Alla Vergine SS - Dipartimento di Fisica e Astronomia and

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Alla Vergine SS - Dipartimento di Fisica e Astronomia and
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI
CATANIA
REGIONE SICILIANA
Assessorato Regionale dell'Istruzione
e della Formazione Professionale
Dipartimento Regionale dell'Istruzione
e della Formazione Professionale
Unione Europea
Fondo Sociale Europeo
Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali
SICILIA
FONDO SOCIALE EUROPEO
PROGRAMMA OPERATIVO 2007-2013
"Investiamo per il vostro futuro"
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
DIPARTIMENTO DI FISICA ED ASTRONOMIA
Master Universitario di II livello in
MONITORAGGIO DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI
E RISCHIO AMBIENTALE
PROGETTO CIP n. 2007.IT.051.PO.003/IV/12/F/9.2.14/1368 - CUP n. E65C10000850009
Direttore: Prof. Antonio Triglia
MISURE DELLE CONCENTRAZIONI DI RADON NELLE
GROTTE DELL'ETNA CONDOTTE IN COLLABORAZIONE
CON ARPA SICILIA
PARIDE STELLA
Tutor:
Dott. S. Casabianca
A.R.P.A. Catania
Prof.ssa G. Immè
Università degli Studi di Catania
A.A. 2010-2011
Catania - luglio 2012
"Quanto manca alla vetta?”;”Tu sali e non pensarci!”
F.W. Nietzsche
A mia figlia Norah
INDICE
INDICE
ELENCO DELLE FIGURE
ELENCO DELLE TABELLE
SOMMARIO
RINGRAZIAMENTI
ix
xi
xii
xiii
1. INTRODUZIONE
2.
1
5
2.1. Decadimento radioattivo ........................................................ …5
2.2. Caratteristiche fisico-chimiche .................................................... 6
2.3. Trasporto e diffusione.................................................................. 8
2.3.1. Radon e geologia .................................................................... 11
2.3.2. Effetti del radon ...................................................................... 13
2.3.3. Il radon e le grotte: stato degli studi ....................................... 16
IL RADON
3. GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
19
3.1. L’area vulcanica etnea ............................................................... 19
3.2. Cenni storici sulle grotte dell’Etna ............................................ 21
3.3. Origine e classificazione............................................................ 23
3.3.1. Evoluzione delle grotte ........................................................... 26
3.3.2. Descrizione delle grotte in esame ........................................... 26
4. MISURE RADON
45
4.1.1. Introduzione ............................................................................ 45
4.2.2. Rivelatori a tracce nucleari ..................................................... 45
4.2.3. Processo di formazione delle tracce ....................................... 47
4.2.3. Sviluppo e geometria delle tracce ..………………………....47
5. METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
51
5.1. Preparazione dei dosimetri ........................................................ 51
5.2. Sviluppo chimico ....................................................................... 52
5.3. Sistema politrack e lettura dei rivelatori .................................... 55
5.4. Risultati analitici ........................................................................ 60
vii
INDICE
6. CONCLUSIONI
62
BIBLIOGRAFIA
63
viii
INDICE
ELENCO DELLE FIGURE
FIGURA 1.1.
Organigramma struttura ARPA ........................................ 3
FIGURA 2.2.1. Decadimento α del 226 Ra .................................................. 6
FIGURA 2.3.1. Emanazione del materiale attraverso i granuli del
materiale roccioso ............................................................. 8
FIGURA 2.5.1. Effetti del Radon sui polmoni ........................................ 14
FIGURA 3.1.1. Distribuzione delle grotte investigate sulla carta
morfotettonica dell’Etna ................................................. 20
FIGURA 3.3.1. Fasi di formazione di una galleria di scorrimento lavico
............................................................................................... 24
FIGURA 3.5.1. Grotta La Fenice .................................................................. 27
FIGURA 3.5.2. Grotta del Coniglio ......................................................... 28
FIGURA 3.5.3. Grotta tre livelli………………………………………....29
FIGURA 3.5.4. Grotta Casa del Vescovo……………………………….30
FIGURA 3.5.5. Grotta Cassone…………………………………………31
FIGURA 3.5.6. Grotta Acqua Vitale ........................................................ 32
FIGURA 3.5.7. Grotta Pitagora ................................................................ 33
FIGURA 3.5.8. Grotta dei Tedeschi ......................................................... 34
FIGURA 3.5.9. Grotta Sciara Curia ......................................................... 35
FIGURA 3.5.10. Grotta del Santo……………………………………….36
FIGURA 3.5.11. Grotta Passo Zingaro………………………………….37
FIGURA 3.5.12. Grotta Sgangheri………………………………………38
FIGURA 3.5.13. Grotta dei Ladroni…………………………………….39
FIGURA 3.5.14. Grotta delle Fate……………………………………....40
FIGURA 3.5.15. Grotta delle Colombe…………………………………41
FIGURA 3.5.16. Grotta Madonna della Roccia………………………...42
FIGURA 3.5.17. Grotta S. Barbara……………………………………..43
ix
INDICE
FIGURA 4.1.1. Geometria dello sviluppo di una traccia con angolo
d’incidenza ortogonale alla superficie del rivelatore…………………..49
FIGURA 5.1.1. (a) CR-39, (b) holder…………………………………...51
FIGURA 5.2.1.Termostato………………………………………………53
FIGURA 5.2.2.Disposizione dei rivelatori ……………………………..54
FIGURA 5.2.3. Bagno chimico………………………………………….54
FIGURA 5.3.1. Sistema Politrack……………………………………….55
FIGURA 5.3.2. Interfaccia PC…………………………………………..56
x
INDICE
ELENCO DELLE TABELLE
TABELLA 2.I.
Contenuto di 238U in diversi tipi di rocce ..................... 6
TABELLA 5.I.
Risultati analitici ........................................................ 60
xi
SOMMARIO
SOMMARIO
Il Radon, gas naturale radioattivo, e’ stato considerato
dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, come cancerogeno di gruppo 1. La sua
distribuzione dipende dalle caratteristiche geologiche del territorio: ogni
tipo di roccia è caratterizzata da una specifica concentrazione di questo
gas. In generale, nelle rocce di origine vulcanica si hanno concentrazioni
maggiori; tuttavia, si riscontrano elevati tenori di radionuclidi anche
nelle rocce sedimentarie, marmi, marne, flysh etc. Inoltre, come gas
disciolto, viene veicolato a grandi distanze dal luogo di formazione e
può essere presente nelle falde acquifere.
Nell’ambito di questa tesi si e’ scelto di verificare la
concentrazione di Radon nelle grotte vulcaniche dell’Etna. Sono state
selezionate 17 grotte, a quote diverse, site in zone a differente
antropizzazione. Alcune di queste vengono spesse visitate o come meta
turistica o come luogo di preghiera.
Sono stati utilizzati dosimetri CR-39 esposti all’interno delle
grotte per un periodo di due mesi e successivamente analizzati presso
l’ARPA di Catania, mediante un sistema a microscopia ottica che
permette di effettuare il riconoscimento di tracce nucleari su SSNTD, del
tipo CR-39 e LR-115, chiamato politrack.
I dati ottenuti hanno evidenziato una bassa concentrazione del
gas in quasi tutte le grotte. Per tale motivo, non risultano particolari
problemi per cittadini, guide turistiche e turisti che vogliano visitare tali
strutture geologiche sparse sul territorio vulcanico etneo.
xii
RINGRAZIAMENTI
Ringraziamenti
Ringrazio mia figlia per il sorriso che mi dona al suo risveglio ogni
mattino e mia moglie che ha permesso tutto ciò.
xiii
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
Possiamo definire la radioattività quell’insieme di processi fisici
attraverso cui, nuclei di atomi instabili si trasformano, in un certo
tempo, detto di decadimento, in nuclei ad energia inferiore, emettendo
radiazioni ionizzanti fino a quando si raggiunge una condizione di
stabilità. La radioattività può essere naturale o artificiale, nel primo caso
generata da radionuclidi contenuti nei minerali della crosta terrestre,
presenti sulla terra fin dall’origine. Nel secondo, data dall’irradiazione
medica per fini diagnostici e terapeutici. Parlando dell’esposizione
dell’uomo a questo fenomeno e dei rischi per la salute che ne derivano,
evidenze scientifiche e vari studi legati al fenomeno della radioattività,
indicano il radon (gas nobile naturale) come una delle maggiori cause
naturali da prendere in considerazione per l’insorgenza di tumori ai
polmoni. Proprio per questa problematica, in questo ultimo decennio è
aumentato l’interesse scientifico sul Radon e sui rischi che comporta
l’inalazione di elevate concentrazioni. Quindi anche dal punto di vista
normativo, si è ritenuto importante il monitoraggio del territorio per
avere un chiaro quadro sui siti a maggiore concentrazione, in particolare
siti nei quali l’uomo vive e opera, quindi abitazioni, luoghi di lavoro ma
anche strutture naturali ove l’uomo si reca per fini turistici quali, parchi e
cavità naturali. Diversi studi, sono stati condotti sui meccanismi di
diffusione di tale gas a partire dal sottosuolo, che risulta dipendere da
diversi parametri relativi ai materiali attraverso i quali il gas riesce a
diffondersi sino alla sua esalazione in atmosfera. Alcuni parametri, tra i
più importanti, sono risultati: la porosità, permeabilità, contenuto di
radionuclidi progenitori, coefficiente di diffusione, pori e fratture del
materiale considerato. Nel passato e già stato preso in considerazione il
legame tra la geologia del territorio vulcanico etneo e la diffusione del
Radon, un esempio è il lavoro di M. Neri [1] che considera la
concentrazione del Radon in aria e a breve periodo, in strutture
geologiche particolari nell’area etnea. Partendo da queste considerazioni,
questo lavoro si occupa per la prima volta della concentrazione del
Radon, misurata in lungo periodo tramite i rivelatori a tracce CR-39 in
17 grotte site sul territorio etneo le quali spesso vengono utilizzate per
scopi turistici, nel caso di visite guidate e per scopi religiosi, nel caso di
cerimonie. Il metodo di misura adottato prende in considerazione
1
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
l’utilizzo di rivelatori a tracce che sono oggi lo strumento più usato per
le misure della concentrazione del Radon e sono costituiti da materiale
polimerico, il quale, attraversato da particelle α, varia il proprio stato di
aggregazione. Questa rottura dei legami chimici nel materiale, lascia
delle microtracce più sensibili ad attacchi chimici rispetto alle altre
porzioni circostanti. La lettura della densità delle microtracce si traduce
nella misura di concentrazione del Radon. Questo lavoro fornisce i dati
preliminari per un eventuale progetto scientifico di lungo periodo che
approfondisca la tematica aumentando i tempi di rilevazione e il numero
di cavità investigate e quindi avere un quadro esauriente su tutto
l’apparato vulcanico etneo.
Tale lavoro è il risultato del periodo di stage effettuato presso
l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA), tale agenzia
è stata istituita con la legge del 3 maggio 2001 n.6. E’ un ente
strumentale della Regione siciliana dotata di personalità giuridica
pubblica e di autonomia tecnica, gestionale ed amministrativa.
Attraverso i laboratori e gli uffici presenti in ciascuna provincia siciliana
offre servizi di controllo, informazione, ricerca e consulenza sia agli enti
pubblici che alle imprese private.
Si occupa del controllo della qualità dell’ambiente, della tutela e
del recupero dello stesso, nell’ottica della sostenibilità dello sviluppo
attraverso servizi, controlli e monitoraggi ambientali in grado di
acquisire, elaborare e quindi restituire all’esterno informazioni
sull’ambiente.
Vengono rilevati fattori fisici, geologici, chimici e biologici ed
eseguite analisi di laboratorio di rilievo ambientale e di prevenzione
sanitaria per la collettività. L’ARPA, inoltre, si occupa di vigilare sul
rispetto della normativa vigente e delle prescrizioni contenute nei
provvedimenti rilasciati dalle autorità competenti in campo ambientale.
Organizza campagne informative al fine di diffondere nel territorio la
cultura dell’ambiente.
Nella figura che segue è riportato un organigramma che
schematizza la struttura dell’ARPA.
2
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
Figura 1.1. Organigramma struttura ARPA.
3
I
CAPITOLO 2
IL RADON
1.
IL RADON
1.1.
Decadimento radioattivo
In natura si trovano circa un migliaio di elementi
energeticamente instabili che tendono a stabilizzarsi emettendo
radiazioni. Tale trasformazione, con l`emissione di energia sottoforma di
radiazioni ionizzanti, prende il nome di decadimento radioattivo. In
sostanza, partendo da un radionuclide genitore/padre si ha la
trasformazione in un nuclide figlio, il quale può anch`esso essere
instabile e trasformarsi nuovamente fino a raggiungere la stabilità
energetica. Il processo di decadimento avviene secondo la seguente
legge:
(2.1)
N0 rappresenta il numero di nuclidi al tempo iniziale t0;
Nt quelli presenti al tempo t;
λ costante di decadimento
Ogni radionuclide possiede una λ legata al tempo di
dimezzamento, cioè il tempo necessario affinchè la metà dei radionuclidi
decada. In corrispondenza si ha l`attività del radionuclide, cioè il numero
di disintegrazioni che si hanno nell`unità di tempo:
(2.2)
A0 rappresenta l`attività iniziale
At rappresenta l`attività al tempo t
λ costante di decadimento
L`attività si misura in Becquerel (1 Bq= 1 decadimento/s).
Si possono avere differenti tipi di decadimento a seconda del tipo
di particella o radiazione emessa: α, β, γ.
5
CAPITOLO 2
1.2.
IL RADON
Caratteristiche chimico-fisiche
Il Radon è un gas nobile, radioattivo e radiogenico, presente
nell’ambiente naturale (rocce, sedimenti, suoli, acqua, atmosfera);
proviene dal decadimento del radioisotopo 226Ra (fig. 2.2.1), originato
per decadimenti successivi dall` elemento capostipite 238U , che risulta a
concentrazione variabile sulla terra in funzione delle caratteristiche
geologiche (tab. 2.I).
Fig. 2.2.1. Decadimento α del 226Ra
Tabella 2.I. contenuto di 238U in diversi tipi di rocce.
238
Tipo di roccia
U (Bq/Kg)
Calcari
27
Rocce carbonatiche
26
Arenarie
18
Granito
59
Basalto
11
Sieniti
100
Il tempo di dimezzamento del Radon è di 3,82 giorni. Decade
con emissione di particelle α, producendo discendenti che decadono
emettendo radiazioni α, β e γ.
6
CAPITOLO 2
IL RADON
Di seguito sono riportate le sue caratteristiche fisico-chimiche:
-
numero atomico 86
-
punto di fusione 71 ºC
-
punto di ebollizione 61,8 ºC
-
densità in condizioni normali 9,96 Kg/m3
- coefficiente di solubilità in acqua a pressione atmosferica
alla temperatura di:
0 ºC
0,570
100 ºC
0,106
Non tutto il Radon prodotto in un suolo o in una roccia per
decadimento del 226Ra è disponibile per il passaggio nell’aria, ma
soltanto la porzione sita alla periferia dei singoli elementi solidi (granuli)
riesce ad emergere dal suolo disciogliendosi in acqua e diffondendosi
nell`aria. Si calcola che da un suolo continentale si ha 1 Bq per minuto
su una superficie di 1 m2; di questo valore il 20 % viene emanato
dall`acqua contenuta nel suolo. La solubilità del gas in acqua dipende
dalla temperatura, in particolare si ha maggiore solubilità al diminuire
della temperatura in acqua.
Il Radon in natura, si può trovare sottoforma di 26 isotopi
differenti che vanno dal 199Rn al 226Rn tra i quali, tre sono naturali: il
222
Rn (detto semplicemente Radon), il 220Rn (conosciuto anche come
Toron) e il 219Rn (detto Actinon), appartenenti, rispettivamente, alle
famiglie radioattive aventi come capostipiti 238U, 232Th e 235U. Tra questi
il 222Rn, che appartiene alla serie di decadimento dell` 238U, è quello più
interessante per gli effetti negativi che può dare sull`uomo. Infatti il suo
lungo tempo di dimezzamento, fa sì che esso rappresenti quello più
abbondante nell’ambiente e con maggiore tempo di permanenza.
7
CAPITOLO 2
1.3.
IL RADON
Trasporto e diffusione
Una volta prodotto, tramite il decadimento α del Radio presente
nel suolo e nelle rocce della crosta terrestre, il Radon viene trasportato
per diffusione molecolare e per convezione, fino all`atmosfera, dove la
concentrazione dipende dalle condizioni meteorologiche. Nel suolo, la
concentrazione risulta molto maggiore rispetto all`atmosfera generando
un elevato gradiente che si mantiene costante grazie al continuo processo
di decadimento a partire dagli elementi capostipiti. Quando il 226Ra
decade all’interno di un materiale roccioso, il Radon prodotto viene
emanato verso i pori contenenti aria all`interno del materiale. La
concentrazione di Radon presente all`interno dei pori viene chiamata
potere di emanazione e dipende sostanzialmente dal processo di rinculo
(fig. 2.3.1), dovuto al movimento subito dagli atomi del Radon quando
viene emessa la particella α durante il decadimento radioattivo che dota
gli atomi del gas di un’ energia cinetica pari a 86 keV, ed in minor
misura dalla diffusione dei gas nei solidi.
Fig. 2.3.1. Emanazione del materiale attraverso i granuli del materiale roccioso.
Se l`atomo di gas si trova nella parte superficiale del granulo,
l’energia cinetica acquisita risulta sufficiente a far sfuggire l`atomo verso
i pori.
L’emanazione dipenderà dalla natura del materiale; più risulta
danneggiato (fessure, fratture e microfratture) maggiore sarà la
8
CAPITOLO 2
IL RADON
possibilità di emanazione. Una volta emanato dal granulo, il trasporto
del Radon può avvenire per diffusione e/o per convezione. Il trasporto
del Radon per diffusione è controllato da:
- porosità del mezzo ed, in particolare, dalla porosità effettiva.
Quest’ultima, infatti, riferita solo ad i pori intercomunicanti, influenza il
grado di esalazione del gas poiché determina la frazione di volume dei
pori aperti e liberi disponibili per il trasporto e la diffusione del Radon.
- permeabilità, cioè dalla capacità del mezzo di lasciarsi
attraversare da un fluido. In particolare, la permeabilità secondaria, data
da fratture e faglie che rappresentano possibili vie preferenziali per il
trasporto dei gas, può causare la fuoriuscita di Radon in superficie. La
probabilità che ciò accada è maggiore in presenza di faglie aperte, cioè
non coperte da strati di terreno, o nel caso di ascensione di gas o fluidi
idrotermali che facilitano il trasporto del Radon prima del suo
decadimento.
- contenuto d’acqua a causa dell’elevato potere frenante di
quest’ultima.
Infatti la perdita specifica di energia nell`acqua è maggiore
rispetto all`aria e quindi il gas avrà una probabilità maggiore di essere
bloccato nell`acqua che riempie un poro del materiale, generando una
proporzionalità diretta tra l`aumento dell`umidità del materiale e la
diffusione del gas. Se lo spazio interstiziale è secco e sufficientemente
sottile il 222Rn penetra nel grano adiacente lasciando una traccia che
prende il nome di “danneggiamento radioattivo” e che sarà detersa
dall’acqua interstiziale, rilasciando così l’atomo di 222Rn [2].
Nel trasporto per diffusione, il Radon si muove in direzione
opposta a quella del gradiente di concentrazione. Assumendo la terra
come una massa porosa di materiale omogeneo semi infinita, il rate di
flusso di Radon JD che emerge dalla superficie è espresso dalla seguente
legge di Fick [3]:
(2.3)
9
CAPITOLO 2
IL RADON
Dove CRA è la concentrazione del 226Ra nel materiale terrestre
(Bq/Kg); λRN è la costante di decadimento del 222Rn (2.1*10-6 sec-1); ε è
il coefficiente di emanazione del campione; ρ è la densità del materiale
(Kg*m-3); De è il coefficiente di diffusione effettivo (m 2/s) del materiale
e p è la porosità.
I meccanismi di convezione sono dovuti a diversi processi, quali:
emissione di gas generati da regioni calde (per es. vulcani); stress, che
può essere generato dalle costrizioni che precedono i terremoti o le
eruzioni vulcaniche; flusso causato dalla variazione di pressione nelle
vicinanze della superficie terrestre, legata alla meteorologia; convezione
fluida, che produce un flusso di Radon nei materiali con permeabilità
alta.
La convezione è governata dalla legge di Darcy e dipende dalla
permeabilità (K) e dal gradiente di pressione:
(2.4)
Dove η è la viscosità; [dV/(Sdt)] è il volume mosso per unità di
massa nell’unità di tempo; S è la sezione del poro e dP/dz è il gradiente
di pressione.
Infine, il Radon passa dal suolo all’atmosfera attraverso il
processo di esalazione che può realizzarsi o attraverso diffusione o
mediante trasporto convettivo.
Il primo meccanismo, descritto dalla legge di Fick, produce un
flusso perpendicolare alla superficie terrestre proporzionale al gradiente
di concentrazione ed al coefficiente di diffusione effettiva D. I moti
convettivi, invece, indotti dalla variazione di pressione relativamente alle
condizioni meteorologiche, presentano una certa variabilità nel tempo e
non possono essere facilmente descritti in modo quantitativo.
Il processo di esalazione è influenzato da diversi fattori, quali:
precipitazioni abbondanti, gelo ed aumenti di pressione atmosferica con
conseguente diminuzione del flusso di esalazione, aumenti di
temperatura e di intensità del vento che determinano sia un aumento
10
CAPITOLO 2
IL RADON
della diffusività che del flusso convettivo nei pori del suolo, generando
una crescita complessiva del flusso di esalazione [4].
Ipotizzando che la diffusione prevale sulla convezione, il rate di
esalazione è descritto dalla seguente espressione:
*λ*R
(2.5)
Dove ε è il potere di emanazione, A la concentrazione di 226 Ra
per unità di massa del suolo (Bq/Kg), ρ la densità del suolo, λ la costante
di decadimento del 222Rn ed R la lunghezza di diffusione del Radon nel
suolo.
1.4.
Radon e geologia
La distribuzione di Radon è fortemente influenzata dalle
caratteristiche geologiche del territorio. Ogni tipo di roccia è
caratterizzata da una specifica concentrazione di questo gas, tuttavia non
identificativa a causa delle notevoli variazioni locali.
Sebbene sia lecito immaginare che si abbiano concentrazioni
maggiori nei materiali di origine vulcanica, spesso si riscontrano elevati
tenori di radionuclidi anche nelle rocce sedimentarie, marmi, marne,
flysh etc. Inoltre, come gas disciolto, viene veicolato a grandi distanze
dal luogo di formazione e può essere presente nelle falde acquifere. Per
comprendere come il Radon si distribuisca sulla Terra è necessario far
riferimento alle caratteristiche dei suoi precursori, 238U e 226Ra, la cui
concentrazione varia con il tipo di roccia, a seconda che sia
sedimentaria, ignea o metamorfica. In particolare, l’Uranio è
maggiormente presente nelle rocce intrusive acide come i graniti, ed in
alcune rocce ricche in feldspati e felspatoidi come le sieniti o le fonoliti;
mentre le rocce sedimentarie presentano contenuti minori di questi
elementi, rispetto quelli riscontrati nelle rocce ignee e metamorfiche.
Nelle rocce metamorfiche il contenuto in questi elementi varia in
funzione del tipo di roccia da cui provengono, sarà maggiore quindi
nelle rocce con un protolito di partenza igneo e minore in quelle con un
protolito sedimentario.
Le alte concentrazioni di Radon nel suolo possono essere
controllate anche considerando altri fattori legati non solo alla
11
CAPITOLO 2
IL RADON
distribuzione delle possibili sorgenti ma, come illustrato nel precedente
paragrafo, alle modalità di migrazione del Radon, che determinano
quanto Radon formatosi all’interno del reticolo cristallino del minerale
riesce a raggiungere la superficie attraversando le formazioni geologiche
ed i terreni di copertura.
Questi ultimi, in base alla loro permeabilità, al loro spessore ed
alla loro composizione, possono rallentare o impedire i processi di
migrazione del Radon dal sottosuolo all’atmosfera, generando un
“confinamento litostatico”.
Rispetto ad altri Paesi europei, il nostro territorio ha un assetto
geologico molto vario e complesso, con un numero considerevole di
litologie differenti, che spesso si alternano in spazi molto ristretti,
frequentemente a causa di un’attività tettonica molto intensa che ancora
oggi comporta un’elevata sismicità. La presenza, infine, di ampie zone
vulcaniche e altre interessate da fenomeni di termalismo complica
ulteriormente il quadro geologico del territorio nazionale.
Nell’ambito di uno studio volto alla definizione delle aree a
rischio potenziale Radon a piccola scala, ad esempio per la redazione di
un nuovo piano urbanistico comunale o intercomunale, è possibile
definire le aree a rischio su base geologica, classificando ed assegnando
parametri quantitativi alle “unità di roccia” identificate. L’unità di roccia
è un corpo roccioso tridimensionale omogeneo, con una determinata
estensione in superficie e in profondità. E’ individuata essenzialmente in
base alla litologia e alla geometria (superficie e spessore); spesso è
delimitata da elementi tettonici importanti (faglie), ma è definita anche
da altre caratteristiche: contenuto di elementi radioattivi (in particolare di
226
Ra), fratturazione, porosità, permeabilità e caratteristiche
idrogeologiche. Le unità di roccia possono essere sorgente diretta di
Radon (per es. se contenenti elementi radioattivi), oppure possono essere
attraversate dal gas migrante verso la superficie (se la fratturazione è
elevata). E’ quindi fondamentale, al fine di determinare la potenziale
presenza di Radon nel suolo, definire e rappresentare con precisione tali
unità.
Utilizzando Sistemi Informativi Territoriali è possibile
cartografare le aree a potenziale rischio Radon, facendo riferimento al
cosiddetto l’indice Radon (IR), che definisce il livello di rischio locale
12
CAPITOLO 2
IL RADON
ottenuto da misure strumentali della concentrazione del Radon nel suolo
e della permeabilità intrinseca del suolo; distinguendo le aree con alto
potenziale di esalazione (>100KBq/m3), medio (25-100 KBq/m3) e basso
(<25KBq/m3) potenziale [5].
1.5.
Effetti del Radon
Il Radon rappresenta uno dei principali “inquinanti naturali”
esistenti in natura. La radioattività dovuta al Radon rappresenta circa la
metà di quella a cui è esposta la popolazione in un anno. La sua
pericolosità è essenzialmente dovuta alle sue caratteristiche chimicofisiche. Essendo un gas nobile e chimicamente caratterizzato da una
grande mobilità (al contrario di elementi come il radio o l’uranio che
restano vincolati nel materiale in cui si trovano) che lo porta a
diffondersi in atmosfera. I rischi sanitari prodotti dall’esposizione sono
dovuti ai suoi discendenti alfa emettitori a vita breve (polonio-218,
piombo-214, bismuto-214 e polonio-214) che, diversamente dal
progenitore, sono chimicamente attivi, potendo aderire al particolato
atmosferico. Tramite quest’ultimo, possono penetrare all’interno dei
polmoni fino a giungere in contatto con le cellule dell’epitelio
polmonare, nel quale intervenendo sul corredo genetico e danneggiano
il DNA e l’RNA delle cellula causano un effetto mutageno che può
portare alla possibile formazione di un tumore ai polmoni (fig. 2.5.1).
13
CAPITOLO 2
IL RADON
Fig. 2.5.1. Effetti del Radon sui polmoni.
I fumatori, inoltre, rappresentano i soggetti più a rischio in
quanto è stato dimostrato un effetto sinergico tra la presenza del radon e
quella del fumo di sigaretta. Nel 1988 l’Agenzia Internazionale di
Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha
identificato il Radon come cancerogeno di gruppo 1, ossia come
sostanza per la quale vi è evidenza di cancerogenicità anche negli esseri
umani, collocandolo al secondo posto, dopo il fumo di tabacco, quale
causa di tumori polmonari. Quindi, pur essendo estremamente difficile
valutare l’incidenza dei casi di cancro ai polmoni dovuti al radon, si può
ipotizzare che circa il 10% dei tumori di questo tipo sia dovuta al gas
radioattivo. L’Agenzia per la Protezione Ambientale americana (EPA)
ritiene che il Radon negli ambienti confinati (indoor) provochi fra i
15000 e i 22000 casi di cancro ai polmoni all’anno solo negli USA. In
Italia, data la maggiore radioattività naturale del suolo (quasi doppia), si
può ipotizzare che i soggetti colpiti siano fra i 1500 e i 4500 all’anno.
Già nel 1996 l’Unione Europea, con la direttiva 96/29/Euratom stabilì
criteri per la protezione dei lavoratori dall’esposizione alla radioattività
naturale ed al Radon in particolare. Nel 2000 la Direttiva Euratom in
materia di protezione della popolazione e dei lavoratori contro i rischi
derivanti dalle radiazioni ionizzanti fu recepita dal Governo Italiano con
il Decreto Legislativo n. 241 del 26 maggio, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 31 agosto 2000, che richiede il controllo ed il contenimento
della concentrazione del Radon nell’aria nei luoghi nei quali si svolgono
attività lavorative. In particolare:
14
CAPITOLO 2
IL RADON
- art.10 bis, comma 1, lettera a) - attività lavorative in tunnel,
sottovie, catacombe, grotte e, comunque, in tutti i luoghi di lavoro
sotterranei o interrati.
La concentrazione di Radon misurata come media annuale non
deve superare il livello d’azione fissato in: 500 Bq/m³. Se si supera
questo livello si valuta un secondo livello d’azione di 3 mSv/a (si tiene
conto del tempo di permanenza).
Per scuole dell’obbligo, scuole materne e asili nido vale il primo
livello d’azione.
- art.10 bis, comma 1, lettera b) - attività lavorative in superficie in
zone ben individuate;
- art.10 bis, comma 1, lettera c), d) ed e):
(c) attività lavorative implicanti l’uso o lo stoccaggio di materiali
abitualmente non considerati radioattivi, ma contenenti radionuclidi
naturali.
(d) attività lavorative che comportano la produzione di residui
abitualmente non considerati radioattivi, ma contenenti radionuclidi
naturali.
(e) attività lavorative in stabilimenti termali o attività estrattive
non disciplinate dal capo IV.
I datori di lavoro, che impiegano personale in ambienti di lavoro
sotterranei, hanno obbligo di far valutare la dose ricevuta da tali
lavoratori per inalazione di Radon. Se tutta o parte dell’attività di una
ditta si svolge in ambiente sotterraneo (officina, autorimessa, magazzino,
uffici a vario titolo) e vi sono uno o più dipendenti che vi prestano la
loro opera per più di 10 ore al mese, il caso ricade sotto la normativa,
che prescrive valori limite per la concentrazione di Radon nell’aria degli
ambienti interessati.
Sono soggetti a questa prescrizione anche gli asili nido, le scuole
materne e le scuole dell’obbligo elementare e medio, se ubicati anche in
parte in luoghi sotterranei.
E’ esplicitamente esclusa la sua applicazione alle abitazioni.
Le misure devono essere eseguite da un laboratorio idoneamente
15
CAPITOLO 2
IL RADON
attrezzato e le valutazioni di dose alle persone devono essere fatte da un
esperto qualificato della radioprotezione.
1.6.
Il Radon e le grotte: stato degli studi
Le grotte rappresentano una delle sorgenti naturali nelle quali è
possibile trovare Radon.
Tuttavia non è facile prevedere a priori, anche solo
indicativamente, la distribuzione di questo gas nello spazio e nel tempo.
Infatti, come abbiamo visto, la sua concentrazione nell'aria dipende da
una molteplicità di fattori, talvolta difficilmente distinguibili e/o
identificabili. Uno dei modelli, ipotizza che nelle grotte ipotizza con
sviluppo prevalentemente orizzontale la forza dominante per il
movimento delle masse d'aria (e quindi del Radon eventualmente
contenuto) è determinata dalla differenza di temperatura con l'esterno,
mentre per grotte più alte che larghe sarà la differenza di pressione tra
punti diversi della cavità ad assumere il ruolo principale. E’ comunque
molto difficile applicare delle generalizzazioni.
Attualmente negli studi condotti in quest’ambito sono state prese
in esame non tanto le grotte di origine vulcanica, dove per la stessa
natura delle rocce si presume di trovare una quantità maggiore di questo
gas, ma grotte formate da rocce carbonatiche, le quali presentano in
genere un contenuto non trascurabile di Uranio.
In un lavoro australiano condotto da Solomon [6]
è stato
misurato il livello di Radon in numerose grotte turistiche e valutati gli
effetti dell’esposizione professionale. Gli studiosi hanno preso in
considerazione grotte con età, estensione e caratteristiche geologiche
molto varie. In particolare ad eccezione del tunnel di lava dell’Undara,
nel nord Queensland datato al Paleozoico, tutte le grotte monitorate
hanno origine in rocce carbonatiche. Al loro interno sono state effettuate
delle misure stagionali dei livelli del gas; determinati i livelli di Radon
medi annui (Maggio 1994-Giugno 1995); stimate le dosi assorbite dalle
guide turistiche abituali; ed, infine, individuate le grotte che superano il
tetto massimo di concentrazione tollerabile. I rilevatori, CR-39, sono
stati posizionati in diverse zone del percorso. I valori di concentrazione
del radon in ciascun sito di monitoraggio variano da < 20 Bq/m3, fino a
16
CAPITOLO 2
IL RADON
oltre 9000 Bq/m3. E’ stata riscontrata una marcata variabilità stagionale
nei diversi siti investigati, raggiungendo il valore massimo durante
l’estate (1000 Bq/m3).
La dose di radiazione annuale (dose annuale efficace) è stata
calcolata, per 116 guide turistiche, utilizzando le raccomandazioni della
Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (ICRP). La
massima dose di radiazioni stimata è stata del 9 mSv per anno, che è
inferiore alla metà del limite professionale per l'esposizione alle
radiazioni.
Relativamente a grotte italiane, esistono dati relativi a misure di
Radon effettuate negli ultimi 20 anni nel Carso Triestino sia da parte di
noti studiosi dell’argomento che dall’Università degli Studi di Trieste.
Infine, di recente è stata riscontrata la presenza di Radon in grotte
siracusane di origine carbonatica per cui è stata avviata una campagna di
misurazioni del gas e di monitoraggio ambientale con lo scopo di
realizzare un database storico con tutti i dati raccolti. Dallo studio
effettuato fin ora è emerso che l'emissione di gas Radon nelle grotte
siracusane non supera i limiti fissati dalla legge.
17
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
3. GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
3.1.
L’area vulcanica etnea
L’area vulcanica etnea, termine maggiormente usato dai geologi,
è un complesso mondo vulcanico che si trova al centro di due catene
montuose separate dalla valle del fiume Alcantara, a nord e da quella del
fiume Simeto, a sud. Tutto l’edificio vulcanico poggia su materiali di
natura sedimentaria, i quali vennero ricoperti a partire da 600 mila anni
fa tramite le prime eruzioni sottomarine che colmarono nei millenni tutta
l’area che nel passato costituiva un grande golfo marino. L’area
interessata da prodotti vulcanici, si estende per 47 Km da Nord a Sud e
38 Km da Est ad Ovest, ricoprendo una superficie di circa 1200 Km 2 e
raggiungendo un perimetro di circa 135 Km. Si trova ad una latitudine di
37° e 45’ Nord ed al centro passa il meridiano 15° E di Greenwich. Nel
1981 ha raggiunto un’altitudine di 3350 m, mentre oggi si aggira intorno
ai 3330 m, anche se molto variabile in funzione dell’attività vulcanica
del periodo considerato. Attorno all’area centrale, maggiormente attiva,
affiorano più di 250 crateri, detti “avventizi” o “effimeri”, poichè
conclusa la fase attiva si sono spenti definitivamente. La maggior parte
di questi vulcani parassiti si concentra lungo grandi fessure eruttive,
dalle quali nei millenni è risalito il magma, trovando strutture fragili
all’interno dell’apparato vulcanico. Tali fessure, chiamate, in gergo più
strettamente strutturale, zone di rift, si allineano principalmente secondo
la direzione Nord-est Sud-ovest. Altri importanti elementi morfologici,
che riguardano l’area vulcanica etnea, sono le strutture calderiche, cioè
grandi depressioni morfologiche; la più grande prende il nome di Valle
del Bove, proprio perché prima di essere completamente riempita da
prodotti di scorrimento lavico e piroclastici, veniva utilizzata, dalla gente
locale, per portare al pascolo i bovini. La valle del Bove si estende per 7
Km da ovest ad est e per 5 Km da Nord a Sud, con fianchi laterali che
raggiungono a tratti i 1000 m di dislivello. L’altra struttura calderica,
detta “Ellittico”, si trova a 2900 m di quota, ha dimensioni 4x3 Km e si
allunga in direzione Nord-Sud. Oggi è appiattita e completamente colma
dei prodotti relativi al cratere centrale e rappresenta la base da cui si erge
tutta la parte sommitale, per un’altezza compresa tra 300 e 400 m.
Quest’ultima è composta da quattro grandi aperture: la più vecchia è la
19
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
“Voragine”; in seguito, nel 1911, nacque il Cratere di Nord-est, dallo
sprofondamento del fianco relativo al cono centrale; 57 anni dopo, nel
1968, nella porzione ovest, si formò la “Bocca Nuova”; infine, per
ultimo, nel 1971, nacque il “Cratere di Sud-Est”, tuttora in evoluzione.
Solamente questi quattro crateri, di tutti quelli presenti nell’area
vulcanica, sono permanentemente attivi tramite fumarole, emissioni di
colate laviche, fontane di lava ed esplosioni freatiche. Disseminate in
tutta l’area si trovano circa 250 grotte vulcaniche, la maggior parte delle
quali formate tramite il processo d’ingrottamento delle colate laviche che
si sono succedute nel tempo. Le grotte derivanti da questo tipo di
processo, sono chiamate “grotte di scorrimento lavico”. Lo studio
condotto in questo lavoro, considera 17 grotte, le quali risultano
maggiormente fruite dal punto di vista turistico, religioso e per i
differenti studi di carattere scientifico. Per dare una visione d’insieme la
distribuzione areale è stata riportata sulla carta morfotettonica dell’Etna
(Fig. 3.1.1).
Fig. 3.1.1. Distribuzione delle grotte investigate sulla carta morfotettonica dell’Etna
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GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
3.2.
Cenni storici sulle grotte dell’Etna
Il primo speleologo dell’Etna fu Anton Giulio De Amodeo da
Castiglione di Sicilia, chiamato anche Filoteo, il quale, nel suo lavoro
“topographia” 1591, parla di diverse grotte site sul versante nord
dell’Etna. Egli diede in alcuni casi il nome e la descrizione della grotta,
ma solo poche di queste possono essere oggi identificate con certezza.
Pietro Carrera 1636, fa riferimento ad una grotta nuova nei pressi
di Monte Serra Pizzuta Calverina, identificata anche in seguito da
Gurrieri nel 1934 ed oggi nota come il complesso di Grotte di Casa del
Vescovo, le quali vengono prese in esame durante il monitoraggio
effettuato nel presente lavoro. Lo stesso Carrera, parla di altre cavità
quali la Grotta della Neve ad ovest del monte Serra Pizzuta, distrutta
probabilmente durante il 1766, ma anche della Grotta dei Santi e quella
di San Leo, le quali non sono state oggi identificate, forse perchè
distrutte durante i decenni di attività del vulcano. Infine, Carrera parla
della grotta di Proserpina, in contrada Leucatia nella zona nord di
Catania, nella quale i pazzi, per grazia della ninfa, ricevevano la salute
una volta passata una notte all’interno della stessa.
Giovanni Andrea Massa gesuita 1709, parla di diverse grotte
situate lungo il tratto di costa che và da Catania a Stazzo.
Uno dei primi a citare la Grotta delle Palombe, vicino Nicolosi,
fu Patrick Brydone 1773, il quale descrive inoltre la Spelonca del
Capriolo che gli offrì il riparo per la notte durante l’ascesa sul vulcano e
che oggi è identificabile con la Grotta dei Faggi.
Francesco Ferrara 1793, parla della Grotta di San Giovanni
Galermo, utilizzata oggi per funzioni religiose.
La Grotta di Paternò, dell’Orba e la Guardiola, tutte descritte da
Giuseppe Recupero 1815 come niviere, rimasero sepolte dalle lave del
1776. L’opera venne resa nota e curata dal nipote Agatino
successivamente alla scomparsa di Recupero. Lo stesso visitò la Grotta
delle Palombe di Nicolosi, anche se non nella sua interezza, prima della
più nota esplorazione da parte di Mario Gemmellaro. Altre grotte sono
descritte nella carta oryctografica di Mongibello, nella quale viene anche
citata una grotta sul versante nord che può essere identificata con la
Grotta del Burrò.
21
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
Carlo Gemmellaro 1843 parla di diverse grotte nella città di
Catania e chiuse proprio dall’espansione della città. Inoltre nella sua
Vulcanologia dell’Etna parla della grotta degli Inglesi, la quale si
trovava nel versante sud all’altezza di Monte Vetore, ma che oggi risulta
occupata dalle lave recenti. Nella stessa opera parla della grotta delle
Palombe di Nicolosi esplorata dal fratello Mario e descrive un’altra
Grotta delle Palombe ma sita in Santa Maria la Scala, oggi non più
raggiungibile.
Wolfgang Sartorius, dopo aver dedicato molti anni allo studio
dell’Etna, parla di diverse grotte nel lavoro del 1880 e descrive
minuziosamente, pubblicando anche la sezione longitudinale, la Grotta
delle Palombe di Nicolosi.
Salvatore Spinelli 1887 parla di una grotta del Fracasso sita nel
territorio di Paternò e identificata come Grotta di Talìa di cui parla
Giovanni Boccaccio. In particolare in questa grotta si sentirebbe il
fragore delle acque sotterranee durante il disciogliersi delle nevi.
Rilievi topografici e descrizione di alcune grotte nel quartiere
Barriera di Catania sono descritte da Paolo Orsi 1898-1914, anche se
oggi scomparse per il susseguirsi del processo di urbanizzazione della
zona considerata.
Gaetano Ponte 1814 parla delle diverse grotte nel territorio di
San Pietro Clarenza, come la Grotta Sgangheri considerata in questo
lavoro, le quali comunque risultano menzionate nella tesi di laurea di
Giovanni Gurrieri.
Domenico Andronico 1930, salesiano, parla delle grotte di San
Gregorio e Ficarazzi, alcune di queste da noi investigate e che fanno
parte del parco speleologico dell’immacolatella.
Il primo che si occupa di uno studio sistematico delle grotte
dell`Etna e Francesco Miceli, il quale dedicò molto tempo della sua vita
alla ricerca e descrizione di grotte e che cita nell’articolo del 1933.
Inoltre precisa la confusione fra le due grotte degli Archi e definisce
sessantotto nomi di grotte che verranno pubblicato in Poli (1959a).
Salvatore Cucuzza Silvestri 1957 descrive un interessante grotta
formatasi nel 1819 in valle del Bove, oggi non raggiungibile.
22
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
Oggi le grotte censite sull’Etna sono circa 250, gli enormi passi
avanti fatti nello studio delle cavità, sono da riferirsi allo sforzo di
gruppi di persone con la passione della speleologia, come il gruppo
grotte del CAI Catania e il Centro speleologico Etneo. Nel 1999 durante
il IX Simposio Internazionale di Vulcanospeleologia, tenutosi a Catania,
è stato presentato il libro “Dentro il Vulcano” curato dal Centro
Speleologico Etneo. Il libro costituisce uno dei principali contributi, ad
oggi, sulla conoscenza e la valorizzazione delle grotte vulcaniche
dell’Etna. [7]
3.3.
Origine e classificazione
Tutte le grotte prese in considerazione nel presente lavoro sono
dovute all’attività eruttiva dell’Etna. Non essendo un vulcano
prevalentemente esplosivo, l’emissione di colate laviche non molto
viscose ha prodotto nei 600.000 anni dalla sua nascita le diverse grotte
distribuite su tutto l’apparato. La maggior parte delle grotte presenti
sono dovute ad eruzioni laterali. Quando la pressione del magma durante
la risalita non viene contenuta da porzioni fragili laterali, si apre una
frattura lungo la quale il magma zampillerà formando crateri secondari e
colate laviche dalle quali le grotte durante diverse fasi si originano. Nel
caso in cui lungo la frattura, si ha una diminuzione del flusso magmatico
che risaliva, il magma che si consolida può lasciare delle porzione vuote,
accessibili dai crateri formatisi durante le fasi esplosive o effusive. In
questo caso si origina un tipo di grotta, come quella dei Monti Sartorius
1892, che avendo uno sviluppo principalmente verticale viene chiamata
Abisso. Questo tipo, di cui fa parte la grotta delle Palombe di Nicolosi
sono comunque non comuni e molto pericolose per qualsiasi attività data
l’estrema instabilità delle pareti che la compongono. Nel caso l’origine
fosse da bocche effusive, tali grotte vengono anche chiamate gallerie da
effusione, come propone Cucuzza Silvestri. Un altro tipo e molto più
numerose sono quelle grotte che si formano nelle colate laviche. In
questo caso, si ha la formazione tramite differenti fasi (Fig. 3.3.1) le
quali si attuano durante il flusso lungo le pendici del vulcano ad opera
della forza di gravità.
23
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
Fig. 3.3.1. Fasi di formazione di una galleria di scorrimento lavico.
Nella prima fase, la lava scorre rapidamente nella parte centrale
rispetto alle porzioni laterali lungo le quali si raffredda e solidifica,
formando un canale di scorrimento lavico.
Nella seconda fase, si ha il raffreddamento della parte
superficiale a contatto con l’aria, si forma quindi un involucro detto
“sacco di scorie” che produce una diminuzione della perdita di calore da
parte della colata. Quindi la colata, nella sua parte interna continua a
scorrere mantenendo la temperatura alta ed una buona fluidità.
Nella terza fase, si è quindi formato un involucro di forma
pseudo cilindrica all’interno del quale la lava scorre, quando il flusso
diminuisce o cessa, se non ci sono crolli della volta superiore, ciò che
resta e una galleria che è chiamata di scorrimento lavico. Nel caso in cui
lo svuotamento è parziale la galleria risulta a sezione semiellittica,
mentre circolare, nel caso di uno svuotamento completo. Sono sempre a
sviluppo orizzontale con pendenza verso la direzione a valle, il
pavimento è uguale alle superfici di colate esterne e quindi scoriaceo o
con lave a corda in funzione della viscosità e temperatura della colata.
Le pareti e la volta della galleria, formati da strati lavici possono essere
staccati nella parte alta e ripiegati verso l’interno oppure essere continui.
Nel primo caso si produce un effetto squamoso realizzato da fogli di lava
con spessori di alcuni centimetri. Quando il ripiegamento assume un
aspetto cilindrico ai piedi delle pareti, si formano dei rotoli che possono
anche avere lunga estensione ed interessare gran parte della galleria.
Brandelli di lava, possono essere rimasti attaccati alla volta durante il
flusso interno, questi si possono anche ispessire per accumulo, come
suggerito da “Ponte”. Rittmann spiega la struttura interna, suggerendo
un gradiente di temperatura che diminuisce dal centro del flusso lavico
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GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
verso l’esterno e quindi la formazione di tubi concentrici uno dentro
l’altro con velocità crescenti verso il centro. In certi casi, le superfici
interne risultano levigate, vetrose con formazione di piccole stalattiti che
richiamano quelle carsiche ma che in tal caso sono dovute a processi di
rifusione di lava precedentemente consolidata. Infatti l’accumulo di gas
all’interno e il sopraggiungere di ossigeno per crolli parziali della volta,
può innalzare la temperatura e produrre la rifusione del materiale quasi
consolidato. Le dimensioni di tali gallerie sono dell’ordine di poche
centinaia di metri con sezioni che raggiungono quelle di gallerie
ferroviarie in pochi casi. Inoltre è possibile lo sviluppo di diverse
gallerie sovrapposte o che si articolano in diversi ambienti e con
dimensioni delle sezione differenti. Le grotte di scorrimento lavico
presentano fratture su tutto l’allungamento, riconducibili al processo di
raffreddamento, raggiungendo anche alcuni centimetri di apertura. Gli
ingressi delle gallerie di scorrimento sono da crollo della volta oppure
dei fianchi. I crolli possono essere coevi alla formazione della cavità,
oppure posteriori. Nel primo caso il materiale che è franato viene
inglobato dalla colata in movimento e l’elevata temperatura produce lo
smussamento degli spigoli della volta formatasi durante il crollo.
Quando i crolli sono posteriori il materiale si accumula sul pavimento
della galleria e gli spigoli sulla volta saranno abbastanza appuntiti. Nel
caso che i gas accumulati durante il flusso della colata producano
esplosioni e crolli parziali della volta nelle sezioni più fragili, si formano
delle particolari strutture verticali (chiamati hornitos) dalle quali sarà
possibile accedere alla galleria di scorrimento una volta cessato il flusso.
Inoltre, è possibile avere delle grotte date dall’insieme di una
grotta prodotta in un apparato eruttivo in continuità con una di
scorrimento lavico. Altri tipi di grotte sono quelle determinate
dall’azione di agenti esterni come acqua e vento, i quali possono
produrre lo svuotamento della porzione sottostante una colata e quindi
formare una cavità. Quando le grotte si trovano a quote ove è presente
ghiaccio e neve nel periodo invernale, si possono avere stalattiti di
ghiaccio e la presenza di neve o ghiaccio anche durante le altre stagioni.
In questi casi in passato, le grotte vennero utilizzate come niviere, nelle
quali si accumulava ghiaccio in inverno per poi rivenderlo nel periodo
estivo.
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GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
3.4.
Evoluzione delle grotte
Le grotte vulcaniche seguono un processo evolutivo che termina
con la loro distruzione. Si può dividere tale processo in diverse fasi:
Nella fase iniziale si conserva la forma a fessura o galleria a
meno di crolli contemporanei alla formazione. In questa fase le superfici
mostrano porzioni lucide e rifuse abbastanza taglienti e pavimenti
sgombri da materiale. La trasformazione avviene durante la fase di
maturità dove, le superfici cominciano ad alterarsi divenendo opache e
pulvirulente. Il pavimento perde la primitiva asprezza e si accumulano
materiali portati dal vento, acqua o decomposizione di resti animali e
vegetali. In conseguenza di crolli per assestamento o terremoti, si
possono accumulare materiali provenienti dalla volta o dai fianchi della
grotta. Lungo le fratture si insinueranno radici della vegetazione
soprastante e assieme al percolare di acqua, eserciteranno pressioni
meccaniche con conseguente allargamento delle fratture. Questo può
portare a crolli di porzioni che in determinate situazioni possono anche
occludere passaggi e quindi portare a una mutazione rispetto a quella che
era la forma precedente. La percolazione di acqua può portare a
concrezionamenti sulle pareti solo quando il liquido percolante proviene
da irrigazione e quindi in grotte che non si trovano ad alte quote. Tutti
questi processi portano ad una fase di senilità durante cui diventa
difficile il riconoscimento della struttura originaria. Queste fasi possono
durare anche millenni, ma cambiamenti repentini si possono verificare
per il susseguirsi della normale attività vulcanica che in certi casi
produce nuove cavità ed in altri determina la scomparsa di quelle
esistenti.
3.5.
Descrizione delle grotte in esame
Durante questo lavoro di monitoraggio del Radon, sono state
investigate 17 grotte di scorrimento lavico ricadenti nei territori di:
Zafferana Etnea, S.Gregorio di Catania, Catania, Adrano, San Pietro
Clarenza, Sant’Alfio, Acicastello, Camporotondo, Belpasso e Paternò.
Di seguito vengono descritte facendo riferimento all’ubicazione e
le caratteristiche principali di ognuna di esse. [7]
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GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA LA FENICE
Comune : Zafferana
Tavoletta I.G.M. : 262 III SE Giarre (1970)
Longitudine : 15° 05' 33"
Latitudine : 37° 41'30"
Quota : 825
Questa cavità, è contenuta nella frattura eruttiva del 1792 ed è
costituita da una galleria interrotta in più punti da crolli della volta (Fig.
3.5.1).
Fig. 3.5.1. Grotta La Fenice
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GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA DEL CONIGLIO
Comune : Zafferana
Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969)
Longitudine : 15° 03' 14"
Latitudine : 37° 41' 56"
Quota : 1375
Si accede alla grotta attraverso una spaccatura nella volta (Fig.
3.5.2), ed è utile in questo punto una scaletta di 5 m che si può fissare ad
uno spuntone di roccia. Il pavimento è costituito da terra accumulata
dalle acque piovane, con una superficie pianeggiante e compatta, forata
in più punti dallo stillicidio. Nei pressi dell'entrata è osservabile una
galleria laterale ingombra per lo spessore di quasi un metro da scorie
laviche dispose in guisa di colata che si affaccia sulla galleria principale.
Risalendo queste scorie si perviene ad una strettoia che dà accesso ad
una piccola sala. Un'altra strettoia, seguita da un ambiente largo e basso
si trova all'estremità sud della grotta. Lamine di lava si osservano in tutta
la cavità; nel tratto terminale nord si trova un caratteristico rotolo, non
molto lungo ma regolare e ben conservato .
Fig. 3.5.2. Grotta del Coniglio.
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GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA TRE LIVELLI
Comune : Zafferana
Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969)
Longitudine : 15° 01' 59"
Latitudine : 37° 41' 56"
Quota : 1625
Formatasi nelle lave sgorgate dalla bocca effusiva inferiore
dell'eruzione del 1792. Nel complesso la grotta è molto ben conservata e
pochi sono i punti in cui si sono verificati crolli. In corrispondenza degli
ingressi la cavità si articola in tre gallerie sovrapposte situate a tre
diversi livelli. La galleria superiore, lunga 60 m, è piuttosto angusta ed
una parte del soffitto è costituita da un solaio di cemento armato che
sostiene la strada provinciale. La galleria intermedia è lunga circa 40 m.
Maggiore sviluppo presenta la galleria inferiore che ha più di 400 m di
lunghezza. I tre livelli sono collegati da piccoli salti per superare i quali
è utile una scaletta di 10 m. Per i primi 50 m dalla base dei pozzi il
percorso è assai agevole data l'altezza della volta che solo in qualche
punto costringe a procedere chinati. Il pavimento è di lava a superficie
scoriacea a grossi frammenti che nelle estremità sud della galleria sono
disposti con caratteristica superficie ondulata. In tutta la grotta si
possono osservare stalattiti da rifusione che si presentano come brandelli
di lava a superficie vetrosa ed interessanti sporgenze, simili a cornicioni,
disposte lungo le pareti (Fig. 3.5.3).
Fig. 3.5.3. Grotta Tre Livelli.
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GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA CASA DEL VESCOVO
Comune : Zafferana
Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969)
Longitudine : 15° 01' 33"
Latitudine : 37° 41' 47"
Quota : 1675
Le Grotte di Casa del Vescovo (Fig. 3.5.4) sono un insieme di cavità in
parte comunicanti, alcune delle quali sono larghi pozzi a forma di
campana. La cavità più a nord è una breve galleria preceduta da un
canale di scorrimento. Dalla galleria si accede ad una cengia posta a
metà altezza di una sala. Il passaggio dalla galleria alla cengia è
costituito da una apertura in un muro. Superando un dislivello di cinque
metri si scende sul pavimento della sala costituito da un caotico
ammasso di grossi blocchi. Proseguendo verso sud si risale un pendio e,
attraverso un passaggio tra i massi franati, si raggiunge una seconda sala
più piccola della precedente. Anche qui il pavimento è costituito da un
ammasso di grossi blocchi. Entrambe le sale presentano tratti di muri a
secco lungo le pareti con superfici coperte da muschi e da Capelvenere.
Esse prendono luce da ampie aperture sulla volta che il Carrera afferma
essere artificiali. Queste aperture vennero praticate per introdurre più
agevolmente la neve che veniva qui conservata per l'estate. Nelle
immediate vicinanze di queste cavità se ne aprono altre tre ad andamento
prevalentemente verticale; la più profonda misura 13 m.
Fig. 3.5.4. Grotta Casa del Vescovo.
30
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA CASSONE
Comune : Zafferana
Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969)
Longitudine : 15° 02' 57"
Latitudine : 37° 41' 55"
Quota : 1400
Si tratta di una galleria di scorrimento di notevoli dimensioni sia in
lunghezza che in altezza, che si sviluppa in direzione nordovest e sudest.
Lungo il tratto a nordovest dell'ingresso la volta e le pareti presentano
vari fenomeni di rifusione e si notano le variazioni di portata del flusso
lavico. Si notano anche alcuni rotoli incompleti. Il pavimento è costituito
da lava scoriacea che in alcuni punti diventa a piccole corde, tale
morfologia lo rende leggermente sconnesso. La grotta, in direzione
sudest, presenta invece una fisionomia legata ai crolli, dovuti alla
costruzione della strada provinciale, ed una difficile percorribilità (Fig.
3.5.5).
Fig. 3.5.5. Grotta Cassone.
31
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA ACQUA VITALE
Comune : Zafferana
Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969)
Longitudine : 15° 03' 26"
Latitudine : 37° 41' 57"
Quota : 1338
Vi si accede da un crollo della volta con un dislivello di circa 2 m. Per
tutta la sua estensione si notano crolli. Il pavimento è costituito per la
maggior parte da scorie e da pietrame. Nella grotta si distinguono due
rami, un tempo sicuramente comunicanti. Il primo, a nordest, è costituito
da una sala lunga 12.5 m e larga 7 m dove si osserva un' abbondante
vegetazione di muschi e di felci. Il secondo, a sudovest, è lungo più di
130 m, con larghezza variante da 10 m a 60 cm e con altezza variante fra
2 m e 50 cm. Esso conserva l'aspetto di una galleria di scorrimento ed è
caratterizzato da numerose fratture nella volta che in più punti lasciano
filtrare la luce dall'esterno. L'andamento della grotta è riconoscibile in
superficie lungo un canale di scorrimento orientato da nordest a sudovest
(Fig. 3.5.6).
Fig. 3.5.6. Grotta Acqua Vitale.
32
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA PITAGORA
Comune : Zafferana
Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969)
Longitudine : 15° 00' 53"
Latitudine : 37° 42' 20"
Quota : 2050
Miceli che per primo ha segnalato questa cavità di 6 m per 18 m, avanza
l'ipotesi che essa si sia formata per asportazione di sabbia «sulla quale è
posata e riposa una vecchia colata lavica». E' da notare che questa grotta
non si trova all'interno di una colata ma è contenuta in una formazione di
roccia vulcanica che ha l'aspetto di un dicco. La faccia orientale di
questo forma una parete alta circa 10 m strapiombante su un vallone.
Tracce dello stesso dicco sono ben visibili più a valle (Fig. 3.5.7).
Fig. 3.5.7. Grotta Pitagora.
33
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA DEI TEDESCHI
Comune : San Gregorio
Tavoletta I.G.M. : 270 IV SE Catania (1971)
Longitudine : 15° 06' 48''
Latitudine : 37° 33' 38"
Quota : 320
Si trova sulla strada che conduce al campo sportivo comunale,
all’interno del Parco Speleologico di Guardiola Cantarella. L' ingresso
della grotta si trova in una piccola depressione pochi metri a nordovest
di una vasca di raccolta delle acque. Tipica grotta di scorrimento, nella
quale sono rari i fenomeni di rifusione. Interessata da diversi crolli, oggi
è fruibile solo con attrezzatura specifica e quindi solamente per scopi
scientifici (Fig. 3.5.8).
Fig. 3.5.8. Grotta dei Tedeschi.
34
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA SCIARA CURIA
Comune : Catania
Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971)
Longitudine : 15°.03'.18"
Latitudine : 37°.30'.42"
Quota : 90
Ampia, ma breve, galleria di scorrimento interessata da numerosi crolli,
il più imponente divide la cavità in due ambienti. Nel tratto a nord della
galleria si trova un piccolo cunicolo che sbocca all'esterno. La galleria è
lunga circa diciotto metri. La volta che nei pressi dell'ingresso principale
è alta due metri degrada verso il fondo e in coincidenza del crollo
principale è tale da costringere a procedere carponi. Sulla volta, nei tratti
non interessati dai crolli, si osservano numerose stalattiti da rifusione
(Fig. 3.5.9).
Fig. 3.5.9. Grotta Sciara Curia.
35
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA DEL SANTO
Comune : Adrano
Tavoletta I.G.M. : 261 II SE Monte Minardo (1969)
Longitudine : 14° 52' 35"
Latitudine : 37° 42' 31"
Quota : 1030
Grotta di scorrimento dalla forma particolarmente complessa, si articola
in diverse gallerie generalmente anguste ed in parte sovrapposte, che si
sviluppano con pendenze differenti per una lunghezza complessiva di
oltre 800 m. Un discreto stillicidio è presente in tutta la cavità; dal lato
sud l'acqua si raccoglie in una pozzanghera fangosa sul pavimento della
galleria principale. Poco dopo la pozzanghera la galleria si divide in due
cunicoli a livelli diversi che qualche metro più avanti si incrociano
proseguendo ancora separati prima di confluire definitivamente in un
unico ambiente. Alcuni cunicoli hanno forma cilindrica piuttosto
regolare con il diametro di circa 1 m; il pavimento si presenta qui come
un rigagnolo di lava rappresa. La galleria bassa in direzione sud ha
l'aspetto tipico delle grotte molto antiche: la volta e le pareti sono
rivestite da una patina bianca di concrezionamento; i piccoli brandelli di
lava parzialmente rifusi che pendono dalla volta sono anch'essi rivestiti
da questa patina e a volte prolungati da brevi stalattiti (Fig. 3.5.10).
Fig. 3.5.10. Grotta del Santo.
36
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA PASSO ZINGARO
Comune : Adrano
Tavoletta I.G.M. : 261 II SE Monte Minardo (1969)
Longitudine : 14° 50' 07"
Latitudine : 37° 43' 16"
Quota : 685
Breve galleria di scorrimento costituita da un unico ambiente di forma
ellittica. L'ingresso è alto 2 m e largo 6 m e dà luce a tutta la cavità. Il
soffitto è piatto e presenta numerose fratture. Lo spessore della volta
varia da 0.5 m, presso l'ingresso, a circa 1 m. Su tutte le pareti si
osservano lamine di lava distaccate di vario spessore che lungo la parete
nord formano rotoli incompleti. Il pavimento è costituito da pietrame a
sud e ad est da lava a superficie unita (Fig. 3.5.11).
Fig. 3.5.11. Grotta Passo Zingaro.
37
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA SGANGHERI
Comune : San Pietro Clarenza
Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971)
Longitudine : 15° 01' 16"
Latitudine : 37° 34' 05"
Quota : 450
Trattasi di una galleria di scorrimento con uno sviluppo totale di 32 m.
La cavità è costituita da un primo tratto dove la volta è ad altezza d'uomo
e da due diramazioni dalla volta assai bassa orientate, la più ampia a
nordovest, l'altra a nordest. Sono presenti diversi rotoli di lava di
modeste dimensioni ed alcune lamine scollatesi dalle pareti. Due ingressi
di piccole dimensioni si trovano nella diramazione orientata a nordest
(Fig. 3.5.12).
Fig. 3.5.12. Grotta Sgangheri.
38
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA DEI LADRONI
Comune : Sant'Alfio
Tavoletta I.G.M. : 262 III NO Monte Etna Nord (1969)
Longitudine : 15° 04' 18"
Latitudine : 37° 46' 16"
Quota : 1540
Ampia cavità generata da fenomeni di scorrimento lavico. Vi si accede
attraverso quattro aperture poste, due sui fianchi della galleria e due sulla
volta. L'ingresso più occidentale è dotato di una ripida scala con i gradini
scavati nella roccia. Costituita da un unico ambiente, abbastanza ben
conservato, la grotta ha una altezza media che consente costantemente la
stazione eretta. Il pavimento della cavità è ricoperto da uno strato di
detriti e sabbia. La volta e le pareti sono scarsamente dotate di
speleotemi da rifusione. Vi si osservano alcuni crolli e un cunicolo
orientato a nordest. La cavità è conosciuta da molti anni e deve il suo
nome alla legenda che la narra come luogo prediletto dai briganti per i
loro agguati (Fig. 3.5.13).
Fig. 3.5.13. Grotta dei Ladroni
39
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA DELLE FATE
Comune : Acicastello
Tavoletta I.G.M. : 270 IV SE Catania (1971)
Longitudine : 15° 07' 26"
Latitudine : 37° 33' 48"
Quota : 235
Galleria di scorrimento in lave molto antiche lunga circa 20 m. A metà
del suo sviluppo presenta uno scivolo di lava a superficie unita. Il
pavimento nel tratto iniziale è di terra e detriti, in quello mediano di
blocchi ed in quello terminale di lava a superficie unita. La volta, alta al
massimo 3.5 m si presenta notevolmente fessurata. Sono rari i fenomeni
di rifusione. All'ingresso si nota una scarsa vegetazione di felci e muschi
(Fig. 3.5.14).
.
Fig. 3.5.14. Grotta delle Fate.
40
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA DELLE COLOMBE
Comune : Belpasso
Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971)
Longitudine : 15° 00' 27"
Latitudine : 37° 34' 48"
Quota : 529
Grossa galleria di scorrimento alla quale si accede da una grossa apertura
sul fianco nord. La grotta è lunga 82 m, ha la volta alta in più punti oltre
7 m. Nei pressi dell'ingresso si trova un grosso masso, di oltre 3 m di
diametro, crollato dalla volta. Il pavimento, piuttosto tormentato, è
costituito da grossi brandelli di lava saldati e da scorie. Si notano alcuni
rotoli mentre sono rare le stalattiti da rifusione. All'ingresso si trova una
rigogliosa vegetazione di muschi, felci e piante superiori (Fig. 3.5.15).
Fig. 3.5.15. Grotta delle Colombe.
41
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA MADONNA DELLA ROCCIA
Comune : Belpasso
Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971)
Galleria di scorrimento in lave del 1669 lunga circa 20 m. Il pavimento ,
nel tratto iniziale è di terra e detriti ed in quello finale di lava a superficie
unita. La volta, supera i 4 m si presenta notevolmente fessurata. Sono
rari i fenomeni di rifusione. All'ingresso vi è un cancello in ferro per
evitare il calpestio nella porzione interna (Fig. 3.5.16).
Fig. 3.5.16. Grotta Madonna della Roccia.
42
GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA
CAPITOLO 3
GROTTA S. BARBARA
Comune : Paternò
Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969)
Longitudine : 14° 58' 30"
Latitudine : 37° 41' 52"
Quota : 1790
Trattasi di una galleria di scorrimento cui si accede da una apertura
situata nella volta, coeva alla formazione della cavità. L'ingresso si
presenta come un pozzo a pareti strapiombanti lisce e compatte; per
scendervi è necessaria una scaletta di dieci metri. In assenza di neve dal
fondo del pozzo si possono percorrere alcuni metri di galleria sia dal lato
a monte che dal lato a valle (Fig. 3.5.17).
Fig. 3.5.17. Grotta S. Barbara.
43
CAPITOLO 4
4.
MISURE RADON
MISURE RADON
4.1. Introduzione
Le misure per la concentrazione del Radon nei diversi ambienti
possono essere effettuate tramite dispositivi a riempimento (sistemi
attivi), nei quali l`aria viene introdotta tramite una pompa di aspirazione,
oppure per diffusione mediante un mezzo filtrante (sistemi passivi). Alla
seconda categoria appartengono i rivelatori a tracce che sono stati
utilizzati durante questo lavoro. Si tratta dell`impiego di dispositivi
costituiti da lastre di polimeri sensibili solo alle radiazioni alfa. Un
importante parametro e il periodo di esposizione, che nel caso dei
rivelatori a tracce può spaziare da un mese ad un anno. Questo perchè la
concentrazione del Radon varia nel corso del tempo in dipendenza dei
parametri ambientali. Possiamo avere variazioni stagionali o anche
durante un giorno tra le ore diurne e quelle notturne. Nel nostro caso
essendo stati investigati siti non esposti a forti variazioni ambientali, il
periodo di prova congruo per avere buoni risultati è stato stabilito in due
mesi.
4.2 Rivelatori a tracce nucleari
Quando una particella alfa con sufficiente energia attraversa un
mezzo, causa la ionizzazione degli atomi e molecole che incontra lungo
il suo percorso, producendo radicali liberi e altre specie chimiche. Le
nuove specie lungo il percorso della particella formano una zona
danneggiata chiamata traccia latente. Il materiale contenente le tracce
latenti può essere sottoposto ad una soluzione aggressiva, per esempio
NaOH che renderà la traccia più larga e quindi più visibile durante
l`osservazione del materiale ad un microscopio ottico. Le tracce latenti
sono maggiormente visibili in sostanze come nitrati di cellulosa e
policarbonati i quali sono composti da lunghe molecole. I rivelatori a
tracce maggiormente utilizzati sono i CR-39, i quali furono sviluppati da
Cartwright e si basano su polyallydiglycol carbonato e LR-115 nitrato di
cellulosa. Comunque ne esistono anche altri tipi come per esempio quelli
basati su policarbonati. In particolare, i CR-39 si ottengono tramite un
processo di polimerizzazione che porta ad avere una resina
termoindurente cioè un materiale che riscaldato per un tempo prolungato
aumenta la propria consistenza fino a divenire non più fusibile tranne
45
CAPITOLO 4
MISURE RADON
che per temperature particolarmente elevate e che in queste condizioni
porta il materiale direttamente alla carbonizzazione. Circa il 70 % del
CR-39 è composto da un monomero a struttura chimica complessa di
Allil Diglicol Carbonato. Il 30 % circa della miscela è costituito da un
polipropilene isotattico, il quale innesca una reazione a catena con la
molecola del monometro una volta scisso in due radicali. Inoltre, nella
miscela viene aggiunto 0,1‰ di Naugard 445 che con l’azione
antiossidante, mantiene inalterate le caratteristiche delle lastre. Infine
uno 0,1 % di dioctiftalato, il quale con l’azione plastificante garantisce la
trasparenza della superficie anche dopo svariati attacchi chimici, anche
se riduce la sensibilità del rivelatore. Durante il processo di produzione
del dosimetro, si vengono a creare delle tracce di fondo dovute ad
imperfezioni che dipendono dalla purezza del monomero, dalla
concentrazione dello stesso e dal ciclo termico durante la
polimerizzazione. Per tal motivo, risulta importante il controllo durante
tutte le fasi che portano al prodotto finale, il quale, deve mantenere
precise caratteristiche confrontabili con gli standard europei. In tal caso
l’ente responsabile per i controlli è il laboratorio NRPB in Gran
Bretagna.
Molti sono i vantaggi per i quali vengono utilizzati i CR-39 come
rivelatori a tracce, a partire dalle piccole dimensioni, inoltre, si possono
archiviare e quindi essere riutilizzati per la ripetizione della lettura. Sono
indipendenti da condizioni ambientali quali temperatura (fino a 110 ºC)
e umidità compresa tra 5 e 95 %. Infine hanno buone caratteristiche
dosimetriche quali, ampio intervallo di energia delle particelle rivelabili
(tra 200 keV e 14 MeV) e una bassa soglia di rivelazione (< 0,1 m Sv).
Rispetto ad altri materiali, quali vetro, polycarbonato e polymethylmeth,
i CR-39 sono qualitativamente migliori considerando la trasparenza,
leggerezza e resistenza ai graffi, al piegamento e ai soventi chimici e
cariche elettriche. Inoltre sono resistenti all’invecchiamento, alle
radiazioni γ e assorbono i raggi UV. La camera di diffusione, che
contiene il rivelatore, deve essere opportunamente progettata in modo
tale che possa passare all’interno solo il 222Rn e i prodotti del suo
decadimento per avere una migliore valutazione quantitativa delle tracce
latenti.
Di seguito vengono elencati i più importanti parametri fisici dei
rivelatori a tracce CR-39:
46
CAPITOLO 4
MISURE RADON
-
peso specifico a 25 °C; 1.32 g/cm3
-
indice di rifrazione a 20 ºC; 1,501
-
calore specifico; 0,55 cal/g °C
-
resistenza alle contrazioni; 3,5-4,2 kg/mm2
-
resistenza alle compressioni; 15,8 kg/mm 2
4.3 Processo di formazione delle tracce
Quando una particella α penetra il mezzo materiale di cui sono
costituiti i rivelatori, lungo il percorso le molecole subiscono numerosi
processi di ionizzazione ed eccitazione. Il risultato globale è un
danneggiamento microscopico delle superficie visualizzabile come
piccoli fori delle dimensioni di alcuni nanometri. Ogni piccolo foro
formatosi in seguito al danneggiamento prende il nome di “traccia
latente”. La formazione delle tracce è fortemente pronunciata nei
materiali con struttura a catena e in alcuni materiali amorfi. La perdita di
energia delle alfa e la conseguente ionizzazione ed eccitazione degli
atomi del materiale costituiscono la cosiddetta “fase fisica” che avviene
in un intervallo di tempo dell’ordine dei picosecondi. Gli elettroni liberi
generati in questa interazione primaria danno luogo ad ulteriore
eccitazione e ionizzazione, generando elettroni liberi secondari e gravi
danneggiamenti alle molecole del mezzo in più parti della catena de
monomeri.Nella seconda fase, detta anche fisico-chimica, avviene
l’attacco chimico del bersaglio, nel quale le zone danneggiate
risulteranno più sensibili rispetto a quelle circostanti. Lungo le tracce si
ha la formazione di nuove specie che interagiscono con la soluzione
chimica in modo più marcato rispetto alle zone non danneggiate. Il
risultato finale è un ingrandimento delle tracce e una conseguente
visibilità al microscopio ottico.
4.4 Sviluppo e geometria delle tracce
Le particelle α incidenti sui CR-39 sviluppano tracce latenti di
dimensioni nanometriche, le quali vengono incrementate fino a decine di
micrometri tramite l’immersione in NaOH, prima di essere lette
47
CAPITOLO 4
MISURE RADON
attraverso un microscopio ottico. Durante l’immersione, la reazione che
si sviluppa è la seguente:
C12H18O7+4NaOH+4H2O→2Na2CO3 H2O+2C3H6O+C4H10O3
Il NaOH, idrossido di sodio, durante la dissoluzione in acqua
sviluppa calore e tende ad assorbire anche il vapore acqueo presente in
aria. Inoltre reagisce con anidride carbonica ed è quindi consigliabile
conservarlo in recipienti sigillati. L’incremento delle tracce latenti, è
proporzionale al tempo di attacco chimico, che può andare dalle 6-8 ore,
alla temperatura e alla concentrazione del NaOH, quest’ultimo con un
alto valore di normalità. Altro importante parametro è la geometria delle
tracce, che prende in esame il bulk etch rate (Vb) e il track etch rate (Vt).
- bulk etch rate (Vb) è la velocità con cui viene rimossa la zona
non danneggiata del rivelatore durante la reazione tra la soluzione e il
materiale rivelatore. Tale velocità dipenderà dalla purezza della
sostanza, dalla struttura molecolare, dalle condizioni di polimerizzazione
e dalla condizioni ambientali durante l’irradiazione e lo sviluppo.
- track etch rate (Vt) rappresenta la velocità di attacco lungo la
traiettoria della particella. L’ingrandimento della traccia è dovuto
proprio al fatto che Vt e Vb (fig. 4.4.1) sono diverse tra loro e in
particolare l’attacco nella zona di penetrazione procede con velocità
maggiore della restante parte di superficie.
Posto V= Vt / Vb, che come proposto da Durrani può essere
espresso come:
=
in cui:
D diametro della traccia
t tempo di sviluppo
La suddetta equazione è utilizzabile solo per V t costante e si può
ottenere anche prendendo in considerazione parametri delle tracce quali
asse maggiore e minore, ottenuti per diverse energie e angoli
d’incidenza.
48
CAPITOLO 4
MISURE RADON
La formazione della traccia non è possibile se V è minore o
molto prossimo a uno. La relazione V> 1 rappresenta quindi condizione
necessaria alla formazione della traccia visibile.
Fig. 4.4.1. Geometria dello sviluppo di una traccia con angolo d’incidenza
ortogonale alla superficie del rivelatore.
49
CAPITOLO 5
5.
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
5.1. Preparazione dei dosimetri
I CR-39 vengono forniti dalla ditta produttrice in sacchetti di
plastica e sono appartenenti ad uno specificato lotto di produzione. Per
preservare le caratteristiche di sensibilità, vengono conservati ad una
temperatura di -18°C e prelevati 30 minuti prima dell’esposizione. Ogni
dosimetro è identificato con un codice numerico ed uno meccanografico
utilizzabile durante la fase di lettura dello strumento. Utilizzando guanti
in lattice, i dosimetri vengono immersi in un contenitore con acqua
distillata, risciacquati in altro contenitore e posti ad asciugare su di un
panno in microfibra. In seguito vengono sottoposti ad un trattamento
antistatico per mezzo di uno spray e asciugati con un secondo panno in
microfibra. Gli Holder che conterranno i dosimetri vengono etichettati
ponendo il codice identificativo corrispondente al dosimetro (fig. 5.1.1).
Quindi, verranno chiusi utilizzando una pressa, assicurandosi di non aver
provocato la rottura del dosimetro durante tale fase.
a
b
Fig. 5.1.1. (a) CR-39, (b) holder
Terminata la pressatura, i dosimetri verranno sigillati, mediante
una saldatrice, all’interno di buste trasparenti impermeabili al Radon. Le
buste verranno conservate in freezer e riaperte solo al momento
dell’esposizione. Il periodo di esposizione non deve superare i 6 mesi
per evitare la saturazione che comprometterebbe i risultati.
51
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
5.2. Sviluppo chimico
Dopo il periodo di esposizione, una volta rientrati i dosimetri in
laboratorio, si userà un piccolo cacciavite per aprire gli holder ed i CR39 prelevati verranno subito analizzati o in caso contrario, gli holder
imbustati, verranno riposti in freezer in attesa delle successive analisi.
Per essere trattati chimicamente, i campioni vengono posti su delle slitte
ciascuna delle quali ne può contenere un massimo di 75. Le slitte per un
massimo di quattro, quindi corrispondenti a 300 rivelatori vengono
sistemate nel sistema rack, in cui i rivelatori devono essere posti con il
proprio codice verso l’alto. Come illustrato nel capitolo 4, per
incrementare le dimensioni delle tracce fino a qualche decina di
micrometri, il rack contenenti i rivelatori viene posto in un bagno
chimico di una soluzione acquosa di idrossido di sodio (NaOH). Durante
il bagno chimico si sviluppa la seguente reazione:
C12H18O7 + 4NaOH + 4H2O → 2Na2CO3 H2O + 2C3H6O +
C4H10O3
L’idrossido di sodio si presenta come un solido di colore bianco
che in soluzione con acqua produce una reazione esotermica con
sviluppo di calore. Inoltre assorbe acqua e reagisce con CO 2 secondo la
seguente reazione:
2NaOH + CO2 → Na2CO3 + H2O
quindi deve essere conservato in recipienti sigillati.
L’incremento della dimensione delle tracce sui rivelatori è
direttamente proporzionale a:
- tempo di sviluppo che deve essere 1ora
- temperatura che deve essere costante a 98°C
- concentrazione di NaOH (25% peso/volume) cioè 6.25 M della
soluzione acquosa di NaOH.
La preparazione del bagno chimico dovrà seguire i seguenti
passaggi:
- si versano dentro il termostato 20 litri di acqua distillate
- si accende il riscaldamento fissandolo a 98°C (fig. 5.2.1)
52
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
Fig. 5.2.1. termostato
- si versano 5 kg di NaOH poco alla volta
- si attende il raggiungimento della temperatura fissata,
controllando con un termometro a mercurio
- si spegne, per poco tempo, l’alimentazione e si sposta il
coperchio del termostato e si procede alla misura del peso
specifico della soluzione basica per mezzo di un dosimetro
pulito. La densità della soluzione deve essere di 1.181, se è
maggiore (galleggia troppo) va aggiunta acqua fino al
raggiungimento della tacca 81, se è minore, (il densimetro
affonda) va aggiunto ancora NaOH fino al raggiungimento della
tacca 81
- si riaccende il bagno
- dopo aver disposto i rivelatori CR-39 (esposti) in apposite slitte
metalliche, con il lato esposto orientato verso l’alto, ciascuna
slitta viene inserita in un rack metallico (fig. 5.2.2)
53
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
Fig. 5.2.2. (disposizione dei rivelatori)
- il rack contenente le slitte coi rivelatori esposti viene immerso
nel bagno di sviluppo termostatato con l’ausilio di appositi ganci
(fig. 5.2.3) e si riposiziona il coperchio del termostato
Fig. 5.2.3. (bagno chimico)
- fare trascorrere 1 ora
- estrarre il rack e spegnere il bagno
- immergere il rack in acqua distillata per 1 minuto agitando bene
per raffreddare ed eliminare l’eccesso di soda
- immergere il rack in una soluzione acquosa di acidi acetico
(CH3COOH) al 2% per 30 minuti. Tale soluzione (bagno di
arresto per neutralizzazione della soda:
CH3COOH + NaOH → CH3COONA + H2O) viene preparata
miscelando 60 ml di acido acetico glaciale in 3 litri di acqua
54
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
distillata e mescolando. Possono essere adoperati dei comuni
recipienti in polipropilene
- si effettua un risciacquo finale immergendo il rack in acqua
distillata per 1 ora e agitando
- si estrae il rack, si sfilano le slitte e si lascia asciugare per poi
utilizzare un panno in microfibra. A questo punto il rivelatore è
pronto per il conteggio delle tracce al microscopio.
5.3. Sistema politrack e lettura dei rivelatori
Il sistema politrack è un sistema a microscopia ottica che
permette di effettuare il riconoscimento di tracce nucleari su SSNTD, del
tipo CR-39 e LR-115.
Il sistema è costituito da un piano cartesiano XY ancorato su un
supporto a nido d’ape rivestito in acciaio, appoggiato sulla base
attraverso un braccio di granito (fig. 5.3.1).
Fig. 5.3.1. (Sistema Politrack)
L’obiettivo ha un ingrandimento 4x ed il tubo ottico si accoppia
direttamente con una telecamera CCD monocromatica con risoluzione
1028x768 con ADC a 8 bit. La telecamera è interfacciata con un PC
attraverso una connessione firewire (fig. 5.3.2). La dimensione del frame
è di 0,6745 mm2.
55
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
Fig. 5.3.2. (Interfaccia PC)
La sorgente luminosa è costituita da un diodo LED colore ambra
(lunghezza d’onda 590 mm2). Tale lunghezza d’onda permette di
accordarsi con l’assorbanza spettrale dei CR-39.
Il sistema viene controllato da un PC che gestisce gli assi XY,
l’impostazione e acquisizione della telecamera. Inoltre il software
effettua il riconoscimento delle tracce nucleari.
La lastra di vetro, su cui vengono posizionati i rivelatori, è
244x244 mm2 e riesce ad alloggiare 64 rivelatori di dimensioni standard
25x25 mm.
Ogni rivelatore viene suddiviso dal programma in più sotto-aree
dette frame, le quali risultano circa 168.
La forma e la dimensione delle tracce varia considerevolmente da
traccia a traccia: particelle α che incidono perpendicolarmente sulla
superficie del rivelatore provocano tracce circolari, mentre la gran parte
delle tracce presenti in un rivelatore è ellittica (da incidenze oblique).
Inoltre, poiché la particella α può essere prodotta isotropicamente attorno
al rivelatore e poiché il range della particella in aria varia fino a circa 4
cm (dipende dall’energia posseduta), le tracce che si formano dopo lo
sviluppo possono avere qualunque diametro che vari tra 0.3 micrometri a
qualche decina, il che dipende fortemente dalle condizioni di sviluppo.
Di norma tuttavia si sceglie un limite inferiore del diametro al di sotto
del quale la traccia non è considerata accettabile. Inoltre risulta
indispensabile distinguere tra tracce genuine e difetti di fondo o artefatti,
56
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
sempre presenti. Il programma seleziona le tracce reali eliminando i falsi
positivi, fornendo in output i valori dell’esposizione in KBqh/m3.
Di seguito vengono elencati i passi da seguire nella procedura per
la lettura di CR-39:
i rivelatori vanno appoggiati sul piano di vetro in modo che
l’operatore possa leggerne il numero in alto. Le impostazioni di default
permettono di iniziare la scansione immediatamente dopo l’avvio del
programma.
Avviare il programma
portare la piastra XY in posizione Home premendo il pulsante
Home in pagina 2
sistemare sulla piastra XY il supporto di vetro per CR-39 in
modo che l’incrocio dei bordi rialzati sia in corrispondenza del
punto in cui sia trova il microscopio
posizionare i rivelatori a partire dall’angolo in alto a sinistra e
procedere verso destra fino a posizionare 8 rivelatori. Possono
essere alloggiati fino a 64 rivelatori
selezionare dal menù analisi la voce CR-39
attendere alcuni istanti affinchè la telecamera auto-regoli la scala
dei grigi
scrivere il numero di rivelatori posizionati nel controllo “ numero
di scansioni” in pagina 1
selezionare, qualora fosse necessario, l’opzione “leggi
meccanografico” in pagina 1, altrimenti impostare una base della
numerazione
selezionare, qualora necessario, l’opzione “ripetibilità”
avviare la scansione multipla
al termine della scansione multipla il programma propone la
scelta di un modello di microsoft excel su cui salvare i dati
il programma apre un nuovo file excel sul modello scelto e
scarica i dati sul foglio 1 della cartella. Il è personalizzabile
dall’utente, fatto salvo il foglio 1 che è quello utilizzato pr lo
scarico dei dati
salvare il foglio excel nella directory desiderata e chiudere excel
prima di procedere ad una nuova scansione.
57
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
Il metodo adoperato per la lettura dei dosimetri CR-39 deve
essere tarato a fronte di tre o più esposizioni in atmosfera controllata di
radon. La relazione che lega l’esposizione alla densità di tracce è la
seguente:
Esp = Ft Tr (nette) / (1- K Ac)
dove:
Ft è il fattore di taratura
Tr (nette) è la densità di tracce al netto del fondo
Ac è l’area totale coperta dalle tracce in cm 2
K è un fattore moltiplicativo dell’area coperta da determinare
sperimentalmente.
In fase di taratura l’esposizione, le tracce nette e l’area coperta
sono dei valori che si ricavano dalla lettura dei rivelatori, quindi è
possibile operare un fit dei dati sperimentale per determinare Ft e K.
Per operare una taratura è necessario avere a disposizione
dosimetri esposti in atmosfera controllata ad almeno tre diversi livelli di
esposizione a Radon. Sono necessari 10 dosimetri e 2 transiti per ciascun
livello, più 4 dosimetri per il fondo.
I gruppi di dosimetri vanno imbustati insieme a seconda del
livello di esposizione cui devono essere sottoposti.
I transiti consistono in dosimetri che viaggiano insieme con
quelli che vanno spediti per essere esposti in camera radon. I dosimetri
per il fondo vanno sottoposti soltanto a sviluppo e devono appartenere
allo stesso lotto di quelli di cui si sta operando la taratura.
Per la taratura l’operatore deve effettuare una scansione multipla
di tutti i rivelatori. Alla fine della scansione i dati verranno visualizzati
in formato excel, scegliere modello CR per taratura con 3 punti.
I dati vanno prima ordinati secondo l’ordine crescente della
densità di tracce in modo da visualizzare prima i dati relativi al fondo,
poi quelli relativi ai transiti e successivamente quelli relativi ai tre livelli
di esposizione del Radon. Poiché il sistema prevede 10 transiti e 10
esposizioni per ciascun livello.
58
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
Quindi passare a pag 2 del file excel e controllare che i dati
occupino le celle corrette. In corrispondenza delle celle dei reference di
excel (da analisi dati), quando questo ha finito di operare, bisogna
controllare i valori riportati in corrispondenza dello scarto esp. media per
ciascun livello di esposizione. Se tali scarti sono inferiori al 10%, allora
vuol dire che la vecchia taratura è confermata. Se tali scarti sono
inferiori al 10%, bisogna segnarsi i valori calcolati dal risolutore
relativamente al:
Ft fattore di taratura
K moltiplicatore di area coperta
Inserirli nel file di setting relativo ai CR-39, da menù- settingCR-39 radon in corrispondenza delle caselle che compaiono sul display
in basso a destra e cliccare su OK.
5.4. Risultati analitici
Sono state prese in esame 17 grotte distribuite su tutta l’area
vulcanica etnea, alcune di queste grotte vengono utilizzate regolarmente
per funzioni religiose e per visite guidate ai turisti. Una volta trascorso
l’intervallo di tempo stabilito pari a due mesi, i rivelatori sono stati
analizzati ed i risultati ottenuti sono visibili in tabella 5.4.1. Nella tabella
sono stati riportati i nomi e le coordinate geografiche di ogni grotta, vista
la difficoltà in taluni casi nel reperire la stessa. Ad ogni grotta
corrisponde il relativo codice del rivelatore utilizzato e le effettive ore di
misurazione. I risultati della concentrazione per ogni rivelatore sono
espressi nell’unità di misura maggiormente utilizzata nel campo
scientifico (becquerel/m3).
59
CAPITOLO 5
METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI
ESPOSIZIONE
Nome della Grotta
codice CR39
longitudine
latitudine
posizionamento
ritiro
N° Ore
[KBq*h/m^3]
Incertezza
CONCENTRAZIONE
ESP.
[Bq/m^3]
[KBq*h/m^3]
Incertezza
CONC,
[Bq/m^3]
Grotta Pitagora
3115
15° 00' 53"
37° 42' 20"
30/04/2012
01/07/2012
1512
327
43.6
217
29
Grotta del santo
3084
14° 52' 35"
37° 42' 31"
20/04/2012
01/07/2012
1752
982
109
560
62
Grotta delle fate
3133
15° 07' 26"
37° 33' 48"
23/04/2012
02/07/2012
1680
348
45.6
207
27
Grotta acqua vitale
3091
15° 03' 26"
37° 41' 57"
30/04/2012
01/07/2012
1512
147
25.5
97
17
Grotta passo Zingaro
3082
14° 50' 07"
37° 43' 16"
20/04/2012
01/07/2012
1752
295
40.4
168
23
Grotta delle colombe
3076
15° 00' 27"
37° 34' 48"
28/04/2012
02/07/2012
1584
34
14.3
22
9
Grotta cassone
3097
15° 02' 57"
37° 41' 55"
15/04/2012
01/07/2012
1872
55
16.4
29
9
Grotta trelivelli
3110
15° 01' 59"
37° 41' 56"
15/04/2012
01/07/2012
1872
255
36.4
136
19
Grotta fenice
3112
15° 05' 33"
37° 41'30"
15/04/2012
01/07/2012
1872
84
19.3
45
10
Grotta coniglio
3102
15° 03' 14"
37° 41' 56"
15/04/2012
01/07/2012
1872
925
103.3
494
55
Grotta madonna della roccia
3116
14° 59' 30"
37° 35' 44"
28/04/2012
02/07/2012
1584
10
12
7
8
Grotta Sgangheri
3105
15° 01' 16"
37° 34' 05"
20/04/2012
02/07/2012
1776
376
48.4
212
27
Grotta S.Barbara
3078
14° 58' 30"
37° 41' 52"
30/04/2012
01/07/2012
1512
42
15.1
28
10
Grotta dei Ladroni
3090
15° 04' 18"
37° 46' 16"
22/04/2012
01/07/2012
1704
661
76.9
388
45
Grotta sciara curia
3088
15° 03' 18"
37° 30' 42"
17/04/2012
02/07/2012
1848
64
17.3
35
9
Grotta del vescovo
3098
15° 01' 33"
37° 41' 47"
15/04/2012
01/07/2012
1872
326
43.5
174
23
Grotta dei tedeschi
3100
15° 06' 48''
37° 33' 38"
16/04/2012
02/07/2012
1872
30
13.9
16
7
Tab. 5.I. Risultati analitici
60
CONCLUSIONI
CONCLUSIONI
Dall’ analisi dei risultati ottenuti sulle concentrazioni del Radon
nelle diverse grotte etnee prese in esame, risultano, in generale, valori
che non destano preoccupazione dal punto di vista radio protezionistico
per l’uomo. In particolare, i tenori più elevati sono stati misurati nella
grotta del Santo, sfruttata poche volte l’anno per funzioni religiose o da
qualcuno come luogo di preghiera; mentre, il valore più basso è relativo
alla grotta Madonna della roccia, anch’essa utilizzata per scopi religiosi.
La differenza evidente tra le due suddette grotte riguarda la loro
profondità e lunghezza: la prima, infatti, raggiunge quasi gli 800 m in
estensione, mentre, la seconda non supera qualche decina di metri. Alti
tenori di Radon sono stati misurati anche nelle grotte del Coniglio e dei
Ladroni, a conferma del fatto che le grotte più estese e più profonde sono
siti di maggiore presenza del gas. In quelle maggiormente visitate da
turisti quali, grotta Cassone, Tre livelli e Pitagora, tutte site nel territorio
di Zafferana Etnea, non sono stati riscontrati tenori elevati. In
particolare, nella grotta Cassone si ha un valore molto basso in
proporzione alla sua estensione di quasi 300 m, probabilmente dovuto
all’intensa fatturazione della volta relativamente al processo di
raffreddamento della lava e quindi alla formazione di un sistema di
aerazione interna coincidente con le suddette fratture. Altro valore
abbastanza basso risulta quello relativo alla grotta Sciara Curia, sita nei
pressi del Viale Mario Rapisardi a Catania e presa in considerazione,
durante questo lavoro, per fare un confronto tra le grotte situate
all’interno del tessuto urbano catanese e quelle a quote più elevate e in
aree non particolarmente antropizzate. Quindi, considerando la bassa
concentrazione del gas riscontrata in quasi tutte le grotte e che comunque
i valori più elevati sono relativi a grotte in cui la permanenza dell’uomo
corrisponde a piccoli intervalli temporali e non molto frequenti,
possiamo concludere, dal lavoro svolto, che non risultano particolari
problemi per cittadini, guide turistiche e turisti che vogliano visitare tali
strutture geologiche sparse sul territorio vulcanico etneo.
61
BIBLIOGRAFIA
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