e in doppiopetto
che volentieri terrorizzerebbero
i bambini sull’orlo di una crisi di nervi
con il coltello in mano e la volontà è
malata
(un game over che pare già scritto
e che comunque ci coinvolgerà tutti)
nei loro palazzi
se mai ci finirete
dovete fare così:
mettetevi in un angolo
con il ghigno evidente in faccia
e il miglior atteggiamento che avete
facendovi notare – recitate il coraggio
penetrate con sguardi e maledizioni
la loro cattiveria la loro ignoranza
stì signori belli con dossier annesso
che sono le loro giacche su misura e
la pelle gessata e le dita macchiate non
il viso sotto strati di cerone e cerone
in un crescendo di stupore stupore!
per come è grosso (e decantato)
il petto del nostro grancomandante
e per le leggende metropolitane
che ci narravano le mani (non) pulite
come dissero quelli del coro stonato
e ora ci acquietano cantando ninna nanne
e si accecano lo vedi in un crescendo
di indefesso onanismo istituzionale
anime e coscienze ripulite in candeggina
per l’occasione che rende l’uomo ladro
si sa – e in altri casi l’uomo eroe
come aggiungeva Perlasca
(in palio un tostapane elettrico)
Perlasca, chi era costui
e in quale occasione che cosa
chi lo spinse chi glielo fece fare?
*
intermezzo dei pesci
E si risolve tutto in un reciproco
fissarsi labbra in movimento
senza più comprendere il filo.
Nelle città scocca l’ora dell’aperitivo.
*
this is the end
my only friend, the end (3)
L’onda corta del mio agire
l’onda lunga del mio subire
ammira quanto mi consumo
in questi giochetti sul filo sospeso
il mio fissare labbra che mi parlano
il mio rubare sorrisi a chi non s’accorge
dell’ovvio che anche io ho bisogno
di almeno uno sguardo – e che sia attento
“avete per caso notato la visuale
allontanarsi ( con fare furtivo )
ed ampliarsi irrimediabilmente?
ne avete altresì goduto?”
1) due versi di: Stuart Z. Perkoff tratti da: Lettera a J.H. in: NUOVA
POESIA AMERICANA / Los Angeles a cura di: L. Ballerini e P.
Evangelisti edito da: Mondatori.
2) due versi di: Robert Crosson tratti da: Schimmelreiter in:
NUOVA POESIA AMERICANA / Los Angeles a cura di: L.
Ballerini e P. Evangelisti edito da: Mondatori.
3) un passaggio da The end dei Doors in: The Doors
08
Le miliopartizioni
“sprose” e reprise
a casa
Inizia così. Disteso con il computer sulla pancia. Annota
qualsiasi suono e si balocca con la scrittura. Sotto la
sua finestra, un dieci metri circa in linea d’aria, c’è un
muratore che sputa in maniera rumorosa, schifosa, che
immagineremo densa e colorata.
Perché mai si dovrebbe scrivere solamente di cose
belle, di nobili sentimenti, emozioni?
Ci sono cose che talvolta lo fanno imbestialire, questi
luoghi comuni, tutte queste sentenze. Senza rendersene
conto le combatte con altrettante sentenze. Imparerà ad
uscire dallo schema.
Il giorno in cui il mondo sarà saturo di tutto ciò con una
scrollatina ben assestata all’altezza dell’equatore si
libererà della gente rimasta e dei loro stupidi oggetti per
poter finalmente spegnersi in silenzio.
Fino ad allora noi si continua con le battaglie personali.
Sordi agli scricchiolii.
Per esempio c’è lui che digita ostinatamente: talvolta la
bruttezza è talmente brutta da apparire così
affascinante. Completa.
*
durante il tragitto
L’indicatore della batteria del suo portatile segna 2 ore
52 minuti rimasti. Decide che si baserà su quello.
Ha tutto questo tempo a disposizione perché è una
casalinga di 27 anni e preparare la cena non lo
preoccupa affatto seppur non si affidi quasi mai ai
surgelati.
Ci sono quelle che invece si turbano molto. Una densità
altissima di casalinghe per chilometro quadrato che
hanno smarrito il senso. Secondo dati Istat.
Parole. Impiegarci 5 minuti. 3 minuti. 45 secondi. 10
secondi per un paio ben assemblate. Dita velocissime
nella pausa caffè. Nella pausa fra il caffè e la sigaretta.
Fra la sigaretta e l’altra sigaretta immediata.
Di
sghimbescio mentre il capo esce dall’ufficio per andare
a pisciare. Subito dopo aver appena finito di parlare con
la proprio madre e avere visto che anche oggi non sta
affatto bene.
Tenerne conto. dimenticarsene. Fare qualcosa.
Sospirare profondo non serve proprio a un cazzo,
diceva suo padre.
Arrivati ad un certo punto utilizza lo strumento conteggio
parole e scopre 1.226 caratteri di troppo. Impreca.
Ma è un allenamento, lo sa bene.
I prodromi di una malattia che
sospetta solo.
per il momento si
La fuga riequilibrio.
*
all’ufficio pubblico
I lettori che hanno bisogno di un contesto, di qualcosa a
cui aggrapparsi, a cui annodare il senso che è raffica di
vento oltre i cento chilometri orari, di un corrimano nel
periodo della bora a Trieste, poniamo, possono recarsi
in file ordinate verso questo ufficio.
Prendere il bigliettino numerato e fissare ipnotizzati il
visore.
Nel frattempo sbatte la porta della cucina probabilmente
a causa della suddetta bora. Essa si insinua dentro di
noi e ci rimescola di continuo. Il punto è che allo stato
attuale non ci sono strumenti validi in grado di fare uno
screening delle nostre confusioni.
E porre rimedio.
Preparare i gomiti nell’attesa.
Ricalcolare, andando ai tempi degli scherzetti fra
bambini, le esatte sequenze di movimenti per lo
sgambetto nel caso quella signora cicciona là in angolo,
vestita di turchese, come un’enorme nuvola, volesse
fare la furba con la fila.
“Sono cose che succedono di continuo”, lo senti dire in
giro da vocette sempre più aspre e ciniche.
Nel frattempo percepisco, sempre dalla finestra di
prima, che nel cortile qua sotto il melting pot dei
lavoratori malpagati ha un che di nervoso nel tono.
Ora siete voi allo sportello. E dopo avervi ricevuto vi
consegneranno un modulo vuoto.
*
per ammazzare l’attesa
Certo che standosene distesi sul letto ne capitano di
cose.
Prendiamo il cervello. Se Sedaris sostiene che la
scienza
offre
risposte
noiose
a
domande
interessantissime non vedo perché noi dovremmo
continuare a immaginarci mucose grigie e antiestetici
emisferi dentro ai nostri crani.
Milioni di altre cose accadono nel frattempo. Nessun
comunicato ansa che stia dietro al quotidiano tourbillon
di pensieri.
Lui preferisce pensare dal canto suo di avere in testa
una pista da ballo. Una balera. Sa per esperienza che le
danze sono possibili soprattutto quando il corpo è
finalmente a riposo. La posizione supina, appunto, è di
gran lunga la migliore.
Si è convinto di aver individuato persino l’inclinazione di
questa pista da ballo e che la sua sia un’intuizione
davvero geniale che rimarrà purtroppo incompresa
nonostante ognuno abbia fatto esperienza, in vita
propria, almeno una volta, di non essere capace di
pensare a nulla se appeso a testa in giù.
E dunque, talvolta si aprono le danze con passi
spettacolari. C’è chi balla per noia o per le donne.
Capita anche che non tutti riescano a seguire il passo. I
pigri e gli involuti ‘fanno tappezzeria’ rivestendo le pareti
interne della scatola cranica col loro solo desiderio di
ballare.
Falliscono tutti i ragionamenti senza ritmo dentro.
*
la (sottile) linea gialla
L’indicatore della batteria segna 38 minuti rimasti ed il
rosso ormai prevale sul blu.
L’orologio da polso del padre si è invece fermato perché
ancora una volta lui si è dimenticato di ricaricarlo. La
qual cosa non lo mette di buon umore, gli appare come
un’irrimediabile carenza, e un po’ lo inquieta.
Cosa avrà mai questo pomeriggio di diverso da altri?
Esistono davvero condizioni climatiche capaci di
influenzare gli umori delle persone? La questione è
controversa. I dati Istat tacciono.
Prende in considerazione per un secondo di consultare
l’I ching ma la questione smette improvvisamente di
sembrargli speciale e se ne dimentica.
Continua a baloccarsi con queste parole.
Le crede invincibili ma non è cosa che spetti solo a lui.
*
i moduli sono da compilare
In effetti ci sono moduli da riempire i cui campi potrete
completare a fianco di ogni singola intestazione che si
andrà ora ad elencare.
_____________________________________________
ULTIMO DESIDERIO TACIUTO
IL LUOGO CHE IMMAGINI SE DICO, LUOGO
FETICISMO PREFERITO*
UNA PERSONA CHE TRASCURI E NON VORRESTI
IL PROPOSITO DELLO SCORSO ANNO NUOVO
PICCOLE STRATEGIE DI PIACERE USATE IN CASO DI
EPISODI DEPRESSIVI MINORI (almeno cinque):
1
2
3
4
5
COSE SITUAZIONI E PAROLE DA EVITARE
UN’ALTRA PERSONA CHE TRASCURI E NON VORRESTI:
* Il termine feticismo non deve intendersi come negativo, ma
figuriamoci.
_____________________________________________________
*
recapito e chiusa
Ritagliare e spedire il modulo compilato al recapito:
Sergio Bottoni
Piazzale Goito 2
44100 Ferrara
Il tempo a sua disposizioni sta per finire. Alza la testa
dal cuscino e nel momento esatto, tutti gli gnomi, ogni
creatura fantasiosa che lo popola finisce di ballare.
09
De Jo
prodromi di un viaggio
Bologna è tentacolare: ne risulta
immediatamente evidente il fulcro
ed il flusso, le direzioni intraprese
e futuribile il destino, di questa folla.
Osservala, calcola un’ora per abituarti
alle fogge, al taglio diverso degli occhi
al perpetuo vitale trasandare, infine
concepisci come la gente di qui
sia così come la gente d’altrove:
ugualmente, scivolare a Bombay
provocherebbe slittamenti all’umore
ma già lo sapevi no?
*
davanti allo specchio
Il nostro si era svegliato e semplicemente aveva deciso
per un piccolo viaggio. Sospensione dal reale; in libertà
condizionata dalle responsabilità. Questo era il suo
gergo interiore. Quando gli occhi erano ancora una
fessura, il nostro aveva fatto la sua scelta – in piedi
davanti allo specchio – perché si era ritrovato sorpreso
di non riuscire più a scorgere quel guizzo familiare sulla
superficie delle pupille. Aveva fumato la prima sigaretta
ancora in vestaglia, guidato con lentezza, ancora
fumato, bevuto un caffè sporco in un’area di servizio,
sorvegliato paesaggi in disfacimento, scorrere, aveva
imboccato rampe e svincoli e attivato inutilmente gli
indicatori di direzione. All’alba di un giorno di libertà tutto
è deserto. Tutto è come in attesa che una qualsiasi cosa
accada. Si sta come in attesa di una meta, ecco. Eccolo
arrivare, parcheggiare in sosta vietata, che quel
parcheggio non è mai controllato dai vigili e la multa è
già ammortizzata tante sono le volte che l’ha usato.
Eccolo camminare senza sapere dove. Quanti passi,
quanti bicchieri di vino necessari per scaldarsi?
Il primo impatto con la città lo portò a ragionare:
Bologna è tentacolare, si dispiega sotto i portici che ne
compongono le struttura segreta e agli angoli delle vie,
in chiazze organiche e nei manifesti incollati alle
colonne. Nel frattempo la città si stava svegliando.
*
oltre le tende
Ed in effetti, c’è gente assonnata
di qualsiasi tipo: una prima tipologia
di bambini al guinzaglio e colorati
anche i vecchi, psichedeliche le rughe
gli affaccendati e tutti gli aderenti
al conforme taglio classico ma giovanile
e gradualmente, inoltrandosi nelle vie:
i volti segnati, i rimandati dal sistema
quelli che ripetono sempre un anno un cazzo
m’importa un cazzo m’importa un cazzo
e contemporaneamente, ne soffrono molto.
*
senza darlo a vedere
K., posta di fronte alla sua giornata, aveva preferito
mantenersi adeguata e responsabile e solo troppo tardi
si era ricreduta. Davanti allo specchio aveva dovuto
fingere, ricorrere a giustificazioni e voci interiori che
immagineremo noiose. La giovane faceva parte, nella
veste di figlia minore, di un nucleo familiare che
sostanzialmente la innervosiva, di una compagnia di
amici che spesso la deludevano, del folto gruppo degli
indifferenti verso tutto quello che puzza di politica e
impegno civile ed infine dell’esiguo e variegato gruppo
di specialissime persone che nonostante tutto amano la
vita; che desiderano, riuscendoci solo a tratti, di berla
dalle mani a coppa con così tanta avidità da bagnarsi, il
mento, il collo. Persone accidentalmente sensuali.
Nonostante questo la giovane K. aveva esitato – in piedi
davanti allo specchio – ed infine aveva premuto invia e
indossato abiti ed espressioni da studentessa. Come
ogni mattina, lungo la strada verso la facoltà di
Medicina, a falcate tanto ampie quanto incerte. Non
sapeva cosa desiderare.
*
ancora più vita
Deviante polimorfa e anziana, vizioso
mi è il dubbio che piazza Maggiore
non sia altro che un semplice scenario
lasciato a ricoprirsi di polvere
di fianco ai portoni personaggi comuni
con la sigaretta accesa e non scrollata
cenere stantia, statue di cera in museo:
c’è il sospetto che tutto sia finzione.
Lascerò alla luce di questa mia ipotesi
che tutto si disponga come meglio crede
ed eventualmente, manterrò il segreto.
*
a costo di
Il poeta starà verosimilmente sonnecchiando in un
angolo di un qualche appartamento occupato della zona
di via Zamboni. Oppure, con addosso gli stessi vestiti
dei giorni precedente, starà discutendo circa le
innumerevoli facce del prisma, seduto sul divano di una
casa di studenti dove per tre giorni e per tre notti si è
tenuta una festa. Oppure, come ultima ipotesi, il poeta
cammina per la città deserta in attesa della giornata e
delle persone. Considerate le esatte geometrie degli
spostamenti in città, il traffico, i problemi causati dalle
agitazioni sindacali e altre variabili secondarie, i nostri si
ritroveranno verso ora di pranzo seduti a cavalcioni di
un muretto, nell’unico luogo della piazza dove arriva il
sole. Niente parole di troppo, sarà sufficiente uno
sguardo d’intesa.
D’altra parte è risaputo il fatto che i poeti e i visionari
occupano spazi, parlano inesausti di cose da nulla,
penetrano quello che è dato non appena ne hanno
possibilità e, in ultima analisi, formulano teorie con il
solo scopo d’invalidarne altre.
*
brucio negli occhi
Inevitabile che questo vento dell’est
faccia sudare gli occhi, presagio forse
ma ammorbidito dalla lana sulla pelle
lembo, nuda, gelo.
Non sono sufficienti alcuni strati:
alcunché di strano nell’ammetterci
fragili, esseri, rare volte in essenza
di ciò che - rare volte soddisfatti
per esempio: più umani che mai
se in queste condizioni, a vagare
stiamo tentando di usare una città
e i suoi pretesti,
che diventino verità salvifiche.
*
Il nostro aveva camminato, osservato e riflettuto circa la
realtà e la finzione. Non che fosse arrivato a saperne più
di prima, nemmeno a sentirsi meglio, vagamente
sollevato. C’era qualcosa che lo turbava ancora adesso,
nonostante stesse incominciando a fare ritorno. Se
rimanessi qui, se continuassi a camminare, rifletterne,
scriverne? Quanti giorni saprei, quanti bicchieri di vino?
Si ringraziano Manuel Agnelli, Emidio Clementi, il poeta, Sante in
veste di lettore, Michela in veste di messaggera, “Io sono di
Berlino”, Paola, Enrico Brizzi, Martina e Mario, il Dub, Andersson
in coppia con Kolyvanov e persino Bersani, Samuele.
10
Le sprose viennesi
il viaggio
Le città sono più potenti degli uomini. A chi non è mai
capitato di vederne qualcuna uccidere e in casi minori
turbare giovani ragazzine, uomini ormai fatti?
E’ come se fossero meccanismi sfuggiti al controllo dei
creatori e i cui creatori, in effetti, sono perlopiù morti.
Quelli che invece rimangono li potete incontrare con
tutta probabilità nelle gasthouse, fino all’alba degli inerti
neon, città spettrale entusiasmante e inedita nelle luci,
intenti ad impilare boccali su boccali vuoti.
(Una prosa che sia rapida e formosa. Una mano
tentacolare dalle dita spezzate.)
*
Ricordandovi l’inestimabile valore dell’asterisco come
frattura, scelta intenzionale del coautore, e non refuso, o
convenzione estetica, ‘voce narrante’ continua.
(Con una prosa che non vorrebbe affatto cronologica e
consequenziale (d’altra parte, sapete dirmi come si
possa sfogliare un calendario con una mano tentacolare
e tutte le dita spezzate?) ma che al tempo stesso non
sia così egoista da non fornire piccoli chiarimenti
almeno una volta ogni tanto.)
Chiarimenti. Punto primo. Mio nonno è morto. Anche
mia nonna. I nonni di ambo le parti, s’intende. Mai avuta
in vita mia una figura anziana di riferimento, cazzo.
Anche il mio papà è morto. Ma noi ci volevamo un gran
bene, ci fidavamo l’uno dell’altro, è questo il punto.
Ancora adesso so cosa penserebbe all’incirca di
qualsiasi cosa io combini. Dunque quel colpo è stato
riassorbito, anche se lui, semplicemente, non c’è più.
Solo che la mia ragazza mi ha lasciato, eggià. Questo è
successo a dire il vero tre anni fa. Poi mi sono sposato
ma mia moglie, ora, fa la soubrette in Cile. Se n’è
andata dicendomi che non si poteva fare in altro modo
e che era davvero l’occasione della sua vita. Mio fratello
ha le emorroidi e io sette costole rotte non diagnosticate
per via del mio caratteraccio. Infine, il mio amico del
cuore, pare essere stato anche lui rapito dai pastori
sardi, lo scorso quindici di giugno. Questo è il quadro
della situazione.
Giusto per dire che avevo decisamente bisogno di una
piccola vacanza.
*
In automobile percorrendo strade urbane, urbane di
scorrimento, suburbane, tangenziali, statali e ancora
provinciali dimenticate dalla mia cartina, autostrade,
rampe e raccordi, autobahn, “rotonden” e piste ciclabili a
fari spenti nella notte, io non facevo che pensare a quel
racconto di Pier Vittorio Tondelli e desideravo una 500
scassata invece che la mia punto non meno scassata
per poter essere esattamente come lui. Considerando
che io amo enormemente la mia macchina e che con lei
abbiamo persino guadato un fiume mi sa che per
Tondelli devo avere un amore anche maggiore.
(Ci saranno dentro cose mai scritte prima perché non
ritenute
letterarie
ma
ora
rivalutate,
seppur
tardivamente.)
Sopra al sedile del passeggero oltre alla cartina alle
sigarette e ai cd c’era un sacchetto di ciliegie di quelle di
mia mamma. La radio continuava a passare canzoni
che mi ricordavano invece un’altra persona. Così,
talvolta, colto dalla noia o da un inizio di sonno mi
voltavo di lato e abbozzavo una conversazione ma le
ciliegie, con mia sorpresa, non rispondevano mai.
Ho desiderato continuare a guidare e non fermarmi mai
più, lo ammetto, riempirmi gli occhi attraverso i finestrini
fino a quando non avrei sentito di essere sul punto di
svenire. Invece oltre lo svincolo mi aspettava la città.
*
Vienna al tuo primo giorno è come un fallo da dietro non
sanzionato in una partita amichevole. Come gettare il
tappo del pane dell’hot dog caldo. Entrare nei locali e
una volta rivelatoti come straniero sospettare che gli altri
dicano di te cose orribili. Ben al riparo nel loro ghetto
linguistico con tanto di buttafuori ottusi che parlano ad
alta voce sperando di farsi così capire per paura, o per
osmosi. Le bocche dei viennesi al primo giorno le trovi
in effetti nauseanti. Vienna è altresì simpatica. Un
dedalo di viuzze periferiche e di signore abbandonate
dai mariti nei caffè meno famosi. Di gente vestita in
maniera disgraziata, è piena di sandali abbinati alle
calze, orrende camicie e folli che passeggiano in
maglietta nonostante ci sia un gran freddo. E di guance
arrossate, si.
*
Poi ci prendi confidenza. Come ogni cosa che
inizialmente ti sembra impossibile far tua per poi
diventare improvvisamente così facile per poi
ridiventare, infine, complessa e ingarbugliata.
Una volta memorizzata la cartina delle linee della
metropolitana
siamo
dunque
nella
fase
del
travestimento. Non è poi così difficile diventare viennesi,
o australiani per dire, canadesi, o ancora americani, e in
terra loro non essere notati da nessuno. E’ importante
tenere la bocca chiusa e sorridere quando ti dicono frasi
troppo lunghe e incomprensibili. Questo ti porterà ad
essere accettato come qualcuno che non interferisce e
addirittura ad essere notato per il tuo sorriso
mediterraneo, questa nostra aria. Ammetto comunque di
essere sembrato un viennese muto, talvolta.
Il lato positivo era la possibilità di osservare tutto dal di
dentro.
E’ altresì fondamentale non estrarre mai la macchina
fotografica – la cartina solo in angoli bui e riparati, le
cartine ad uso turistico sono illegali! – a meno che non
vi troviate in Giappone nel qual caso la faccenda si
ribalta e la dovete necessariamente avere per riuscire a
mimetizzarvi, sempre pronta, come una protesi artificiale
penzolante dal collo.
*
Ho visto cose che noi umani non dovremmo mai vedere.
Minuscoli bambini di Kyoto o di Osaka in pose incredibili
e buffe con le piccole dita a V.
Un monumento
esserlo.
all’essere
poveri,
dignitosamente
Una ragazza incredibilmente bella non rendersene
conto (Kathrin) quando ancora io non sapevo. Neppure
io me ne rendevo conto.
Quelli che non sopravvissero “all’imprevisto” con facce
così tristi e fuori luogo che veniva voglia di
schiaffeggiarli, di farli rinsavire. Financo prenderli a
pugni, se necessario.
Strade su strade su strade, gli alveari necessari al
sistema nei pressi della Karl Marx Hoffe, diradarsi mano
a mano che le gambe mulinavo verso le colline di
Prinzing e i suoi adorabili vigneti.
Ho visto almeno una mamma viennese che sapevo
disposta ad adottarmi, così, su due piedi. (Eve) (E più
tardi, anche l’imponente Suzanne.)
Rifugi d’alta montagna nella prima periferia viennese.
(Proposito per un eventuale ritorno alla città: fare
attenzione a quel vino matto che loro chiamano
Heurige.)
*
E poi ho visto molte altre cose, mente sovraimplosa,
nessun relax, voci nella notte durante e prima e infine
dopo il sogno di sensualissime ragazze della porta
accanto, le mie dita impossibilitate e spezzate, “Henry
potresti dire al tuo amico che si, siete davvero
simpaticissimi e così ospitali ma sono 27 ore che non
dormo, se potrebbe smettere di voler comunicare con
me gliene sarei grato, ecco”, una cosa per volta,
insomma, da vedere e sentire e toccare, non tutto
insieme, su!
*
Immagini di me disteso nel mezzo del giardino di una
villetta piccolo borghese in un quartiere residenziale.
Immagini di me a casa sua conosciuta la giornata prima.
Immagini sparse.
Immagini di “te” se solo fossi qui, poi cancellate,
cancellate senza accorgersene e senza cattiveria, pare
sia la vita, o così dicono.
Immagini di me con gli occhi persi, altrove, perso nel
tenerli a bada, quei maledetti che stanno sempre in
movimento.
Immaginami felice, insomma, col mio sorriso migliore.
Come non capitava da un po’ di tempo.
*
La chiave di volta di questo viaggio fu ad ogni modo
quando compresi perché gli U2 avevano scelto quel
nome, fra i tanti.
La stesa notte feci la conoscenza di Henry, francese,
che viveva in Inghilterra e Raul che viveva in Spagna e
adorava il cinema italiano ed il Milan. Il primo studiava
per diventare ambasciatore. Il secondo conservava idee
in un cassetto segreto della mente per il suo primo film.
Inevitabile amicizia che mi fece comprendere il
significato di due oscure parole, fino a quel momento
retoriche da salotto, come: “unione europea”.
Vi fu da lì in poi una comprensione profonda di ogni
cosa e della mia condizione di turista solitario, o per
meglio dire viaggiatore, esposto alle risatine
imbarazzate delle femmine e alla comprensione delle
mamme universali.
O universalmente riconosciute come tali. Quello che non
dovete fare, però, è di immaginare una comprensione in
stile new age, un qualcosa di così lento e noioso e
radicato. Non pensatelo di me. Di tutti quelli che ormai
procedono solo per intuizioni e vengono rimproverati dai
fratelli maggiori, dagli amici più saggi (ubriachi al
microfono, te lo ricordi Alessandro?)
*
Uno slogan a casaccio, poi, riferito di uscita da una flux
fest, con i suoi repertori di azioni improvvisate ma a
pagamento. “Buy art”, diceva.
Nella sala neutralizzata ti racconto di un uomo che
scrive EXIT a grosse lettere sulla lavagna. Il professore
muto che lo osserva senza capire cosa dovrebbe fare.
Gli studenti appollaiati dietro ai banchi non si muovono,
non parlano, non commentano, si lasciano scappare
solamente qualche risatina adolescenziale. A quel punto
l’uomo con in mano il gesso inizia a fare un po’ di cose,
ad attirarvi l’attenzione. Cose disgustose, cose
indescrivibili per le quali la prosa esita. L’esibizione, se
così la si può chiamare, si intitola “Le cose peggiori che
abbiate mai visto – qualcuno che fermi la realtà” – sta
scritto su una lavagna più piccola, in basso a destra, in
stampatello – e dura grosso modo un paio di ore
sorvolando abilmente le campanelle di fine lezione.
Quasi tutti gli studenti se ne vanno prima della fine e
con lo stomaco in subbuglio escono dall’aula
attraversando la lavagna. Questi retaggi da film di
fantascienza. Per ultimo, ovviamente, attraversa la
lavagna varco l’uomo con il gesso. Il professore invece& “Stop the drunken reality.”
*
(Una prosa che sia ubriaca, talvolta sconnessa, ma
rassicurante i miei cari che la riceveranno in tempo
reale, via mail, del fatto che: (segue elenco di
rassicurazioni)
nonostante stia vagando alticcio su tutti i trenini della
città cercando disperatamente di comunicare la mia
gioia – e che non l’ho fatto apposta, stavolta no, è stato
quel crazy vino novello – a giovani viennesi che hanno
poco studiato l’inglese e mi scartano andandosene
verso il fondo dei mezzi pubblici
nonostante mi siano rimasti i soldi contati per il viaggio
di ritorno (questo, per l’esattezza, il giorno prima “la
cosa”)
e non si stia affatto male qua, quali nostalgie?
ed in ultimo, nonostante (il giorno dopo) abbia avuto il
più classico dei guasti meccanici ed il portafoglio, come
dicevo, vuoto, qua, quale viaggio di ritorno?
(ringraziando i tipi della western union laddove compresi
perchè gli stranieri frequentano quegli uffici e dunque
mio fratello, ringraziandolo of course)
una prosa che gorgogliando sillabe direttamente da
questo calderone che è il mondo rassicuri i miei cari,
come dicevo, che come sempre ritornerò sano e salvo a
casa.)
*
(Una prosa che sia al tempo stesso densa ma con
brusche svolte di improvvisa lucidità che facciano
davvero infuriare tutti quegli adolescenti, gentili lettori,
cascati nel mio tranello, attirati solo dalla leggerezza:
adolescenti crescete!)
*
Niente di così leggero
Vi è nel mondo tutto
Che non scompaia
Nel tempo di –
O meno aulicamente, ieri notte, così stanco, guardavo
Vienna, l’intera Wien da una panchina nel mezzo di un
enorme prato nel distretto collinare di Ottakring.
Dominavo l’intera città con uno sguardo solo e mi era
sufficiente appena una leggera inclinazione del collo, il
movimento di una mano, per sentire i segni di questa
stanchezza quasi diventare un imminente crollo. Il
perché era tutta quell’energia catalizzata dalla mente,
niente di rimasto per il corpo.
Forse Kathi mi stava già osservando attraverso le tende
appena scostate. Ma questo ancora non potevo saperlo.
La città, immensa, sotto di me, non pareva affatto
potente, al contrario. Nell’improvvisa consapevolezza di
essere così piccolo e con la necessità di questa
consapevolezza per poter diventare grandi, o solamente
medi, senza troppe pressioni.
*
La commozione del poter godere dello sguardo bello di
una donna. La commozione, ancore maggiore,
parossistica e nascosta, del poter godere dello sguardo
di una donna, o di due, in leggera penombra, “can we
help you?”, e dell’avere simultaneamente l’intera città ai
nostri piedi, ammonirci con affetto, “ok, my name is” –
Il tutto che avviene simultaneamente. Non esistono lustri
che facciano differenze. Le cazzate cronologiche.
L’anima atemporale. Eccovi un paio piccola verità ad
uso e consumo di tutti noi.
Più in basso, le cosse fatte tutte di una medesima pasta
rimbombano fino ad esplodere di energie “divine” (non
un‘altra parola.)
Esse si manifestano ai nostri occhi in forme così diverse
e affascinanti soltanto per ingannarci la percezione e
donarci l’ennesimo dono, quella passione in più che
crediamo tutto nella vita, meravigliosa vitale e marginale
insieme. La vita prima della vita.
*
(Una prosa un po’ retorica talvolta, ma disposta ad
ammetterlo. Con umiltà e rivendicando le sue circolarità.
Disposta ad essere schernita, a farsi ridicola ma
piramidale proprio per voi, suoi gentilissimi.)
*
Più in basso, le cose fatte tutte di una medesima pasta
assumono queste cangianti forme: donne che leggono
sedute a un tavolino di un caffè e con una mano si
accarezzano una faccia- buste di plastica senza che
alcuna sceneggiatura lo preveda si librano nell’aria a
nostro personale beneficio- uomini corrono, inseguendo
bambini che si nascondono fra le macchine urlando
“mosquito! mosquito!”- macchine danzano sui selciati in
compagnia di vecchie ferraglie a rotaie, questi valzer
viennesi tutt’ora in voga- e ancora le gente coi telefonini,
o con le biciclette nuovissime, o con carrozzine vuote in
gara con carrelli della spesa rubati apposta per rifornirsi
nei vicoli più bui- quella ragazza nella metropolitana che
quant’è vero che io la pensai mi avrà simultaneamente
pensato, forse, nei suoi capelli rossi (Roberto!), nella
sua stanza d’alveare di periferia o in discoteche
rumorose con amici non meno rumorosi- e ancora,
crepe nei soffitti a guadagnare millimetri- sentimenti
passeggiare lungo le strade in attesa solo di qualcuno
che li possa decodificare, fermate i clacson, cazzo!,
fermateli per una notte almeno- giovani in cui
identificarsi agevolmente che ricevono messaggi sul
telefonino inerenti Peter Pan, o “Starsky” and Hutch, o
ancora “il Sassaroli“, come dimenticare “il Sassaroli”- e
ricordi, si, di quei ricordi che non se ne vanno affatto
anche se li vediamo come allontanarsi dai rispettivi
proprietari, invece rimangono, in forme anch’esse
differenti- questo in particolare, ficcatomi, in forma di un
pedaggio autostradale fra Vienna e Berlino, che
differenza faranno mai quattro o cinque anni trascorsi,
Massimo, al bancone di quel locale dark a chiacchierare
con Sasha e l’amico di Sasha di Alvaro Vitali e politica
italiana, meraviglioso, te lo ricordi Massimo?
Che la città contenga tutto, questo è innegabile. Questa
città contiene persino questo taccuino, fitto, fitto, scritto
fitto.
*
Siamo così piccoli dunque. E che nessun pessimismo
venga tirato in ballo per questa semplice e smagliante
verità, nessun allarmismo, nessun rinuncismo, nessun
piccolismo, nessuna maledetta parola in ismo, ecco. Mi
limitavo a dire che siamo piccoli.
E così fieri di esserlo e talvolta così lucidamente
consapevoli da avercela qualche chance in più, nella
vita. Piccole le nostre utilitarie con le marmitte dentro ai
bagagliai in grandi buste di plastica. Le vedi riflesse
negli specchietti retrovisori altrui.
Scritto dal tavolino di un caffè, davanti a me, tocco la
strada che è una televisione. Il meccanico a cui ho
insegnato qualche parola di italiano fra non molto mi
riconsegnerà l’auto.
Qualcuno che mi aspetta anche in questa città
sconosciuta.
Irrompe.
*
Kathi la vedo per la prima volta e immediatamente, a
causa di uno scatto mentale di cui liberarsi, la penso
irraggiungibile. E’ bella. In ogni caso le sorrido molto,
quasi non mi riesce di fare altro, e Kathi mi sorride in
risposta –
essere cortesi coi clienti, essere
professionali, essere in ogni caso gentili con le creature
– e mentre io credo che pensi che io l’inglese potrei
anche non tentare di parlarlo affatto, per quel che conta,
lei sta forse pensando che ho un bel sorriso, e che sono
dolce, e che le piaccio. Kathi sulle scale, qualche giorno
dopo, sono dentro ai suoi occhi mentre me lo dice. Kathi
che invidia noi quando parlammo in italiano davanti a lei
e le notai lo sguardo oscillare fra le mie e le altrui labbra
a cercare di capire e di cogliere quanto più poteva. Kathi
davanti ad uno specchio quando si osserva ed una
lacrima le scivola lentamente sulla guancia. Le spalle
sul punto di iniziare a vibrare. Kathi odia i soldi. Mentre
me lo dice davanti ad un bicchiere di vino della regione
dell’Austria da cui proviene, mentre me lo scrive in una
mail digitando con le dita sottili (hate money). Kathi che
verso sera inizia a scostare la tendina dell’ufficio e
guardare fuori sempre più spesso, Vienna dall’alto però
desiderando Berlino, ripensando agli anni di Berlino, a
cose di cui io non so quasi nulla. Kathi la mia
insegnante, Kathi con la quale capirsi non è stato più un
problema una volta che abbiamo iniziato a desiderarlo.
Camminare con lei per Vienna mano nella mano, come
due ragazzini, sapendo entrambi del poco tempo che
avevamo. Correre con lei. Guidare con lei a fianco.
Ridere e dire sciocchezze pensandone altre ancora da
dire subito dopo solo per vederla ridere. Non perdere
mai né per troppo tempo il contatto fisico, anche solo
grazie al gesto di un dito passato sopra il suo ginocchio,
o sul dorso della mano. Kathi che pensa tutto quello che
ci sta capitando sia speciale e me lo dice quando ne ho
bisogno. Kathi che mi bacia e che si lascia stringere, si
lascia toccare, la consistenza del suo corpo e il suo
calore, Kathi nel momento appena prima di lasciare che
ci si conosca, il suo sguardo. Kathi quando sembra
fragile e quando sembra invece inarrivabile, parte di un
altro mondo, che mi è precluso. L’odore di Kathi, Le
dita di Kathi. Il suo modo lieve di baciare. Rimanere nei
capelli di Kathi, steso al suo fianco, quasi in silenzio
come a rendersene conto, sotto alle nuvole prepotenti
dell’Austria. Il suo modo indimenticabile di pronunciare il
mio nome. Gli occhi di Kathi e il suo sorridere sereno. Il
troppo poco tempo.
*
Il troppo poco tempo e la violenza di questo dover
ritornare sui propri passi, a casa.
11
Zapping
le cose come le vede Dio
“Vorresti ‘sprosarmi’?”
Le chiese lui. Lei non fece una piega. Apparentemente
fu come se nulla fosse accaduto. Nemmeno il vento che
imperversava sulla città sembrava averla sfiorata dopo
quella domanda. I suoi deliziosi capelli biondi, quella
frangetta, immaginata così tante volte prima di
addormentarsi e ripercorsa con la mente, in un paese
straniero e lontano, quando solo il ricordo, tutto rimase
assolutamente immobile.
Quanti di voi hanno un ricordo del genere? Conoscono
l’emozione. Sanno quanto può essere lungo il momento
prima della risposta, l’attesa, una vita in mezzo che si
sframmenta nelle direzioni numericamente possibili,
concepibili in quel momento di variabilità infinite.
Lo snodo. Concentriamoci contemporaneamente e tutti
su di uno snodo, vitale. Uno di quei momenti.
Accostiamo le inquadrature, o sovrapponiamole, è
meglio, si. Un piano americano che ci sorprende con
quell’espressione dolcemente incerta – e diciamolo,
vagamente ebete – appena prima della scelta. Una
carrellata a 360 gradi sulla pianura che si è fatta
polverosa. Il vento improvvisamente alzatosi a cui, ora,
dovrete attribuire un qualche significato simbolico. E,
infine, una futuristica inquadratura dagli studi televisivi
lunari con tanto di zoom interstellare che ci rivela agli
occhi di tutti esposti e così piccoli.
Minuscoli.
Di fronte allo snodo non c’è assolutamente il tempo di
mettere le quattro frecce e ragionare, temporeggiare
bevendo spuma, calcolare le infinite variabili ci
manderebbe in tilt dopo poco. Occorre osare.
Osammo ben sapendo che fino al giorno prima le cose
andavano bene, tutto sommato.
*
C’è da dire che l’uomo con la blusa colorata sa che una
cosa mai immaginata prima purtroppo non potrà
diventare ‘cosa’. E dunque concepisce, parla, registra
sé stesso e attraverso sé stesso – continuamente.
Probabilmente sarà condotto alla follia. Parleranno
delle sue creature come di cose folli e lo combatteranno.
Allo stesso tempo, lui sa, di questo suo percorso e di
come prima o poi lo condurrà dalle parole alla vita vera.
Questo è ciò che vuole. Quello che gli dà energia.
*
“Il giorno prima il giorno dopo, intendevi dire?”
Non risponde. In sottofondo c’è questa melodia
martellante su base elettronica. Troppi pochi decibel.
Una luce color magenta invade lo spazio. L’immagine
svapora e non te ne accorgi quasi.
*
In questo momento ci ritroviamo invece in una sala di
cui non si riescono e vedere le pareti ma con il soffitto
esageratamente basso. Quelli un po’ troppo alti sono
dovuti rimanere fuori. Dentro è affollatissimo e l’odore è
la cosa che più vi colpirebbe. Siamo nel 19888, ebbene
si, avete letto bene.
Ne sono successe di cose ma quelle rilevanti sono
davvero poche, a ben vedere. I tempi delle prime crisi e
delle prime preoccupazioni apocalittiche. “Gli alieni
siamo noi” e il primo esodo. La scoperta del tenorio.
L’immobilismo pacifico dei lunghi medio millenni.
L’illusione della vita eterna e la catalogazione giuridica
dell’anima. L’abolizione ufficiale della memoria collettiva.
Per una strana congiunzione di cose ci ritroviamo in una
situazione paragonabile grosso modo a quella di 17881
anni fa.
Alla luce di tutto questo solo pochissime persone sono
leggermente differenti. Non si sorprendono. Non si
sorprendono. Non si sorprendono più.
La vita un affascinante loop, dunque.
*
Di notte passeggia cercando di sudare il più possibile –
gocce di liquido viscoso di cui vuole liberarsi, fossero
necessari anni – e di giorno guarda la televisione per
ore. Con l’audio spento. La ascolta per ore, invece,
quando per la stanchezza è costretto a chiudere un po’
gli occhi. Parallelamente si allena nell’arte del minor
sonno. Un dispositivo di sua invenzione cambia canale
per lui. Non deve fare altro che starsene lì e assorbire,
nutrirsi e andare al bagno, ecco tutto. Sente lo spazio
della sua consapevolezza diventare sempre più ampio
grazie a tutte queste immagini, questi suoni assorbiti.
Ma è il rituale delle notti, il camminare instancabile, il
riferire al vento, che gli permette in
realtà di
concretizzare questa sua evoluzione e farla diventare.
Come in un ciclico processo di riordino della memoria
ogni mattina tutte le cose dentro hanno assunto il loro
miglior posto, rispetto alle altre cose e a lui. E’ possibile
ricominciare.
*
In un “angolo” della sala bassa potremmo sentire questa
conversazione fra adolescenti ma solamente se
sapessimo leggere il labiale.
“Cazzo di musica assordante.”
“Che cosa ci vuoi fare. Senti, com’è andata ieri sera alla
fine?”
“Tutto regolare. Le solite cose e i soliti posti.”
“Ah, ok. Bello.”
“E’ successa solamente una cosa. Pare che Leila si sia
infuriata per quelle cose che hanno iniziato a dire sul
suo conto per via della faccenda con Loris e per tutta la
sera non ha aperto bocca. Eravamo qua. Non diceva
una parola, credimi.”
“Ah, beh. D’altra parte. Cazzo di musica assordante,
come poteva, non trovi?”
“Mmh. In effetti si, devi aver ragione tu.”
“Andiamo dagli altri che dici.”
“Andiamo dagli altri.”
*
Le signore inizialmente lo seguirono con lo sguardo,
concentratissime, interrompendo di colpo la loro oziose
meditazioni. Poi, dopo avere notato in quale direzione
andava, presero a seguirlo fisicamente ma mantenendo
una certa distanza. La notte era una delle solite notti
afose e dal cielo limpidissimo tipiche dell’estati di quelle
parti. Lui era vestito con una lunga blusa di lino dai
colori sgargianti e con vistose pezze sulla schiena.
Indossava mocassini esageratamente lucidi e svariati
altri particolari nel suo abbigliamento non erano
riconducibili a nulla di convenzionale, anche solo negli
accostamenti. Nella zona lo conoscevano tutti, abituati a
vederlo esclusivamente di notte, passeggiare.
L’immagine complessiva che coglievi nel vederlo
passare era di un qualcosa di assolutamente sgraziato e
il particolare brusio, quel parlottare sommesso che
proveniva dalle sue labbra contribuiva in larga misura a
questa impressione. Una volta entrati nel sottobosco
tutti loro, con diversi gradi di consapevolezza, sentirono
con sollievo l’aria farsi meno pesante e irrespirabile. La
pelle come frizzare per l’improvviso cambio di
temperatura. Quando fu nei pressi della radura le
signore diminuirono la distanza che le separava da lui e
provarono a distinguere qualche parola di quelle che
sembrava pronunciare in un ciclo continuo e
inesauribile, senza un calo di tensione nella voce, in
modo assolutamente innaturale. A interrompere tutto fu
il classico ramo spezzato. Il giovane si voltò e con uno
sforzo enorme di concentrazione mise a fuoco le due
sagome dietro di lui, nel buio del sottobosco. Le
conosceva. “Giovane, non andare di là. Perché non
ritorni con noi verso le strade illuminate, eh? E’ che
passi troppo tempo da solo. Non ti farà bene alla lunga,
credici.” Lui non sapeva, in quel momento esatto, nei
pressi della radura, né dello snodo né di essere stato
ritratto in queste pagine come fonte d’ispirazione e
narratore di tutta questa parola. Le signore invece non
sapevano quasi nulla, come avrebbero potuto.
Esistevano parallelamente alle cose. Anche io. Non
importa davvero dove mi trovassi. Quel che conta è che
lo sentii rispondere “non sono affatto solo, ho una vita
interessante, non immaginate” e lo vidi sedersi a gambe
incrociate iniziando ispiratissimo a raccontare al suo
pubblico, senza imbarazzi. Lo ascoltammo tutta la notte
fino a dentro il sonno.
*
Fine della prima parte.
*
La seconda parte inizia così ed è in realtà la
continuazione di una prima parte parallela, non
esattamente quella di prima, o di una diciannovesima
parte cha ha filiato conseguenze e diramazioni narrativo
emozionali a spasso nel tempo, avanti e a ritroso,
oblique nel tempo. Non esistono separazioni se non
quelle che ci sono utili.
Gli sciocchi che tentarono di fermare il fiume a mani
nude morirono travolti dai gorghi che si formano
ciclicamente. La materia vitale ha un’energia propria ed
un proprio percorso, cosa credevano. Le dighe sono
meravigliose soprattutto nel momento in cui l’acqua
inizia a filtrare, le crepe ingigantirsi, tremendi suoni
nell’aria, gli spasmi muscolari del cemento prima dello
schianto.
E del ripristino delle cose.
Un terzo dei calcolatori di un istituto segreto parallelo
alla Nasa sta tentando da alcuni decenni, ma senza
successo, di trovare il complesso di formule
matematiche che rappresenti l’universo. C’è da
considerare che i contribuenti, all’oscuro di tutto, nel
caso impossibile che l’obiettivo venga raggiunto non ne
avrebbero comunque alcun vero giovamento. Si tratta di
un tipico capriccio del re, insomma.
E dunque siamo dentro al vitale mutamento di una
porzione di mondo. Rappresentata su queste pagine a
beneficio di occhi che le useranno per abituarsi alla
luce. Parole, grammatica a beneficio di piccole menti. La
posticcia divisione in parti a beneficio invece di quelli
che nelle pause ne approfittano per continuare a
lavorare, o per andarsene in bagno, aprire il frigo,
controllare la cottura del sugo.
*
Semplicemente. Le cose come le vede Dio quando fa
Zapping.
*
Prosieguo della 33° parte. Pochi lo sanno. Fu nel quinto
dei sette giorni che venne creata la polvere proprio a
farci comprendere che l’immobilità delle cose non può
esistere e per quel poco che esiste, sempre che esista,
è semplicemente da considerarsi brutta. Questo gli
permetteva inoltre, a Dio intendo, di non arrossarsi gli
occhi per la nitidezza delle immagini durante l’orario di
lavoro.
In case disabitate da anni gli oggetti rimasti, i piccoli
elementi di mobilio che riempiono gli spazi malinconici,
si muovono impercettibilmente. Talvolta, occasionali
scosse telluriche accelerano questo inevitabile
processo. All’incirca ogni dieci anni ci sono dunque
oggetti che si inclinano sfaldano e cadono verso terra
producendo graziosi rumori che lo fanno sorridere. A
Dio intendo.
La luce verde prodotta dallo schermo di un cellulare che
nella notte si accende per un messaggio ricevuto viene
riflessa dallo specchio ai piedi del letto. Mentre loro
dormono nudi nell’oscurità quasi totale della stanza.
Nessuno la può dunque vedere. Forme di bellezza
misconosciute.
E ancora. Tutte le creature, comprese quelle a sangue
freddo, che brulicano nello strato superficiale della
crosta terrestre appaiono da molto lontano come uno
sfondo di piccoli puntini luminosi. Sopra di esso si
stagliano talvolta pochi centri ma di un’energia così
intensa e dai colori smaglianti, catalizzare e disperdersi
ed essere in collegamento col tutto circostante, fatto
invece come di onde, colorate anch’esse, che mischiano
i loro flussi in un disordine ordinatissimo.
Ogni giorno, quest’incredibile e meravigliosa danza si
ripete.
*
La selezione casuale delle piccole scene quotidiane.
Una di x, proseguiamo.
La ragazza con la frangetta bionda e il corpo atletico e
scattante mentre cammina fra la gente che invade il
marciapiede e abilmente li scosta per passare oltre, gli
scivola a fianco, cambia repentinamente traiettoria per
superare i gruppi più compatti e ostinati. Il tutto con
grazia e senza dare veramente l’impressione di essere
nervosa e in ritardo, come realmente è. Verso il
sottosuolo. Quando arriva al terzo livello inferiore legge
nel visore un numero e si blocca, rallentando il respiro. Il
treno arriva dopo un paio di minuti. E’ poco dopo essere
salita sul mezzo, gli sportelli che le si richiudono alle
spalle, che con stupore si ascolta rispondere “Si. Si! Lo
voglio.” Quelli intorno la guardano perplessi per un po’ e
poi non la guardano più. Non si sorprendono. Non si
sorprendono. Non si sorprendono più.
*
E in ogni caso, nonostante tutto sapesse e prevedesse,
capitava anche a lui, talvolta, di essere sopraffatto
dall’emozione. Non c’era polvere che tenesse in quei
momenti. Quelle scene meravigliose, quelle in
particolare in cui avvenivano i contatti. Mamme che
nelle sale parto ricevevano i loro bambini in dono e li
stringevano a sé. Ragazzini le cui ginocchia si
sfioravano sotto i tavolini dei bar. Persino la gente che si
urtava goffamente lungo la strada domandando
sbrigativamente scusa e proseguendo – ma
impercettibilmente diversi – verso i propri impegni lo
faceva emozionare e divertire insieme.
E sapete chi intendo.