redemptionis sacramentum

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redemptionis sacramentum
IL MINISTRO DELL’EUCARESTIA
DALLA NORMATIVA CANONICA ALLA REDEMPTIONIS SACRAMENTUM
Il tema che proporrò riguarda la figura del presbitero in riferimento al sacramento
dell’Eucarestia. Sarebbe da ingenui pretendere di volere affrontare tutto quanto l’argomento per la
sua vastità e complessità. Mi limiterò a delineare, in chiave giuridica, il rapporto esistente tra la
Santissima Eucaristia e la figura del sacerdote. Tengo presente, particolarmente due documenti assai
importanti: da un lato la normativa canonica promulgata nel 1983 e cioè il Codice di Diritto
Canonico e dall’altro l’Istruzione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei
sacramenti dal titolo “Redemptionis Sacramentum” (25 marzo 2004), in applicazione dell’ultima
enciclica di Giovanni Paolo II “Ecclesia de Eucaristia” del 17 aprile 2003.
Ritengo opportuno comunque fare comprendere prima di ogni cosa lo stretto rapporto che
c’è tra diritto e teologia riguardo al sacramento dell’Eucaristia per presentare la normativa relativa
al ministro sacro e i compiti richiesti.
Aspetti teologici e giuridici fondamentali
All’Eucaristia il Codice di Diritto Canonico dedica 61 canoni (cann. 897-958), distribuiti in
tre capitoli riguardanti: 1) la celebrazione eucaristica con particolare attenzione al ministro, alla
partecipazione alla santissima eucaristia, il tempo e luogo della celebrazione; 2) la conservazione e
venerazione della santissima eucarestia; 3) l’offerta data per la celebrazione della messa.
Nel codice anteriore, quello Pio-benedettino del 1917, la trattazione della Santissima
Eucarestia comprendeva due capitoli distinti: il primo dedicato al sacrificio della Messa e il secondo
al sacramento. La teologia attuale preferisce considerare l’Eucarestia in modo unitario, attribuendo
anche al sacrificio la nozione di sacramento. Anche Giovanni Paolo II né da questo insegnamento
nell’enciclica Redemptor hominis del 4 maggio 1979, al n° 20, quando presenta il Mistero
Eucaristico come unico sacramento, pur nella sua triplice dimensione: sacramento-sacrificio;
sacramento-comunione; sacramento-presenza. In conformità con tale insegnamento il Codice del
1983, quello promulgato quindi da Giovanni Paolo II, tratta nel medesimo capitolo De Eucharistiae
celebratione sia della celebrazione del santo Sacrificio, sia della Comunione, che fa parte di essa.
Una tale struttura unitaria è senza dubbio teologicamente più esatta e pastoralmente più valida.
Sono due i canoni che riassumono la dottrina della Chiesa circa la SS. Eucarestia e il
particolare culto che i cristiani devono professare per essa. Si tratta dei canoni 897 e 898. in essi
viene detto che l’Eucarestia è il centro e il vertice di tutti i sacramenti; è il sacramento più augusto
di cui Cristo ha fatto dono alla Chiesa, infatti lo stesso Cristo Signore è contenuto, viene offerto al
Padre attraverso il Sacrificio della Messa, è ricevuto dai fedeli nella comunione; è il memoriale
della morte e della risurrezione del Signore; in esso si perpetua nei secoli il Sacrificio della Croce,
in un’attuazione perenne; è il culmine e la fonte di tutto il culto e di tutta la vita cristiana; è il
sacramento che esprime ed effettua l’unità del popolo di Dio e compie l’edificazione del Corpo di
Cristo nella storia, ossia nel tempo e nello spazio.
Nel secondo canone introduttivo, il can.898, viene richiamato il dovere dei fedeli e dei
pastori d’anime perché all’Eucarestia venga prestato un sommo rispetto e un culto profondo. E ciò
in sintonia con il Concilio Vaticano II, con la Sacrosantum Concilium quando dice: “La Chiesa si
preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di
fede, ma che mediante una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione
sacra consapevolmente, pienamente e attivamente” (n.48).
Senza soffermarsi sulle numerose norme che regolano i diversi aspetti della celebrazione
eucaristica, in questo intervento fermeremo l’attenzione sulle questioni canoniche riguardanti la
figura del presbitero.
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Il ministro dell’Eucarestia nel Codice di Diritto Canonico
“Ministro in grado di celebrare nella persona di Cristo il sacramento dell’Eucarestia è il
solo sacerdote validamente ordinato”. È così che recita il can. 900§1 del CIC. I fedeli che, in virtù
del battesimo, partecipano alla funzione sacerdotale di Cristo, hanno soltanto un sacerdozio
comune, di base, che non permette loro di essere ministri dell’azione eucaristica. Contro colui che
attenta la celebrazione eucaristica è prevista, dunque, la pena “latae sententiae” della sospensione
per il diacono o dell’interdetto se si trattasse di semplice fedele.
Perché, poi, il sacerdote celebri lecitamente è necessario che questi non sia impedito da
legge canonica, deve anche osservare i canoni prescritti.
La norma codiciale prescrive anche altri compiti per i sacerdoti: deve presentare le lettere
commendatizie del proprio Ordinario o del proprio Superiore per essere ammessi a celebrare
l’Eucarestia; ha diritto di applicare la Messa per chiunque, sia per i vivi sia per i defunti. Riguardo
poi all’applicazione della Messa, il legislatore sottolinea che la Messa ha valore universale: può
essere applicata per chiunque, sia per i vivi che per i defunti, vale a dire per le anime che scontano
nel purgatorio la pena temporale dei loro peccati.
Il can.902, poi, autorizza ogni sacerdote a concelebrare l’Eucarestia, senza che occorra una
particolare licenza da parte dell’Ordinario; vi sono però nel canone due precisazioni: “che l’utilità
dei fedeli non richieda o non consigli diversamente” e che “rimanga intatta per i singoli la libertà
di celebrare in modo individuale” (non però mentre si sta concelebrando nella stessa Chiesa o
oratorio). L’Istruzione Eucharisticum Mysterium della Congregazione dei Riti consiglia la
concelebrazione dei sacerdoti tutte le volte che sia possibile, poiché “esprime e consolida i vincoli
d’intima fraternità da cui essi sono legati in virtù della comune ordinazione sacra e della comune
missione” (n.47,2), ed esprime anche mirabilmente l’unità del popolo di Dio, quando la
concelebrazione è presieduta dal vescovo e ad essa partecipano i fedeli (n.47,1: Enchir.
Vat.,vol2,pp.1136-1139,n.1347), in modo che si abbia la compiuta “Sinassi” a cui si accenna nel
can. 899§2. l’Istitutio Generalis Missalis Romani (26/3/1970) specifica i casi nei quali la
concelebrazione è prescritta e le occasioni nelle quali è raccomandata. È espressamente proibito al
sacerdote che concelebra nello stesso giorno una seconda messa, percepire l’offerta per questa (Cfr.
can.951§2).
Riguardo, invece, alla celebrazione il legislatore ne parla al can. 905§1 dove stabilisce che
“non è lecito al sacerdote celebrare più di una volta al giorno”, fatte però delle eccezioni.
L’Ordinario del luogo può infatti concedere, quando vi sia scarsità di sacerdoti, che un sacerdote
possa, per giusta causa, celebrare due volte al giorno o tre volte nelle domeniche e feste di precetto.
Il legislatore insiste perché i sacerdoti celebrino frequenter , anzi quotidie , il Sacrificio eucaristico
(can. 276§2,n.2), spiegandone le intime ragioni di carattere teologico: 1° Nel mistero del Sacrificio
eucaristico si compie perennemente l’opera delle Redenzione; 2° La celebrazione eucaristica, anche
quando non si possa avere la presenza dei fedeli, è sempre un atto di Cristo e della Chiesa, compiuto
per il ministero del sacerdote; 3° Compiendo un tale atto, il sacerdote esercita la sua principale
funzione (Cfr. Presbyterorum Ordinis, n.13,3). Va ricordato, anche, che non va proibito al sacerdote
di celebrare senza la partecipazione di almeno qualche fedele, quindi da solo, ma ciò non potrà
avvenire “se non per giusta e ragionevole causa” (can.906). La forma celebrativa da privilegiare è
quella con la presenza della comunità (Cfr. can.837§1).
Riguardo, invece, alla binazione o trinazione, il Codice è chiaro. La norma generale – si
confronti il can.905- è che il sacerdote non celebri più di una sola volta al giorno, tranne i casi in
cui il diritto lo consenta. Ai termini delle norme vigenti, è permesso celebrare più volte: il Giovedì
Santo, a Pasqua, nel Natale del Signore e nella commemorazione dei fedeli defunti. È anche
consentita una seconda Messa in ragione della concelebrazione, se questa è presieduta dal vescovo
o da un suo delegato “in occasione del Sinodo, della visita pastorale o d’incontri sacerdotali (Inst.
Gen. Missalis Romani, 168,d). Tali facoltà valgono soltanto per la binazione, non per la trinazione.
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A parte i casi finora indicati, l’Ordinario del luogo può concedere la facoltà della binazione
nei giorni festivi come in quelli feriali, alle seguenti condizioni: che vi sia scarsità di sacerdoti e che
ricorra una giusta causa (esigenza di una comunità religiosa o di un gruppo di fedeli, celebrazione di
nozze o di esequie, ecc.).
Per quanto riguarda, invece, la trinazione, l’Ordinario del luogo può permetterla ma solo
nelle domeniche e nelle messe di precetto, e per necessità pastorali. Anche per questo caso pare che
sia da interpretare in senso piuttosto ampio, poiché il canone non parla di “vera necessità pastorale”
ma di “necessità pastorali”.
Un’ultima notazione desidero farla per quanto riguarda il luogo sacro per la celebrazione
eucaristica. Il Codice al can. 932§1 prescrive che “la celebrazione eucaristica venga compiuta nel
luogo sacro, a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la
celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso”. L’Introduzione al Messale Romano
concorda che il canone pur apparendo meno vincolante. Come afferma il can.1205 “sono sacri quei
luoghi che vengono destinati al culto divino o alla sepoltura dei fedeli mediante la dedicazione o la
benedizione, a ciò prescritte dai libri liturgici”. Essi quindi sono: le chiese dedicate o benedette, gli
oratori e le cappelle benedette, il santuario. Per ciò che riguarda i cimiteri, il codice prescrive
l’obbligo della benedizione, costituendoli così luoghi sacri. Ci si chiede perché restringere la
celebrazione eucaristica al “luogo sacro” ? il motivo di una tale scelta è il legame che si realizza tra
il segno visibile dato dalla chiesa-edificio-altare (più in generale, un luogo destinato al culto) e la
realtà cioè il tempio del corpo mistico che è la Chiesa. La normativa circa il luogo ordinario potrà
sembrarci eccessivamente rigorosa data la necessità che si presenta spesso oggi di celebrare fuori
dal luogo sacro o per il radunarsi di tanti fedeli in determinate occasioni o per la necessità pastorale
di promuovere la formazione e la spiritualità di un gruppo e di una parte della comunità cristiana. Il
canone, allargando la possibilità ed evitando di ricorrere al superiore per la licenza, ha lo scopo di
garantire ciò che l’Introduzione al Messale Romano sottolinea come motivo per l’oculatezza nella
scelta di luogo celebrativo. Esso si deve prestare a due qualità: innanzitutto a ciò che la
celebrazione stessa richiede nello svolgimento dei riti come il raccoglimento, il silenzio, lo spazio;
inoltre alla possibilità da parte dei fedeli di partecipare attivamente all’Eucarestia. Resta però da
chiedersi quando si può presentare un “caso particolare” che richieda l’eccezione alla norma
generale? Per esempio: a gruppi particolari che vogliono celebrare l’Eucarestia per intensificare la
vita cristiana, luoghi adatti ai fanciulli perché si possano trovare a loro agio con una liturgia più
adatta alla loro età, ecc. Gli esempi sono soltanto indicativi e rendono ancor più chiaro l’obiettivo
della norma che è di natura pastorale nel senso di una duplice attenzione: alla presenza reale di
Cristo nell’Eucarestia celebrata e alle condizioni per una autentica partecipazione da parte dei
fedeli. L’unica indicazione, insomma, offerta dal canone per scegliere un altro luogo, diverso da
quello sacro, è il decoro. Il canone parla di “luogo decoroso” (“in loco onesto”). Il termine latino
“honestus” indica pure onore, rispetto, dignità, nobiltà e bellezza. A questa indicazione prettamente
esteriore bisognerà aggiungere, però, anche la possibile partecipazione attiva dei fedeli
all’Eucarestia.
La Redemptionis Sacramentum: contenuto e lettura critica
La Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti in data 25 marzo 2004
ha emanato l’Istruzione Redemptionis Sacramentum nella quale vengono ribadite alcune norme
circa la celebrazione dell’Eucarestia già presenti in altri documenti del magistero, nel Codice di
diritto canonico e in particolare nei Praenotanda dei libri liturgici usciti dalla riforma voluta dal
Concilio vaticano II.
È difficile dare un giudizio obiettivo a prima lettura del documento, considerando anche il
fatto che questo documento ha suscitato e sta suscitando polemiche e risentimenti. Si racconta che
sono state necessarie ben nove stesure perché, finalmente, vedesse la luce la nuova Istruzione della
Congregazione per il Culto divino, intitolata “Redemptionis Sacramentum” – avente a tema i
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cosiddetti “abusi liturgici”.Va precisato che l’Istruzione fa seguito all’Enciclica del Papa “Ecclesia
de Eucarestia” e un primo elemento da tenere presente nella lettura di questo documento è il suo
valore magisteriale. La sua preoccupazione principale è quella di trattare “alcune questioni
concernenti la disciplina del sacramento dell’Eucarestia” (n.2). non è corretto pertanto considerare
questo documento come fonte per la comprensione dell’Eucarestia da un punto di vita teologico,
liturgico, spirituale. E ciò viene soprattutto provato per il fatto che ho detto prima e cioè che
l’Istruzione è uscita esplicitamente in seguito ad un altro documento del magistero, l’enciclica di
Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucaristia del 17 aprile 2003. ancora: l’Istruzione non ha nemmeno
l’intenzione di offrire “l’insieme delle norme relative alla santissima Eucaristia, quanto piuttosto di
riprendere (…) alcuni elementi, che risultano tuttora validi nella normativa già esposta e stabilita,
per rafforzare il senso profondo delle norme liturgiche” (n.2). Dunque, il documento di carattere
giuridico-disciplinare va letto rispettandone la natura e le finalità proprie. Forse si può dire che la
preoccupazione è quella di intervenire a regolamentare alcuni “casi limite” nei quali è necessario
stabilire delle regole per evitare che i diritti di qualcuno vengano calpestati. Se per esempio viene
affermato il diritto dei fedeli a una celebrazione dell’Eucarestia autentica e conforme alle
indicazioni del magistero della Chiesa, va anche richiamato ai ministri ad avere grande rispetto di
questo diritto, a non considerare la celebrazione eucaristica come una realtà della quale essi possono
disporre liberamente, indipendentemente dal servizio che sono chiamati a compiere in favore di tutti
i fedeli. Va cioè recuperato il giusto rapporto tra ministro ordinario e la “gestione” della
celebrazione stessa. Così pure per quanto riguarda la creatività, c’è il richiamo a non lasciarsi
andare a una sfrenata rincorsa al cambiamento per il cambiamento e dall’altro all’esigenza di non
soffocare per la paura di eccessi ogni forma di creatività, comprese quelle possibilità di scelta e di
adattamento previsti dai libri liturgici stessi.
Dando una breve sintesi del contenuto, non ci si lasci fuorviare, quindi, dalla presenza nel
documento di un gran numero di divieti e di richiami al rispetto delle normative liturgiche,
altrimenti si corre il rischio di darne una lettura parziale tutta sbilanciata verso una “cieca
obbedienza” alle norme. Il documento disciplinare tende unicamente a correggere ed eventualmente
a prevenire abusi che possono condurre ad avventurose soluzioni rituali incapaci di garantire alla
Chiesa una celebrazione autentica, “spezzando i legami che i sacramenti hanno con Cristo stesso,
che li ha istituiti, e con gli eventi su cui la Chiesa è fondata” (n.10).
Ecco un breve schema dell’Istruzione:
1. Regolamentazione della liturgia: Sta al vescovo moderare e promuovere la liturgia (n.19),
vigilare che sia celebrata in pienezza(21), ma anche riprendere(22) e domandarsi se le
commissioni diocesane abbiano funzionato o se si debbano apportare correttivi e
miglioramenti (25). I sacerdoti celebrano devotamente, evitando cambiamenti, riduzioni o
aggiunte arbitrarie per un malinteso senso di creatività (30-31). I diaconi servano fedelmente
e con umiltà la liturgia (34-35).
2. Partecipazione dei laici all’Eucarestia: Il battesimo abilita i laici a una partecipazione attiva
e consapevole (36-37), resa possibile da acclamazioni, canti, riti, adattamenti, ecc (39),
nonché dalla promozione della Liturgia delle Ore e dei pii esercizi (41). Va ricordato che i
laici possono compiere alcuni compiti come accolito e lettore – istituiti e non – (43-44), ma
deve restare chiara la complementarietà tra la loro azione e quella dei chierici (45). Tra i
“ministranti” si possono ammettere fanciulle o donne.(47).
3. Correttezza della celebrazione: il pane dev’essere azzimo, di frumento; anche il vino
dev’essere “naturale”, non sostituibile con bevande di altro genere, che “non costituiscano
materia valida”(50). Quanto alla preghiera eucaristica non è tollerabile usarne una di privata
composizione o di modificare i testi ufficiali (51); è un abuso che alcune parti siano recitate
da altri (un diacono, un laico, i fedeli tutti insieme) (52), così com’è abusivo spezzare l’ostia
alle parole “lo spezzo” (55). Non si possono introdurre elementi desunti dai riti di altre
religioni (79); non si mutino o si alterino i testi liturgici (59); è diritto dei fedeli avere una
celebrazione ben preparata, che si avvalga della facoltà di scelta, con idonea musica, vesti
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sacre e lini d’altare decorosi e puliti (57-58). Le letture bibliche non sono sostituibili con
altre(62), il vangelo non è proclamabile da un laico fosse pure un religioso (63); l’omelia
non può essere tenuta da un laico (64), da un seminarista, da un assistente pastorale (66) e
tanto meno da un chierico dimesso dallo stato clericale (168). La liturgia non può essere
soppressa a favore di avvisi o testimonianze, queste vanno fatti fuori dalla messa o prima
della benedizione. Non è ammesso un Credo non approvato (69). All’offertorio il denaro e
quant’altro restino fuori dalla mensa eucaristica (70). Alla comunione non si sposti il rito
della pace, da scambiarsi solo con i vicini (71-72), e non sia un laico a spezzare il pane, né si
prolunghi indebitamente il rito (73). Non si può unire la messa con il sacramento della
Penitenza; ciò non impedisce che dei sacerdoti ascoltino la confessione dei fedeli che lo
desiderano, anche mentre si celebra la messa nello stesso luogo, per venire incontro alle
necessità dei fedeli. Ciò tuttavia si svolga nella maniera opportuna(76). Non si può celebrare
l’Eucarestia in una sala da pranzo o simili (77). Va evitato di collegare la celebrazione con
eventi solo politici o mondani (78).
La Comunione: Chi non è in grazia di Dio non celebri o non si comunichi se non dopo la
confessione sacramentale (81); la prima comunione non vada fatta al di fuori della messa e
neppure il Giovedì Santo. Si badi che non accedano alla comunione non cattolici o non
cristiani (84). Nessuno si allontani con in mano le specie eucaristiche (92-93). Non è
consentito prendere da sé l’ostia e il calice o passarseli (94 e 104). Non è lecito negare la
comunione a chi vuole ricevere in ginocchio o in piedi (91).
Altri aspetti riguardanti l’Eucarestia: Non è consentito celebrare nel tempio o luogo sacro
di una religione non cristiana (109); il sacerdote non conosciuto deve esibire la lettera
commendatizia (111); è consentito sempre e ovunque celebrare in latino; non si sospenda la
messa “per il popolo” (115), ma neppure si moltiplichino le messe (116). Non si ometta la
stola sotto la casula (123). È un abuso celebrare senza vesti sacre o con la sola stola sulla
cocolla monastica o sull’abito religioso o civile (126). È lodevole continuare a usare la
dalmatica (125).
Conservazione dell’Eucarestia e culto eucaristico: Vietato conservare l’Eucarestia in luogo
insicuro (131) o abusivamente portarsela a casa (132); chi porta la comunione ai malati
scelga un tragitto diretto tralasciando altre occupazioni (133). Nell’adorazione non si
escluda la recita del rosario ma con accentuazione cristologica (137); il Santissimo
Sacramento non resti esposto senza custodia (138) e si interrompa l’esposizione se ha luogo
la messa (140); si cerchino nuovi modi di praticare le processioni eucaristiche (144).
Compiti straordinari dei laici: I laici possono supplire alcune mansioni del sacerdozio
ministeriale, ma non sostituirlo (146-147); il ministro straordinario della comunione è
deputato e non ordinato (155) e non può delegare il suo ufficio (159). Non agisca in
presenza di un sufficiente numero di ministri sacri ma unicamente se la celebrazione
dovesse protrarsi di troppo (157-158). Il vescovo diocesano riesamini tutta questa prassi.
Rimedi: Primo rimedio è la formazione (33, 46, 170), ma se gli “abusi persistono, occorrerà
procedere” (170). A questo punto si indicano i “graviora delicta” dei cann. 1364 – 1398
(ad esempio: profanazione dell’Eucarestia, sottrazione o ritenzione delle ostie, simulazione
della messa, consacrazione a fine sacrilego, ecc.) (172), gli atti gravi che mettono a rischio
la validità o la dignità dell’Eucarestia (173), gli altri abusi lesivi della normativa e del
presente documento. Il vescovo è chiamato a vigilare, indagare (dopo una notizia), avvisare
la competente Congregazione del Culto (177-178), che a sua volta avviserà il vescovo degli
abusi dei quali è venuto a conoscenza (181). Infine, “ogni cattolico, sia sacerdote, sia
diacono, sia fedele laico, ha diritto di sporgere querela su un abuso liturgico presso il
vescovo diocesano (…) o alla Sede Apostolica in virtù del primato del Romano Pontefice. È
bene, tuttavia, che la segnalazione o la querela sia, per quanto possibile, presentata dapprima
al vescovo diocesano. Ciò avvenga sempre con spirito di verità e di carità” (184).
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Abbiamo sottolineato prima che correttezza vuole che all’Istruzione si ci accosti per una
lettura oggettiva, prima di opporre riserve e obiezioni. C’è una tentazione alla quale si deve
resistere, cioè quella di pensare che sia una perdita di tempo prestare attenzione agli abusi
liturgici. Alcuni di questi minacciano di rendere il sacramento invalido. Altri manifestano una
mancanza di fede eucaristica. Altri ancora contribuiscono a seminare confusione tra il popolo di
Dio e tendono a dissacrare le celebrazioni eucaristiche. Non dobbiamo disattendere le
normative, ma purtroppo questo avviene e non è giusto.
Ricordiamo però che il documento è rivolto a tutta la Chiesa e alcuni abusi forse non
toccano l’Italia per l’assenza della cultura che li provoca: così la proclamazione, ad esempio, di
letture non bibliche o l’uso di riti di altre religioni.
Il documento comunque lascia qualche interrogativo. Bisognerebbe domandarsi se gli abusi
sono solo frutto di cattiva volontà oppure di carenza formativa, oppure se non sono anche il
sintomo di una situazione che sta maturando e che esigerebbe più autonomia delle chiese
particolari per alcuni punti particolari. Si ha anche l’impressione che gli abusi sembrano visti
dall’alto, cioè in relazione ai presbiteri, diaconi e laici. E chi sta al di sopra? Così pure qualcuno
ha lamentato, anche, che gli abusi sembrano visti un po’ troppo da destra: possibile che le
“fughe” di stampo tradizionalista siano così poche?
In conclusione, la Redemptionis Sacramentum prende atto della gravità di certi
atteggiamenti e situazioni ormai diffuse e tenta di porvi rimedio. Si vuole tutelare il bene più
prezioso che Gesù ci ha dato: il suo Corpo e Sangue, realmente presente nell’Eucarestia. Questa
Istruzione è un richiamo al senso del sacro e al rispetto dell’Eucarestia, che alcuni
sembrerebbero aver perso. Il documento, quindi, ha una particolare importanza per i sacerdoti in
quanto custodi del Santissimo Sacramento. Pensiamo a quei sacerdoti che hanno rischiato e
offerto la vita per celebrare e difendere l’Eucarestia. Pensiamo ai tanti sacerdoti rinchiusi nei
campi di concentramento, così come al cardinale Van Thuan, recentemente scomparso, il quale
nelle sue memorie racconta che le più belle eucarestie erano quelle celebrate con poche gocce di
vino e qualche mollica di pane, nel buio della sua cella di isolamento nella prigione, avendo
come altare il palmo della mano. Da lì gli veniva tutta la forza per sopportare tutte le sofferenze
e perdonare quelli che gliele causavano.
Proprio a partire dalla sua natura giuridico-disciplinare e alla sua principale preoccupazione
di fare cessare abusi che possono portare a uno snaturamento della celebrazione dell’Eucarestia,
possiamo affermare che si tratta di un documento che non può rimanere isolato. Norma
codiciale e Istruzione ci porteranno a considerare l’Eucarestia nopn come una proprietà privata
soggetta al libero arbitrio dei singoli. È il grande dono di Gesù alla Chiesa, e nel suo culto viene
regolata dai successori degli apostoli con Pietro.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Mane Nobiscum Domine così
richiama: “Mistero grande, l’Eucarestia! Mistero che dev’essere innanzitutto ben celebrato.
Bisogna che la Santa Messa sia posta al centro della vita cristiana, e che in ogni comunità si
faccia di tutto per celebrarla decorosamente, secondo le norme stabilite…” (17). Ed ancora:
“Voi, sacerdoti, che ogni giorno ripetete le parole della consacrazione e siete testimoni e
annunciatori del grande miracolo di amore che avviene tra le vostre mani, lasciatevi
interpellare dalla grazia di quest’Anno speciale, celebrando ogni giorno la Santa Messa con la
gioia e il fervore della prima volta e sostando volentieri in preghiera davanti al
Tabernacolo”(30).
L’anno dell’Eucarestia che stiamo celebrando offrirà un’occasione per celebrare e vivere
bene questo sacramento, lasciandoci cogliere anche noi dallo “stupore eucaristico”.
Sac. Angelo Spilla
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