Venerdì notte Ero quasi riuscito a capire chi era. Quell`uomo con il

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Venerdì notte Ero quasi riuscito a capire chi era. Quell`uomo con il
Venerdì notte
Ero quasi riuscito a capire chi era. Quell’uomo con
il mento sudato e gli occhiali spessi l’avevo già visto da
qualche parte. Il sole impietoso di metà luglio mi aveva
impedito di riconoscerlo subito.
Ciao papà! Cosa ci fai qui, vestito con il loden e il
basco? Devo andare in ospedale, mi aspettano in reparto per il giro della domenica ma non so bene dove sia
finito. Ti accompagno io. Chi sei tu? Sono tuo figlio. Chi
è la tua mamma?
Il caldo e la luce estiva vengono perforati dal suono
del telefono; è ancora in lontananza, per fortuna, cerchiamo di non svegliarci. Niente da fare, la mano impaziente di mia moglie, strattonando e spingendo, cancella definitivamente quella splendida giornata e il colloquio con mio padre svanisce nel nulla.
Prontoo! Prontoo! Mi sentii? Tonino, cosa vuoi porco cane, ti sta venendo un infarto? Sai che ore sono? Sì,
scusami, ma ho veramente bisogno di un tuo parere.
Non ci penso nemmeno, aspetta domani, sono tornato a
casa tardissimo e questo è il primo weekend in cui posso dormire da molto tempo. Dai non fare il cretino, mi
devi aiutare subito, sono in via Coroneo, ti ho mandato
De Feo con la macchina, sarà sotto casa tua fra cinque
minuti. Ti sarò debitore per la vita, tirati su dal letto,
forza.
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Sono anni e anni che mi costringono a sveglie improvvise, devo mettermi in moto in piena notte, sempre
per colpa di quel maledetto telefono; non mi sono mai
abituato a questa violenza; lo odio con tutta l’anima.
Ammetto di essere un dormiglione con il metabolismo di un diesel; sono un uomo della notte, non della
mattina presto e cosa sono andato a scegliere come lavoro? Il cardiologo dell’emergenza, cretino che sono.
Mi tiro su con grande difficoltà, passo, a tentoni, in
bagno e indosso, a caso, un paio di calzoni e un pullover, mentre lei si è già girata dall’altra parte e ha ripreso a dormire. Infilo il giaccone, verifico se la scatola di
toscani è nella tasca.
Aspetto l’ascensore che, come sempre, ci mette una
vita ad arrivare.
In strada il freddo della notte mi dà il benvenuto, saturo dell’umidità autunnale, e finisce per cancellare definitivamente il sonno residuo. Ovviamente la macchina dei carabinieri, a lampeggiante spento, è già lì che
aspetta. Il maresciallo De Feo esce e mi stringe la
mano.
Professore che piacere vederla! Il colonnello ha
proprio bisogno di lei. Ma cosa vuole da me Tonino? I
miei ricordi di medicina legale si sono ormai persi negli anni dopo l’esame all’università.
L’Alfetta procede veloce, senza strappi, il traffico è,
del resto, praticamente inesistente; le foglie sulla strada e l’acqua che impregna l’aria attutiscono il rumore
del motore.
Raccontami un po’ cosa andiamo a vedere. Non ci
crederà, la professoressa Nigri, l’hanno trovata dopo
l’una, morta, assassinata in una maniera molto strana.
Un’inquilina dello stabile ha notato che la porta del-
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l’appartamento adiacente, che doveva essere disabitato, era aperta e ha chiamato l’Arma. Credo che il colonnello voglia da lei un parere sulle possibili cause del
delitto.
La mia collega! Il primario del reparto di neuropsichiatria. Non ci frequentavamo al di fuori delle riunioni in ospedale, ma la notizia arriva come una sassata.
Me la rivedo tranquilla, serafica, passare per i corridoi
dell’Azienda Ospedaliera con il suo bravo codazzo di
collaboratori.
Ma io cosa c’entro e il medico legale cosa ci sta a
fare? Sembra proprio che l’arma del delitto possa essere materia sua e il colonnello vuole subito una conferma da un esperto. Arma del delitto, quale? Un elettrocardiografo?
De Feo mi risponde con un sorriso.
Ormai siamo quasi arrivati nel centro della città, le
case si fanno più alte e vicine, non accendo un sigaro
perché so che al colonnello, salutista integralista, non
farebbe piacere l’aroma del toscano nella volante. Già,
oltre che colonnello dei carabinieri, il mio amico è anche uno sportivo praticante con le ginocchia distrutte da
una serie infinita di partite a calcetto. L’ex promessa
delle giovanili del Napoli non ha dimenticato il suo passato di atleta, nonostante comandi da parecchi anni la
squadra investigativa della Benemerita nella nostra
città.
Ci siamo; la luce blu delle volanti segnala subito ai
pochi passanti che laggiù è successo qualcosa di molto
grosso. Mi sembra strano però che il cadavere sia stato
rinvenuto qui. Da quanto ne so, questa non è proprio la
casa della professoressa. Tonino mi viene incontro, apre
la portiera, mi saluta, e poi, senza parlare, mi trascina
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verso un bell’edificio in stile viennese, quasi di fronte
al palazzo del tribunale. Facciamo due piani di scale,
alte e larghe, come usavano una volta nei palazzi signorili. La porta dell’appartamento è spalancata ed è
circondata dalle strisce gialle che delimitano le zone
dove sono stati commessi dei delitti. Entriamo in un
lungo corridoio con bellissimi tappeti e oli importanti
alle pareti. Arriviamo alla sala da pranzo. È imponente
e sul tavolo in mogano, tanto grande da poter ospitare
comodamente una cena di almeno dodici persone, vedo
disteso quello che a prima vista sembra un manichino
modellato in una posa contorta.
Per fortuna sono un medico, abbastanza abituato a
sorella morte. Lo spettacolo è veramente allucinante. Il
cadavere della professoressa, praticamente nudo, è stato
lasciato sul tavolo.
Dimmi, cosa pensi di quelle bruciature?
La mia collega è ricoperta su tutto il corpo, viso
compreso, da segni di ustione ampi e rotondi, ormai lividi.
Cosa può averli prodotti? Tonino non ne sono sicuro, ma credo che solo un defibrillatore cardiaco sia in
grado di fare questo casino. Avete un’idea di chi possa
essere il mostro che lo ha usato per decine di volte su
questa poveretta? Non lo so, non lo so; pensi che questa possa essere la causa della morte? Sì, sicuramente,
ed è stata una morte orribile. Bene, adesso arriveranno
tutti, il procuratore, il medico legale, non puoi rimanere qui, mi hai fatto un gran favore, mi hai fatto guadagnare molto tempo, ma devi andare via. Grazie tante!
Mi tiri giù dal letto, mi fai vedere questo spettacolo e
poi visto che non ti servo più... Ma no dai, sei stato fondamentale questa notte. Senti, torna a casa e ne parlia-
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mo con calma domani pomeriggio al bar Tommaseo.
Tonino sei una testa di cazzo, ma ti voglio bene; in ogni
caso, la prossima volta che ti fai male giocando a calcio
sicuramente non ti aiuto. Non disturbarti ad accompagnarmi, la strada la conosco.
Uscendo mi rendo conto di un particolare che prima,
nella fretta, non mi aveva colpito; tutto l’appartamento
è troppo nuovo, troppo profumato, non vissuto. Ritorno
un attimo sui miei passi, tanto nessuno mi presta attenzione, e ispeziono velocemente la camera da letto padronale e il suo bagno. Come sopra, nessun segno di un
loro uso recente, sembra di essere a un’esposizione di
mobili d’alto livello in qualche negozio elegante del
centro. Archivio tutto e scendo le scale. Quasi sbatto
contro il sostituto procuratore, che sta uscendo dalla
macchina, con la sua solita aria indaffarata ed efficiente. Porca miseria anche alle tre di notte quello sembra
aver mangiato un manico di scopa, un po’ l’invidio per
questa dimostrazione di efficienza.
Il maresciallo De Feo mi aspetta in macchina; evidentemente i due fetenti si erano messi d’accordo in anticipo. Appena salito accendo il sigaro e comincio a fumare. Il toscano non mi ha mai tradito; è l’unico sigaro,
tra tutti quelli che conosco, che si può gustare all’aperto, in qualsiasi condizione climatica, e a qualsiasi ora.
Prima del proibizionismo che ha relegato noi fumatori
al ruolo di paria e di appestatori della società civile,
questo meraviglioso cocktail di tabacco italiano mi ha
tenuto compagnia e sostenuto durante le lunghe ore
passate in ospedale di giorno, ma soprattutto di notte.
Gusto il sigaro e cerco di esorcizzare così il ricordo dell’assassinio, del cadavere della collega con cui ho parlato pochi giorni prima. È orribile. Non riesco a spiega-
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re perché una professionista quasi sull’orlo della pensione, con una vita privata che, per quel che ne so io,
sembrava anche troppo monotona, sia stata uccisa in
quella maniera. Non mi viene in mente niente, nessun
pettegolezzo sulla dottoressa Nigri, donna, moglie, madre, professionista inappuntabile, sempre di grigio vestita e con le scarpe rigorosamente senza tacco.
Sono arrivato a casa; saluti maresciallo! Salgo le
scale continuando a rimuginare. Apro una bottiglia di
prosecco, che mi aspettava in frigorifero, fredda al
punto giusto, e ci aggiungo una fetta di pane ben riscaldato al forno, con sopra la mia droga quotidiana, mezzo
etto di gorgonzola. Sì, lo so benissimo, sono un cardiologo, i grassi animali vanno evitati. Concordo pienamente ed è quello che raccomando a tutti i miei pazienti; ma, signori miei, cosa ci posso fare se questa è la mia
via per raggiungere la serenità e per migliorare l’equilibrio psichico? Le mie performance professionali, e non
solo quelle, ne possono trarre solo vantaggio. Non ho
proprio sonno dopo tutto quello che sono stato costretto a vedere. Cammino per la casa, accendo l’iPod, naturalmente con gli auricolari, e mi sparo una bella compilation di musica.
Chi può esser stato? Credo di poter escludere possibili moventi sentimentali. Forse bisogna pensare all’invidia di un collega, a un odio radicato, magari coltivato
per anni, che è esploso improvvisamente in maniera
così feroce? Mi pare improbabile, la dottoressa Nigri
era in pratica sull’orlo della pensione; tra meno di un
anno sarebbe stata fuori dai giochi. Non si è mai occupata di altro che della sua famiglia e della professione,
giorno per giorno. Oppure il colpevole è un paziente,
che l’ha osservata e vissuta (o subita?) dall’altra sponda del fiume; che la conosceva abbastanza bene e la de-
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testava tanto da volerla eliminare. Una personalità disturbata che qualcosa ha talmente sconvolto da farlo arrivare al delitto.
Comincio a essere stanco, chiudo l’after hour; scivolo sotto il piumino mentre mia moglie, beata lei, continua a dormire e, dopo aver ringraziato il cielo che domani è sabato, riprendo il sonno interrotto.
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