La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani in

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La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani in
Giuseppe Clemente
La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani
in Capitanata nel XVII secolo
di Giuseppe Clemente
1. La soppressione dei conventi
Nella millenaria storia della Chiesa in Italia le soppressioni degli Ordini
Monastici hanno rappresentato sempre un evento che ha sconvolto non solo le comunità religiose che le hanno subite, ma anche le popolazioni che intorno ad esse
gravitavano, perché i conventi, particolarmente nei piccoli centri rurali, rappresentavano un imprescindibile punto di riferimento per lo sviluppo sociale ed economico dei luoghi circostanti. Più devastanti sono state le grandi soppressioni dell’Ottocento volute dallo Stato, sia quelle del Decennio francese nel Regno di Napoli
che quelle del Governo italiano subito dopo l’Unità, le quali ebbero come scopo
precipuo l’espropriazione e l’incameramento dei beni ecclesiastici. Anche le soppressioni pontificie del periodo post-tridentino, però, pur ispirate soprattutto a
criteri di diritto canonico e disciplinari, contengono elementi di carattere sociale,
politico ed economico. Quella decretata dal papa Innocenzo X nel 1652, detta anche dei piccoli conventi o conventini d’Italia, prestò infatti molta attenzione pure
all’aspetto prevalentemente economico della complessa operazione.
Tra gli ultimi decenni del ‘500 e la prima metà del ‘600 il numero dei conventi, particolarmente nel Mezzogiorno della penisola, crebbe in modo eccessivo, non
solo per il sollecito impegno nel campo dell’educazione e della carità che caratterizzò la vita ecclesiastica della Controriforma, ma anche per “una politica di prestigio
e di presenza concorrenziale dei diversi ordini religiosi sul piano locale”1. In effetti
la fondazione di nuovi conventi se da un lato offrì ai religiosi la possibilità di “curare le anime” in zone in cui fino ad allora piuttosto scarse erano state le cure pastorali, consentì dall’altro, anche il rafforzamento e la crescita degli Ordini. L’incontrollato sviluppo del clero regolare suscitò però la reazione dei vescovi, i quali,
preoccupati per la più debole organizzazione secolare, incominciarono ad esercitare pressioni sui pontefici, affinché prendessero i dovuti provvedimenti. Fu così che,
1
M. ROSA, La Chiesa Meridionale nell’età della Controriforma, in Storia d’Italia, Annali 9, Torino
1986, p. 326.
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richiamandosi a quanto stabilito dal Concilio di Trento nella XXV Sessione, dedicata appunto agli Ordini regolari, i papi Clemente VIII (1603), Paolo V (1621),
Gregorio XV (1622) e Urbano VIII (1624) tentarono di porre un freno al proliferare dei piccoli conventi, in primo luogo nelle depresse zone agricole, perché non
sempre in essi i frati riuscivano a creare i presupposti necessari “per uno sviluppo
normale della vita religiosa”, come richiesto dalla riforma post-tridentina 2.
Fu però sotto il pontificato di Innocenzo X, al secolo Giovan Battista Pamphili,
che nel marzo del 1649 venne istituita la Congregazione sullo Stato dei Regolari,
composta di otto membri, cinque cardinali e tre prelati di Curia, con il compito di
studiare la riforma dei religiosi in Italia 3. La grande “inchiesta” della Congregazione,
iniziata nel 1649 e conclusa nel 1654 con l’energico provvedimento della chiusura di
1.513 conventi, un quarto circa di quelli esistenti allora in Italia4, ha prodotto una
grande quantità di documenti che oggi ci permette di studiare non solo la ripartizione
sul territorio degli ordini monastici negli anni della loro massima espansione, ma
anche, e soprattutto, di fissare le vicende delle istituzioni ecclesiastiche nelle province
meridionali in un momento particolarmente difficile, e non ancora del tutto noto5,
della loro storia, quale fu appunto quello che va dalla chiusura del Concilio di Trento
alla drammatica crisi del Seicento, dopo Masaniello e la peste del 1656.
La Congregazione cominciò i suoi lavori nel marzo del 1649, osservando il
massimo riserbo sui contenuti della riforma. Qualche indiscrezione, tuttavia, trapelò. Si diceva che nei piccoli conventi era impossibile la vita “regolare”, così come
prescritta dalle leggi della Chiesa e che l’eccessivo numero dei religiosi danneggiava
il clero secolare, il quale andava sostenuto con nuovi benefici provenienti dai beni
degli ordini mendicanti e con lo sviluppo dei seminari diocesani 6. La Congregazione pose fine alla ridda di voci con la Costituzione apostolica Inter caetera, emanata
il 17 dicembre 1649, con la quale ordinava a tutti i Superiori degli ordini mendicanti
e di ogni altra comunità religiosa di inviare una relazione sulla consistenza dei beni
dei conventi, per accertare se erano sufficienti in ogni chiostro al mantenimento dei
religiosi indispensabili per il culto divino e l’osservanza delle regole.
Si mirava in sostanza a un censimento generale dei beni “stabili” e delle rendite
di tutte le case religiose per deliberarne la eventuale chiusura e destinarne la proprietà
“ad usi pii”. Onde evitare confusione e uniformare gli atti, la Congregazione si preoccupò di redigere una Formula in cui venne suggerito il modo di compilare la relazione. Ai Priori venivano chieste prima notizie storiche sul convento, l’attenta descrizione dei locali e della chiesa, la composizione della comunità (sacerdoti, chierici e
2
Cfr. voce Soppressioni in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VIII, Milano 1993, p.1814.
E. BOAGA, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, Roma 1971, p. 25.
4
Dizionario…cit., p. 1815.
5
ROSA, op. cit., p. 294.
6
BOAGA, op. cit., p. 26. Il Seminario di San Severo, fondato da don Carlo Felice de Matta, vescovo della
città dal 6 giugno 1678 al 26 febbraio 1701, con Bolla di Papa Innocenzo XIII dell’8 giugno 1678 beneficiò
delle rendite dei soppressi conventi degli Agostiniani, dei Domenicani, dei Carmelitani e dei Rocchettini del
Terzo Ordine di S. Francesco.
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novizi professi o laici, terziari) con l’indicazione del nome, cognome, età e località di
origine dei padri, poi i dati sui “possessi e beni stabili” (terreni, case, masserie, bestiame), sui censi, sulle entrate delle elemosine, e, infine, quelli sui “pesi”, ossia sulle
uscite, per messe perpetue e “manuali”, per censi passivi, per la manutenzione del
fabbricato, per l’esercizio delle funzioni e per le “contribuzioni alla religione”.
A tutti gli Ordini fu imposto il numerus clausus con il divieto di accettare i
novizi e il controllo delle nuovi professioni. Qualche studioso ha avanzato l’ipotesi
che il vero motivo del provvedimento di Innocenzo X sia da ricercare nella generale
rilassatezza dei religiosi, che creava “disordini” nei conventi, ma Boaga sostiene
che il papa, seguendo i dettami del Concilio di Trento per il rinnovamento della vita
religiosa, decise le soppressioni per un’avversione giuridica ai piccoli conventi, nei
quali non era possibile, a suo avviso, mantenere una comunità così come richiesto
dal diritto. Questa ipotesi è sostenuta anche dai quesiti posti dalla Formula, che
erano quasi tutti volti ad accertare i bilanci dei conventi e non solamente la vita
spirituale e la osservanza delle regole comunitarie 7.
Ogni convento doveva consegnare entro quattro mesi (aprile 1650) al proprio
Procuratore Generale le relazioni, che successivamente venivano esaminate da un’apposita commissione di “revisori o ponenti”, una per ogni Ordine, composta di cinque membri: tre dell’Ordine stesso (di cui uno era il Procuratore Generale) e due di
un altro istituto religioso, affine come impostazione. Raccolte le Relationes, oggi conservate nell’Archivio Segreto Vaticano, i “revisori”, seguendo le istruttioni ricevute,
esplicavano il compito loro assegnato in tre momenti. Prima esaminavano attentamente tutte le relazioni e per ogni convento compilavano un sommario, poi controllavano l’attendibilità delle relazioni stesse, e infine attribuivano a ogni convento un
numero di religiosi in base alle rendite. A questo proposito i conventi furono divisi in
tre categorie. Appartenevano alla prima quelli che avevano più di dodici religiosi; alla
seconda quelli la cui comunità oscillava da sei a dodici elementi e alla terza, infine,
quelli in cui ve ne erano meno di sei. Se al momento dell’inchiesta il numero dei frati
che vivevano nel chiostro non poteva essere mantenuto dalle entrate, quelli eccedenti
venivano trasferiti, seguendo il criterio di anzianità conventuale: i primi ad andar via
erano i novizi laici e i chierici, poi i conversi, e man mano gli altri. Se, al contrario, il
convento poteva mantenere più frati di quelli che aveva, si procedeva all’operazione
inversa, accogliendo i religiosi costretti a lasciare gli altri istituti.
Il lavoro dei “revisori”, iniziato a giugno, terminò nel dicembre del 1650,
quando tutti i documenti raccolti vennero inviati alla Congregazione sullo Stato
dei Regolari, la quale, dopo un attento esame della situazione generale, deliberò di
chiudere i piccoli conventi la cui comunità era formata da meno di sei religiosi
(quattro sacerdoti e due chierici). I beni dei conventi soppressi furono destinati, su
indicazione dei Vescovi delle diocesi interessate, a sostenere l’opera dei seminari, e
a fornire nuove prebende al clero secolare, assai meno a favore di scuole, carceri e
monasteri femminili.
7
Ivi, p. 33 e sgg.
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Innocenzo X approvò pienamente la relazione inviatagli e le decisioni prese
dalla Congregazione e il 15 ottobre 1652 emanò la bolla Instaurandae regularis
disciplinae. L’inchiesta condotta accertò che in Italia vi erano 6.238 conventi con
60.623 religiosi, esclusi i terziari, gli oblati e i servienti 8. Ispiratore e coordinatore
del lavoro della Congregazione sullo Stato dei Regolari fu Prospero Fagnani, noto
curiale e giurista, già segretario della Congregazione del Concilio.
Le prime reazioni alla soppressione dei piccoli conventi si fecero sentire
quando ancora le riunioni della Congregazione erano in corso. I Procuratori
Generali degli ordini mendicanti stilarono un documento in cui fecero presente al
Pontefice che la vita dei religiosi nei piccoli conventi non era in contrasto con i
principi del Concilio tridentino, poiché la solitudine aiuta lo spirito; che i
conventini mantenevano le chiese e, amministrando i sacramenti ai fedeli, portavano la parola di Dio nei paesini e nei villaggi, preservandoli dalle eresie; che i
chiostri servivano pure da ricovero ai religiosi che viaggiavano e che sarebbe stato
opportuno alla fine ascoltare anche il parere della popolazione e dei proprietari
delle località interessate sulla devozione nei confronti dell’Ordine e le donazioni
fatte ai conventi. Ma nella complessa vicenda c’era un altro aspetto, di non secondaria importanza, che i componenti della Congregazione avrebbero dovuto tenere presente e che invece, forse volutamente, trascurarono. Molti conventi avevano alterato i bilanci, diminuendo le entrate e aumentando le uscite, in quanto
temevano che una parte delle rendite finisse nelle casse del Vaticano. Vi fu anche
qualche estremo tentativo di aggiustare i bilanci non veritieri per evitare la chiusura di qualche convento, ma era ormai troppo tardi. Tutto era stato stabilito. I
piccoli conventi vennero soppressi e ciò che rese la decisione ancora più insopportabile ai frati fu il passaggio dei loro beni alle diocesi. Seguirono contrasti anche profondi tra i religiosi e il clero diocesano, che originarono, in modo particolare in alcune zone del napoletano, deplorevoli episodi di violenza.
La bolla pontificia Instaurandae regularis disciplinae ebbe comunque la sua
piena attuazione, anche se prevedeva, persistendo validi motivi, ricorsi contro alcuni provvedimenti di soppressione. Il 10 dicembre 1652 la Congregazione inviò a
tutti i vescovi, unitamente alla bolla, una circolare con l’elenco dei conventi da chiudersi nella diocesi e le disposizioni alle quali dovevano attenersi nel redigere la relazione per l’impiego dei beni già appartenuti ai religiosi. Eccezion fatta per i Cappuccini, la cui Costituzione già imponeva almeno dodici frati per convento, furono
gli ordini mendicanti a subire maggiormente le soppressioni innocenziane: gli
Agostiniani ebbero 342 conventi chiusi su 751 9; i Carmelitani 221 su 506 (dei conventi Carmelitani della Capitanata diremo diffusamente più avanti); i Minori
8
Dizionario …cit., p. 1815.
Il convento degli Agostiniani di San Severo, fondato nel 1514, fu soppresso in questa circostanza e la
chiesa, i locali, i fondi rustici e urbani, gli arredi sacri e tutto quanto già appartenuto ai frati divenne proprietà
del clero di S. Nicola.
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Conventuali 442 su 927; i Domenicani 128 su 520 10; i Servi di Maria 67 su 245; e i
Terziari Regolari di San Francesco 58 su 148 11.
Anche tra gli altri ordini monastici numerose furono le soppressioni: i Basiliani
16 conventi su 42; la Congregazione benedettina di Montevergine 11 su 50; i
Cistercensi 13 su 28; i Gesuati di S. Girolamo 10 su 34; i Crociferi, infine, vennero
quasi del tutto cancellati: 21 su 25 12.
Da un attento esame degli elenchi dei conventi soppressi risulta che le regioni
più colpite dal provvedimento innocenziano furono quelle meridionali, in particolar
modo la Calabria 13 e il Napoletano. Opportunamente il Boaga ha affermato che
non fosse “esagerato paragonare la soppressione innocenziana ad una vera bufera
abbattutasi sui religiosi nel Seicento” 14. I frati costretti a lasciare il chiostro dopo la
soppressione, vennero, per ovvi motivi economici, solo in piccola parte accolti in
altri conventi come “soprannumerari”, cioè come ospiti, assai spesso non graditi, in
attesa di una definitiva assegnazione, che giungeva a mano a mano che si rendevano
vacanti i posti per decessi o per altri motivi.
Nondimeno la loro affiliazione comportava difficoltà non di rado insormontabili, che non è il caso di esporre in questa sede. Va rilevato anche che numerosi
furono i religiosi, i quali, abbandonato arbitrariamente il convento, erravano senza
una meta, facendo spesso perdere le loro tracce.
Come si è già detto, molte furono le istanze che pervennero alla Congregazione sullo Stato dei Regolari, perché alcuni conventini non venissero soppressi. Giungevano da ogni provincia insieme a nuovi bilanci e alle richieste dei fedeli, appoggiate
dai maggiorenti locali, i quali supplicavano di non chiudere il convento, perché (era
questo il motivo ricorrente), unico in una vasta zona, era indispensabile per la
somministrazione dei sacramenti alla popolazione e per la celebrazione della Santa
Messa. Le suppliche e le pressioni furono tali, che la Congregazione sullo Stato dei
Regolari decise di risolvere in parte le controversie con il decreto Ut in parvis del 10
febbraio 1654, che revocò il provvedimento di chiusura per 362 conventini soppressi
due anni prima, restituendoli ai vari ordini religiosi 15. Vennero così riattivati 200
conventini dei Minori Conventuali; 123 degli Agostiniani; 20 dei Carmelitani Calzati16; 3 dei Carmelitani Scalzi; 8 dei Servi di Maria e pochi altri di diversi Ordini religiosi. Anche in questo caso non mancarono le proteste di alcuni vescovi e parroci ai quali
il conventino era già stato dato in beneficio 17.
10
Anche il convento dei Domenicani di San Severo, fondato nel 1564, venne soppresso e i suoi beni
passarono al clero di S. Giovanni Battista.
11
Tra i conventi soppressi del Terzo Ordine di S. Francesco vi fu anche quello dei frati Rocchettini di San
Severo, che si trovava nella chiesa di S. Rocco fuori Porta Lucera, oggi Croce Santa e i suoi beni furono
incamerati dal clero della Cattedrale.
12
BOAGA, op. cit., pp. 72-73.
13
F. RUSSO, Storia dell’Archidiocesi di Reggio Calabria, II, Napoli 1962.
14
BOAGA, op. cit., p. 73.
15
Dizionari … cit., pp. 1815-16.
16
Tra i conventi dei Carmelitani riaperti vi fu, in Capitanata, quello di Monte S. Angelo.
17
BOAGA, op. cit., pp. 104-105.
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Le diocesi, come stabilito, incamerarono i beni dei conventi soppressi, di cui
una buona metà venne utilizzata per intensificare l’opera dei seminari già esistenti e
per crearne dei nuovi presso ogni chiesa cattedrale, come prescritto dal decreto del
Concilio di Trento del 1563 18. Non sempre però i risultati furono pari alle aspettative. Un’altra parte di quei beni, invece, rese possibile la istituzione di nuove parrocchie, che consentì la penetrazione del clero diocesano in zone agricole, lontane
dai centri abitati, per l’assistenza pastorale alle popolazioni. Quasi tutti gli Stati
italiani, Venezia, Genova e Napoli particolarmente, contestarono le decisioni di
Innocenzo X e sorsero grosse difficoltà per l’applicazione della bolla Instaurandae,
ma alla fine la diplomazia vaticana ebbe il sopravvento.
Noi ci occuperemo brevemente solo della controversia con il Regno di Napoli, dove il 21 aprile 1653, quando già era in corso la soppressione dei conventi, il
viceré Inigo-Velez de Guevara e il Consiglio Collaterale con un decreto evidenziarono che alla bolla Instaurandae non era stato accordato il regale visto di approvazione 19. Inutili si rivelarono i numerosi e febbrili incontri tra il Nunzio Alessandro
Spirelli, il Viceré e alcuni membri del Consiglio Collaterale. Ognuno ostinatamente
sosteneva le proprie idee e Innocenzo X, preoccupato per il prolungarsi della diatriba, non si lasciò sfuggire l’occasione, durante un’udienza, di strapazzare l’ambasciatore napoletano.
La contesa fu lunga e di difficile soluzione. Il nunzio apostolico e il Viceré
vennero sostituiti. Innocenzo X minacciò l’interdetto su Napoli e la scomunica del
Viceré, il maggiore oppositore a una qualsiasi forma di compromesso, e Filippo IV
impose ai vescovi del regno di non dare seguito alla bolla del papa, pena la confisca
delle loro entrate e un’azione persecutoria nei confronti dei parenti. Tra il nuovo
nunzio apostolico Giulio Spinola, e il nuovo Viceré Garcia de Avellaneda y Haro si
stabilì subito una fitta rete di incontri, che portò, grazie all’abilità diplomatica del
legato pontificio, nell’estate del 1654 alla applicazione della bolla Instaurandae anche nel Mezzogiorno d’Italia.
Vediamo dunque ciò che accadde ai conventi dell’Ordine Carmelitano in generale e poi, in particolare, a quelli della Capitanata. Nel 1649 i conventi carmelitani
nel Regno di Napoli erano in tutto 149 20, di cui 77 sorti tra il 1570 e il 1650. Di
questi ultimi 36 sorgevano nella provincia napoletana (alla quale apparteneva la
Capitanata con ben 11 conventi); 22 nella provincia di Calabria; 15 nella provincia
di Puglia e 4 in Abruzzo. I carmelitani presenti nei conventi al momento della chiusura erano 828, in gran parte accentrati in Napoli, mentre nella provincia la media
era di 4-5 religiosi a convento 21. La soppressione innocenziana colpì 75 conventini
dei carmelitani: 42 nella provincia di Napoli (di cui 8 in Capitanata), 11 in quella di
Puglia e 22 in Calabria. In Capitanata ben 7 conventi dell’Ordine carmelitano (Ascoli,
18
M. BENDISCIOLI - A. GALLIA, Documenti di storia moderna 1492-1815, Milano 1971, pp. 121-4.
BOAGA, op. cit., p. 132 e sgg.
20
Archivio Segreto Vaticano, C.S.S.R., Relationes, 12, vol. II.
21
ROSA, op. cit., p. 350.
19
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Bovino, San Severo, Termoli, Torremaggiore, Vico e Vieste), erano sorti tra il 1580
e il 1650, nel periodo cioè di maggiore espansione degli ordini religiosi. L’ultimo fu
proprio quello di San Severo, che, fondato nel 1641, ebbe poco più di un decennio
di vita. Esistevano già da tempo i conventi di Colletorto, il più antico, del 1478,
quello di Sannicandro del 1570 e quello di Monte S. Angelo del 1577. Del convento
di Lucera non si conosce la data di costituzione “per esserne state brugiate, et disperse le scritture, tanto della città, quanto quelle del convento”.
Dunque 11 erano i conventi dei Carmelitani e 8 di essi furono soppressi. Erano
in realtà dei “conventini”, le cui carenti disponibilità economiche erano evidenziate
prima di tutto dai locali limitati e angusti. Continuarono a esercitare il loro ministero
i conventi di Lucera, Bovino e Torremaggiore i cui ambienti erano più ampi e accoglienti. Quello di Bovino, posto “su le muraglie di detta città verso mezzogiorno”,
era largo palmi 80 (circa m 21) e lungo palmi 186 (circa m 48,50), e in quel periodo
stava subendo modifiche strutturali per essere ridotto a forma quadrata, come prescrivevano le regole dell’Ordine; quello di Lucera, aveva un perimetro di 60 canne
(all’incirca m 160); e quello di Torremaggiore, la cui struttura aveva un contorno che
misurava 42 canne (circa m 111) e l’altezza di 10 canne (circa m 27). Tra i conventi
soppressi non tutti avevano il refettorio, il camerone comune e il coro, anzi alcuni
avevano, oltre alle piccole celle strettamente necessarie, a stento una “cocinella”, una
“grottolina” e una stalla, spesso senza tettoia. Assai risicate erano le risorse necessarie
al mantenimento dei religiosi, alimentate nella maggior parte dei casi dalle entrate per
censi ed elemosine. Scarsi erano i beni fondiari e insufficienti le rendite che producevano, nelle quali il divario tra i conventi soppressi e quelli conservati è assai marcato.
Per i censi si passa dagli scudi 22 11,84 di San Severo, 24,70 di Colletorto e 40 di Vico,
ai 167,14 di Lucera e ai 205,57 di Torremaggiore. Per le elemosine si va dagli scudi
14,10 di Monte S. Angelo, 15 di Termoli e 37 di Vieste, ai 138,60 di Torremaggiore, ai
235 di Bovino, e ai 274,61 di Lucera. Il piccolo convento di Ascoli aveva solamente un
terreno di 50 tomoli (circa 16 versure e mezzo) improduttivo e una mezzana 23 anch’essa inutile dai quali non ricavava uno scudo; mentre i carmelitani di Lucera, oltre
a 7 case e 3 fosse di grano, possedevano anche 75 versure di seminativo, 9 vigne e 1
orto, che affittati fruttavano una cospicua rendita annuale.
I religiosi di Vieste avevano 2 tomoli (2/3 di versura) di terreno seminativo,
una vigna di mezzo tomolo, un giardino e un oliveto di 60 alberi da cui ricavavano
complessivamente poco più di 10 scudi; e quelli di Torremaggiore 9 chiuse (per
complessive 53 versure), 9 vigne, un terreno seminativo di 8 versure, un orto e 9
case, che rendevano all’incirca 150 scudi annui. Era la consistenza delle rendite che
determinava il numero dei frati in un convento, per cui nelle relazioni veniva sempre
22
Tutti i bilanci dei conventini erano espressi in scudi, solo il bilancio del convento di Sannicandro era
riportato in ducati. In Italia la coniazione degli scudi ebbe inizio nel XVI secolo e numerose furono le zecche
che li emisero. Lo scudo romano era d’argento e si divideva in dieci paoli (moneta d’argento degli Stati pontifici emessa dal papa Paolo III e corrispondente al precedente grosso papale o giulio) e cento baiocchi. Nel
rapporto tra scudi e ducati va tenuto presente che dieci ducati corrispondevano a nove scudi e mezzo e un
carlino, che era la decima parte di un ducato, equivaleva a baiocchi 9,5.
23
Appezzamento di terreno adibito al pascolo dei buoi destinati alla lavorazione della terra.
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evidenziato il rapporto religiosi ed entrate, sul quale, ovviamente, incideva più di
ogni altra spesa il costo annuale per il mantenimento di ogni frate, che in Capitanata
era, anche nei conventi conservati, inferiore a scudi 55,60, ossia alla media del Mezzogiorno riportata da Enrico Stumpo 24. I carmelitani del convento di Monte S. Angelo,
che venne in un primo momento soppresso, erano quelli che spendevano di più per
provvedere al sostentamento dei religiosi, scudi 50,43; quelli di Ascoli erano i più
parsimoniosi, scudi 25,81. Ma anche i conventi che furono conservati non è che spendessero tanto: Bovino scudi 33,64, Lucera 41,60 e Torremaggiore 40,44. In questi
calcoli entravano non solo le spese per il vitto e il vestiario, bensì anche quelle per il
medico, le medicine, il barbiere, la lavandaia, e altre di poco conto.
Se diamo un’occhiata ai bilanci annuali (Tab.1) notiamo che erano tutti in
passivo, particolarmente quelli di Lucera, Termoli e Vieste, i cui resoconti erano
stati forse truccati per timore che la fiscalità pontificia si impossessasse di una parte
delle rendite. Gli unici ad avere i conti in attivo erano i conventi di Bovino (entrate
530,44 - uscite 360,06) e quello di San Severo (entrate 192,97 - uscite 192,96 e 1/2 ),
anche se di appena 1/2 baiocco. Quest’ultimo venne tuttavia chiuso, perché aveva
solo 4 religiosi.
Gli 8 conventini soppressi in Capitanata avevano in tutto 22 religiosi, da un minimo di 2 a un massimo di 4; mentre i 3 conservati ne ospitavano 29 (Bovino 8, Lucera 12 e
Torremaggiore 9) (Tab. 2). E ciò a conferma che lo scopo di Innocenzo X era quello di
assicurare, come imponevano i decreti tridentini, il numero indispensabile per realizzare
nei conventi le condizioni necessarie a un normale sviluppo della vita religiosa.
Possiamo seguire nel tempo, per circa un secolo e mezzo, la sorte di alcuni di
questi conventi carmelitani, grazie a un confronto con le soppressioni degli ordini monastici volute dai napoleonidi nel Regno di Napoli. Vediamo così che i conventi di
Monte Sant’Angelo, prima soppresso e poi restituito al culto con il decreto Ut in parvis,
di Bovino e di Torremaggiore furono definitivamente chiusi il 13 settembre 1809 ed
erano tutti consacrati a Santa Maria del Carmine; che del convento di Lucera, mantenuto aperto al culto da Innocenzo X, non vi è più traccia agli inizi dell’Ottocento e, infine,
che vi è un convento dei carmelitani a Cerignola, inesistente nell’elenco innocenziano,
che fu soppresso con un decreto di Giuseppe Bonaparte del 18 gennaio 1808 25.
2. Sintesi delle relationes dei conventi carmelitani della capitanata
a) Convento di Santa Maria del Carmine di Lucera.
Era situato fuori dalle mura della città, distante circa mezzo miglio. “In quanto
alla fundazione l’anno, consenso, et autorità, assegnamenti oblighi et patti, non se
24
E. STUMPO, Il consolidamento della grande proprietà ecclesiastica nell’età della Controriforma, in
Storia d’Italia - Annali 9 … cit., p 273.
25
A. e G. CLEMENTE, Le soppressioni degli Ordini Monastici in Capitanata nel Decennio francese
(1806-1815), Bari 1993.
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ne può dare relazione per l’antichità, per esserne state brugiate, et disperse le scritture, tanto quelle della città, quanto quelle del convento”.
Al momento della soppressione vi erano nel convento cinque sacerdoti (il
Priore frate Elia Strafolino della Città di Capua, il padre fra Bernardino de Roberto
della Terra di Colletorto, i padri frate Antonio Nardino, fra Pietro Buono e fra
Clemente Giuvara della Città di Vieste), un chierico professo (frate Antonio Lombardo di Lucera), un chierico novizio (frate Angelo Petrella della Città di Capua),
quattro conversi professi (fra Giuseppe Guaragnia della terra di Torremaggiore,
fra Francesco Zullo della terra di Riccia, fra Giuseppe Sirangelo della Città di Lucera,
fra Girardo Amoroso della terra di Piedimonte d’Alife), un converso novizio (fra
Bernardo Attano della Città di Napoli).
Descrizione del bilancio
Entrate per possessi e beni stabili
Entrate per censi
Entrate per elemosine
Totale
Spese per messe perpetue e manuali
1098 ogni anno e 6 anniversari
Censi passivi
Spese per contribuzioni alla religione,
sagrestia, visite, suppellettili, alloggi,
risarcimenti, vestiario, medicinali,
biancheria, lavandaia
Spesa ordinaria di vitto
Totale
Scudi
baiocchi
129
167
274
571
34
14
61
9
12
91
288
360
660
41
32
Su due lati del chiostro vi erano refettorio, cucina, cellario, dispensa, camerone
per la legna, e stalla. Sopra due dormitori con dodici celle, un camerone e il coro. La
struttura totale era di circa 60 canne.
b) Stato del convento di Santa Maria del Carmine della terra di Torremaggiore
di Puglia.
Fondato nel 1585 da Francesco de Antiquis di Recanati, vicario generale della Diocesi di Sansevero, di cui era vescovo Germanico Malaspina, distava un miglio
dall’abitato “fuori di luogo murato, luogo aperto, strada pubblica”. Al momento
della soppressione si trovavano nel convento sei sacerdoti (il Priore padre Giuseppe Casella di Caserta, il Baccelliere Andrea Bambaciaro di Laurino, casale del Cilento,
249
La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani in Capitanata nel XVII sec.
padre Annibale Crisulli di Putignano in Puglia, padre Giulio Barricella di Aversa,
padre Giovanni Battaferro di Ascoli di Puglia, e padre Giuseppe Stantione di Pareti, casale di Nucera delli Pagani), tre laici professi (fra Giuseppe Fino e fra Domenico
Simione di Vico della Montagna di Santo Angelo, e frate Antonio Perciato di
Sant’Anastasio di Somma).
Descrizione del bilancio
Entrate per chiuse e terreni lavorativi
Entrate per censi
Entrate per elemosine
Totale
Spese per 1976 messe perpetue all’anno
e 3 anniversari. Spese per elemosina
(per ogni messa b 9)
Spese per contributi alla religione,
sagrestia, visite, suppellettili, alloggi,
risarcimenti, vestiario, medicinali,
biancheria, lavandaia e vitto
Totale
Scudi
baiocchi
144
205
138
488
56
57
60
73
177
89
493
670
3
92
La struttura aveva un perimetro di circa 42 canne ed era alta circa 10 canne.
Vi erano undici celle finite e tre a cui mancavano porte e finestre. “La fabbrica è
tutta di calce, et pietre”.
c) Stato del convento della Santissima Annunciazione dei Carmelitani di Ascoli
di Puglia.
Fondato nel 1599 per concessione di Clemente VIII nell’ottavo anno del suo
pontificato, era situato cento passi fuori le mura della città.Vi dimoravano due sacerdoti (il Priore padre Giuseppe Franco della Città di Lavello e il padre Lorenzo
Maroccia di Montebello d’Abruzzo) e un converso (fra Michele Morese di
Sant’Agata di Puglia).
Descrizione del bilancio
Scudi
Entrate per possessi e beni stabili
Entrate per elemosine
Totale
250
57
64
121
baiocchi
15
64
79
Giuseppe Clemente
Uscite annue per la celebrazione
di messe perpetue (209 a b 9 e 20
a b 18) e anniversari (18 a b 47)
e messe quotidiane (62 a b 10)
Censi passivi
Spese per la chiesa, il vitto, la legna,
suppellettili per la cucina, vestiario,
contributi alla religione,
risarcimenti, la lavandaia,
il barbiere il medico
Scudi
37
3
Totale
132
172
baiocchi
7
13
65
85
Vi erano quattro camere per i frati, sotto le quali stavano tre grotte (una serviva per “officina”, l’altra per i cellari del vino, e la terza era usata come stalla). A
lato del convento vi era un giardino di passi 10 (circa 1/6 di versura), in cui vi erano
pochi alberi di gelso e quattro alberi di fichi.
d) Convento di Santa Maria di Loreto dei padri Carmelitani di Monte Sant’Angelo
Fondato nel 1577 dal Rev/mo Padre fra Paolo Caputo di “Nucera dei
Pagani”, con l’assenso dell’Arcivescovo sipontino e garganico Giuseppe Sapia,
sotto il pontificato di Gregorio XIII, essendo sindaco della città Leonardo
Frescillaro, era situato 60 passi fuori dell’abitato sulla strada pubblica che porta
a Manfredonia. “Il convento tiene il portone verso ponente, dentro vi sono
due corritori, uno de questi è tutto finito, et l’altro due parti scoverto, nella
parte di sotto ve è la cantina, due camere, et un camerino, con gradinata per
saglir sopra di pietra gentile et ad alto vi è una camera con un soprano a man
sinistra, a man destra poi vi sono quattro camere per habitatione, un’altra serve per cocina, et un’altra per necessario, dentro il portone vi è una stalluccia
scoverta”.
Nel convento vi erano un sacerdote (padre fra Alberto Vischio, Vicario di
Monte S. Angelo), un chierico (fra Nicola Lucchese della terra di Lanciano), un
converso (fra Carlo Vischio di Monte S. Angelo).
Descrizione del bilancio
Entrate per possessi e beni stabili
Entrate per censi
Entrate per elemosine
Totale
251
Scudi
baiocchi
27
110
14
151
10
10
La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani in Capitanata nel XVII sec.
Uscite per messe perpetue
(652, ma “stante li tempi penuriosi”
ne vengono soddisfatte circa 400),
e anniversari (18).
Scudi
Censi passivi
Spese per la “fabrica” della chiesa,
contribuzioni alla religione, cera,
sagrestia, risarcimenti, vitto, vestiario,
legna, barbiere, lavandaia, medico,
utensili per la cucina
Totale
baiocchi
2
10
191
193
50
60
e) Inventario del Monastero di Vico sotto il titolo della religione del Carmine.
Situato cento passi circa fuori dall’abitato, fu fondato nel 1603 dall’Ecc/mo
Signor Don Troiano Spinelli, Principe dell’Oliveto, con il consenso di don Iacopo
Frabonio,Vicario Generale dell’Eminentissimo Cardinale Domenico Ginnasio,
Arcivescovo sipontino. Oltre che dalla chiesa dedicata alla Beatissima Vergine Maria delle Grazie, il convento era costituito al piano terreno da tre camere (sagrestia,
cucina “co’ la sua cocinella”, una “grottolina”, che serve da cantina, una pagliera e
una stalla ) e al primo piano da tre camere e il dormitorio.
Vivevano nel convento un sacerdote (il Priore padre Giuseppe Ferro di
Viesti) e due conversi (frate Angelo Masella di Vico e fra Giuseppe Pitroscella di
Peschici).
Descrizione del bilancio
Scudi
Entrate per possessi e beni stabili
Entrate per censi
Entrate per elemosine
Totale
Uscite per messe perpetue, manuali
(40) e per anniversari (8)
Censi passivi
Spese per risarcimenti, sacre suppellettili,
cera, vitto, vestiario, contribuzioni per la
religione, biancheria di uso comune,
oggetti di cucina
Totale
252
baiocchi
30
40
37
107
14
48
62
6
12
2
50
85
107
19
71
Giuseppe Clemente
f) Monastero di S. Maria del Carmine dell’ordine dei Carmelitani di Viesti
Situato 450 passi fuori dalla città di Viesti, fu fondato nel 1600 con il consenso
di Monsignor Conte Masci. Aveva un perimetro di 65 passi ed era composto di quattro camere, una sala, una cucina, la cantina e la stalla. Ospitava il Priore (Tommaso de
Preite di Viesti) e due conversi (fra Iacopo Superi e fra Leonardo di Silvestro di Viesti).
Descrizione del bilancio
Entrate per possessi e beni stabili
Entrate per censi
Entrate per elemosine
Scudi
15
95
37
Totale
147
Spese per messe perpetue (414),
cantate (64), temporali e manuali (550)
Spese per contributi alla religione,
per la chiesa, per il vitto, per la cucina,
il vestiario, i risarcimenti, la biancheria,
il barbiere, il medico, la lavandaia
Totale
baiocchi
6
6
52
25
161
213
56
86
g) Relatione del Monastero di Santa Maria del Carmine della città di Bovino.
Si trovava all’interno della città e fu fondato nel 1640 da don Carlantonio
Guevara, Duca di Bovino con il consenso del clero e del vescovo Giovanni Antonio
Galderisi, al tempo del Rev/mo Generale Teodoro Statij. Il monastero, situato “su
le muraglie di detta Città verso mezzo giorno” era largo palmi 80 e lungo palmi
186. Comprendeva nella parte superiore nove camere, «altre saranno costruite per
ridurlo a forma quadrata», e nella parte inferiore il refettorio, la cucina e altri locali.
Per i lavori in corso, la scarsezza dei religiosi, le guerre e le carestie, al momento
della soppressione erano presenti cinque sacerdoti (il Priore padre Pietro de Carlis,
napoletano; padre Tommaso d’Antonio, napoletano; padre Michele Selvaggio,
pugliese di Grottaglie; padre Domenico Viola, pugliese di Conversano; padre Giuseppe Maggiore, pugliese di S. Agata, sacerdote secolare), due conversi (fra Giuseppe Sarnullo, napoletano, e fra Antonio Bruno di Forenza, in Basilicata) e un
“commisso” (fra Francesco Agriello di Gesualdo).
Descrizione del bilancio
Scudi
baiocchi
Entrate per possessi e beni stabili
Entrate per elemosine, cerca di grano,
vino, formaggio, olio e altro
319
25
211
530
19
44
Totale
253
La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani in Capitanata nel XVII sec.
Spese per messe e anniversari.
Scudi
Censi passivi
Spese per la fabbrica, la sagrestia, le funzioni,
il vitto, la legna, le medicine, il barbiere,
la lavandaia, il vestiario, per la foresteria
dei frati di passaggio, la cucina, il refettorio
Totale
baiocchi
11
86
348
360
20
6
I frati che compilarono la relazione evidenziarono in nota che ogni anno
per le necessità di “ciascheduna bocca” si spendevano scudi 40 e baiocchi 70,
che in tutto (sette frati, escluso il sacerdote secolare) facevano 285 scudi. Inoltre
ogni anno si spendevano per la fabbrica “per ridurre a perfectione il monasterio”
230 scudi.
h) Relatione del convento, ovvero Hospitio di Santa Maria del Carmine della
città di San Severo di Puglia.
Si trovava all’interno della città e fu fondato nel 1641 dal padre carmelitano
Alberto de Stefano di Lucera con il consenso del Vescovo Monsignor Francesco
Antonio Sacchetti. Ospitava due sacerdoti (il Priore, che era lo stesso fondatore,
padre Alberto de Stefano e il padre Pietro Tommaso de Stefano entrambi di Lucera),
un chierico (fra Antonio Lombardo di Lucera) e un laico professo (fra Alberto
Terreno di Bovino).
Descrizione del bilancio
Scudi
baiocchi
Entrate per possessi e beni stabili,
censi, elemosine, donazioni
192
97
Uscite per messe, censi passivi,
risarcimenti, sagrestia vitto, vestiario,
medici e medicine, spese di religione
192
961/2
i) Convento di Santa Maria del Carmine di Termoli.
Fondato nel 1607 dal padre Diomedio Lollo, nella diocesi di Federico Metio,
con il beneplacito della Sede Apostolica, era situato nella pubblica piazza della città
di Termoli. Sopra comprendeva sei camere e sotto una cantina ed altri locali, in
tutto cinque. Accoglieva un sacerdote (padre Giuseppe de Simio di Ischitella) e un
converso (fra Michele de Santis di Torremaggiore).
254
Giuseppe Clemente
Descrizione del bilancio
Entrate per possessi, beni stabili ed elemosine
Uscite per censi passivi, contributi di religione,
vitto, sagrestia, utensili di cucina, vestiario
Scudi
baiocchi
50
70
118
95
l) Convento dell’Ordine Carmelitano di Collotorto, diocesi di Larino.
Fondato nel 1478 dal padre fra Alberto di Capece, si trovava poco distante
dall’abitato, in luogo aperto e su strada pubblica. Aveva un perimetro di circa 70
passi e comprendeva un chiostro grande. Sopra vi erano cinque camere “con tutte le
cose possibile et necessarie”, e sotto altre stanze delle quali una serviva da cella e
un’altra da stalla. Ospitava un sacerdote (il Priore padre Tommaso Sessa) e un converso (fra Salvatore Marino) entrambi di Colletorto.
Descrizione del bilancio
Entrate per possessi e beni stabili
Censi
Entrate per elemosine
Totale
Uscite per messe temporali (20)
Censi passivi
Spese per contribuzioni di religione,
lettere, vitto, biancheria
Totale
Scudi
baiocchi
20
24
30
75
90
70
1
3
90
4
79
84
34,5
28,4
60
m) Stato del convento di Santa Maria del Carmine intitolato a San Sebastiano
della Terra di Santo Nicandro della provincia di Capitatata, diocesi di Lucera.
Situato dieci passi fuori dall’abitato sulla pubblica strada, fu fondato nel 1570
dal frate Giuseppe Siciliano, con atto del notaio Giovan Battista Melchionda. Nella
parte superiore vi era una sala con due camere e in quella inferiore una stalla, un
cellaro e un’altra camera. Accoglieva un sacerdote (il Priore padre Fabio Stampafoglio
di anni 56 di Monte S. Angelo) e un converso (fra Geronimo Pacientia di anni 50 a
di Apice).
255
La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani in Capitanata nel XVII sec.
Descrizione del bilancio in ducati
Entrate per possessi e beni stabili 1650
Introito anno 1644
Introito anno 1645
Introito anno 1646
Introito anno 1649
Totale
Ducati
carlini
grana
50
79
94
84
2
1
0
4
4,5
11
7
110
368
2
3
11
15
“Nell’anno 1647 e 1648 fu la revolutione del populo in detti anni, conforme
fu per tutto il regno, e stante detta revolutione o guerra civile non si percepiva cosa
nessuna dalli detti censi e quotidiani, ch’ognuno smesso pagare e non si regnava
giustitia”.
Scudi
paoli
baiocchi
Uscite anno 1644
Uscite anno 1645
Uscite anno1646
Per gli anni 1647/48 vedi sopra
Uscite anno 1649
Uscite anno 1650 (mancano)
82
96
90
4
1
2
14
12
120
0
18,5
389
4
4,5*
In scudi romani le entrate erano
divise per anni quattro, ogni anno erano
338
84
2
0,5
4
1
e le uscite erano
350
4
divise per quattro anni, ogni anno erano
88,5
1
Totale
256
2 e q2
Giuseppe Clemente
Tabella 1 – Quadro riassuntivo dei movimenti finanziari dei conventi
carmelitani nel 1650
CONVENTI
entrate
Scudi
baiocchi
ASCOLI
BOVINO
COLLETORTO
LUCERA
MONTE S. ANGELO
SANNICANDRO
SAN SEVERO
TERMOLI
TORREMAGGIORE
VICO
VIESTE
121
530
49
571
151
47
192
50
488
57
147
uscite
Scudi
baiocchi
79
44
95
9
10
69
97
70
73
78
6
172
360
83
660
193
96,5
192
118
670
107
213
85
6
55
32
60
96,5
96,5
95
92
71
86
Tabella 2 – Religiosi presenti nei conventi carmelitani nel 1650
conventi
sacerdoti chierici professi ch. novizi conversi professi conv. novizi totale
ASCOLI
BOVINO
COLLETORTO
LUCERA
MONTE S.ANGELO
SANNICANDRO
SAN SEVERO
TERMOLI
TORREMAGGIORE
VICO
VIESTI
2
5
1
5
1
1
2
1
6
1
1
1
1
1
-
1
-
1
2
1
4
1
1
1
1
3
2
2
1 (commisso)
1
-
3
8
2
12
3
2
4
2
9
3
3
Totale
26
3
1
19
2
51
*
Per i totali dei bilanci di tutti i conventi si richiama la nota n. 22 a p. 253.
257