Responsabilità genitori 2048

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Responsabilità genitori 2048
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
INCONTRO DI STUDIO
L’illecito civile e la famiglia
Roma 10-12 ottobre 2011
Relazione
Casistica giurisprudenziale in tema di responsabilità dei
genitori: in particolare, lo sviluppo intellettivo del minore
ai fini della sua capacità di commettere fatti civilmente
illeciti
Dott. Federico Lume
Tribunale di Napoli
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Indice sommario
1. Generalità. L’illecito del minore. 2. La tutela risarcitoria per danni derivanti da
fatti commessi dal minore. I rapporti tra l’art. 2047 e l’art. 2048 c.c. 3.
L’accertamento della capacità del minore nella giurisprudenza. 3.1. Alcune
considerazioni. 4. Il requisito della coabitazione nella fattispecie dell’art. 2048 c.c.
5. La prova liberatoria dei genitori nella giurisprudenza. 5.1. La prova liberatoria
dei genitori del minore incapace. 5.2. La prova liberatoria dei genitori del minore
capace. 6. Conclusioni.
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Dite: é faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto. Non è questo che più stanca.
E’ piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli
1.
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Generalità. L’illecito del minore.
Si afferma da tempo che le norme che regolano l’illecito civile del minore
(artt. 2047 e 2048 c.c. nonché indirettamente l’art. 2046 c.c.) operano oggi in una
realtà profondamente mutata rispetto a quella in cui furono elaborate 2. E ciò con
riferimento sia alla realtà normativa che alla realtà sociale.
Janusz Korczak (Varsavia, 22 luglio 1878 – Treblinka, 6 agosto 1942) è stato un
pedagogo e scrittore polacco. Korczak, nome d'arte di Henryk Goldszmit, nacque a
Varsavia dove negli anni 1898-1904 studiò medicina e scrisse anche per diversi quotidiani
polacchi. Dopo il conseguimento della laurea, divenne un pediatra. Nel corso della Guerra
Russo-Giapponese nel 1905–1906 egli fu impiegato come medico militare. Nel frattempo il
suo libro Child of the Drawing Room gli fece ottenere qualche riconoscimento letterario. Fu
deportato a Treblinka insieme a tutti i bambini ospiti dell'orfanotrofio del ghetto di
Varsavia e lì morì.
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Questa disciplina è stata analizzata dalla prevalente dottrina nell’ambito più ampio delle
problematiche sottese alla responsabilità civile: cfr., per tutti, De Cupis, Dei fatti illeciti, in
Commentario del codice civile Scialoja e Branca, (sub art. 2048), Bologna-Roma, 1994, 37;
Alpa -Bessone-Zeno Zencovich, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato, diretto da P.
Rescigno, 14, Torino, 1995, 336 e ss.; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario del codice
civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano (artt. 2043-2059), ed. Zanichelli e soc. ed. Foro
it., Bologna – Roma, 1994, 346 e ss.; Alpa, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1991,
135 e ss.. Meno frequenti le opere di carattere generale dedicate specificamente
all’argomento, v. per tutte Ferrante, La responsabilità civile dell’insegnante, del genitore e
del tutore, Milano, 2008, 104; Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984;
Venchiarutti, La protezione civilistica dell’incapace, in Il diritto privato oggi, a cura di
Cendon, Milano, 1995; ma v. altresì De Cristofaro, La responsabilità dei genitori per il
danno cagionato a terzi dal minore, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti,
Filiazione, II, Milano, 2002, 1213 e ss. Numerosi invece si presentano gli articoli o i
commenti ispirati da singole pronunce: cfr. Chianale, Responsabilità dei genitori (sintesi di
informazione), in Riv. dir. civ., 1988, II, 277; Fischetti, La responsabilità extracontrattuale
dei genitori, in Arch. civ., 1996, 773; Ferri, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.,
in Giur. it., 2000, 1409; Di Ciommo, Figli, discepoli e discoli in una giurisprudenza
«bacchettona»?, in Danno e resp., 2001, 257; Di Ciommo, La responsabilità contrattuale
della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura da sè: verso il
ridimensionamento dell’art. 2048, in Foro it., 2003, I, 2635; Fantetti, L’illecito del minore e
la responsabilità dei genitori, in Famiglia, persone e successioni, n. 2/2009, 104 e ss.;
Mastrangelo, La responsabilità dei genitori tra educazione e vigilanza della prole minore, in
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Nel codice del 1865 e in quello del 1942, nella sua versione originaria, il
rapporto tra i genitori e la prole era infatti caratterizzato da una posizione di
soggezione dei figli rispetto al pater 3. In altri termini, la legislazione rifletteva una
concezione gerarchica ed autoritaria della famiglia4 e la prole aveva l’obbligo di
«onorare e rispettare» il padre e la madre. I tempi ed i luoghi dedicati ai minori
erano fortemente limitati (abitazione familiare, scuola, parentado); i loro spazi di
autonomia erano sottoposti alla rigida disciplina del padre; i mezzi di
comunicazione e le strutture educative, sia scolastiche che sportive, non avevano
il ruolo odierno.
Pertanto, l’illecito commesso dal minore poteva essere considerato come
direttamente ascrivibile all’inosservanza, da parte dei genitori (o meglio, del
padre), dei doveri di educazione e di controllo dei figli. Ai vasti poteri genitoriali
non poteva non corrispondere la responsabilità per il fatto illecito del minore
considerato come conseguenza del mancato esercizio dei medesimi.
L’entrata in vigore della Carta Costituzionale, prima, e della riforma del
diritto di famiglia, poi, hanno fortemente mutato il quadro normativo: i figli sono
considerati dei soggetti a pieno titolo, ai quali il legislatore riconosce spazi di
autonomia e di libertà5 al fine di uno sviluppo completo ed armonico della
personalità. I genitori, a loro volta, hanno l’obbligo di istruirli ed educarli secondo
le loro inclinazioni e le loro capacità naturali (art. 147 c.c.).
In altri termini la responsabilità genitoriale è un munus strettamente
connesso ai diritti dei figli; i poteri limitativi attribuiti ai genitori si giustificano in
quanto volti alla corretta educazione dei figli, a loro volta non meri recettori
Resp. civ. e prev., 2010, 3, 548; Cocchi, Art. 2048 c.c.: orientamenti giurisprudenziali sulla
responsabilità da illecito cagionato da minore “capace”, Resp. civ. e prev., 2010, 10, 1969.
Infatti, nella visione ottocentesca della famiglia, nella quale non è lasciato alcuno spazio
di libertà d’azione al minore, essendo imposta una severa ed “implacabile” sorveglianza da
parte del padre, dell’eventuale commissione di un illecito da parte del minore ne doveva
rispondere inevitabilmente il genitore stesso. V. sul punto Rossi Carleo, La responsabilità
dei genitori ex art. 2048 c.c., in Riv. Dir. Civ., II, 1979, 125.
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Cfr. Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, 130. Secondo l’A. «per il
genitore, la responsabilità per il fatto dei figli minori si giustificava perfettamente nel quadro
dell’autorità familiare: questa lo investiva di un potere collegato a una funzione di
protezione degli interessi patrimoniali del minore incapace, e dunque di garanzia nei
confronti dei terzi per l’attività dannosa del figlio. Questo significato della responsabilità dei
genitori discendeva direttamente dal Code Napoléon. In particolare, in sede di
presentazione all’Assemblea Legislativa dei motivi ispiratori del Code Napoléon si sostenne
che la commissione dell’atto illecito da parte del minore era da attribuire ad un
«rilasciamento della disciplina domestica» da rimproverare ai genitori in quanto dotati,
appunto, del potere e dell’autorità sufficienti ad imporre ai figli l’assoluto rispetto della
proprietà altrui».
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Ferrando, voce Filiazione (rapporto di), in Enc. giur., XIV, Roma, 1989; v. anche Dogliotti
– Figone – Mazza Galanti, Codice dei minori, Torino, 1999.
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passivi ma portatori di diritti, facoltà e abilità propri, da promuovere e comunque
rispettare 6.
In particolare l’art. 147 c.c. novellato dalla riforma del diritto di famiglia è
l’architrave dei nuovi rapporti familiari; esso pone l’obbligo di educare tenendo
conto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni del minore; di
conseguenza il potere discrezionale dei genitori sui figli va progressivamente
riducendosi in rapporto al progressivo accrescersi della loro autonomia e del peso
della loro volontà7.
Pertanto, dopo l’entrata in vigore della Costituzione e della riforma del
diritto di famiglia, appare evidente la necessità di interpretare più “elasticamente”
l’art. 2048 c.c. e più in generale di attualizzare l’interpretazione delle previsioni in
tema di illecito del minore.
Si sono rivelate a tal proposito non esatte le previsioni di pur autorevole
dottrina che riteneva che l’abbassamento della minore età a diciotto anni avrebbe
drasticamente diminuito la portata dell’art. 20488.
Il contenzioso esistente in materia di illeciti dei minori è invece
notevolmente diffuso e ha assunto connotazioni ed occasioni nuove in
conseguenza di fenomeni nuovi (si pensi ai casi di bullismo scolastico e non,
all’uso di internet e dei cellulari, all’uso e alla diffusione dei social networks).
Proprio tale diffusione rende importante l’esame della (non sempre
univoca) giurisprudenza in materia.
Un ampio quadro relativo alle norme interne ed internazionali poste a tutela del minore
è contenuto in Cass., 16.10.2009, n. 22080, che riconosce come “a fronte di un
ordinamento precostituzionale ricco di riferimenti alla peculiarità, alla specificità della
questione minorile (si pensi in particolare alle leggi assistenziali e all'incredibile numero di
enti ... a tutela dei minori, suddivisi in categorie e sottocategorie, talora apportatrici di
ulteriore emarginazione, oggi fortunatamente per gran parte soppressi o in via di
soppressione) è scelta ben condivisibile quella della Costituzione repubblicana di porre il
minore sul medesimo piano di ogni altro cittadino. Tale prospettiva è rettamente evidenziata
dall'analisi degli artt. 2 e 3 Cost., che costituiscono veramente il fondamento di tutto
l'edificio costituzionale. Da un lato, è il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili
dell'uomo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità,
dall'altro l'impegno pubblico a rimuovere gli ostacoli che - limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini - impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Significativamente, nell'una e nell'altra norma è presente il riferimento alla personalità e al
suo sviluppo; un'indicazione siffatta, se appare diretta a tutti i cittadini o, ancor di più, a
tutti gli individui, pure, come si è detto, si attaglia particolarmente al fanciullo, per il quale lo
sviluppo della personalità costituisce un dato fisiologico. Dunque, tutela dei diritti
fondamentali del minore (come di ogni individuo) anche nelle formazioni sociali in cui egli è
inserito (si pensi alla famiglia, alla scuola, all'organizzazione del lavoro, all'istituto di
assistenza ecc.) ed impegno (che è dello Stato: il legislatore, innanzitutto, ma pure di tutta
l'organizzazione pubblica, amministrativa e giudiziaria - e, specificatamente della
magistratura minorile - e più in generale dell'intera società) a garantire (e rimuovere in tal
senso ogni ostacolo ad) un compiuto ed armonico sviluppo della sua personalità”.
7 Come riconosciuto anche da Corte Cost., 6.10.1988, n. 957.
8 Ci si riferisce a Jemolo, La responsabilità per gi atti illeciti commessi dai minori, in Riv.
Dir. Civ., 1980, II, 244.
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2.
La tutela risarcitoria per danni derivanti da fatti commessi dal
minore. I rapporti tra l’art. 2047 e l’art. 2048 c.c.
Il sistema di tutela giurisdizionale risarcitoria per danni recati da un
minore di età9 è alquanto complesso e dipende da molteplici variabili.
In linea di prima approssimazione, essendo la relazione destinata ad
approfondire soprattutto la casistica giurisprudenziale, è sufficiente limitarsi ad
osservare quanto segue.
La prima variabile fondamentale è data dall’imputabilità o meno del
minore autore del fatto10.
Infatti, a differenza di quanto prevede in materia il codice penale, che
sancisce l’incapacità legale del minore che non abbia compiuto i 14 anni (art. 97
c.p.), il codice civile non prevede un’esenzione legale d’imputabilità per i mi nori al
di sotto di una certa età; si applica cioè la previsione generale dell’art. 2046 c.c.
che prevede che <<Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non
aveva la capacità d'intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno
che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa>>11.
Si deve peraltro evidenziare che la legge, quando parla di minori, fa riferimento a coloro
che non hanno raggiunto la maggiore età, e nessun rilievo hanno le disposizioni che
prevedono capacità speciali, che hanno una sfera limitata ai rapporti da esse regolati
(Cass., 4.12.1971, n. 3490, in Rep. Foro It., 1971, voce “Responsabilità civile”, n. 183).
Prima dell’abbassamento della maggiore età a 18 anni, la suprema Corte aveva escluso
che il conseguimento dell’abilitazione alla guida potesse avere dei riflessi sull’art. 2048
c.c., non esonerando, quindi, il genitore dal dovere di vigilanza e dalla conseguente
responsabilità (Cass., 27.11.1984, n. 6144, in Rep. Foro It., 1984, voce cit., nn. 85 e 90).
La stessa regola vale oggi per gli ultrasedicenni che conseguono la patente per la guida di
motoveicoli (Cass., 20.10.2005, n. 20322, in Nuova Giur. Comm., 2006, I, 990 e segg.).
9
Il codice del 1865 non contemplava tale differenza: l’art. 1153 c.c. allora in vigore
regolava infatti in un’unica previsione i casi di responsabilità dei genitori, tutori, ecc.,
prescindendo, ai fini dell’affermazione di responsabilità, dal profilo della capacità naturale
dell’autore del da nno. Nel commentare l’articolo la dottrina così si esprimeva: “Ai genitori
primamente si rivolge la severa ammonizione; educate i vostri figli, porgete loro esempi di
virtù domestiche, vegliate sulla loro condotta. Se i vostri figli saranno bene educati, non
faranno delle brutte cose; la legge lo crede e giova il crederlo”; così Borsari, Commentario
del codice civile italiano, III, 2, Torino, 1877, 342.
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L’art. 2046 c.c. è una norma introdotta per la prima volta con il codice civile del 1942,
la cui disposizione è identica all'art. 85, 2° co., c.p.; più in generale nei due sistemi i
criteri per accertare l'incapacità di intendere e di volere sono differenti: mentre gli artt. 88,
95 e, appunto, 97 c.p. dettano un elenco (ritenuto non tassativo) delle cause di incapacità,
in sede civile spetta al giudice accertare caso per caso se l'autore sia capace di valutare
adeguatamente il valore sociale dell'atto concreto compiuto, determinandosi di
conseguenza (Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 2043-2059,
Bologna-Roma, 1993, 317). Pertanto, può accadere che un soggetto ritenuto non
imputabile per il diritto penale, lo sia per il diritto civile e correlativamente che lo stesso
fatto dannoso possa essere ritenuto fonte di responsabilità solo civile e non anche penale.
Quindi anche gli altri incapaci legali, come gli interdetti, sono astrattamente imputabili ed
il giudice di merito deve accertare l'incapacità attraverso l'esame del caso concreto, anche
se il danno è stato cagionato dall'interdetto o dall'inabilitato: si prescinde quindi sia da
una precedente dichiarazione di incapacità legale sia da qualsiasi automatismo normativo
11
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In altri termini anche i minori di età sono considerati astrattamente
imputabili12, laddove siano ritenuti in concreto capaci di intendere e di volere.
Nel caso in cui il minore sia ritenuto incapace di intendere e di volere, del
danno cagionato dal fatto illecito dallo stesso commesso risponderà colui che è
“tenuto alla sua sorveglianza” secondo il paradigma dell’art. 2047 c.c.
Ovviamente, in caso di minori incapaci, i primi soggetti tenuti alla loro
sorveglianza sono i genitori; successivamente, durante l’orario scolastico, gli
insegnanti. Genitori ed insegnanti non potranno essere entrambi tenuti al
risarcimento del danno in quanto la sorveglianza dell’incapace spetterà o all’uno o
all’altro.
Ove invece il minore sia ritenuto capace di intendere e di volere, in primo
luogo, egli stesso risponderà ex art. 2043 c.c. e sarà obbligato al risarcimento del
danno; alla sua responsabilità diretta il codice aggiunge, ex art. 2048 c.c., quella
dei genitori e tutori, oltre che dei precettori, alla condizione che i primi “coabitino”
con il minore medesimo13.
Le due responsabilità, ex art. 2047 e 2048 c.c., configurano forme di
responsabilità presunta, almeno per l’opinione della maggioranza della dottrina, e
ammettono la prova contraria, che dovrà quindi essere offerta dai convenuti, di
“non aver potuto impedire il fatto”.
Secondo quanto detto quindi le due forme di responsabilità di cui agli
artt. 2047 e 2048 c.c. sono in rapporto di alternatività tra loro; nel senso che o
sussiste l’una o sussiste l’altra e la scelta dipende dall’accertamento della
capacità di intendere e di volere del minore14.
(Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 268). Occorre accertare se
il fatto si è verificato in un intervallo di lucidità mentale (Visintini, I fatti illeciti, I, Padova,
1987, 480), momento in cui anche l'incapace legale può rendersi conto delle proprie azioni
e quindi essere tenuto a risarcire il danno (Bruscuglia, L'interdizione giudiziale per
l’infermità di mente, Milano, 1983, 26).
12 Si deve appena segnalare che per molto tempo l’imputabilità è stata considerata come
un’attitudine alla colpa: si affermava che non vi potesse essere colpevolezza se il soggetto
non fosse in grado, al momento del fatto, di rappresentarsi e rapportarsi volitivamente alla
realtà esteriore; in tale ottica l’imputabilità era un presupposto della colpevolezza. Tale
schema tende, tuttora, ad essere abbandonato con la conseguenza che la colpevolezza e
l’imputabilità si pongono come requisiti autonomi dell’illecito ed il secondo non sempre
condiziona il giudizio di responsabilità. La colpa si riduce, quindi, alla deviazione del
comportamento produttivo di un certo evento lesivo dai principi e dalle regole di
convivenza poste dall’ordinamento giuridico. L’imputabilità, invece, riguarda la possibilità
di escludere la responsabilità del soggetto, a causa di un suo eventuale turbamento
psichico: ciò che rileva è la componente psichica del soggetto dalla quale eventualmente
risulti la coscienza e volontà, propria della capacità naturale.
13 Cass. 26.6.2001, n. 8740, in Giust. Civ., 2002, I, 710 e in Danno e Resp., 2002, 283;
Trib. Frosinone, 12.6.2002, in Gius, 2002, 2365.
14 Cfr. Cass. 25.3.1997, n. 2606 secondo cui <<la responsabilità del genitore, per il danno
cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o
meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell'art. 2048 cod.
civ., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di educazione ovvero nell' art.
2047 cod. civ., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di sorveglianza e di
vigilanza. Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto, sono alternative - e non
concorrenti - tra loro, in dipendenza dell' accertamento, in concreto, dell' esistenza di quella
capacità>>. Nel caso in esame si verificava un sinistro stradale nel quale riportava lesioni
F.A., trasportato sulla Fiat Uno condotta da C.C., all'epoca dei fatti minorenne (appena
7
Il differente ambito applicativo tra le due disposizioni emerge anche dalla
diversa formulazione delle medesime; l’art. 2047 si espr ime in termini di “danno
cagionato dall’incapace” non qualificando come “illecito” il comportamento di chi
al momento del fatto non era capace di intendere e di volere; l’art. 2048 invece
utilizza la diversa espressione “danno cagionato dal fatto illecito” dei figli minori
presupponendo la capacità dei medesimi15.
Trattandosi di domande diverse, ove in sede di gravame la parte
appellante circoscriva l’impugnazione alla questione della responsabilità dei
genitori ex art. 2048, non sussiste vizio di omessa pronuncia del giudice di
appello che non abbia riesaminato anche la questione della responsabilità ex art.
204716.
Ciò premesso, l’obbligazione risarcitoria dei genitori ex art. 2047 è
ovviamente di natura esclusiva. Risultando assente l’imputabilità non vi sarà
responsabilità dei minori incapaci, salva l’ipotesi dell’indennizzo di cui all’u.c.
dell’art. 2047. Si è detto che la responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei
figli minori ai sensi dell'art. 2048 c.c. concorre con quella degli stessi minori
fondata sull'art. 2043 c.c. se capaci di intendere e di volere 17.
Ovviamente la vocatio in ius dei minori in proprio è alquanto rara, non
disponendo normalmente i medesimi di un patrimonio sul quale agire in
executivis e la ratio dell’art. 2048 viene tradizionalmente individuata proprio nella
necessità di offrire una garanzia ai terzi danneggiati.
Il rapporto tra le due forme di responsabilità (responsabilità dei genitori e
del minore) è quindi quello della solidarietà secondo la regola generale dell’art.
2055 c.c.
Occorre subito evidenziare che ove siano citati in giudizio solo i genitori (o
solo il minore rappresentato dai medesimi), si produce una situazione di
litisconsorzio facoltativo, nella quale, pur nell'unicità del fatto storico, permane
l'autonomia dei rispettivi titoli del rapporto giuridico e della "causa petendi18.
Qualora poi il minore sia stato chiamato in giudizio, rappresentato dai
genitori, e divenga maggiorenne in corso di causa, cessa la capacità del genitore
quattordicenne), e che era ritenuta capace di intendere e di volere sia in considerazione
dell’età che del carattere.
Sempre in tal senso Cass. 10.4.1970, n.1008 (nella specie, un bambino aveva lanciato un
pugno di calce sul viso di altro bambino, che aveva riportato in conseguenza, completa
causticazione di un occhio e perdita della vista). Ed ancora Cass. 4.10.1979, n. 5122.
Nella giurisprudenza di merito Trib. Chieti, 15.1.2007, in DVD Platinum Utet; e anche
Trib. Milano, 18.12.2001, in Gius, 2002, 2365, che precisa che in tema di responsabilità
civile per fatto illecito, affinchè si applichi la disciplina sulla responsabilità aggravata a
carico di chi è tenuto a sorvegliare l'incapace (art. 2047 c.c.) è necessario che vi sia la
conoscenza dell'incapacità della persona che ha commesso il fatto. Pertanto, nell'ipotesi in
cui i genitori non conoscano lo stato di incapacità di intendere e di volere del figlio, trova
applicazione unicamente l'art. 2048 c.c.
15 Mantovani, Responsabilità dei genitori, tutori, precettori e maestri d’arte, in La
responsabilità civile, a cura di Alpa e Bessone, in Giur. sist. civile e commerciale, III,
Torino, 1987, 5.
16 Cass. 5.2.1979, n. 776.
17 Cass. 13.9.1996, n. 8623.
18 Cass, 5.6.1996, n. 5268; Cass. 28.2.1983, n. 1512.
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di stare in giudizio, in rappresentanza del figlio minore, con necessità di
interruzione del processo19.
La diretta conseguenza della ritenuta solidarietà esistente tra minore e
genitori dovrebbe comportare che i genitori che abbiano risarcito il danno per
fatto illecito del minore possano esperire l’azione di regresso nei suoi confronti; è
stato però evidenziato che il pacifico accoglimento di tale teoria finirebbe quasi
sempre per far slittare l’onere risarcitorio sulle spalle del minore, mediante
un’azione di rivalsa che finirebbe per liberare i vicari da seri incentivi a prevenire
la sua condotta dannosa20. Occorrerebbe quindi, secondo tale dottrina, una
regola che, pur sancendo la responsabilità del minore, non permetta comunque ai
vicari di scaricare in toto il loro fardello risarcitorio sulle spalle dello stesso
minore21.
Del pari, il vincolo di solidarietà sussiste anche tra la responsabilità dei
genitori da un lato e quella eventuale dei precettori dall'altro, ove l’illecito sia
stato posto in essere dal minore capace durante l’or ario scolastico; si tratta di
responsabilità fondate rispettivamente sulla "culpa in educando" e sulla "culpa in
vigilando", quando sia stata accertata una inadeguata educazione del minore alla
vita di relazione.
Ciò detto, occorre esaminare in particolare i due presupposti della
responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., ai quali è stata data particolare
attenzione in giurisprudenza, e cioè a) la capacità di intendere e di volere del
minore autore del fatto; b) la coabitazione del genitore con il minore.
3.
L’accertamento della capacità del minore di commettere fatti
illeciti.
Si è già evidenziato che la distinzione tra le due fattispecie degli artt. 2047
e 2048 c.c. passa attraverso l’accertamento della capacità di intendere e di volere
del minore.
Cass. 26.11.1984, n. 6116.
Monateri, Trattato di diritto privato. Illecito e responsabilità civile, Torino, 2008, 133.
La questione coinvolge il tema teorico della natura della responsabilità ex art. 2048, se
responsabilità diretta per fatto proprio colposo, affermata normalmente dalla
giurisprudenza (vedi per tutte Cass. 28.3.2011, n. 4481; Cass. 10.5.2000, n. 5957)
oppure responsabilità indiretta per fatto altrui o ancora responsabilità oggettiva,
questione la cui trattazione pertiene all’altra relazione prevista.
21 La Corte Suprema si è esplicitamente espressa solo a proposito della rivalsa esercitabile
da parte del precettore: Cass. 22.10.1965, n. 2202 ha affermato che è inammissibile una
azione di rivalsa totale del precettore che lo mandi indenne da ogni onere di risarcimento.
Secondo l’orientamento della S.C., in tema di responsabilità vicaria per il fatto illecito
commesso dal minore, il danno risulta sempre essere la risultante di due violazioni che
hanno concorso a determinarlo: quella ascrivibile al minore che ha materialmente
commesso il fatto, e quella imputabile all’omissione del vicario che quel fatto aveva
l’obbligo di impedire e non lo ha impedito. Perciò il vicario, così come fu partecipe nella
produzione dell’evento, deve necessariamente essere partecipe all’onere del risarcimento
del danno: la ripartizione andrà effettuata in ragione della gravità delle rispettive colpe.
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Sul punto si segnala che nel campo civile opera un sistema diverso ed
autonomo rispetto a quello previsto dal legislatore per l'imputabilità in campo
penale, nel quale è la legge stessa che fissa le cause che la escludono; per il
minore la soglia dell’imputabilità penale, come già accennato, è predeterminata a
quattordici anni, sempre che egli sia capace di intendere e di volere; mentre, a
norma dell'art. 2046, compete al giudice civile accertare caso per caso se il
minore sia da ritenere capace di intendere e di volere a prescindere dall’età22.
In realtà tale affermazione di principio, propria della giurisprudenza,
dovrebbe essere parzialmente corretta; ed infatti la differenza tra diritto civile e
diritto penale sussiste sono fino al compimento dei 14 anni, perché raggiunta tale
età, in entrambi i casi la capacità di intendere e di volere deve essere oggetto di
specifico accertamento.
Ciò premesso, è evidente che il codice è avaro di indicazioni a tal fine.
In primo luogo esso non reca alcuna definizione della capacità di
intendere e di volere.
In secondo luogo, il codice non distingue, nell’ambito della categoria degli
incapaci, tra i minori e i sofferenti psichici; né, con riferimento ai primi, prevede
alcuna rilevanza legale dell’età (cioè non prevede alcuna età come limite della
responsabilità o meno del minore). Infatti l’art. 2048 c.c. non contempla alcuna
distinzione fra la posizione dei minori a seconda della loro età, sicché il regime di
responsabilità che deriva dall’illecito di un diciassettenne è formalmente identico
a quello che consegue dal medesimo fatto di un dodicenne. Manca, cioè, una
graduazione della responsabilità che tenga conto della figura del c.d. grande
minore.
In assenza di definizione normativa, occorre premettere allora che la
capacità di intendere e volere viene generalmente identificata con quel minimo di
attitudine psichica ad agire e valutare le conseguenze del proprio operato,
necessario affinché, secondo la comune coscienza, sia possibile ritenere che il
fatto dannoso è conseguenza di una libera scelta dell'autore, con riferimento sia
alla sfera intellettiva che a quella volitiva23.
Sostanzialmente è su posizioni analoghe la giurisprudenza24.
Tale capacità, non necessariamente subordinata ad uno stato di
infermità, più compiutamente viene definita dalla letteratura specializzata come
una categoria unitaria ma composita; infatti, comprende:
- l’intendere, ovvero la capacità di capire il disvalore sociale e giuridico
dell’azione deviante messa in atto; si riferisce alla modalità di utilizzazione delle
funzioni cognitive al momento dei fatti, in cui incidono anche gli aspetti
emozionali, come possibilità di anticipare gli effetti connessi all’azione
comprendendone il significato;
Cass. 15.1.1980, n. 369; Cass. 18.6.1975, n. 2425.
Salvi, La responsabilità civile, in Tratt. Iudica, Zatti, Milano, 1998, 105. Autorevole
dottrina (Bianca, Diritto civile. La responsabilità, V, Milano, 1994, 657), definisce
l’incapacità come “inidoneità psichica della persona a comprendere la rilevanza sociale
negativa delle proprie azioni e a decidere autonomamente il proprio comportamento”.
24 Cass. 4.4.1959, n. 1006.
22
23
10
- il volere, ossia la capacità di autoregolarsi e autodeterminarsi di fronte
all’agito; è strettamente correlata alla volontà, consente di gestire e di dominare le
pulsioni, di guidare la persona attraverso modalità che inibiscono l’acting, con il
concetto di responsabilità attivo e presente in relazione al fatto deviante.
Spesso per i minori si usa l’analoga nozione di “capacità di discernimento”,
per la quale attenta dottrina ha fornito anche una nozione non giuridica nel senso
di “adeguato sviluppo del minore da un punto di vista cognitivo, emotivo e
relazionale” 25.
I criteri di accertamento della capacità non potranno però che essere
diversi in relazione ai sofferenti psichici26 e ai minori27.
Scardaccione, La capacità di discernimento del minore, in Dir. Fam. Pers., 2006, 1319.
In realtà tale nozione ha una storia lunga che solo in parte si sovrappone a quella di
capacità di intendere e di volere; cfr. Dell’Utri, Il minore tra ''democrazia familiare'' e
capacità di agire, in Giur. it., 2008, 6: secondo il quale: “L’uso ufficiale più antico della
nozione del discernimento — che il linguaggio comune traduce come l’attitudine a conoscere,
“distinguere” e, in breve, a giudicare tra alternative di ordine giuridico-morale — risale alle
previsioni del codice penale dell’età liberale (il c.d. codice Zanardelli) del 1889, che su
quell’idea aveva costruito l’intero sistema dell’imputabilità dell’illecito criminale. Sulla scelta
(recepita da anticipazioni presenti nel codice penale del Regno delle due Sicilie) faceva
premio la condizionante incidenza della cultura di ispirazione positivista, incline a
privilegiare — sul presupposto della preminente funzione di “difesa sociale” del sistema
penale — piuttosto la sufficienza del momento “cognitivo” del “colpevole” (ossia, l’attitudine
a conoscere e “distinguere”, da quelli riprovati, i fatti socialmente o eticamente meritevoli),
rispetto alla dimensione volitiva dell’azione. Al di là delle critiche, che pure incontrarono le
opzioni del legislatore liberale, il requisito del discernimento rimase a fondamento del
sistema dell’imputabilità fino alla riforma degli anni ’30, allorché la nozione del
discernimento lasciò il posto, nelle norme del codice Rocco, alla formula della capacità «di
intendere e di volere». Con la regola del nuovo codice, il legislatore fascista realizzava il
ritorno del sistema della repressione penale al principio dell’autodeterminazione e, in ultima
analisi, della libertà del volere come necessario presupposto della punibilità del colpevole,
secondo i canoni della Scuola classica. In forza di una scelta variamente accolta — ora nei
termini dell’equilibrio, talora dell’ambiguità —, il codice degli anni ’30 andava compiendo
(attraverso il c.d. “sistema del doppio binario” tra pene e misure di sicurezza) quel
compromissorio incontro tra liberalismo e positivismo, tra libero arbitrio e determinismo (o,
se si vuole, tra Scuola positiva e Scuola classica) su cui ancora si esercita la riflessione del
giurista penalista contemporaneo. Sul piano dei rapporti civili — se si prescinde da
occasionali interventi normativi, più spesso ispirati allo stile o al linguaggio di accordi
internazionali, in cui la capacità di discernimento è specificamente richiesta al fine di
esprimere un “consenso” —, il legislatore italiano appare viceversa incline a legare
l’indagine sul requisito del discernimento del minore alla vicenda dell’ascolto giudiziale”.
25
Il tema della capacità dell’infermo di mente è oggetto di ampia dottrina; vedi per tutti
Salvi, La responsabilità civile dell'infermo di mente, in Un altro diritto per il malato di mente.
Esperienze e soggetti della trasformazione, a cura di Cendon, Napoli, 1988. Il tema risulta
inciso significativamente dall’introduzione, ad opera della l. 6/2004, del nuovo istituto
dell’amministrazione di sostegno.
27 E’ da notare come le due categorie di soggetti siano spesso accomunate e non solo dalla
previsione dell’art. 2047; “è un dato comune che anche i bambini, i pazzi, gli ubriachi hanno
sentimenti, coscienze, volizioni: subiscono patimenti, ordiscono trame, hanno il sen so del
tuo e del mio. Ciò che loro manca è una visione ordinata e completa delle cose, una
capacità di reazione equilibrata e costante, l’idoneità a scegliere l’azione più appropriata
alle circostanze” (vedi Moschella, Fatto giuridico, Eng. Giur., XIV, Roma 1989).
26
11
In relazione alla capacità di intendere e di volere di un minore tale
valutazione dovrà essere compiuta quindi, lo si ribadisce, non tenendo conto
esclusivamente dell'età ma considerando questi ultimi unitamente allo sviluppo
psico-fisico del minore, alle modalità del fatto e a ogni altro eventuale elemento
rilevante.
Tale affermazione appare pacifica anche nella giurisprudenza di
legittimità che esclude di conseguenza che possa farsi esclusivo riferimento
all’età28. Appare quindi sicuramente superata una giurisprudenza di merito
piuttosto remota che aveva inve ce automaticamente reputato i minori di
quattordici anni, ai fini dell’applicazione dell’art. 2047 c.c., incapaci di intendere e
di volere, indipendentemente da qualsiasi accertamento di fatto29.
Il principio espresso dalla Suprema Corte, invece, comporta la necessità
di valorizzare il dato concreto e superare il mero fattore statistico, peraltro
destinato a cambiare con il mutare delle generazioni e il passare degli anni. La
giurisprudenza di legittimità suggerisce in buona sostanza un approccio case by
case che viene ritenuto analogo al modus operandi della giurisprudenza
nordamericana che valuta la condotta del minore non solo in relazione a ciò che
avrebbe fatto un suo coetaneo bensì a quello che ci si sarebbe potuti aspettare da
un individuo con la sua stessa età, esperienza e intelligenza e che si trovasse
nelle sue circostanze.
Una prima diretta conseguenza di tale impostazione è che l'accertamento
del giudice del merito della capacità di intendere e di volere del minore si risolve
in una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se
correttamente motivata30.
L’approccio suggerito dalla giurisprudenza di legittimità rende difficile, ma
non meno interessante, tentare di trarre indicazioni di massima circa
l’individuazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione sulla capacità e
come in concreto essi vengano valutati, attraverso un’analisi casistica;
comprendere su chi inoltre gravi l’onere di provare l’incapacità del minore; infine
segnalare quali siano i mezzi di prova attraverso i quali introdurre detti elementi
nel processo.
Il primo elemento da considerare e punto di riferimento obbligato appare
comunque essere l’età.
Cass. 19.11.1990, n. 11163; Cass. 21.2.1980, n. 1259; Cass. 18.6.1975, n. 2425; Cass.
17.10.1969, n. 3403; Cass. 4.4.1959, n. 1006. Nella giurisprudenza di merito App. Lecce,
22.12.1969, in Giust. Civ., 1970, I, 1480; App. Firenze, 13.3.1964, in Giur. Toscana,
1964, 598.
29 Trib. Reggio Emilia, 18.3.1982, in Foro it., Rep. 1983, voce Istruzione pubblica, n. 520.
30 In tema di responsabilità da fatto illecito, l'accertamento del giudice del merito della
capacità di intendere e di volere del minore (art. 2046 c.c.), cioè della sua idoneità alla
autodeterminazione, nella consapevolezza dell'incidenza del proprio operare sul mondo
esterno, si risolve in una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se
correttamente motivata: così Cass., 27.3.1984, n. 2027; Cass. 21.2.1980, n. 1259.
28
12
La dottrina31 ha segnalato che dall’analisi delle pronunce in materia si
rileva una tendenza degli organi giudicanti ad applicare, in sede di accertamento
dell’imputabilità, uno schema in base al quale, di fronte ad un minore in tenera
età, la prova dell’incapacità viene considerata in re ipsa, mentre, negli altri casi
(minori medi e «grandi minori») l’indagine sull’imputabilità porta ad una verdetto
positivo tanto più il danneggiante sia vicino al raggiungimento della maggiore età.
Più compiutamente in base alle varie decisioni giurisprudenziali sarebbe possibile
delineare tre grandi categorie. Una prima categoria è quella rappresentata dai
minori prossimi al raggiungimento della maggiore età; in queste ipotesi la
maturità psicofisica e le doti intellettive dei minori sono equiparate a quelle di un
adulto. Una seconda categoria individuabile è quella dei minori di età compresa
tra i dodici e i sedici anni. In questi casi particolare attenzione dovrà essere
rivolta al fatto che il minore dimostri, in base a caratteristiche soggettive concrete,
di essere in grado di badare a se stesso e, se ciò nonostante infranga le regole di
diligenza e prudenza, sarà passibile di condanna. Ultima categoria è
rappresentata da quei minori che, pur capaci di intendere e di volere, versino in
quella che è stata definita “tenera età”.
Sul punto però non si può non evidenziare come l’elasticità dei criteri
conduca a risultati non univoci.
Una remota giurisprudenza presume l’incapacità nei minori infanti
ritenendo tali i minori di sette anni32; d’altro canto risulta applicato l’art. 2048 a
bambini che frequentavano la prima elementare 33 o di 7 anni34; ed ancora, sono
stati considerati civilmente capaci di intendere e di volere un bambino di anni 935
ed uno di anni 1136 ma non uno di anni 1037; ancora, è stato considerato capace
un minore di 4 anni38.
Un dodicenne è stato considerato capace 39 o meno40 a seconda delle
circostanze del caso.
Venchiarutti, La responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte,
in AA.VV., La responsabilità extracontrattuale. Le nuove figure di risarcimento del danno
nella giurisprudenza, a cura di Cendon, Il diritto privato oggi, Milano, 1994, 402.
32 Cass. 7.7.1958, n. 2435; Trib. Piacenza. 4.3.1961, in Arch. Civ., 1961, 869; vedi anche
App. Cagliari, 22.6.1963, in Rass. Giur. Sarda, 1963, 373, secondo cui “Trattandosi di
danno provocato da minore di sette anni il genitore risponde in base all'art. 2047 c.c., e non
2048, per cui la prova liberatoria non può comprendere la dimostrazione, da parte dei
genitori, di aver dato al minore una buona educazione”
33 Cass. 20.9.1979, n. 4835; Cass. 4.3.1977, n. 894.
34 Nel caso esaminato da Cass. 20.1.2005, n. 1148, si fa riferimento ad un minore colpito
all’occhio da un ceppo di legno scagliato da minore di sette anni; la Corte di Appello aveva
ritenuto che in base all’età il minore fosse da ritenere incapace e la Corte di Cassazione
non entra nel merito della questione non essendo oggetto di ricorso.
35 Cass. 4.4.1959, n. 1006, in Giur. it., 1959, I, 1, 619.
36 Cass. 10.2.1999, n. 135, in Giur. it., 2000, I, 1, 507
37 Cass. 9.7.1998, n. 6687.
38 Cass. 3.10.1966, n. 2367. Cocchi, Art. 2048 c.c.: orientamenti giurisprudenziali sulla
responsabilità da illecito cagionato da minore “capace”, in Resp. civ. e prev., 2010, 10,
1969
cita
anche,
in
tal
senso,
Trib.
Palermo,
19.5.2010,
in
www.edscuola.it/archivio/norme/varie/senttribpa2665_10.pdf.
39 Cass. 26.6.2001, n. 8740.
40 Cass. 24.10.1988, n. 5751.
31
13
Alcune decisioni di merito hanno considerato, oltre l’età, anche il sesso41
Talvolta, unitamente all’età, risulta essere preso in considerazione lo
scarso rendimento scolastico riferito dai testimoni42 o la tipologia di studi
frequentati43.
Molto spesso il riferimento decisivo appare essere quello delle modalità
del fatto. Sulla rilevanza di tale elemento però in realtà non vi è chiarezza né
univocità delle interpretazioni.
Per esempio in un caso la Suprema Corte ha ritenuto, sulla base delle
modalità del fatto, capace di intendere e di volere un bambino di sei anni44.
Si trattava di un minore che aveva lanciato un sasso contro un coetaneo
cagionando la ferita perforante del bulbo oculare con conseguente perdita del visus.
Egli, benché seienne all'epoca dei fatti, fu ritenuto avere la capacità di comprendere
la pericolosità del gesto che compiva, ed avere altresì la volontà di arrecare danno al
coetaneo, ciò desumendo, oltre che dal suo normale sviluppo fisico-psichico (confermato
anche dal suo buon inserimento nella vita scolastica), dalle modalità del fatto, emerse dalle
deposizioni dei testi escussi, e dalla determinazione dimostrata nel lancio consecutivo di tre
sassi contro il coetaneo.
Appare però evidente che la determinazione nel voler lanciare la pietra
contro un altro bambino se certo può essere indicativa di una sicura volontà di
cagionare l’evento, non appare altrettanto decisiva a proposito della capacità del
minore di comprendere la portata del proprio gesto. Tanto che sempre a proposito
di bambini che lanciano sassi, altra giurisprudenza ha ritenuto capace un minore
di 4 anni45 e incapace un minore di 1046.
Un punto di riferimento obbligato, in quest’esame, è costituito da altra
giurisprudenza, molto citata nei re pertori4 7 .
App. Firenze, 13.3.1964, in Giur. tosc., 1964, 598, ha considerato capace la minore
infraquattordicenne, motivando sulla circostanza che la donna con lo sviluppo fisiologico
raggiunge di solito più precocemente e prima dell’uomo anche la capacità di intendere e di
volere.
42 Cass. 19.6.1997, n. 5485.
43 Trib. Trani, 20.5.2007, in Fam. e dir., 4, 2008, 379, anche sulla base delle modalità del
fatto e della particolare aggressività dimostrata dai minori tutti ultraquattordicenni.
44 Cass. 19.11.1990, n. 11163.
45 Cass. 3.10.1966, n. 2367 cit.
46 Cass. 9.7.1998, n. 6687.
47 Cass. 26.6.2001, n. 8740, leggibile su Foro it. 2001, I, 3098, con nota redazionale e
commento di Di Ciommo, L’illiceità (o antigiuridicità) del fatto del minore (o dell’incapace
)come presupposto per l’applicazione dell’art. 2048 (o 2047) c.c. La sentenza si segnala
altresì per numerose altre affermazioni di principio tra cui: l’affermazione della natura
diretta della responsabilità dei sorveglianti di cui all’art. 2047 c.c. e dei genitori ex art.
2048 nel senso che essa postula non solo la commissione dell’illecito da parte del
minore/incapace ma anche la condotta (commissiva o più spesso omissiva) direttamente
ascrivibile ai medesimi e che si caratterizzi per la violazione dei doveri della sorveglianza e
dell’educazione; l’affermazione della necessaria illiceità del fato posto in essere dal minore
e della necessaria antigiuridicità del fato commesso dall’incapace.
41
14
La sentenza concerne il caso di un infortunio occorso ad una minore mentre
giocava a “ruba bandiera” nel cortile di una parrocchia ed era travolta da un avversario
dodicenne; cadendo a terra ella riportava la frattura del polso.
La Corte, nel caso di specie, ha espressamente negato che la sola
circostanza dell’età di 12 anni (e più in generale il fatto di essere di età inferiore a
14 anni) determini di per sé incapacità di intendere e di volere; analogamente ha
negato che una valutazione sulla capacità possa ricavarsi esclusivamente dalle
modalità del fatto e ha ritenuto necessario che il giudice valuti anche lo sviluppo
intellettivo del soggetto, quello fisico, l'assenza (eventuale) di malattie, la forza del
carattere , la capacità del minore di rendersi conto della illiceità della sua azione,
la capacità del volere con riferimento all'attitudine ad autodeterminarsi.
La Corte ha precisato che la legge non indica i criteri in base ai quali
effettuare quest’accertamento ma lo affida al giudice che dovrà compierlo
seguendo criteri di comune esperienza e nozioni della scienza.
Passando poi ai criteri di valutazione, occorre subito evidenziare che un
riferimento spesso contenuto nelle decisioni di legittimità è quello che gli elementi
acquisiti al processo debbano essere valutati secondo le massime di comune
esperienza e le nozioni della scienza, con la precisazione che questi criteri sono
implicitamente assunti dalla norma, per cui il giudice è tenuto a rispettarli e la
mancata applicazione degli stessi si risolve in una violazione di legge 48.
Ciò premesso, occorre fornire una breve considerazione che potrebbe
aiutare a comprendere quelle che appaiono posizioni contraddittorie della
giurisprudenza.
Occorre infatti segnalare, cogliendo gli spunti di una dottrina che si è
occupata del tema49, che spesso nelle decisioni in materia non vi è una espressa
presa di posizione su quale sia il presupposto di partenza in casi siffatti. In altri
termini, in presenza di un minore, si parte da una presunzione di capacità o di
incapacità? Chi deve provare cosa?
In linea di principio non si dovrebbe dubitare che il riparto dell’onere
della prova appare dipendere dalla concreta vicenda processuale; qualora l’attore
agisca contro il sorvegliante assumendo, quindi anche implicitamente,
l’incapacità del minore, l’onere di provare tale incapacità graverà sull’attore
medesimo; così si è espressa la S.C.50. In dottrina si rinviene del resto l’opinione
che la prova della non imputabilità deve essere fornita dal soggetto che la
invoca51. Nessun problema sussiste quindi per esempio ove l’attore citi i genitori
in giudizio espressamente (o anche implicitamente) facendo riferimento alla
previsione dell’art. 2047 e quindi anche alla condizione di incapacità del minore e
all’obbligo di sorve glianza dei genitori.
Cass. 28.4.1975, n. 1642.
Ferrante, La responsabilità civile dell’insegnante, del genitore e del tutore, Milano, 2008,
104.
50 Cass. 26.6.2001 n. 8740.
51 Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965, 73.
48
49
15
Sennonché nella stragrande maggioranza dei casi concreti un’esplicita
presa di posizione dell’attore in tal senso non vi sarà e i genitori saranno citati
nella loro generica qualità o magari facendo riferimento cumulativamente alle due
disposizioni.
In casi siffatti, allora, chi dovrà allegare e provare lo stato di
capacità/incapacità? E cioè, in altri termini, il minore si presume capace o
incapace civilmente?
Su tale questione non si registrano esplicite prese di posizione della
giurisprudenza ma vi sono numerosi passaggi motivazionali in talune decisioni
che lasciano comprendere che la giurisprudenza parta molto spesso da una
presunzione di capacità del minore.
Si faccia riferimento per esempio alla già citata Cass. 8740/2001 la quale
afferma: <<nella fattispecie la sentenza impugnata non ha mai ritenuto che il
ragazzo antagonista fosse un incapace di intendere e di volere, per cui fosse
applicabile necessariamente la disciplina dell’art. 2047 c.c. ma sempre qualificato
lo stesso (soltanto, n.d.r.) come minore. Né come si è detto la sola età di dodicenne
ne faceva pacificamente un incapace…>>. E da questo presupposto, pur in
assenza di alcun accertamento nel giudizio di merito circa l’effettiva capacità o
meno, la S.C. fa discendere l’applicabilità dell’art. 2048 c.c.
Ciò probabilmente spiega come mai i risultati interpretativi cui si perviene
non siano sempre univoci52.
Quanto ai mezzi di prova utilizzabili per accertare la capacità di
intendere e di volere del minore si rileva quanto segue.
In primo luogo non può non rilevarsi come in molti casi l’accertamento
sulla capacità sia compiuto dal giudice civile mediante l’utilizzazione delle
risultanze della perizia svolta nel corso del procedimento penale davanti al
Tribunale per i minorenni. Così è avvenuto in diversi casi esaminati sia dai
giudici di legittimità53 che dai giudici di merito54. Ovviamente ciò è possibile solo
ove si tratti di illeciti tanto gravi da condurre ad un procedimento penale e
sempre che riguardino minori di età tra i 14 e i 18 anni.
In senso critico nei confronti di tale impostazione giurisprudenziale vedi Ferrante, La
responsabilità civile dell’insegnante, del genitore e del tutore, Milano, 2008, 113, che
propone una soluzione interpretativa esattamente opposta; l’A., partendo dall’assunto che
la legge prevede la capacità di agire in capo al minore al compimento del 18° anno di età
(art. 2 c.c.) e dalla considerazione che la capacità di intendere e di volere non possa che
essere un presupposto logico della capacità di agire, perviene alla conclusione che per i
minori, anche ai fini dell’applicazione degli artt. 2047 e 2048, si debba partire dalla
presunzione di incapacità di intendere e di volere. In altri termini in assenza di esplicita
allegazione e prova si applicherà l’art. 2047 e non l’art. 2048, con conseguente
alleggerimento dell’onere probatorio in capo ai genitori; sul quale vedi peraltro i successivi
paragrafi.
53 Cass. 12.12.2003 n. 19060.
54 Trib. Chieti cit., che riguarda il caso di una persona ferita volontariamente dal minore
con un coltello da cucina, avente un manico di cm. 14 ed una lama di cm . 19; cfr. anche
Trib. Venezia, 14.7.1999, in Foro Padano, 2000, I, 428 e App. Genova, 13.10.2006, in
DVD Platinum Utet.
52
16
Le indagini da compiere in questo tipo di perizie, rispetto la capacità di
intendere e di volere di un minore sia in relazione alla psicopatologia, sia in
relazione alla sua eventuale maturità o immaturità, sono molto estese e
riguardano concetti prevalentemente sociologici e psicologici, anche se questi
ultimi hanno sempre avuto difficoltà nell’essere validamente studiati e definiti, a
vantaggio del modello medico-biologico, maggiormente preso in considerazione
per la sua maggiore chiarezza e apparente semplicità. D’altronde, l’opinione
concorde di norma, dottrina e giurisprudenza, fa riferimento specifico
all'ambiente, alle condizioni culturali, familiari e sociali, ma anche ad aspetti più
prettamente psicologici – letti alle volte in chiave medica - come sviluppo psichico
globale sia intellettuale che volitivo-motivazionale, istintivo-affettivo, etico-morale.
L'interpretazione dell'art. 98 c.p. ha condotto al concetto di immaturità
che non emerge da nessuna disposizione legislativa in quanto conseguenza di
elaborazione giurisprudenziale55; l’immaturità, se accertata, consente di escludere
la capacità di intendere e di volere anche in assenza di infermità e dunque
l’imputabilità del minore è legata anche al concetto di maturità evolutiva.
Con tale concetto la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha indicato
in modo concorde vari parametri, fra i quali il livello di maturazione individuale
sotto il profilo fisiologico, psicologico e sociale, che presuppone la consapevolezza
dell’antigiuridicità e del disvalore sociale dell’atto deviante e di conseguenza la
capacità di determinare il proprio comportamento, ma anche uno sviluppo
armonico della personalità e intellettivo adeguato all’età, la capacità di valutare in
modo adeguato i motivi degli stimoli a delinquere, la capacità di comprendere il
valore morale della propria condotta, la capacità di valutare le conseguenze
dannose del proprio operato per sé e per gli altri, la forza del carattere, l’attitudine
a distinguere il bene dal male, l'onesto dal disonesto, il lecito dall'illecito, la
volontà rispetto il proprio agito come risultato di una scelta consapevole
Laddove la perizia non vi sia stata in sede penale, nulla vieta di disporre
una C.T.U in sede civile, anche se nella prassi giurispr udenziale il ricorso a tale
incombente istruttorio in casi siffatti appare piuttosto infrequente.
Tale prassi ha ricevuto un avallo autorevole da un recente intervento della
Suprema Corte 56 che ha escluso la necessità di svolgere indagini tecniche di
carattere psicologico per affermare o escludere la capacità di intendere e di volere
di un minore “quando le modalità del fatto e l’età del minore siano tali da
autorizzare una conclusione in un senso o nell’altro”.
Il caso concerneva il seguente fatto: durante il viaggio su uno scuolabus un
bambino della terza elementare era aggredito da un bambino della quinta (di dieci anni), a
seguito di una lite sul posto da occupare; il bambino di quinta lo colpiva alla schiena
ripetutamente con la cartella provocandogli la lesione di quattro vertebre.
I giudici di merito avevano ritenuto l’aggressore incapace di intendere e di volere in
base
55
56
all’età
(dieci
anni)
e
alle
modalità
del
fatto
(argomentando
soprattutto
Cass. pen., 14.7.1982, n. 6979.
Cass. 19.11.2010, n. 23464.
17
sull’imprevedibilità della conseguenza lesiva grave rispetto al mezzo di offesa adoperato) ed
escludendo la necessità di indagini tecniche; la S.C. ha confermato tale decisione ritenendo
che ben potesse il giudizio fondarsi su massime di comune esperienza unicamente tenendo
conto dell’età e delle modalità del fatto.
In realtà ciò che appare estremamente frequente è il ricorso alle
presunzioni57.
3.1. Alcune considerazioni.
La non univocità degli orientamenti giurisprudenziali in materia dipende
evidentemente anche dalla scelta del nostro ordinamento di non indi care alcun
limite di età oltre/al di sotto del quale ritenere la capacità/incapacità al fine di
essere considerati civilmente responsabili58.
Appare utile rammentare però che esistono diverse disposizioni interne e
internazionali che variamente considerano i minori come capaci di discernimento
o dotati di una maturità adeguata a porre in essere atti rilevanti giuridicamente.
A 16 anni infatti il minore:
- può contrarre matrimonio (art. 84 c.c.) ed eventualmente riconoscere il
figlio (art. 244 c.c.);
- può proporre mediante curatore speciale azione di disconoscimento
della paternità, ex art. 244 c.c.;
- acquista la capacità di compiere gli atti giuridici relativi alle opere
dell’ingegno da lui create (art. 108 della l. 633/1941);
- deve essere sentito in caso di nomina del tutore (art. 348 c.c.);
- può essere sentito in caso di disaccordo tra genitori (art. 145 c.c.).
A 15 anni il minore:
- acquista la capacità di lavoro sempre che abbia concluso l’istruzione
obbligatoria (art. 3 della l. 977/1967).
A 14 anni il minore:
Vedi Cass. 30.1.1985, n. 565, secondo cui “In tema di responsabilità civile da fatto
illecito, la capacità d'intendere e di volere del minore, la quale esclude l'applicabilità dell'art.
2047 cod. civ., può essere accertata dal giudice del merito, con valutazione di fatto
incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, anche mediante
presunzioni, quali il riferimento alla stessa età del minore e al tipo di studi da lui
frequentati”.
57
Negli USA diversi Stati, almeno dieci, hanno codificato in materia di responsabilità
civile la cd. rule of sevens, principio in virtù del quale i bambini sotto i sette anni sono
sempre considerati incapaci di intendere e di volere mentre quelli più grandi sono in forza
di una presunzione iuris tantum considerati pienamente capaci. Negli altri Stati dove
manca una regola precisa sono normalmente considerati incapaci solo i bambini di
quattro o cinque anni. Così F. Di Ciommo, Figli, discepoli e discoli in una giurisprudenza
bacchettona?, in Danno e resp., 2001, 257, che rinvia per ulteriori approfondimenti a
Dobbs, The Law of torts, St. Paul, 2000, 293.
58
18
- deve essere sentito dal giudice in caso di decisioni inerenti all’esercizio
contrastante della potestà genitoriale (art. 316 comma 5 c.c.);
- può condurre un ciclomotore (art. 116 c.d.s.);
- può decidere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione
cattolica (art. 1 della l. 281/1986).
A 12 anni il minore:
- deve essere sentito nella procedura di adozione (art. 35 comma 4 della l.
184/1983);
- deve essere sentito ogni qualvolta si debba decidere in ordine
all’affidamento (art. 155 sexies c.c.); è una delle grandi novità introdotte dalla l.
54/2006, in materia di affidamento condiviso; tale audizione può essere disposta
anche per il minore di dodici anni “se capace di discernimento”.
Da ultimo è stato segnalata l’esistenza di una “norma antica ma non
antiquata” 59 e cioè l’art. 9 della l. 24.10.1942. n. 1415 sull’impianto ed esercizio di
ascensori e montacarichi secondo cui è vietato l’uso degli ascensori ai minori ai
anni 12 non accompagnati da persone di età più elevata.
Sulla base di tali previsioni, una parte della dottrina ritiene che l’età di
dodici anni sia un’adeguata età limite che possa adeguatamente differenziare i
minorenni per fasce di età60; o almeno, si deve aggiungere, rappresentare lo
spartiacque, salva sempre la valutazione del caso concreto, tra i casi di minori
presuntivamente incapaci e presuntivamente capaci.
4. Il requisito della coabitazione nella fattispecie dell’art. 2048.
Per espresso disposto dell’art. 2048, comma 1, c.c., affinché la regola
della responsabilità dei genitori possa operare, è necessario che il minore coabiti
con gli stessi.
Il requisito della coabitazione nasce dall’esigenza di imputare la
responsabilità a quei soggetti che non solo hanno la potestà sul minore ma,
appunto perché coabitano con lui, sono effettivamente in grado di esercitarla61.
La previsione si spiega però anche in considerazione del fatto che
“secondo la valutazione legale tipica del legislatore, la convivenza rivela sia
l'assenza di un patrimonio del minore idoneo a garantire il risarcimento degli
eventuali danni da lui arrecati a terzi, sia l’esistenza di condizioni ambientali
minime perché i genitori possano proficuamente esercitare i doveri di educazione e
vigilanza” 62.
Ferrante, op. cit., 711.
Ferrante, op. cit., 714, che cita anche Scardaccione, op. cit. 1327. L’A. richiama anche,
a sostegno di ciò le tesi dello psicologo Jean Piaget per il quale all’età di 12 anni si verifica
il passaggio di sviluppo cognitivo dalla fase del pensiero operatorio concreto alla fase del
pensiero operatorio formale.
61
Cass. 13.04.1979, n. 2195.
62 Cass. 10.07.1998, n. 6741, GI, 1998, I, 1809
59
60
19
Da un esame della dottrina circa il concetto di coabitazione, si può
rilevare come esso non abbia avuto una lettura univoca ma sia stato variamente
interpretato, a volte, in senso molto formale e rigoroso come «rapporto di stabile
convivenza», altre volte, come «consuetudine di vita comune» fino a pervenire ad
accezioni assolutamente atecniche quale quella per cui «coabitazione» è anche la
semplice convivenza occasionale63.
Opinione ormai comune nella giurisprudenza ritiene che la coabitazione
non vada intesa in senso materiale e restrittivo, come presenza costante e
continuativa del genitore, bensì quale consuetudine di vita comune.
La temporanea assenza del minore dalla residenza familiare, infatti, non è
stata considerata dalla giurisprudenza come causa interruttiva della coabitazione
ai fini dell’applicazione dell’art. 2048 c.c.64.
Pertanto, qualora il minore temporaneamente assente da casa cagioni un
danno - si pensi al minore «che trascorre, lontano da casa il fine settimana in
compagnia di amici, ovvero partecipa ad un soggiorno in montagna organizzato
dall’isti tuto scolastico (...) o l’ipotesi in cui il minore lasci la famiglia per motivi di
lavoro o per seguire un corso di studio» 65 o viceversa sia a casa in regime di
licenza dal servizio militare, qualunque sia la durata della licenza 66 i genitori
potranno essere ugualmente chiamati a rispondere ex art. 2048.
In realtà, nella giurisprudenza vi è una chiara tendenza alla
elasticizzazione del concetto di coabitazione tanto da ritenere che la stessa
sussista anche quando il figlio si era trasferito a vivere dal fratello da due anni
per ragioni di lavoro67.
Nella fattispecie esaminata, la responsabilità dei genitori deriva da un incidente
provocato dal figlio sedicenne nella conduzione di un motorino: a seguito di una negligente
ed irresponsabile condotta alla guida dello stesso, risultano provocati danni ad un altro
minorenne conducente anch’egli un ciclomotore. Il Tribunale di primo grado, accertata la
responsabilità di uno solo dei minorenni, aveva condannato i genitori al risarcimento dei
danni in applicazione dell’art. 2048 c.c. La Corte d’appello riformava la sentenza di primo
grado, escludendo la responsabilità dei genitori in base alla considerazione che, alla data
dell’incidente, la loro coabitazione con il figlio era cessata ormai da due anni, per essersi
questi trasferito a vivere con il fratello per ragioni lavorative. La Corte di cassazione,
63
Morozzo della Rocca, op. cit., 139.
64
Cass. 20.4.1978, n. 1895; Cass. 9.6.1976, n. 2115.
65
Venchiarutti op. cit., 408.
Cass. 14.5.1963, n.
66
Cass. 14.3.2008, n. 7050, in Giur. it., 2008, 10 (con nota di Esposito, Responsabilità
dei genitori e “convivenza” col minore) ha ritenuto che il temporaneo allontanamento del
minore dalla casa dei genitori, per motivi di lavoro, non esima costoro da responsabilità,
essendo ascrivibile a oggettive carenze educative l'illecito comportamento manifestatosi
nella inosservanza delle norme sulla circolazione stradale.
67
20
ribaltando la decisione di merito, ritiene che «la responsabilità dei genitori non può ritenersi
esclusa per il solo fatto del temporaneo allontanamento del minore dalla casa familiare,
qualora l’illecito da lui commesso consista nel mancato rispetto delle regole vigenti nel
contesto sociale, in termini tali da manifestare oggettive carenze dell’attività educativa.
In particolare, la condanna dei genitori «per il venir meno al dovere di
vigilanza, sarà pronunciabile allorquando le circostanze del caso concreto attestino
che costoro hanno autorizzato il minore, del tutto impreparato a restare lontano
dalla famiglia, ad assentarsi senza affidarlo a persone competenti a sorvegliarlo in
modo adeguato. Invece, allorché emerga che in considerazione dell'età e della
maturità del minore l'esercizio della vigilanza poteva allentarsi, il fatto dannoso
commesso dal figlio mentre non si trovava in compagnia dei genitori sarà ascrivibile
a costoro ex art. 2048, 1° co., c.c. per un difetto nell'opera di educazione» 68.
Conformemente, in giurisprudenza si legge che «la responsabilità del
genitore per il fatto illecito del minore, a norma dell'art. 2048 c.c., non è esclusa da
un impedimento del genitore stesso (lontananza o altro) all'esercizio della potestà,
traducendosi la relativa propria liberatoria, di cui all'ultimo comma dell'art. 2048,
nella dimostrazione, non del mero fatto materiale della lontananza, bensì di avere
in adempimento dell'obbligo imposto ad entrambi i coniugi dall'art. 147 c.c. ed
indipendentemente, pertanto dall'esercizio della potestà - impartito al minore
l'educazione e l'istruzione consone alle proprie condizioni familiari e sociali,
vigilando, altresì, sulla sua condotta in misura adeguata all'ambiente, alle abitudini
ed al carattere del soggetto. Perciò, non basta che il genitore dimostri di non avere
potuto materialmente impedire il fatto, occorrendo che egli provi di avere svolto, nei
riguardi del minore, una vigilanza, in genere, adeguata alla sua età, al suo
carattere ed alla sua indole e di avergli impartito un'educazione normalmente
idonea, in relazione al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, ad
avviarlo ad una corretta vita di relazione e, quindi, a prevenire un suo
comportamento illecito, nonché, in particolare, a correggere quei difetti (come
l'imprudenza e la leggerezza) che il fatto dal minore ha rilevato» 69.
Diversamente, qualora il requisito della coabitazione manchi, non per
ragioni contingenti, i genitori non risponderanno del fatto illecito del figlio, sempre
che il minore abbia lasciato la residenza familiare per fatto non imputabile ai
genitori e che questi, nel caso che l’allontanamento del figlio non fosse
autorizzato, abbiano fatto il possibile per farlo tornare a casa 70.
Al riguardo, infatti, si sottolinea come sia preferibile una lettura non
eccessivamente formale del presupposto in esame, in quanto, escludere la
responsabilità dei genitori, per mancanza di coabitazione, anche nelle ipotesi in
cui la non coabitazione sia ascrivibile ad una colpa dei genitori (ad es. a seguito di
un comportamento in violazione dei doveri derivanti dall’art. 147 c.c.) non
sarebbe coerente con la ratio dell’art. 2048 c.c.
68
69
70
Venchiarutti, op. cit., 408.
Cass. 18.12.1992, n. 13424.
Cass. 11.7.1978, n. 3491.
21
Solo dove esista e sia verificato un « passaggio di consegne » i genitori non
dovranno incorrere nella responsabi lità di cui all'art. 2048. Viceversa, i genitori
che abbiano reciso il legame di convivenza con il figlio minore d'età, o abbiano
tollerato l'allontanamento dalla casa familiare del giovane, senza assicurarsi che
altri potessero adeguatamente sostituirli nelle loro funzioni, dovranno essere
considerati responsabili ai sensi dell'art. 2048 c.c. in quanto obbligati a realizzare
quella coabitazione con i figli che pure è venuta meno71.
In sintesi, quindi, possiamo dire che, qualora il minore viva da solo, cade
un presupposto fondamentale per l’operatività dell’art. 2048 c.c., sempre che il
minore stesso abbia stabilmente lasciato la casa familiare per fatto non
imputabile ai genitori.
Problemi peculiari pone la questione dei genitori separati o divorziati,
oggetto di altra relazione.
Si pone, infine, il problema dell’onere della prova della coabitazione.
Poiché si tratta di un elemento costitutivo della responsabilità di cui
all’art. 2048 c.c., in base ai principi di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provare il
requisito della coabitazione incombe sull’attore, cioè sul danneggiato.
Quest’ultimo, pertanto, non potrà limitarsi solamente a fornire la prova di avere
subito un danno e che tale danno è stato causato dal minore capace, ma dovrà
anche dimostrare che il danneggiante convive con coloro i quali sono chiamati
dall’art. 2048 c.c. a rispondere (magari anche solo in solido) del danno, pur se
non è da escludere il ricorso a presunzioni semplici.
5. La prova liberatoria nella concreta applicazione giurisprudenziale.
L’accertamento della capacità del minore rileva anche in riferimento al
contenuto della prova liberatoria dei genitori che assume connotazioni diverse a
seconda che trattasi di minori capaci o incapaci.
Sia l’art. 2047 che l’art. 2048 contemplano la possibilità da parte dei
sorveglianti-genitori di dare la prova liberatoria, consistente nel “non aver potuto
impedire il fatto”.
E’ nota l’interpretazione molto rigorosa offerta dalla giurisprudenza a tale
prova liberatoria e sulla quale si tornerà nei paragrafi successivi.
Sinteticamente si deve in questa sede osservare che secondo la
giurisprudenza, nella fattispecie di cui all’art. 2047 c.c., il genitore risponde per
l’omessa o cattiva sorveglianza del minore incapace, intendendosi detta
sorveglianza come vigilanza anche fisica dello stesso.
Quanto invece alla responsabilità dei genitori ex art 2048 c.c., anche in
tal caso la prova liberatoria è stata al centro di diffusa interpretazione
giurisprudenziale.
Morozzo della Rocca, op. cit., 143. Così, nella vigenza dell’art. 1153 del codice civile del
1865, Cass. 10.12.1930, n. 3533.
71
22
L'impedire il verificarsi dell'evento di danno è stato trasformato nella
dimostrazione di aver vigilato il minore e di averlo ben educato72. La prova
richiesta ai genitori non ha alcun riferimento diretto ed immediato al fatto illecito
commesso dal minore ed alla concreta possibilità per i genitori stessi di impedirlo,
ma si estende alla valutazione dell'intero sistema educativo da questi posto in
essere.
La prova liberatoria si traduce nella dimostrazione di aver impartito
l'educazione e l'istruzione consone alle condizioni sociali e familiari e di aver
vigilato sulla condotta in misura adeguata all'ambiente, alle abitudini ed al
carattere.
Appare quindi molto importante l’accertamento della capacità di
intendere e di volere del minore, in quanto se è vero che sono sempre i genitori a
rispondere sia come sorveglianti ex art. 2047 che ex art. 2048, ove ricorra la
prima fattispecie, la prova liberatoria avrà ad oggetto esclusivamente
l’assolvimento dell’obbligo di sorveglianza; mentre nel caso dell’art. 2048 il
genitore, per andare esente da responsabilità, dovrà dimostrare di aver assolto sia
l’obbligo di vigilanza sia l’obbligo di educazione. In altri termini il contenuto della
prova liberatoria per il genitore convenuto in giudizio dal danneggiato cambia a
seconda che il figlio sia capace di intendere e di volere o meno (e ciò pur essendo
la formula del legislatore identica per entrambi i casi)73.
E’ vero che la nozione di sorveglianza è più ampia di quella di educazione;
l'ampiezza dell'obbligo di sorveglianza dei soggetti incapaci di intendere o volere è
da rapportare infatti alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, che,
considerando altresì la natura e il grado di incapacità del soggetto sorvegliato,
possono consentire o facilitare il compimento di atti lesivi da parte del
medesimo74.
Ma è anche vero che la posizione del genitore convenuto quale “cattivo
sorvegliante” appare più leggera di quella del genitore “cattivo vigilante e cattivo
educatore”, soprattutto alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, di cui si dirà
meglio successivamente, che in caso di fatti gravi presume l’omessa buona
educazione direttamente dalle modalità del fatto.
5.1. La prova liberatoria dei genitori del minore incapace
Ove il figlio minore sia ritenuto incapace di intendere e di volere i genitori
risponderanno del suo comportamento e del danno da esso cagionato come
“sorveglianti” secondo il canone dell’art. 2047 c.c.
Gentile, La prova liberatoria nella responsabilità del genitore e del precettore, in
Responsabilità civile , a cura di Spinelli, II, Bari, s.d., 599.
73 Cass. 10.4.1970, n. 1008.
74 Cass. 24.5.1997, n. 4633.
72
23
In linea generale (si rammenti che la disposizione dell’art. 2047 concerne
infatti tutti gli incapaci e non solo i minori75) si è osservato76 che il testo letterale
della norma codicistica è interpretato in giurisprudenza nel senso per cui il
vicario, al fine di essere sollevato per il fatto dell’incapace, deve provare di aver
adottato tutte le misure che in concreto apparissero idonee a scongiurare il
danno 77. Questa posizione interpretativa si raffina nella giurisprudenza di
legittimità, con l’adozione della teorica del pericolo o del rischio creato o tollerato.
In questo modo la Corte Suprema ha delineato una massima giurisprudenziale
secondo cui il vicario deve dimostrare di non aver creato o lasciato permanere
situazioni di pericolo, tali da permettere o da agevolare il compimento di atti
lesivi78.
Il sorvegliante deve, quindi, tenere conto, a tal fine, della natura e del
grado di incapacità del soggetto vigilato, nonché del «contorno esteriore» in cui
avvengono i suoi atti. La valutazi one di queste circostanze è formalmente rimessa
all’insindacabile apprezzamento del giudice di merito.
Il sorvegliante viene scagionato in quattro occasioni: a) qualora riesca a
dimostrare di non essere stato nella condizione di impedire l’evento, malgrado il
diligente esercizio della vigilanza materiale; b) ovvero quando risulti che
l’omissione è stata dovuta ad una causa non imputabile al sorvegliante stesso79;
c) ovvero quando l’incapace abbia realizzato il fatto repentinamente, in modo tale
da non attirare in alcun modo l’attenzione del vicario, a meno che l’evento non sia
preceduto da evidenti segnali di irrequietezza80; d) ovvero ancora quando si possa
dimostrare che il danno si sarebbe ugualmente verificato nonostante l’esercizio
della sorveglianza e, quindi, che non vi sia nesso di causalità tra l’omissione e il
fato dannoso81.
La norma inerisce anche alla (molto) problematica questione della sorveglianza
dell’infermo di mente: vedi per es. Cass., 16.6.2005 n. 12963, secondo cui “Nei confronti di
persona ospite di reparto psichiatrico, non interdetta nè sottoposta a trattamento sanitario
obbligatorio ai sensi della legge 13 maggio 1978, n. 180, la configurabilità di un dovere di
sorveglianza a carico del personale sanitario addetto al reparto e della conseguente
responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2047 primo comma cod. civ. per i danni cagionati
dal ricoverato presuppone soltanto la prova concreta della incapacità di intendere e di volere
del medesimo”. In generale, sul rapporto tra la responsabilità (soprattutto penale) dello
psichiatra e la imputabilità del paziente vedi Venturini, Casagrande, Toresini, Il folle
reato, Milano, 2010.
75
Monateri, Trattato di diritto privato. Illecito e responsabilità civile, Torino, 2008.
Così App. Messina 7.6.1958, in Rep. Giur. it., 1956.
78 Cass. 14.9.1967, n. 2157; Cass. 10.8.1964, n. 2291.
79 Cfr. Cass., 10.3.1980, n. 1601, in Dir. Fam., 1981, I, 415.
80 Cfr. Cass., 15.12.1980, n. 6503, in Giur. it., 1981, I, 1, 1453, in cui la Suprema Corte
afferma che: «La fuga di un bambino di 5 anni dalla finestra di un istituto di assistenza non
è evento imprevedibile se preceduto da segni di irrequietezza e da un altro tentativo di
fuga”.
76
77
Cfr. Cass., 19.6.1997, n. 5485, in Dir. ed economia assicuraz., 1998, 287; nel caso di
specie un minore era stato colpito all'occhio sinistro, con gravi conseguenze lesive, da una
palla di fango e calce lanciata dal minore. Tale decisione è molto importante anche un
81
24
Tali soluzioni giurisprudenziali sono condivise da autorevole dottrina che
considera la formula legislativa del tutto insoddisfacente 82. Il riferimento al “non
aver potuto impedire il fatto” necessitava, secondo tale opinione, di un
chiarimento generale e si propone l’esempio dell’insegnante che si volta verso la
lavagna e, quindi, non può in quel momento impedire che il minore, caduto in
stato temporaneo di incapacità, conficchi il proprio pennino nell’occhio del
compagno. La formula della legge è così insoddisfacente che non riesce a far
comprendere se l’insegnante in quel caso debba essere responsabile (perché non
doveva voltarsi) o non responsabile (perché in quel momento non poteva
umanamente impedire il fatto accorrendo sul luogo dell’illecito). La formula
legislativa
necessitava
pertanto
essenzialmente
di
una
riscrittura
giurisprudenziale .
In riferimento alla giurisprudenza in materia di obblighi dei genitori non
si segnalano peculiarità.
Occorre solo fare tre precisazioni.
In primo luogo, premesso che l’obbligo di sorveglianza del minore
incapace è molto più intenso di quello di vigilanza di cui si dirà appresso, esso è
sempre rapportato alle concrete circostanze del fatto: “il contenuto dell'obbligo di
vigilanza di un minore non può essere predeterminato in assoluto, ma deve essere
valutato relativamente all'età e al grado di maturità del medesimo” 83.
In secondo luogo si deve evidenziare che la clausola dell’evento repentino
può scomparire ove si ritenga che è esperienza quotidiana quella per cui nella
condotta dei fanciulli non è affatto imprevedibile che avvengano movimenti
inconsulti ed improvvisi.
In terzo luogo, sempre in riferimento ai minori, la giurisprudenza ha
avuto modo di esaminare la questione della traditio del minore ad un altro
soggetto.
Alcune decisioni di merito piuttosto remote hanno, correttamente,
stabilito che non solleva la responsabilità del vicario l’affidamento del minore
incapace ad un coetaneo, pur in mancanza di altre persone adulte responsabili
cui affidarne la custodia84. Al vicario gioverà comunque la già esposta
applicazione dei principi della causalità alternativa ipotetica, per cui la sua
responsabilità non sussisterà tutte le volte in cui riesca a dimostrare (azione
improvvisa e subitanea) che il danno non avrebbe potuto essere evitato neppure
se il vicario stesso fosse stato presente e vigilante.
altro aspetto; i genitori del minore autore del fatto avevano dedotto che per le abitudini
"sociali" dell'epoca non era affatto necessario che alcuno dei genitori presenziasse in modo
continuo al gioco, che si svolgeva normalmente tra bambini della medesima età, e che per
mera fatalità la palla conteneva calce viva. La Corte evidenziava che “Le abitudini sociali
non valgono ad escludere o a mitigare l'obbligo di sorveglianza in relazione al carattere
cogente dello stesso, per cui la sorveglianza deve essere esercitata, quali che siano tali
abitudini, ed il mancato esercizio genera responsabilità per i fatti dannosi dell'incapace”.
82
83
84
Monateri, op. cit. 135, al quale è dovuto anche l’esempio che segue nel testo.
Cass. 15.12.1980, n. 6503.
Cass. 7.6.1977, n. 2342; App. Roma 14.11.1988, in Temi Rom., 88, II, 411.
25
La S.C.85 di recente ha affrontato la questione dell’affidamento come fatto
traslativo della vigilanza e ha espressamente affermato, in primo luogo, che
“incombe sul genitore del danneggiante la prova dell'affidamento ad altro soggetto
della sorveglianza dell'incapace”; poi, che “detta prova è particolarmente rigorosa,
dovendo egli provare di non aver potuto impedire il fatto e quindi dimostrare un
fatto impeditivo assoluto”.
In particolare nel caso di specie, relativo ad un infortunio occorso ad un minore
colpito con un ceppo di legno da altro fanciullo di sette anni che giocava con lui, la S.C. ha
cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dei genitori del
danneggiante, essendo presente al gioco il padre del danneggiato, assumendo che la madre
del primo, allontanatasi, aveva ritenuto tacitamente delegata all'altro adulto rimasto la
sorveglianza del proprio figlio minore. La Corte di merito aveva ritenuto che la presenza del
padre e l’allontanamento della madre costituissero tacito trasferimento dell’obbligo di
sorveglianza ma i giudici di legittimità hanno ritenuto che questa fosse una semplice
congettura fondata sulla normalità degli eventi tra persone dotate di buona educazione,
insufficiente però a fondare la prova liberatoria.
Ciò premesso, l’obbligo di sorveglianza dei genitori è stato oggetto di
specifica attenzione della S.C. in una decisione riguardante un fatto decisamente
grave e peculiare 86.
Tre cuginetti di rispettivi tre, quattro e otto anni giocano, nelle immediate vicinanze
delle proprie abitazioni, nello spazio sottostante ad un balcone dove si trova una coppia di
ragazzi di ventuno e diciassette anni, entrambi successivamente dichiarati incapaci di
intendere e di volere; costoro, calando dal balcone uno spago a cappio, strappano dalle
mani di uno dei tre cuginetti un pezzo di ferro col quale questi stava giocando e, sempre
servendosi dello stesso spago, calano al bambino “una cosa ovale di color rosso e nero”; il
bambino, ritenendo che sia un giocattolo, incomincia a maneggiarlo nel tentativo di aprirlo
ma, trattandosi di una bomba a mano, ne provoca l’esplosione riportando insieme ai cugini
ingenti lesioni personali con esiti permanenti. Di qui nasce l’azione risarcitoria promossa dai
genitori dei bambini feriti nei confronti dei rispettivi genitori dei due incapaci, in forza
dell’art. 2047 c.c.; la Corte d’appello ribalta l’esito del giudizio di primo grado e ritiene
sussistente la responsabilità dei genitori di uno dei ragazzi incapaci, nella doppia qualità di
custodi dell’immobile ove i due si trovavano e dove era presente l’ordigno bellico, nonché di
soggetti tenuti alla sorveglianza degli incapaci; esclude la responsabilità dei genitori
dell’altro
ragazzo
incapace,
avendo
questi
affidato
il
proprio
figlio
ai
proprietari
dell’abitazione. La Suprema Corte conferma la sentenza di secondo grado accogliendo
85
Cass. 20.1.2005, n. 1148.
Cass. 12.12.2003, n. 19060, in Giur. it., 2004, 12, con nota di Girimonte, La
presunzione di responsabilità dei genitori addetti alla sorveglianza ai sensi dell’art. 2047
c.c.
86
26
integralmente il ragionamento effettuato dalla Corte d’appello, rilevando che la presenza
dell’ordigno, in un buco del muro esterno dell’abitazione in cui la madre conservava le
mollette necessarie per stendere la biancheria lavata, denota una cattiva sorveglianza degli
incapaci, sia che la bomba sia stata trasportata in casa dai genitori sia, ed a maggior
ragione, che essa sia stata portata nell’abitazione e conservata dal figlio incapace
nell’ignoranza degli stessi. Secondariamente la Corte ha osservato che la condotta dei
genitori,
pur
prescindendo
dalla
conoscenza
dell'esistenza
della
bomba,
risultava
imprudente per avere gli stessi "lasciato da soli i due incapaci nel balcone, con il concreto
pericolo che essi procurassero danno a se stessi o ad altri, sporgendosi dalla ringhiera fino
a cadere, o buttando oggetti sui passanti". Tale valutazione va collegata con l'osservazione,
in precedenza espressa, secondo cui i due incapaci richiedevano "l'esercizio di sorveglianza
continua ed immediata", non corrispondente al tipo di vigilanza, "saltuaria e a distanza",
esercitata invece dai genitori.
Assume quindi specificazione concreta il principio giurisprudenziale
secondo cui il contenuto e le modalità della sorveglianza vanno adeguate al caso
concreto, che nella specie richiedeva ai genitori un’attenzione continua e
immediata.
5.2. La prova liberatoria dei genitori del minore capace
La formulazione letterale dell’art. 2048 comma 3 c.c. prevede la possibilità
per i genitori di fornire la prova liberatoria dalla presunzione di colpa in esame;
tale prova, secondo il dettato normativo, deve (o meglio dovrebbe) avere ad oggetto
il “non aver potuto impedire il fatto”.
Tale nozione ha assunto un significato diverso a seguito dell’opera della
giurisprudenza, che ha trasformato il contenuto della medesima da negativo in
positivo: l’impedire il verificarsi dell’evento è stato mutato nella dimostrazione di
aver vigilato il minore e di averlo ben educato. In questo modo, la prova
liberatoria si traduce nella dimostrazione di aver impartito l’educazione e
l’istruzione consone alle condizioni sociali e familiari e di aver vigilato sulla
condotta in misura adeguata all’ambiente, alle attitudini e al carattere87. L’obbligo
di impedire il fatto si intende quindi in realtà come obbligo di educazione e
obbligo di vigilanza.
La prova richiesta ai genitori finisce per non avere alcun riferimento
diretto ed immediato alla concreta possibilità per i medesimi di impedire il fatto
illecito ma si estende alla valutazione dell’intero sistema educativo da questi posto
in essere.
Tale orientamento è stato posto in stretta relazione con l’odierno ruolo dei
genitori derivante dagli artt. 147, 315 c.c. nonché 30 e 31 Cost.; si afferma così
Tale operazione per molti aspetti appare necessaria in quanto la formula dell’art. 2048 è
stata conside rata dalla dottrina “vuota ed inutilizzabile”: vedi Monateri, La responsabilità
civile, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 1998, 970.
87
27
l’idea che il dovere dei genitori di impedire il compimento di fatti illeciti da parte
dei minori ha fondamento nei compiti che la legge impone ai genitori medesimi, in
via primaria nell’interesse dei figli ma anche a salvaguardia dei terzi.
Quanto all’obbligo di educazione, esso trova diretto fondamento
normativo nell’art. 147 c.c. (peraltro con copertura costituzionale, vedi artt. 29 e
ss. Cost.); i genitori dovranno dimostrare di aver correttamente assolto l’obbligo
educativo che in linea teorica è definito da molta giurisprudenza come “l’obbligo di
svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto
delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento
delle attività extrafamiliari” 88.
La dottrina ha segnalato come l’opera educativa oggi non possa ritenersi
unidirezionale ma richieda la considerazione della personalità del figlio minore e
quanto più si accresce la maturazione di questi tanto più si restringe l’aspetto
gerarchico della potestà ge nitoriale, in quanto “il potere discrezionale dei genitori
sui figli va progressivamente riducendosi in rapporto al progressivo accrescersi
dell’autonomia e del peso della volontà del minore”89.
Quanto all’obbligo di vigilanza, in linea di principio si ritiene che esso ha
ad oggetto una vigilanza adeguata all’età, al carattere e all’indole del medesimo,
finalizzata a correggere comportamenti bisognosi di un’ulteriore o diversa opera
educativa.
La dottrina evidenzia che l’autonomia di vita che nel costume sociale il
figlio consegue con il superamento della fanciullezza esclude che possa farsi
carico ai genitori di vigilare sempre e fisicamente il figlio90; in altri termini il grado
di autonomia aumenta con l’approssimarsi della maggiore età e la vigilanza
consiste piuttosto nel controllare ed eventualmente vietare che il figlio
intraprenda attività illecite.
Anche la giurisprudenza, in linea di principio, afferma che «non occorre
che i genitori dimostrino la propria costante ed ininterrotta presenza fisica accan to
al figlio, quando per l’educazione impartita, per l’ambiente in cui viene lasciato
libero di esprimersi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con la
realtà extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non
possano costituire fonte di pericolo per sé e per altri» 91.
In realtà, come è stato giustamente evidenziato in dottrina, non si può
non sottolineare il carattere alquanto sfuggente della nozione, di esclusiva
creazione giurisprudenziale; ed infatti il dovere di sorveglianza dell’incapace è
espressamente previsto dall’art. 2047 mentre il dovere di vigilanza non trova
alcun esplicito riferimento normativo, non essendo inserito nell’ambito dei doveri
dei genitori di cui all’art. 147 c.c. (a differenza del dovere di e ducazione)92.
Cass. 14.3.2008, n. 7050.
Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 291.
90 Bianca, Diritto civile. V. La Responsabilità, Milano, 1994, 693.
91 Cass., 11.8.1997, n. 7459; Cass., 24.5.1994, n. 5063.
92 Così Patti, Responsabilità dei genitori: una sentenza in linea con l’evoluzione europea, in
Familia, 2001, 4, 1175.
88
89
28
Tale dovere di vigilanza dei genitori è da ritenersi sospeso nel caso di
affidamento dei minori agli insegnanti che sono tenuti, in forza della medesima
disposizione dell’art. 2048, anche essi alla sorveglianza.
Occorre però subito precisare che l’eventuale responsabilità degli
insegnanti, sotto la cui sorveglianza il minore abbia commesso il fatto, non
esclude quella dei genitori per eventuale violazione dell’assolvimento dell’ulteriore
e diverso obbligo su di loro gravante, l’obbligo di educazione93; in altri termini il
fatto illecito commesso dal minore durante l’orario scolastico potrà ben essere la
conseguenza sia del mancato controllo dell’insegnante che della non corretta
educazione da parte del genitore.
Le due responsabilità (dei genitori e degli insegnanti) in tal caso sono tra
loro in rapporto di solidarietà ex art. 2055 c.c. come già accennato.
Quanto ai rapporti tra i due obblighi, il passaggio dall’infanzia alla
maggiore età ovviamente è graduale e pertanto l’aspetto della sorveglianza
dovrebbe recedere per fare spazio all’educazione o almeno così dovrebbe essere in
un’opera educativa correttamente impostata94.
Ciò premesso in termini teorici, da un esame non superficiale della
giurisprudenza in materia, nonostante le formule di rito che vengono di solito
utilizzate, appaiono evidenti le difficoltà sia di individuare il concreto contenuto
dell’obbligo di educare e di quello di vigilare sia la correlazione esistente tra i due
doveri.
Quanto al contenuto dell’obbligo di educazione, è evidente che non
esiste una definizione normativa di “educazione”; dalle pronunce giurisprudenziali
emerge che:
- l’educazione cui il padre è tenuto nei confronti del figlio
minore non si esaurisce con la semplice istruzione che ne è solo una
parte, ma comprende anche “l’ammaestramento al vivere civile e
specialmente l’ammaestramento morale, mediante il quale si insegna a
La responsabilità del genitore (ex art. 2048, comma 1, c.c.) e quella del precettore (ex
art. 2048, comma 2, c.c.) - per il fatto commesso da un minore capace di intendere e
volere mentre è affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo - non sono tra loro
alternative, giacché l'affidamento del minore alla custodia di terzi solleva il genitore dalla
presunzione di colpa "in vigilando" (dal momento che dell'adeguatezza della vigilanza
esercitata sul minore risponde il precettore cui lo stesso è affidato), ma non anche da
quella di colpa "in educando", rimanendo comunque i genitori tenuti a dimostrare, per
liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto dal minore in un momento in cui lo stesso
si trovava soggetto alla vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso
un'educazione adeguata a prevenirne comportamenti illeciti: così Cass. 21.9.2000, n.
12501; vedi anche Cass. 6.2.1970, n. 263; Cass. 19.10.1965, n. 2132 nonché Trib.
Monza, 12.6.2006, in DVD Platinum Utet, che fa conseguire a tale affermazione la regola
che i l coniuge separato non affidatario non può per ciò solo liberarsi dalla responsabilità
per culpa in educando, soprattutto allorquando le modalità dello stesso fatto illecito
rivelino un grado di maturità e di educazione del minore (irresponsabilità, assoluta
mancanza di capacità di controllo e di giudizio critico sulle possibili conseguenze del
proprio operato) palesemente conseguente al mancato adempimento dei doveri incombenti
sui genitori ai sensi dell'art. 147 c.c.
94 Mastrangelo, Violenza sessuale di gruppo e responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.; il
risarcimento del danno non patrimoniale come internalizzazione del rischio educativo, in
Resp. civ. e prev., 2010, 7-8, 1614.
93
29
operare il bene, a fuggire il male e a rispettare la vita e gli altri diritti dei
consociati” 95 ;
- il dovere educativo non può ritenersi assolto nel far impartire
al figlio l’educazione scolastica obbligatoria perché “va al di là della
cultura elementare per abbracciare l’intera personalità in formazione” 96 ;
- violazione
dell’obbligo
educativo
è
stata
ritenuta
la
circostanza di non avere indotto il figlio a completare la scuola
dell’obbligo, anche se lo stesso era stato inserito nell’azienda di
famiglia; tale comportamento ha infatti “privato il giovane dell’apporto
di socializzazione, amicizie, ampliamento dei riferimenti culturali oltre il
contesto familiare e di paese che, bene o male, la scuola favorisce” 97 ;
- contrasti vi sono in ordine ai risultati scolastici , considerati
irrilevanti da parte della giurisprudenza (“non sempre i voti delle
pagelle sono rivelatori del carattere e dell’indole del minore stesso” 98 ) e
rilevanti da altra99 ;
- l’educazione deve avere ad oggetto anche le regole della
circolazione stradale, identificandosi la violazione del medesimo nella
guida senza assicurazione 100 ;
- l’educazione dovrà avere ad oggetto i rapporti del minore con
l’ambiente extrafamiliare , facendo sì che tali rapporti non possano
costituire fonte di pericoli per sé e per i terzi 101 ;
- il dovere educativo ha un carattere relativo, in quanto
l’educazione dovrà essere adeguata, da un lato, alle “condizioni sociali,
ambientali, familiari”,
e, dall’altro, alla “personalità e
all’indole del
minore” 102 ; il riferimento alla personalità e all’indole del minore, ove
questi si presenti “violento” o manifesti “cattive inclinazioni” comporta
un aggravamento dell’obbligo educativo e di vigilanza dovendo questi
essere assolti con maggiore “severità” 103 o maggiore “adeguatezza”104 ;
- l’educazione è concetto relativo anche perché “va riempito di
contenuti che certamente variano nel tempo...”; essa, alla luce del nuovo
modo di intendere i rapporti familiari e del riformato assetto della
famiglia, non consiste solo nella “indicazione di regole, conoscenze,
modelli di comportamento, ma anche nel più ampio compito destinato a
Cass. pen., 13.5.1955, in Rass. Cass. Pen., 1956, 396.
Cass. 10.11.1970, 2329.
97 Cass. 28.8.2009, n. 18804, in Danno e resp., 4, 2010, 358, con nota di Arnone,
Responsabilità civile dei genitori per fatto illecito del quasi maggiorenne.
98 App. Lecce, 13.3.1958, in Rep. Giur. it., 1959, voce Responsabilità civile, 183.
99 Cass. 24.10.1988, n. 5751. In tal senso anche Trib. Verona, 18.2.2000, in Giur. it.,
2000, 1407.
100 Trib. Torino, 2.4.1966, in Dir. Prat. Ass., 1966, 296.
101 Cass. 28.3.2001, n. 4481
102 Tra le tante Cass. 24.10.1988, n. 5751; Cass. 19.11.1969, n. 3764.
103 La severità dell’opera educatrice è ovviamente riferimento contenuto in sentenze più
remote: vedi Cass. 26.5.1950, n. 1618; App. Roma, 24.11.1972, in Foro Pad., 1973, I,
144.
104 Cass., 29.5.1992, n. 6484.
95
96
30
consentire la crescita dei figli, a favorire la migliore realizzazione della
loro personalità .. nel contesto relazionale e sociale”; in questa
prospettiva assumono rilievo “pure quelle indicazioni che forniscono ai
figli gli strumenti indispensabili da utilizzare nelle relazioni, anche di
sentimento e di sesso, con l’altra e con l’altro. L’educazione sessuale di
un bambino e di un ragazzo non si esaurisce nelle spiegazioni tecniche,
prima, e nelle indicazioni precauzionali, dopo, ma deve connotarsi,
innanzi tutto, come educazione al rispetto dell’altra/o, come educazione
alla relazione non con altro corpo ma con altra persona” 105 … “occorre
mettere
in
contatto
il
cuore
con
la
mente
e
la
mente
con
il
comportamento” 106 .
Quanto al contenuto dell’obbligo di vigilanza, si rileva che la
giurisprudenza ha in genere ritenuto che:
- la vigilanza deve essere intesa in senso non assoluto ma
relativo, così che “non occorre dimostrare la ininterrotta presenza fisica
del genitore accanto al figlio minore qualora, avuto riguardo all’età in
rapporto al grado di educazione impartita e al livello di maturi tà
raggiunto, nonché alle caratteristiche dell’ambiente in cu viene lasciato
libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore
stesso con la vita extrafamiliare” 107 ;
- anche la vigilanza deve quindi essere intesa in senso relativo,
tenendo conto “della inclinazione e dell’indole del minore” 108 oltre che
della sua età;
- l’età del minore assume infatti un notevole rilievo al fine di
valutare l’intensità della vigilanza alla quale è tenuto il genitore e
quindi il contenuto della sua prova liberatoria; le difficoltà connesse
alla mancanza di alcuna indicazione di un’età limite quale criterio
distintivo tra minori capaci e minori incapaci si riverberano a proposito
dell’individuazione del contenuto dell’obbligo di vigilanza perché la
giurisprudenza
cerca
di
rimediare
a
detta
assenza
affermando
solitamente che vigilanza e capacità del minore sono inversamente
proporzionali e che la vigilanza va rallentata all’approssimarsi della
maggiore età109 . In realtà tale affermazione appare spesso posta in
Trib. Milano, 16.12.2009, in Danno e resp., 4, 2010, 360, che evidenzia l’assoluta
inattualità della nozione di educazione indicata nella Relazione del Guardasigilli al Libro
delle Obbligazioni che faceva riferimento alla “necessità di indirizzare l’educazione verso
una rigida considerazione dei doveri di soggezione alla potestà familiare”. La sentenza di
riferisce ad una vicenda di violenza sessuale reiteratamente compiuta da un gruppo di
minorenni nei confronti di una dodicenne, sulla quale vedi anche in seguito.
106 La sentenza cita esplicitamente U. Galimberti, L’ospite inquietante, Milano, 2007.
107 Cass., 24.10.1988, n. 5751.
108 Cass. 9.4.1997, n. 3088; Cass. 10.2.1987, n. 1427. In tempi più lontani Cass.
5.3.1954, n. 640.
109 Cass. 13.2.1970, n. 348; Cass. 4.3.1967, n. 519; App. Venezia, 30.3.1974, in Arch.
Resp. civ., 1974, 263; App. Milano, 3.6.1975, in Rep. Giur. it., 1955, voce Responsabilità
civile.
105
31
linea di principio
perché poi
dalla pericolosità del minore, desunta
dalle circostanze e dalle gravi modalità del fatto commesso, si ricava
l’obbligo
di
un
onere
di
maggiore
e
più
adeguata
vigilanza;
esplicitamente la S.C. ha recentemente affermato che “proprio con
l’avvicinarsi della maggiore età – allorchè acquista la capacità di fare del
male tanto quanto un adulto, serbando però l’inettitudine a dominare i
propri istinti e le altrui offese, che caratterizza l’età immatura – il minore
ha particolare bisogno di essere sostenuto, rasserenato e anche
controllato” 110 . Mentre poi in casi di minore gravità,
e di illeciti
connessi ad attività normalmente concesse ai minori (l’uso della
bicicletta), il fatto che la minore fosse prossima alla maggiore età
induce ad escludere la responsabilità dei genitori111 .
Cass. 28.8.2009, n. 18804, in Danno e resp., 2010, 4, 358. L’episodio riguardava una
richiesta risarcitoria avanzata dai genitori del ragazzo ucciso, a seguito di una lite, da un
diciassettenne ripetutamente infastidi to e provocato dalla vittima. Quest’ultima,
venticinquenne omosessuale, aveva rivolto diverse attenzioni al minore, costantemente
respinte; lo aveva allora minacciato di diffondere notizie false e scabrose sul suo
orientamento sessuale, in particolare alla sua fidanzata, il tutto nel contesto di un piccolo
paese. All’ennesima lite, il diciassettenne aveva reagito uccidendo con un’arma da fuoco
l’altra persona. La Corte rilevava che, se era vero che il minore aveva quasi raggiunto
diciotto anni, ciò non escludeva che il suo comportamento evidenziasse il fallimento
educativo quanto alla capacità di frenare i proprio istinti, reazioni che peraltro trovavano
origine anche nel comportamento dei genitori, e in particolare del padre, che di fronte alle
dicerie sulle sue frequentazioni omosessuali con la vittima, non aveva mai chiarito la
propria situazione con il figlio lasciandolo in balia delle maldicenze; e qui la Corte ribadiva
il principio già ricordato in precedenza che “l’educazione è fatta non solo di parole ma di
presenza accanto ai figli a fronte di circostanze che essi non sono in grado di affrontare da
soli”, anche con la maggiore età, ove ancora più incisivamente il minore “ha bisogno di
essere sostenuto, rasserenato e controllato”. La tematica dell’ille cito del quasi maggiorenne
è oggetto di ampia attenzione in dottrina: vedi Arnone, Responsabilità civile dei genitori per
fatto illecito del figlio quasi maggiorenne, in Danno e resp., 4, 2010, 363; Maschio,
Responsabilità ex art. 2048 c.c. e “grandi minori”, in Dir. Fam., 1988, pag. 885. In diversi
paesi vi è un alleggerimento della posizione dei genitori nei casi di illeciti commessi da
minori prossimi alla maggiore età; per un riferimento agli orientamenti della
giurisprudenza tedesca, vedi Patti , L’illecito del quasi maggiorenne e la responsabilità dei
genitori: il recente indirizzo del Bundesgerichtshof, in Riv. Dir. Comm., 1984, I, 27 ss. che
evidenzia come essa muova dalla considerazione che le reali possibilità di controllo dei
genitori nei confronti dei minori prossimi alla maggiore età siano ormai ridotte e ciò ha
condotto ad affermare il principio per cui il genitore non può considerarsi responsabile dei
danni causati dal figlio ormai prossimo al raggiungimento della maggiore età. Secondo
autorevole dottrina (cfr. Morozzo Della Rocca, Responsabilità civile e minore età, cit., pag.
148), tale tendenza giurisprudenziale valida anche in Italia «è pressoché coeva alla norma
stessa». Infatti l’A. evidenzia che in una decisione della Corte d’Appello di Bologna del
1872 (Cfr. App. Bologna, 18 novembre 1872, in Ann. Giur. it., 1873, pag. 91) si afferma
che per quanto concerne «la impossibilità di impedire il fatto dannoso (...) non importa che
sia una impossibilità materiale e di fatto, ma basta che sia puramente morale. Così se un
figlio minore, ma prossimo alla maggiore età, cacciando, munito della opportuna licenza del
porto d’armi, abbia inavvertitamente ferito un suo compagno, e non resulti alcun giusto
motivo per cui il padre avesse dovuto inibirgli l’esercizio della caccia, non v’ha ragione per
far ricadere sul padre la responsabilità civile del danno». Sul punto v. anche Tabet,
Questioni in tema di fatti illeciti dei minori, in Foro it., 1953, 1432, il quale, nel caso di un
incidente stradale provocato dopo cena da un quasi maggiorenne si chiede: «Devono i
genitori impedire al figlio ventenne di uscire la sera?». Si ricorda che all’epoca in cui fu
scritto tale articolo la maggiore età veniva acquisita a 21 anni.
111
Cass. 10.4.1997, n. 3119.
110
32
Ciò detto a proposito del contenuto concreto degli obblighi di educazione e
vigilanza, si deve poi evidenziare come l’intensità dell’onere probatorio a carico dei
genitori venga intesa diversamente a seconda dell’impostazione teorica e
dell’inquadramento di detta responsabilità, se come responsabilità per colpa o
responsabilità oggettiva; in linea di massima però si deve evidenziare che in
moltissimi casi, soprattutto ove si tratti di fatti particolarmente gravi, la
giurisprudenza desume l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza
esercitata dalle stesse modalità del fatto; ciò, con tutta evidenza, nonostante il
continuo richiamo in giurisprudenza alla teoria della responsabilità diretta per
colpa propria, rende la prova liberatoria estremamente rigorosa, al limite
dell’impraticabile.
L’inadeguatezza dell’educazione ricevuta dai genitori è stata ritenuta
ricavabile direttamente dalle modalità del fatto in moltissimi casi.
Appare utile fornire un loro, assolutamente non esaustivo, elenco.
a)
Un diciassettenne a scuola, nel corso di una lezione di disegno, scaglia contro un
compagno una gomma per cancellare, colpendolo ad un occhio e procurandogli gravi
lesioni112 ; nella decisione in particolare si evi denzia che non è contraddittoria la motivazione
della sentenza di merito che, pur ammettendo l'intento scherzoso con cui l’alunno ha
scagliato la gomma, abbia ravvisato nell'autore di tale gesto un'immatura sconsideratezza e
una non ancora acquisita coscienza dell’irrilevanza delle intenzioni sui risultati di un gesto
comunque oggettivamente violento. In ragione di ciò non è censurabile l'affermazione della
responsabilità dei genitori per culpa in educando in quanto l'educazione da essi impartita
deve tendere a fare acquisire al minore una maturità anche nelle attività di gioco e di
scherzo.
b)
Un minore con un accendino provoca una fiammata che arreca danni ad altro
minore, sul giubbotto del quale poco prima si era versata accidentalmente della benzina 113 .
c)
Un minore di 17 anni colpisce il quasi coetaneo dapprima con un pugno al volto e
poi, dopo che questi era caduto a terra, con calci al corpo 114 .
d)
Un minore, alla guida di un ciclomotore non assicurato, investe un pedone
cagionandogli lesioni 115 .
e)
Cass., 21.9.2000, n. 12501, in Resp. civ. e prev., 2001, 73, con nota di Settesoldi,
Fatto illecito del minore e responsabilità civile: inutile l’accertamento della culpa in vigilando
dell’insegnate se la condotta del minore rileva un’educazione inadeguata.
113 Cass. 10.7.1998, n. 6741, in Danno e resp., 1998, 1087, con nota di Di Ciommo,
Minore maleducato e responsabilità dei genitori.
114 Cass., 4.6.1997, n. 4971, in Danno e resp., 1998, 252, con nota di Montaguti, Genitori
sempre responsabili per le condotte illecite del i figli minori.
115 Cass., 20.1.1997, n. 540
112
33
Un minore, pur frequentante la scuola ed avviato ad un mestiere, commette atti di
libidine ai danni di un altro minore 116 .
f)
Un giovane, quasi diciottenne, mentre era alla guida del ciclomotore senza casco, si
scontra con altro ciclomotore, cagionando la morte del ragazzo che ne era alla guida 117 ; in
particolare in tal caso la Suprema Corte ricava dalla circostanza che il ragazzo non avesse il
casco, unitamente all’altro elemento che egli avesse dimestichezza con i veicoli avendo
lavorato presso un’autocarrozzeria, la prova della cattiva educazione 118 .
g)
Un minore, prossimo alla maggiore età, uccide due persone con colpi di pistola
esplosi alle spalle, a mezzo di un’arma clandestina e per motivi riconducibili a pregressa,
profonda intolleranza fra gruppi familiari; nel caso di specie gli elementi probatori avevano
evidenziato “il temperamento irruente ed astioso del giovane, la sua mancanza di valori
morali e la sostituzione degli stessi con valori negativi (quali l’attaccamento esagerato ai
beni
materiali,
l’odio
e
la
vendetta)”
e
in
definitiva
“un
quadro
caratteriale
e
comportamentale del giovane” che non avrebbe potuto considerarsi “frutto di una corretta
educazione e che avrebbe dovuto quanto meno imporre ai genitori una ben diversa
vigilanza” 119 .
h)
Un minore, a bordo di un ciclomotore sul quale trasporta un altro minore, provoca il
sollevamento della ruota anteriore del mezzo (“impenna”), facendo urtare il ciclomotore
contro un'autovettura in sosta con conseguenti lesioni al trasportato 120 .
i)
Un minore lancia una tegola in testa ad un altro minore 121 .
l)
Un minore lancia un pugno di calce viva nell’occhio di un coetaneo122 .
Anche nella giurisprudenza di merito si rinvengono casi in cui sulla base
delle modalità del fatto è ritenuta provata la violazione degli obblighi e ducativi dei
genitori.
m)
Cass., 11.8.1997, n. 7459.
Cass. 22.4.2009, n. 9556, in Giust. civ., 2010, 4, 965, con nota di Cocuccio, Sulla
responsabilità civile dei genitori per il fatto illecito commesso dal figlio minore; ed in Resp.
civ. e prev., 2010, 3, 548, con nota di Mastrangelo, La responsabilità dei genitori tra
educazione e vigilanza della prole minore.
118
In realtà questo caso ben si presta anche ad una diversa interpretazione, del tutto
opposta: premesso che si tratta di un ragazzo quasi diciottenne, nel quale il processo
decisionale deve considerarsi frutto di maggiore maturità, e proprio in considerazione che
egli avesse particolare dimestichezza con i motori, ben si sarebbe potuto considerare la
circostanza di non indossare il casco come frutto di una sua scelta e non diretta
conseguenza della sua cattiva educazione: in altri termini quanto avrebbe potuto una
corretta educazione evitare che egli non usasse il casco, pur essendo quasi maggiorenne e
avendo dimestichezza con i motori.
119 Cass., 30.5.2001, n. 7387, in Danno e Resp., 2001, 12, 1211.
120 Cass. 8.2.2005, n. 2518.
121 Cass. 7.8.2000, n. 10357.
122 Cass. 16.5.1984, n. 2995.
116
117
34
Il nipote, mentre la nonna si allontana dalla casa del figlio scendendo le scale, si
precipita per le medesime e la urta violentemente, travolgendola e facendola rotolare per
una rampa, cagionandole lesioni 123 .
n)
Un giovane, alla guida di un ciclomotore, nel tentativo illecito di sottrarre la borsa
di mano ad una donna, la spintona violentemente facendola cadere in terra ove, dopo avere
battuto la testa, perde conoscenza. In realtà nel caso di specie dall’istruttoria era anche
emerso che il minore era solito transitare nel centro abitato su un ciclomotore, impennando
e senza casco; d’estate ciò avveniva anche dopo la mezzanotte. Poco prima dell’episodio per
cui era causa, poi, il minore si era reso autore della sottrazione di altro portafoglio; si
affermava che i genitori, pertanto, in presenza di una personalità del figlio così autonoma e
poco sensibile alle norme di legge, quanto meno non avrebbero dovuto consentirgli l’uso del
ciclomotore, oltre ad esercitare tutti i loro poteri affinché ogni condotta illecita del minore non
potesse essere posta in essere 124 .
o)
Sei minori, uno dei quali anche infraquattordicenne all’epoca del fatto, commettono
violenza
sessuale
nei
confronti
di
una
minore,
anch’essa
infraquattordicenne,
costringendola con minacce (prospettandole di mostrare ai genitori delle foto che la
ritraggono in situazioni compromettenti) e violenze (strattonandola e trattenendola per le
braccia) a subire atti sessuali 125 . In tal caso la decisione esamina le diverse posizioni della
giurisprudenza in merito alla prova liberatoria dei genitori, aderendo esplicitamente
all’orientamento più rigoroso; evidenzia che il rigoroso onere probatorio posto a carico dei
genitori si giustifica in base alla ratio della norma, poiché se essa considera che “sia
possibile per un genitore impedire il fatto illecito del figlio minore, ciò è proprio in virtù dei
compiti connessi alla sua funzione genitoriale, compiti agiti attraverso la possibilità di
vigilare sui figli e di educarli, sicchè non è estraneo alla logica della previsione normativa
che la prova liberatoria abbia riguardo al positivo esercizio di quei compiti”, secondo un
metodo di “internalizzazione dei rischi connessi con le attività del minore”: i genitori sono
quindi in tale decisione esplicitamente considerati dei garanti.
Nel caso di specie i genitori avevano dedotto il corretto assolvimento dei propri
doveri educativi, indicando il regolare comportamento dei figli nel contesto scolastico ed
amicale, i risultati scolastici mai insufficienti e per taluni buoni, l’educazione impartita nel
rispetto delle persone e dei valori cristiani, la frequentazione di lezioni di educazione
sessuale, le pregresse relazioni sentimentali, la mancanza di particolare interesse verso le
ragazze mostrata da alcuni dei minori prima di tali fatti, il rispetto delle regole familiari, ma
il Tribunale considera tutte tali circostanze generiche e non idonee a contrastare l’evidente
inefficacia dell’educazione dei sentimenti e delle emozioni e dell’insegnamento “al rispetto
dell’altro come educazione alla relazione non con altro corpo ma con altra persona”. In
buona sostanza secondo il Tribunale le modalità del fatto dimostrano che, anche se
App. Napoli, 12.12.2005, in DVD Platinum Utet.
Trib. Benevento, 16.1.2008, in DVD Platinum Utet.
125 Trib. Milano, 16.12.2009, in Resp. civ. e prev., 2010, 7-8, 1614, con nota di
Mastrangelo, Violenza sessuale di gruppo e responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.: il
risarcimento del danno non patrimoniale come “internalizzazione del rischio educativo”?
123
124
35
messaggi educativi vi sono stati, essi non stati recepiti e assimilati e che i genitori non
hanno fatto attenzione a tale mancato recepimento sicchè la responsabilità consegue alla
culpa in educando 126 .
p)
Tre minorenni, all’interno di un lido balneare, hanno un colluttazione e due di loro
riportano, rispettivamente, un trauma cranio facciale al ginocchio destro e la rottura degli
incisivi; in particolare Tizio proferiva frasi offensive nei confronti di Sempronio a causa del
suo aspetto fisico e gli lanciava contro una sedia di plastica; Sempronio prendeva una sedia
e la sbatteva a terra, rompendola; i pezzi rimbalzavano su Tizio rompendogli un dente; a
questo punto il fratello di Tizio picchiava Sempronio con ripetuti pugni sul volto, rompendogli
gli occhiali 127 . Anche in tal caso il Tribunale ha ritenuto l’inadeguatezza della educazione
dalle modalità del fatto, e dall’aggressività mostrata, che rivelavano il basso grado di
maturità e di educazione dei minori, conseguenti al mancato adempimento dei doveri dei
genitori .
Alla luce di tale panoramica appare in realtà evidente come l’orientamento
giurisprudenziale che ricava direttamente dalle modalità del fatto illecito la
violazione degli obblighi genitoriali, finisca per accomunare, ai fini della
responsabilità dei genitori, comportamenti di gravità assolutamente diversa,
dall’incidente stradale alla violenza sessuale di gruppo, passando attraverso
comportamenti immaturi ma scherzosi, da un lato, e omicidi, dall’altro.
Peraltro occorre anche evidenziare che, nonostante la differente opinione
della dottrina128, secondo la giurisprudenza prevalente non è vero il contrario; e
cioè non è vero che dalle modalità del fatto si possa ricavare la prova della
corretta educazione del minore e ciò per evidente incompatibilità logica129.
La ratio di tale impostazione così rigorosa è peraltro chiara e consiste
nell’assicurare la miglior tutela al danneggiato, mediante la garanzia costituita dal
Circostanza rilevante perché tre minori erano figli di genitori separati e domiciliati con
la madre; su tale base il Tribunale ritiene responsabili anche i padri.
127 Trib. Trani, 28.5.2007, in Fam. e dir., 4, 2008, 379.
128 Bianca, cit., 695, che fa il caso di danni arrecati accidentalmente nel normale
svolgimento di un’attività che costituisce libera e lecita esplicazione della personalità, per
esempio in caso di incidenti verificatisi per imprudenza o per mera distrazione durate la
pratica sportiva; l’A. cita a sostegno di ciò Cass. 6.5.1986, n. 3031, riferita al caso di un
ventenne, minore all’epoca dei fatti, che aveva investito una persona, sciando, e i genitori
avevano dato la prova di averlo correttamente avviato alla pratica sportiva e
adeguatamente vigilato in relazione all’età; e Cass. 24.10.1988, n. 5751, che si riferisce al
caso di un minore che era inciampato su una persona sdraiata sotto l’ombrellone
causandole la lussazione della spalla; i genitori avevano dato la prova della corretta
condotta scolastica e del buon carattere del minore e del suo carattere tranquillo e
maturo: in tal caso si deve evidenziare quindi che in realtà la prova dell’assolvimento
dell’obbligo di educazione non è tratta (solo) dalle modalità del fatto.
129 Cass. 20.10.2005, n. 20322 in relazione ad un incidente stradale determinato da
minore alla guida di ciclomotore; in tal senso anche Cass. 10.8.2004, n. 15419; ma in
senso contrario Cass. 13.1.1975, n. 126, nel caso di un minore che durante una gita in
barca aveva colpito ad un occhio un compagno, con il remo maldestramente maneggiato
durante la voga.
126
36
patrimonio dei genitori del minore autore dell’illecito130, il quale il più delle volte
non dispone di un patrimonio proprio. Il rigore di tale orientamento della
giurisprudenza che porta a far rispondere sempre i genitori, anche a prescindere
da un reale addebito a loro imputabile, dovrebbe essere interpretato, insomma,
alla luce della funzione riparatoria della responsabilità civile.
Sono note le critiche e le perplessità manifestate dalla dottrina nei
confronti di tale orientamento giurisprudenziale.
Si evidenzia infatti che così opinando si delinea una responsabilità di
natura oggettiva dal momento che il criterio di imputazione per l’illecito
commesso dal figlio è direttamente ascrivibile al genitore unicamente in
considerazione del suo status131 ovvero di una «relazione qualificata» che lo lega ai
figli132.
Si ritiene ancora che in tal modo si trasforma il dovere dei genitori di
educare e sorvegliare il figlio da obbligazione di mezzi (prova di un’obbligazione di
aver educato) in obbligazione di risultato (obbligazione avente ad oggetto la
dimostrazione del risultato educativo) 133.
Si è quindi anche evidenziato che tale giurisprudenza crea una sorta di
«circolo vizioso» tra sorveglianza ed educazione134. Ciò in quanto anche se risulti
assolto l’obbligo di sorveglianza o comunque l’assenza di colpa sotto tale profilo,
in quanto si è posta in essere una vigilanza adeguata all’età del minore, lo stesso
compimento dell’illecito finisce per assurgere a prova insuperabile
dell’inadempimento all’obbligo educativo. Oppure, quando si fornisce la prova di
aver fornito una sufficiente educazione ed istruzione, si dice che l’indole del
minore, dimostrata dallo stesso fatto, avrebbe imposto una maggiore sorveglianza.
Proprio in ragione di ciò, la dottrina più attenta da tempo tende a
ricercare un diverso fondamento della responsabilità dei genitori, che prescinda
dalla colpa, preferendo, in materia, riferirsi allo schema della responsabilità
oggettiva per rischio tipico. Ancora, si è individuata nell’art. 2048 c.c., più che
L’idea affonda le radici nel principio della cd. deep pocket, la tasca profonda, ovvero
nella necessità che il conflitto di interessi tra danneggiante e danneggiato si a risolto
collocando il costo del danno a carico di soggetti più solvibili rispetto all’autore materiale
dell’illecito: su tali punti Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi
economico-giuridica, Milano, 1975, 65.
131 Facci, La prova liberatoria dei genitori per l’illecito del figlio minore dipende dalle
modalità con cui è avvenuto il fatto, in Resp. civ. e prev., 2001, 4-5, 1003.
132 Cfr. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, 693 e segg.;
Scognamiglio, voce “Responsabilità per fatto altrui”, in Noviss. Dig. It., Torino, 1968, XV,
693 e segg.
133 Figone, Atto illecito e responsabilità civile, in Trattato di Diritto Privato, Torino, 2005,
247. Parla esplicitamente di “responsabilità da risultato” anche Pardolesi, Genitori e
illecito dei minori: una responsabilità da risultato?, in Danno e resp., 4, 2010, 368.
134 Patti, L’illecito del quasi maggiorenne e la responsabilità dei genitori: il recente indirizzo
del Bundesgerichtshof, in Riv. Dir. Comm., 1984, I, 31: «se i genitori provano di aver
sorvegliato adeguatamente il minore, o giustificano la loro assenza al momento del fatto, si
afferma che per l’esenzione dalla responsabilità è inoltre necessaria la prova di aver fornito
al minore una buona educazione; e se anche quest’ultima viene fornita si dice che lo stesso
compimento del fatto rivela un’indole particolarmente sfrenata del minore, per cui la
sorveglianza avrebbe dovuto essere più severa».
130
37
una presunzione di colpa, la fonte di «una serie di autentici doveri legali di
garanzia verso i terzi esposti al rischio di un illecito del minore» 135.
Sempre in senso critico nei confronti di tale giurisprudenza si è
evidenziata la criticità della permanenza dell’art. 2048, così interpretato, in una
realtà profondamente mutata rispetto a quella in cui la norma fu pensata e
redatta.
Il rigore dimostrato dalla giurisprudenza, infatti, meglio poteva
giustificarsi con la concezione gerarchica della famiglia sottoposta all’autorità del
pater. In tale contesto, i genitori erano tenuti ad educare la prole secondo i
principi della morale, mentre i figli avevano l’obbligo di “rispettare” i genitori.
L’illecito posto in essere dal minore ben poteva far pensare, allora, ad
un’omissione, da parte dei genitori, degli obblighi educativi e di vigilanza, di
spiccato contenuto autoritario. Ma si è già visto come l’entrata in vigore della
Carta costituzionale, prima, e della riforma del diritto di famiglia, poi, hanno
profondamente modificato il quadro normativo: se i genitori sono oggi tenuti ad
adempiere ai loro obblighi educativi secondo le inclinazioni e le capacità naturali
dei figli (art. 147 c.c., quale novellato), questi, in applicazione del principio
dell’art. 30 Cost., sono divenuti da oggetto di poteri, i veri protagonisti
dell’esperienza familiare, cui l’ordinamento riconosce spazi di autonomia e libertà,
capaci, come sono, di compiere scelte consapevoli e da rispettare 136.
L’autonomia e la libertà del minore, inoltre, tendono sempre più ad
espandersi man mano che il minore si avvicina alla maggiore età, in
corrispondenza della maturazione della loro naturale capacità di intendere e di
volere.
Vi è in definitiva l’esigenza di un mutamento dei tradizionali
orientamenti giurisprudenziali137 soprattutto per tutte quelle attività normali,
lecite, non pericolose che i giovani solitamente svolgono liberamente, senza
eccessivi controlli, e che sono utilissime per favorire la formazione e lo sviluppo
personale e relazionale del minore: si pensi ai normali giochi, alle solite attività di
svago, intrattenimento (ad esempio gite, attività sportive, guida di ciclomotori), le
quali, anche se svolte correttamente ed in modo diligente, possono comportare
inevitabili rischi e produrre anche alcuni danni. In tale contesto la sorveglianza
sembra del tutto avulsa dalla realtà attuale e dai corretti modelli comportamentali
e sociali richiesti ed in uso e ci si chiede allora se sia ammissibile imputare al
Così Bessone, Fatto illecito del minore e regime della responsabilità per mancata
sorveglianza, in Dir. Fam., 1982, 1011. Cfr., di recente, Quadri, in Bocchini -Quadri,
Diritto privato, Torino, 2008, 978, il quale evidenzia l’esigenza che si tende a giustificare,
nella prospettiva tradizionale, attraverso l’espediente della culpa in educando: e cioè che il
danneggiato possa rivalersi anche nei confronti di chi, prevedibilmente, sia più in grado di
rispondere per il danno cagionato dal minore (capace di intendere e di volere); Rodotà, Il
problema della responsabilità civile, Milano, 1967, 158.
135
136
Esposito, Responsabilità dei genitori e “convivenza” col minore, in Giur. it., 2008, 2167.
137
V. sul punto Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1994, pag. 769.
38
genitore la colpa di avere dato al minore il proprio consenso a svolgere le suddette
attività.
Alla luce degli attuali modelli sociali, risulta impensabile che i genitori,
durante lo svolgimento di tali attività, debbano vigilare sui propri figli, soprattutto
se vicini alla maggiore età. Anche pedagoghi e psicologi dell’età evolutiva
sconsigliano in ogni caso simili interventi, in quanto si devono garantire ai
minori adeguati spazi di libertà, importanti per una loro corretta maturazione e
per la loro indipendenza di vita.
Atteso che, come si è detto, non è possibile ed opportuna, durante lo
svolgimento di attività normali e lecite, una vigilanza effettiva da parte del
genitore e che partecipare a tali attività non può essere considerato indice di
carenze educative, l’unica strada da seguire per imputare una responsabilità al
genitore sarebbe quella di far carico allo stesso di non aver impedito al minore
quelle attività.
Anche questa via non è accettabile, soprattutto alla luce del modello di
famiglia vigente nella società attuale.
E forse proprio il mutare dei tempi con il tramonto del principio
autoritario nei rapporti tra genitori e figli e il riconoscimento del loro diritto a
veder rispettate le loro scelte e le loro inclinazioni (art. 147 c.c.), hanno concorso
all’affermarsi di decisioni che appaiono discostarsi dai predetti orientamenti,
e che considerano i doveri d’educazione e di vigilanza facenti capo ai genitori in
senso relativo, da commisurare a parametri quali l’età e le caratteristiche
dell’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi con un certo margine di
autonomia. Le più rilevanti appaiono essere le seguenti.
a)
In un primo caso 138 un gruppo di ragazzi di un paese di montagna aveva
organizzato una partita a tennis utilizzando come campo uno spiazzo aperto al traffico. Ad
un certo punto, una pallina era andata a finire in un terreno privato, dove uno dei giovani si
introduceva per recuperarla, provocando l’inconsulta reazione del proprietario, che se la
prendeva con un altro ragazzo al quale danneggiava la racchetta. Precipitata la situazione,
anche colui che aveva raccolto la pallina perde il controllo e infrangendo la racchetta contro
un muretto, fa volare delle schegge di legno, una delle quali feriva all’occhio un altro
compagno di gioco. Il danneggiato agiva in giudizio contro l’adulto “provocatore” e contro il
danneggiante e i suoi genitori. Il Tribunale (e così anche i successivi gradi di giudizio)
condannava solo il minore ex art. 2043, ravvisando nel suo comportamento gli estremi della
colpa ed escludeva la responsabilità dei genitori del minore sul presupposto che il fatto che
questi si fosse recato a giocare a tennis in una piazza di un piccolo paese non
rappresentava, in termini di normale ragionevolezza, una situazione tale da dover essere
seguita o impedita dai genitori al fine di evitare danni.
b)
138
Cass., 9.4.1997, n. 3088.
39
In un altro caso 139 si è esclusa la responsabilità dei genitori di un ragazzo, ormai
prossimo alla maggiore età, che aveva aggredito nell'oratorio parrocchiale durante una festa
di carnevale un altro minore con un manganello di plastica (ma riempito di cemento). I
genitori non sono stati ritenuti responsabili del danno provocato dal figlio minore avendo
dato la positiva dimostrazione di avergli impartito una corretta educazione, affermando che
la stessa può essere desunta dal curriculum scolastico, militare e lavorativo del ragazzo,
oltre che dal contesto familiare in cui è cresciuto. Nel caso di specie, secondo la Suprema
Corte, la conclusione, cui sono giunti i giudici di appello, secondo la quale i genitori avevano
assolto l’onere probatorio, era supportata da un apparato argomentativo idoneo a
sorreggerla, avendo essa appunto fatto riferimento al curriculum scolastico, militare e
lavorativo del soggetto nonchè al contesto familiare, il tutto ritenuto dimostrativo del fatto
che al minore fosse stata impartita un'adeguata educazione. Ancora la Corte evidenziava
che non erano in contrasto con tale conclusione le modalità del fatto: se è vero che anche
solo da esse il giudice del merito può trarre la prova della violazione dell'art. 147 c.c.,
tuttavia, nella specie la Corte territoriale aveva evidenziato che l'evento dannoso doveva
essere ricondotto ad una serie causale accidentale, riferita da un lato alla sovreccitazione
determinata dal desiderio di celebrare il carnevale e, dall'altro, all’inconsapevolezza della
potenziale lesività delle modifiche, per di più indimostrate, apportate ai bastoni di plastica
utilizzati, di per sè innocui.
c)
Altra decisione dei giudici di legittimità molto citata e commentata 140 è riferita al
caso di un minore che, alla guida di un motociclo, aveva investito un uomo provocandogli
gravi danni alla persona; anche in tal caso i genitori sono stati ritenuti non responsabili
avendo fornito la prova di aver fatto tutto il possibile per educare adeguatamente il figlio e
prepararlo alla necessaria autonomia, in particolare, per ciò che rilevava nella fattispecie,
avviandolo al lavoro e facendogli conseguire la patente A.
Tale ultima sentenza è effettivamente molto rilevante perché pone tre
principi:
Cass., 18.1.2006, n. 831; per un commento Gavazzi, Più leggero l’onere della prova per
i genitori, nell’ipotesi di danni cagionati dai figli minori, in Resp. civ. e prev., 2006, 6, 1073.
139
Cass., 28.3.2001, n. 4481, con nota di Patti, Responsabilità dei genitori; una
sentenza in linea con l’evoluzione europea, in Familia, 2001. L’A. commenta
favorevolmente la decisione evidenziando come essa attribuisce “un effettivo significato
alla (mancanza) di colpa, evita il ricorso alle finzioni ma nel contempo consente alla
imputazione per colpa di svolgere il tradizionale ruolo di prevenzione e di responsabilità per
fatti realmente addebitabili alla mancanza di diligenza dei soggetti chiamati a rispondere”.
L’A. rileva ancora come tale orientamento giurisprudenziale si avvicini alle regole vigenti
in altri ordinamento europei; segnala in particolare che anche la dottrina francese abbia
sottolineato che l’unica ragione che può spingere alla condanna dei genitori a risarcire il
danno causato dai figli minori sia l’esigenza di indennizzare il danneggiato ma che così
facendo talvolta si impone ad una famiglia una tragedia finanziaria assolutamente
immeritata; pertanto vi sono state proposte nel senso di distinguere tra la responsabilità
oggettiva per i danni recati da figli più piccoli e la responsabi lità pienamente colposa per i
danni cagionati da figli prossimi alla maggiore età, accompagnandola a forme di
assicurazione obbligatoria.
140
40
- la Corte afferma che la prova liberatoria richiesta ai genitori dall'art.
2048 c.c. di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore
capace di intendere e di volere si concreta, normalmente, nella dimostrazione,
oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie
condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sullo stesso una vigilanza
adeguata all'età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi,
meritevoli di un'ulteriore o diversa opera educativa;
- la vigilanza non va tuttavia intesa come costante ed ininterrotta presenza
fisica accanto al figlio - ricadendosi, altrimenti, nell'obbligo di sorveglianza che
l'art. 2047 c.c. impone ai genitori di minore incapace - quando per l'educazione
impartita, per l'età del figlio e per l'ambiente in cui egli viene lasciato libero di
muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l'ambiente
extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano
costituire fonte di pericoli per sè e per i terzi; quindi la S.C. ha precisato che il
dovere di sorveglianza dell'incapace ha un contenuto molto più ampio di quello di
sola vigilanza del minore capace e che quest'ultima consiste infatti nella “verifica
del corretto apprendimento dell'educazione impartita” , poiché l'educazione deve
ricevere i necessari adeguamenti ed aggiustamenti tenendo conto della
personalità del minore e del suo grado di calare nella pratica quanto gli viene
impartito.
In altri termini l'obbligo di vigilanza per i genitori del minore capace non
si pone come autonomo rispetto all'obbligo di educazione, ma va correlato a
quest'ultimo, nel senso che i genitori devono vigilare che l'educazione impartita
sia consona ed idonea al carattere ed alle attitudini del minore e che quest'ultimo
ne abbia "tratto profitto", ponendola in atto, in modo da avviarsi a vivere
autonomamente, ma correttamente.
- infine appare rilevante l’affermazione per cui <<il solo fatto dell'illecito
non può costituire di per sé motivo per escludere l'adeguatezza dell'educazione
impartita dai genitori, in quanto in questo caso la prova liberatoria non opererebbe
mai, poiché essa presuppone proprio che un illecito sia stato posto in essere dal
figlio minore>>. La valutazione del giudice sull'adeguatezza della educazione
impartita e sulla vigilanza esercitata, nei termini suddetti, va, quindi, effettuata
ex ante e non ex post.
In tali decisioni viene in sostanza ritenuta sufficiente, ai fini della prova
liberatoria dei genitori, la dimostrazione dell’impegno profuso per assicurare ai
figli un appropriato inserimento nella vita di relazione. Solo cosí, pur accertata la
responsabilità del minore in base ai dati di fatto, l’illecito non si trasmette
automaticamente in capo ai genitori.
Anche nella giurisprudenza di merito si sono segnalate decisioni in tal
senso.
Per esempio sono noti diversi casi in cui i genitori sono stati ritenuti non
responsabili:
a)
41
- prendendo atto delle condizioni dello stato mentale della ragazza, e del fatto che
ella, persona di origine sudamericana, è stata adottata all'età di 5 anni da genitori anziani,
che sono stati in grado di darle la possibilità di seguire regolari corsi di studio e una
formazione di tipo professionale, nonché di essere seguita dalla psicologa dei servizi sociali;
tali risultanze costituiscono certamente prova liberatoria della responsabilità dei genitori ex
art. 2048 c.c. in quanto è dimostrato che essi hanno impartito alla minore una sana
educazione e hanno svolto nei suoi confronti una vigilanza adeguata all'età, al carattere e
all'indole della stessa; a tal fine si evidenziava in particolare che, alla luce della comune
esperienza e in relazione alla sorveglianza cui sono tenuti i genitori, di fatto impossibile si
riveli il controllo da parte di quest'ultimi su persona in età adolescenziale avanzata, come la
minore era all'epoca del fatto, la quale esca di casa con i coetanei e con essi trascorra
qualche ora di tempo fuori della propria abitazione, ove non si voglia ritenere che i genitori
abbiano l'obbligo di seguire ovunque gli spostamenti del minore per non vedersi addebitata
l'omessa sua custodia 141
b)
- un minore di diciassette anni colpisce al volto con un pugno un frequentatore di
una discoteca in una serata in cui c’era confusione e “la gente si spintonava e volavano
pugni” 142 ; in tal caso viene escluso di potersi rifare
solo alla gravità del fatto e viene
evidenziato che da un lato non occorre che il genitore provi la sua costante ed ininterrotta
presenza accanto al figlio, quando per l’educazione, desunta anche dal curriculum
scolastico, impartita, per l’età e per la caratteristiche dell’ambiente in cui viene lasciato
libero di muoversi, risultano correttamente impostati i rapporti extrafamiliari .
Laddove si ritenga in qualche modo concretamente possibile la
dimostrazione da parte dei genitori di aver correttamente assolto i propri obblighi
educativi, si pone poi l’ulteriore questione di individuare quali siano gli elementi
di fatto utili a dare tale prova.
Generalmente in tale tipo di causa gli indici offerti dai genitori per dare
prova del corretto assolvimento dei loro doveri sono: il comportamento del
minore nei suoi ambiti di vita familiari, amicali, scolastici; la frequentazione della
scuola e lo stesso curriculum scolastico; la frequentazione delle lezioni di
educazione sessuale; l’aver intrapreso un’attività lavorativa143.
In casi di illeciti più specifici, per esempio connessi alla circolazione
stradale, si usa far riferimento alla dimestichezza con auto e motoveicoli o alla
circostanza che il minore sia abilitato alla guida del motoveicolo avendo
conseguito la patente; ma anche ciò in molti casi è ritenuto non sufficiente a
esonerare i genitori, tenuti comunque a vigilare il minore 144.
App. Genova, 13.10.2006 in Resp. civ., 2007, 8-9, 761.
Trib. Verona, 18.2.2000, in Giur. it., 2000, 1409 ss. con nota di Ferri, La
responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.
143 Ritenuta però insufficiente da Cass., 11.8.1997, n. 7459, che evidenzia che lo
svolgimento di un mestiere può incidere sull’obbligo di vigilare ma non su quello di
educare.
144 Cass., 20.10.2005, n. 20322; il caso si riferisce ad incidente cagionato da una minore
alla guida di un motorino; la Corte rilevava che essa stessa già in passato aveva escluso
che il conseguimento della patente di guida, che aveva effetti solo amministrativi, potesse
141
142
42
In realtà, anche volendo prescindere da tali, allo stato isolati e minoritari
interventi giurisprudenziali, è stato correttamente e diffusamente osservato che la
severità e rigorosità dell’orientamento si attenuano notevolmente nel caso in cui
l’illecito commesso dal minore non sia di particolare gravità.
Alla luce di queste osservazioni emerge che il concetto di colpa in
educando e in vigilando viene ad essere adattato a seconda delle circostanze con
cui si è verificato l’illecito, potendosi al limite individuare una duplice natura della
responsabilità in esame derivante dalle modalità con cui avviene l’illecito.
Nelle ipotesi di particolare gravità, nei casi in cui il giudice desume
l’inadeguatezza dell’educazione impartita dalle circostanze stesse del fatto, siamo,
di fatto, in presenza di una responsabilità oggettiva e indiretta. Tale
responsabilità è oggettiva dal momento che la prova liberatoria di avere educato si
è trasformata nella dimostrazione di raggiungimento del risultato educativo: se il
minore ha commesso un grave illecito, il risultato educativo non è stato
raggiunto; in questo modo la prova liberatoria è impossibile e la responsabilità è
anche indiretta per il fatto che i genitori sono chiamati a rispondere
esclusivamente in virtù del loro status.
Invece nel caso in cui l’illecito compiuto dal minore non sia
particolarmente grave e riprovevole, l’eventuale responsabilità dei genitori è una
responsabilità per colpa, diretta, per non aver impartito un’educazione conforme
alle condizioni familiari e per non aver esercitato una vigilanza adeguata all’età e
al carattere del minore.
Attenta dottrina ha evidenziato che in realtà le due regole esposte
potrebbero essere ricondotte ad un’unica ratio decidendi se si applicasse la prima
(quella più dura per i genitori) allorquando l’attività del minore sia di natura
intrinsecamente pericolosa, od anormale, o riprovevole, e si applicasse la seconda
(quella più favorevole ai genitori) allorquando l’attività stessa sia normale od
usuale, come per esempio “il praticare lo sci” 145.
6. Conclusioni.
Per i danni cagionati dai figli minori i genitori rispondono sia come
sorveglianti ex art. 2047 c.c., ove i figli siano incapaci di intendere e di volere, sia
ex art. 2048 c.c. in caso di ritenuta loro capacità.
Solo nel secondo caso alla responsabilità dei genitori si aggiunge quella
diretta del minore ex art. 2043 c.c.
avere dei riflessi sulla responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., non esonerando quindi
il genitore dal dovere di vigilanza e dalla conseguente responsabilità (sono richiamate
Cass. 3725/1976; Cass. 6144/1984). Lo stesso principio vale attualmente per i soggetti
minori, abilitati alla guida di motocicli o motoveicoli. Il solo fatto che la legge autorizzi i
minori alla guida di tali veicoli (previa abilitazione amministrativa) non esonera i genitori,
che con loro coabitino, dai loro doveri di vigilanza.
145 Chianale , Responsabilità dei genitori (art. 2048 c.c.), in Riv. Dir. Civ., 1988, II, 283.
43
In entrambi i casi i genitori possono liberarsi dalla responsabilità
provando di non aver potuto impedire il fatto, prova liberatoria alla quale la
giurisprudenza ha conferito un particolare significato; nel primo caso dovranno
provare di aver effettivamente vigilato il figlio minore adottando le necessarie
cautele, adeguate alla sua età; nel secondo caso dovranno però provare,
unitamente a ciò, anche di aver fornito al minore l’educazione consona alle
proprie condizioni economiche e sociali nonché adeguata alle sue inclinazioni e al
suo carattere.
Nel nostro ordinamento l’accertamento della capacità del minore, che
distingue quindi tra i due diversi regimi di responsabilità e corrisponde anche ad
un minore o maggiore onere probatorio dei genitori, è rimesso all’apprezzamento
del giudice caso per caso, in assenza di alcun indice normativo.
L’impossibilità della prova liberatoria è spesso ritenuta dalla
giurisprudenza direttamente in base alla modalità del fatto illecito del minore, la
cui gravità è indice automatico di mancato o inadeguato assolvimento dell’obbligo
educativo. Tale principio risulta però applicato, secondo la dottrina, a casi di
gravità e disvalore oggettivamente diversificati.
Una parte della dottrina manifesta critiche nei confronti dei predetti
arresti evidenziando che alla luce dei medesimi non risulta possibile comprendere
quale sia la condotta educativa attesa dei genitori e se esistano degli standards
comportamentali sui quali misurare se la loro condotta sia rispettosa del dettato
dell’art. 147 c.c.146; altra parte della dottrina preferisce impostare la
responsabilità in esame come responsabilità oggettiva, individuando la finalità
della disposizione esclusivamente in un’esigenza di garanzia.
Infine oggetto di particolare attenzione critica è il tema dell’illecito del
figlio maggiorenne e se in casi siffatti il dovere di sorveglianza dei genitori,
nell’odierna società e secondo gli attuali costumi di vita, si attenui; le risposte
della giurisprudenza sul punto appaiono diverse a seconda della gravità del fatto
compiuto e delle sue conseguenze.
Ma la risposta a tali domande appare difficile non solo per il giurista, come è
esperienza quotidi ana di molti.
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