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STUDIO SUL BACINO DEL TORRENTE MAIRA
E DEL TORRENTE GRANA-MELLEA
ATTIVITÁ:
STUDIO DI FATTIBILITÀ PER UN INCUBATOIO DI VALLE
TITOLO
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07
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Relazione tecnica
TIPO DI DOCUMENTO
Relazione
SCALA
REALIZZAZIONE
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0
31.03.2006
2 SAL
I. Borroni
P. Turin
P. Turin
REV.
DATA
MOTIVO
REDATTO
VERIFICATO
APPROVATO
Studio sul bacino del torrente Maira e del torrente Grana-Mellea
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INDICE
INTRODUZIONE_____________________________________________________________ 2
1
PREMESSA _____________________________________________________________ 4
1.1
I ripopolamenti ittici in provincia di Cuneo _________________________________ 4
1.2
Problematiche connesse con la produzione di materiale ittico da ripopolamento ___ 6
1.3
Le normative sanitarie che regolano e condizionano i ripopolamenti ittici_________ 9
1.4
Gli allevamenti di trote del bacino Maira/Grana-Mellea______________________ 10
1.4.1
Bacino del Maira _______________________________________________________ 10
1.4.2
Bacino del Grana ______________________________________________________ 11
2.
STUDIO DI FATTIBILITÀ __________________________________________________ 13
2.1
Possibili siti per la localizzazione dell’incubatoio___________________________ 13
2.2
Punti di forza e di debolezza per ciascuna possibile localizzazione ____________ 17
2.3
Progettazione di massima delle strutture ________________________________ 18
2.4
Modelli gestionali delle possibili strutture ________________________________ 22
2.4.1
Individuazione della figura del gestore ______________________________________ 22
2.4.2
Modalità di gestione ____________________________________________________ 23
2.4.3
La produzione _________________________________________________________ 24
2.5
3.
Quadro preventivo costi/benefici _______________________________________ 29
VALUTAZIONE COMPLESSIVA _____________________________________________ 30
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ________________________________________________ 31
APPENDICE A –LOCALIZZAZIONE DELL’INCUBATOIO DI VALLE A MACRA _________A1
APPENDICE B – GRUPPO DI RICERCA ________________________________________B1
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I
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INTRODUZIONE
Bioprogramm s.c.r.l. è stata incaricata dalla Provincia di Cuneo – Settore tutela fauna, caccia e
pesca (Deliberazione n. 6 del 14/01/2004 della Giunta Provinciale) dell’esecuzione di un lavoro
di studio sul bacino del Torrente Maira e Torrente Grana-Mellea. L’iniziativa è approvata e
finanziata dalla Regione Piemonte (DGR n. 54-4768 del 10/12/2001) e si inquadra nell’ambito
dei programmi di intervento in campo ambientale. Detto lavoro è finalizzato al ripristino
ambientale dell’ittiofauna nei torrenti Maira e Grana-Mellea a seguito degli inquinanti
dell’autunno 2001.
In questa relazione è contenuto lo studio di fattibilità per un’incubatoio di valle che prevede
secondo capitolato i seguenti punti:
•
possibile localizzazioni del sito: tenendo conto di:
a) reperibilità/disponibilità del sito, anche attraverso sondaggi presso gli Enti
Territoriali dell'area interessata, Associazioni ed Organismi diversi, nonché
tenuto conto di eventuali strutture già esistenti;
b) realtà associativa piscatoria locale;
c) disponibilità idrica;
d) normativa edilizia e normativa di igiene e profilassi veterinaria.
•
Punti di forza e di debolezza per ciascuna possibile localizzazione: ovvero disponibilità
idrica, custodia, vocazionalità, vincoli edilizi o sanitari con particolare riferimento agli
obblighi di cui al D.P.R. 555/92;
•
Progettazione di massima delle strutture: si evidenzieranno, per le eventuali strutture
già esistenti, gli interventi richiesti; nel caso in cui le strutture non siano disponibili si
procederà ad un progetto di massima ex novo di una possibile struttura razionale e
funzionale alle esigenze del bacino privilegiando quelle soluzioni che siano le più adatte
alla riproduzione artificiale delle specie autoctone di rilievo alieutico rinvenute nel bacino
in esame. Si valuterà in sede di progettazione di massima della possibilità o meno di
prevedere la sola cattura dei riproduttori da fiume o, in alternativa, di prevedere le
vasche di stoccaggio dei riproduttori da mantenere stabilmente in impianto.
•
modelli gestionali delle possibili strutture: si provvederà a:
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a) individuazione della figura del gestore: Associazione/Organismo/Ente/Privato
può gestire la struttura in funzione delle disponibilità manifestate, del livello di
preparazione e di interesse riscontrato dagli interessati e soprattutto dalla
disponibilità effettiva di personale, fisso o volontario messo a disposizione.
b) individuazione delle modalità di gestione: si definiranno le competenze e i
compiti del Gestore, e verrà predisposta la bozza di convenzione tra Provincia
e Gestore ivi compresi i flussi economici previsti.
c) produzione: saranno descritti i cicli produttivi possibili nella struttura e la
produzione realizzabile anche alla luce della valutazione della effettiva
disponibilità di riproduttori riscontrata nelle indagini di campo qualora sia scelta
la via di produzione di sole specie autoctone.
•
quadro preventivo costi/benefici: verrà formulato per ognuno dei possibili siti previsti un
giudizio critico sul rapporto rilevato.
•
valutazione complessiva: sarà di tipo economico, tecnico e gestionale per ognuno dei
possibili siti ove localizzare la struttura con la formulazione di un giudizio complessivo
che indirizzi l'Amministrazione committente sul sito che offre i maggiori vantaggi
complessivi.
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1 PREMESSA
1.1 I ripopolamenti ittici in provincia di Cuneo
La provincia di Cuneo, seconda per estensione in Italia, possiede un reticolo idrografico tra i più
estesi, complessi e differenziati, interconnesso, nella parte pianeggiante del territorio, da una
capillare rete di canali irrigui. Questo sistema idrografico si estende dal tratto superiore del Po
fino al Bormida. Esso può essere distinto essenzialmente in due grandi sottobacini (ad
esclusione di quello del Bormida, che interessa solo marginalmente il territorio cuneese col
ramo di Millesimo):
il sottobacino del Po vero e proprio, comprendente i torrenti principali alto Po, Varaita, Maira e
Grana-Mellea;
il sottobacino del Tanaro, comprendente i torrenti principali Stura di Demonte, Gesso,
Vermenagna, Pesio, Ellero, Corsaglia, alto e medio Tanaro, Belbo.
Tuttto questo vasto territorio è prevalentemente a gestione alieutica della Provincia; vi sono
però diverse aste fluviali dove il diritto di pesca demaniale è dato in concessione e altre dove
vigono diritti esclusivi e usi civici.
Il ripopolamento ittico dei corsi d’acqua pubblici, a carattere esclusivamente troticolo, viene
compiuto da diversi decenni con:
ƒ
novellame prodotto direttamente nella piscicoltura provinciale di Valdieri (Valle
Gesso), dal 2005 riconosciuta ufficialmente indenne a livello comunitario da SEV e
NEI: a) uova embrionate in scatola Vibert (n 1.000.000/1.500.000); b) avannotti a
sacco vitellino riassorbito (n 1.700.000/2.000.000); c) trotelle di cm 4/6 – 6/9 (n
500.000); d) da due anni, a livello sperimentale, circa 10.000/15.000 avannotti di trote
autoctone (tra marmorata e fario di ceppo mediterraneo).
ƒ
trote “pronta pesca” (qualche decina di quintali) acquistate, tramite gara d’appalto, da
troticolture locali (in provincia esistono diversi impianti di piscicoltura, anche
importanti, specializzati nella produzione di materiale da ripopolamento).
Inoltre il Servizio Pesca provinciale svolge un meritorio lavoro di recupero e successiva
ridistribuzione della fauna ittica dai canali e dai corsi d’acqua in secca.
I titolari di concessioni di pesca, usi civici e diritti esclusivi, a loro volta, compiono autonoma
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attività di ripopolamento (sia con materiale adulto che, in misura minore, con novellame).
Nei bacini confluenti del Maira e del Grana-Mellea, oggetto della presente indagine,
l’Amministrazione Provinciale immette annualmente novellame di trota fario prodotto
nell’impianto di Valdieri (circa 240.000 uova embrionate in scatole Vibert, 290.000 avannotti a
sacco vitellino riassorbito, 160.000 trotelle cm 4/6 – 6/9) e trote fario adulte di taglia pescabile
acquistate dal commercio (circa kg 700).
Malgrado questa consistente attività la fauna ittica cuneese, salmonicola ma anche ciprinicola,
è in fase di declino, come testimoniano anche dalle indagini svolte nell’abito di questo studio sui
bacini del Maira e del Grana-Mellea.
Le cause di questo pesante depauperamento sono da individuarsi soprattutto nel degrado degli
ecosistemi fluviali, principalmente per eccesso di prelievi idrici e per sistematici interventi di
disalveo, operati specialmente a partire dalla seconda metà degli anni novanta. A questi
principali fattori negativi si possono aggiungere ripetuti eventi alluvionali, episodi d’inquinamento
idrico acuto e la predazione da parte degli uccelli ittiofagi (amplificata nelle sue dimensioni
dall’alterazione degli habitat). Danni rilevanti sono stati pure provocati, in tempi non
recentissimi, dallo svaso di bacini idroelettrici (Bacino di S. Damiano Macra sul Maira e bacino
di Sampeyre sul Varaita).
Tra le varie cause per le quali il rendimento dei ripopolamenti non sempre appare commisurato
agli sforzi profusi (non solo nel cuneese ma su scala nazionale) viene anche inclusa la scarsa
rusticità e adattabilità all’ambiente naturale dei pesci utilizzati, prodotti a partire da riproduttori
d’allevamento. Inoltre queste immisioni sono all’origine dell’inquinamento genetico dei
popolamenti autoctoni, segnatamente trota marmorata e mediterranea.
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1.2 Problematiche connesse con la produzione di materiale ittico da
ripopolamento
Fino alla fine degli anni ottanta relativamente pochi enti pubblici (Province, Enti Tutela Pesca) o
associazioni di pescatori concessionarie o titolari di diritti di pesca erano dotati di propri impianti
per la produzione di materiale da ripopolamento. Più frequentemente il materiale veniva invece
acquistato da allevamenti industriali e immesso nei corsi d’acqua con modalità spesso
improprie e sicuramente inefficaci (rilascio contemporaneo di grandi numeri di pesci, stressati
da lunghi viaggi, in zone molto concentrate e di facile accesso).
Con gli anni ‘90 è venuta consolidandosi la tendenza a dotarsi, da parte degli organismi pubblici
o privati a vario titolo deputati alla gestione della pesca, di propri impianti ittici con finalità
esclusivamente di ripopolamento.
In questo senso ha avuto molta risonanza l’esperienza della Provincia di Torino (priva di proprie
strutture produttive) che, con le società di pesca, ha costituito per ogni vallata i Consigli di Valle
dei Pescatori, riuniti nell’Unione dei Consigli di Valle, che si sono dotati, col finanziamento e
sotto il controllo provinciale (sia per la costruzione che per la gestione ordinaria) dei cosiddetti
incubatoi ittici di valle. I Consigli di Valle, su delega provinciale, si fanno carico, oltre che della
produzione del pesce da ripopolamento anche dell’immissione in natura dello stesso e dei
recuperi in caso di asciutte.
Molte altre pubbliche amministrazioni hanno invece seguito la via della gestione diretta dei
propri impianti da ripopolamento, delle semine e dei recuperi.
Altre zone (alta Val Sesia, Val d’Ossola) sono gestite direttamente da associazioni di pescatori
già operanti in loco.
La Provincia di Cuneo, dotata da decenni di una propria struttura di rilevante potenzialità, per
molto tempo ne ha curato direttamente la gestione, mentre dal 2000 ha optato per una
soluzione mista: l’attività produttiva nel proprio impianto è stata affidata, in convenzione e sotto
il controllo dell’ente pubblico stesso, a privati, mentre la Provincia continua a gestire
direttamente sia le semine che i recuperi.
Dal punto di vista tecnico tre sono le possibili opzioni per la scelta della strategia da seguire
nella produzione del novellame troticolo da ripopolamento (non necessariamente queste sono
tra loro alternative ma possono essere, eventualmente, complementari), ciascuna con pregi e
difetti:
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1.
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Il metodo più tradizionale e agevole prevede l’acquisto di uova embrionate da ditte
specializzate e le fasi che vengono svolte nell’impianto da ripopolamento consistono
nella schiusa, nel riassorbimento del sacco vitellino, nello svezzamento e
nell’accrescimento fino allo stadio vitale prescelto per l’immissione in acque pubbliche.
In passato le uova fornite dal commercio derivavano tutte da riproduttori di ceppo
atlantico, selezionati per l’allevamento e quindi adattati all’ambiente artificiale e
geneticamente poco dotate di biodiversità intraspecifica. Ancora attualmente questo
tipo di prodotto è il più diffuso e il materiale da esso derivato è quello normalmente
utilizzato per le semine; esso è andato costituendo, nel tempo, il grosso del
popolamento troticolo delle acque italiane, in parte soppiantando le popolazioni
autoctone, in parte ibridandole. Recentemente alcuni allevatori hanno selezionato
riproduttori di ceppo mediterraneo (di provenienza appenninica o alpino occidentale).
Questo tipo di materiale, di norma venduto a prezzi molto superiori rispetto a quello
atlantico, si presta a possibilità di speculazioni, in quanto la differenziazione su base
morfologica del novellame di ceppo atlantico rispetto a quello mediterraneo è
praticamente impossibile e accertamenti di tipo genetico (DNA mitocondriale e
nucleare) risultano oltremodo onerosi. Affidarsi alla sola parola dell’allevatore può
esporre a brutte sorprese. D’altro canto non è sempre vero che il novellame di ceppo
atlantico d’allevamento mal si adatti agli ambienti naturali. Infatti sono numerosissimi i
casi di popolazioni strutturate e autoriproduttive costituitesi nei nostri corsi d’acqua a
partire da immissioni di novellame atlantico riadattatosi alla vita selvatica. Per quanto
riguarda la difficoltà delle trote d’allevamento di ceppo atlantico a riprodursi
naturalmente in ambiente naturale va chiarito che di norma non vengono applicate
sulle trote fario, come da qualcuno asserito, tecniche di sterilizzazione (molto costose
e tecnicamente impegnative) se non su specifica richiesta. Il problema principale, dal
punto di vista della capacità riproduttiva, è invece quello che, per soddisfare la
richiesta di mercato, i produttori di uova esercitano una selezione zootecnica volta ad
ampliare al masssimo il periodo di ovodeposizione delle trote, con creazione di gruppi
di riproduttori a maturità anticipata o ritardata (da ottobre a febbraio!). Questa
selezione si esercita in direzione esattamente opposta a quella che si opera in natura,
dove possono conseguire successo riproduttivo solo le trote che maturano
sessualmente nello stesso periodo. Ecco perchè sarebbe da evitare la semina nelle
stesse acque di novellame nato in periodi cronologicamente sfasati.
2.
Diversi incubatoi di valle, che si prefiggono essenzialmente la produzione di limitati
quantitativi di novellame di origine autoctona (soprattutto di marmorata) per il ripristino
o l’ampliamento dell’areale di distribuzione di particolari popolazioni, catturano i
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riproduttori selvatici in natura, in prossimità del periodo riproduttivo e ne ottengono
l’ovodeposizione e la fecondazione, per poi rilasciarli. Questa procedura consente
sicuramente di disporre di materiale assolutamente comparabile con quello naturale e
adatto ad un facile inserimento in natura (appare però un controsenso, in questo caso,
svezzare gli avannotti per portarli allo stadio di trotella). Non mancano però gli aspetti
negativi anche in questa procedura: la genetica dei riproduttori catturati non è
controllabile in quanto si opera una selezione su base solamente fenotipica; la cattura
dei riproduttori è aleatoria, in quanto subordinata alle condizioni idrologiche naturali
che, nel periodo riproduttivo autunnale, spesso non sono ideali per eccesso di portate
idriche; i riproduttori non di rado, dopo il rilascio, vanno incontro a mortalità causate da
micosi, conseguenti alle manipolazioni subite; inoltre, se si esegue il prelievo dei
riproduttori su popolazioni non particolarmente consistenti, si corre il rischio di
interferire con la riproduzione naturale, procurando più danni che vantaggi.
3.
La terza opzione tecnicamente possibile per produrre novellame da semina consiste
nel selezionare in cattività i riproduttori a partire da popolazioni autoctone o,
quantomeno, selvatiche. In questo caso si procede all’allevamento degli avannotti
ottenuti dai riproduttori catturati in natura fino a che questi, a loro volta, abbiano
raggiunto la taglia riproduttiva. Operando in questo modo si può eseguire un controllo
genetico, oltre che morfologico, del materiale prodotto. Sussistono però, anche in
questo caso, aspetti negativi: per l’accrescimento e la stabulazione dei riproduttori e la
loro rimonta occorrono strutture ben più importanti che non quelle occorrenti per
operare come descritto al punto precedente; i pesci allevati vengono sottoposti a un
processo di addomesticamento e ad una inevitabile selezione in senso zootecnico,
con conseguente perdita di biodiversità (“effetto del fondatore” o collo di bottiglia
genetico). In sostanza si ripete il percorso compiutosi per i ceppi di fario atlantica già
in passato selezionati in cattività. Si arriverà, quindi, a creare trote “di allevamento”
marmorate o fario di ceppo mediterraneo, anziché di ceppo atlantico. Come si vede la
produzione di pesci da ripopolamento pone problemi estremamente più complessi di
quanto non si pensi comunemente nel mondo dei pescatori e la soluzione più
opportuna (mai comunque senza problematicità) non necessariamente è sempre la
stessa in qualunque contesto. Non è superfluo comunque ribadire che la più efficace e
corretta tutela dei popolamenti ittici naturali è quella che si esplica attraverso la
conservazione degli habitat acquatici. In un ecosistema fluviale equilibrato, con una
corretta gestione della pesca, il ruolo dei ripopolamenti viene considerevolmente
ridimensionato. Purtroppo situazioni favorevoli di questo tipo vanno drammaticamente
rarefacendosi.
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1.3 Le normative sanitarie che regolano e condizionano i ripopolamenti ittici
L’allora Ministero della Sanità, con Ordinanza 2 settembre 1996 ha previsto che le semine in
acque pubbliche possano effettuarsi solo con pesci e uova embrionate provenienti da Aziende o
Zone ufficialmente riconosciute indenni, con atto della CE, dalle patologie virali Setticemia
Emorragica Virale e Necrosi Ematopoietica Infettiva.
Il DPR 555/92, attuativo della Direttiva 91/67 CEE, aveva previsto le norme e le modalità per il
controllo e l’eradicazione di queste patologie (elenco II, allegato A). Successivamente ulteriori
norme applicative sono state introdotte dal DPR 263/97, attuativo della Direttiva 93/53 CEE. La
normativa comunitaria non ha fissato però regole per le semine in acque pubbliche, pertanto
l’ordinanza
ministeriale del 96 costituisce, almeno fino ad oggi, una specificità italiana,
estensiva rispetto alle norme comunitarie. Comunque diverse ordinanze ministeriali hanno
ripetutamente previsto deroghe applicative, l’ultima delle quali, risalente al 29 dicembre 03,
aveva fissato la scadenza ultima per l’applicazione della norma al 30 giugno 2005.
Successivamente a tale scadenza il Ministero della Salute ha però emanato (provvedimento
datato 21/09/05 ma pubblicata sulla G.V. il 22.11.2005) una ulteriore ma parziale proroga che
consente, per 18 mesi dalla sua entrata in vigore, di seminare in acque pubbliche anche alle
aziende che abbiano attivato l’iter di riconoscimento e la cui domanda abbia già superato il
vaglio del Ministero stesso.
Il DPR 555/92 prevede due diverse possibilità di indennità: aziende indenni in zone continentali
non indenni e aziende indenni in zone indenni.
L’iter procedurale per ottenere il riconoscimento è lungo, complesso e articolato e non è il caso
di approfondirlo nei dettagli in questa sede. Dura ben quattro anni per le aziende presistenti e
circa uno per quelle nuove. Esso prevede una serie di adempimenti burocratici e controlli
veterinari, con analisi virologiche, ma anche specifici requisiti strutturali, il più importante dei
quali è l’alimentazione idrica esclusivamente con acqua sorgiva o di pozzo per le aziende in
zone non indenni. Per il riconoscimento di zona indenne è invece necessario, tra l’altro, che il
bacino idrografico interessato presenti un ostacolo insormontabile per la fauna ittica proveniente
da valle (di fatto questo requisito, nel caso di barriere artificiali, contrasta con le leggi sulla
pesca che impongono la costruzione di scale di risalita per l’ittiofauna). Il riconiscimento di
indennità non è definitivo ma subordinato all’effettuazione di almeno due controlli virologici
annuali sempre con esito negativo e all’introduzione in azienda esclusivamente di pesci, uova
embrionate o gameti provenienti esclusivamente da altra azienda indenne o da zona indenne,
come da relativa attestazione dei servizi veterinari.
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Si consideri dunque necessario, prima di programmare la realizzazione di un nuovo impianto di
piscicoltura o di rilevarne uno già esistente, valutarne la piena compatibilità coi vincoli sanitari
ora ricordati.
Esiste però una nota del Ministero della Sanità del 30/05/2000 che consente di derogare a
queste norme agli incubatoi ittici di valle che svolgano ”campagne ittiogeniche finalizzate alla
tutela della biodiversità e quindi alla salvaguardia delle specie autoctone ed endemiche”. La
deroga non è tuttavia assoluta ma può applicarsi solamente ove ricorrano le seguenti
condizioni:
•
lo sviluppo delle uova derivanti da spremitura di pesci selvatici deve avvenire in
impianti esclusivamente destinati a tale scopo;
•
l’immissione dei prodotti derivati dalle uova incubate deve avvenire nella stessa zona
da cui sono stati prelevati i riproduttori;
•
nell’impianto non devono essere presenti riproduttori se non per il tempo
necessario alla spremitura;
•
la zona da cui vengono prelevati i riproduttori deve essere la stessa in cui si trova
l’incubatoio ed in essa devono defluire le acque di scarico dello stesso.
Si precisa, inoltre, che dovrebbe essere data comunicazione al Ministero del compimento di tale
tipo d’attività . Inoltre i servizi veterinari possono comunque svolgere attività di controllo, con
prelievo di liquido ovarico e analisi virologica dello stesso, durante le fasi di spremitura.
1.4 Gli allevamenti di trote del bacino Maira/Grana-Mellea
Nei due bacini confluenti allo studio sono localizzati impianti di troticoltura dalle caratteristiche
alquanto differenti, sia per localizzazione, che per approvvigionamento idrico, che per tipo e
quantità di produzione. In particolare si differenziano i piccoli impianti di montagna da quelli
importanti di pianura. Alcune di queste troticolture sono attualmente in disuso.
1.4.1 Bacino del Maira
Gli allevamenti ditrote presenti nel bacino del Maira sono:
-
in alta valle, a Ponte Maira, esiste un piccolo impianto con acqua di torrente che
produce pesce da consumo (trote iridee) venduto al dettaglio; esso compie solamente
l’ingrasso finale di qualche quintale di trote acquistate dai grossi allevamenti di pianura;
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-
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sempre in alta valle, a Maddalena di Prazzo, esiste un impianto rudimentale, costituito
solo da vasche in terra, in disuso da moltissimi anni; subito a valle di questo, alimentato
dalla medesima acqua sorgiva, esiste un laghetto di pesca facilitata che ha cessato
l’attività nel 2004; attualmente la zona, di fatto, è una distesa acquitrinosa dove si
disperde l’acqua della sorgente perenne, che sgorga proprio sotto la frazione
Maddalena;
-
a Dronero, circa 100 metri a valle del Ponte Nuovo in sponda destra di Maira, esistono
due strutture della locale società pescatori, in disuso da decenni e attualmente
inutilizzabili in quanto in pessime condizioni: si tratta di un piccolo edificio incubatoio,
ormai privo delle attrezzature di schiusa, in passato alimentato da acque derivate dal
canale Marchisa e, una cinquantina di metri più a valle, di quattro vasche in cemento a
cielo aperto che prendevano acque dal canale Presidenta;
-
in pianura, a Suniglia nel saviglianese, esiste una troticoltura, anch’essa in stato di
abbandono da anni, in quanto è venuta meno, per l’abbassamento della falda,
l’alimentazione idrica che derivava da risorgive sgorganti poco distante dal Maira, in
sponda destra.
1.4.2 Bacino del Grana
Gli allevamenti ditrote presenti nel bacino del Grana sono:
-
nella media valle, a Pradleves, esiste un laghetto di pesca sportiva, alimentato da
acqua di torrente, che acquista e rivende solamente pesce da consumo (trote iridee) già
adulto;
-
nella bassa valle, a Valgrana, esistono due piccole troticolture, una alimentata da acqua
di torrente l’altra da una sorgente, che compiono l’ingrasso di poche decine di quintali
di trotelle iridee, acquistate dagli allevamenti di pianura e vendute al dettaglio; a monte
di queste, presso il vecchio mulino di S. Maria, lungo un canale irriguo che deriva dal
Grana, esiste un piccolissimo impianto (4 vasche in cemento) in stato di abbandono da
decenni;
-
nella pianura di Centallo esistono due grandi impianti che producono complessivamente
alcune migliaia di quintali di trote, iridee e fario, e salmerini venduti a diverse pezzature
e con diverse destinazioni; in particolare l’azienda Canali Cavour, alimentate con
l’acqua delle ricchissime risorgive dei Sagnassi, in sponda sinistra di Grana, è la più
importante troticoltura del Piemonte Occidentale e una delle più importanti d’Italia per
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quanto riguarda la produzione di materiale da ripopolamento; l’altra azienda di rilievo
(Monetto, in territorio comunale di Fossano) utilizza una parte delle acque dei Sagnassi
reflue dalla Canali Cavour, acque di Grana e acque di altre risorgive minori sulla sponda
destra di Grana;
-
poco più a valle delle precedenti, a Mellea di Fossano, esiste un impianto, alimentato
con acqua di pozzo, ove viene stabulato pesce da consumo (trote iridee) in attesa della
lavorazione nell’annesso importante laboratorio di eviscerazione e filettatura (lavora
circa un migliaio di quintali l’anno).
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2. STUDIO DI FATTIBILITÀ
2.1 Possibili siti per la localizzazione dell’incubatoio
Per sondare l’interesse nei confronti dell’eventuale realizzazione di un incubatoio ittico di valle
nel comprensorio Maira e Grana-Mellea è stata convocata dall’Ufficio Pesca della Provincia, in
data 19/10/05, una riunione a cui sono stati formalmente invitati le associazioni piscatorie, le
Comunità Montanee e i Comuni territorialmente interessati. A detta convocazione hanno aderito
rappresentanti delle società pescatori di Villafalletto, Busca, Caraglio, Dronero, Savigliano, il
comune di Pradleves oltre a FIPS e Pescambiente.
Successivamente sono stati attivati altri contatti e sopralluoghi di approfondimento con la
FIPSAS provinciale e le associazioni pescatori di Caraglio e Dronero.
Sulla base della conoscenza dei luoghi e degli ulteriori sopralluoghi, sentito anche il parere degli
agenti di vigilanza provinciali operanti sul territorio e dei rappresentanti dei pescatori locali, si
ritiene di individuare solamente due siti potenzialmente confacenti alle esigenze di un
incubatoio ittico, entrambi collocati nel territorio della Valle Maira .
La scelta è stata indirizzata verso acque sorgenti, in quanto è oggi tecnicamente del tutto
inadeguato il ricorso ad acque superficiali per alimentare incubatoi ittici, anche a prescindere
dalla normativa sanitaria vigente (problemi di grigliatura, di solidi sospesi, di costanza qualiquantitativa dell’acqua e di trasmissione di patologie); inoltre sono da escludersi acque di pozzo
per gli elevatissimi costi del pompaggio ma anche dei sistemi di sicurezza ed emergenza
necessari ad un impianto la cui alimentazione idrica dipenda dall’energia elettrica.
Nel bacino del Grana è stata individuata solamente una piccola sorgente perenne ancora non
destinata a uso potabile (attuale portata, dopo un periodo piovoso, non più di 4/5 l/s), che
sgorga subito a valle della borgata Armandi (comune di Valgrana). Data la scarsa portata non si
è ritenuto di prenderla in considerazione, essendo più interessanti le due sorgenti della Valle
Maira.
I due siti in questione, entrambi in sinistra orografica del Maira, si trovano:
-
SITO n. 1: a Maddalena di Prazzo (vedere capitolo dedicato alle troticolture esistenti);
-
SITO n. 2: circa 700 metri a valle dell’abitato di Macra (150 metri a monte del bivio per
Camoglieres).
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SITO n. 1: Maddalena di Prazzo
Si tratta della sorgente che sgorga subito sotto l’abitato e che alimentava una vecchia
piscicoltura e un laghetto di pesca sportiva entrambi oggi abbandonati. La disponibilità di acqua
sorgiva è significativa (minimo 20 l/s in magra), con temperatura piuttosto fredda, in quanto
variante tra un minimo di 4°C e un massimo di 8°C (siamo a 1100 metri di quota, in una gola
stretta e ombrosa). Non esistono strutture edilizie e il terreno (agricolo) su cui sarebbe possibile
localizzare l’impianto appartiene a due diverse proprietà. Attualmente il flusso idrico è mal
incanalato e viene a creare una zona paludosa.
Foto 2.1 – Sorgente Maddalena
Foto 2.2 – Laghetto Maddalena
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SITO n. 2: A valle di Macra
Si tratta invece di due ruscelletti sgorganti circa una cinquantina di metri a monte e confluenti
accanto a due edifici in stato di abbandono (diverse proprietà), situati immediatamente a destra
della ex SS 22 di Valle Macra, 150 metri a monte del bivio per Camoglieres (quota metri 850, La
disponibilità idrica è relativamente modesta, valutata tra 4 l/s in magra e 10 l/s attualmente (fine
ottobre, dopo periodo relativamente piovoso), si ritiene comunque sufficiente per la schiusa di
140.000 uova e riassorbimento del vitellino degli avannotti schiusi; l’escursione termica
dell’acqua è tra 5 e 10°C. Non esiste altra possibilità di localizzare l’incubatoio al di fuori di uno
dei due edifici già esistenti, entrambi richiedenti consistenti lavori di sistemazione
Foto 2.3 – Sito individuato a Macra
Si riporta successivamente l’estratto catastale del comune di Macra con i mappali
eventualmente interessati:
Tabella 2.1 – Mappali eventualmente interessati
FOGLIO
MAPPALE
ESTENSIONE
PROPRIETARIO
Conte Fiorenzo (referente principale) - Villar S. Costanzo, nato
a Macra il 28.05.55
6
354
0,48 are
Conte Bruno - nato a Cuneo il 19.02.1914
Conte Maria Lucia - nata a Macra il 19.02.1914
Conte Marco - nato a Macra il 23.07.1951
6
355
2,83 are
Chialva Maddalena – Dronero, nata a Macra il 16.10.1932
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Figura 2.1 - Estratto catastale del comune di Macra con evidenziati i mappali
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2.2 Punti di forza e di debolezza per ciascuna possibile localizzazione
Passiamo ora ad esaminare i punti di forza e di debolezza di ciascuna delle due possibili
localizzazioni sopra indicate.
SITO n. 1: Maddalena di Prazzo
Aspetti positivi:
-
risorsa idrica consistente;
-
esteso terreno semipianeggiante;
-
possibilità di ampie vasche esterne.
Aspetti negativi:
-
localizzazione molto decentrata, con problemi di eccessiva distanza e marginalità
rispetto all’insieme del territorio interessato;
-
quota altimetrica piuttosto elevata (m 1100 slm) e sito pochissimo soleggiato, con
possibiltà di condizioni ambientali invernali alquanto difficili;
-
accessibilità stradale poco favorevole;
-
due diversi proprietari coinvolti (limitare l’acquisizione ad uno solo dei due
appezzamenti può creare rapporti di difficile vicinato);
-
situazione attuale di impaludamento del sito, con necessità di interventi di risanamento
(impossibile senza l’acquisizione dell’appezzamento più a monte);
-
costi di acquisto e sistemazione del sito sicuramente più elevati;
-
notevole distanza del sito dalla zona di eventuale cattura dei riproduttori di marmorata
(specie di preminente interesse come successivamente meglio evidenziato);
-
assenza di edifici già esistenti;
-
ostilità degli abitanti della vicinissima frazione Maddalena alla realizzazione di una
piscicoltura, già esternatasi in passato (contrasti con la proprietà dell’allevamento più a
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monte, accusato di creare “nebbie e umidità”).
SITO n. 2: A valle di Macra
Aspetti positivi:
-
localizzazione meno decentrata, accessibilità stradale molto più agevole;
-
quota meno elevata (m 850 slm) e più favorevole esposizione;
-
esistenza di due edifici in muratura, su due piani ciascuno, di dimensioni adeguate, in
cattivo stato ma recuperabili, uno dei quali utilizzabile allo scopo;
-
minori costi di sistemazione del sito;
-
localizzazione più consona dal punto di vista anche della zonazione ittica.
Aspetti negativi:
-
disponibilità idrica inferiore;
-
mancanza di terreno pianeggiante a disposizione.
Nessuno dei due siti si presenta come assolutamente ottimale ma, tutto sommato, quello di
Macra si presta a soluzioni meno costose e più facilmente realizzabili, nonché a una gestione
molto meno problematica, anche se l’impianto avrebbe potenzialità produttive molto più ridotte.
Quest’ultimo aspetto, dato che si trattrebbe di realizzare soltanto un incubatoio di valle, non
sembra sufficiente per privilegiare la scelta assai più impegnativa e disagevole del sito di
Maddalena.
2.3 Progettazione di massima delle strutture
Come già evidenziato nel capitolo relativo alle vigenti normative sanitarie, gli impianti che
svolgono, in maniera obbligatoriamente esclusiva “campagne ittiogeniche finalizzate alla tutela
della biodiversità e quindi alla salvaguardia delle specie autoctone ed endemiche” non possono
stoccare in maniera permanente i riproduttori. Questo vincolo induce a scegliere l’opzione
Macra, anche se il sito non dispone di terreno pianeggiante per la realizzazione di vasche
esterne che, comunque, non servirebbero. Per lo stoccaggio temporaneo di riproduttori da
spremere posssono bastare tre vasche circolari in vetroresina (una per le femmine da
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spremere, una per i maschi da spremere e una per i pesci già spremuti da liberare), piazzate
all’interno di uno dei due edifici esistenti. D’altro canto non si pone neppure a livello ipotetico
l’eventualità di realizzare nelle valli Maira o Grana un impianto con finalità produttive diverse
dalle suddette (l’impianto provinciale di Valdieri, con riconoscimento d’indennità da SEV e NEI,
è in grado di coprire il fabbisogno di novellame non autoctono per tutta la provincia).
La progettazione di massima dell’impianto di Macra riguarderebbe i seguenti aspetti:
1. Acquisto e sistemazione di uno dei due edifici esistenti (Foto 2.4), con recinzione della
struttura; l’edificio prescelto come più idoneo possiede tre piani: i due inferiori dovrebbero
ospitare le vasche e quello superiore il magazzino (e ricovero personale non “ufficiale”);
piano superiore: attualmente è un sottotetto in un unico spazio (Foto 2.6) ma il tetto (Foto
2.5),
tradizionale in lose (lastre di gneiss lamellare), è in buone condizioni, mentre un
balcone esterno è da rifare; piano intermedio: la soletta superiore si presenta (Foto 2.7) in
pessime condizioni, si deve abbattere una parete divisoria non portante per ottenere uno
spazio unico da destinare alle vasche di schiusa, spazio utile m 6,9 x 4,5; piano inferiore, a
livello strada (Foto 2.8):soffitto a volta in buone condizioni, battuto in cemento x pavimento
da fare, spazio utile m 6,6 x 4,5; per tutta la casa gli infissi (sei finestre piccole e due porte)
sono da rifare, salvo il portone a piano terra; non c’è linea dell’energia elettrica (non
indispensabile); esiste un servizio igienico esterno da rifare, collegato con pozzo nero. Il
costo stimato per le vie brevi è di circa 70.000 – 75.000 Euro.
Foto 2.4 – Edificio individuato come idoneo ad ospitare l’incubatoio
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Foto 2.5 - Tetto
Foto 2.6 - Piano superiore
Foto 2.7 - Piano intermedio
Foto 2.8 - Piano terra
2. Realizzazione di canalette e vasca di raccolta esterna (m 2,5 x 2 su basamento in cemento
già esistente) delle acque confluenti dalle due sorgenti, con sistema di grigliatura orizzontale
dei materiali trasportati in sospesione (i due ruscelli scorrono nel bosco per uno sviluppo
complessivo di circa 150 metri); il costo presunto è stimabile in circa 8.000 – 10.000 Euro.
3. Realizzazione del sistema idraulico per la distribuzione dell’acqua dalla vasca di carico alle
vasche d’allevamento su due piani distinti: al piano superiore sei vasche a truogolo per la
schiusa (vedere punto seguente) e a quello inferiore un altro truogolo analogo ai precedenti
più tre vasche circolari per la stabulazione dei riproduttori, il tutto alimentato con l’acqua
recuperata dai truogoli del piano soprastante (il dislivello disponibile consente la
riossigenazione dell’acqua in caduta attraverso colonne a corpi di riempimento); sistema di
raccolta e smaltimento dell’acqua reflua finale; il costo presunto è stimabile in circa 4.000 –
6.000 Euro.
4. Dotazione di vasche (Foto 2.9 e Foto 2.10): due vasche circolari in vetroresina da m 2 di
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diametro + una di m 1,6 per i riproduttori; sette truogoli di schiusa in vetroresina di m 3,6x
0,8 x 0,3 (capacità di schiusa 20.000 uova ciascuno) con 14 telaini per schiusa uova. Il costo
presunto è stimato in circa 10.000 – 12.000 Euro.
Foto 2.9 (sopra) - vasca circolare
Foto 2.10 (di lato) – vasca schiusa
In termini di sintesi finale il costo presunto di massima dell’operazione varia fra 92.000 e
103.000 Euro.
Autorizzazioni e concessioni necessarie
Si ritengono necessarie le seguenti autorizzazioni:
Comune: licenza edilizia;
Provincia: concessione di derivazione idrica e autorizzazione di scarico in acque pubbliche
(assimilabile a scarico domestico, in quanto piscicoltura con alimentazione idrica inferiore a 50
l/s).
ASL: agibilità
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Figura 2.2 – Schema del sistema idraulico e della sistemazione delle vasche (SCALA 1:100)
2.4 Modelli gestionali delle possibili strutture
2.4.1 Individuazione della figura del gestore
Qui di seguito vengono fornite le informazioni relative alle associazioni di pesca che potrebbero
partecipare al progetto di gestione dell’incubatoio ittico:
Denominazione: FIPSAS, sezione provinciale di Cuneo
Sede sociale: via Meucci n 22, Cuneo
Titolare del diritto esclusivo di pesca sul Maira in comune di S. Damiano Macra
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Denominazione: Società Pesca Sportiva Dilettantistica Caragliese (onlus)
Sede sociale : via Bisalta n. 8, Caraglio
Presidente: Daniele Enzo
Numero soci: 79
Affiliata alla F.I.P.S.A.S.
Denominazione: Società Pesca Sportiva Sandamianese (onlus)
Sede sociale: via Arturo Garino 8, San Damiano Macra
Presidente: Garnero Mario ( tel. 0171-900033)
Numero soci: 42
Affiliata alla F.I.P.S.A.S.
Denominazione: Associazione Pescatori Sportivi “Dronero”
Sede sociale: via Roma 9, Dronero
Presidente: Ing. Bianco Alberto ( tel. 0171-905105)
Numero soci: 120
Gestisce su delega del Comune di Dronero l’uso civico comunale di pesca
2.4.2 Modalità di gestione
Per quanto riguarda la gestione dell’impianto di spremitura, incubazione e schiusa esiste il
consenso delle associazioni pescatori di Caraglio, Dronero e S. Damiano a garantire la
disponibilità di personale volontario; per quanto concerne le fasi di recupero e rilascio dei pesci
queste potranno essere svolte, nella zona a diritto esclusivo di pesca e nell’uso civico, sempre
da personale volontario (dotato di proprie attrezzature) delle tre associazioni e della FIPSAS,
mentre nelle acque libere occerrerà anche la collaborazione del personale provinciale.
Naturalmente gli addetti all’incubatoio (almeno tre persone che possano garantire, a turno, la
presenza nel periodo novembre/marzo) dovranno essere formati tecnicamente con l’assistenza,
per un paio di cicli, di tecnico locale competente (si segnala la disponibilità del Dott. Ivan
Borroni).
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Il rapporto tra Provincia e associazioni pescatori garanti della gestione sarà regolato da una
convenzione che terrà conto degli aspetti seguenti.
La Provincia, che ne sarà proprietaria, si dovrebbe assumere gli oneri di acquisto,
ristrutturazione e dotazione di attrezzature per la piena funzionalità della struttura e di eventuali
consulenze tecniche.
La gestione comporterà la presenza quotidiana in impianto (comprese festività) di almeno un
addetto, per il tempo occorrente a svolgere il lavoro necessario (controllo della regolarità del
rifornimento idrico, pulizia delle griglie, controllo dei riproduttori dopo la cattura, con eventuali
disinfezioni, monda delle uova bianche in fase di embrionatura, controllo degli avannotti dopo la
schiusa). Agli addetti, tramite le associazioni pescatori interessate, potrebbe essere
riconosciuto dalla Provincia un rimborso delle spese di viaggio da casa fino all’impianto e
ritorno; potrebbero essere inoltre rimborsate le spese sostenute nelle fasi di recupero e rilascio
dei pesci e quelle relative al materiale di consumo (eventuali mangimi per riproduttori in
stabulazione, disinfettanti, gas per lampade da illuminazione, combustibile per riscaldamento
magazzino e quant’altro occorresse).
Il materiale da ripopolamento prodotto potrebbe essere ridistribuito nelle seguenti proporzioni:
acque libere provinciali 60% (metà per la Val Maira e metà per la Val Grana), riserva di Dronero
20%, riserva FIPSAS 20%. Il materiale verrà seminato allo stadio di avannotto a sacco vitellino
riassorbito, prima della somministrazione di alimento. Nei tratti di corso d’acqua dove verrà
immesso detto materiale non si dovrà eseguire nessun altro tipo d’immissione.
2.4.3 La produzione
L’indagine ittiologica svolta nell’ambito di questo studio dimostra con capillari campionamenti (a
conferma anche di alcuni altri dati del 2002 relativi alla stazione di Monterosso Grana sul
torrente Grana, e alle stazioni di Macra e Dronero sul torrente Maira) che la situazione delle
specie ittiche autoctone del bacino considerato è critica e addirittura drammatica per quel che
riguarda le due specie salmonicole di preminente interesse faunistico e alieutico: la trota
marmorata e, soprattutto il temolo.
Lo studio ittiologico non ha consentito di rilevare, a livello fenotipico, l‘esistenza nel Maira-Grana
di una popolazione chiaramente riferibile alla trota fario di ceppo mediterraneo (presente invece
nel vicino bacino dello Stura), entità faunistica le cui connotazioni tassonomiche e
zoogeografiche sono ancora dibattute tra gli ittiologi, tra i quali esistono in merito posizioni molto
discordanti.
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Una popolazione di temolo risulta di fatto attualmente assente dal Maira e dal Grana (forse
possono ancora essere presenti pochi individui superstiti). Per tentare il recupero di questa
specie la Provincia ha realizzato un apposito studio su tutto il territorio di competenza, le
risultanze del quale (Graia, 2002) hanno documentato la scomparsa di tutte le popolazioni
provinciali (un tempo ricchissime, anche nel Maira e nel Grana). Ne è conseguita la decisione di
non poter svolgere per il temolo attività di piscicoltura fondate sul recupero di riproduttori
selvatici e si è optato per il tentativo di ricostituire almeno una popolazione naturale
autoriproduttiva, in un tratto di Stura (Demonte) non ancora interessato da pesanti prelievi idrici
e/o interventi di disalveo. In questo sito vengono attualmente concentrati gli individui dispersi
rinvenuti sporadicamente nei recuperi durante le annuali asciutte dei canali irrigui, dove i rari
temoli superstiti sembrano cercare rifugio.
In prospettiva, qualora l’esperienza sullo Stura si confermasse positiva, si potrebbe trasferire
tale tipo d’intervento sul Maira (zona di Macra).
Per quanto riguarda la trota marmorata la situazione, pure gravemente critica, pare più
articolata.
Su questa preziosa specie dovrebbero, attuarsi eventuali attività ittiogeniche di tutela nei bacini
Maira e Grana-Mellea.
Le indagini svolte nell’ambito di questo studio hanno rilevato, in alcune parti delle aste
vocazionali di entrambi i torrenti allo studio, una presenza ancora non trascurabile di trota
marmorata, presente però, in stragrande maggioranza, nella forma ibrida con la trota fario (da
rilevare come le aste tra Castelletto di Busca e Vottignasco, sul Maira, e tra Valgrana e
Centallo, sul Grana, “zone a temolo/marmorata”, siano in realtà sottoposte nel periodo estivo a
prelievi idrici indiscriminati, che causano condizioni di totale assenza di scorrrimento idrico
superficiale).
In particolare i pescatori locali segnalano la risalita in periodo riproduttivo di trote marmorate,
per lo più ibride ma anche fenotipicamente pure a valle della diga Paschero in Dronero e della
diga di S. Damiano (Foto 2.11 e Foto 2.12). Qui tuttavia le “freghe” (Foto 2.13) sono comunque
destinate ad avere scarso esito perché durante la magra invernale restano prevalentemente in
secca
In questo sito sarebbe auspicabile il recupero dei riproduttori di marmorata risaliti i quali, dopo
spremitura, potrebbero essere rilasciati a monte degli sbarramenti.
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Foto 2.11 – Diga di Dronero
Foto 2.12 – Diga di San Damiano
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Foto 2.13 – Freghe a valle della diga di San Damiano
La diga di Dronero si trova nell’uso civico comunale e quella di S. Damiano nella riserva
FIPSAS.
Analogamente si potrebbero eseguire sul Grana recuperi di marmorate, eventualmente presenti
in epoca riproduttiva, sotto lo sbarramento di Valgrana (Foto 2.14 e Foto 2.15).
Foto 2.14 – Sbarramento di Valgrana
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Foto 2.15 – Scala di rimonta per pesci poco funzionale a Valgrana
In questo modo è forse ipotizzabile un recupero di riproduttori marmorata (tutti i soggetti con
livrea tipica e quelli con un minor grado fenotipico di inquinamento genetico da parte della fario)
per una produzione di circa 100.000 uova (corrispondenti a una biomassa di femmine fattrici di
70/80 kg). Gli avannotti schiusi, a sacco vitellino riassorbito (senza assolutamente pensare a
una fase di accrescimento) dovrebbero servire a ripopolare sezioni di torrente appartenenti ad
aste torrentizie a libera pesca o dei diritti di pesca i cui titolari collaborino con l’attività ittiogenica
dell’incubatoio (indicherei i tratti a monte degli sbarramenti di Dronero e di S. Damiano nonché
il tratto libero in comune di Macra, sul Maira e quello a monte dello sbarramento di Valgrana, sul
Grana). Dove venissero seminati gli avannotti di marmorata non dovrebbero però essere più
seminate, in nessuna forma, trote fario.
Gli avannoti di marmorata prodotti, pur inevitabilmente caratterizzati da un certo grado di
introgressione genetica da parte della fario, riuscirebbero ad adattarsi in ambiente naturale
sicuramente meglio degli avannotti delle fario d’allevamento, soprattutto in condizioni di criticità
ambientale (piene o magre). Irrealistico sembra però ipotizzare, a partire dall’attuale situazione
di degrado, il ripristino di un popolamento puro e autoriproduttivo di marmorate in tutte le aste
vocazionali ancora dotate di portate idriche estive accettabili e non sottoposte a interventi di
disalveo.
L’eventuale, probabile, differenza tra la potenzialità dell’incubatoio (stimata in 140.000 uova in
incubazione) e la quantità di uova embrionate di marmorata prodotte (presumibilmente inferiore)
potrebbe essere colmata con una produzione di uova di fario selvatiche, con riproduttori
recuperati in zone da definirsi, eventualmente a turnazione (da seminare allo stadio di
avannotto in qualche tributario scelto ad hoc, senza ulteriori semine in loco di fario
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d’allevamento).
2.5 Quadro preventivo costi/benefici
Una valutazione del rapporto costi/benefici relativa all’eventuale realizzazione dell’incubatoio
ittico nel sito di Macra risulta economicamente passiva. Infatti, a fronte di una produzione annua
ipotizzabile nell’ordine di 140.000 avannotti (100.000 marmorate e ibridi, il resto fario), cui
sarebbe possibile attribuire una valutazione, per quanto aleatoria, di circa 4/5.000 Euro (Euro
30/1000 avannotti la marmorata ed Euro 15/1000 avannotti la fario selvatica), occorre
considerare un costo annuo di gestione almeno di 6.000 Euro, cui si deve aggiungere
l’ammortamento di una spesa iniziale presunta di circa 100.000 Euro.
Inoltre la gestione della struttura (logisticamente piuttosto decentrata e pertanto richiedente
spostamenti con automezzi) verrebbe svolta da personale volontario, di affidabilità da verificare
(comunque per qualche ciclo produttivo richiedente un supporto tecnico).
Infine lo svolgimento delle attività sul campo necessarie alla cattura, trasporto e rilascio dei
riproduttori dovrebbe avvenire con l’ausilio parziale (nei tratti a libera pesca) dei mezzi e del
personale dell’Amministrazione Provinciale, con ulteriore onere economico e organizzativo.
La società pescatori di Dronero e la FIPSAS (gestori e/o titolari di diritti di pesca) dispongono
invece di proprie attrezzature per la pesca elettrica e di automezzi accessoriati per il trasporto di
pesce vivo.
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3. VALUTAZIONE COMPLESSIVA
L’iniziativa di un incubatoio ittico nel sito di Macra non risulta economicamente vantaggiosa,
tenuto conto delle valutazioni in precedenza esposte.
Per quanto invece riguarda il vantaggio biologico, reale ma difficilmente quantificabile, di
seminare in parte novellame selvatico anziché d’allevamento, occorre considerare che la
difficile reperibilità nei bacini in questione di un numero sufficiente di riproduttori in grado di
fornire materiale con caratteristiche rispondenti alle finalità del progetto ne rende incerto l’esito.
Per il sito di Maddalena la valutazione pare anche più negativa, soprattutto per l’entità molto più
importante degli investimenti iniziali e le ancor maggiori difficoltà logistiche e gestionali, tanto
che non si è ritenuto di dover procedere ad un’analisi più dettagliata di questa opzione.
L’unico aspetto positivo importante da segnalare è quello relativo all’aspetto didattico e di
coinvolgimento delle associazioni di pescatori nella gestione diretta e in una azione di
salvaguardia ittiologica che si potrebbe ottenere con la realizzazione dell’incubatoio di valle.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Edagricole.
DUCHI A., 2001 – Progetto Macrostigma. Provincia Regionale di Ragusa – Assessorato
Territorio e Ambiente – Settore Ecologia – Ufficio Caccia e Pesca.
GIORDANI G., MELOTTI P., 1984 – Elementi di acquacoltura. Edagricole
GRAIA, 2002 – Progetto di tutela e recupero del temolo nei corsi d’acqua della Provincia di
Cuneo. Provincia di Cuneo. Ufficio tutela Fauna e Pesca.
REAY P.J., 1988 – Acquacoltura – edizione italiana a cura di W. G. M.. Edagricole
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APPENDICE A –LOCALIZZAZIONE DELL’INCUBATOIO DI VALLE A MACRA
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APPENDICE B – GRUPPO DI RICERCA
Hanno collaborato allo svolgimento di questa attività:
Dott. Biol. Paolo Turin
Responsabile ricerca
Dott. Ivan Borroni
Stesura relazione tecnica
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