10 - sergiobottoni
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10 - sergiobottoni
indice 00 - DISCLAIMER e di una notte disclaimer - inclassificabile - timide giustificazioni poetiche 01 - IO ODIO LE DOMENICHE autobiografia minima l'incipit convincente - avreste dovuto - non principiare mai una frase con una congiunzione do.charlieparker.candele - prosieguo. il suono della parola prosieguo - delle mattine e delle urgenze tutta colpa di RS - riorigine - l'ultimo disclaimer, giuro 02 - LE MILIOPARTIZIONI un bis trattato poesia, l'alibi della - miliopartizioni - zentrifuge - end neu - cinico poesia - pluridimensionale - ending ovation, o del sollievo 03 - INTO A GREMBO in dialogo serrato con me stesso 04 - LINEE DI LINE labirilinee il mondo è al di sotto - dialogo fra due desideri 05 - L'INSOLITA ALLEGRIA DEI KAFKA'S adolescenzia e appartenenza k0 - k1 - k2 - k3 - k4 - k5 06 - LADOLESCENZIA un inciso trattato definizione - specifiche - postilla - "postillanime" (sei un) 07 CARBURANTE personaggi a margine quelli che aspettano carburante - struggenti & metropolitani - Igor è un obeso senziente seduto davanti a uno schermo - un altro risvolto d'Igor intermezzo: per 100 euro - Lola in una stanza poco lontana controlla la contabilità dei mesi - rivolta a nessuno dei miei personaggi - intermezzo del tutto impersonale - intermezzo: a sera si profilano i profili - Vanja l'immagino bella abitare appartamenti eleganti - tribute to Cohen's brothers. quello che le donne sentono - Levin è un adolescente che si mimetizza nei bar di Corso Italia - intermezzo del necessario per predisporsi all'apocalisse - coniugale sferica e manomessa relativamente a Moni e Lele intermezzo degli ospedali e che è vietato suonare il clacson - Dejan sull'erba del arco è un postmoderno Siddharta - intermezzo: per 1000 euro - il cliente ha ragione sempre e il pubblico è pagante - Boris è il promettente portaborse di un parlamentare intermezzo dei pesci - this is the end my only firend the end 08 - LE MILIOPARTIZIONI "sprose" e reprise a casa - durante il tragitto - all'ufficio pubblico - per ammazzare l'attesa - la (sottile) linea gialla - i moduli sono da compilare - recapito e chiusa 09 - DE JO prodromi di un viaggio davanti allo specchio - oltre le tende - senza darlo a vedere - ancora più vita - a costo di - brucio negli occhi 10 - LE SPROSE VIENNESI il viaggio 11 - ZAPPING le cose come le vede Dio 00 Disclaimer e di una notte disclaimer Il presente testo è opera di semifinzione. Le persone, i luoghi, le date e gli avvenimenti citati nelle pagine che seguiranno prendono avvio perlopiù da realtà prossime al microsistema dell’autore ma non per questo corrispondono esattamente a ciò che davvero è accaduto. L’autore stesso è il primo, una volta che si ritrova a leggere le sue stesse opere e passati un certo numero di giorni dalla loro prima stesura, che non è più in grado di riconoscere cosa sia reale e cosa lo sia di meno e quali fatti reali possano essere all’origine di determinati frammenti o passaggi interni al testo. L’autore si dice beato di questa utile inconsapevolezza. Dice infine di essere “pienamente d’accordo a metà” con se stesso. * inclassificabile Il presente testo rifiuta ogni classificazione e per tale motivo l’autore ha deciso di non essere il primo a incollargli una qualsiasi etichetta – un romanzo breve, un poema, uno sventato racconto lungo, probabilmente un insieme di sciocchezze – ma cercherà altresì di confondere il più possibile le acque facendo di queste pagine una mescolanza di generi, stili, voci, linee narrative, insomma “un’assoluta confusione di intenti”. Espressione che fra l’altro rispecchia fedelmente quelle che sono le condizioni psicofisiche dell’autore (cioè io) al maggio 2007, data verosimile in cui ne è stata tentata la prima stesura complessiva. * timide giustificazioni poetiche Non so fare altro che questo mio chiudere gli occhi lasciare salire la musica dal fondo, passarmi una mano sull’addome nudo, sudato, e fremere come fremono le dita se lasciate libere, di non so fare altro che leggere del mondo, dalle finestre, scostare poco le tende e così riportare il mondo alla dimensione mia della scrittura, e solamente mia, quel riproporre il caos che spaventa; non so fare altro che respirare a fondo e non abbattermi mai e ironizzare ironizzare traducendo le magnolie il pescivendolo e la bellezza o la viola inquietudine in una frase, così, altro che vivere di questo molto e lamentarmi per tutto il resto che accettai, ventisei anni fa, è tempo di dire, non so fare, io non lo voglio fare, non voglio nemmeno impararlo, il tuo modo ed il vostro blaterare mi è osceno, siete pulcini, pezzenti di quei puzzle esistenziali che sulle tavole delle vostre cucine stanno malinconici e incompleti fra tazze di caffè, con solo il bordo intorno e nessuna immagine che si imponga, a chi guarda, nessuna, un misero posacenere a margine. * Fin qui il rifiutare: voi; l’accettare di non essere speciali o gli esseri speciali che ci volevano, e quant’altro – ma nel ripartire il ripartir mi stanca, ogni mattina, quel piede posato e già molle nel suo primo passo con l’intercedere dei pensieri sulla giornata e già oltre, tutte le cose che non mettemmo in fila, ieri, ieri l’altro, ancora prima e i dopodomani di sole ventiquattro banali ore (scrivere di cose vere, ricorda) dopodomani di sole imposizioni di altri o imposizioni nostre per amor di altri prima che diventi rabbia, “osa!”, ma in gabbia (il ragazzo esperto di libertà intelligenti in giornate spese attentamente a soppesare energie e diplomazie poco devianti, compensato dall’effetto dei cari, dal loro costante esserci non esserci senza colpa) che ci facciamo compagnia da soli, perlopiù, una di alcune verità di questa notte – da soli davanti allo specchio o riflessi sulle piastrelle tristi di questa cucina è come se ci dicessimo “concedo fin qua alla ribellione, non oltre, mi concedo solo fin qua”, dicessimo, andando poi a capo. * Pochi secondi per premere un tasto e dimenticarsene, di questo grido in versi, le quante volte è già successo due ore zero tre minuti per terminare questo libro, voglia di farla finita, di rinunciare alla penna stendermi sul divano sfiatare accarezzare il telecomando. Si ringraziano in ordine sparso Giovanni Trapattoni, Henry Miller, Dave Eggers, gli Afterhours e i miei cari che al di là di tutto mi sono e mi saranno sempre cari. 01 Io odio le domeniche il lancio l’incipit convincente “Ero una volta giovane e aggiornato e lucido” e sapevo correre di notte in preda alle passioni, a più di una contemporaneamente e mi divincolavo insieme ad altri corpi, nel letto li baciavo e li accarezzavo facendomi accarezzare a mia volta ridendo come chi ride davvero delle cose di questo strano stranissimo fottuto e ingiusto mondo mostrandogli le gengive da cavallo che mi ritrovo e che mi fanno vero, imperfetto camminavo o fingevo di studiare o di far colpo sulle donne, sui loro genitori, sui lettori e sui docenti che mi assegnarono il massimo dei voti così spesso che ogni volta stavo fra l’incredulità e l’orgoglio di meritarmi quello o solamente il massimo da ogni altra cosa che la vita mi potesse, offrire solo e semplicemente per il fatto che la offrisse a me, Sergio. E’ il mio nome. Il piacere, mi augurerò, vostro. avreste dovuto Avreste dovuto leggere le poesie che scrivevo. Che poi, il primo di innumerevoli incisi, di incisi degli incisi – ero io quello che le chiamava poesie – senza vergognarmi ma ben fiero e a testa alta avendo superato da un po’ di anni quel particolare tipo di ritrosia che mai ti permetterà di essere uno scrittore o di tentare la carta senza che, per dire, tua mamma, il tuo miglior amico o meglio ancora, generici amici possano un giorno e per noia parlarne a qualcuno di importante ma che ancora non sa chi tu sia, di quella tua follia, della scrittura e di quel tuo crederti chissà chi, chissà quale personalità da salotto, quale mente sopraffina o perlomeno interessante, per la quale valga la pena di ascoltare raccontare, o che la cosa – che io scrivevo, scrivevo, passavo intere ore invece che a studiare a scrivere, a penna a matita a computer e persino col vino nelle vene, col sangue, dalle vene, scrivevo – perlomeno si sapesse in giro; avendo superato quella fase dunque della ritrosia e non avendo incominciato ad intuire che non dovevo mai pronunciare la parola poesia in pubblico o pensarci troppo su, io nelle mie nottate solo mie scrivevo le poesie, semplicemente. Le facevo piene di passione e di amore per la vita, strane parole, neologismi inventati per l’occasione, giochetti, scherzi cifrati solo per gli amici, nascosti agli altri, citazioni più o meno colte, segni di interpunzioni inusuali e abusati quel tanto che bastava perché dessero un’impressione falsa d’avanguardia nonché, piene di una certa inquietudine esistenziale, a tratti eccessiva, di cui sono arrivato a vergognarmi in secondi momenti, con la maturità. Avreste dovuto leggerle, ad ogni modo. non principiare mai una frase con una congiunzione E avreste dovuto vederla, quell’angioletto inaspettato che capitò a un certo punto nella mia vita un po’ anonima di adolescente prossimo alla giovinezza. Vi dico solo che avreste dovuto vederla, per il momento, senza dover forzare la descrizione, e voi farete in modo di credermi sulla fiducia – che dunque daremo per acquisita, di già, dopo le poche pagine – sentitevi ecco, un poco scossi come se in questo momento ce l’aveste di fronte a voi e provate a immaginarla a partire dai suoi lineamenti che io ho qui stampati indelebili nella mia mente, inamovibili, taglienti e dolci e ingenui e giovani così freschi e così morbidi come solo su una diciassettenne che ti guarda diritto negli occhi piena di gratitudine per la giornata che sta vivendo con te e che sa che ti ama, che l’ami, che sai che l’ami e che lei ti ama. Immaginatela solo per queste poche informazioni e per quei sette intensi anni che non saprei davvero come raccontare, ancora, in quale altro modo e con quali forme non ripetitive – a volte come l’impressione di aver scritto finora sempre e solo e strenuamente di lei, lei, solo di lei – come scriverlo senza che questo magone mi s’intoppi in gola mi s’ingrassi nello stomaco, senza che questo pugno, ben dato, mi stia colpendo proprio mentre digito le parole: “ed io che non ho nessuna volontà reale di schivarlo”. Un suono attutito dai vestiti contro le nocche e di ossa e di corpo che mi accascio infine qua per terra. Lettere interro tt e sullo s c hermo caden. do. Charlie Parker. candele Una sigaretta appena dopo accesa. Un paio di tiri sufficienti. Quest’incipit del quarto frammento. Non credo nelle convenzioni artistiche e meno ancora credo nelle mia parole quando si atteggiano a piccoli manifesti sghembi abbandonati in qua ed in là. Le gambe del tavolo costruito da mio fratello ed io, una decina di anni fa, appaiono molto più solide a qualsiasi mente ragionevole. Un dato di fatto almeno. Qualcosa di utile. “Utile?” L’utilità dell’utilità è a tutt’oggi incerta. Anch’essa incerta. Non credo quasi più in nulla ed esattamente questo è uno di motivi che mi spinge a scriverne. prosieguo. il suono della parola prosieguo Che ero una volta giovane e lucido e aggiornato e che sapevo quel che sapevo, e lo sapevo bene, anche se ora non mi sembra di ricordarlo più. Come se mi muovessi per il mondo con sempre maggiori cose da fare, da organizzare, impegni e appuntamenti, responsabilità e scadenze, senza rendermi mai davvero conto delle cose che faccio e di quello che comporteranno. Con le conoscenze prosciugate dai troppi ragionamenti e dalle troppe filosofie abbracciate e dalle troppe esperienze che in ogni vita, persino nelle più immobili, finiscono per accumularsi. Quella volta che ballavamo hip hop in una discoteca bulgara con le nostre facce poco in sintonia col posto e le risate ininterrotte e i prodromi di una rissa sventata. Quella sigaretta buonissima, una delle meno salubri della mia vita a esser sinceri, fumata dopo aver asceso il monte con ancora l’imbragatura indosso e i moschettoni e le corde da dieci metri e la vista immensa, quota tremila metri all’incirca, la vista che ci circondava lo sguardo e non c’era modo di fuggire dall’incredibile bellezza, non c’era spazio per alcun pessimismo, alcuna critica o bestemmia, niente di niente. Quelle volte che bastava voltare lo sguardo dalla strada per vederti reclinata sul sedile di fianco con i piedi nudi sul cruscotto e quelle tue espressioni leggermente nervose, in perenne positiva ansia. Tutte le altre volte. Milioni di ricordi, di minuscole sfumature del sentire accumulatesi dentro. Miliardi di parole lette sui libri ben scelti o ben consigliati. Decine di miliardi di secondi dedicati con tutto me stesso alla mia personalissima ma smisurata forma di amore per questa vita capitatami così. Ben felice, ecco. Che ero una volta giovane e lucido e ben felice, senza forzature, così com’ero. delle mattine e delle urgenze Chi di noi non adora quei brevissimi momenti in cui dopo aver appena aperto gli occhi, la mattina molto presto, sentendoci ad ogni modo sorprendentemente riposati, muovendo un poco le gambe intorpidite e riacquistando gradualmente la sensibilità della pelle nel contatto con le lenzuola calde, sentiamo la mente iniziare a prendere visione delle cose di questo mondo grazie a semi pensieri ora slanciati verso la nuova giornata, ma senza ansie ancora, badate bene, e dentro ben felici delle piccole cose che, solo ora iniziamo a ricordare, dovremmo impegnarci a fare – colazione innanzitutto, recarsi al lavoro, all’università, dall’amante, fare l’amore di mattina presto, la solita strada da percorrere o nuove altre, i figli nel frattempo o la moglie, la compagna, qualche amico verso sera o quel progetto che avrebbe bisogno di una sterzata brusca, il corpo di lei appisolato al tuo fianco, non importa precisamente cosa – ma la voglia e l’urgenza lieve del vivere un’altra volta ed ancora a pieno, “le ore”. tutta colpa di Regina Spektor Al contrario momenti come quello che seguirà capitano esattamente quando ti sembra che le cose stiano andando per il verso giusto. Sovrappensiero spingi il tasto play del tuo compatto. Senti alcuni suoni, innanzitutto, un pianoforte e uno strumento indefinito. La sua voce. irrompe Colpa delle sua voce, ti dici. Le cose che senti si moltiplicano e si moltiplicano e si moltiplicano e non troveresti le parole per spiegare perché tutto ad un tratto ti sorprendi a piangere, senza lacrime, segretamente, piangere dentro tanta è la freschezza che ti si riversa addosso dalle casse e tante sono le sensazioni fra quelle che ti è capitato di vivere e quelle che ti hanno invece raccontato ai tempi in cui le persone a te vicine ti sceglievano come idoneo per dirti le loro cose più intime e regalarti preziosi contenitori che tu contenevi a tua volta lascando i tuoi amici, dopo un paio di birre, o chilometri macinati, ritornare per la loro strada un po’ più sollevati – e le sensazioni che infine vorresti ritornare a provare e sono mesi su mesi che. riorigine “Ho camminato nel mio libro cercando pace.” l’ultimo disclaimer, giuro Che non si pensi, però, erroneamente né senza intuire quanto lontani si sia dalla realtà delle cose al fondo delle parole, ad una resa, per dire, al tedio o alla malinconia della debolezza. Che non li si immagini alimentati dalla noia muoversi come fantasmi dentro quattro pareti, peraltro sempre le solite. Queste barbe lunghe non curate. Queste occhiaie. Nascondere lo sguardo ai passanti. Chinare la testa. Ridere senza risa. Muoversi senza malizia e parlare senza enfasi. Sarebbe un’ingiustizia nei loro confronti e sarebbe, perché no, addirittura anacronistico considerare la faccenda in questa ottica. Ce li immagineremo, dunque, ben sapendo quello che diciamo dal momento che qui si tratta di noi e delle nostre ossessioni e di questo amalgama emotivo del nuovo millennio, assolutamente bendisposti verso la vita nonostante l’interminabile attesa di. Dentro quest’interminabile attesa nel miglior modo che conosciamo, vestiti di anno in anno sempre meglio, capaci di indossare pantaloni di un arancione sgargiante con invidiabile disinvoltura. Capaci di sorridere alle infermiere che lavorano da millenni dentro i reparti di morte. Forti. Tenaci. Simpaticissimi se ci versate un bicchiere di vino ogni tanto e ci ascoltate sproloquiare facendo ampi gesti, talvolta, raccontare nemmeno un ventisettesimo delle cose che ci passano nella mente e raccontarle bene. Con le pause al punto giusto. Con autoironia e i giri a mille. Tutte le serate a teatro, senza biglietto, l’entrata è popolare, venghino. Tutte le giornate impegnati invece ad auspicare cose per le giornate che verranno elaborando infinitesimali strategie per ‘metterlo nel culo’ al destino, e scusate il francesismo. Leggeteci fra le righe. C’è tanto di quello spazio fra le righe. Io vi dirò solo questo, per il momento. Dovete immaginarci stanchi, questo si, immaginateci stremati. Si ringraziano, per virgolettati, per affetto musiche e altro ancora, Jack Kerouac de ‘I sotterranei’, il coro delle voci bulgare, DFW, piccolakappa, il SELF e mio fratello, Micheal Cunningham, Regina, Anais Nin e solo alcune fra le infermiere. 02 Le miliopartizioni Un bis trattato poesia, l’alibi della Venne la notte da principio filtrata dalle sbarre con il freddo vennero le note in coda tenue a rilassare il soggetto ingenuo è il soggetto ideale: non riflette ma osserva, lui sente, si fa spazio e disperdesi nelle note, irrompe la guardia: ci trascinano tutti via improvvisamente di sgomento, là dove s’interrompe la traccia, scratch, “come sei veramente?” ci chiederanno ed il movente ci chiederanno e saremmo soli al cospetto di una poesia, l’alibi della – l’entropia che infine delibera e altro che segue, a valle, rotolando come. * miliopartizioni Facciamo un salto nel vuoto dentro alle miliopartizioni. Accostiamole senza riserve ad opere fondamentali dell’ingegno umano quali il materasso, la nicotina, la gioia indotta, l’organizzazione degli spazi mensili in un foglio, serrato, è il calendario delle incertezze quando rimane strozzato come il collo della bottiglia lì al vostro fianco, miei cari. Accostatele dunque alle migliori iniziative mai concepite e per esempio, leggo e riporto, a cose come gli studiosi hanno disegnato una mappa dei sentimenti e delle pratiche sessuali. Cha cambiano con le latitudini e le culture. Buono a sapersi, pensai. Signorina, cancelli immediatamente tutti i miei impegni precedentemente assunti e si prenda decine di giorni liberi. Acquisterò biglietti d’aereo verso mezzo mondo. * zentrifuge Essenzialmente dimostrativo il contatore delle volte in cui svoltammo l’idea pupille nevrasteniche e flash a ripetizione, la necessità del collirio il leggere le avvertenze all’esistenza che sia, almeno un comportamento saggio al giorno, uno dico, è questa la prescrizione, la perdizione s.s.s. spezzasi dita a domicilio, iper insoddisfazione dell’esito poesia, l’alibi assorto ad ideale del bello condivisibili o meno: banalità. * Fra le varie cose di cui è preferibile rimanere all’oscuro occorrerebbe comprendere anche le presenze in abito elegante che camminano sui marciapiedi, nonché le stesse, che con vestiti malamente accostati, e in un secondo momento e rincasate le quali controllano minuziosamente i tabulati delle conversazioni, esaminano le lettere, cliccano sempre più stanche le mail, annottano frammenti di sms. Tutto questo per introdurre il come feci a venire in possesso del dialogo del quale non ho affatto memoria ma che ci vede, mio caro, entrambi protagonisti. “Viviamo nel caos, non lo nego affatto, si parta dunque da qui. Non dovrebbe interessare a tutti quello che ne dovrà prima o poi derivare?” “Buono il punto di partenza. Ma la tua domanda è nel complesso mal posta.” “Credi perlomeno che la strada sia quella giusta?” Tacqui. “In quale altro modo ne potrei parlare?” Ti risposi nel silenzio. * end Neu. Alle volte pensiamo un tutto questo realmente eccessivo, capita, se intenti a non perdere la metropolitana, o il varco nel traffico delle città, e siamo mossi, come se movimentate le interiora in un crescendo di budella piene l’ansia via via la confusione percettiva perlopiù dagli occhi – sono come ritagli di giornale conservati nelle tasche bucate, tutti questi ricordi persi camminando lungo il marciapiedi di destra li raccoglieranno i filippini dei semafori, senza più monete ormai, un tutto questo realmente eccessivo. La necessità di un intervento alla radice. * “Una volta ci si interrogava sul senso del soffrire, oggi su quello dello stesso esistere. Che non appare privo di senso perché è tormentato dalla sofferenza, ma al contrario appare insopportabile perché privo di senso.” (Gunther Anders) * Con candelabri, scacchi o dettagli di saloon; con evidente insufficienza di prove che confermi la tesi del terrestre; con un silenzio puntellato da scratch stratificazioni di memorie incalzanti sull’onda di un istante precedente al – nel pensiero costante. Nessun posto dove ci si possa fermare un po’ se non scovato a fatica dopo laboriose ricerche, lottando nel silenzio di quel cervello labirintico e con soluzioni talvolta aggressive: le censorie riflessive praticate sui nostri stessi pensieri, o sui filtrati. Come una piccola sala d’essai gremita del ceto medio mediamente a suo agio fra l’incomprensibile che fa chic; qualcuno strapperà comunque i biglietti, ci sarà un minino meccanismo a regolazione degli accessi e la matrice finirà invece smarrita dietro l’armadio art nouveau. Con un diffuso sentore d’insostanza, nostro spazio mentale. Strategies against architecture. * Innanzitutto alla ricerca del varco, poi della chiave, limando la giusta misura di forza consigliata, ma consigliata da chi? Voi avete mai pensato di limitarvi a bussare, semplicemente, e con un qualche ritmo? * Cinico poesia E’ come se mi sentissi con le spalle, le famose spalle al muro. L’immagine efficace dello sconosciuto che mi incalza di domande, m’offende, inanellando illazioni sporche in un crescendo ancora una volta – anagrafica è l’età dell’ansia, lo capirete – o come se mi sentissi inserito a forza in questi tripudio del già visto, l’immaginario esploso, e mi si domandasse precisamente di questo. Io come posso. Nel frattempo hanno oscurato le trasmissioni del programma fluido e tutto viene dimenticato con più cura. Io come posso? Come posso non snaturarmi nel lasciare che risponda quella parte di me così gentilmente educata, la cui barba accomodante, morbida affatto ispida, le cui frasi lineari saranno costrette ad inventare retoriche efficaci per giustificare il tutto questo? Cinico poesia. Qualcuno che ne controlli la data di scadenza. Pare che cadrà in un millennio sconosciuto. * L’assoluta bellezza delle schiene e delle spalle che vedi oscillar leggere nell’andare ovunque le mie gambe senza troppe possibilità la bellezza a via via sfuggirmi, il gioco facile se quasi m’implode fino al fotogramma tagliato, non più le schiene, le nuche dolci le attribuzioni di senso alterata c’è invece l’assoluta indifferenza per gli estratti conti, al momento finché il coraggio, o mi sarà concessa la prospettiva mobile di un senzatetto. * In altre porzioni di mondo, intanto, la classe dirigente del futuro indossa camice che io immagino stirate nelle notti da creaturine ufficialmente inesistenti. Fogli tristissimi, i permessi di soggiorno stanno sotto ricatto in buste di plastica dentro uffici di distinti e incravattati avvocati. Immagino le madri rimaste sole, i figli talvolta riversi sull’asfalto o in segretissime faccende, sotto lenzuola, i padri con cui chiacchierare facilmente sorseggiando vino o facendo le passeggiate. Sono notti in cui mi è impossibile chiudere occhio. Immagino quelli che guidano le macchine spargisale, per dire, o altri professionisti silenziosi come i custodi notturni, gli infermieri delle residenze psichiatriche. Un popolo prolifico e muto che non vedrà luce. Improvvisamente suona la sveglia in quella porzione di mondo. Un messaggio ricevuto. E’ di Linda. Dice fra un’ora davanti l’aula di diritto internazionale, ricordati di portare il taccuino. Il giovane dal Q.I. sufficientemente alto e dai modi sufficientemente composti per far parte della futura classe dirigente non ha mai saputo trascurare le proprie emozioni. Presto s’accorgerà che quell’edificio enorme e grigio non è posto per lui. Si congederà dai suoi compagni, in parte orgoglioso, in parte vergognandosi della sua tara affatto ereditaria, oppure nobile, come di certo si sentirà dire. Dagli sprovveduti. Avrà fatto la sua scelta. La scrittura è per chi non ha potere. * pluridimensionale Ancora corrispondenze fra il vero e l’inesatto, ancora imperfezioni tattili, di questo ditopenna in questi tempi moderni occorrerebbe mutare tutte le metafore del tipo pensato a tavolino e simili, i versi sostanzialmente di passaggio alla ricerca del ritmo profondo che detterà la lista delle priorità, poetiche e per il lettore una sorte di aritmia fra il pensato e il nero su bianco, che messo a fuoco, in principiovenne la notte, ricordi?, e dunque elaborato oltrepassato, dal vero fino all’inesatto come si diceva, in un circolare modo alla ricerca del ritmo profondo, con il terrore di perderne il mistero, la chiave ogniqualvolta, tortuoso come scala stretta e di poca luce saliamo di passi sciancati al ritmo tiptap e di un leggerola parola, ecco, di un leggero nostro sfasamento, forse uno scarto, questo è l’intento del disvelare svoltare direzione come un Garrincha verde-oro per non non farsi rilevare dai satelliti americani, non essere non come ci si aspetta e nemmeno esserlo, contro s’intende, ma di traverso in equilibrio di corda sul vuoto, il superuomo e fra noi e lui, uno scarto, questo l’intento ambiziosa è la poesia arrovellata sul vuoto propedeutica al: della proliferazione il fulcro, elusivo: basterà considerare quanto sia naturale, questo moltiplicare, di creatore in creatura creatrice in creatura evoluta, come se lente che ingrandisse su una pagina a modello di quanto qui, potesse mostrare in un sol colpo d’occhio il tracciato colorato e pluridimensionale di come le idee diffuse, nei secoli dei, o le abitudini, le piccole tattiche mai passate di moda per ribellarsi ai potenti ma di nascosto, o di come le morali belle e di quale ruolo, inaspettatamente, vedrete, nei secoli dei secoli. Spetterà fra qualche mese o anno alla cosiddetta casalinga di Voghiera, nonsoloboutade – interdetta da queste poesie. Mentre sarà intenta a cambiare sul 5, poniamo si accarezzerà il grembo sapendo che presto darà alla luce una bambina, paffuta e bionda, bella, l’insospettabile mutamento di questo assetto. Speranza? * ending ovation, o del sollievo A quelli come quelli non serve andare a capo, dico davvero non serve contar le sillabe e non servono gli asterischi o gli spazi vuoti o le sacre regole per il buon sregolato nemmeno occorre laurearsi, il titolo di studio sulla parete affisso, uno studio mal riuscito, direi: non gli occorrerà. Piuttosto uno sguardo obliquo alla parete, attaccato storto, di chiodi addolorati arrugginiti a cui lasciare, si, il poeta potere. Si ringraziano Giovanni Allevi, da No Concept il brano “Come sei veramente”, gli Einsturzende Neubauten, quelli veri, L’Espresso e l’inventore del materasso, Blob ma non Ghezzi, per L’età dell’ansia W. H. Auden, Herbie Hancock, Nietzsche, la madre di Gunther e la madre degli imbecilli, Emilio Fede, come poteva mancare. 03 Into a grembo in dialogo serrato con me stesso Dio solo sa quanto quel giovane abbia bisogno di carezze. In stravagante notte suoi i desideri stremati ed il gelo sudore, suo il liquid’antico sonno, conforto di placenta e singulto di feto che fu sentimento a venire, presagio di ciò che attende nelle minuscole dita e poi. * Scompongo il ricordo, lo violo, lo sbriciolo, a pezzi compongo un canto che suonerà nel deserto, dolce – com’è naturale che sia – che sarà fiore per gli assettati e acqua per i romantici predoni. Un canto vano, un canto solo mio. Nessuno che s’identifichi se non per via di un’illusione, di un gioco, di una magia. Nessuno che non sia rappresentato se non da sé stesso. Il gioco consiste nello scomporre ricordi e ricomporli secondo sequenze nuove, nuove le connessioni di senso. Il gioco è consigliato agli adulti che accumulano ragnatele e ne fanno collezione, d’equilibri minimi – abitazione. Indispensabili uno specchio impolverato su cui i versi si leggano appena, una certa quantità di materiale umano, una scadenza ed un controcanto in prosa – esplicazione d’interiora in mutamento. * L’inerme godimento muto per la voce di mamma giunta attraverso tessuti diffusa, soffusa in amniotico fino al minuscolo cuore d’embrione che riconoscendola familiare si scosse, e iniziò a pulsare. * Rinnegarsi può essere un modo per oltrepassare nuove soglie. Mi capita spesso di immaginare una successione di porte fluttuanti in uno spazio pluridimensionale, fittizio e cervellotico, e di supporre che si possa individuare il percorso da seguire semplicemente scegliendo, oltre la soglia appena varcata, una nuova ma di poco più piccola porta. Occorre inevitabilmente liberarsi dei pesi in eccesso, ed il processo, se da un lato appare frutto di lacerazioni, strappi e privazioni, dall’altro non è che il modo naturale di difendersi. L’evoluzione che gioca in difesa. Ecco una buona domanda per iniziare: quale dio? Si prosegue con la ribellione amorevole ai padri e alle madri, con uno sputo sulle immagini sacre della cultura che ci circonda e con l’indifferenza ironica – come un sonoro ceffone – ai prepotenti. Il percorso, per poco lineare e ripetibile che sia, deve passare necessariamente attraverso la disgregazione temporanea di sé. Fare attenzione alle cattive compagnie. Alle illusioni e alle pozioni magiche. A non costruire edifici moderni su fondamenta marce. Non prestare mai il fianco a nessuno. Ma al tempo stesso ricordarsi di mettere la sicura alla pistola, talvolta. Per ultimo, non sottovalutare le certezze. Sono criminali violenti in cerca di una preda e si sa, colpiscono nel mucchio. * Dio solo sa quanto un ricordo se perduto, ci accascia, e di qual specie è l’odiare che proviamo, solitari noi in solitarie notti nel domandare alla luna e nel vederla tacere, beffarda pallida tronfia ghignante di sfida tacere tacere la luna – tacere. * L’antico adagio del saggio che indica la luna e dello stolto che guarda il dito. Ho giocato il gioco dello stolto e del miope e del pensatore positivo, ho passato troppi e felici anni a giocare. Ho pianto nella notte, inginocchiato su me stesso, rivolto parole come preghiere, ad un’idea – e questo sarebbe il meno, chè ancora mi succede. Infine l’ho tradita, l’idea inumana, semplicemente pensando e provandoci gusto, ed insistendo a pensare, a trarre conseguenze, soppesare, gestire implicazioni e di riflesso agire, fino a estendere la superficie del conoscibile e dell’apprezzabile. Ciò che prima era importante, ho poi scoperto non esserlo più. L’ho fatto senza alcun astio e senza alcun orgoglio di me. In questo tradimento ho sentito d’essermi liberato, seppur il vento del deserto mi sferzasse la faccia. * La luna e le stelle -è il deserto di notteil vento, la pelle arrossata ed il gesto di passare le mani sul viso gelido di una ragazza immaginata (nella sua casa a cercare l’ennesima via di fuga e di delizia, quel libro e quel canto, psichedelica litania in viola) fitte d’estraneità per il lato oscuro del pianeta: solo involucri freddi e lune silenti. * Infine la compagna dagli occhi buoni, l’immagine di lei. In volti e vesti che si succedono nei mesi e che un poco ci descrivono, descrivono periodi e bisogni, slanci condivisioni e visioni. E’ questo fascino dell’osservare il mondo attraverso gli occhi di un altro che alle volte prende il sopravvento e ci pervade. Il bisogno di parole che suonino nuove e diversi punti di vista come momentanei incompleti sollievi. Desidereremo essere altro da noi, è questo che fondamentalmente s’impara. Del mondo, che non è mai prevedibile come lo si crede. Delle persone, che non sempre deludenti, ma specchi. Riflessa, la delusione si rivela solo nostra in realtà ed il rancore è per noi. Irrisolti. S’impara quanto dolce sia un’ora lieta, e non lo si dimentica più. Quanto vasto sia un letto, e come l’incontro ci spinga oltre. Altro da noi. Soli si sopravvive e lentamente si muore. Quest’io non rinnego. * Dio solo sa a qual ora il giovane s’addormenta e quanto geloil disco continuerà a girare la gente per la strada, vagare la donna bella inutilmente godrà ma non si darà, non si lascerà sfiorare -è l’insolente predona del deserto- le rimembranze che s’insinuano stanche nei labirinti dei sogni, oscuri passaggi si dissolvono dunque al risveglio come il pensiero: due vite che potrebbero e non s’incontrano sono bestemmia. Si ringraziano le mamme e tutti i romanzi di formazione letti o ascoltati con le mie nude orecchie. E Giovanni Monasteri per l’attenzione, l’ospitalità e il prezioso aiuto. 04 Linee di Line labirilinee il mondo è al di sotto La penna nemica sottile sembra non scapparmi di mano. Perdo tempo a accarezzarla. Ho l’impressione di domarla ma alle volte mi si rivolta contro, anche. E’ che forse sentivamo la mancanza l’uno dell’altra, come due amanti contorsionisti e ciechi. Intanto, al di sotto, l’inutile mondo vomita quotidianità in proiezioni future, fra loro e da me, così distanti ( il campo di studio la burocrazia il settore nonché il target il bacino d’utenza l’operatore nella relazione d’aiuto la terapia ) ed io divago. Vago. Sono lontano. Il mondo ha una voce che è un gorgoglio inopportuno di proposizioni in successione inesausta: il campo di studio la burocrazia il settore… Oggi no. Non ascoltare. E nemmeno piegarsi, no. * Lentamente e più volte. Assaporare anche solo la parola, e come risuona nell’incavo della bocca: Line. “Line dove sei? Eri tu occhiverdi – scarpeslacciate – erbafraledita – quantidubbi – vocedolce – come sommessa, eri tu? Te l’avrei sussurrata anch’io quella domanda, e forse l’ho fatto: eri tu la mia Line tanto attesa?” * Di dubbio viviamo di dubbio, o di dubbi mai sazi di dubbi come calligrafie impilate in un circolare perpetuo noi: “in quale facce confonderci?” Di dubbio nutriamo di dubbio, ed appunto è un quesito che non prevede impazienza: “eri tu – oggi – la mia Line tanto attesa?” * Io non ero sicuro del tuo odore. * E’ rotondo il blablabla del mondo, ficcante, ed ovunque sulle coscienze si ripercuote e si ripropone all’attenzione, ovunque allo stesso modo del dolore nero della pancia, se spalmato sulla tela: invasivo è il mondo. Giragiramondo ed ancora, sciocco di tono: bla blablabla bla bla – stop. E punto a capo. * Io sarò altrove ( da loro ) per esempio sulla carta, su questa gialla carta consunta, celata sarò altrove e così facendo, non so come, ma farò ritorno. * Altrove è esser sospesi sopra il tuttopesante e silenziosi forse o sussurranti, ed i sorrisi le ciglia belle – le tue. “Sulla strada del ritorno abbiamo avuto una paura fatta a forma di labirinto” mi dicesti. Ed io che ho ancora sulle mani il tuo calore, sulla punta delle dita percezioni bollenti per un contatto osato, con queste stesse mani annusai le cose tutt’intorno finché non ritornarono reali. Irreale anche la mente, rapita fra l’attesaideale di Line e l’improvvisa comparsa. * Io non ero al sicuro dal tuo odore. * Tu che hai un passato pesante di scatoloni dai lembi squarciati, diktat pronunciati in dialetto e scotch a tenere insieme il tutto, furiosi addii, scomparse improvvise dei corpi creduti case (“Incongruenti quindi, i tuoi occhi puri?”) ed io che nel mio volermi anonimo, ubiquo, sempre disponibile, sebbene non lo diresti mai, io che ho spalle larghe e timori quanto basta e racconti da riempirci giorni interi. * C’è una zona nervosa però: ci ricorda che il mondo alle volte ammalia e che noi non sappiamo ( staccarcene ) capire ommioddio ( lucidamente ) anche solo accettare l’eccezionalità dell’evento. Disillusione e dunque bisogno isolatopensante pensarti come isola: sta qui il mio ritorno a Line. * dialogo fra due desideri “Devi credermi, rivivremo ancora la condizione sospesa.” “Come puoi esserne sicuro?” “Io che ti voglio leggere, annusare e mangiare saltando le righe, a colpi di pagine, di pupilla in pensiero in pupilla, ecco perché mi dico sicuro.“ “E s’io serrassi le palpebre?” “Non crederlo, non mi saprai sfuggire. Non allo sguardo che ho allenato negli anni interminabili, sfilati d’incontri in pupille – perlopiù assurdo, vuoti – di pensieri in speranze vane.” “Così mi sorprendi. Sono madri stantie le speranze.” “Come santa madre, direi.” “Sarta che malricuce ferite.” “Tu credilo, ti dico, speranza è solo madre venerabile e calda. Ed ora taci, se puoi.” (silenzio d’entrambi e d’occhi frastuono) “Io cerco Gala.” “Io cerco Line.” * Lentamente e più volte. Assaporare anche solo le parole, e come dolci risuonano nell’incavo della bocca: Gala e Line. Si ringraziano i mecenati, gli invitati di Palazzo Gulinelli, Agota, Giovanni e gli altri che si soffermavano sui gradini con le loro sigarette sempre pronte. E’ impossibili nominarli tutti. 05 L’insolita allegria dei Kafka’s adolescenzia e appartenenza k0 Come una premessa doverosa scritta seduto a un tavolino di bar, come era solito Hemingway, con la minima cura possibile. Scritta in corsivo. Giusto per non iniziare dalla fine e nemmeno da metà, per non procedere a rovescio, come capita alle volte dentro certe tipologie di teste. La genialità del saltare i passaggi. Giusto per poter principiare ad elencare queste maledette e ossessionanti lettere kappa. * k1 Città predeserta, domenica di un’estate iniziata da poco. C’è lei al mio fianco, rassicurante la sua presenza, sta in piedi sul balcone: soffiando fuori dalle labbra il fumo della sigaretta mi chiede (c’è un ricciolo di capelli graziosi che le scende sulla fronte, bella com’è, decisamente incongrua con la domanda): “Ok, ma potresti almeno descrivermeli quelli che tu chiami i Kafka’s?” L’ascolto e nel mio silenzio fumo. Per incitarmi aggiunge: “In pochi aggettivi. Fammi capire.” Eccomi ad alzare lo sguardo al vuoto, gesticolare dentro, tozzo boccheggiare a disagio, pensare e prendere tempo, dire in successione: “Inquieti, desolati, lucidi, oppressi e della vita… innamorato distorti.” C’è lei che ancor prima del mio proseguire, io non avevo nemmeno iniziato, non dice. Ed è questo – in sostanza, in crescere distanze – è questo che più di tutto mi terrorizza. * k2 Io so dell’inquietudine bislacca del camminare senza intendere ( del perpetuare in successione i pomeriggi, inutili come mercenari assoldati a caso – un panorama desolante, disperante nel domani e negli oggi – io so – io posso dire di conoscere i sottili piaceri che: nel piangere di sé (le femminucce) nel sottomettersi (come schiavi) nell’imbecille autodistruzione ) e del rifiutarsi persino: di parlare non il coraggio di dirsi all’altro. Peggio del disprezzo è il rimanere solo, rimanere interno delirio a notare di sconcerto le facce le espressioni per distanziarsi e peggio del disappunto, è il silenzio. Risulta immediato dirli superficiali facili, illusi, vigliacchi e quant’altro ( la mala applicazione della teoria secondo cui tanto più si vorrebbe salda la coesione delle componenti a noi interne, d’anima e mente - quando si dice l’essere a pezzi tanto più conflittuale vien’esperito il rapporto con gli elementi esterni ) “e purtroppo io so, di questa estrema deriva.” * k3 E’ geografia d’interni e d’anime: per dire del panorama – che vedo desolante e disperante considero come ripetizione di malefatte in ripetizione di malefatte in cecità in ripetizioni di gesti – le molle mani la mattina su spaginate di giornale nonché la sera con le dita mollicce a spingere su tasti – il telecomando è evasione dal reality- lo zapping dei rapidi pensieri farneticanti sul debito ai troppi paesi poveri (e subito, in debito di continuità) farneticanti di rate a interessi zero e saldi offerte e accorrete numerosi – voi che siete i danarosi – e paghi due solo se sciupi tre e queste stronze che sostengono ammiccando: “perché io valgo” o attraverso il dire i pomeriggi o le mattine con le dita già stanche per il far nulla se non il premere – play – ed attendere rivelazioni artificiali in pillola, inesistenze altrui su schermi e come niente su carta polpastrelli leccando, voltando pagina mai una sola volta che io vi abbia letto: vita, redenzione e verità sono là fuori o dentro te, io sono solo un mezzo imperfetto, accartocciami e gettami in angolo. Sul ring caracolla la vita: l’unico modo è darle e sudarla. * k4 In ultimo – per dire di solitudini occorrerebbe tacere, mancanze addirittura tacere alla pagina bianca, l’assenza di colori l’estremo grado d’assenza a sé. “Noi non siamo nulla che non abbia il dovere (non solo il diritto, non solo) d’essere almeno riconosciuto.” * k5 Mi spengo con un gesto conclusivo delle mani e nel silenzio fumo. C’è lei che dopo il mio aver proseguito, non dice. Ed è questo – in sostanza, in crescere distanze – è questo che più di tutto mi terrorizza. Non dice quanto le costi insegnarmi giorno per giorno l’entusiasmo e la leggerezza dell’esistenza, da apprezzare come fosse un pasto (mangiare con le mani unte, bere a grandi sorsate bagnandosi il mento, il petto, le cosce e quando occorre, smettere di ridere ed in silenzio assaporare i bocconi più insoliti, cercarne il retrogusto ad occhi chiusi) . Lei che non dice dei miei progressi. Nonostante tutto sono un buon allievo. Non racconta dei piccoli fastidi quotidiani, delle furiose frustrazioni. E nemmeno di quella paura che alle volte la pervade tutta, comparendo dal nulla, senza alcuna ragione. Non dice il timore all’idea del non saperci più raggiungere, un giorno quanto lontano. Nemmeno io continuai a raccontare. Quella volta lasciai sotto silenzio l’altra parte di me, la tenacia, l’amore distorto per la vita, il fascino delle cose complicate e misteriose, la naturalezza della lotta, i miei “non sono d’accordo”. Tutto rimase sotto silenzio. E sotto il silenzio ci limitammo a stringerci nelle mani. Si ringraziano Kafka e le pillole dei Jefferson Airplane, le Pall Mall blu e le Diana rosse, alcuni vicini di casa dell’epoca in cui vivevo a “Napoli” (si detestano con garbo), ancora Alessandro della fase delle “teorie”, una gran parte di inutili docenti che mi regalò ore su ore di prezioso tempo libero e Baudo Pippo, come ficcante modello negativo di riferimento. Dedicato ai miei sei meravigliosi nipoti e alle decine di ragazzini conosciuti sulle panchine, al campo da basket, nelle sale biliardo, dentro alle bocciofile o agli angoli di strada. 06 Ladolescenzia un inciso trattato definizione O scienza dell’opporsi, dell’esprimere, del soddisfare, del giocare sudare urlare del perennemente osare e dell’ignorare rimproveri, lo sviare pressioni, spremere il succo buono, farsi e far, di sé stessi, non l’uomo, ma semplicemente e fino agli spasmi interiori, o del corpo, il solo farsi sé stessi come si era ed era necessario ritornare ad essere. specifiche Non necessariamente più forti. Nonostante sarebbe auspicabile, se ne convincono tutti prima o poi. Pensieri indotti negli anni ci hanno suggerito altresì le seguenti ambizioni pratico mature: il titolo di studio, il lavoro, la ragazza della porta accanto, l’automobile, l’indipendenza economica, stare lontani dalle droghe, il conoscere le cose del mondo, la cittadinanza attiva, la passiva rassegnazione alle regole, sorridere spesso, fare regolare esercizio fisico, dichiararsi intellettualmente liberi e liberali, nelle periferie starsene invece zitti, non alzare la voce, prendersi cura delle frustrazioni, dirottarle nelle relazioni a due, il fidanzamento ed il matrimonio in comune, fare attenzione soprattutto a non interessarsi ad un appartamento senza posto macchina e riscaldamento autonomo. Su un piano impercettibilmente diverso si sono alternate invece le virtù della bontà, della forza, dell’amicizia, della giustizia, della consapevolezza e del rigore e improvvisamente, ad una certa età, come se fosse scattato qualcosa di irrimediabile, le virtù dell’omertà, della furbizia, del realismo e del cinismo, dell’indipendenza dagli altri e della freddezza. La sola verità è che mano a mano che passano gli anni la confusione aumenta. Tanto più si tenta di comprendere tanto più si fraintende il vero centro. Ogni posizione ne contraddice altre ed è intollerabile questo loro escludersi a vicenda. Occorre in ogni caso fare delle scelte, e farle in fretta, siamo sottoposti a pressioni continue e non ci rallegra sapere che i nomi per queste nostre prevedibili crisi sono già lì che ci aspettano. O forse basterebbe semplicemente non far più alcun tipo di scelta. Esploriamo questo campo di infinite possibilità fintanto che ci troviamo ben al riparo nel territorio neutro e accomodante delle parole. Ladolescenzia, dunque. postilla Prima che le forze dell’ordine si impossessino di questo file. “postillanime” (sei un) E a seguire. I personaggi. 07 Carburante personaggi a margine quelli che aspettano carburante Un benvenuto agli innocenti, stasera saremo improvvisamente scagliati nel cuore pulsante delle metropoli dunque, fra quelli che lentamente spopolavano: ad ognuno sarà concesso qualche verso di celebrità. * struggenti & metropolitani Senza capire il rumore dei passi avanzare – limitarsi a camminare gelidi i lampioni e negli spigoli noi, sbalzati da luci pallide su di un marciapiede poi sull’altro – versus: la visuale opposta – che “se la scelta è tra la strada e la letteratura allora non c’è scelta.” (1) * Igor è un obeso senziente seduto davanti allo schermo Ho torturato lentamente la giornata, disarmante nei suoi movimenti tellurici – contatti in rete o inreali – la trasmissione dei pensieri fra me e quelli che mi circondano di un tessuto il più delle volte irritante sedendo al tavolo della realtà ingurgitati a ritmo d’inferno dalla mia mente, sconnessa in acido lattico post cerebrale nonché in spugna ubriaca, calamità dell’irrazionale chiesi per un istante di allontanarmi volevo. Essere. Meno. Agitato. Essere. Meno. Ricettivo. Essere. Almeno. Essere. * un altro risvolto d’Igor Intanto alla televisione immagini di bambini scheletri la pancia gonfia che se esplodesse non conterrebbe visuale alcuna tornando a casa in risposta osservai sul marciapiede una farfalla con ferite di terzo grado incapace a volare, aveva uno splendore cromatico, un soffio posato sulle ali e la pestai – io Dio – ommiodio – se ci sei un colpo o non ci sei più. * intermezzo: per 100 euro Quale di questa torture pensi che ti si addicano maggiormente: (rispondere il vero) 1) lavorare 2) tenere la contabilità 3) un guardaroba alla moda 4) visitata la città in un sol giorno 5) un fine settimana a casa di oscuri parenti? * * Lola in una stanza poco lontana controlla la contabilità dei mesi Io tasto il buio di una stanza vuota come un ronzio di metallo se nel cervello, di metallo anch’esso io inspiro la costretta immobilità del corpo, dei neuroni che non sembrano sincopare un’alternanza di visi, apparizioni ma con fatica singultare monologhi a una platea dito puntato cos’altro poi, poco di più o di meno, almeno in vita e tutt’al più morrò, succederà ieri “mi sembra proprio che qualcosa non torni nella contabilità di questi miei mesi persi.” * rivolta a nessuno dei miei personaggi Quando sinapsi sovraccariche di te (ad esplodere furiose particelle ancora ai margini della realtà) onirico passaggio dentro cranio pulsazioni male amplificate sensazioni intrascrivibili e tremori concentrici eccoci, eccoci in partenza: roteare eludendo le regole, i vortici sull’asse immaginario del corpo – compiamo – mentre io come al solito baricentro maldestro in sbalzi di emozioni preparatorie alla pura libertà dell’Io (come il passaggio ad un colore diverso ad un colore diverso ad un colore diverso) dimensione nella quale non valgono i riferimenti ordinari o le aree di difficoltà quotidiane (un sordo suono) d’incanto ti sorprenderai a desiderare quel che tu nemmeno immaginavi fosse possibile in vita. * intermezzo del tutto impersonale Per quanti anni ancora credi che conserverai il fasciatolo e le cose del tuo primo figlio pulite ben sigillate in cantina? * intermezzo: a sera si profilano i profili Il fascino di tutto ciò che non si conosce ancora. * Vanja l’immagino bella abitare appartamenti eleganti Non conta più le notti svanite nel sonno sdraiato su di un taccuino solo rimane a ciondolare al margine delle giornate circuendo segnali indecifrabili nelle stanze profonde: è sola. * tribute to Cohen’s brothers. quello che le donne sentono L’uomo che non c’era la cui unica dimensione era l'immagine il cui solo dominio era sulle illusioni come ci fosse invece non c’era. * Levin è un adolescente che si mimetizza nei bar di corso Italia Vulnerabili ai loro minimi cenni con nell’aria un odore nuovo che non aspettavo come di pioggia notturna sull’asfalto a pois quest’andatura sincronia nello spiarci i profili dolci da sublimare all’istante – stiamo in giochi d’equilibri precari – a pochi centimetri dal tempo trascorso in linea retta – loro sedevano solari e belle, belle e beneficiandoci con lampi e pose di una qualche misteriosa intensità sotto la quale sentimmo di star cedendo lentamente desiderante cedendo a questa notte in avvicinamento gelido a una qualsiasi di loro non m’importa (un sordo suono) “all’improvviso ho sessantaquattro anni e ho finito le sigarette.” (2) * intermezzo del necessario per predisporsi all’apocalisse Fu così che i pianti si trasformarono in isteriche risate che rimbombarono fra i palazzi nelle strade delle città a migliaia forse a milioni sincrone a mezzanotte esatta ci furono gli speciali alla tv e le edizioni straordinarie una commissione indagò invano su quale frangia di comunisti potesse avere organizzato il tutto. * coniugale sferica e manomessa relativamente a Moni e Lele Stanchezza stanchezza fin dove tu sai ed io posso l’ennesima dose di stanchezza prego, gentilmente, e la ringrazio a sguardi laterali la possibilità, agli occhi tuoi sfuggenti la possibilità di, alle labbra sottili sotto le troppe rughe del tempo trascorso “non ci resta che il tempo di una sigaretta fumata qua fuori” io sulle note di un jazz e noi ci sorprenderemo così, dimenticandoci di questa poesia. * intermezzo degli ospedali e che è vietato suonare il clacson Dorme la linfa di un uomo in figura di letto fingendo l’esistenza riposa il riposo in prossimità. * Dejan sull’erba del parco è un postmoderno Siddharta Piange un po’, smettendo di fumare accavalla le gambe nervosamente e posa le magre dita sul mento il tutto in memoria dei viaggi e dei cieli scomparsi sopra le teste, di una mattina svegliarsi in spiaggia fu bello e tardivamente alcolico ripensante agli amici di un tempo. * intermezzo: per 1000 euro “A colui che per una volta dice qualcosa di intelligente verrà perdonato il restante così vistoso delle banalità.” Quale scrittore pronunciò questa frase e in quale circostanza? * il cliente ha ragione sempre e il pubblico è pagante Per lo spettacolo dei notturni e degli stanchi clienti abituali alla ricerca di un contagio o di una seconda pelle dentro la quale stare umano riflesso condizionato è lo sciamare verso l’entrata – non basta e non potrà bastare – in un crescendo di assuefazione e miti proiettati su di un panno nella sala vaga di cuore in cuore l’intreccio coinvolgente metafora se lo credi, o il tuo fardello se capisci oltre qualcosa che sia se non il sedere e l’osservare l’osservare l’osservare oltre ed ancora. * Boris è il promettente portaborse di un parlamentare Nei gesti nelle parole sprecate nelle polemiche avulse dai minimi accenni alla logica o anche solo al buon senso nelle voci distorte e in doppiopetto che volentieri terrorizzerebbero i bambini sull’orlo di una crisi di nervi con il coltello in mano e la volontà è malata (un game over che pare già scritto e che comunque ci coinvolgerà tutti) nei loro palazzi se mai ci finirete dovete fare così: mettetevi in un angolo con il ghigno evidente in faccia e il miglior atteggiamento che avete facendovi notare – recitate il coraggio penetrate con sguardi e maledizioni la loro cattiveria la loro ignoranza stì signori belli con dossier annesso che sono le loro giacche su misura e la pelle gessata e le dita macchiate non il viso sotto strati di cerone e cerone in un crescendo di stupore stupore! per come è grosso (e decantato) il petto del nostro grancomandante e per le leggende metropolitane che ci narravano le mani (non) pulite come dissero quelli del coro stonato e ora ci acquietano cantando ninna nanne e si accecano lo vedi in un crescendo di indefesso onanismo istituzionale anime e coscienze ripulite in candeggina per l’occasione che rende l’uomo ladro si sa – e in altri casi l’uomo eroe come aggiungeva Perlasca (in palio un tostapane elettrico) Perlasca, chi era costui e in quale occasione che cosa chi lo spinse chi glielo fece fare? * intermezzo dei pesci E si risolve tutto in un reciproco fissarsi labbra in movimento senza più comprendere il filo. Nelle città scocca l’ora dell’aperitivo. * this is the end my only friend, the end (3) L’onda corta del mio agire l’onda lunga del mio subire ammira quanto mi consumo in questi giochetti sul filo sospeso il mio fissare labbra che mi parlano il mio rubare sorrisi a chi non s’accorge dell’ovvio che anche io ho bisogno di almeno uno sguardo – e che sia attento “avete per caso notato la visuale allontanarsi ( con fare furtivo ) ed ampliarsi irrimediabilmente? ne avete altresì goduto?” 1) due versi di: Stuart Z. Perkoff tratti da: Lettera a J.H. in: NUOVA POESIA AMERICANA / Los Angeles a cura di: L. Ballerini e P. Evangelisti edito da: Mondatori. 2) due versi di: Robert Crosson tratti da: Schimmelreiter in: NUOVA POESIA AMERICANA / Los Angeles a cura di: L. Ballerini e P. Evangelisti edito da: Mondatori. 3) un passaggio da The end dei Doors in: The Doors 08 Le miliopartizioni “sprose” e reprise a casa Inizia così. Disteso con il computer sulla pancia. Annota qualsiasi suono e si balocca con la scrittura. Sotto la sua finestra, un dieci metri circa in linea d’aria, c’è un muratore che sputa in maniera rumorosa, schifosa, che immagineremo densa e colorata. Perché mai si dovrebbe scrivere solamente di cose belle, di nobili sentimenti, emozioni? Ci sono cose che talvolta lo fanno imbestialire, questi luoghi comuni, tutte queste sentenze. Senza rendersene conto le combatte con altrettante sentenze. Imparerà ad uscire dallo schema. Il giorno in cui il mondo sarà saturo di tutto ciò con una scrollatina ben assestata all’altezza dell’equatore si libererà della gente rimasta e dei loro stupidi oggetti per poter finalmente spegnersi in silenzio. Fino ad allora noi si continua con le battaglie personali. Sordi agli scricchiolii. Per esempio c’è lui che digita ostinatamente: talvolta la bruttezza è talmente brutta da apparire così affascinante. Completa. * durante il tragitto L’indicatore della batteria del suo portatile segna 2 ore 52 minuti rimasti. Decide che si baserà su quello. Ha tutto questo tempo a disposizione perché è una casalinga di 27 anni e preparare la cena non lo preoccupa affatto seppur non si affidi quasi mai ai surgelati. Ci sono quelle che invece si turbano molto. Una densità altissima di casalinghe per chilometro quadrato che hanno smarrito il senso. Secondo dati Istat. Parole. Impiegarci 5 minuti. 3 minuti. 45 secondi. 10 secondi per un paio ben assemblate. Dita velocissime nella pausa caffè. Nella pausa fra il caffè e la sigaretta. Fra la sigaretta e l’altra sigaretta immediata. Di sghimbescio mentre il capo esce dall’ufficio per andare a pisciare. Subito dopo aver appena finito di parlare con la proprio madre e avere visto che anche oggi non sta affatto bene. Tenerne conto. dimenticarsene. Fare qualcosa. Sospirare profondo non serve proprio a un cazzo, diceva suo padre. Arrivati ad un certo punto utilizza lo strumento conteggio parole e scopre 1.226 caratteri di troppo. Impreca. Ma è un allenamento, lo sa bene. I prodromi di una malattia che sospetta solo. per il momento si La fuga riequilibrio. * all’ufficio pubblico I lettori che hanno bisogno di un contesto, di qualcosa a cui aggrapparsi, a cui annodare il senso che è raffica di vento oltre i cento chilometri orari, di un corrimano nel periodo della bora a Trieste, poniamo, possono recarsi in file ordinate verso questo ufficio. Prendere il bigliettino numerato e fissare ipnotizzati il visore. Nel frattempo sbatte la porta della cucina probabilmente a causa della suddetta bora. Essa si insinua dentro di noi e ci rimescola di continuo. Il punto è che allo stato attuale non ci sono strumenti validi in grado di fare uno screening delle nostre confusioni. E porre rimedio. Preparare i gomiti nell’attesa. Ricalcolare, andando ai tempi degli scherzetti fra bambini, le esatte sequenze di movimenti per lo sgambetto nel caso quella signora cicciona là in angolo, vestita di turchese, come un’enorme nuvola, volesse fare la furba con la fila. “Sono cose che succedono di continuo”, lo senti dire in giro da vocette sempre più aspre e ciniche. Nel frattempo percepisco, sempre dalla finestra di prima, che nel cortile qua sotto il melting pot dei lavoratori malpagati ha un che di nervoso nel tono. Ora siete voi allo sportello. E dopo avervi ricevuto vi consegneranno un modulo vuoto. * per ammazzare l’attesa Certo che standosene distesi sul letto ne capitano di cose. Prendiamo il cervello. Se Sedaris sostiene che la scienza offre risposte noiose a domande interessantissime non vedo perché noi dovremmo continuare a immaginarci mucose grigie e antiestetici emisferi dentro ai nostri crani. Milioni di altre cose accadono nel frattempo. Nessun comunicato ansa che stia dietro al quotidiano tourbillon di pensieri. Lui preferisce pensare dal canto suo di avere in testa una pista da ballo. Una balera. Sa per esperienza che le danze sono possibili soprattutto quando il corpo è finalmente a riposo. La posizione supina, appunto, è di gran lunga la migliore. Si è convinto di aver individuato persino l’inclinazione di questa pista da ballo e che la sua sia un’intuizione davvero geniale che rimarrà purtroppo incompresa nonostante ognuno abbia fatto esperienza, in vita propria, almeno una volta, di non essere capace di pensare a nulla se appeso a testa in giù. E dunque, talvolta si aprono le danze con passi spettacolari. C’è chi balla per noia o per le donne. Capita anche che non tutti riescano a seguire il passo. I pigri e gli involuti ‘fanno tappezzeria’ rivestendo le pareti interne della scatola cranica col loro solo desiderio di ballare. Falliscono tutti i ragionamenti senza ritmo dentro. * la (sottile) linea gialla L’indicatore della batteria segna 38 minuti rimasti ed il rosso ormai prevale sul blu. L’orologio da polso del padre si è invece fermato perché ancora una volta lui si è dimenticato di ricaricarlo. La qual cosa non lo mette di buon umore, gli appare come un’irrimediabile carenza, e un po’ lo inquieta. Cosa avrà mai questo pomeriggio di diverso da altri? Esistono davvero condizioni climatiche capaci di influenzare gli umori delle persone? La questione è controversa. I dati Istat tacciono. Prende in considerazione per un secondo di consultare l’I ching ma la questione smette improvvisamente di sembrargli speciale e se ne dimentica. Continua a baloccarsi con queste parole. Le crede invincibili ma non è cosa che spetti solo a lui. * i moduli sono da compilare In effetti ci sono moduli da riempire i cui campi potrete completare a fianco di ogni singola intestazione che si andrà ora ad elencare. _____________________________________________ ULTIMO DESIDERIO TACIUTO IL LUOGO CHE IMMAGINI SE DICO, LUOGO FETICISMO PREFERITO* UNA PERSONA CHE TRASCURI E NON VORRESTI IL PROPOSITO DELLO SCORSO ANNO NUOVO PICCOLE STRATEGIE DI PIACERE USATE IN CASO DI EPISODI DEPRESSIVI MINORI (almeno cinque): 1 2 3 4 5 COSE SITUAZIONI E PAROLE DA EVITARE UN’ALTRA PERSONA CHE TRASCURI E NON VORRESTI: * Il termine feticismo non deve intendersi come negativo, ma figuriamoci. _____________________________________________________ * recapito e chiusa Ritagliare e spedire il modulo compilato al recapito: Sergio Bottoni Piazzale Goito 2 44100 Ferrara Il tempo a sua disposizioni sta per finire. Alza la testa dal cuscino e nel momento esatto, tutti gli gnomi, ogni creatura fantasiosa che lo popola finisce di ballare. 09 De Jo prodromi di un viaggio Bologna è tentacolare: ne risulta immediatamente evidente il fulcro ed il flusso, le direzioni intraprese e futuribile il destino, di questa folla. Osservala, calcola un’ora per abituarti alle fogge, al taglio diverso degli occhi al perpetuo vitale trasandare, infine concepisci come la gente di qui sia così come la gente d’altrove: ugualmente, scivolare a Bombay provocherebbe slittamenti all’umore ma già lo sapevi no? * davanti allo specchio Il nostro si era svegliato e semplicemente aveva deciso per un piccolo viaggio. Sospensione dal reale; in libertà condizionata dalle responsabilità. Questo era il suo gergo interiore. Quando gli occhi erano ancora una fessura, il nostro aveva fatto la sua scelta – in piedi davanti allo specchio – perché si era ritrovato sorpreso di non riuscire più a scorgere quel guizzo familiare sulla superficie delle pupille. Aveva fumato la prima sigaretta ancora in vestaglia, guidato con lentezza, ancora fumato, bevuto un caffè sporco in un’area di servizio, sorvegliato paesaggi in disfacimento, scorrere, aveva imboccato rampe e svincoli e attivato inutilmente gli indicatori di direzione. All’alba di un giorno di libertà tutto è deserto. Tutto è come in attesa che una qualsiasi cosa accada. Si sta come in attesa di una meta, ecco. Eccolo arrivare, parcheggiare in sosta vietata, che quel parcheggio non è mai controllato dai vigili e la multa è già ammortizzata tante sono le volte che l’ha usato. Eccolo camminare senza sapere dove. Quanti passi, quanti bicchieri di vino necessari per scaldarsi? Il primo impatto con la città lo portò a ragionare: Bologna è tentacolare, si dispiega sotto i portici che ne compongono le struttura segreta e agli angoli delle vie, in chiazze organiche e nei manifesti incollati alle colonne. Nel frattempo la città si stava svegliando. * oltre le tende Ed in effetti, c’è gente assonnata di qualsiasi tipo: una prima tipologia di bambini al guinzaglio e colorati anche i vecchi, psichedeliche le rughe gli affaccendati e tutti gli aderenti al conforme taglio classico ma giovanile e gradualmente, inoltrandosi nelle vie: i volti segnati, i rimandati dal sistema quelli che ripetono sempre un anno un cazzo m’importa un cazzo m’importa un cazzo e contemporaneamente, ne soffrono molto. * senza darlo a vedere K., posta di fronte alla sua giornata, aveva preferito mantenersi adeguata e responsabile e solo troppo tardi si era ricreduta. Davanti allo specchio aveva dovuto fingere, ricorrere a giustificazioni e voci interiori che immagineremo noiose. La giovane faceva parte, nella veste di figlia minore, di un nucleo familiare che sostanzialmente la innervosiva, di una compagnia di amici che spesso la deludevano, del folto gruppo degli indifferenti verso tutto quello che puzza di politica e impegno civile ed infine dell’esiguo e variegato gruppo di specialissime persone che nonostante tutto amano la vita; che desiderano, riuscendoci solo a tratti, di berla dalle mani a coppa con così tanta avidità da bagnarsi, il mento, il collo. Persone accidentalmente sensuali. Nonostante questo la giovane K. aveva esitato – in piedi davanti allo specchio – ed infine aveva premuto invia e indossato abiti ed espressioni da studentessa. Come ogni mattina, lungo la strada verso la facoltà di Medicina, a falcate tanto ampie quanto incerte. Non sapeva cosa desiderare. * ancora più vita Deviante polimorfa e anziana, vizioso mi è il dubbio che piazza Maggiore non sia altro che un semplice scenario lasciato a ricoprirsi di polvere di fianco ai portoni personaggi comuni con la sigaretta accesa e non scrollata cenere stantia, statue di cera in museo: c’è il sospetto che tutto sia finzione. Lascerò alla luce di questa mia ipotesi che tutto si disponga come meglio crede ed eventualmente, manterrò il segreto. * a costo di Il poeta starà verosimilmente sonnecchiando in un angolo di un qualche appartamento occupato della zona di via Zamboni. Oppure, con addosso gli stessi vestiti dei giorni precedente, starà discutendo circa le innumerevoli facce del prisma, seduto sul divano di una casa di studenti dove per tre giorni e per tre notti si è tenuta una festa. Oppure, come ultima ipotesi, il poeta cammina per la città deserta in attesa della giornata e delle persone. Considerate le esatte geometrie degli spostamenti in città, il traffico, i problemi causati dalle agitazioni sindacali e altre variabili secondarie, i nostri si ritroveranno verso ora di pranzo seduti a cavalcioni di un muretto, nell’unico luogo della piazza dove arriva il sole. Niente parole di troppo, sarà sufficiente uno sguardo d’intesa. D’altra parte è risaputo il fatto che i poeti e i visionari occupano spazi, parlano inesausti di cose da nulla, penetrano quello che è dato non appena ne hanno possibilità e, in ultima analisi, formulano teorie con il solo scopo d’invalidarne altre. * brucio negli occhi Inevitabile che questo vento dell’est faccia sudare gli occhi, presagio forse ma ammorbidito dalla lana sulla pelle lembo, nuda, gelo. Non sono sufficienti alcuni strati: alcunché di strano nell’ammetterci fragili, esseri, rare volte in essenza di ciò che - rare volte soddisfatti per esempio: più umani che mai se in queste condizioni, a vagare stiamo tentando di usare una città e i suoi pretesti, che diventino verità salvifiche. * Il nostro aveva camminato, osservato e riflettuto circa la realtà e la finzione. Non che fosse arrivato a saperne più di prima, nemmeno a sentirsi meglio, vagamente sollevato. C’era qualcosa che lo turbava ancora adesso, nonostante stesse incominciando a fare ritorno. Se rimanessi qui, se continuassi a camminare, rifletterne, scriverne? Quanti giorni saprei, quanti bicchieri di vino? Si ringraziano Manuel Agnelli, Emidio Clementi, il poeta, Sante in veste di lettore, Michela in veste di messaggera, “Io sono di Berlino”, Paola, Enrico Brizzi, Martina e Mario, il Dub, Andersson in coppia con Kolyvanov e persino Bersani, Samuele. 10 Le sprose viennesi il viaggio Le città sono più potenti degli uomini. A chi non è mai capitato di vederne qualcuna uccidere e in casi minori turbare giovani ragazzine, uomini ormai fatti? E’ come se fossero meccanismi sfuggiti al controllo dei creatori e i cui creatori, in effetti, sono perlopiù morti. Quelli che invece rimangono li potete incontrare con tutta probabilità nelle gasthouse, fino all’alba degli inerti neon, città spettrale entusiasmante e inedita nelle luci, intenti ad impilare boccali su boccali vuoti. (Una prosa che sia rapida e formosa. Una mano tentacolare dalle dita spezzate.) * Ricordandovi l’inestimabile valore dell’asterisco come frattura, scelta intenzionale del coautore, e non refuso, o convenzione estetica, ‘voce narrante’ continua. (Con una prosa che non vorrebbe affatto cronologica e consequenziale (d’altra parte, sapete dirmi come si possa sfogliare un calendario con una mano tentacolare e tutte le dita spezzate?) ma che al tempo stesso non sia così egoista da non fornire piccoli chiarimenti almeno una volta ogni tanto.) Chiarimenti. Punto primo. Mio nonno è morto. Anche mia nonna. I nonni di ambo le parti, s’intende. Mai avuta in vita mia una figura anziana di riferimento, cazzo. Anche il mio papà è morto. Ma noi ci volevamo un gran bene, ci fidavamo l’uno dell’altro, è questo il punto. Ancora adesso so cosa penserebbe all’incirca di qualsiasi cosa io combini. Dunque quel colpo è stato riassorbito, anche se lui, semplicemente, non c’è più. Solo che la mia ragazza mi ha lasciato, eggià. Questo è successo a dire il vero tre anni fa. Poi mi sono sposato ma mia moglie, ora, fa la soubrette in Cile. Se n’è andata dicendomi che non si poteva fare in altro modo e che era davvero l’occasione della sua vita. Mio fratello ha le emorroidi e io sette costole rotte non diagnosticate per via del mio caratteraccio. Infine, il mio amico del cuore, pare essere stato anche lui rapito dai pastori sardi, lo scorso quindici di giugno. Questo è il quadro della situazione. Giusto per dire che avevo decisamente bisogno di una piccola vacanza. * In automobile percorrendo strade urbane, urbane di scorrimento, suburbane, tangenziali, statali e ancora provinciali dimenticate dalla mia cartina, autostrade, rampe e raccordi, autobahn, “rotonden” e piste ciclabili a fari spenti nella notte, io non facevo che pensare a quel racconto di Pier Vittorio Tondelli e desideravo una 500 scassata invece che la mia punto non meno scassata per poter essere esattamente come lui. Considerando che io amo enormemente la mia macchina e che con lei abbiamo persino guadato un fiume mi sa che per Tondelli devo avere un amore anche maggiore. (Ci saranno dentro cose mai scritte prima perché non ritenute letterarie ma ora rivalutate, seppur tardivamente.) Sopra al sedile del passeggero oltre alla cartina alle sigarette e ai cd c’era un sacchetto di ciliegie di quelle di mia mamma. La radio continuava a passare canzoni che mi ricordavano invece un’altra persona. Così, talvolta, colto dalla noia o da un inizio di sonno mi voltavo di lato e abbozzavo una conversazione ma le ciliegie, con mia sorpresa, non rispondevano mai. Ho desiderato continuare a guidare e non fermarmi mai più, lo ammetto, riempirmi gli occhi attraverso i finestrini fino a quando non avrei sentito di essere sul punto di svenire. Invece oltre lo svincolo mi aspettava la città. * Vienna al tuo primo giorno è come un fallo da dietro non sanzionato in una partita amichevole. Come gettare il tappo del pane dell’hot dog caldo. Entrare nei locali e una volta rivelatoti come straniero sospettare che gli altri dicano di te cose orribili. Ben al riparo nel loro ghetto linguistico con tanto di buttafuori ottusi che parlano ad alta voce sperando di farsi così capire per paura, o per osmosi. Le bocche dei viennesi al primo giorno le trovi in effetti nauseanti. Vienna è altresì simpatica. Un dedalo di viuzze periferiche e di signore abbandonate dai mariti nei caffè meno famosi. Di gente vestita in maniera disgraziata, è piena di sandali abbinati alle calze, orrende camicie e folli che passeggiano in maglietta nonostante ci sia un gran freddo. E di guance arrossate, si. * Poi ci prendi confidenza. Come ogni cosa che inizialmente ti sembra impossibile far tua per poi diventare improvvisamente così facile per poi ridiventare, infine, complessa e ingarbugliata. Una volta memorizzata la cartina delle linee della metropolitana siamo dunque nella fase del travestimento. Non è poi così difficile diventare viennesi, o australiani per dire, canadesi, o ancora americani, e in terra loro non essere notati da nessuno. E’ importante tenere la bocca chiusa e sorridere quando ti dicono frasi troppo lunghe e incomprensibili. Questo ti porterà ad essere accettato come qualcuno che non interferisce e addirittura ad essere notato per il tuo sorriso mediterraneo, questa nostra aria. Ammetto comunque di essere sembrato un viennese muto, talvolta. Il lato positivo era la possibilità di osservare tutto dal di dentro. E’ altresì fondamentale non estrarre mai la macchina fotografica – la cartina solo in angoli bui e riparati, le cartine ad uso turistico sono illegali! – a meno che non vi troviate in Giappone nel qual caso la faccenda si ribalta e la dovete necessariamente avere per riuscire a mimetizzarvi, sempre pronta, come una protesi artificiale penzolante dal collo. * Ho visto cose che noi umani non dovremmo mai vedere. Minuscoli bambini di Kyoto o di Osaka in pose incredibili e buffe con le piccole dita a V. Un monumento esserlo. all’essere poveri, dignitosamente Una ragazza incredibilmente bella non rendersene conto (Kathrin) quando ancora io non sapevo. Neppure io me ne rendevo conto. Quelli che non sopravvissero “all’imprevisto” con facce così tristi e fuori luogo che veniva voglia di schiaffeggiarli, di farli rinsavire. Financo prenderli a pugni, se necessario. Strade su strade su strade, gli alveari necessari al sistema nei pressi della Karl Marx Hoffe, diradarsi mano a mano che le gambe mulinavo verso le colline di Prinzing e i suoi adorabili vigneti. Ho visto almeno una mamma viennese che sapevo disposta ad adottarmi, così, su due piedi. (Eve) (E più tardi, anche l’imponente Suzanne.) Rifugi d’alta montagna nella prima periferia viennese. (Proposito per un eventuale ritorno alla città: fare attenzione a quel vino matto che loro chiamano Heurige.) * E poi ho visto molte altre cose, mente sovraimplosa, nessun relax, voci nella notte durante e prima e infine dopo il sogno di sensualissime ragazze della porta accanto, le mie dita impossibilitate e spezzate, “Henry potresti dire al tuo amico che si, siete davvero simpaticissimi e così ospitali ma sono 27 ore che non dormo, se potrebbe smettere di voler comunicare con me gliene sarei grato, ecco”, una cosa per volta, insomma, da vedere e sentire e toccare, non tutto insieme, su! * Immagini di me disteso nel mezzo del giardino di una villetta piccolo borghese in un quartiere residenziale. Immagini di me a casa sua conosciuta la giornata prima. Immagini sparse. Immagini di “te” se solo fossi qui, poi cancellate, cancellate senza accorgersene e senza cattiveria, pare sia la vita, o così dicono. Immagini di me con gli occhi persi, altrove, perso nel tenerli a bada, quei maledetti che stanno sempre in movimento. Immaginami felice, insomma, col mio sorriso migliore. Come non capitava da un po’ di tempo. * La chiave di volta di questo viaggio fu ad ogni modo quando compresi perché gli U2 avevano scelto quel nome, fra i tanti. La stesa notte feci la conoscenza di Henry, francese, che viveva in Inghilterra e Raul che viveva in Spagna e adorava il cinema italiano ed il Milan. Il primo studiava per diventare ambasciatore. Il secondo conservava idee in un cassetto segreto della mente per il suo primo film. Inevitabile amicizia che mi fece comprendere il significato di due oscure parole, fino a quel momento retoriche da salotto, come: “unione europea”. Vi fu da lì in poi una comprensione profonda di ogni cosa e della mia condizione di turista solitario, o per meglio dire viaggiatore, esposto alle risatine imbarazzate delle femmine e alla comprensione delle mamme universali. O universalmente riconosciute come tali. Quello che non dovete fare, però, è di immaginare una comprensione in stile new age, un qualcosa di così lento e noioso e radicato. Non pensatelo di me. Di tutti quelli che ormai procedono solo per intuizioni e vengono rimproverati dai fratelli maggiori, dagli amici più saggi (ubriachi al microfono, te lo ricordi Alessandro?) * Uno slogan a casaccio, poi, riferito di uscita da una flux fest, con i suoi repertori di azioni improvvisate ma a pagamento. “Buy art”, diceva. Nella sala neutralizzata ti racconto di un uomo che scrive EXIT a grosse lettere sulla lavagna. Il professore muto che lo osserva senza capire cosa dovrebbe fare. Gli studenti appollaiati dietro ai banchi non si muovono, non parlano, non commentano, si lasciano scappare solamente qualche risatina adolescenziale. A quel punto l’uomo con in mano il gesso inizia a fare un po’ di cose, ad attirarvi l’attenzione. Cose disgustose, cose indescrivibili per le quali la prosa esita. L’esibizione, se così la si può chiamare, si intitola “Le cose peggiori che abbiate mai visto – qualcuno che fermi la realtà” – sta scritto su una lavagna più piccola, in basso a destra, in stampatello – e dura grosso modo un paio di ore sorvolando abilmente le campanelle di fine lezione. Quasi tutti gli studenti se ne vanno prima della fine e con lo stomaco in subbuglio escono dall’aula attraversando la lavagna. Questi retaggi da film di fantascienza. Per ultimo, ovviamente, attraversa la lavagna varco l’uomo con il gesso. Il professore invece& “Stop the drunken reality.” * (Una prosa che sia ubriaca, talvolta sconnessa, ma rassicurante i miei cari che la riceveranno in tempo reale, via mail, del fatto che: (segue elenco di rassicurazioni) nonostante stia vagando alticcio su tutti i trenini della città cercando disperatamente di comunicare la mia gioia – e che non l’ho fatto apposta, stavolta no, è stato quel crazy vino novello – a giovani viennesi che hanno poco studiato l’inglese e mi scartano andandosene verso il fondo dei mezzi pubblici nonostante mi siano rimasti i soldi contati per il viaggio di ritorno (questo, per l’esattezza, il giorno prima “la cosa”) e non si stia affatto male qua, quali nostalgie? ed in ultimo, nonostante (il giorno dopo) abbia avuto il più classico dei guasti meccanici ed il portafoglio, come dicevo, vuoto, qua, quale viaggio di ritorno? (ringraziando i tipi della western union laddove compresi perchè gli stranieri frequentano quegli uffici e dunque mio fratello, ringraziandolo of course) una prosa che gorgogliando sillabe direttamente da questo calderone che è il mondo rassicuri i miei cari, come dicevo, che come sempre ritornerò sano e salvo a casa.) * (Una prosa che sia al tempo stesso densa ma con brusche svolte di improvvisa lucidità che facciano davvero infuriare tutti quegli adolescenti, gentili lettori, cascati nel mio tranello, attirati solo dalla leggerezza: adolescenti crescete!) * Niente di così leggero Vi è nel mondo tutto Che non scompaia Nel tempo di – O meno aulicamente, ieri notte, così stanco, guardavo Vienna, l’intera Wien da una panchina nel mezzo di un enorme prato nel distretto collinare di Ottakring. Dominavo l’intera città con uno sguardo solo e mi era sufficiente appena una leggera inclinazione del collo, il movimento di una mano, per sentire i segni di questa stanchezza quasi diventare un imminente crollo. Il perché era tutta quell’energia catalizzata dalla mente, niente di rimasto per il corpo. Forse Kathi mi stava già osservando attraverso le tende appena scostate. Ma questo ancora non potevo saperlo. La città, immensa, sotto di me, non pareva affatto potente, al contrario. Nell’improvvisa consapevolezza di essere così piccolo e con la necessità di questa consapevolezza per poter diventare grandi, o solamente medi, senza troppe pressioni. * La commozione del poter godere dello sguardo bello di una donna. La commozione, ancore maggiore, parossistica e nascosta, del poter godere dello sguardo di una donna, o di due, in leggera penombra, “can we help you?”, e dell’avere simultaneamente l’intera città ai nostri piedi, ammonirci con affetto, “ok, my name is” – Il tutto che avviene simultaneamente. Non esistono lustri che facciano differenze. Le cazzate cronologiche. L’anima atemporale. Eccovi un paio piccola verità ad uso e consumo di tutti noi. Più in basso, le cosse fatte tutte di una medesima pasta rimbombano fino ad esplodere di energie “divine” (non un‘altra parola.) Esse si manifestano ai nostri occhi in forme così diverse e affascinanti soltanto per ingannarci la percezione e donarci l’ennesimo dono, quella passione in più che crediamo tutto nella vita, meravigliosa vitale e marginale insieme. La vita prima della vita. * (Una prosa un po’ retorica talvolta, ma disposta ad ammetterlo. Con umiltà e rivendicando le sue circolarità. Disposta ad essere schernita, a farsi ridicola ma piramidale proprio per voi, suoi gentilissimi.) * Più in basso, le cose fatte tutte di una medesima pasta assumono queste cangianti forme: donne che leggono sedute a un tavolino di un caffè e con una mano si accarezzano una faccia- buste di plastica senza che alcuna sceneggiatura lo preveda si librano nell’aria a nostro personale beneficio- uomini corrono, inseguendo bambini che si nascondono fra le macchine urlando “mosquito! mosquito!”- macchine danzano sui selciati in compagnia di vecchie ferraglie a rotaie, questi valzer viennesi tutt’ora in voga- e ancora le gente coi telefonini, o con le biciclette nuovissime, o con carrozzine vuote in gara con carrelli della spesa rubati apposta per rifornirsi nei vicoli più bui- quella ragazza nella metropolitana che quant’è vero che io la pensai mi avrà simultaneamente pensato, forse, nei suoi capelli rossi (Roberto!), nella sua stanza d’alveare di periferia o in discoteche rumorose con amici non meno rumorosi- e ancora, crepe nei soffitti a guadagnare millimetri- sentimenti passeggiare lungo le strade in attesa solo di qualcuno che li possa decodificare, fermate i clacson, cazzo!, fermateli per una notte almeno- giovani in cui identificarsi agevolmente che ricevono messaggi sul telefonino inerenti Peter Pan, o “Starsky” and Hutch, o ancora “il Sassaroli“, come dimenticare “il Sassaroli”- e ricordi, si, di quei ricordi che non se ne vanno affatto anche se li vediamo come allontanarsi dai rispettivi proprietari, invece rimangono, in forme anch’esse differenti- questo in particolare, ficcatomi, in forma di un pedaggio autostradale fra Vienna e Berlino, che differenza faranno mai quattro o cinque anni trascorsi, Massimo, al bancone di quel locale dark a chiacchierare con Sasha e l’amico di Sasha di Alvaro Vitali e politica italiana, meraviglioso, te lo ricordi Massimo? Che la città contenga tutto, questo è innegabile. Questa città contiene persino questo taccuino, fitto, fitto, scritto fitto. * Siamo così piccoli dunque. E che nessun pessimismo venga tirato in ballo per questa semplice e smagliante verità, nessun allarmismo, nessun rinuncismo, nessun piccolismo, nessuna maledetta parola in ismo, ecco. Mi limitavo a dire che siamo piccoli. E così fieri di esserlo e talvolta così lucidamente consapevoli da avercela qualche chance in più, nella vita. Piccole le nostre utilitarie con le marmitte dentro ai bagagliai in grandi buste di plastica. Le vedi riflesse negli specchietti retrovisori altrui. Scritto dal tavolino di un caffè, davanti a me, tocco la strada che è una televisione. Il meccanico a cui ho insegnato qualche parola di italiano fra non molto mi riconsegnerà l’auto. Qualcuno che mi aspetta anche in questa città sconosciuta. Irrompe. * Kathi la vedo per la prima volta e immediatamente, a causa di uno scatto mentale di cui liberarsi, la penso irraggiungibile. E’ bella. In ogni caso le sorrido molto, quasi non mi riesce di fare altro, e Kathi mi sorride in risposta – essere cortesi coi clienti, essere professionali, essere in ogni caso gentili con le creature – e mentre io credo che pensi che io l’inglese potrei anche non tentare di parlarlo affatto, per quel che conta, lei sta forse pensando che ho un bel sorriso, e che sono dolce, e che le piaccio. Kathi sulle scale, qualche giorno dopo, sono dentro ai suoi occhi mentre me lo dice. Kathi che invidia noi quando parlammo in italiano davanti a lei e le notai lo sguardo oscillare fra le mie e le altrui labbra a cercare di capire e di cogliere quanto più poteva. Kathi davanti ad uno specchio quando si osserva ed una lacrima le scivola lentamente sulla guancia. Le spalle sul punto di iniziare a vibrare. Kathi odia i soldi. Mentre me lo dice davanti ad un bicchiere di vino della regione dell’Austria da cui proviene, mentre me lo scrive in una mail digitando con le dita sottili (hate money). Kathi che verso sera inizia a scostare la tendina dell’ufficio e guardare fuori sempre più spesso, Vienna dall’alto però desiderando Berlino, ripensando agli anni di Berlino, a cose di cui io non so quasi nulla. Kathi la mia insegnante, Kathi con la quale capirsi non è stato più un problema una volta che abbiamo iniziato a desiderarlo. Camminare con lei per Vienna mano nella mano, come due ragazzini, sapendo entrambi del poco tempo che avevamo. Correre con lei. Guidare con lei a fianco. Ridere e dire sciocchezze pensandone altre ancora da dire subito dopo solo per vederla ridere. Non perdere mai né per troppo tempo il contatto fisico, anche solo grazie al gesto di un dito passato sopra il suo ginocchio, o sul dorso della mano. Kathi che pensa tutto quello che ci sta capitando sia speciale e me lo dice quando ne ho bisogno. Kathi che mi bacia e che si lascia stringere, si lascia toccare, la consistenza del suo corpo e il suo calore, Kathi nel momento appena prima di lasciare che ci si conosca, il suo sguardo. Kathi quando sembra fragile e quando sembra invece inarrivabile, parte di un altro mondo, che mi è precluso. L’odore di Kathi, Le dita di Kathi. Il suo modo lieve di baciare. Rimanere nei capelli di Kathi, steso al suo fianco, quasi in silenzio come a rendersene conto, sotto alle nuvole prepotenti dell’Austria. Il suo modo indimenticabile di pronunciare il mio nome. Gli occhi di Kathi e il suo sorridere sereno. Il troppo poco tempo. * Il troppo poco tempo e la violenza di questo dover ritornare sui propri passi, a casa. 11 Zapping le cose come le vede Dio “Vorresti ‘sprosarmi’?” Le chiese lui. Lei non fece una piega. Apparentemente fu come se nulla fosse accaduto. Nemmeno il vento che imperversava sulla città sembrava averla sfiorata dopo quella domanda. I suoi deliziosi capelli biondi, quella frangetta, immaginata così tante volte prima di addormentarsi e ripercorsa con la mente, in un paese straniero e lontano, quando solo il ricordo, tutto rimase assolutamente immobile. Quanti di voi hanno un ricordo del genere? Conoscono l’emozione. Sanno quanto può essere lungo il momento prima della risposta, l’attesa, una vita in mezzo che si sframmenta nelle direzioni numericamente possibili, concepibili in quel momento di variabilità infinite. Lo snodo. Concentriamoci contemporaneamente e tutti su di uno snodo, vitale. Uno di quei momenti. Accostiamo le inquadrature, o sovrapponiamole, è meglio, si. Un piano americano che ci sorprende con quell’espressione dolcemente incerta – e diciamolo, vagamente ebete – appena prima della scelta. Una carrellata a 360 gradi sulla pianura che si è fatta polverosa. Il vento improvvisamente alzatosi a cui, ora, dovrete attribuire un qualche significato simbolico. E, infine, una futuristica inquadratura dagli studi televisivi lunari con tanto di zoom interstellare che ci rivela agli occhi di tutti esposti e così piccoli. Minuscoli. Di fronte allo snodo non c’è assolutamente il tempo di mettere le quattro frecce e ragionare, temporeggiare bevendo spuma, calcolare le infinite variabili ci manderebbe in tilt dopo poco. Occorre osare. Osammo ben sapendo che fino al giorno prima le cose andavano bene, tutto sommato. * C’è da dire che l’uomo con la blusa colorata sa che una cosa mai immaginata prima purtroppo non potrà diventare ‘cosa’. E dunque concepisce, parla, registra sé stesso e attraverso sé stesso – continuamente. Probabilmente sarà condotto alla follia. Parleranno delle sue creature come di cose folli e lo combatteranno. Allo stesso tempo, lui sa, di questo suo percorso e di come prima o poi lo condurrà dalle parole alla vita vera. Questo è ciò che vuole. Quello che gli dà energia. * “Il giorno prima il giorno dopo, intendevi dire?” Non risponde. In sottofondo c’è questa melodia martellante su base elettronica. Troppi pochi decibel. Una luce color magenta invade lo spazio. L’immagine svapora e non te ne accorgi quasi. * In questo momento ci ritroviamo invece in una sala di cui non si riescono e vedere le pareti ma con il soffitto esageratamente basso. Quelli un po’ troppo alti sono dovuti rimanere fuori. Dentro è affollatissimo e l’odore è la cosa che più vi colpirebbe. Siamo nel 19888, ebbene si, avete letto bene. Ne sono successe di cose ma quelle rilevanti sono davvero poche, a ben vedere. I tempi delle prime crisi e delle prime preoccupazioni apocalittiche. “Gli alieni siamo noi” e il primo esodo. La scoperta del tenorio. L’immobilismo pacifico dei lunghi medio millenni. L’illusione della vita eterna e la catalogazione giuridica dell’anima. L’abolizione ufficiale della memoria collettiva. Per una strana congiunzione di cose ci ritroviamo in una situazione paragonabile grosso modo a quella di 17881 anni fa. Alla luce di tutto questo solo pochissime persone sono leggermente differenti. Non si sorprendono. Non si sorprendono. Non si sorprendono più. La vita un affascinante loop, dunque. * Di notte passeggia cercando di sudare il più possibile – gocce di liquido viscoso di cui vuole liberarsi, fossero necessari anni – e di giorno guarda la televisione per ore. Con l’audio spento. La ascolta per ore, invece, quando per la stanchezza è costretto a chiudere un po’ gli occhi. Parallelamente si allena nell’arte del minor sonno. Un dispositivo di sua invenzione cambia canale per lui. Non deve fare altro che starsene lì e assorbire, nutrirsi e andare al bagno, ecco tutto. Sente lo spazio della sua consapevolezza diventare sempre più ampio grazie a tutte queste immagini, questi suoni assorbiti. Ma è il rituale delle notti, il camminare instancabile, il riferire al vento, che gli permette in realtà di concretizzare questa sua evoluzione e farla diventare. Come in un ciclico processo di riordino della memoria ogni mattina tutte le cose dentro hanno assunto il loro miglior posto, rispetto alle altre cose e a lui. E’ possibile ricominciare. * In un “angolo” della sala bassa potremmo sentire questa conversazione fra adolescenti ma solamente se sapessimo leggere il labiale. “Cazzo di musica assordante.” “Che cosa ci vuoi fare. Senti, com’è andata ieri sera alla fine?” “Tutto regolare. Le solite cose e i soliti posti.” “Ah, ok. Bello.” “E’ successa solamente una cosa. Pare che Leila si sia infuriata per quelle cose che hanno iniziato a dire sul suo conto per via della faccenda con Loris e per tutta la sera non ha aperto bocca. Eravamo qua. Non diceva una parola, credimi.” “Ah, beh. D’altra parte. Cazzo di musica assordante, come poteva, non trovi?” “Mmh. In effetti si, devi aver ragione tu.” “Andiamo dagli altri che dici.” “Andiamo dagli altri.” * Le signore inizialmente lo seguirono con lo sguardo, concentratissime, interrompendo di colpo la loro oziose meditazioni. Poi, dopo avere notato in quale direzione andava, presero a seguirlo fisicamente ma mantenendo una certa distanza. La notte era una delle solite notti afose e dal cielo limpidissimo tipiche dell’estati di quelle parti. Lui era vestito con una lunga blusa di lino dai colori sgargianti e con vistose pezze sulla schiena. Indossava mocassini esageratamente lucidi e svariati altri particolari nel suo abbigliamento non erano riconducibili a nulla di convenzionale, anche solo negli accostamenti. Nella zona lo conoscevano tutti, abituati a vederlo esclusivamente di notte, passeggiare. L’immagine complessiva che coglievi nel vederlo passare era di un qualcosa di assolutamente sgraziato e il particolare brusio, quel parlottare sommesso che proveniva dalle sue labbra contribuiva in larga misura a questa impressione. Una volta entrati nel sottobosco tutti loro, con diversi gradi di consapevolezza, sentirono con sollievo l’aria farsi meno pesante e irrespirabile. La pelle come frizzare per l’improvviso cambio di temperatura. Quando fu nei pressi della radura le signore diminuirono la distanza che le separava da lui e provarono a distinguere qualche parola di quelle che sembrava pronunciare in un ciclo continuo e inesauribile, senza un calo di tensione nella voce, in modo assolutamente innaturale. A interrompere tutto fu il classico ramo spezzato. Il giovane si voltò e con uno sforzo enorme di concentrazione mise a fuoco le due sagome dietro di lui, nel buio del sottobosco. Le conosceva. “Giovane, non andare di là. Perché non ritorni con noi verso le strade illuminate, eh? E’ che passi troppo tempo da solo. Non ti farà bene alla lunga, credici.” Lui non sapeva, in quel momento esatto, nei pressi della radura, né dello snodo né di essere stato ritratto in queste pagine come fonte d’ispirazione e narratore di tutta questa parola. Le signore invece non sapevano quasi nulla, come avrebbero potuto. Esistevano parallelamente alle cose. Anche io. Non importa davvero dove mi trovassi. Quel che conta è che lo sentii rispondere “non sono affatto solo, ho una vita interessante, non immaginate” e lo vidi sedersi a gambe incrociate iniziando ispiratissimo a raccontare al suo pubblico, senza imbarazzi. Lo ascoltammo tutta la notte fino a dentro il sonno. * Fine della prima parte. * La seconda parte inizia così ed è in realtà la continuazione di una prima parte parallela, non esattamente quella di prima, o di una diciannovesima parte cha ha filiato conseguenze e diramazioni narrativo emozionali a spasso nel tempo, avanti e a ritroso, oblique nel tempo. Non esistono separazioni se non quelle che ci sono utili. Gli sciocchi che tentarono di fermare il fiume a mani nude morirono travolti dai gorghi che si formano ciclicamente. La materia vitale ha un’energia propria ed un proprio percorso, cosa credevano. Le dighe sono meravigliose soprattutto nel momento in cui l’acqua inizia a filtrare, le crepe ingigantirsi, tremendi suoni nell’aria, gli spasmi muscolari del cemento prima dello schianto. E del ripristino delle cose. Un terzo dei calcolatori di un istituto segreto parallelo alla Nasa sta tentando da alcuni decenni, ma senza successo, di trovare il complesso di formule matematiche che rappresenti l’universo. C’è da considerare che i contribuenti, all’oscuro di tutto, nel caso impossibile che l’obiettivo venga raggiunto non ne avrebbero comunque alcun vero giovamento. Si tratta di un tipico capriccio del re, insomma. E dunque siamo dentro al vitale mutamento di una porzione di mondo. Rappresentata su queste pagine a beneficio di occhi che le useranno per abituarsi alla luce. Parole, grammatica a beneficio di piccole menti. La posticcia divisione in parti a beneficio invece di quelli che nelle pause ne approfittano per continuare a lavorare, o per andarsene in bagno, aprire il frigo, controllare la cottura del sugo. * Semplicemente. Le cose come le vede Dio quando fa Zapping. * Prosieguo della 33° parte. Pochi lo sanno. Fu nel quinto dei sette giorni che venne creata la polvere proprio a farci comprendere che l’immobilità delle cose non può esistere e per quel poco che esiste, sempre che esista, è semplicemente da considerarsi brutta. Questo gli permetteva inoltre, a Dio intendo, di non arrossarsi gli occhi per la nitidezza delle immagini durante l’orario di lavoro. In case disabitate da anni gli oggetti rimasti, i piccoli elementi di mobilio che riempiono gli spazi malinconici, si muovono impercettibilmente. Talvolta, occasionali scosse telluriche accelerano questo inevitabile processo. All’incirca ogni dieci anni ci sono dunque oggetti che si inclinano sfaldano e cadono verso terra producendo graziosi rumori che lo fanno sorridere. A Dio intendo. La luce verde prodotta dallo schermo di un cellulare che nella notte si accende per un messaggio ricevuto viene riflessa dallo specchio ai piedi del letto. Mentre loro dormono nudi nell’oscurità quasi totale della stanza. Nessuno la può dunque vedere. Forme di bellezza misconosciute. E ancora. Tutte le creature, comprese quelle a sangue freddo, che brulicano nello strato superficiale della crosta terrestre appaiono da molto lontano come uno sfondo di piccoli puntini luminosi. Sopra di esso si stagliano talvolta pochi centri ma di un’energia così intensa e dai colori smaglianti, catalizzare e disperdersi ed essere in collegamento col tutto circostante, fatto invece come di onde, colorate anch’esse, che mischiano i loro flussi in un disordine ordinatissimo. Ogni giorno, quest’incredibile e meravigliosa danza si ripete. * La selezione casuale delle piccole scene quotidiane. Una di x, proseguiamo. La ragazza con la frangetta bionda e il corpo atletico e scattante mentre cammina fra la gente che invade il marciapiede e abilmente li scosta per passare oltre, gli scivola a fianco, cambia repentinamente traiettoria per superare i gruppi più compatti e ostinati. Il tutto con grazia e senza dare veramente l’impressione di essere nervosa e in ritardo, come realmente è. Verso il sottosuolo. Quando arriva al terzo livello inferiore legge nel visore un numero e si blocca, rallentando il respiro. Il treno arriva dopo un paio di minuti. E’ poco dopo essere salita sul mezzo, gli sportelli che le si richiudono alle spalle, che con stupore si ascolta rispondere “Si. Si! Lo voglio.” Quelli intorno la guardano perplessi per un po’ e poi non la guardano più. Non si sorprendono. Non si sorprendono. Non si sorprendono più. * E in ogni caso, nonostante tutto sapesse e prevedesse, capitava anche a lui, talvolta, di essere sopraffatto dall’emozione. Non c’era polvere che tenesse in quei momenti. Quelle scene meravigliose, quelle in particolare in cui avvenivano i contatti. Mamme che nelle sale parto ricevevano i loro bambini in dono e li stringevano a sé. Ragazzini le cui ginocchia si sfioravano sotto i tavolini dei bar. Persino la gente che si urtava goffamente lungo la strada domandando sbrigativamente scusa e proseguendo – ma impercettibilmente diversi – verso i propri impegni lo faceva emozionare e divertire insieme. E sapete chi intendo.