Alla Vergine SS - Dipartimento di Fisica e Astronomia and
Transcript
Alla Vergine SS - Dipartimento di Fisica e Astronomia and
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA REGIONE SICILIANA Assessorato Regionale dell'Istruzione e della Formazione Professionale Dipartimento Regionale dell'Istruzione e della Formazione Professionale Unione Europea Fondo Sociale Europeo Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali SICILIA FONDO SOCIALE EUROPEO PROGRAMMA OPERATIVO 2007-2013 "Investiamo per il vostro futuro" UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI DIPARTIMENTO DI FISICA ED ASTRONOMIA Master Universitario di II livello in MONITORAGGIO DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI E RISCHIO AMBIENTALE PROGETTO CIP n. 2007.IT.051.PO.003/IV/12/F/9.2.14/1368 - CUP n. E65C10000850009 Direttore: Prof. Antonio Triglia MISURE DELLE CONCENTRAZIONI DI RADON NELLE GROTTE DELL'ETNA CONDOTTE IN COLLABORAZIONE CON ARPA SICILIA PARIDE STELLA Tutor: Dott. S. Casabianca A.R.P.A. Catania Prof.ssa G. Immè Università degli Studi di Catania A.A. 2010-2011 Catania - luglio 2012 "Quanto manca alla vetta?”;”Tu sali e non pensarci!” F.W. Nietzsche A mia figlia Norah INDICE INDICE ELENCO DELLE FIGURE ELENCO DELLE TABELLE SOMMARIO RINGRAZIAMENTI ix xi xii xiii 1. INTRODUZIONE 2. 1 5 2.1. Decadimento radioattivo ........................................................ …5 2.2. Caratteristiche fisico-chimiche .................................................... 6 2.3. Trasporto e diffusione.................................................................. 8 2.3.1. Radon e geologia .................................................................... 11 2.3.2. Effetti del radon ...................................................................... 13 2.3.3. Il radon e le grotte: stato degli studi ....................................... 16 IL RADON 3. GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA 19 3.1. L’area vulcanica etnea ............................................................... 19 3.2. Cenni storici sulle grotte dell’Etna ............................................ 21 3.3. Origine e classificazione............................................................ 23 3.3.1. Evoluzione delle grotte ........................................................... 26 3.3.2. Descrizione delle grotte in esame ........................................... 26 4. MISURE RADON 45 4.1.1. Introduzione ............................................................................ 45 4.2.2. Rivelatori a tracce nucleari ..................................................... 45 4.2.3. Processo di formazione delle tracce ....................................... 47 4.2.3. Sviluppo e geometria delle tracce ..………………………....47 5. METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI 51 5.1. Preparazione dei dosimetri ........................................................ 51 5.2. Sviluppo chimico ....................................................................... 52 5.3. Sistema politrack e lettura dei rivelatori .................................... 55 5.4. Risultati analitici ........................................................................ 60 vii INDICE 6. CONCLUSIONI 62 BIBLIOGRAFIA 63 viii INDICE ELENCO DELLE FIGURE FIGURA 1.1. Organigramma struttura ARPA ........................................ 3 FIGURA 2.2.1. Decadimento α del 226 Ra .................................................. 6 FIGURA 2.3.1. Emanazione del materiale attraverso i granuli del materiale roccioso ............................................................. 8 FIGURA 2.5.1. Effetti del Radon sui polmoni ........................................ 14 FIGURA 3.1.1. Distribuzione delle grotte investigate sulla carta morfotettonica dell’Etna ................................................. 20 FIGURA 3.3.1. Fasi di formazione di una galleria di scorrimento lavico ............................................................................................... 24 FIGURA 3.5.1. Grotta La Fenice .................................................................. 27 FIGURA 3.5.2. Grotta del Coniglio ......................................................... 28 FIGURA 3.5.3. Grotta tre livelli………………………………………....29 FIGURA 3.5.4. Grotta Casa del Vescovo……………………………….30 FIGURA 3.5.5. Grotta Cassone…………………………………………31 FIGURA 3.5.6. Grotta Acqua Vitale ........................................................ 32 FIGURA 3.5.7. Grotta Pitagora ................................................................ 33 FIGURA 3.5.8. Grotta dei Tedeschi ......................................................... 34 FIGURA 3.5.9. Grotta Sciara Curia ......................................................... 35 FIGURA 3.5.10. Grotta del Santo……………………………………….36 FIGURA 3.5.11. Grotta Passo Zingaro………………………………….37 FIGURA 3.5.12. Grotta Sgangheri………………………………………38 FIGURA 3.5.13. Grotta dei Ladroni…………………………………….39 FIGURA 3.5.14. Grotta delle Fate……………………………………....40 FIGURA 3.5.15. Grotta delle Colombe…………………………………41 FIGURA 3.5.16. Grotta Madonna della Roccia………………………...42 FIGURA 3.5.17. Grotta S. Barbara……………………………………..43 ix INDICE FIGURA 4.1.1. Geometria dello sviluppo di una traccia con angolo d’incidenza ortogonale alla superficie del rivelatore…………………..49 FIGURA 5.1.1. (a) CR-39, (b) holder…………………………………...51 FIGURA 5.2.1.Termostato………………………………………………53 FIGURA 5.2.2.Disposizione dei rivelatori ……………………………..54 FIGURA 5.2.3. Bagno chimico………………………………………….54 FIGURA 5.3.1. Sistema Politrack……………………………………….55 FIGURA 5.3.2. Interfaccia PC…………………………………………..56 x INDICE ELENCO DELLE TABELLE TABELLA 2.I. Contenuto di 238U in diversi tipi di rocce ..................... 6 TABELLA 5.I. Risultati analitici ........................................................ 60 xi SOMMARIO SOMMARIO Il Radon, gas naturale radioattivo, e’ stato considerato dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, come cancerogeno di gruppo 1. La sua distribuzione dipende dalle caratteristiche geologiche del territorio: ogni tipo di roccia è caratterizzata da una specifica concentrazione di questo gas. In generale, nelle rocce di origine vulcanica si hanno concentrazioni maggiori; tuttavia, si riscontrano elevati tenori di radionuclidi anche nelle rocce sedimentarie, marmi, marne, flysh etc. Inoltre, come gas disciolto, viene veicolato a grandi distanze dal luogo di formazione e può essere presente nelle falde acquifere. Nell’ambito di questa tesi si e’ scelto di verificare la concentrazione di Radon nelle grotte vulcaniche dell’Etna. Sono state selezionate 17 grotte, a quote diverse, site in zone a differente antropizzazione. Alcune di queste vengono spesse visitate o come meta turistica o come luogo di preghiera. Sono stati utilizzati dosimetri CR-39 esposti all’interno delle grotte per un periodo di due mesi e successivamente analizzati presso l’ARPA di Catania, mediante un sistema a microscopia ottica che permette di effettuare il riconoscimento di tracce nucleari su SSNTD, del tipo CR-39 e LR-115, chiamato politrack. I dati ottenuti hanno evidenziato una bassa concentrazione del gas in quasi tutte le grotte. Per tale motivo, non risultano particolari problemi per cittadini, guide turistiche e turisti che vogliano visitare tali strutture geologiche sparse sul territorio vulcanico etneo. xii RINGRAZIAMENTI Ringraziamenti Ringrazio mia figlia per il sorriso che mi dona al suo risveglio ogni mattino e mia moglie che ha permesso tutto ciò. xiii CAPITOLO 1 INTRODUZIONE INTRODUZIONE Possiamo definire la radioattività quell’insieme di processi fisici attraverso cui, nuclei di atomi instabili si trasformano, in un certo tempo, detto di decadimento, in nuclei ad energia inferiore, emettendo radiazioni ionizzanti fino a quando si raggiunge una condizione di stabilità. La radioattività può essere naturale o artificiale, nel primo caso generata da radionuclidi contenuti nei minerali della crosta terrestre, presenti sulla terra fin dall’origine. Nel secondo, data dall’irradiazione medica per fini diagnostici e terapeutici. Parlando dell’esposizione dell’uomo a questo fenomeno e dei rischi per la salute che ne derivano, evidenze scientifiche e vari studi legati al fenomeno della radioattività, indicano il radon (gas nobile naturale) come una delle maggiori cause naturali da prendere in considerazione per l’insorgenza di tumori ai polmoni. Proprio per questa problematica, in questo ultimo decennio è aumentato l’interesse scientifico sul Radon e sui rischi che comporta l’inalazione di elevate concentrazioni. Quindi anche dal punto di vista normativo, si è ritenuto importante il monitoraggio del territorio per avere un chiaro quadro sui siti a maggiore concentrazione, in particolare siti nei quali l’uomo vive e opera, quindi abitazioni, luoghi di lavoro ma anche strutture naturali ove l’uomo si reca per fini turistici quali, parchi e cavità naturali. Diversi studi, sono stati condotti sui meccanismi di diffusione di tale gas a partire dal sottosuolo, che risulta dipendere da diversi parametri relativi ai materiali attraverso i quali il gas riesce a diffondersi sino alla sua esalazione in atmosfera. Alcuni parametri, tra i più importanti, sono risultati: la porosità, permeabilità, contenuto di radionuclidi progenitori, coefficiente di diffusione, pori e fratture del materiale considerato. Nel passato e già stato preso in considerazione il legame tra la geologia del territorio vulcanico etneo e la diffusione del Radon, un esempio è il lavoro di M. Neri [1] che considera la concentrazione del Radon in aria e a breve periodo, in strutture geologiche particolari nell’area etnea. Partendo da queste considerazioni, questo lavoro si occupa per la prima volta della concentrazione del Radon, misurata in lungo periodo tramite i rivelatori a tracce CR-39 in 17 grotte site sul territorio etneo le quali spesso vengono utilizzate per scopi turistici, nel caso di visite guidate e per scopi religiosi, nel caso di cerimonie. Il metodo di misura adottato prende in considerazione 1 CAPITOLO 1 INTRODUZIONE l’utilizzo di rivelatori a tracce che sono oggi lo strumento più usato per le misure della concentrazione del Radon e sono costituiti da materiale polimerico, il quale, attraversato da particelle α, varia il proprio stato di aggregazione. Questa rottura dei legami chimici nel materiale, lascia delle microtracce più sensibili ad attacchi chimici rispetto alle altre porzioni circostanti. La lettura della densità delle microtracce si traduce nella misura di concentrazione del Radon. Questo lavoro fornisce i dati preliminari per un eventuale progetto scientifico di lungo periodo che approfondisca la tematica aumentando i tempi di rilevazione e il numero di cavità investigate e quindi avere un quadro esauriente su tutto l’apparato vulcanico etneo. Tale lavoro è il risultato del periodo di stage effettuato presso l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA), tale agenzia è stata istituita con la legge del 3 maggio 2001 n.6. E’ un ente strumentale della Regione siciliana dotata di personalità giuridica pubblica e di autonomia tecnica, gestionale ed amministrativa. Attraverso i laboratori e gli uffici presenti in ciascuna provincia siciliana offre servizi di controllo, informazione, ricerca e consulenza sia agli enti pubblici che alle imprese private. Si occupa del controllo della qualità dell’ambiente, della tutela e del recupero dello stesso, nell’ottica della sostenibilità dello sviluppo attraverso servizi, controlli e monitoraggi ambientali in grado di acquisire, elaborare e quindi restituire all’esterno informazioni sull’ambiente. Vengono rilevati fattori fisici, geologici, chimici e biologici ed eseguite analisi di laboratorio di rilievo ambientale e di prevenzione sanitaria per la collettività. L’ARPA, inoltre, si occupa di vigilare sul rispetto della normativa vigente e delle prescrizioni contenute nei provvedimenti rilasciati dalle autorità competenti in campo ambientale. Organizza campagne informative al fine di diffondere nel territorio la cultura dell’ambiente. Nella figura che segue è riportato un organigramma che schematizza la struttura dell’ARPA. 2 CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Figura 1.1. Organigramma struttura ARPA. 3 I CAPITOLO 2 IL RADON 1. IL RADON 1.1. Decadimento radioattivo In natura si trovano circa un migliaio di elementi energeticamente instabili che tendono a stabilizzarsi emettendo radiazioni. Tale trasformazione, con l`emissione di energia sottoforma di radiazioni ionizzanti, prende il nome di decadimento radioattivo. In sostanza, partendo da un radionuclide genitore/padre si ha la trasformazione in un nuclide figlio, il quale può anch`esso essere instabile e trasformarsi nuovamente fino a raggiungere la stabilità energetica. Il processo di decadimento avviene secondo la seguente legge: (2.1) N0 rappresenta il numero di nuclidi al tempo iniziale t0; Nt quelli presenti al tempo t; λ costante di decadimento Ogni radionuclide possiede una λ legata al tempo di dimezzamento, cioè il tempo necessario affinchè la metà dei radionuclidi decada. In corrispondenza si ha l`attività del radionuclide, cioè il numero di disintegrazioni che si hanno nell`unità di tempo: (2.2) A0 rappresenta l`attività iniziale At rappresenta l`attività al tempo t λ costante di decadimento L`attività si misura in Becquerel (1 Bq= 1 decadimento/s). Si possono avere differenti tipi di decadimento a seconda del tipo di particella o radiazione emessa: α, β, γ. 5 CAPITOLO 2 1.2. IL RADON Caratteristiche chimico-fisiche Il Radon è un gas nobile, radioattivo e radiogenico, presente nell’ambiente naturale (rocce, sedimenti, suoli, acqua, atmosfera); proviene dal decadimento del radioisotopo 226Ra (fig. 2.2.1), originato per decadimenti successivi dall` elemento capostipite 238U , che risulta a concentrazione variabile sulla terra in funzione delle caratteristiche geologiche (tab. 2.I). Fig. 2.2.1. Decadimento α del 226Ra Tabella 2.I. contenuto di 238U in diversi tipi di rocce. 238 Tipo di roccia U (Bq/Kg) Calcari 27 Rocce carbonatiche 26 Arenarie 18 Granito 59 Basalto 11 Sieniti 100 Il tempo di dimezzamento del Radon è di 3,82 giorni. Decade con emissione di particelle α, producendo discendenti che decadono emettendo radiazioni α, β e γ. 6 CAPITOLO 2 IL RADON Di seguito sono riportate le sue caratteristiche fisico-chimiche: - numero atomico 86 - punto di fusione 71 ºC - punto di ebollizione 61,8 ºC - densità in condizioni normali 9,96 Kg/m3 - coefficiente di solubilità in acqua a pressione atmosferica alla temperatura di: 0 ºC 0,570 100 ºC 0,106 Non tutto il Radon prodotto in un suolo o in una roccia per decadimento del 226Ra è disponibile per il passaggio nell’aria, ma soltanto la porzione sita alla periferia dei singoli elementi solidi (granuli) riesce ad emergere dal suolo disciogliendosi in acqua e diffondendosi nell`aria. Si calcola che da un suolo continentale si ha 1 Bq per minuto su una superficie di 1 m2; di questo valore il 20 % viene emanato dall`acqua contenuta nel suolo. La solubilità del gas in acqua dipende dalla temperatura, in particolare si ha maggiore solubilità al diminuire della temperatura in acqua. Il Radon in natura, si può trovare sottoforma di 26 isotopi differenti che vanno dal 199Rn al 226Rn tra i quali, tre sono naturali: il 222 Rn (detto semplicemente Radon), il 220Rn (conosciuto anche come Toron) e il 219Rn (detto Actinon), appartenenti, rispettivamente, alle famiglie radioattive aventi come capostipiti 238U, 232Th e 235U. Tra questi il 222Rn, che appartiene alla serie di decadimento dell` 238U, è quello più interessante per gli effetti negativi che può dare sull`uomo. Infatti il suo lungo tempo di dimezzamento, fa sì che esso rappresenti quello più abbondante nell’ambiente e con maggiore tempo di permanenza. 7 CAPITOLO 2 1.3. IL RADON Trasporto e diffusione Una volta prodotto, tramite il decadimento α del Radio presente nel suolo e nelle rocce della crosta terrestre, il Radon viene trasportato per diffusione molecolare e per convezione, fino all`atmosfera, dove la concentrazione dipende dalle condizioni meteorologiche. Nel suolo, la concentrazione risulta molto maggiore rispetto all`atmosfera generando un elevato gradiente che si mantiene costante grazie al continuo processo di decadimento a partire dagli elementi capostipiti. Quando il 226Ra decade all’interno di un materiale roccioso, il Radon prodotto viene emanato verso i pori contenenti aria all`interno del materiale. La concentrazione di Radon presente all`interno dei pori viene chiamata potere di emanazione e dipende sostanzialmente dal processo di rinculo (fig. 2.3.1), dovuto al movimento subito dagli atomi del Radon quando viene emessa la particella α durante il decadimento radioattivo che dota gli atomi del gas di un’ energia cinetica pari a 86 keV, ed in minor misura dalla diffusione dei gas nei solidi. Fig. 2.3.1. Emanazione del materiale attraverso i granuli del materiale roccioso. Se l`atomo di gas si trova nella parte superficiale del granulo, l’energia cinetica acquisita risulta sufficiente a far sfuggire l`atomo verso i pori. L’emanazione dipenderà dalla natura del materiale; più risulta danneggiato (fessure, fratture e microfratture) maggiore sarà la 8 CAPITOLO 2 IL RADON possibilità di emanazione. Una volta emanato dal granulo, il trasporto del Radon può avvenire per diffusione e/o per convezione. Il trasporto del Radon per diffusione è controllato da: - porosità del mezzo ed, in particolare, dalla porosità effettiva. Quest’ultima, infatti, riferita solo ad i pori intercomunicanti, influenza il grado di esalazione del gas poiché determina la frazione di volume dei pori aperti e liberi disponibili per il trasporto e la diffusione del Radon. - permeabilità, cioè dalla capacità del mezzo di lasciarsi attraversare da un fluido. In particolare, la permeabilità secondaria, data da fratture e faglie che rappresentano possibili vie preferenziali per il trasporto dei gas, può causare la fuoriuscita di Radon in superficie. La probabilità che ciò accada è maggiore in presenza di faglie aperte, cioè non coperte da strati di terreno, o nel caso di ascensione di gas o fluidi idrotermali che facilitano il trasporto del Radon prima del suo decadimento. - contenuto d’acqua a causa dell’elevato potere frenante di quest’ultima. Infatti la perdita specifica di energia nell`acqua è maggiore rispetto all`aria e quindi il gas avrà una probabilità maggiore di essere bloccato nell`acqua che riempie un poro del materiale, generando una proporzionalità diretta tra l`aumento dell`umidità del materiale e la diffusione del gas. Se lo spazio interstiziale è secco e sufficientemente sottile il 222Rn penetra nel grano adiacente lasciando una traccia che prende il nome di “danneggiamento radioattivo” e che sarà detersa dall’acqua interstiziale, rilasciando così l’atomo di 222Rn [2]. Nel trasporto per diffusione, il Radon si muove in direzione opposta a quella del gradiente di concentrazione. Assumendo la terra come una massa porosa di materiale omogeneo semi infinita, il rate di flusso di Radon JD che emerge dalla superficie è espresso dalla seguente legge di Fick [3]: (2.3) 9 CAPITOLO 2 IL RADON Dove CRA è la concentrazione del 226Ra nel materiale terrestre (Bq/Kg); λRN è la costante di decadimento del 222Rn (2.1*10-6 sec-1); ε è il coefficiente di emanazione del campione; ρ è la densità del materiale (Kg*m-3); De è il coefficiente di diffusione effettivo (m 2/s) del materiale e p è la porosità. I meccanismi di convezione sono dovuti a diversi processi, quali: emissione di gas generati da regioni calde (per es. vulcani); stress, che può essere generato dalle costrizioni che precedono i terremoti o le eruzioni vulcaniche; flusso causato dalla variazione di pressione nelle vicinanze della superficie terrestre, legata alla meteorologia; convezione fluida, che produce un flusso di Radon nei materiali con permeabilità alta. La convezione è governata dalla legge di Darcy e dipende dalla permeabilità (K) e dal gradiente di pressione: (2.4) Dove η è la viscosità; [dV/(Sdt)] è il volume mosso per unità di massa nell’unità di tempo; S è la sezione del poro e dP/dz è il gradiente di pressione. Infine, il Radon passa dal suolo all’atmosfera attraverso il processo di esalazione che può realizzarsi o attraverso diffusione o mediante trasporto convettivo. Il primo meccanismo, descritto dalla legge di Fick, produce un flusso perpendicolare alla superficie terrestre proporzionale al gradiente di concentrazione ed al coefficiente di diffusione effettiva D. I moti convettivi, invece, indotti dalla variazione di pressione relativamente alle condizioni meteorologiche, presentano una certa variabilità nel tempo e non possono essere facilmente descritti in modo quantitativo. Il processo di esalazione è influenzato da diversi fattori, quali: precipitazioni abbondanti, gelo ed aumenti di pressione atmosferica con conseguente diminuzione del flusso di esalazione, aumenti di temperatura e di intensità del vento che determinano sia un aumento 10 CAPITOLO 2 IL RADON della diffusività che del flusso convettivo nei pori del suolo, generando una crescita complessiva del flusso di esalazione [4]. Ipotizzando che la diffusione prevale sulla convezione, il rate di esalazione è descritto dalla seguente espressione: *λ*R (2.5) Dove ε è il potere di emanazione, A la concentrazione di 226 Ra per unità di massa del suolo (Bq/Kg), ρ la densità del suolo, λ la costante di decadimento del 222Rn ed R la lunghezza di diffusione del Radon nel suolo. 1.4. Radon e geologia La distribuzione di Radon è fortemente influenzata dalle caratteristiche geologiche del territorio. Ogni tipo di roccia è caratterizzata da una specifica concentrazione di questo gas, tuttavia non identificativa a causa delle notevoli variazioni locali. Sebbene sia lecito immaginare che si abbiano concentrazioni maggiori nei materiali di origine vulcanica, spesso si riscontrano elevati tenori di radionuclidi anche nelle rocce sedimentarie, marmi, marne, flysh etc. Inoltre, come gas disciolto, viene veicolato a grandi distanze dal luogo di formazione e può essere presente nelle falde acquifere. Per comprendere come il Radon si distribuisca sulla Terra è necessario far riferimento alle caratteristiche dei suoi precursori, 238U e 226Ra, la cui concentrazione varia con il tipo di roccia, a seconda che sia sedimentaria, ignea o metamorfica. In particolare, l’Uranio è maggiormente presente nelle rocce intrusive acide come i graniti, ed in alcune rocce ricche in feldspati e felspatoidi come le sieniti o le fonoliti; mentre le rocce sedimentarie presentano contenuti minori di questi elementi, rispetto quelli riscontrati nelle rocce ignee e metamorfiche. Nelle rocce metamorfiche il contenuto in questi elementi varia in funzione del tipo di roccia da cui provengono, sarà maggiore quindi nelle rocce con un protolito di partenza igneo e minore in quelle con un protolito sedimentario. Le alte concentrazioni di Radon nel suolo possono essere controllate anche considerando altri fattori legati non solo alla 11 CAPITOLO 2 IL RADON distribuzione delle possibili sorgenti ma, come illustrato nel precedente paragrafo, alle modalità di migrazione del Radon, che determinano quanto Radon formatosi all’interno del reticolo cristallino del minerale riesce a raggiungere la superficie attraversando le formazioni geologiche ed i terreni di copertura. Questi ultimi, in base alla loro permeabilità, al loro spessore ed alla loro composizione, possono rallentare o impedire i processi di migrazione del Radon dal sottosuolo all’atmosfera, generando un “confinamento litostatico”. Rispetto ad altri Paesi europei, il nostro territorio ha un assetto geologico molto vario e complesso, con un numero considerevole di litologie differenti, che spesso si alternano in spazi molto ristretti, frequentemente a causa di un’attività tettonica molto intensa che ancora oggi comporta un’elevata sismicità. La presenza, infine, di ampie zone vulcaniche e altre interessate da fenomeni di termalismo complica ulteriormente il quadro geologico del territorio nazionale. Nell’ambito di uno studio volto alla definizione delle aree a rischio potenziale Radon a piccola scala, ad esempio per la redazione di un nuovo piano urbanistico comunale o intercomunale, è possibile definire le aree a rischio su base geologica, classificando ed assegnando parametri quantitativi alle “unità di roccia” identificate. L’unità di roccia è un corpo roccioso tridimensionale omogeneo, con una determinata estensione in superficie e in profondità. E’ individuata essenzialmente in base alla litologia e alla geometria (superficie e spessore); spesso è delimitata da elementi tettonici importanti (faglie), ma è definita anche da altre caratteristiche: contenuto di elementi radioattivi (in particolare di 226 Ra), fratturazione, porosità, permeabilità e caratteristiche idrogeologiche. Le unità di roccia possono essere sorgente diretta di Radon (per es. se contenenti elementi radioattivi), oppure possono essere attraversate dal gas migrante verso la superficie (se la fratturazione è elevata). E’ quindi fondamentale, al fine di determinare la potenziale presenza di Radon nel suolo, definire e rappresentare con precisione tali unità. Utilizzando Sistemi Informativi Territoriali è possibile cartografare le aree a potenziale rischio Radon, facendo riferimento al cosiddetto l’indice Radon (IR), che definisce il livello di rischio locale 12 CAPITOLO 2 IL RADON ottenuto da misure strumentali della concentrazione del Radon nel suolo e della permeabilità intrinseca del suolo; distinguendo le aree con alto potenziale di esalazione (>100KBq/m3), medio (25-100 KBq/m3) e basso (<25KBq/m3) potenziale [5]. 1.5. Effetti del Radon Il Radon rappresenta uno dei principali “inquinanti naturali” esistenti in natura. La radioattività dovuta al Radon rappresenta circa la metà di quella a cui è esposta la popolazione in un anno. La sua pericolosità è essenzialmente dovuta alle sue caratteristiche chimicofisiche. Essendo un gas nobile e chimicamente caratterizzato da una grande mobilità (al contrario di elementi come il radio o l’uranio che restano vincolati nel materiale in cui si trovano) che lo porta a diffondersi in atmosfera. I rischi sanitari prodotti dall’esposizione sono dovuti ai suoi discendenti alfa emettitori a vita breve (polonio-218, piombo-214, bismuto-214 e polonio-214) che, diversamente dal progenitore, sono chimicamente attivi, potendo aderire al particolato atmosferico. Tramite quest’ultimo, possono penetrare all’interno dei polmoni fino a giungere in contatto con le cellule dell’epitelio polmonare, nel quale intervenendo sul corredo genetico e danneggiano il DNA e l’RNA delle cellula causano un effetto mutageno che può portare alla possibile formazione di un tumore ai polmoni (fig. 2.5.1). 13 CAPITOLO 2 IL RADON Fig. 2.5.1. Effetti del Radon sui polmoni. I fumatori, inoltre, rappresentano i soggetti più a rischio in quanto è stato dimostrato un effetto sinergico tra la presenza del radon e quella del fumo di sigaretta. Nel 1988 l’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato il Radon come cancerogeno di gruppo 1, ossia come sostanza per la quale vi è evidenza di cancerogenicità anche negli esseri umani, collocandolo al secondo posto, dopo il fumo di tabacco, quale causa di tumori polmonari. Quindi, pur essendo estremamente difficile valutare l’incidenza dei casi di cancro ai polmoni dovuti al radon, si può ipotizzare che circa il 10% dei tumori di questo tipo sia dovuta al gas radioattivo. L’Agenzia per la Protezione Ambientale americana (EPA) ritiene che il Radon negli ambienti confinati (indoor) provochi fra i 15000 e i 22000 casi di cancro ai polmoni all’anno solo negli USA. In Italia, data la maggiore radioattività naturale del suolo (quasi doppia), si può ipotizzare che i soggetti colpiti siano fra i 1500 e i 4500 all’anno. Già nel 1996 l’Unione Europea, con la direttiva 96/29/Euratom stabilì criteri per la protezione dei lavoratori dall’esposizione alla radioattività naturale ed al Radon in particolare. Nel 2000 la Direttiva Euratom in materia di protezione della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti fu recepita dal Governo Italiano con il Decreto Legislativo n. 241 del 26 maggio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 agosto 2000, che richiede il controllo ed il contenimento della concentrazione del Radon nell’aria nei luoghi nei quali si svolgono attività lavorative. In particolare: 14 CAPITOLO 2 IL RADON - art.10 bis, comma 1, lettera a) - attività lavorative in tunnel, sottovie, catacombe, grotte e, comunque, in tutti i luoghi di lavoro sotterranei o interrati. La concentrazione di Radon misurata come media annuale non deve superare il livello d’azione fissato in: 500 Bq/m³. Se si supera questo livello si valuta un secondo livello d’azione di 3 mSv/a (si tiene conto del tempo di permanenza). Per scuole dell’obbligo, scuole materne e asili nido vale il primo livello d’azione. - art.10 bis, comma 1, lettera b) - attività lavorative in superficie in zone ben individuate; - art.10 bis, comma 1, lettera c), d) ed e): (c) attività lavorative implicanti l’uso o lo stoccaggio di materiali abitualmente non considerati radioattivi, ma contenenti radionuclidi naturali. (d) attività lavorative che comportano la produzione di residui abitualmente non considerati radioattivi, ma contenenti radionuclidi naturali. (e) attività lavorative in stabilimenti termali o attività estrattive non disciplinate dal capo IV. I datori di lavoro, che impiegano personale in ambienti di lavoro sotterranei, hanno obbligo di far valutare la dose ricevuta da tali lavoratori per inalazione di Radon. Se tutta o parte dell’attività di una ditta si svolge in ambiente sotterraneo (officina, autorimessa, magazzino, uffici a vario titolo) e vi sono uno o più dipendenti che vi prestano la loro opera per più di 10 ore al mese, il caso ricade sotto la normativa, che prescrive valori limite per la concentrazione di Radon nell’aria degli ambienti interessati. Sono soggetti a questa prescrizione anche gli asili nido, le scuole materne e le scuole dell’obbligo elementare e medio, se ubicati anche in parte in luoghi sotterranei. E’ esplicitamente esclusa la sua applicazione alle abitazioni. Le misure devono essere eseguite da un laboratorio idoneamente 15 CAPITOLO 2 IL RADON attrezzato e le valutazioni di dose alle persone devono essere fatte da un esperto qualificato della radioprotezione. 1.6. Il Radon e le grotte: stato degli studi Le grotte rappresentano una delle sorgenti naturali nelle quali è possibile trovare Radon. Tuttavia non è facile prevedere a priori, anche solo indicativamente, la distribuzione di questo gas nello spazio e nel tempo. Infatti, come abbiamo visto, la sua concentrazione nell'aria dipende da una molteplicità di fattori, talvolta difficilmente distinguibili e/o identificabili. Uno dei modelli, ipotizza che nelle grotte ipotizza con sviluppo prevalentemente orizzontale la forza dominante per il movimento delle masse d'aria (e quindi del Radon eventualmente contenuto) è determinata dalla differenza di temperatura con l'esterno, mentre per grotte più alte che larghe sarà la differenza di pressione tra punti diversi della cavità ad assumere il ruolo principale. E’ comunque molto difficile applicare delle generalizzazioni. Attualmente negli studi condotti in quest’ambito sono state prese in esame non tanto le grotte di origine vulcanica, dove per la stessa natura delle rocce si presume di trovare una quantità maggiore di questo gas, ma grotte formate da rocce carbonatiche, le quali presentano in genere un contenuto non trascurabile di Uranio. In un lavoro australiano condotto da Solomon [6] è stato misurato il livello di Radon in numerose grotte turistiche e valutati gli effetti dell’esposizione professionale. Gli studiosi hanno preso in considerazione grotte con età, estensione e caratteristiche geologiche molto varie. In particolare ad eccezione del tunnel di lava dell’Undara, nel nord Queensland datato al Paleozoico, tutte le grotte monitorate hanno origine in rocce carbonatiche. Al loro interno sono state effettuate delle misure stagionali dei livelli del gas; determinati i livelli di Radon medi annui (Maggio 1994-Giugno 1995); stimate le dosi assorbite dalle guide turistiche abituali; ed, infine, individuate le grotte che superano il tetto massimo di concentrazione tollerabile. I rilevatori, CR-39, sono stati posizionati in diverse zone del percorso. I valori di concentrazione del radon in ciascun sito di monitoraggio variano da < 20 Bq/m3, fino a 16 CAPITOLO 2 IL RADON oltre 9000 Bq/m3. E’ stata riscontrata una marcata variabilità stagionale nei diversi siti investigati, raggiungendo il valore massimo durante l’estate (1000 Bq/m3). La dose di radiazione annuale (dose annuale efficace) è stata calcolata, per 116 guide turistiche, utilizzando le raccomandazioni della Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (ICRP). La massima dose di radiazioni stimata è stata del 9 mSv per anno, che è inferiore alla metà del limite professionale per l'esposizione alle radiazioni. Relativamente a grotte italiane, esistono dati relativi a misure di Radon effettuate negli ultimi 20 anni nel Carso Triestino sia da parte di noti studiosi dell’argomento che dall’Università degli Studi di Trieste. Infine, di recente è stata riscontrata la presenza di Radon in grotte siracusane di origine carbonatica per cui è stata avviata una campagna di misurazioni del gas e di monitoraggio ambientale con lo scopo di realizzare un database storico con tutti i dati raccolti. Dallo studio effettuato fin ora è emerso che l'emissione di gas Radon nelle grotte siracusane non supera i limiti fissati dalla legge. 17 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 3. GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA 3.1. L’area vulcanica etnea L’area vulcanica etnea, termine maggiormente usato dai geologi, è un complesso mondo vulcanico che si trova al centro di due catene montuose separate dalla valle del fiume Alcantara, a nord e da quella del fiume Simeto, a sud. Tutto l’edificio vulcanico poggia su materiali di natura sedimentaria, i quali vennero ricoperti a partire da 600 mila anni fa tramite le prime eruzioni sottomarine che colmarono nei millenni tutta l’area che nel passato costituiva un grande golfo marino. L’area interessata da prodotti vulcanici, si estende per 47 Km da Nord a Sud e 38 Km da Est ad Ovest, ricoprendo una superficie di circa 1200 Km 2 e raggiungendo un perimetro di circa 135 Km. Si trova ad una latitudine di 37° e 45’ Nord ed al centro passa il meridiano 15° E di Greenwich. Nel 1981 ha raggiunto un’altitudine di 3350 m, mentre oggi si aggira intorno ai 3330 m, anche se molto variabile in funzione dell’attività vulcanica del periodo considerato. Attorno all’area centrale, maggiormente attiva, affiorano più di 250 crateri, detti “avventizi” o “effimeri”, poichè conclusa la fase attiva si sono spenti definitivamente. La maggior parte di questi vulcani parassiti si concentra lungo grandi fessure eruttive, dalle quali nei millenni è risalito il magma, trovando strutture fragili all’interno dell’apparato vulcanico. Tali fessure, chiamate, in gergo più strettamente strutturale, zone di rift, si allineano principalmente secondo la direzione Nord-est Sud-ovest. Altri importanti elementi morfologici, che riguardano l’area vulcanica etnea, sono le strutture calderiche, cioè grandi depressioni morfologiche; la più grande prende il nome di Valle del Bove, proprio perché prima di essere completamente riempita da prodotti di scorrimento lavico e piroclastici, veniva utilizzata, dalla gente locale, per portare al pascolo i bovini. La valle del Bove si estende per 7 Km da ovest ad est e per 5 Km da Nord a Sud, con fianchi laterali che raggiungono a tratti i 1000 m di dislivello. L’altra struttura calderica, detta “Ellittico”, si trova a 2900 m di quota, ha dimensioni 4x3 Km e si allunga in direzione Nord-Sud. Oggi è appiattita e completamente colma dei prodotti relativi al cratere centrale e rappresenta la base da cui si erge tutta la parte sommitale, per un’altezza compresa tra 300 e 400 m. Quest’ultima è composta da quattro grandi aperture: la più vecchia è la 19 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 “Voragine”; in seguito, nel 1911, nacque il Cratere di Nord-est, dallo sprofondamento del fianco relativo al cono centrale; 57 anni dopo, nel 1968, nella porzione ovest, si formò la “Bocca Nuova”; infine, per ultimo, nel 1971, nacque il “Cratere di Sud-Est”, tuttora in evoluzione. Solamente questi quattro crateri, di tutti quelli presenti nell’area vulcanica, sono permanentemente attivi tramite fumarole, emissioni di colate laviche, fontane di lava ed esplosioni freatiche. Disseminate in tutta l’area si trovano circa 250 grotte vulcaniche, la maggior parte delle quali formate tramite il processo d’ingrottamento delle colate laviche che si sono succedute nel tempo. Le grotte derivanti da questo tipo di processo, sono chiamate “grotte di scorrimento lavico”. Lo studio condotto in questo lavoro, considera 17 grotte, le quali risultano maggiormente fruite dal punto di vista turistico, religioso e per i differenti studi di carattere scientifico. Per dare una visione d’insieme la distribuzione areale è stata riportata sulla carta morfotettonica dell’Etna (Fig. 3.1.1). Fig. 3.1.1. Distribuzione delle grotte investigate sulla carta morfotettonica dell’Etna 20 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 3.2. Cenni storici sulle grotte dell’Etna Il primo speleologo dell’Etna fu Anton Giulio De Amodeo da Castiglione di Sicilia, chiamato anche Filoteo, il quale, nel suo lavoro “topographia” 1591, parla di diverse grotte site sul versante nord dell’Etna. Egli diede in alcuni casi il nome e la descrizione della grotta, ma solo poche di queste possono essere oggi identificate con certezza. Pietro Carrera 1636, fa riferimento ad una grotta nuova nei pressi di Monte Serra Pizzuta Calverina, identificata anche in seguito da Gurrieri nel 1934 ed oggi nota come il complesso di Grotte di Casa del Vescovo, le quali vengono prese in esame durante il monitoraggio effettuato nel presente lavoro. Lo stesso Carrera, parla di altre cavità quali la Grotta della Neve ad ovest del monte Serra Pizzuta, distrutta probabilmente durante il 1766, ma anche della Grotta dei Santi e quella di San Leo, le quali non sono state oggi identificate, forse perchè distrutte durante i decenni di attività del vulcano. Infine, Carrera parla della grotta di Proserpina, in contrada Leucatia nella zona nord di Catania, nella quale i pazzi, per grazia della ninfa, ricevevano la salute una volta passata una notte all’interno della stessa. Giovanni Andrea Massa gesuita 1709, parla di diverse grotte situate lungo il tratto di costa che và da Catania a Stazzo. Uno dei primi a citare la Grotta delle Palombe, vicino Nicolosi, fu Patrick Brydone 1773, il quale descrive inoltre la Spelonca del Capriolo che gli offrì il riparo per la notte durante l’ascesa sul vulcano e che oggi è identificabile con la Grotta dei Faggi. Francesco Ferrara 1793, parla della Grotta di San Giovanni Galermo, utilizzata oggi per funzioni religiose. La Grotta di Paternò, dell’Orba e la Guardiola, tutte descritte da Giuseppe Recupero 1815 come niviere, rimasero sepolte dalle lave del 1776. L’opera venne resa nota e curata dal nipote Agatino successivamente alla scomparsa di Recupero. Lo stesso visitò la Grotta delle Palombe di Nicolosi, anche se non nella sua interezza, prima della più nota esplorazione da parte di Mario Gemmellaro. Altre grotte sono descritte nella carta oryctografica di Mongibello, nella quale viene anche citata una grotta sul versante nord che può essere identificata con la Grotta del Burrò. 21 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 Carlo Gemmellaro 1843 parla di diverse grotte nella città di Catania e chiuse proprio dall’espansione della città. Inoltre nella sua Vulcanologia dell’Etna parla della grotta degli Inglesi, la quale si trovava nel versante sud all’altezza di Monte Vetore, ma che oggi risulta occupata dalle lave recenti. Nella stessa opera parla della grotta delle Palombe di Nicolosi esplorata dal fratello Mario e descrive un’altra Grotta delle Palombe ma sita in Santa Maria la Scala, oggi non più raggiungibile. Wolfgang Sartorius, dopo aver dedicato molti anni allo studio dell’Etna, parla di diverse grotte nel lavoro del 1880 e descrive minuziosamente, pubblicando anche la sezione longitudinale, la Grotta delle Palombe di Nicolosi. Salvatore Spinelli 1887 parla di una grotta del Fracasso sita nel territorio di Paternò e identificata come Grotta di Talìa di cui parla Giovanni Boccaccio. In particolare in questa grotta si sentirebbe il fragore delle acque sotterranee durante il disciogliersi delle nevi. Rilievi topografici e descrizione di alcune grotte nel quartiere Barriera di Catania sono descritte da Paolo Orsi 1898-1914, anche se oggi scomparse per il susseguirsi del processo di urbanizzazione della zona considerata. Gaetano Ponte 1814 parla delle diverse grotte nel territorio di San Pietro Clarenza, come la Grotta Sgangheri considerata in questo lavoro, le quali comunque risultano menzionate nella tesi di laurea di Giovanni Gurrieri. Domenico Andronico 1930, salesiano, parla delle grotte di San Gregorio e Ficarazzi, alcune di queste da noi investigate e che fanno parte del parco speleologico dell’immacolatella. Il primo che si occupa di uno studio sistematico delle grotte dell`Etna e Francesco Miceli, il quale dedicò molto tempo della sua vita alla ricerca e descrizione di grotte e che cita nell’articolo del 1933. Inoltre precisa la confusione fra le due grotte degli Archi e definisce sessantotto nomi di grotte che verranno pubblicato in Poli (1959a). Salvatore Cucuzza Silvestri 1957 descrive un interessante grotta formatasi nel 1819 in valle del Bove, oggi non raggiungibile. 22 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 Oggi le grotte censite sull’Etna sono circa 250, gli enormi passi avanti fatti nello studio delle cavità, sono da riferirsi allo sforzo di gruppi di persone con la passione della speleologia, come il gruppo grotte del CAI Catania e il Centro speleologico Etneo. Nel 1999 durante il IX Simposio Internazionale di Vulcanospeleologia, tenutosi a Catania, è stato presentato il libro “Dentro il Vulcano” curato dal Centro Speleologico Etneo. Il libro costituisce uno dei principali contributi, ad oggi, sulla conoscenza e la valorizzazione delle grotte vulcaniche dell’Etna. [7] 3.3. Origine e classificazione Tutte le grotte prese in considerazione nel presente lavoro sono dovute all’attività eruttiva dell’Etna. Non essendo un vulcano prevalentemente esplosivo, l’emissione di colate laviche non molto viscose ha prodotto nei 600.000 anni dalla sua nascita le diverse grotte distribuite su tutto l’apparato. La maggior parte delle grotte presenti sono dovute ad eruzioni laterali. Quando la pressione del magma durante la risalita non viene contenuta da porzioni fragili laterali, si apre una frattura lungo la quale il magma zampillerà formando crateri secondari e colate laviche dalle quali le grotte durante diverse fasi si originano. Nel caso in cui lungo la frattura, si ha una diminuzione del flusso magmatico che risaliva, il magma che si consolida può lasciare delle porzione vuote, accessibili dai crateri formatisi durante le fasi esplosive o effusive. In questo caso si origina un tipo di grotta, come quella dei Monti Sartorius 1892, che avendo uno sviluppo principalmente verticale viene chiamata Abisso. Questo tipo, di cui fa parte la grotta delle Palombe di Nicolosi sono comunque non comuni e molto pericolose per qualsiasi attività data l’estrema instabilità delle pareti che la compongono. Nel caso l’origine fosse da bocche effusive, tali grotte vengono anche chiamate gallerie da effusione, come propone Cucuzza Silvestri. Un altro tipo e molto più numerose sono quelle grotte che si formano nelle colate laviche. In questo caso, si ha la formazione tramite differenti fasi (Fig. 3.3.1) le quali si attuano durante il flusso lungo le pendici del vulcano ad opera della forza di gravità. 23 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 Fig. 3.3.1. Fasi di formazione di una galleria di scorrimento lavico. Nella prima fase, la lava scorre rapidamente nella parte centrale rispetto alle porzioni laterali lungo le quali si raffredda e solidifica, formando un canale di scorrimento lavico. Nella seconda fase, si ha il raffreddamento della parte superficiale a contatto con l’aria, si forma quindi un involucro detto “sacco di scorie” che produce una diminuzione della perdita di calore da parte della colata. Quindi la colata, nella sua parte interna continua a scorrere mantenendo la temperatura alta ed una buona fluidità. Nella terza fase, si è quindi formato un involucro di forma pseudo cilindrica all’interno del quale la lava scorre, quando il flusso diminuisce o cessa, se non ci sono crolli della volta superiore, ciò che resta e una galleria che è chiamata di scorrimento lavico. Nel caso in cui lo svuotamento è parziale la galleria risulta a sezione semiellittica, mentre circolare, nel caso di uno svuotamento completo. Sono sempre a sviluppo orizzontale con pendenza verso la direzione a valle, il pavimento è uguale alle superfici di colate esterne e quindi scoriaceo o con lave a corda in funzione della viscosità e temperatura della colata. Le pareti e la volta della galleria, formati da strati lavici possono essere staccati nella parte alta e ripiegati verso l’interno oppure essere continui. Nel primo caso si produce un effetto squamoso realizzato da fogli di lava con spessori di alcuni centimetri. Quando il ripiegamento assume un aspetto cilindrico ai piedi delle pareti, si formano dei rotoli che possono anche avere lunga estensione ed interessare gran parte della galleria. Brandelli di lava, possono essere rimasti attaccati alla volta durante il flusso interno, questi si possono anche ispessire per accumulo, come suggerito da “Ponte”. Rittmann spiega la struttura interna, suggerendo un gradiente di temperatura che diminuisce dal centro del flusso lavico 24 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 verso l’esterno e quindi la formazione di tubi concentrici uno dentro l’altro con velocità crescenti verso il centro. In certi casi, le superfici interne risultano levigate, vetrose con formazione di piccole stalattiti che richiamano quelle carsiche ma che in tal caso sono dovute a processi di rifusione di lava precedentemente consolidata. Infatti l’accumulo di gas all’interno e il sopraggiungere di ossigeno per crolli parziali della volta, può innalzare la temperatura e produrre la rifusione del materiale quasi consolidato. Le dimensioni di tali gallerie sono dell’ordine di poche centinaia di metri con sezioni che raggiungono quelle di gallerie ferroviarie in pochi casi. Inoltre è possibile lo sviluppo di diverse gallerie sovrapposte o che si articolano in diversi ambienti e con dimensioni delle sezione differenti. Le grotte di scorrimento lavico presentano fratture su tutto l’allungamento, riconducibili al processo di raffreddamento, raggiungendo anche alcuni centimetri di apertura. Gli ingressi delle gallerie di scorrimento sono da crollo della volta oppure dei fianchi. I crolli possono essere coevi alla formazione della cavità, oppure posteriori. Nel primo caso il materiale che è franato viene inglobato dalla colata in movimento e l’elevata temperatura produce lo smussamento degli spigoli della volta formatasi durante il crollo. Quando i crolli sono posteriori il materiale si accumula sul pavimento della galleria e gli spigoli sulla volta saranno abbastanza appuntiti. Nel caso che i gas accumulati durante il flusso della colata producano esplosioni e crolli parziali della volta nelle sezioni più fragili, si formano delle particolari strutture verticali (chiamati hornitos) dalle quali sarà possibile accedere alla galleria di scorrimento una volta cessato il flusso. Inoltre, è possibile avere delle grotte date dall’insieme di una grotta prodotta in un apparato eruttivo in continuità con una di scorrimento lavico. Altri tipi di grotte sono quelle determinate dall’azione di agenti esterni come acqua e vento, i quali possono produrre lo svuotamento della porzione sottostante una colata e quindi formare una cavità. Quando le grotte si trovano a quote ove è presente ghiaccio e neve nel periodo invernale, si possono avere stalattiti di ghiaccio e la presenza di neve o ghiaccio anche durante le altre stagioni. In questi casi in passato, le grotte vennero utilizzate come niviere, nelle quali si accumulava ghiaccio in inverno per poi rivenderlo nel periodo estivo. 25 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 3.4. Evoluzione delle grotte Le grotte vulcaniche seguono un processo evolutivo che termina con la loro distruzione. Si può dividere tale processo in diverse fasi: Nella fase iniziale si conserva la forma a fessura o galleria a meno di crolli contemporanei alla formazione. In questa fase le superfici mostrano porzioni lucide e rifuse abbastanza taglienti e pavimenti sgombri da materiale. La trasformazione avviene durante la fase di maturità dove, le superfici cominciano ad alterarsi divenendo opache e pulvirulente. Il pavimento perde la primitiva asprezza e si accumulano materiali portati dal vento, acqua o decomposizione di resti animali e vegetali. In conseguenza di crolli per assestamento o terremoti, si possono accumulare materiali provenienti dalla volta o dai fianchi della grotta. Lungo le fratture si insinueranno radici della vegetazione soprastante e assieme al percolare di acqua, eserciteranno pressioni meccaniche con conseguente allargamento delle fratture. Questo può portare a crolli di porzioni che in determinate situazioni possono anche occludere passaggi e quindi portare a una mutazione rispetto a quella che era la forma precedente. La percolazione di acqua può portare a concrezionamenti sulle pareti solo quando il liquido percolante proviene da irrigazione e quindi in grotte che non si trovano ad alte quote. Tutti questi processi portano ad una fase di senilità durante cui diventa difficile il riconoscimento della struttura originaria. Queste fasi possono durare anche millenni, ma cambiamenti repentini si possono verificare per il susseguirsi della normale attività vulcanica che in certi casi produce nuove cavità ed in altri determina la scomparsa di quelle esistenti. 3.5. Descrizione delle grotte in esame Durante questo lavoro di monitoraggio del Radon, sono state investigate 17 grotte di scorrimento lavico ricadenti nei territori di: Zafferana Etnea, S.Gregorio di Catania, Catania, Adrano, San Pietro Clarenza, Sant’Alfio, Acicastello, Camporotondo, Belpasso e Paternò. Di seguito vengono descritte facendo riferimento all’ubicazione e le caratteristiche principali di ognuna di esse. [7] 26 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA LA FENICE Comune : Zafferana Tavoletta I.G.M. : 262 III SE Giarre (1970) Longitudine : 15° 05' 33" Latitudine : 37° 41'30" Quota : 825 Questa cavità, è contenuta nella frattura eruttiva del 1792 ed è costituita da una galleria interrotta in più punti da crolli della volta (Fig. 3.5.1). Fig. 3.5.1. Grotta La Fenice 27 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA DEL CONIGLIO Comune : Zafferana Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969) Longitudine : 15° 03' 14" Latitudine : 37° 41' 56" Quota : 1375 Si accede alla grotta attraverso una spaccatura nella volta (Fig. 3.5.2), ed è utile in questo punto una scaletta di 5 m che si può fissare ad uno spuntone di roccia. Il pavimento è costituito da terra accumulata dalle acque piovane, con una superficie pianeggiante e compatta, forata in più punti dallo stillicidio. Nei pressi dell'entrata è osservabile una galleria laterale ingombra per lo spessore di quasi un metro da scorie laviche dispose in guisa di colata che si affaccia sulla galleria principale. Risalendo queste scorie si perviene ad una strettoia che dà accesso ad una piccola sala. Un'altra strettoia, seguita da un ambiente largo e basso si trova all'estremità sud della grotta. Lamine di lava si osservano in tutta la cavità; nel tratto terminale nord si trova un caratteristico rotolo, non molto lungo ma regolare e ben conservato . Fig. 3.5.2. Grotta del Coniglio. 28 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA TRE LIVELLI Comune : Zafferana Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969) Longitudine : 15° 01' 59" Latitudine : 37° 41' 56" Quota : 1625 Formatasi nelle lave sgorgate dalla bocca effusiva inferiore dell'eruzione del 1792. Nel complesso la grotta è molto ben conservata e pochi sono i punti in cui si sono verificati crolli. In corrispondenza degli ingressi la cavità si articola in tre gallerie sovrapposte situate a tre diversi livelli. La galleria superiore, lunga 60 m, è piuttosto angusta ed una parte del soffitto è costituita da un solaio di cemento armato che sostiene la strada provinciale. La galleria intermedia è lunga circa 40 m. Maggiore sviluppo presenta la galleria inferiore che ha più di 400 m di lunghezza. I tre livelli sono collegati da piccoli salti per superare i quali è utile una scaletta di 10 m. Per i primi 50 m dalla base dei pozzi il percorso è assai agevole data l'altezza della volta che solo in qualche punto costringe a procedere chinati. Il pavimento è di lava a superficie scoriacea a grossi frammenti che nelle estremità sud della galleria sono disposti con caratteristica superficie ondulata. In tutta la grotta si possono osservare stalattiti da rifusione che si presentano come brandelli di lava a superficie vetrosa ed interessanti sporgenze, simili a cornicioni, disposte lungo le pareti (Fig. 3.5.3). Fig. 3.5.3. Grotta Tre Livelli. 29 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA CASA DEL VESCOVO Comune : Zafferana Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969) Longitudine : 15° 01' 33" Latitudine : 37° 41' 47" Quota : 1675 Le Grotte di Casa del Vescovo (Fig. 3.5.4) sono un insieme di cavità in parte comunicanti, alcune delle quali sono larghi pozzi a forma di campana. La cavità più a nord è una breve galleria preceduta da un canale di scorrimento. Dalla galleria si accede ad una cengia posta a metà altezza di una sala. Il passaggio dalla galleria alla cengia è costituito da una apertura in un muro. Superando un dislivello di cinque metri si scende sul pavimento della sala costituito da un caotico ammasso di grossi blocchi. Proseguendo verso sud si risale un pendio e, attraverso un passaggio tra i massi franati, si raggiunge una seconda sala più piccola della precedente. Anche qui il pavimento è costituito da un ammasso di grossi blocchi. Entrambe le sale presentano tratti di muri a secco lungo le pareti con superfici coperte da muschi e da Capelvenere. Esse prendono luce da ampie aperture sulla volta che il Carrera afferma essere artificiali. Queste aperture vennero praticate per introdurre più agevolmente la neve che veniva qui conservata per l'estate. Nelle immediate vicinanze di queste cavità se ne aprono altre tre ad andamento prevalentemente verticale; la più profonda misura 13 m. Fig. 3.5.4. Grotta Casa del Vescovo. 30 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA CASSONE Comune : Zafferana Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969) Longitudine : 15° 02' 57" Latitudine : 37° 41' 55" Quota : 1400 Si tratta di una galleria di scorrimento di notevoli dimensioni sia in lunghezza che in altezza, che si sviluppa in direzione nordovest e sudest. Lungo il tratto a nordovest dell'ingresso la volta e le pareti presentano vari fenomeni di rifusione e si notano le variazioni di portata del flusso lavico. Si notano anche alcuni rotoli incompleti. Il pavimento è costituito da lava scoriacea che in alcuni punti diventa a piccole corde, tale morfologia lo rende leggermente sconnesso. La grotta, in direzione sudest, presenta invece una fisionomia legata ai crolli, dovuti alla costruzione della strada provinciale, ed una difficile percorribilità (Fig. 3.5.5). Fig. 3.5.5. Grotta Cassone. 31 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA ACQUA VITALE Comune : Zafferana Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969) Longitudine : 15° 03' 26" Latitudine : 37° 41' 57" Quota : 1338 Vi si accede da un crollo della volta con un dislivello di circa 2 m. Per tutta la sua estensione si notano crolli. Il pavimento è costituito per la maggior parte da scorie e da pietrame. Nella grotta si distinguono due rami, un tempo sicuramente comunicanti. Il primo, a nordest, è costituito da una sala lunga 12.5 m e larga 7 m dove si osserva un' abbondante vegetazione di muschi e di felci. Il secondo, a sudovest, è lungo più di 130 m, con larghezza variante da 10 m a 60 cm e con altezza variante fra 2 m e 50 cm. Esso conserva l'aspetto di una galleria di scorrimento ed è caratterizzato da numerose fratture nella volta che in più punti lasciano filtrare la luce dall'esterno. L'andamento della grotta è riconoscibile in superficie lungo un canale di scorrimento orientato da nordest a sudovest (Fig. 3.5.6). Fig. 3.5.6. Grotta Acqua Vitale. 32 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA PITAGORA Comune : Zafferana Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969) Longitudine : 15° 00' 53" Latitudine : 37° 42' 20" Quota : 2050 Miceli che per primo ha segnalato questa cavità di 6 m per 18 m, avanza l'ipotesi che essa si sia formata per asportazione di sabbia «sulla quale è posata e riposa una vecchia colata lavica». E' da notare che questa grotta non si trova all'interno di una colata ma è contenuta in una formazione di roccia vulcanica che ha l'aspetto di un dicco. La faccia orientale di questo forma una parete alta circa 10 m strapiombante su un vallone. Tracce dello stesso dicco sono ben visibili più a valle (Fig. 3.5.7). Fig. 3.5.7. Grotta Pitagora. 33 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA DEI TEDESCHI Comune : San Gregorio Tavoletta I.G.M. : 270 IV SE Catania (1971) Longitudine : 15° 06' 48'' Latitudine : 37° 33' 38" Quota : 320 Si trova sulla strada che conduce al campo sportivo comunale, all’interno del Parco Speleologico di Guardiola Cantarella. L' ingresso della grotta si trova in una piccola depressione pochi metri a nordovest di una vasca di raccolta delle acque. Tipica grotta di scorrimento, nella quale sono rari i fenomeni di rifusione. Interessata da diversi crolli, oggi è fruibile solo con attrezzatura specifica e quindi solamente per scopi scientifici (Fig. 3.5.8). Fig. 3.5.8. Grotta dei Tedeschi. 34 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA SCIARA CURIA Comune : Catania Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971) Longitudine : 15°.03'.18" Latitudine : 37°.30'.42" Quota : 90 Ampia, ma breve, galleria di scorrimento interessata da numerosi crolli, il più imponente divide la cavità in due ambienti. Nel tratto a nord della galleria si trova un piccolo cunicolo che sbocca all'esterno. La galleria è lunga circa diciotto metri. La volta che nei pressi dell'ingresso principale è alta due metri degrada verso il fondo e in coincidenza del crollo principale è tale da costringere a procedere carponi. Sulla volta, nei tratti non interessati dai crolli, si osservano numerose stalattiti da rifusione (Fig. 3.5.9). Fig. 3.5.9. Grotta Sciara Curia. 35 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA DEL SANTO Comune : Adrano Tavoletta I.G.M. : 261 II SE Monte Minardo (1969) Longitudine : 14° 52' 35" Latitudine : 37° 42' 31" Quota : 1030 Grotta di scorrimento dalla forma particolarmente complessa, si articola in diverse gallerie generalmente anguste ed in parte sovrapposte, che si sviluppano con pendenze differenti per una lunghezza complessiva di oltre 800 m. Un discreto stillicidio è presente in tutta la cavità; dal lato sud l'acqua si raccoglie in una pozzanghera fangosa sul pavimento della galleria principale. Poco dopo la pozzanghera la galleria si divide in due cunicoli a livelli diversi che qualche metro più avanti si incrociano proseguendo ancora separati prima di confluire definitivamente in un unico ambiente. Alcuni cunicoli hanno forma cilindrica piuttosto regolare con il diametro di circa 1 m; il pavimento si presenta qui come un rigagnolo di lava rappresa. La galleria bassa in direzione sud ha l'aspetto tipico delle grotte molto antiche: la volta e le pareti sono rivestite da una patina bianca di concrezionamento; i piccoli brandelli di lava parzialmente rifusi che pendono dalla volta sono anch'essi rivestiti da questa patina e a volte prolungati da brevi stalattiti (Fig. 3.5.10). Fig. 3.5.10. Grotta del Santo. 36 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA PASSO ZINGARO Comune : Adrano Tavoletta I.G.M. : 261 II SE Monte Minardo (1969) Longitudine : 14° 50' 07" Latitudine : 37° 43' 16" Quota : 685 Breve galleria di scorrimento costituita da un unico ambiente di forma ellittica. L'ingresso è alto 2 m e largo 6 m e dà luce a tutta la cavità. Il soffitto è piatto e presenta numerose fratture. Lo spessore della volta varia da 0.5 m, presso l'ingresso, a circa 1 m. Su tutte le pareti si osservano lamine di lava distaccate di vario spessore che lungo la parete nord formano rotoli incompleti. Il pavimento è costituito da pietrame a sud e ad est da lava a superficie unita (Fig. 3.5.11). Fig. 3.5.11. Grotta Passo Zingaro. 37 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA SGANGHERI Comune : San Pietro Clarenza Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971) Longitudine : 15° 01' 16" Latitudine : 37° 34' 05" Quota : 450 Trattasi di una galleria di scorrimento con uno sviluppo totale di 32 m. La cavità è costituita da un primo tratto dove la volta è ad altezza d'uomo e da due diramazioni dalla volta assai bassa orientate, la più ampia a nordovest, l'altra a nordest. Sono presenti diversi rotoli di lava di modeste dimensioni ed alcune lamine scollatesi dalle pareti. Due ingressi di piccole dimensioni si trovano nella diramazione orientata a nordest (Fig. 3.5.12). Fig. 3.5.12. Grotta Sgangheri. 38 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA DEI LADRONI Comune : Sant'Alfio Tavoletta I.G.M. : 262 III NO Monte Etna Nord (1969) Longitudine : 15° 04' 18" Latitudine : 37° 46' 16" Quota : 1540 Ampia cavità generata da fenomeni di scorrimento lavico. Vi si accede attraverso quattro aperture poste, due sui fianchi della galleria e due sulla volta. L'ingresso più occidentale è dotato di una ripida scala con i gradini scavati nella roccia. Costituita da un unico ambiente, abbastanza ben conservato, la grotta ha una altezza media che consente costantemente la stazione eretta. Il pavimento della cavità è ricoperto da uno strato di detriti e sabbia. La volta e le pareti sono scarsamente dotate di speleotemi da rifusione. Vi si osservano alcuni crolli e un cunicolo orientato a nordest. La cavità è conosciuta da molti anni e deve il suo nome alla legenda che la narra come luogo prediletto dai briganti per i loro agguati (Fig. 3.5.13). Fig. 3.5.13. Grotta dei Ladroni 39 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA DELLE FATE Comune : Acicastello Tavoletta I.G.M. : 270 IV SE Catania (1971) Longitudine : 15° 07' 26" Latitudine : 37° 33' 48" Quota : 235 Galleria di scorrimento in lave molto antiche lunga circa 20 m. A metà del suo sviluppo presenta uno scivolo di lava a superficie unita. Il pavimento nel tratto iniziale è di terra e detriti, in quello mediano di blocchi ed in quello terminale di lava a superficie unita. La volta, alta al massimo 3.5 m si presenta notevolmente fessurata. Sono rari i fenomeni di rifusione. All'ingresso si nota una scarsa vegetazione di felci e muschi (Fig. 3.5.14). . Fig. 3.5.14. Grotta delle Fate. 40 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA DELLE COLOMBE Comune : Belpasso Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971) Longitudine : 15° 00' 27" Latitudine : 37° 34' 48" Quota : 529 Grossa galleria di scorrimento alla quale si accede da una grossa apertura sul fianco nord. La grotta è lunga 82 m, ha la volta alta in più punti oltre 7 m. Nei pressi dell'ingresso si trova un grosso masso, di oltre 3 m di diametro, crollato dalla volta. Il pavimento, piuttosto tormentato, è costituito da grossi brandelli di lava saldati e da scorie. Si notano alcuni rotoli mentre sono rare le stalattiti da rifusione. All'ingresso si trova una rigogliosa vegetazione di muschi, felci e piante superiori (Fig. 3.5.15). Fig. 3.5.15. Grotta delle Colombe. 41 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA MADONNA DELLA ROCCIA Comune : Belpasso Tavoletta I.G.M. : 270 IV SO Mascalucia (1971) Galleria di scorrimento in lave del 1669 lunga circa 20 m. Il pavimento , nel tratto iniziale è di terra e detriti ed in quello finale di lava a superficie unita. La volta, supera i 4 m si presenta notevolmente fessurata. Sono rari i fenomeni di rifusione. All'ingresso vi è un cancello in ferro per evitare il calpestio nella porzione interna (Fig. 3.5.16). Fig. 3.5.16. Grotta Madonna della Roccia. 42 GROTTE VULCANICHE DELL’ETNA CAPITOLO 3 GROTTA S. BARBARA Comune : Paternò Tavoletta I.G.M. : 262 III SO Monte Etna Sud (1969) Longitudine : 14° 58' 30" Latitudine : 37° 41' 52" Quota : 1790 Trattasi di una galleria di scorrimento cui si accede da una apertura situata nella volta, coeva alla formazione della cavità. L'ingresso si presenta come un pozzo a pareti strapiombanti lisce e compatte; per scendervi è necessaria una scaletta di dieci metri. In assenza di neve dal fondo del pozzo si possono percorrere alcuni metri di galleria sia dal lato a monte che dal lato a valle (Fig. 3.5.17). Fig. 3.5.17. Grotta S. Barbara. 43 CAPITOLO 4 4. MISURE RADON MISURE RADON 4.1. Introduzione Le misure per la concentrazione del Radon nei diversi ambienti possono essere effettuate tramite dispositivi a riempimento (sistemi attivi), nei quali l`aria viene introdotta tramite una pompa di aspirazione, oppure per diffusione mediante un mezzo filtrante (sistemi passivi). Alla seconda categoria appartengono i rivelatori a tracce che sono stati utilizzati durante questo lavoro. Si tratta dell`impiego di dispositivi costituiti da lastre di polimeri sensibili solo alle radiazioni alfa. Un importante parametro e il periodo di esposizione, che nel caso dei rivelatori a tracce può spaziare da un mese ad un anno. Questo perchè la concentrazione del Radon varia nel corso del tempo in dipendenza dei parametri ambientali. Possiamo avere variazioni stagionali o anche durante un giorno tra le ore diurne e quelle notturne. Nel nostro caso essendo stati investigati siti non esposti a forti variazioni ambientali, il periodo di prova congruo per avere buoni risultati è stato stabilito in due mesi. 4.2 Rivelatori a tracce nucleari Quando una particella alfa con sufficiente energia attraversa un mezzo, causa la ionizzazione degli atomi e molecole che incontra lungo il suo percorso, producendo radicali liberi e altre specie chimiche. Le nuove specie lungo il percorso della particella formano una zona danneggiata chiamata traccia latente. Il materiale contenente le tracce latenti può essere sottoposto ad una soluzione aggressiva, per esempio NaOH che renderà la traccia più larga e quindi più visibile durante l`osservazione del materiale ad un microscopio ottico. Le tracce latenti sono maggiormente visibili in sostanze come nitrati di cellulosa e policarbonati i quali sono composti da lunghe molecole. I rivelatori a tracce maggiormente utilizzati sono i CR-39, i quali furono sviluppati da Cartwright e si basano su polyallydiglycol carbonato e LR-115 nitrato di cellulosa. Comunque ne esistono anche altri tipi come per esempio quelli basati su policarbonati. In particolare, i CR-39 si ottengono tramite un processo di polimerizzazione che porta ad avere una resina termoindurente cioè un materiale che riscaldato per un tempo prolungato aumenta la propria consistenza fino a divenire non più fusibile tranne 45 CAPITOLO 4 MISURE RADON che per temperature particolarmente elevate e che in queste condizioni porta il materiale direttamente alla carbonizzazione. Circa il 70 % del CR-39 è composto da un monomero a struttura chimica complessa di Allil Diglicol Carbonato. Il 30 % circa della miscela è costituito da un polipropilene isotattico, il quale innesca una reazione a catena con la molecola del monometro una volta scisso in due radicali. Inoltre, nella miscela viene aggiunto 0,1‰ di Naugard 445 che con l’azione antiossidante, mantiene inalterate le caratteristiche delle lastre. Infine uno 0,1 % di dioctiftalato, il quale con l’azione plastificante garantisce la trasparenza della superficie anche dopo svariati attacchi chimici, anche se riduce la sensibilità del rivelatore. Durante il processo di produzione del dosimetro, si vengono a creare delle tracce di fondo dovute ad imperfezioni che dipendono dalla purezza del monomero, dalla concentrazione dello stesso e dal ciclo termico durante la polimerizzazione. Per tal motivo, risulta importante il controllo durante tutte le fasi che portano al prodotto finale, il quale, deve mantenere precise caratteristiche confrontabili con gli standard europei. In tal caso l’ente responsabile per i controlli è il laboratorio NRPB in Gran Bretagna. Molti sono i vantaggi per i quali vengono utilizzati i CR-39 come rivelatori a tracce, a partire dalle piccole dimensioni, inoltre, si possono archiviare e quindi essere riutilizzati per la ripetizione della lettura. Sono indipendenti da condizioni ambientali quali temperatura (fino a 110 ºC) e umidità compresa tra 5 e 95 %. Infine hanno buone caratteristiche dosimetriche quali, ampio intervallo di energia delle particelle rivelabili (tra 200 keV e 14 MeV) e una bassa soglia di rivelazione (< 0,1 m Sv). Rispetto ad altri materiali, quali vetro, polycarbonato e polymethylmeth, i CR-39 sono qualitativamente migliori considerando la trasparenza, leggerezza e resistenza ai graffi, al piegamento e ai soventi chimici e cariche elettriche. Inoltre sono resistenti all’invecchiamento, alle radiazioni γ e assorbono i raggi UV. La camera di diffusione, che contiene il rivelatore, deve essere opportunamente progettata in modo tale che possa passare all’interno solo il 222Rn e i prodotti del suo decadimento per avere una migliore valutazione quantitativa delle tracce latenti. Di seguito vengono elencati i più importanti parametri fisici dei rivelatori a tracce CR-39: 46 CAPITOLO 4 MISURE RADON - peso specifico a 25 °C; 1.32 g/cm3 - indice di rifrazione a 20 ºC; 1,501 - calore specifico; 0,55 cal/g °C - resistenza alle contrazioni; 3,5-4,2 kg/mm2 - resistenza alle compressioni; 15,8 kg/mm 2 4.3 Processo di formazione delle tracce Quando una particella α penetra il mezzo materiale di cui sono costituiti i rivelatori, lungo il percorso le molecole subiscono numerosi processi di ionizzazione ed eccitazione. Il risultato globale è un danneggiamento microscopico delle superficie visualizzabile come piccoli fori delle dimensioni di alcuni nanometri. Ogni piccolo foro formatosi in seguito al danneggiamento prende il nome di “traccia latente”. La formazione delle tracce è fortemente pronunciata nei materiali con struttura a catena e in alcuni materiali amorfi. La perdita di energia delle alfa e la conseguente ionizzazione ed eccitazione degli atomi del materiale costituiscono la cosiddetta “fase fisica” che avviene in un intervallo di tempo dell’ordine dei picosecondi. Gli elettroni liberi generati in questa interazione primaria danno luogo ad ulteriore eccitazione e ionizzazione, generando elettroni liberi secondari e gravi danneggiamenti alle molecole del mezzo in più parti della catena de monomeri.Nella seconda fase, detta anche fisico-chimica, avviene l’attacco chimico del bersaglio, nel quale le zone danneggiate risulteranno più sensibili rispetto a quelle circostanti. Lungo le tracce si ha la formazione di nuove specie che interagiscono con la soluzione chimica in modo più marcato rispetto alle zone non danneggiate. Il risultato finale è un ingrandimento delle tracce e una conseguente visibilità al microscopio ottico. 4.4 Sviluppo e geometria delle tracce Le particelle α incidenti sui CR-39 sviluppano tracce latenti di dimensioni nanometriche, le quali vengono incrementate fino a decine di micrometri tramite l’immersione in NaOH, prima di essere lette 47 CAPITOLO 4 MISURE RADON attraverso un microscopio ottico. Durante l’immersione, la reazione che si sviluppa è la seguente: C12H18O7+4NaOH+4H2O→2Na2CO3 H2O+2C3H6O+C4H10O3 Il NaOH, idrossido di sodio, durante la dissoluzione in acqua sviluppa calore e tende ad assorbire anche il vapore acqueo presente in aria. Inoltre reagisce con anidride carbonica ed è quindi consigliabile conservarlo in recipienti sigillati. L’incremento delle tracce latenti, è proporzionale al tempo di attacco chimico, che può andare dalle 6-8 ore, alla temperatura e alla concentrazione del NaOH, quest’ultimo con un alto valore di normalità. Altro importante parametro è la geometria delle tracce, che prende in esame il bulk etch rate (Vb) e il track etch rate (Vt). - bulk etch rate (Vb) è la velocità con cui viene rimossa la zona non danneggiata del rivelatore durante la reazione tra la soluzione e il materiale rivelatore. Tale velocità dipenderà dalla purezza della sostanza, dalla struttura molecolare, dalle condizioni di polimerizzazione e dalla condizioni ambientali durante l’irradiazione e lo sviluppo. - track etch rate (Vt) rappresenta la velocità di attacco lungo la traiettoria della particella. L’ingrandimento della traccia è dovuto proprio al fatto che Vt e Vb (fig. 4.4.1) sono diverse tra loro e in particolare l’attacco nella zona di penetrazione procede con velocità maggiore della restante parte di superficie. Posto V= Vt / Vb, che come proposto da Durrani può essere espresso come: = in cui: D diametro della traccia t tempo di sviluppo La suddetta equazione è utilizzabile solo per V t costante e si può ottenere anche prendendo in considerazione parametri delle tracce quali asse maggiore e minore, ottenuti per diverse energie e angoli d’incidenza. 48 CAPITOLO 4 MISURE RADON La formazione della traccia non è possibile se V è minore o molto prossimo a uno. La relazione V> 1 rappresenta quindi condizione necessaria alla formazione della traccia visibile. Fig. 4.4.1. Geometria dello sviluppo di una traccia con angolo d’incidenza ortogonale alla superficie del rivelatore. 49 CAPITOLO 5 5. METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI 5.1. Preparazione dei dosimetri I CR-39 vengono forniti dalla ditta produttrice in sacchetti di plastica e sono appartenenti ad uno specificato lotto di produzione. Per preservare le caratteristiche di sensibilità, vengono conservati ad una temperatura di -18°C e prelevati 30 minuti prima dell’esposizione. Ogni dosimetro è identificato con un codice numerico ed uno meccanografico utilizzabile durante la fase di lettura dello strumento. Utilizzando guanti in lattice, i dosimetri vengono immersi in un contenitore con acqua distillata, risciacquati in altro contenitore e posti ad asciugare su di un panno in microfibra. In seguito vengono sottoposti ad un trattamento antistatico per mezzo di uno spray e asciugati con un secondo panno in microfibra. Gli Holder che conterranno i dosimetri vengono etichettati ponendo il codice identificativo corrispondente al dosimetro (fig. 5.1.1). Quindi, verranno chiusi utilizzando una pressa, assicurandosi di non aver provocato la rottura del dosimetro durante tale fase. a b Fig. 5.1.1. (a) CR-39, (b) holder Terminata la pressatura, i dosimetri verranno sigillati, mediante una saldatrice, all’interno di buste trasparenti impermeabili al Radon. Le buste verranno conservate in freezer e riaperte solo al momento dell’esposizione. Il periodo di esposizione non deve superare i 6 mesi per evitare la saturazione che comprometterebbe i risultati. 51 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI 5.2. Sviluppo chimico Dopo il periodo di esposizione, una volta rientrati i dosimetri in laboratorio, si userà un piccolo cacciavite per aprire gli holder ed i CR39 prelevati verranno subito analizzati o in caso contrario, gli holder imbustati, verranno riposti in freezer in attesa delle successive analisi. Per essere trattati chimicamente, i campioni vengono posti su delle slitte ciascuna delle quali ne può contenere un massimo di 75. Le slitte per un massimo di quattro, quindi corrispondenti a 300 rivelatori vengono sistemate nel sistema rack, in cui i rivelatori devono essere posti con il proprio codice verso l’alto. Come illustrato nel capitolo 4, per incrementare le dimensioni delle tracce fino a qualche decina di micrometri, il rack contenenti i rivelatori viene posto in un bagno chimico di una soluzione acquosa di idrossido di sodio (NaOH). Durante il bagno chimico si sviluppa la seguente reazione: C12H18O7 + 4NaOH + 4H2O → 2Na2CO3 H2O + 2C3H6O + C4H10O3 L’idrossido di sodio si presenta come un solido di colore bianco che in soluzione con acqua produce una reazione esotermica con sviluppo di calore. Inoltre assorbe acqua e reagisce con CO 2 secondo la seguente reazione: 2NaOH + CO2 → Na2CO3 + H2O quindi deve essere conservato in recipienti sigillati. L’incremento della dimensione delle tracce sui rivelatori è direttamente proporzionale a: - tempo di sviluppo che deve essere 1ora - temperatura che deve essere costante a 98°C - concentrazione di NaOH (25% peso/volume) cioè 6.25 M della soluzione acquosa di NaOH. La preparazione del bagno chimico dovrà seguire i seguenti passaggi: - si versano dentro il termostato 20 litri di acqua distillate - si accende il riscaldamento fissandolo a 98°C (fig. 5.2.1) 52 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI Fig. 5.2.1. termostato - si versano 5 kg di NaOH poco alla volta - si attende il raggiungimento della temperatura fissata, controllando con un termometro a mercurio - si spegne, per poco tempo, l’alimentazione e si sposta il coperchio del termostato e si procede alla misura del peso specifico della soluzione basica per mezzo di un dosimetro pulito. La densità della soluzione deve essere di 1.181, se è maggiore (galleggia troppo) va aggiunta acqua fino al raggiungimento della tacca 81, se è minore, (il densimetro affonda) va aggiunto ancora NaOH fino al raggiungimento della tacca 81 - si riaccende il bagno - dopo aver disposto i rivelatori CR-39 (esposti) in apposite slitte metalliche, con il lato esposto orientato verso l’alto, ciascuna slitta viene inserita in un rack metallico (fig. 5.2.2) 53 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI Fig. 5.2.2. (disposizione dei rivelatori) - il rack contenente le slitte coi rivelatori esposti viene immerso nel bagno di sviluppo termostatato con l’ausilio di appositi ganci (fig. 5.2.3) e si riposiziona il coperchio del termostato Fig. 5.2.3. (bagno chimico) - fare trascorrere 1 ora - estrarre il rack e spegnere il bagno - immergere il rack in acqua distillata per 1 minuto agitando bene per raffreddare ed eliminare l’eccesso di soda - immergere il rack in una soluzione acquosa di acidi acetico (CH3COOH) al 2% per 30 minuti. Tale soluzione (bagno di arresto per neutralizzazione della soda: CH3COOH + NaOH → CH3COONA + H2O) viene preparata miscelando 60 ml di acido acetico glaciale in 3 litri di acqua 54 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI distillata e mescolando. Possono essere adoperati dei comuni recipienti in polipropilene - si effettua un risciacquo finale immergendo il rack in acqua distillata per 1 ora e agitando - si estrae il rack, si sfilano le slitte e si lascia asciugare per poi utilizzare un panno in microfibra. A questo punto il rivelatore è pronto per il conteggio delle tracce al microscopio. 5.3. Sistema politrack e lettura dei rivelatori Il sistema politrack è un sistema a microscopia ottica che permette di effettuare il riconoscimento di tracce nucleari su SSNTD, del tipo CR-39 e LR-115. Il sistema è costituito da un piano cartesiano XY ancorato su un supporto a nido d’ape rivestito in acciaio, appoggiato sulla base attraverso un braccio di granito (fig. 5.3.1). Fig. 5.3.1. (Sistema Politrack) L’obiettivo ha un ingrandimento 4x ed il tubo ottico si accoppia direttamente con una telecamera CCD monocromatica con risoluzione 1028x768 con ADC a 8 bit. La telecamera è interfacciata con un PC attraverso una connessione firewire (fig. 5.3.2). La dimensione del frame è di 0,6745 mm2. 55 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI Fig. 5.3.2. (Interfaccia PC) La sorgente luminosa è costituita da un diodo LED colore ambra (lunghezza d’onda 590 mm2). Tale lunghezza d’onda permette di accordarsi con l’assorbanza spettrale dei CR-39. Il sistema viene controllato da un PC che gestisce gli assi XY, l’impostazione e acquisizione della telecamera. Inoltre il software effettua il riconoscimento delle tracce nucleari. La lastra di vetro, su cui vengono posizionati i rivelatori, è 244x244 mm2 e riesce ad alloggiare 64 rivelatori di dimensioni standard 25x25 mm. Ogni rivelatore viene suddiviso dal programma in più sotto-aree dette frame, le quali risultano circa 168. La forma e la dimensione delle tracce varia considerevolmente da traccia a traccia: particelle α che incidono perpendicolarmente sulla superficie del rivelatore provocano tracce circolari, mentre la gran parte delle tracce presenti in un rivelatore è ellittica (da incidenze oblique). Inoltre, poiché la particella α può essere prodotta isotropicamente attorno al rivelatore e poiché il range della particella in aria varia fino a circa 4 cm (dipende dall’energia posseduta), le tracce che si formano dopo lo sviluppo possono avere qualunque diametro che vari tra 0.3 micrometri a qualche decina, il che dipende fortemente dalle condizioni di sviluppo. Di norma tuttavia si sceglie un limite inferiore del diametro al di sotto del quale la traccia non è considerata accettabile. Inoltre risulta indispensabile distinguere tra tracce genuine e difetti di fondo o artefatti, 56 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI sempre presenti. Il programma seleziona le tracce reali eliminando i falsi positivi, fornendo in output i valori dell’esposizione in KBqh/m3. Di seguito vengono elencati i passi da seguire nella procedura per la lettura di CR-39: i rivelatori vanno appoggiati sul piano di vetro in modo che l’operatore possa leggerne il numero in alto. Le impostazioni di default permettono di iniziare la scansione immediatamente dopo l’avvio del programma. Avviare il programma portare la piastra XY in posizione Home premendo il pulsante Home in pagina 2 sistemare sulla piastra XY il supporto di vetro per CR-39 in modo che l’incrocio dei bordi rialzati sia in corrispondenza del punto in cui sia trova il microscopio posizionare i rivelatori a partire dall’angolo in alto a sinistra e procedere verso destra fino a posizionare 8 rivelatori. Possono essere alloggiati fino a 64 rivelatori selezionare dal menù analisi la voce CR-39 attendere alcuni istanti affinchè la telecamera auto-regoli la scala dei grigi scrivere il numero di rivelatori posizionati nel controllo “ numero di scansioni” in pagina 1 selezionare, qualora fosse necessario, l’opzione “leggi meccanografico” in pagina 1, altrimenti impostare una base della numerazione selezionare, qualora necessario, l’opzione “ripetibilità” avviare la scansione multipla al termine della scansione multipla il programma propone la scelta di un modello di microsoft excel su cui salvare i dati il programma apre un nuovo file excel sul modello scelto e scarica i dati sul foglio 1 della cartella. Il è personalizzabile dall’utente, fatto salvo il foglio 1 che è quello utilizzato pr lo scarico dei dati salvare il foglio excel nella directory desiderata e chiudere excel prima di procedere ad una nuova scansione. 57 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI Il metodo adoperato per la lettura dei dosimetri CR-39 deve essere tarato a fronte di tre o più esposizioni in atmosfera controllata di radon. La relazione che lega l’esposizione alla densità di tracce è la seguente: Esp = Ft Tr (nette) / (1- K Ac) dove: Ft è il fattore di taratura Tr (nette) è la densità di tracce al netto del fondo Ac è l’area totale coperta dalle tracce in cm 2 K è un fattore moltiplicativo dell’area coperta da determinare sperimentalmente. In fase di taratura l’esposizione, le tracce nette e l’area coperta sono dei valori che si ricavano dalla lettura dei rivelatori, quindi è possibile operare un fit dei dati sperimentale per determinare Ft e K. Per operare una taratura è necessario avere a disposizione dosimetri esposti in atmosfera controllata ad almeno tre diversi livelli di esposizione a Radon. Sono necessari 10 dosimetri e 2 transiti per ciascun livello, più 4 dosimetri per il fondo. I gruppi di dosimetri vanno imbustati insieme a seconda del livello di esposizione cui devono essere sottoposti. I transiti consistono in dosimetri che viaggiano insieme con quelli che vanno spediti per essere esposti in camera radon. I dosimetri per il fondo vanno sottoposti soltanto a sviluppo e devono appartenere allo stesso lotto di quelli di cui si sta operando la taratura. Per la taratura l’operatore deve effettuare una scansione multipla di tutti i rivelatori. Alla fine della scansione i dati verranno visualizzati in formato excel, scegliere modello CR per taratura con 3 punti. I dati vanno prima ordinati secondo l’ordine crescente della densità di tracce in modo da visualizzare prima i dati relativi al fondo, poi quelli relativi ai transiti e successivamente quelli relativi ai tre livelli di esposizione del Radon. Poiché il sistema prevede 10 transiti e 10 esposizioni per ciascun livello. 58 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI Quindi passare a pag 2 del file excel e controllare che i dati occupino le celle corrette. In corrispondenza delle celle dei reference di excel (da analisi dati), quando questo ha finito di operare, bisogna controllare i valori riportati in corrispondenza dello scarto esp. media per ciascun livello di esposizione. Se tali scarti sono inferiori al 10%, allora vuol dire che la vecchia taratura è confermata. Se tali scarti sono inferiori al 10%, bisogna segnarsi i valori calcolati dal risolutore relativamente al: Ft fattore di taratura K moltiplicatore di area coperta Inserirli nel file di setting relativo ai CR-39, da menù- settingCR-39 radon in corrispondenza delle caselle che compaiono sul display in basso a destra e cliccare su OK. 5.4. Risultati analitici Sono state prese in esame 17 grotte distribuite su tutta l’area vulcanica etnea, alcune di queste grotte vengono utilizzate regolarmente per funzioni religiose e per visite guidate ai turisti. Una volta trascorso l’intervallo di tempo stabilito pari a due mesi, i rivelatori sono stati analizzati ed i risultati ottenuti sono visibili in tabella 5.4.1. Nella tabella sono stati riportati i nomi e le coordinate geografiche di ogni grotta, vista la difficoltà in taluni casi nel reperire la stessa. Ad ogni grotta corrisponde il relativo codice del rivelatore utilizzato e le effettive ore di misurazione. I risultati della concentrazione per ogni rivelatore sono espressi nell’unità di misura maggiormente utilizzata nel campo scientifico (becquerel/m3). 59 CAPITOLO 5 METODOLOGIA ANALITICA E RISULTATI ESPOSIZIONE Nome della Grotta codice CR39 longitudine latitudine posizionamento ritiro N° Ore [KBq*h/m^3] Incertezza CONCENTRAZIONE ESP. [Bq/m^3] [KBq*h/m^3] Incertezza CONC, [Bq/m^3] Grotta Pitagora 3115 15° 00' 53" 37° 42' 20" 30/04/2012 01/07/2012 1512 327 43.6 217 29 Grotta del santo 3084 14° 52' 35" 37° 42' 31" 20/04/2012 01/07/2012 1752 982 109 560 62 Grotta delle fate 3133 15° 07' 26" 37° 33' 48" 23/04/2012 02/07/2012 1680 348 45.6 207 27 Grotta acqua vitale 3091 15° 03' 26" 37° 41' 57" 30/04/2012 01/07/2012 1512 147 25.5 97 17 Grotta passo Zingaro 3082 14° 50' 07" 37° 43' 16" 20/04/2012 01/07/2012 1752 295 40.4 168 23 Grotta delle colombe 3076 15° 00' 27" 37° 34' 48" 28/04/2012 02/07/2012 1584 34 14.3 22 9 Grotta cassone 3097 15° 02' 57" 37° 41' 55" 15/04/2012 01/07/2012 1872 55 16.4 29 9 Grotta trelivelli 3110 15° 01' 59" 37° 41' 56" 15/04/2012 01/07/2012 1872 255 36.4 136 19 Grotta fenice 3112 15° 05' 33" 37° 41'30" 15/04/2012 01/07/2012 1872 84 19.3 45 10 Grotta coniglio 3102 15° 03' 14" 37° 41' 56" 15/04/2012 01/07/2012 1872 925 103.3 494 55 Grotta madonna della roccia 3116 14° 59' 30" 37° 35' 44" 28/04/2012 02/07/2012 1584 10 12 7 8 Grotta Sgangheri 3105 15° 01' 16" 37° 34' 05" 20/04/2012 02/07/2012 1776 376 48.4 212 27 Grotta S.Barbara 3078 14° 58' 30" 37° 41' 52" 30/04/2012 01/07/2012 1512 42 15.1 28 10 Grotta dei Ladroni 3090 15° 04' 18" 37° 46' 16" 22/04/2012 01/07/2012 1704 661 76.9 388 45 Grotta sciara curia 3088 15° 03' 18" 37° 30' 42" 17/04/2012 02/07/2012 1848 64 17.3 35 9 Grotta del vescovo 3098 15° 01' 33" 37° 41' 47" 15/04/2012 01/07/2012 1872 326 43.5 174 23 Grotta dei tedeschi 3100 15° 06' 48'' 37° 33' 38" 16/04/2012 02/07/2012 1872 30 13.9 16 7 Tab. 5.I. Risultati analitici 60 CONCLUSIONI CONCLUSIONI Dall’ analisi dei risultati ottenuti sulle concentrazioni del Radon nelle diverse grotte etnee prese in esame, risultano, in generale, valori che non destano preoccupazione dal punto di vista radio protezionistico per l’uomo. In particolare, i tenori più elevati sono stati misurati nella grotta del Santo, sfruttata poche volte l’anno per funzioni religiose o da qualcuno come luogo di preghiera; mentre, il valore più basso è relativo alla grotta Madonna della roccia, anch’essa utilizzata per scopi religiosi. La differenza evidente tra le due suddette grotte riguarda la loro profondità e lunghezza: la prima, infatti, raggiunge quasi gli 800 m in estensione, mentre, la seconda non supera qualche decina di metri. Alti tenori di Radon sono stati misurati anche nelle grotte del Coniglio e dei Ladroni, a conferma del fatto che le grotte più estese e più profonde sono siti di maggiore presenza del gas. In quelle maggiormente visitate da turisti quali, grotta Cassone, Tre livelli e Pitagora, tutte site nel territorio di Zafferana Etnea, non sono stati riscontrati tenori elevati. In particolare, nella grotta Cassone si ha un valore molto basso in proporzione alla sua estensione di quasi 300 m, probabilmente dovuto all’intensa fatturazione della volta relativamente al processo di raffreddamento della lava e quindi alla formazione di un sistema di aerazione interna coincidente con le suddette fratture. Altro valore abbastanza basso risulta quello relativo alla grotta Sciara Curia, sita nei pressi del Viale Mario Rapisardi a Catania e presa in considerazione, durante questo lavoro, per fare un confronto tra le grotte situate all’interno del tessuto urbano catanese e quelle a quote più elevate e in aree non particolarmente antropizzate. Quindi, considerando la bassa concentrazione del gas riscontrata in quasi tutte le grotte e che comunque i valori più elevati sono relativi a grotte in cui la permanenza dell’uomo corrisponde a piccoli intervalli temporali e non molto frequenti, possiamo concludere, dal lavoro svolto, che non risultano particolari problemi per cittadini, guide turistiche e turisti che vogliano visitare tali strutture geologiche sparse sul territorio vulcanico etneo. 61 BIBLIOGRAFIA [1] Neri, M., Giammanco S., Ferrera E., Patane’ G., Zanon V. (2011) Spatial distribution of soil radon as a tool to recognize active faulting on an active volcano: the example of Mt. Etna (Italy), Journal of Environmental Radioactivity, 102, 863-870, doi: 10.1016/j.jenvrad.2011.05.002. [2] De Martino, S., Sabbanese, C. (1997) A method for emanation coefficient measurements of 222Rn from soil, Phys.chem.Earth, vol 22, pp19-23. [3] Sabol, J., Weng, P.S. (1995) Introduction to radiation protection dosimetry, Word Scientific. [4] Denaghe, SJ. (2000) Radon-222 concentration in subsoil and its exhalation rate from a soil sample, Radiation Measurement, vol 32, pp 27-34. [5] Winkler, R., Ruckerbauer, F., Bunzl, K. (2001) Radon concentration in soil gas: a comparison of the variability resulting from different methods, spatial heterogeneity and seasonal fluctuations, The Science of the total Environment, vol 272, pp 273-282. [6] Solomon, SB., Langro, R., Peggie, JR (2006) Esposizione professionale ri radon in grotte turistiche australiane. [7] Gruppo grotte CAI catania (www.mungibeddu.it) 62