terapia - Gruppo di Ricerca Geriatrica

Transcript

terapia - Gruppo di Ricerca Geriatrica
INDICE
CARTE DI CONTROLLO
Come utilizzarle in ambito riabilitativo
TERAPIA OCCUPAZIONALE
Nei pazienti che sono affetti da demenza
CIBO E SOLUZIONI
Utilizzo sala da pranzo e “collaborazioni”
PROTOCOLLO DI LAVORO
La diarrea acuta nell’anziano fragile
INTEGRAZIONE POSSIBILE
L’operatore nell’équipe assistenziale
Protocollo clinico assistenziale per il management della diarrea acuta
DIMISSIONE PROTETTA
Bisogni, competenze e pianificazione
TERAPIA E COMPETENZE
Operatore socio-sanitario e somministrazione
“THE MUST”
Una guida per valutare la malnutrizione
LAVORO DI CURA
Analisi della dimensione uomo-donna
> AIOCC
CARTE DI CONTROLLO
Come utilizzarle in ambito riabilitativo
> di G.BELLELLI *- M. PAGANI *- A.M. BRUNENGHI *- B.BERNARDINI **- S. DE MICHELI ***- M. TRABUCCHI ****
IL DOCUMENTO “BIOETICA E RIABILITAZIONE”, RECENTEMENTE LICENZIATO DAL
COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI,
2006), SOTTOLINEA COME NON VI POSSA ESSERE UN INTERVENTO RIABILITATIVO
CHE POSSA DEFINIRSI “ETICAMENTE APPROPRIATO” SENZA CHE GLI ATTORI
DELLA CURA, MEDICI, INFERMIERI, OSA, OTA E FISIOTERAPISTI SI IMPEGNINO A
CONTROLLARE LA CORRETTEZZA DEI PROCESSI ASSISTENZIALI ED A MISURARE
GLI OUTCOMES DI SALUTE.
SU QUESTO tema si è largamente discusso di “etica dell’organizzazione”, sottolineando come oggi l’intervento assistenziale implichi non soltanto istanze
di natura pratico-organizzativa, ma anche
teorica ed etica.
Ciò nonostante, l’organizzazione delle
procedure di cura in ambito ospedaliero
e riabilitativo rimane per molti aspetti
ancora carente. Infatti, soprattutto nei
confronti delle persone fragili anziane e
dementi, la prassi di controllare gli interventi assistenziali e di monitorare costantemente i risultati dei processi di
cura appare per molti aspetti utopistica o
lontana dal realizzarsi. A tal fine sono
state proposte modalità di verifica dei
risultati (e di controllo dei processi),
alcune delle quali vengono di seguito
discusse.
42
GEN 08 ASSISTENZA ANZIANI
LE CARTE DI MONITORAGGIO
DEI PROCESSI DI CURA
Le carte di monitoraggio (CDM)
“infermieristiche”
Il cambiamento del modello di cura nell’attuale panorama sanitario (da un modello
di cura orientato al trattamento della malattia acuta ad un modello fortemente
sbilanciato sul trattamento delle malattie
croniche) ha significativamente modificato
le competenze progettuali e gestionali
delle figure dell’assistenza. Il profilo
dell’infermiere e l’introduzione di nuove
figure di supporto (quali gli operatori socio-sanitari, OSS) favoriscono il modello
della pianificazione e progettazione come
costruzione, tra i diversi attori dell’assistenza, del significato e del senso delle
azioni da intraprendere. A questo scopo
è fondamentale la comunicazione, la
discussione ed il dialogo tra tutte le figure
dell’assistenza (medico, infermiere, OSS,
terapista della riabilitazione). Perché ciò
non rimanga soltanto un obiettivo a cui
tendere, ma diventi una conquista acquisita, è necessario identificare le priorità
della cura, pianificare gli interventi e
suddividere i compiti tra le figure dell’équipe. Oggi, per decreto regionale, in ogni
unità di riabilitazione della Regione
Lombardia, l’équipe ha il dovere di compilare entro 72 ore dall’ingresso in struttura il cosiddetto “Progetto Riabilitativo
Individualizzato” (PRI) con la finalità
esplicita di identificare gli obiettivi della
cura e la definizione dei compiti per ogni
membro dell’équipe. È un percorso necessario ma che spesso rischia di restare
soltanto una nobile dichiarazione di intenti. Non sempre, infatti, al PRI consegue un’analisi di monitoraggio/controllo
delle procedure di assistenza effettivamente adottata. Ciò può essere dovuto
ad almeno due impedimenti: un primo
può essere legato alla difficoltà di strutturare sempre ed in ogni gruppo l’abitudine a lavorare insieme; un secondo,
ma non meno significativo, è legato alla
mancanza di strumenti specifici per il
controllo delle procedure. Si prenda ad
esempio il caso dell’idratazione: tutte le
figure usualmente concordano sulla necessità di stimolare l’idratazione in un
paziente anziano a rischio di disidratazione o incapace di assumere autonomamente i liquidi. Anche se è chiaro chi
debba rilevare il rischio (medico e infermiere) non sempre si è tempestivi nel
mettere in atto le procedure di controllo.
Bisogna, inoltre, affinare la capacità di
organizzare un programma di gestione
delle procedure assistenziali che ponga
sullo stesso piano, in termini di dignità di
mansione, la somministrazione dei liquidi
con altre procedure igienico-assistenziali
specifiche per ruolo professionale.
Nella UO Riabilitazione Polifunzionale
AIOCC <
presidio stesso (sulla CDM è possibile
segnalare se alcuni interventi programmati non sono stati attuati per problemi di
salute del/la paziente);
d) di favorire la comunicazione tra il personale operante su turni differenti in merito a quanto è stato pianificato per il singolo paziente.
Fig. 1 > Esempio di carta di monitoraggio per pazienti con patologie respiratorie in corso di O2 terapia
della casa di Cura “Ancelle della Carità”
di Cremona, sono state approntate alcune carte di monitoraggio (CDM). La
prima è stata approntata per l’idratazione:
si tratta di uno strumento utilizzato dal
personale di assistenza (infermieri, OTA
e OSS) che consente di verificare in
momenti predefiniti della giornata (alla
fine di ogni turno) se l’introito è corrispondente alle attese del progetto assistenziale. Ogni figura coinvolta nel progetto di
assistenza (e non soltanto una di queste)
utilizza la CDM e verifica se il compito
(“fare assumere un bicchiere di liquidi al
paziente”) è stato assolto correttamente.
L’infermiere ha il ruolo di controllore/osservatore del progetto assistenziale, ed
eventuali difficoltà nell’assunzione dei
liquidi gli devono essere prontamente
comunicate. Un eventuale impedimento
al raggiungimento dell’obiettivo assistenziale viene ridiscusso (in tempi rapidi)
nel progetto riabilitativo da tutti i componenti dell’équipe. Un’altra CDM è stata
approntata per i pazienti con patologie
respiratorie croniche gravi (insufficienze
respiratorie); pazienti affetti da patologie
di questo tipo sono infatti sempre più
presenti nei reparti di riabilitazione specialistica e geriatrica, ed il bisogno di avere
a disposizione strumenti che permettano
di monitorare in modo preciso ed efficace
le modalità di gestione degli ausili per la
respirazione è molto sentito dall’équipe.
La CDM da noi approntata (Fig. 1) permette:
a) di precisare gli orari di somministrazione di ogni singolo presidio (occhialini,
maschera di Venturi, ventilazione meccanica non invasiva) prescritto dal medico
per il paziente;
b) di quantificare il monte-ore di erogazione di ogni singolo presidio nell’arco
delle 24 ore;
c) di ridurre i margini di errori dell’infermiere nell’erogazione della terapia prescritta
e del medico nella sotto/sopravalutazione
del tempo “effettivo” di erogazione del
Le carte di monitoraggio (CDM)
“riabilitative”
Le CDM possono essere utilizzate non
soltanto per controllare le procedure, ma
anche per controllare i risultati intermedi
durante il percorso riabilitativo. Ciò è
fondamentale per modularlo sulla base
dei risultati acquisiti nel corso della degenza e permette al terapista della riabilitazione di partecipare più attivamente al
progetto stesso. Poiché si assume che lo
stato funzionale rappresenta un indicatore grossolano ma molto sensibile delle
condizioni cliniche (ad un peggioramento
funzionale corrisponde quasi invariabilmente in un soggetto anziano un peggioramento del quadro clinico), la CDM ha
anche un carattere anticipatorio in termini
di informazioni al clinico. Presso la UO
Riabilitazione Polifunzionale della casa di
Cura “Ancelle della Carità” di Cremona
sono state approntate, sull’esperienza
di altre unità di riabilitazione (Cappadonia
et al., 2006) alcune CDM che sono state
definite “patologia” o “disabilità” specifiche. Le CDM “patologia specifiche” sono state predisposte per la frattura di
femore, l’artroprotesi di anca e di ginocchio, per l’ictus cerebri e per i parkinsonismi, mentre le CDM “disabilità specifiche” sono state predisposte per i disturbi
dell’equilibrio e della marcia, per le sindromi respiratorie (BPCO, insufficienza
respiratoria, etc) e lo scompenso cardiaco. Più specificamente, per la frattura di
femore, l’artroprotesi di anca e di ginocchio, le CDM misurano con cadenza settimanale i cambiamenti di punteggio in tre
items del Barthel Index (trasferimenti,
deambulazione, scale); per l’ictus cerebri
viene valutata la variazione degli score
nella Motor Assessment Scale (MAS),
mentre per i Parkinson-parkinsonismi si
verificano i cambiamenti alla subscala 3°
(motoria) della Unified Parkinson’s Disease Rating Scale. Per le CDM “disaGEN 08 ASSISTENZA ANZIANI
43
> AIOCC
Fig. 2 > Esempio di carta di monitoraggio per pazienti sottoposti ad intervento chirurgico dopo frattura di femore
bilità specifiche” si registrano i cambiamenti funzionali con la scala di Tinetti
(disturbi dell’equilibrio e della marcia)
e/o con la 6-minutes walking test distance
(6’WTD) (sindromi respiratorie e scompenso cardiaco). Il terapista della riabilitazione è tenuto a compilare settimanalmente la CDM per ogni singolo paziente, discutendo eventuali problemi
(mancato miglioramento o marcato peggioramento) con il medico ed il fisiatra
nella riunione settimanale. I possibili vantaggi derivanti dall’uso delle CDM si
possono così riassumere:
a) Permettono di monitorare nel tempo e
con strumenti oggettivi l’andamento di
ogni singolo paziente dal punto di vista
delle prestazioni funzionali, superando
l’attuale prevalente procedura decisionale
fondata su aspetti burocratici (i “tetti” dei
tempi di degenza stabiliti dalla ASL);
b) Facilitano il flusso delle informazioni tra
i componenti dell’equipe;
c) Permettono di intercettare eventi clinici
44
GEN 08 ASSISTENZA ANZIANI
intercorrenti associati ad una perdita funzionale (ad esempio una perdita funzionale o un mancato miglioramento può
anticipare la comparsa di delirium);
d) Permettono di ipotizzare il raggiungimento del massimo recupero possibile
per il paziente in base alla mancata progressione del recupero funzionale;
e) Permettono di confrontare i risultati
ottenuti su pazienti con medesime problematiche pur utilizzando tecniche riabilitative differenti.
DALLE CARTE DI MONITORAGGIO ALLE CARTE DI CONTROLLO
La teoria
Si potrebbe obiettare che, non sempre,
ad una standardizzazione dei processi di
cura corrispondono outcomes migliori. In
questo senso, uno sforzo necessario è
quello di sistematizzare non soltanto le
procedure (attraverso le CDM infermieristiche e riabilitative) ma anche le traiettorie attese di recupero funzionale per
ottenere valori di riferimento che consentano ai riabilitatori di svolgere il proprio
lavoro senza autoreferenzialità. Purtroppo, ad oggi, la scienza della riabilitazione
non è stata ancora capace di fornire risultati convincenti in questo ambito. Più di un
ricercatore ha lamentato l’insufficienza e
la limitatezza degli sforzi profusi, denunciando, come conseguenza di questa
incapacità ad identificare parametri di
riferimento, la totale autonomia di comportamento da parte dei singoli riabilitatori
(Marsden e Greenwood, 2005). Chiunque lavori in reparti di riabilitazione sa
infatti che la prognosi funzionale dei pazienti è basata il più delle volte su un mix
di informazioni clinico-funzionali (talora
desunte in modo approssimativo), esperienza dei singoli operatori e collaborazione-motivazione percepita da parte
dell’équipe più che su dati circostanziati.
Inoltre i tempi di trattamento dei singoli
pazienti sono non sempre determinati
da variabili cliniche ma anche da variabili
organizzative (ad esempio il numero e la
formazione dei terapisti, la disponibilità e
l’allocazione delle palestre) (Hoenig et al.,
1996). A supporto di questa affermazione,
sono stati recentemente pubblicati alcuni
lavori scientifici che dimostrano come i
pazienti più compromessi per quanto
concerne lo stato di salute complessivo,
o le performances cognitive, tendono a
recuperare di meno dal punto di vista
funzionale, non soltanto perché non in
grado di tollerare carichi di lavoro impegnativi, ma anche perché, in assenza di
prescrizioni specifiche, vengono di fatto
sottoposti ad un trattamento riabilitativo
meno intensivo (Bellelli et al., 2002; Lenze
et al., 2004).
Un tentativo di colmare le lacune in questo ambito, identificando curve ideali di
recupero per pazienti (relativamente)
omogenei in termini di caratteristiche cliniche e funzionali, avrebbe indubbiamente importanti ricadute sul piano clinico
e programmatorio-organizzativo. Si potrebbe infatti definire già all’ammissione
in reparto una prognosi funzionale attesa,
le modalità di trattamento più appropriate
ed i tempi di degenza necessari per i
pazienti; in caso di mancato recupero o
di mancato rispetto dei tempi di recupero
previsti, si potrebbero rimettere in discus-
AIOCC <
sione il progetto riabilitativo ed i trattamenti effettuati.
L’idea di realizzare modelli grafici per
controllare la relazione tra procedure ed
outcomes nacque nel Regno Unito.
Walter A Shewhart ne fu il pioniere,
implementando per primo dei sistemi
standardizzati di controllo dei processi
manifatturieri (Cappadonia et al., 2006;
Mohammed et al., 2001), che portarono
un grande impulso ed un miglioramento
complessivo della qualità dei prodotti
fino ad allora realizzati. Egli sviluppò un
metodo grafico conosciuto come carta di
controllo (CDC) che consentiva di definire
un target (valore normativo di riferimento)
con il minimo di variazioni (scostamenti)
possibili dalla media. Secondo questo
schema, la qualità era definita come
l’insieme dei processi finalizzati a raggiungere il target senza discostarsi dai limiti
di confidenza (le variazioni possibili). Più
recentemente, Flaherty e Kane hanno
introdotto il concetto di “glidepaths” in
ambito geriatrico per indicare i confini
all’interno dei quali il medico deve sapersi
muovere tendendo al target di riferimento
(Flaherty et al., 2002; Kane, 2004). Il
termine “glidepath” è mutuato dall’aeronautica ed indica, letteralmente, i segnali
luminosi e sonori che la torre di controllo
utilizza per aiutare il pilota dell’aereo in
fase di atterraggio: essi rappresentano
certamente un grande aiuto per il pilota
che, tuttavia, continua ad essere il principale responsabile dell’atterraggio mantenendo il controllo del velivolo. Per similitudine, i segnali luminosi sul monitor rappresentano, in ambito sanitario, i massimi
scostamenti possibili dalla striscia tratteggiata al centro che, a sua volta, è il target
di riferimento.
Dalla teoria alla pratica: quale
utilità per le CDC?
Le CDC possono essere utilizzate in ambito sanitario per numerosi scopi, tra i
quali i più importanti sono legati al controllo dei macro-outcomes (come la mortalità a 90 giorni per pazienti con frattura
di femore) o dell’efficacia delle procedure
di cura erogate (Todd et al., 1995). In questo senso le CDC consentono un benchmark esterno (tra ospedali) ed interno
(all’interno del singolo reparto) e potreb-
bero costituire, almeno in teoria, un significativo avanzamento concettuale rispetto
agli attuali sistemi di qualità (utilizzati
negli ospedali di alcune regioni italiane),
che non vincolano il rispetto delle procedure al raggiungimento degli obiettivi.
Qualora infatti, attraverso analisi matematiche, fosse possibile includere in un unico database le CDM riabilitative di un numero consistente di pazienti provenienti
da più strutture, si potrebbero identificare
“curve attese” di recupero funzionale,
stabilire limiti di variabilità e, secondariamente, ipotizzare tariffe di pagamento
differenziate in base ai risultati ottenuti.
Quei reparti (e quegli ospedali) in grado
di mantenere il proprio livello qualitativo
nei limiti di confidenza attesi, e di avvicinarsi il più possibile al target di riferimento, potrebbero infatti ricevere contributi maggiori, a discapito di strutture (e/o
reparti) inadempienti sotto questo profilo.
Non è impossibile immaginare che uno
scenario di questo tipo potrebbe configurare una rincorsa alla qualità dei servizi,
basata non più sul rispetto di standard
strutturali e procedurali ma sugli outcomes.
Presso l‘UO Riabilitazione Polifunzionale
“Ancelle della Carità” di Cremona sono
stati raccolti nell’anno 2006 le CDM riabilitative di 170 pazienti ricoverati per
frattura di femore nei due anni precedenti.
Per ognuno di questi sono state misurate,
con cadenza settimanale, le variazioni di
score in 3 items motori del Barthel Index,
oltre che altri parametri contenuti nella
CDM.
Sulla base dell’andamento settimanale i
terapisti hanno modulato il proprio intervento e sono stati rivisti i progetti riabilitativi insieme al medico di reparto ed al
fisiatra. Attualmente i dati sono utilizzati
per individuare le traiettorie di recupero
attese, per gruppi differenti alla baseline.
Si ritiene che l’introduzione di metodologie oggettive di valutazione del paziente
da riabilitare rappresenti una svolta molto
incisiva nelle modalità di controllo dell’intervento riabilitativo.
Ciò è ancora più valido nel paziente anziano nel quale la complessità clinica
rende più difficile un giudizio empirico di
efficacia dei trattamenti.
* UO Riabilitazione Polifunzionale Casa di
Cura Ancelle della Carità, Cremona - Gruppo
di Ricerca Geriatrica, Brescia
** Dipartimento di Gerontologia e Scienze
Motorie, Ospedale Galliera, Genova
*** UO Riabilitazione Polifunzionale Casa di
Cura Ancelle della Carità, Cremona
**** Università Tor Vergata, Roma - Gruppo
di Ricerca Geriatrica, Brescia
BIBLIOGRAFIA
- Bellelli G, Frisoni GB, Pagani M, Magnifico
F, Trabucchi M. Does cognitive performance
affect physical therapy regimen after hip
fracture surgery? Aging Clin Exp Res. In
press.
- Bellelli G, Guerini F, Bianchetti A, De Palma D, Ther P, Trabucchi M. Medical comorbidity and complexity of the rehabilitative
procedures for older patients with functional
impairments. J Am Geriatr Soc. 2002;
50(12):2095-6.
- Cappadonia C, Corsini C, Pagani M, Volontà L, Bernardini B. Dalla valutazione multidimensionale geriatrica ai percorsi di cura
integrati. In: Bonaiuti D. Le scale di misura
in riabilitazione, Ed. SEU, Roma 2006.
Flaherty JH, Morley JE, Murphy DJ, Wasserman MR. The development of outpatient
Clinical Glidepaths. J Am Geriatr Soc 2002;
50(11):1886-901.
- Hoenig H, Rubenstein L, Kahn K. Rehabilitation after hip-fracture-equal opportunities
for all? Arch Phys Med Rehab 1996;
77(1):58-63.
- Kane R. Origin of the term “glidepaths”. J
Am Geriatr Soc 2004; 52 (4):651–2.
- Lenze EJ, Munin MC, Dew MA, Rogers
JC, Seligman K, Mulsant BH, Reynolds CF
3rd. Adverse effects of depression and cognitive impairment on rehabilitation participation and recovery from hip fracture. - - Int J
Geriatr Psychiatry 2004; 19(5):472-8.
Marsden J, Greenwood R. Physiotherapy
after stroke: define, divide and conquer J
Neurol Neurosurg Psychiatry 2005;
76(4):465–6.
- Mohammed AM, Cheng KK, Rouse A,
Marshall T. Bristol, Shipan, and clinical governance: Shewhart’s forgotten lessons.
Lancet 2001; 357(9254):463-7.
- Presidenza del Consiglio dei Ministri. Comitato Nazionale per la Bioetica. Bioetica e
riabilitazione, 17 marzo 2006.
- Todd CJ, Palmer C, Camilleri-Ferrante C,
Freeman CJ, Laxtan CE, Pancer MJ, Payne
BV, Rushtan N. Differences in mortality after
fracture of hip: the East Anglian audit. BMJ
1995; 311(7011):1025.
GEN 08 ASSISTENZA ANZIANI
45
AIOCC <
TERAPIA OCCUPAZIONALE
Nei pazienti che sono affetti da demenza
> di ALESSIA TAFANI *
LA CONOSCENZA DEI SINTOMI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER OGGI È TALE DA
CONSENTIRE LA DETERMINAZIONE DEL LIVELLO DI GRAVITÀ DELLA PATOLOGIA.
ESISTONO MOLTE CLASSIFICAZIONI AL RIGUARDO, GRAZIE ALLE QUALI È
POSSIBILE ATTRIBUIRE IL PAZIENTE AD UN LIVELLO PIUTTOSTO CHE AD UN ALTRO A SECONDA DELLA SINTOMATOLOGIA MANIFESTATA. LA PERDITA DI MEMORIA, I DEFICIT ATTENTIVI, IL VAGABONDAGGIO, LE MODIFICAZIONI DEL CARATTERE, I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO, LE DISINIBIZIONI, IL DISORIENTAMENTO TEMPORALE E SPAZIALE, SONO SOLO ALCUNE DELLE MANIFESTAZIONI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER.
NEL MOMENTO in cui i familiari si accorgono che il loro caro non è più in grado
di svolgere le normali attività di vita quotidiana in modo adeguato o sicuro, solitamente tendono a sostituirsi a lui in tutte
le attività. Il problema più spesso riportato
dai familiari di un paziente con demenza
è infatti quello di dover fare tutto ciò che
prima faceva lui poiché ora “non riesce più
a farlo come prima”, “non lo fa tanto bene”,
“non lo fa abbastanza velocemente”, “non
lo fa come lo faceva di solito”.
L’intervento terapeutico dal punto di vista
occupazionale considera come nodo centrale del proprio operare proprio questa
mancanza di agire che si manifesta nei
pazienti con demenza di Alzheimer. Per il
terapista occupazionale, l’agire umano
è alla base del benessere della persona,
e tutto ciò che costituisce una limitazione
per lo stesso, comporta una disfunzione
occupazionale che può essere risolta
esclusivamente attraverso la promozione
di attività particolarmente significative e
nelle quali vengono sperimentate le limitazioni più gravi. Il terapista dell’occupazione cerca pertanto di intervenire non
focalizzandosi esclusivamente sulle funzioni deteriorate, ma soprattutto sulla
mancanza di motivazione ad agire che, se
da una parte viene indotta dai familiari per
garantire la sicurezza del paziente o lo
svolgimento di attività fondamentali per
l'organizzazione familiare, dall'altra viene
aggravata da un senso di inadeguatezza
percepito dal paziente stesso. Questo
deriva dal fatto che il paziente sperimenta
esperienze di insuccesso nell’agire, rappresentate spesso dall'impedimento da
parte dei familiari di svolgere un'attività,
oppure dall'impossibilità reale di portare
a termine un'attività cominciata.
Dunque l'approccio occupazionale (Model
of Human Occupation) (Kielhofner et al.,
2002) riconosce nella mancanza di motivazione ad agire e nella riduzione e o perdita dell'autostima, lo specifico patologico
della demenza. L'intervento della terapia
occupazionale è finalizzato a
favorire un processo di ri-motivazione ed un aumento graduale dell’autostima del paziente, al fine di favorire il miglioramento o il mantenimento
dello stato funzionale e di indipendenza e di controllare i
disturbi del comportamento.
E’ importante inoltre non dimenticare che l’intervento occupazionale viene sempre
svolto in modalità ecologica,
cioè con un’attenzione particolare all’ambiente in cui la persona svolge le attività. L’ambiente infatti, sia esso fisico,
cioè costituito da spazi e oggetti, sia esso sociale, costituito quindi da persone, è fondamentale per lo svolgimento
di qualunque attività, poiché
può presentare ostacoli e barriere o al contrario facilitazioni
e incoraggiamenti alla persona che agisce. Per queste ragioni le tecniche di
adattamento ambientale sono molto efficaci nel compensare la ridotta o, più spesso, assente capacità di apprendimento
che sta alla base di qualunque processo
riabilitativo. Il processo di ri-motivazione
accompagna il paziente affetto da demenza attraverso tre fasi verso “l’autonomia
motivazionale”, verso una condizione
cioè, in cui lo svolgimento di una attività
genera e rafforza il senso di efficacia
personale e di autostima a tal punto da
spingere il paziente a svolgerla ancora. Il
principio che sottende questo approccio
riabilitativo consiste nel credere che il
paziente, ricominciando a sperimentare
situazioni di successo nell’esecuzione
delle attività scelte per l’intervento riabilitativo, accrescerà la sua autostima e la
sua motivazione ad agire, impiegando
le sue energie quotidiane in attività per lui
significative, piuttosto che in comporta-
FEB 08 ASSISTENZA ANZIANI
37
AIOCC <
menti a finalistici e spesso pericolosi.
Il processo di ri-motivazione comincia
con la fase di esplorazione, che prevede
la collocazione del paziente in un ambiente che contenga elementi che possano
suscitare il suo interesse e che possano
incoraggiarlo attivamente ad esplorare il
mondo che lo circonda.
Questo viene reso possibile da una previa
raccolta di informazioni che il terapista
deve ottenere intervistando il paziente
(ove possibile), i familiari, il caregiver e il
personale che lo assiste, grazie alla quale
collocherà nella stanza di terapia occupazionale una serie di elementi che dovrebbero suscitare l’interesse del paziente.
L’esplorazione del mondo che ci circonda
è fondamentale per la generazione della
motivazione ad agire, dunque quanto più
l’ambiente è adeguatamente stimolante
ed incoraggiante, tanto più facilmente
nasce l’interesse a “fare”. I pazienti che
hanno completamente perso la motivazione ad agire cominciano il loro percorso
proprio da questa fase, e possono essere
considerati alla stregua di un artista in attesa dell’ispirazione per incominciare
un’opera. L’attuazione di un intervento
ecologico offre al terapista occupazionale
la possibilità di creare le condizioni affinché il paziente possa trovare il giusto elemento d’ispirazione, che generi in lui la
motivazione ad agire. Questo può accadere con l’ausilio dei più disparati oggetti: una pianta con una foglia secca da
rimuovere, una macchinetta del caffè da
preparare, un giornale da sfogliare o una
foto da guardare; ciò che importa non è
l’elemento che ha scatenato l’azione ma
come l’esperienza è stata vissuta. In questo senso il terapista occupazionale deve
assicurarsi che al di là del reale risultato
prodotto dal paziente, questi sperimenti
una situazione di successo e di piacevolezza nello svolgimento dell’attività.
A questo punto il paziente entra di diritto
nella seconda fase del processo, la fase
della competenza, sicuramente più impegnativa, poiché se nella fase dell’esplorazione il risultato non era un elemento determinante ed il paziente non era mai
soggetto al giudizio del terapista, ora
viene prestata maggiore attenzione al
raggiungimento o meno dell’obbiettivo
del compito e dell’attività; in un certo qual
modo la responsabilità del processo, che
nella prima fase era completamente a
carico del terapista, comincia ad essere
equamente distribuita su entrambi gli attori dell’intervento terapeutico (terapista e
paziente).
Anche in questa fase è fondamentale
l’intervento ecologico, che in questo caso
deve fornire ed utilizzare una serie di
accorgimenti al fine di compensare soprattutto i deficit cognitivi. Così una sveglia
per richiamare l’attenzione su un dato
evento, una sequenza di foto per ricordare
o seguire il corretto ordine dell’attività, i
colori e le illustrazioni per orientare nel
tempo e nello spazio, e tante altre strategie ecologiche da condividere anche con
i familiari ed il caregiver, diventano fondamentali per raggiungere il risultato e far
sperimentare al paziente la sensazione di
efficacia delle proprie azioni e di successo
nelle attività che svolge. In questa fase
l’esplorazione è molto più attiva da parte
del paziente e meno pilotata dal terapista.
Per questo, mano a mano che il paziente
accresce il senso di fiducia nelle azioni
che compie e nei risultati che produce, è
sempre più disposto a “mettersi in gioco”
accettando o anche richiedendo di svolgere attività più complesse, spesso collegate a ruoli molto forti rivestiti in passato.
È esattamente in questo momento che il
paziente può essere considerato nella
terza ed ultima fase del processo ri-motivazionale, la fase dell’autonomia. In questa fase si presuppone che il paziente sia
in grado di interessarsi spontaneamente
allo svolgimento di un’attività, ma ciò non
significa necessariamente che sia in grado
di svolgerla realmente in modo indipendente.
In tutte le tre fasi del processo ri-motivazionale il terapista non deve mai perdere
di vista le caratteristiche evolutive della
patologia, e deve essere perfettamente
consapevole del fatto che l’intervento riabilitativo non è volto al ripristino delle funzioni perdute ma delle attività e della partecipazione del paziente nella vita quotidiana (OMS, 2002).
Sarà quindi cura del terapista stabilire il
reale livello di autonomia funzionale del
paziente ed il conseguente livello di assistenza necessario in ognuna delle atti-
vità svolte. Il processo di ri-motivazione
non avviene, infatti, senza considerare tutte le questioni e le situazioni legate alla sicurezza del paziente e dei suoi cari; per
questo l’autonomia motivazionale non
corrisponde al concetto di indipendenza.
Spesso le attività oggetto e mezzo dell’intervento con il paziente affetto da
Alzheimer non possono essere svolte
senza una stretta supervisione o anche
assistenza da parte dei familiari o di un
caregiver, che sono parte attiva dell’intervento occupazionale.
Nella nostra esperienza al Day Hospital
del Centro di Medicina per l’Invecchiamento del Policlinico Gemelli a Roma, i
pazienti che sono stati inseriti in un piano
di intervento occupazionale che prevedesse il processo ri-motivazionale e che
lo hanno terminato, hanno dimostrato di
ridurre i comportamenti aggressivi, di normalizzare il ritmo sonno-veglia e di diminuire la tendenza al vagabondaggio; si è
altresì verificato in alcuni casi anche un
miglioramento del livello funzionale con
conseguente riduzione della quantità di
assistenza necessaria; infine i familiari e
i caregiver hanno riferito una percezione
del carico assistenziale notevolmente
minore.
Alla luce di tutto ciò possiamo considerare
l’intervento terapeutico occupazionale un
mezzo per aumentare il livello di qualità
della vita del paziente e delle persone che
vivono con lui.
* Coordinamento Corso di Laurea in Terapia
Occupazionale - Dipartimento di Scienze
Geriatriche, Gerontologiche e Fisiatriche,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
BIBLIOGRAFIA
- Kielhofner Gary et al. “Model of Human
Occupation:Theory and application”. Third
edition. Baltimora: Lippincott Williams and
Wilkins, 2002.
- OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). “ICF-Classificazione Internazionale del
Funzionamento della Disabilità e della Salute”, Spini di Gardolo (Trento): Erickson,
2002.
FEB 08 ASSISTENZA ANZIANI
39
AIOCC <
CIBO E SOLUZIONI
Utilizzo sala da pranzo e “collaborazioni”
> di ERMELLINA ZANETTI *
LA MALNUTRIZIONE, CHE NEI PAESI SVILUPPATI COLPISCE QUASI ESCLUSIVAMENTE GLI ANZIANI, PUÒ DIPENDERE IN UNA CERTA PERCENTUALE DI SOGGETTI
DA CAUSE ORGANICHE MA È LEGATA ALTRESÌ, E SPESSO IN MISURA ALQUANTO
MAGGIORE, A FATTORI DI ORDINE PSICOLOGICO, SOCIALE E CULTURALE.
I PROBLEMI nutrizionali degli anziani
possono essere prevenuti, controllati o
trattati, ma i segnali di pericolo di malnutrizione sono spesso sottovalutati. La
malnutrizione, invece, è una realtà tutt’altro che trascurabile anche nei paesi più
evoluti, è presente soprattutto in ambito
istituzionale, ma non é infrequente anche
nei soggetti a domicilio con "scarse"
disponibilità economiche ed alimentari.
In ospedale il bisogno di alimentazione è
spesso poco considerato: la routine ospedaliera che propone il cibo indipendentemente dalle abitudini e dai ritmi dei ricoverati, la necessità di esami che richiedono il digiuno, l’erronea convinzione che in
pochi giorni di ricovero non si possano arrecare danni allo stato nutrizionale di un
soggetto, sono tutti aspetti che contribuiscono a sottostimare il fabbisogno di nutrienti. In realtà molte situazioni che richiedono il ricovero in un setting per acuti si
associano alla necessità di modificare la
qualità e la quantità dei nutrienti nel breve
o nel lungo periodo (Archibald, 2006).
In uno studio condotto negli USA è emerso che sono malnutriti il 20% degli anziani
che vivono al domicilio, il 40% di coloro
che sono ricoverati nelle Case di Riposo
e il 50% dei pazienti ospedalizzati (Steen,
2000).
In un altro studio gli autori utilizzando il Mini Nutritional Assessment hanno identificato in una popolazione di anziani ricoverati in Casa di Riposo il 32% di pazienti
malnutriti e il 43% di pazienti a rischio di
malnutrizione (Menecier 1999).
La presenza di malnutrizione caloricoproteica incide in modo rilevante sia sugli
aspetti clinici sia economici (Pallini, 1998).
In particolare la malnutrizione si associa
ad un maggior rischio di ospedalizzazione, istituzionalizzazione e mortalità. I
soggetti anziani malnutriti hanno un maggior rischio di contrarre malattie infettive,
le ferite guariscono più lentamente e la
durata della degenza è maggiore rispetto
agli anziani con pari condizioni di salute,
ma normonutriti (Reuben, 1995; Sullivan,
1995; Wright, 2006). Affrontare possibili
soluzioni efficaci è certamente complesso
e richiede il lavoro sinergico di amministratori, clinici, manager.
Tre interessanti articoli (Wright, 2006;
Nijs, 2006; Simmons, 2005) offrono alcuni
suggerimenti per la pratica, basati sull’evidenza, di non impossibile attuazione anche da parte degli infermieri e degli ope-
ratori che operano nelle geriatrie e nelle
case di riposo italiane. La sala da pranzo
è indicata dai tre articoli come il luogo privilegiato, sia in una geriatria per acuti
sia in casa di riposo, per interventi assistenziali finalizzati a migliorare l’apporto
nutrizionale, prevenire la perdita di funzione, favorire la socializzazione e realizzare l’integrazione tra infermieri, fisioterpisti e operatori di supporto.
Nell’articolo di Wright (Wright, 2006) i
pazienti anziani ricoverati in una geriatria
per un evento acuto assumono più cibo
se mangiano in una sala da pranzo supervisionata da un operatore di supporto
formato. Infermieri e fisioterapisti individuano insieme i pazienti che, in relazione alle condizioni cliniche e funzionali e
al potenziale riabilitativo, possono trarre
vantaggio dal recarsi in sala da pranzo
per consumare il pasto.
I due articoli di Nijs (2006) e di Simmons
(2005) richiamano l’attenzione sugli
TABELLA 1 > DESCRIZIONE DELLE CARATTERISTICHE CHE DEFINISCONO
LO “STILE FAMIGLIA”
Variabile
Stile famiglia
Allestimento del tavolo
Tovaglia che copre il tavolo; bicchieri di vetro (no bicchieri di plastica); piatti
di ceramica; posate al completo; tovaglioli; piccole composizioni floreali
Servizi
Pasto caldo servito sui piatti a tavola; menu a scelta tra (almeno 2
opzioni possibili per pietanza)
Personale di assistenza
Il personale si siede ai tavoli e chiacchiera con i residenti; almeno un
infermiere o un volontario ad ogni tavolo; eventuali farmaci vengono
distribuiti prima dell’inizio del pasto; nessun cambio di personale durante
l’ora del pasto; la sala da pranzo viene riordinata subito dopo il pasto, solo
quando tutti hanno finito
Residenti
I residenti sono equamente distribuiti (circa 6 persone per ciascun
tavolo); i residenti decidono quando farsi servire le vivande; la maggior
parte si serve da sola e l’infermiere o il compagno di tavolo dà un mano;
si inizia a mangiare quando sono tutti seduti; prima di iniziare si fa un
momento di riflessione o di preghiera
Indicazioni organizzative
Non vengono svolte altre attività nel contempo (per esempio, pulizie, visite
mediche); nella sala pranzo non possono entrare visitatori o operatori
sanitari (tranne nei casi in cui è necessaria la presenza di qualcuno che
deve aiutarli a mangiare); in ogni caso essi devono essere già presenti
nella sala all’inizio del pasto e devono rimanere fino alla fine dell’ora di
pranzo; non devono esserci carrelli dei farmaci e cartelle cliniche
MAR APR 08 ASSISTENZA ANZIANI
43
AIOCC <
aspetti più squisitamente alberghieri delle
Case di Riposo: i due lavori dimostrano
come piccole modifiche all’organizzazione (adottare uno stile familiare, dedicare
attenzione alla preparazione delle sale da
pranzo) possano migliorare l’apporto di
cibo nei soggetti a rischio di malnutrizione
(Tabella 1). Anche in questi due lavori la
collaborazione tra infermieri (che valutano
i fattori di rischio, individuano i pazienti,
pianificano l’assistenza in relazione all’intensità del bisogno e ne valutano l’efficacia) e gli operatori di supporto (che
predispongono la sala da pranzo, assistono gli ospiti secondo quanto stabilito
dagli infermieri, registrano quanto il soggetto ha mangiato) è fondamentale ed
efficace.
Tutti gli articoli richiamano l’attenzione degli infermieri e gli operatorio a pensare
l’assistenza utilizzando anche le potenzialità fornite dall’ambiente e dall’organiz-
zazione, che non devono essere subiti,
ma possono essere ragionevolmente
modificati in funzione degli obiettivi assistenziali.
* Gruppo di Ricerca Geriatria, Brescia
e AIOCC
BIBLIOGRAFIA
- Archibald C Meeting the nutritional needs of
patients with dementia in hospital.Nursing
Standard. 2006; 20 (45): 41-45.
- Menecier P., Menecier-Ossia P., Bonnet N.,
Bonin P, Lenoir C, Kaker N.: Protein-energymalnutrition associated factors among nursing
home elders. Age & Nutrition 1999 vol 10
- Nijs KA, de Graaf C, Kok FJ, van Staveren
WA Effect of family style mealtimes on quality of life, physical performance, and body
weight of nursing home residents: cluster
randomised controlled trial. BMJ. 2006 May
20;332(7551):1180-4.
- Pallini P, Saggioro A., Aspetti clinici nutrizio-
VALUTARE PER COMPRENDERE I PROBLEMI
DEL PAZIENTE ANZIANO
Corsi di Formazione per Operatori dell’Assistenza (OSS, ASA)
accreditati al programma regionale lombardo di Educazione
Continua in Medicina-Sviluppo Professionale Continuo
Il Gruppo di Ricerca Geriatrica e l’Associazione Italiana Operatori Cure Continuative propongono alcuni incontri di formazione rivolti agli Operatori dell’Assistenza
con l’obiettivo di illustrare i principi, i metodi e gli strumenti della valutazione multidimensionale in relazione a specifici aspetti dell’assistenza con cui si confrontano
tutti i giorni gli operatori. I docenti utilizzeranno prevalentemente una metodologia
interattiva, proponendo ai partecipanti di rileggere e riflettere situazioni assistenziali
di comune esperienza.
LA QUOTA DI ISCRIZIONE COMPRENDE:
• iscrizione al singolo corso,
• dispensa e materiale didattico
• certificazione della partecipazione e dei crediti acquisiti
LA SEDE DEI CORSI È L’AULA FORMAZIONE DEL GRUPPO
DI RICERCA GERIATRICA IN VIA ROMANINO, 1 - BRESCIA
INFORMAZIONI E ISCRIZIONI:
ELISA BOLDINI - [email protected] - TEL. 030 3757538
SCHEDA ISCRIZIONE
WWW.GRG-BS.IT
nali e ricadute economiche. Atti del Convegno "Investire in nutrizione per le Aziende
Sanitarie del nuovo millennio" Nutricia Service, 1998:7-11.
- Reuben DB, Greendale GA, Harrison GG.
Nutrition screening in older persons. Journal
of the American Geriatrics Society.
1995;43(4):415-25.
- Simmons SF, Levy-Storms L.The effect of
dining location on nutritional care quality in
nursing homes.J Nutr Health Aging. 2005
Nov-Dec;9(6):434-9.
- Steen B.: Preventive nutrition in old age - a
review J Nutr Health Aging 2000;4(2):114-9
Sullivan DH, Walls RC, Bopp MM. Proteinenergy undernutrition and the risk of mortality within one year of hospital discharge: a
follow-up study. Journal of the American Geriatrics Society. 1995;43(5):507-12.
- Wright L, Hickson M, Frost G: Eating together is important: using a dining room in an
acute elderly medical ward increases energy
intake. J Hum Nutr Diet. 2006
Feb;19(1):23-6
20 marzo 2008 - Ore 14,30-18,30
“VALUTARE E COMPRENDERE IL PAZIENTE ANZIANO:
LA MALNUTRIZIONE”
4 crediti per Operatori dell’Assistenza (in attesa conferma)
14.30-15.30
La malnutrizione: causa di tanti problemi
15.30-16.30
Quando il soggetto anziano è a rischio di malnutrizione?
16.30-17.30
Approccio assistenziale in presenza di disfagia
17.30-18.30
Discussione, valutazione del gradimento e
dell’apprendimento e chiusura del corso
Destinatari:
30 Operatori dell’Assistenza
Quota di iscrizione: € 30.00 (IVA 20% compresa)
17 aprile 2008 - Ore 14,30-18,30
“VALUTARE E COMPRENDERE IL PAZIENTE ANZIANO: IL DOLORE”
4 crediti per Operatori dell’Assistenza (in attesa conferma)
14.30-15.30
Il dolore del corpo e della mente
15.30-16.30
La valutazione del dolore: il paziente ha sempre ragione!
16.30-17.30
Osservare per comprendere: la valutazione del dolore
nei pazienti affetti da demenza
17.30-18.30
Discussione, valutazione del gradimento e
dell’apprendimento e chiusura del corso
Destinatari:
30 Operatori dell’Assistenza
Quota di iscrizione: € 30.00 (IVA 20% compresa)
15 maggio 2008 - Ore 14,30-18,30
“VALUTARE E COMPRENDERE IL PAZIENTE ANZIANO: I DISTURBI DEL
COMPORTAMENTO”
4 crediti per Operatori dell’Assistenza (in attesa conferma)
14.30-15.30
Agitazione, aggressività, fuga: ecco i disturbi del
comportamento
15.30-16.30
Come riconoscere e comprendere i disturbi del
comportamento
16.30-17.30
Approccio all’anziano con disturbi del comportamento
17.30-18.30
Discussione, valutazione del gradimento e
dell’apprendimento e chiusura del corso
Destinatari:
30 Operatori dell’Assistenza
Quota di iscrizione: € 30.00 (IVA 20% compresa)
MAR APR 08 ASSISTENZA ANZIANI
45
> AIOCC
PROTOCOLLO DI LAVORO
La diarrea acuta nell’anziano fragile
LA GERIATRIA, E LA RIABILITAZIONE GERIATRICA IN PARTICOLARE, SONO UN
CAMPO RICCO DI AREE DI CONFINE TRA LE DIVERSE COMPETENZE, AREE IN CUI
SI INCONTRANO E/O SI SCONTRANO FILOSOFIE E VISIONI APPARTENENTI A
FIGURE PROFESSIONALI DIVERSE QUALI I MEDICI, I FISIOTERAPISTI, GLI INFERMIERI, GLI OPERATORI SOCIO-SANITARI, ETC. SE NON DEFINITE CORRETTAMENTE
LE AREE DI COMPETENZA, I RAPPORTI TRA LE FIGURE PROFESSIONALI POSSONO
FARSI ALQUANTO PROBLEMATICI, CREANDO DISSAPORI E SCONTRI ALL’INTERNO
DELL’ÉQUIPE.
DIVENTA pertanto essenziale individuare le aree di confine e definire in modo puntuale e preciso i tempi di intervento
e le figure coinvolte.
Ciò potrebbe favorire la crescita di competenze inter-professionali e la condivisione delle procedure assistenziali in
un’ottica di crescita della qualità assistenziale che è fondamentale in geriatria
e riabilitazione.
La creazione di un gruppo interdisciplinare per la definizione degli interventi
assistenziali nei pazienti affetti da diarrea
acuta ha avuto, nel nostro setting, questo
preciso obiettivo, ed è stata un’occasione
per esplicitare e condividere un’area di
confine tra le diverse professioni dell’équipe sanitaria.
La diarrea acuta è un problema clinico
comune nei paesi sviluppati ed una piaga
epidemica nei paesi in via di sviluppo: si
calcola che essa sia responsabile nel
mondo di circa due milioni di morti l’anno.
Negli USA viene stimato che si verifichino
tra i 211 e 375 milioni d’episodi di diarrea
acuta l’anno (con un’incidenza di 1,4 episodi per persona), con più di 900.000
ospedalizzazioni e 6.000 morti (Lew et al.,
1991).
Nella popolazione anziana fragile può
avere anche conseguenze gravi: negli
Stati Uniti circa la metà delle morti per
diarrea avviene in persone con età superiore ai 74 anni con una mortalità complessiva superiore di quasi 400 volte rispetto a quella dell’adulto (Bennet e
Greenough, 1999).
TABELLA 1 - CAUSE DI DIARREA DA CONSIDERARE NEL PAZIENTE ANZIANO
(BENNET E GREENOUGH, 1999)
Non infettive
Infettive
Iatrogenesi. Pseudodiarrea da fecalomi. Antibiotico Batteri: Campilobacter spp, Clostridium difficile,
terapia. Supplementi dietetici. Antiacidi e farmaci Clostridium perfrigens, Escherichia coli, Salmonella spp,
inibitori della secrezione acida gastrica, lassativi. Vibrio colera, Vibrio spp.
Farmaci vari (digossina, chinidina, metildopa).
Neoplasia: lesioni ostruttive, adenoma secretorio, Virus: Adenovirus, Astrovirus, Calicivirus, coronavirus,
tumori ormone secernenti.
agente Norwalk, Rotavirus.
Malattie gastrointestinali: lesioni ostruttive, Parassiti: Criptosporidium, Entameba istolitica, Guardia.
dismotilità con formazione di fecalomi, malattia
infiammatoria intestinale, malassorbimento.
Aterosclerosi intestinale ed ischemia. Ipertensione
portale.
Malattie sistemiche: diabete mellito, tireotossicosi,
uremia.
40
MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI
Diagnosi
Si definisce diarrea l’emissione di feci di
peso superiore ai 250 g/24 ore, con un
aumento della frequenza d’evacuazione
(superiore a tre volte al giorno) e una
riduzione della consistenza (feci liquide)
(McQuaid, 2002).
Viene definita acuta quando è d’insorgenza improvvisa e di durata minore di
due settimane. Le cause della diarrea
nell’anziano possono essere molteplici
(Tab. 1), ma solo in alcune situazioni e in
alcuni pazienti è indicato un approfondimento diagnostico ed eziologico (coprocoltura, esami ematochimici).
Essendo generalmente la diarrea una
manifestazione di breve durata ed a risoluzione spontanea, la valutazione approfondita ed eziologica è indicata solo
per alcuni pazienti e per le forme moderate o gravi (Bennet e Greenough, 1999;
McQuaid, 2002). Recenti studi clinici raccomandano la valutazione medica in caso di:
• febbre >37.8;
• diarrea ematica;
• dolore addominale;
• 6 o più emissioni di feci liquide
nelle 24 ore;
• diarrea acquosa profusa
e disidratazione;
• pazienti “fragili”
e/o immunocompromessi;
In ogni caso, la valutazione iniziale deve
escludere la presenza di fecalomi (Bennet e Greenough, 1999; Beers e Berkow,
2000).
Le indagini di laboratorio di prima istanza
comprendono l’esame emocromocitometrico con conta leucocitaria, gli elettroliti
serici, gli esami di funzionalità renale,
alcuni parametri nutrizionali (albuminemia, transferrinemia e colesterolemia),
l’esame delle feci per la ricerca del sangue occulto e globuli bianchi.
AIOCC <
La coprocoltura è indicata in pazienti
con grave diarrea, febbre, sangue fecale,
leucociti fecali, o nel caso di diarrea prolungata nel tempo (Bauer et al., 2001).
Trattamento
Lo scopo principale della terapia è il
mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico, attraverso la reintroduzione delle
perdite gastrointestinali con liquidi appropriati per volume e composizione. Sebbene apparentemente banale, si tratta in
realtà di un intervento estremamente
importante dal punto di vista della salute
dell’individuo.
Un editoriale di Lancet (Lancet, 1978),
pubblicato sul finire degli anni ‘80, ha
affermato che la terapia reidratante orale
ha rappresentato il più importante avanzamento della medicina nell’ultimo ventennio, poiché un intervento di questo tipo
è in grado, se effettuato correttamente, (in
alcuni casi in combinazione con la ripresa
dell’alimentazione) di migliorare la prognosi ed accorciare i tempi della malattia.
Sono disponibili in commercio soluzioni
reidratanti già confezionate che possono
essere diluite con acqua ed utilizzate
facilmente.
In realtà la soluzione reidratante può
essere confezionata artigianalmente
combinando un cucchiaino di sale (3.5 g),
1 cucchiaino di bicarbonato di sodio (2.5
g di Na HCO3), 8 cucchiaini di zucchero
(40 g) e 40 ml di succo di arancia (1.5 g
KCl) diluiti in 1 litro di acqua. La quantità
di liquido da introdurre è stimata in 50-100
ml/Kg/24 ore a seconda dello stato d’idratazione e delle perdite (Rose Burton,
1995).
Il modo più semplice per controllare che
la soluzione reidratante sia assunta in
quantità adeguate è quello di verificare
che la diuresi si mantenga appropriata
(una minzione ogni 3-4 ore) e che il peso
specifico delle urine sia minore di 1.015
(Bennet e Greenough, 1999). La stabilità
del peso corporeo può essere considerata come un grossolano indicatore
d’adeguatezza della terapia praticata
nelle forme di diarrea prolungata.
Gli agenti antidiarroici possono essere
utilizzati come sintomatici in pazienti con
diarrea lieve-moderata. Gli agenti oppia-
cei aiutano a ridurre il numero e la liquidità
delle scariche diarroiche, controllano
l’urgenza fecale e forse ne riducono la
durata, ma sono sconsigliati nel paziente
con diarrea ematica, febbre elevata,
segni di tossicità sistemica o in pazienti
in cui si assista ad un peggioramento
delle condizioni cliniche nonostante la
terapia.
La loperamide è il farmaco preferito ad un
dosaggio iniziale di 4 mg, seguito da 2 mg
da assumere dopo ogni scarica (massimo 16 mg/die). Una terapia antibiotica
empirica può essere indicata dopo l’esecuzione di coprocoltura o in caso di
diarrea di gravità moderato-severa, non
acquisita in ospedale ed associata a febbre, tenesmo e/o feci ematiche. I farmaci
di scelta nel trattamento antibiotico empirico sono i fluorochinolonici (ciprofloxacina 500 mg; ofloxacina 400 mg o
norfloxacina 400 mg due volte al giorno),
o il trimetoprim-sulfametossazolo e la
doxiciclina 100 mg due volte al giorno
(McQuaid, 2002).
Protocollo di lavoro per un management multiprofessionale (medico-infermieristico) della diarrea
acuta nell’anziano fragile: il perché di un impegno e lo sviluppo
del protocollo
La potenziale pericolosità della diarrea
acuta nella persona anziana e fragile
dipende dalle conseguenze della disidratazione e delle alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico (Bennet e Greenough, 1999, Beers e Berkow, 2000). I rischi della disidratazione sono maggiori
nell’anziano per molteplici ragioni, tra le
quali la riduzione del senso della sete,
della capacità renale di concentrazione
delle urine, della riduzione dell’efficacia
del sistema renina-angiotensina-aldosterone e dell’ormone antidiuretico. Inoltre
l’anziano è più esposto al rischio di scompenso cardiaco, insufficienza renale, effetti collaterali da farmaci o pratiche assistenziali incongrue (ad esempio la disidratazione da “mancata idratazione”). Il
quadro è ancora più complesso per le
persone disabili, a volte incapaci di comunicare o soddisfare le proprie necessità
e dipendenti da altri nel loro approvvigionamento idrico.
Un ulteriore problema è la “malpratice”.
Infatti il trattamento della diarrea è spesso
rappresentato da una terapia sintomatica
(antidiarroici, fermenti lattici, disinfettanti
intestinali) e dalla somministrazione di
liquidi per os (the, acqua, “brodini”) o
per via parenterale (in genere soluzione
fisiologica o glucosata).
In realtà, questo tipo di approccio non è
appropriato non solo perché la diarrea è
un meccanismo di difesa dell’organismo
che permette l’eliminazione di tossine o
batteri e, quindi, non sempre andrebbe
arrestata immediatamente (Bennet e
Greenough, 1999), ma anche perché i liquidi persi con la diarrea sono isosmolari
e di composizione elettrolitica simile al
siero, molto diversi dalle soluzioni fisiologiche o glucosate che usualmente vengono impegate (Rose Burton, 1995); allo
stesso modo il the ed il caffè, per la presenza di derivati xantinici, possono addirittura peggiorare il quadro clinico, aumentando la peristalsi intestinale (Rose
Burton, 1995), così come non vi sono sufficienti indicazioni, allo stato attuale, in
merito ad un utilizzo diffuso dei fermenti
lattici (Boyle et al., 2006; Miselli, 1997).
Per tutti questi motivi, dopo una condivisione delle varie problematiche tra tutte
le figure dell’équipe, si è deciso di creare
un gruppo di lavoro allargato a medici,
infermieri e farmacista.
La stesura di un protocollo di lavoro integrato è stato considerato un modello
paradigmatico di assistenza multiprofessionale, i cui elementi centrali sono stati
individuati nell’esplicitazione e nella condivisione da parte di ogni figura del gruppo della corretta pratica assistenziale
(che cosa fare), delle responsabilità (chi
fa che cosa) e delle modalità di controllo
(come verificare l’efficacia dell’intervento).
Gli obiettivi di fondo consistevano nel
definire le corrette modalità di gestione
della diarrea acuta, nell’uniformare i comportamenti diagnostici ed assistenziali e
nel porre le basi per un’efficace comunicazione e coordinazione tra le varie
figure.
Il protocollo è stato realizzato in tre incontri a cadenza mensile. Ogni figura che ha
partecipato all’incontro si è presentata
dopo aver effettuato una revisione della
letteratura più recente e dopo aver anaMAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI
41
AIOCC <
lizzato attentamente le possibili carenze
organizzative incontrate nella gestione del
problema “diarrea acuta” nella pratica
quotidiana. L’incontro tra le diverse figure
professionali ha permesso di integrare in
un progetto comune sensibilità, esigenze
e priorità differenti.
Uno dei punti centrali che il protocollo ha
voluto mettere in risalto è la figura infermieristica come case-manager del problema. Nelle prime righe del protocollo si
afferma in modo esplicito che la gestione
del paziente con diarrea non complicata
è compito e responsabilità dell’infermiere:
è l’infermiere che stima le perdite, assicura un’adeguata assunzione della soluzione reidratante e controlla tramite il
monitoraggio dei parametri vitali l’efficacia
dell’intervento.
Solo in presenza di precise condizioni di
rischio (i semafori rossi) viene coinvolto
il medico che procede ad un successivo
approfondimento diagnostico.
La procedura così descritta è stata schematizzata in un protocollo costituito da
una serie di passi successivi:
1) diagnosi accurata: l’infermiere esclude forme spurie di pseudoriarrea verificando tramite l’esplorazione rettale che
non vi siano fecalomi;
2) prima igiene ed identificazione della
potenziale pericolosità del quadro clinico:
viene praticata una corretta igiene intima
e si rilevano i parametri vitali e possibili
condizioni di rischio (semafori rossi);
3) management: l’infermiere decide,
dopo aver escluso o rilevato condizioni di
rischio, se deve essere coinvolto il medico
nella gestione/terapia della diarrea;
4) terapia: vengono reintegrate le perdite secondo protocollo e sono monitorati
i parametri vitali.
Conclusioni
La stesura di questo protocollo di lavoro
si è rivelata proficua dal punto di vista
operativo ed anche utile per una crescita
professionale dei membri dell’équipe; la
stesura del protocollo ha infatti obbligato
i partecipanti ad una metodologia di lavoro che costituisce la base del lavoro in
équipe.
Il protocollo è stato realizzato infatti tra-
mite una serie incontri preordinati, ai
quali ogni membro del gruppo di lavoro si
è presentato dopo aver studiato la letteratura più recente, aver definito le determinanti del proprio intervento, aver considerato le difficoltà e le esigenze delle
altre figure coinvolte nel progetto di assistenza e aver proposto un modello pratico
di intervento.
Gli elementi centrali di questo lavoro
sono stati l’esplicitazione e la condivisione
da parte di ogni figura dei seguenti quesiti:
“che cosa fare, chi fa che cosa, come verificare l’efficacia dell’intervento?”.
Il protocollo ha definito in modo chiaro le
competenze ed i limiti di ogni singola
figura dell’assistenza, mettendo in risalto
l’infermiere come case-manager del
problema.
Crediamo che l’esperienza positiva della
discussione e del lavoro possa essere
utilizzata come modello di collaborazione
tra medici ed infermieri in cui “ ciò che rende produttivo il lavoro di collaborazione è
ciò che le persone hanno di differente,
non ciò che hanno in comune”, e che possa essere utilizzata per la revisione di altre
pratiche clinico assistenziali comuni.
United States, 1979 trought 1987. JAMA
1991; 265(24):3280-4.
- McQuaid KR. Alimentary tract. In: Tierney
L, McPhee S, Papadakis M. Current medical
diagnosis and treatment, McGraw Hill, New
York 2002:613-5.
- Miselli M. Va rivisto il giudizio sui fermenti
lattici? Informazione sui farmaci 1997; 21 n. 5.
- Rose Burton D. Fisiologia clinica dell'equilibrio acido-base e dei disordini elettrolitici,
McGraw Hill Libri Italia, Milano 1995.
- Water sugar and salt (editorial). Lancet
1978;2 (8084):300-1.
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
- Alam Nur H, Yunus M, Faruque AS, Gyr N,
Sattar S, Parvin S, Ahmed JU, Salam MA,
Sack DA. Symptomatic hyponatremia during
treatment of dehydrating diarrheal disease
with reduced osmolarity oral rehydratation
solution. JAMA 2006; 296 (5):567-73.
- Avery ME, Snyder JD. Oral Therapy for
acute diarrhea. The underused simple solution. N Engl J Med 1990; 323(13):891-4.
- Miselli M. Soluzioni idroelettrolitiche orali
nella diarrea. Informazione sui farmaci 1994;
18 n.3:139-142.
- Thielman NM, Guerrant RL. Clinica Practice.Acute infectious diarrhea. N Engl J Med
2004; 350(1):38-47.
A CURA DI
BIBLIOGRAFIA
- Bauer TM, Lalvani A, Fehrenbach J, Steffen I, Aponte JJ, Segovia R, Vila J, Philippczik G, Steinbruckner B, Frei R, Bowler I, Kist
M. Derivation and validation of guidelines for
stool cultures for enteropathogenic bacteria
other than Clostridium difficile in hospitalized
adults. JAMA 2001; 285(3):313-9.
- Beers MH, Berkow R. The Merck manual
of geriatrics, Edizione italiana Medicom, Milano 2000.
Bennet RG, Greenough WB III. Diarrhea in
the elderly. In: Hazzard WR, Blass JA, Ettinger WH Jr, Halter JB, Ouslander JG. Principles of Geriatric Medicine and Gerontology,
McGraw Hill, New York 1999:1507-17.
- Boyle RJ, Robins-Browne RM, Tang ML.
Probiotic use in clinical practice: what are the
risk? Am J Clin Nutr 2006; 83(6):1256-64.
- Lew JF, Glass RI, Gangarosa RE, Cohen
IP, Bern C, Moe CL. Diarrheal deaths in the
MARCO PAGANI - UO Riabilitazione
Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della
Carità”, Cremona - Gruppo di Ricerca Geriatrica,
Brescia
SALVATORE SPECIALE - UO Riabilitazione
Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della
Carità”, Cremona - Gruppo di Ricerca Geriatrica,
Brescia
TIZIANA DOSI - UO Riabilitazione Polifunzionale
Casa di Cura “Ancelle della Carità”, Cremona
STEFANIA GUERRESCHI - UO Riabilitazione
Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della
Carità”, Cremona
SUOR CARLA ANTONIMI - UO Riabilitazione
Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della
Carità”, Cremona
GIUSEPPE BELLELLI - UO Riabilitazione
Polifunzionale Casa di Cura “Ancelle della
Carità”, Cremona - Gruppo di Ricerca Geriatrica,
Brescia
MARCO TRABUCCHI - Gruppo di Ricerca
Geriatrica, Brescia - Università Tor Vergata, Roma
MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI
43
> AIOCC
Protocollo clinico assistenziale
per il management della diarrea acuta
La diarrea è definita come “un aumento della frequenza di evacuazione, superiore
a tre volte al giorno, o l’emissione di feci liquide”.
La gestione della diarrea acuta è compito infermieristico. L’infermiere
deve:
1) Escludere, tramite esplorazione rettale, la presenza di pseudodiarrea secondaria
a fecalomi.
2) Eseguire successivamente igiene accurata.
a) Se il paziente è continente alle feci: viene fornita crema protettiva allo zinco ed
iniziato monitoraggio delle caratteristiche e della frequenza della diarrea;
b) Se il paziente è incontinente alle feci, dopo il lavaggio e l’applicazione della crema
protettiva allo zinco, viene posizionato pannolone.
3) Monitoraggio e controllo del paziente:
3a. Rilevazione dei parametri vitali
A. Modificazione dello stato mentale (delirium); B. Pressione arteriosa; C. Frequenza
cardiaca; D. Temperatura corporea; E. Frequenza Respiratoria; F. SO2 (Saturazione
di Ossigeno ematico).
3b. Rilevazione e monitoraggio della diuresi (una diuresi accettabile corrisponde ad
almeno 40 ml/ora);
Se il paziente è continente alle urine monitorare la diuresi raccolta in vaso (consigliata
verifica ogni almeno tre ore);
Se il paziente è incontinente alle urine monitorare la diuresi mediante cateterismo (se
il paziente è già portatore di catetere vescicale) o, in alternativa, pesare il pannolone
(consigliata verifica almeno ogni tre ore).
4) Valutazione specifica della diarrea: (volume delle feci emesse, presenza di
sangue, presenza di sintomi, frequenza).
Devono essere identificate una serie di condizioni la cui presenza va intesa come
potenzialmente pericolosa e suggestiva di diarrea di tipo infiammatorio (semaforo
rosso). In presenza di semaforo rosso il paziente deve essere valutato dall’équipe
(infermiere, OSS/OTA, medico).
Semafori rossi:
- febbre (>37.8°);
- emissione di sangue e/o coaguli misto a feci;
- dolore addominale di intensità rilevante;
- >6 scariche di feci non formate nelle 24 ore;
- episodio singolo di diarrea di volume ed entità significative (oltre 1 litro);
- fragilità biologica del paziente;
- terapia antibiotica prolungata o sistema immunitario compromesso;
- delirium ipocinetico o ipercinetico e/o marcato peggioramento delle condizioni cliniche
generali.
In assenza di semafori rossi
• Preparare e somministrare soluzione dicodral (50-100 ml /kg per os nelle 24 ore).
• Calcolare bilancio idrico (monitoraggio introito/perdite).
• Sospendere alimentazione per os (sono vietati anche the, caffè, succhi di frutta, o
44
MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI
AIOCC <
altre bevande ad eccezione dell’acqua) per le prime 12 ore.
• Monitorare la diuresi almeno ogni tre ore.
• Monitorare parametri vitali almeno ogni sette ore: A. Modificazione dello stato mentale
(delirium); B. Pressione arteriosa; C. Frequenza cardiaca; D. Temperatura corporea;
E. Frequenza Respiratoria; F. SO2 (Saturazione di Ossigeno ematico).
• A giudizio dell’infermiere, per il comfort del paziente e a fini puramente sintomatici
(ma deve esserne considerata la potenziale pericolosità), può essere somministrata
loperamide (lopemid, dissenten, imodium, diarstop, etc) 2 cp in un’unica somministrazione ed a seguire una compressa dopo ogni scarica. Superate le cinque compresse il paziente deve essere valutato dal medico.
• Se il paziente non assume la quantità prescritta di liquidi per os (almeno 2 litri ogni
24 ore) l’infermiere deve chiamare il medico per iniziare terapia endovenosa con
elettrolitica III endovena 40-50 ml/Kg /die (più le perdite).
In presenza di semafori rossi
1) Non somministrare farmaci antidiarroici;
2) Chiamare il medico di riferimento (medico responsabile del reparto o, se assente,
il medico di guardia). L’equipe deciderà in merito alla:
- richiesta di esami ematochimici: (emocromo completo, elettroliti sierici, funzionalità
renale, feci per sangue occulto, coprocoltura, compresa ricerca tossina clostridium
difficilis);
- somministrazione di terapia antibiotica orale (ad esempio ciprofloxacina 500 mg x
2 die, ofloxacina 400 mg die o norfloxacina 400 mg x 2 die, trimetoprim-sulfametossazolo x 2 die, doxiciclina 100 mg x 2 die);
3) Eliminare il pannolone e/o le feci secondo la procedura dei rifiuti ospedalieri speciali
(tramite halipac).
PROCEDURA DI IGIENE INTIMA PER PAZIENTE CON DIARREA
RISCHIO DELLA PROCEDURA: CONTAMINAZIONE FECALE DELLA VAGINA E DELL’URETRA
1. Procurare tutto il materiale necessario per la procedura sistemandolo nei pressi del paziente (telo monouso,
guanti monouso, manopole monouso, bricco con acqua tiepida, asciugamani, sacchetto nero per smaltire
i rifiuti, ricambio di biancheria o pannolone).
2. Se sono previsti accertamenti diagnostici sulle feci (es. coprocoltura, esame chimico fisico delle feci,
SOF), preparare una provetta ed effettuare la procedura.
3. Creare un ambiente adeguato (temperatura e privacy) ed informare il paziente in merito a ciò che ci si
accinge ad effettuare. È utile richiedere esplicitamente la collaborazione del paziente alla manovra.
4. Rimuovere le feci con la manopola: si procede rimuovendo inizialmente il materiale fecale dalla
regione vaginale (dall’avanti all’indietro) e solo successivamente dall’ano.
5. Detergere accuratamente e lavare con acqua saponata, sciacquare ed asciugare per compressione
e non mediante manovre di sfregamento.
6. Applicare la crema protettiva all’ossido di zinco (ad esempio decortil).
7. Rivestire il paziente.
8. Eliminare il materiale utilizzando l’apposito sacco nero o halipac (vedi procedura semaforo rosso).
MAG GIU 08 ASSISTENZA ANZIANI
45
AIOCC <
DIMISSIONE PROTETTA
Bisogni, competenze e pianificazione
> di SILVIA MARCADELLI * - VITO PETRAIA* - VITA SAPONARO**
LA CORRETTA PIANIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA COMPORTA
UNA PUNTUALE RILEVAZIONE DEI BISOGNI ASSISTENZIALI EFFETTUATA ATTRAVERSO UN’ACCURATA RACCOLTA DEI DATI. PER EVITARE CHE I DATI RACCOLTI
SIANO INFLUENZATI DA ELEMENTI SOGGETTIVI LEGATI ALL’ESPERIENZA ED ALLA COMPETENZA DI OGNI INFERMIERE, CON CONSEGUENTE SCARSA EFFICIENZA
ORGANIZZATIVA CHE PRODUCE UNA BASSA STANDARDIZZAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE DELL’ÈQUIPE PROFESSIONALE, È BENE RICORRERE ALL’UTILIZZO
DI SCALE VALIDATE SCIENTIFICAMENTE E INDICI ASSISTENZIALI.
LE scale di valutazione e gli indici assistenziali favoriscono: una lettura oggettiva
e confrontabile dei fenomeni assistenziali;
una omogenea valutazione quali-quantitativa dell’assistenza; la comunicazione
o lo scambio di informazioni tra le diverse
discipline (Silvestro, 2003).
In particolare, quando si prende in considerazione il bisogno di assistenza della
persona anziana si deve fare i conti con
una complessità la cui conoscenza è
indispensabile per tutti i professionisti
che partecipano all’intero percorso assistenziale; chi si occupa del paziente anziano non può prescindere da questa
complessità: solamente una strategia
che si fondi sulla valutazione globale dei
bisogni può essere garanzia di un piano
di cura e assistenza finalizzato alla conservazione della massima autonomia
personale e sociale (Zanetti, 2003).
La dimissione del paziente
dall’ospedale
La dimissione di un paziente, dall’ospedale al territorio, al domicilio, presso altre
strutture, ma anche nel passaggio da
un reparto all’altro è un momento critico
nel percorso di qualunque persona, perché si modificano i regimi di cura, cambiano i contesti e gli operatori sanitari, l’intensità e la tipologia degli interventi (Bono
e Dutto, 2006). La preparazione del paziente alla dimissione è quindi una responsabilità assistenziale, oltre che un
diritto del paziente e dei suoi familiari, che
devono essere coinvolti e accompagnati
in tutto il percorso assistenziale. In particolare, occorre porre una specifica attenzione agli scambi informativi su di uno
stesso caso e non si può non fare riferimento alla modalità di valutazione della
persona e dei suoi bisogni, valutazione
che viene inevitabilmente influenzata dal
contesto di riferimento. Ed il contesto di
ricovero ospedaliero e quello domiciliare
sono talmente diversi da determinare
enormi differenziazioni nella valutazione
effettuata. Uno dei più grossi problemi
che emerge nella comunicazione ospedale/territorio in merito alle dimissioni
protette, quindi alla continuità dell’assistenza, è proprio legato a questo aspetto
di difficoltà nel cogliere l’intera complessità della persona, durante e dopo l’evento malattia. La valutazione della persona che viene fatta all’interno del contesto ospedaliero è fortemente condizionata dai ruoli messi in atto durante il
ricovero. Cioè, la struttura organizzativa
ospedale esercita una forte pressione
sulla persona (orari, luoghi, abbigliamento…) che gli impedisce di esprimere le
attività di vita, considerate da un punto di
vista assistenziale, come farebbe al domicilio, tanto che alcune di queste attività
“escono” dalla rilevazione ai fini del processo assistenziale1.
A questo si deve aggiungere che la previsione di un progetto assistenziale a
domicilio, eseguita prima della dimissione
anche dagli stessi operatori dell’assistenza territoriale e domiciliare, può incorrere negli stessi errori di valutazione, se
l’assistito non è già conosciuto dal servizio, proprio perché la persona osservata
in ospedale, una volta reinserita nel suo
ambiente, “cambia” completamente.
La continuità dell’assistenza, che inizia
con la corretta valutazione della persona
e della sua rete informale di cura, si può
perseguire attraverso modalità di ascolto
reciproco (tra operatori dell’ospedale e operatori del territorio), attraverso il superamento del problema del contenimento
dei tempi di ricovero che impone dimissioni precoci, se la persona o la famiglia
non sono pronte per affrontare la situazione a domicilio. Ma ancora, attraverso
la definizione ed attuazione di percorsi di
educazione ed addestramento all’uso di
tecnologie o metodiche assistenziali già
durante il ricovero anche se i tempi sono
stretti, attraverso lo sviluppo di modalità
di comprensione e coinvolgimento dei
familiari durante il momento del ricovero,
anche se oggigiorno i reparti ospedalieri
osservano ancora gli orari di apertura ai
parenti.
La pianificazione della dimissione
La pianificazione della dimissione è un
intervento assistenziale che mira ad assicurare la continuità delle cure; consiste
in una serie di passaggi in cui dovrebbero
essere analizzati i problemi della persona
ad uno ad uno. Per fare ciò è possibile utilizzare uno strumento di valutazione,
l’indice di BRASS (Blaylock Risk Assessment Screening) (Blaylock e Cason,
1992), che può essere adottato già dal
momento dell’ammissione in reparto e
che consente di identificare i pazienti a
rischio di ospedalizzazione prolungata o
di dimissione difficile.
Pianificare la dimissione consente di attuare quei percorsi educativi di cui sopra,
al fine di garantire l’adattamento alla
nuova condizione di malattia considerando che, con lo spostamento del fulcro
delle malattie da acute e infettive a croLUG 08 ASSISTENZA ANZIANI
39
TABELLA 1 - STRATEGIE IN BASE AL PERCORSO POST-DIMISSIONE (SAIANI ET AL., 2004)
AIOCC <
Percorso post-dimissione Interventi da includere nel piano di dimissione
Rientro a domicilio
- assicurare informazioni
- attivare interventi di educazione terapeutica per migliorare la capacità
di autogestione per problemi temporanei o definitivi
Rientro a domicilio con attiva- - informare e discutere col paziente e i familiari gli obiettivi assistenziali
zione di servizi (prestazioni da garantire a domicilio
mediche, infermieristiche o - condividere con i familiari la richiesta di attivazione dei servizi territoriali
sociali programmate e di sup- - valutare le informazioni da trasmettere ai colleghi dell’assistenza
porto)
territoriale o del distretto (ADI ecc) per garantire continuità
- garantire informazioni sulle modalità e recapiti dei servizi
Attivazione del servizio sociale - condividere con i familiari o le persone di riferimento la richiesta di
per residenze sanitarie protet- attivazione servizi sociali
te, strutture riabilitative, o strut- - attivare il servizio sociale
ture di accoglienza sociale
- valutare le informazioni da trasmettere a coloro che assicureranno le
prestazioni nell’ambito residenziale
Attivazione dell’assistenza do- - condividere con i familiari o le persone di riferimento la richiesta di
miciliare integrata (ADI) che attivazione dell’ADI
di solito inizia con una valuta- - attivare precocemente la valutazione multidimensionale
zione multidimensionale
- trasmettere informazioni ai colleghi del servizio domiciliare integrato
Trasferimento a un servizio - condividere con i familiari o le persone di riferimento l’attivazione del
per post acuti
servizio post acuti concordando anche tempi e modalità del trasporto
- attivare il servizio
- organizzare il trasferimento del paziente
- garantire le informazioni sulla situazione assistenziale del paziente e sulle
esigenze di continuità
nico-degenerative (Ardirò, 1997), per diminuire i prolungati periodi di ricovero è
diventato necessario ridefinire il rapporto ammalato-operatori sanitari: quanto più
aumentano le cure a domicilio, le opportunità di home-care, tanto più è indispensabile una collaborazione e cooperazione
attiva dei pazienti e dei suoi familiari che
volenti o nolenti sono coinvolti nel processo di cura e assistenza domiciliare.
Particolare attenzione andrà posta nel
tempo di attivazione del processo educativo poiché, ad esempio, non si può istruire un paziente (o un suo familiare) alla
gestione di una terapia insulinica (o anticoagulante) il giorno prima della dimissione, ma è necessario iniziare subito
dopo che il medico ha impostato la terapia utilizzando tutte le occasioni che si
presentano in modo organico ed efficace.
L’indice di BRASS
L’indice di BRASS fu sviluppato come
parte del sistema di pianificazione della
dimissione soprattutto per i pazienti di età
superiore a 65 anni. Le autrici (Blaylock
e Cason, 1992) nella revisione della letteratura, e nella loro esperienza nel campo
dell’assistenza in geriatria e gerontologia,
hanno identificato i seguenti fattori: età,
stato funzionale, stato cognitivo, supporto
sociale e condizioni di vita, numero di
ricoveri pregressi/accessi al pronto soccorso e numero di problemi clinici attivi.
Esse hanno incluso anche: modello comportamentale, mobilità, deficit sensoriali
e numero dei farmaci assunti perché,
pur non essendo elementi dello stato
funzionale o cognitivo, sono rilevanti per
gli anziani. L’esperienza delle autrici suggeriva che se il paziente doveva assumere un grande quantitativo di farmaci
c’era un’alta probabilità di non compliance
al programma terapeutico.
Descrizione
Il BRASS index è uno strumento utilizzato
per identificare i pazienti a rischio di ospedalizzazione prolungata o di dimissione difficile. I dati vengono raccolti
compilando la scala, intervistando i parenti o chi assiste il malato.
L’indice di BRASS indaga 10 dimensioni
(di cui si è detto sopra):
• età;
• situazione di vita;
• supporto sociale;
• stato funzionale;
• stato cognitivo;
• modello comportamentale;
• deficit sensoriali;
• ricoveri pregressi/accessi al pronto
soccorso;
• problemi clinici attivi;
• numero di farmaci assunti.
Popolazione
Soggetti ricoverati in ospedale.
Modalità di somministrazione
Esaminatore: infermiere.
Punteggio: la valutazione viene fatta in
base ad informazioni fornite da un familiare o persona che conosce bene il paziente. Sono identificate 3 classi di rischio:
basso (0-10) medio (11-19) alto (20-40).
Durata: la scala è semplice, veloce (circa
15 minuti) e richiede un addestramento
minimo.
Applicazione
Clinica: Valutazione dei pazienti al
momento dell’ammissione in ospedale.
Limiti
Il BRASS index è di facile compilazione
e fornisce buone indicazioni per la validità
predittiva (specificità) in merito ai problemi
legati alla dimissione del paziente: i pazienti ad alto rischio frequentemente non
vengono dimessi a domicilio (Mistiaen et
al., 1999). Tuttavia dagli studi effettuati
(Mistiaen et al., 1999; Chaboyer et al.,
2002) l’indice risulta poco sensibile nell’identificare quei pazienti che potrebbero
presentare problemi dopo la dimissione
probabilmente perché, effettuando la
rilevazione al momento dell’ammissione
in ospedale, non vengono correttamente
identificati quegli anziani che peggiorano
le loro condizioni a causa dell’ospedalizzazione, specie se prolungata.
Note conclusive
La BRASS, somministrata come parte
dell’assessment di ammissione del paziente in ospedale, consente di identificare coloro che sono a rischio di ospedalizzazione prolungata e di dimissione
difficile: in particolare i pazienti che avranno bisogno dell’attivazione di servizi (o
risorse assistenziali anche familiari) per
l’assistenza extraospedaliera. Gli infermieri possono utilizzare le informazioni
che la BRASS fornisce per pianificare interventi educativi da attuare durante il ricovero e programmi assistenziali domiciliari. Ulteriori studi sulla sua applicazione sono necessari per meglio precisare i livelli di rischio, poiché il bilanciamento tra specificità e sensibilità può
essere raggiunto scegliendo diversi livelli
di cut-off nel punteggio dell’indice (MiLUG 08 ASSISTENZA ANZIANI
41
> AIOCC
BLAYLOCK RISK ASSESSMENT SCREENING (BRASS)
Cerchiare ogni aspetto che viene rilevato
Età (una sola opzione)
0 = 55 anni o meno
1 = 56 – 64 anni
2 = 65 – 79 anni
3 = 80 anni e più
Condizioni di vita e supporto sociale (una
sola opzione)
0 = Vive col coniuge
1 = Vive con la famiglia
2 = Vive da solo con il sostegno della familiare
3 = Vive da solo con il sostegno di amici/conoscenti
4 = Vive solo senza alcun sostegno
5 = Assistenza domiciliare/residenziale
Stato funzionale (ogni opzione valutata)
0 = Autonomo (indipendente in ADL e IADL)
Dipendente in:
1 = Alimentazione/nutrizione
1 = Igiene/abbigliamento
1 = Andare in bagno
1 = Spostamenti/mobilità
1 = Incontinenza intestinale
1 = Incontinenza urinaria
1 = Preparazione del cibo
1 = Responsabilità nell’uso di medicinali
1 = Capacità di gestire il denaro
1 = Fare acquisti
1 = Utilizzo di mezzi di trasporto
Stato cognitivo (una sola opzione)
0 = Orientato
1 = Disorientato in alcune sfere* qualche volta
2 = Disorientato in alcune sfere* sempre
3 = Disorientato in tutte le sfere* qualche volta
4 = Disorientato in tutte le sfere* sempre
5 = Comatoso
Modello comportamentale (ogni opzione valutata)
0 = Appropriato
1 = Wandering
1 = Agitato
1 = Confuso
1 = Altro
Mobilità (una sola opzione)
0 = Deambula
1 = Deambula con aiuto di ausili
2 = Deambula con assistenza
3 = Non deambula
Deficit sensoriali (una sola opzione)
0 = Nessuno
1 = Deficit visivi o uditivi
2 = Deficit visivi e uditivi
Numero di ricoveri pregressi/accessi al pronto
soccorso (una sola opzione)
0 = Nessuno negli ultimi 3 mesi
1 = Uno negli ultimi 3 mesi
2 = Due negli ultimi 3 mesi
3 = Più di due negli ultimi 3 mesi
Numero di problemi clinici attivi (una sola opzione)
0 = Tre problemi clinici
1 = Da tre a cinque problemi clinici
2 = Più di cinque problemi clinici
Numero di farmaci assunti (una sola opzione)
0 = Meno di tre farmaci
1 = Da tre a cinque farmaci
2 = Più di cinque farmaci
PUNTEGGIO TOTALE ________________
* sfere: spazio, tempo, luogo e sè
Punteggio
Indice di rischio
0-10 rischio basso
Soggetti a basso rischio di problemi dopo la dimissione:
non richiedono particolare impegno per l’organizzazione
della loro dimissione, la disabilità è molto limitata
11-19 rischio medio
Soggetti a medio rischio di problemi legati a situazioni
cliniche complesse che richiedono una pianificazione
della dimissione ma probabilmente senza rischio di
istituzionalizzione
maggiore o uguale a 20 alto rischio
Soggetti ad alto rischio perché hanno problemi rilevanti
e che richiedono una continuità di cure probabilmente
in strutture riabilitative o istituzioni
stiaen et al., 1999). Gli aspetti di criticità
evidenziati possono essere limitati da ripetute valutazioni durante l’ospedalizzazione, soprattutto se prolungata, proprio perché le persone anziane possono
modificare il loro stato funzionale nel corso del ricovero poiché “la valutazione,
specialmente se rigorosa - anche quando
sembra difficile o senza speranza - è
garanzia di rispetto per ogni singola persona e indicazione di ottimismo sulle potenzialità dell’anziano e sulle sue possibilità di rispondere in modo significativo
a un progetto di care (Trabucchi, 2003)”.
42
LUG 08 ASSISTENZA ANZIANI
NOTE
1
Si veda, a tal proposito, Bassetti O., “La
professione infermieristica oggi: le nuove
priorità”, Rosini Editrice, Firenze 2002, cap.
3.
*Servizio Assistenza ASL 4, Matera
*** Servizio Riabilitativo e Tecnico Sanitario e
Sociale ASL 4, Matera
BIBLIOGRAFIA
Altieri L. (a cura di) Ascolto e partecipazione dei cittadini in sanità: dimensioni,
modelli, prospettive, problemi. Salute e
Società 2002 n.2, Franco Angeli, Milano.
Ardigò A. Società e Salute Franco Angeli, Milano1997.
Bassetti O. La professione infermieristica oggi: le nuove priorità Rosini Editrice,
Firenze 2002.
Blaylock A, Cason C. Discharge Planning predicting patients’ needs, Journal
of Grontological Nursing 1992; 18(7).
Bono L, Dutto A. Dimissioni del paziente, Dossier Infad, N. 9 2006,
http://aifa.progettoecce.it.
Chaboyer W, Kendall E, Foster M. Use
of the “BRASS” to identify ICU patients
who may have complex hospital discharge planning needs, Nursing Critical
Care 2002;7(4).
D’Addato S, Marcadelli S, Sinoppi M.
Famiglia e Servizio di Assistenza Domiciliare nell’Anziano: modello Teorico-pratico, Giornale di Gerontologia
2000;XLVIII(11).
Grimmer K, May E, Dawson A, Peoples
C. Informing Discharge Plans. Assessment of Elderly Patients in Australian
Public Hospital: a Field Study The Internet Journal of Allied Health Sciences
and Practice 2004;2(3).
La Rosa M, Orsi W, Porcu S. Anziani salute e ospedale Franco Angeli, Milano
1990.
Marcadelli S. Le aree dell’assistenza territoriale: i problemi emergenti le prestazioni di qualità e le opportunità per il futuro in O. Bassetti, “La professione infermieristica oggi: le nuove priorità” Rosini
Editrice, Firenze 2002.
Mistiaen P, Duijnhouwer E, Prins-Hoekstra A, Ros W, Blaylock A. Predictive validity of the BRASS index in screening
patients with post-discharge problems,
Journal of Advanced Nursing 1999;
30(5):1050-6.
Saiani L, Palese A, Brugnolli A, Benaglio
C. La pianificazione delle dimissioni
ospedaliere e il contributo degli infermieri, Assistenza Infermieristica e Ricerca
2004; 23:233-49.
Silvestro A. Premessa, Le scale di valutazione:strumenti per l’integrazione e il
miglioramento dell’assistenza, in “Le
scale di valutazione: strumenti per la rilevazione dei dati clinici nell’assistenza
infermieristica”, I Quaderni de L’Infermiere 2003 n.6 – Settembre.
Trabucchi M. La valutazione multidimensionale: per misurare e comprendere in
Zanetti E. (a cura di) La valutazione in
geriatria, Carocci Faber, Roma 2003.
Zanetti E. (a cura di) La valutazione in
geriatria, Carocci Faber, Roma 2003.
AIOCC <
TERAPIA E COMPETENZE
Operatore socio-sanitario e somministrazione
> di MASSIMO PADERNO* - ERMELLINA ZANETTI **
I SERVIZI SOCIO-SANITARI PER LA POPOLAZIONE ANZIANA, ED IN PARTICOLARE
LE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI (RSA), SONO DA ALCUNI ANNI CHIAMATI
A FARSI CARICO DI UN’UTENZA CARATTERIZZATA NON SOLO DA UN’ETÀ SEMPRE
PIÙ AVANZATA E DA ELEVATI LIVELLI DI DISABILITÀ, MA ANCHE DA UNA CRESCENTE COMPLESSITÀ ED INSTABILITÀ DELLE CONDIZIONI CLINICHE.
SONO ben note le ragioni di questa
evoluzione della domanda: l’aumento
della speranza di vita, del quale beneficiano - in virtù dei progressi della medicina - anche persone affette da gravi
patologie croniche; la capacità da parte
dei nuclei familiari di far fronte - grazie alle
migliorate condizioni di reddito e soprattutto alla disponibilità di personale di
assistenza privata a domicilio (le cosiddette “badanti”) - a situazioni gravate da
un minor livello di instabilità clinica (Guaita, 2001); le profonde trasformazioni che
hanno investito l’ospedale, riducendone
le capacità di garantire non solo una
funzione “assistenziale”, talvolta impropria, storicamente esercitata nei confronti
degli anziani, ma spesso perfino la necessaria stabilizzazione clinica (Capasso,
1999; Savini, 1999).
Una simile evoluzione della domanda era in buona parte prevista dalla normativa
nazionale istitutiva delle Residenze Sanitarie Assistenziali (D.P.C.M. del 22 dicembre 1989) quale presidio della rete dell’
“Assistenza Geriatrica”, fortemente collegato con le strutture ospedaliere, ed è stata affrontata in termini più concreti dalla
Regione Lombardia, che ha sancito per
queste strutture residenziali l’obbligato-
rietà di un’autonoma organizzazione sanitaria (D.G.R. n 7435 del 14 dicembre
2001). Questo riconoscimento normativo
e “culturale”, tuttavia, non ha impedito che
le RSA restassero “ai margini” del sistema
sanitario, con difficoltà crescenti non solo
a reperire le figure sanitarie (data la grave
carenza di queste figure, in particolare degli infermieri, sul mercato del lavoro), ma
anche a garantire loro lo stesso riconoscimento (economico e di status) della Sanità.
I problemi posti alle RSA dall’aumento dei
bisogni sanitari non sono però solo di natura “quantitativa”, non sono cioè risolvibili
grazie al “parallelo” aumento delle prestazioni sanitarie reso possibile dall’incremento numerico di figure professionali
che operano con modelli mutuati dalla
medicina clinica. I bisogni specifici degli
anziani “fragili” ospiti delle RSA - con il
loro bagaglio di polipatologia, di disabilità
e di instabilità clinico e funzionale - postulano un nuovo modello di assistenza integrata: un modello capace di promuovere autonomia e benessere coniugando
la gestione delle attività della vita quotidiana e la presa in carico complessiva
della vita della persona all’interno della
RSA (la care) che vede proprio nell’ausiliario socio-assistenziale -ASA- l’attore
principale con la gestione delle fluttuazioni
cliniche e delle riacutizzazioni delle malattie croniche (le cure) (Senin, 1999).
Il modello di assistenza che si è andato
faticosamente costruendo nelle nostre
strutture chiede agli infermieri - accanto
ed oltre le competenze tecniche - crescenti capacità di coordinamento e di
guida del gruppo di lavoro e, al tempo,
stesso presuppone una crescita complessiva delle competenze sanitarie di
tutta l’équipe ed in particolare di quegli
operatori - (gli ASA) - che ne costituiscono
la figura di base.
In questo scenario si colloca l’istituzione
da parte del Ministero della Sanità, in
AGO SET 08 ASSISTENZA ANZIANI
37
> AIOCC
accordo con la Conferenza Stato-Regioni, della figura dell’Operatore Socio Sanitario (OSS) (Conferenza Stato-Regioni,
2001), e la possibilità di riconvertire a
questa nuova figura gli operatori di base
delle RSA, gli ausiliari socio-assistenziali.
L’OSS ha rappresentato e rappresenta
per le RSA un’opportunità - senz’altro
parziale, non priva di limiti e di ambiguità,
ma concreta - per affrontare una situazione particolarmente complessa. Analizzando la storia della figura dell’Operatore
Socio Sanitario possiamo considerare
che era in origine pensata per uniformare
sul territorio nazionale il profilo e la
formazione degli operatori “di supporto”
che nelle diverse Regioni avevano denominazioni (ASA, OSA, ADB, ADEST…),
profili e percorsi formativi diversi. Subito
dopo l’approvazione del profilo nel
gennaio 2001 la concomitante carenza di
infermieri da un lato e i mutati bisogni
degli utenti di alcuni servizi, in particolare
delle Residenze Sanitarie Assistenziali,
hanno innescato un corto circuito formativo che, in particolare in alcune Regioni
(Lombardia e Veneto tra le prime), ha
messo sul mercato con circa 200 ore di
formazione teorico pratica (rispetto alle
1200 previste dal profilo) i primi OSS riqualificando gli Ausiliari Socio Sanitari
in servizio da almeno tre anni e che avevano ottenuto la qualifica di ASA con un
corso di almeno 600 ore teorico pratiche.
La formazione degli OSS è successivamente proseguita su due binari, quello
della riqualifica degli ASA e quello rivolto
agli studenti che avevano terminata l’istruzione di base obbligatoria. La formazione è stata affidata alle agenzie formative regionali (centri di formazione
professionali) che si convenzionavano
con le aziende ospedaliere e le aziende
sanitarie locali per il tirocinio. La Regione
Lombardia ha provveduto al monitoraggio
dei percorsi formativi ed è emersa una
sostanziale divergenza di contenuti, di ore
dedicate alle diverse discipline e alla
durata dei singoli tirocini. Il risultato è
quello di un operatore che forse ha qualche nozione in più, spesso troppo clinica,
ma ancora troppo disomogenea e parcellizzata è la sua formazione e spesso
le strutture che lo inseriscono con le
competenze e le mansioni previste dal
38
AGO SET 08 ASSISTENZA ANZIANI
TABELLA 1: UTILIZZO DI UNA PROCEDURA PER VALUTARE LE CAPACITÀ DELL'OSS NELLA
PREPARAZIONE E SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA ENTERALE
Chi prepara e somministra É adottata una procedura per valutare la capacità dell'OSS nella
la terapia
preparazione e somministrazione della terapia enterale?
non
risponde
n.
%
Infermiere prepara e OSS
somministra
si, una
procedura
scritta
si, esiste
una prassi
non scritta
no
Totale
n.
%
n.
%
n.
%
2
50%
1
25%
1
25%
4
20%
1
50%
1
50%
2
10%
2
100%
2
10%
L’OSS prepara e
somministra durante la notte
o in assenza dell'infermiere
L'infermiere caso per caso
affida la terapia enterale
all'OSS
L'infermiere caso per caso
affida la somministrazione
della terapia enterale
all'OSS
3
25%
2
17%
5
42%
2
17%
12
60%
Totale
3
15%
4
20%
7
35%
6
30%
20
100%
profilo devono prevedere un ulteriore
periodo di addestramento/inserimento
(Zanetti, 2004). Nel 2003 la Conferenza
Stato-Regioni ha definito l’istituzione di un
percorso di formazione complementare
per l’OSS. In particolare, la maggiore
formazione era finalizzata all’attribuzione
all’OSS della terapia farmacologia, suscitando tra gli infermieri dubbi, perplessità e resistenze.
La delibera della Regione Lombardia
numero VIII/ 005101 del 18 luglio 2007 ha
apportato alcune importanti novità rispetto
al profilo dell’OSS e attribuisce all’OSS
l’attività di somministrazione della terapia
enterale, superando il ruolo di sola collaborazione previsto dalla normativa precedente (D. R. G. Regione Lombardia
numero VII 5428 del 06.07.2001).
Questo cambiamento dovrà essere affrontato e gestito in particolare dagli infermieri che avranno il compito sia di creare
le condizioni organizzative, affinché gli
OSS possano con sicurezza e competenza somministrare la terapia entrale, sia
di valutare la competenza dei singoli
operatori.
Gli infermieri, abituati a “lavorare da soli”,
dovranno familiarizzare con il processo di
attribuzione dei compiti, valutando, di situazione in situazione, l’opportunità o
meno di attribuire all’OSS la sommini-
strazione della terapia enterale, in relazione all’accertamento e alla definizione dei
bisogni assistenziali di ogni singolo utente
a della pianificazione dell’assistenza di
cui l’infermiere rimane l’unico responsabile. L’autonomia decisionale in merito a
quali utenti l’OSS può somministrare i farmaci è, infatti, solo dell’infermiere. La
somministrazione della terapia non richiede solo abilità manuale, che potrebbe evidenziare solo l’aspetto esecutivo, ma
comprende approfondite ed integrate
conoscenze teoriche che coinvolgono
anche la sfera psicomotoria: coordinamento, osservazione, comunicazione
(Cantarelli, 1998).
La somministrazione della terapia richiede, infatti, la comprensione della prescrizione, la conoscenza dei principali farmaci in relazione alle loro modalità di somministrazione, preparazione e conservazione, la corretta preparazione e somministrazione (in particolare in presenza di
più farmaci da somministrare allo stesso
utente) e il controllo di eventuali effetti
collaterali.
Ciò configura la somministrazione della
terapia come un’attività complessa che le
particolari condizioni di fragilità degli utenti
di una RSA possono ulteriormente rendere complessa. La somministrazione
della terapia in queste strutture si
AIOCC <
TABELLA 2: REGISTRAZIONE DELLA TERAPIA
Dove è registrata la terapia prescritta?
n°
%
Cartella clinica e successivamente sulla scheda di terapia
32
76%
Direttamente sulla scheda di terapia
8
19%
Non risponde
2
5%
Totale
42
100%
configura tuttaltro che di routine e richiede
specifiche competenze. La possibilità di
affidare la somministrazione della terapia
enterale agli OSS, opportunamente preparati, deve dunque rimanere una scelta
basata sulla valutazione delle competenze e della complessità e richiede l’adozione di modelli organizzativi ad hoc.
Certamente ciò può rappresentare per
l’infermiere sia un percorso di crescita
professionale sia un’opportunità per ottimizzare la propria attività a favore delle
situazioni assistenziali più complesse e
difficili, peraltro oggi tutt’altro che rare in
RSA.
Indagine conoscitiva
in 40 RSA lombarde
Per valutare come attualmente all’interno
delle RSA lombarde è organizzata la
somministrazione della terapia agli ospiti
e, in particolare, quali sono i compiti attribuiti dagli infermieri agli OSS e quali
sono le modalità di controllo e valutazione
si è realizzata una ricerca mediante la
somministrazione di un questionario che
ha indagato:
• l’organizzazione in atto rispetto all’attività di somministrazione della terapia
enterale;
• le procedure utilizzate per valutare le
abilità e le conoscenze dell’OSS relati-
vamente alla terapia enterale;
• le procedure poste in atto per ridurre le
fonti o la possibilità di errore nella preparazione e somministrazione della terapia
enterale.
Alla ricerca hanno partecipato volontariamente 40 Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) di 6 province lombarde. Una
RSA ha compilato 3 questionari, uno per
ciascun nucleo in cui è articolata e pertanto i questionari considerati per l’analisi
dei dati sono in totale 42. Delle 40 RSA,
32 hanno meno di 120 posti letto, 6 RSA
hanno un numero di posti letto compreso
fra 120 e 200, 1 RSA ha più di 200 posti
letto e 1 RSA ha oltre 300 posti letto.
La compilazione del questionario è stata
eseguita per la totalità da infermieri di cui
il 55% con la qualifica di infermiere, il 34%
con l’abilitazione a funzioni direttive e
l’11% con qualifica di master di 1 livello (1
infermiere con master in area geriatrica
e 3 con master in coordinamento).
Preparazione e somministrazione
della terapia: il ruolo dell’OSS
tra dubbi e incertezze
La preparazione e somministrazione della terapia è un’attività svolta dall’infermiere nel 57% delle RSA del campione.
Nelle 20 RSA (43%) dove la terapia
enterale è eseguita dall’infermiere e dal-
TABELLA 3: REGISTRAZIONE DELL’AVVENUTA SOMMINISTRAZIONE
E FIRMA DELL’ESECUTORE
Registrazione di avvenuta
somministrazione della terapia prescritta
non risponde
Firma di chi somministra
non
risponde
n.
%
1
33%
sì
no
3
10%
Totale
4
9%
sì
no
n.
%
7
70%
7
17%
Totale
n.
%
n.
%
2
67%
3
7%
3
30%
10
24%
26
90%
29
69%
31
74%
42
100%
l’OSS (in tre RSA solo occasionalmente
e in 17 come prassi), nell’80% dei casi è
l’infermiere a preparare la terapia che
viene poi somministrata dall’OSS. In particolare: in 4 RSA (20%) è prassi che l’infermiere prepari e l’OSS somministri, in
12 RSA (60%) è l’infermiere che di volta
in volta decide se avvalersi della cooperazione dell’OSS nella somministrazione, in
2 RSA (10%) l’OSS si occupa della terapia enterale durante la notte e in altrettante RSA l’infermiere decide di volta in
volta se affidare sia la preparazione sia la
somministrazione della terapia enterale
all’OSS.
L’affidamento dell’attività di somministrazione della terapia enterale (più raramente di preparazione) avviene in situazioni di emergenza o per terapie di routine
(40% delle RSA). Solo nel 20% delle
RSA (3 strutture) l’infermiere affida l’attività di terapia enterale all’OSS valutandone preventivamente le capacità di
garantire sicurezza nell’esecuzione.
Nel 30% delle strutture non è in uso alcuna prassi condivisa per valutare le abilità
dell’OSS nella preparazione e somministrazione della terapia enterale (tabella 1
a pagina 38) Il 35% delle RSA dichiara
di utilizzare una procedura non scritta e
solo 4 RSA (20%) adottano una procedura scritta; altrettante RSA dichiarano di
disporre di una procedura scritta per valutare le capacità dell’OSS nella somministrazione della terapia, sebbene dichiarino che è solo l’infermiere a preparare e somministrare la stessa.
In particolare, nelle RSA dove è prassi
che l’infermiere prepari e l’OSS somministri è adottata una valutazione delle
capacità dell’OSS in 3 strutture su 4 e in
due casi la procedura di valutazione è
scritta.
Nelle 3 RSA in cui l’infermiere dichiara di
affidare l’attività di preparazione e somministrazione della terapia enterale solo “se
ritiene che l’OSS sia in grado di svolgere
l’attività con sicurezza”, solo in una è
presente una procedura di valutazione
scritta.
Nelle 20 RSA dove la terapia enterale è
svolta dall’infermiere e dall’OSS solo in
6 (30%) è prassi la registrazione dell’avvenuta somministrazione. In particolare
nelle 4 RSA dove l’attività della terapia è
AGO SET 08 ASSISTENZA ANZIANI
39
> AIOCC
TABELLA 4: ASSOCIAZIONE TRA PIÙ PROCEDURE CHE AUMENTANO LA SICUREZZA NELLA
SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA
Registrazione dell'avvenuta
somministrazione
esistenza di procedure in caso di dubbi
non
risponde
non risponde
n.
%
1
33%
sì
no
1
interamente affidata all’OSS (situazioni di
emergenza, durante la notte, se lo decide
l’infermiere) solo in una RSA è prevista
la firma dell’avvenuta somministrazione.
Anche nelle 8 RSA che adottano una
procedura scritta per valutare le abilità
dell’OSS nella somministrazione della
terapia solo 2 richiedono la registrazione
dell’avvenuta somministrazione.
La gestione della terapia in RSA:
la questione della sicurezza
Gli errori nella somministrazione della
terapia sono tra le prime cause di eventi
avversi all’interno dei servizi sanitari.
Secondo la definizione proposta dal
National Coordinating Council for Medication Error Reporting and Prevention,
per “errore di terapia” si intende ogni
evento avverso, indesiderabile, non intenzionale, prevenibile che può causare o
portare ad un uso inappropriato del farmaco o ad un pericolo per il paziente. Tale
episodio può essere dovuto ad errore di
prescrizione, di trasmissione della prescrizione, etichettatura, confezionamento o
denominazione, allestimento, dispensazione, distribuzione, somministrazione,
educazione, monitoraggio ed uso. Lo
studio dell’errore umano non deve concentrarsi esclusivamente sulle capacità
dell’operatore, ma deve interessare la
progettazione del sistema nel suo complesso. (Moray, 1994; Vincent, 1993).
Nelle RSA del campione la prescrizione
della terapia da parte del medico è nel
55% dei casi per iscritto (23 RSA) e nel
43% (18 RSA) oralmente o telefonicamente. Certamente non essendo prevista dagli standard regionali la presenza
del medico sulle 24 ore l’utilizzo, sebbene
40
sì
AGO SET 08 ASSISTENZA ANZIANI
2%
no
n.
%
Totale
n.
%
n.
%
2
67%
3
7%
60%
4
40%
10
24%
2
7%
27
93%
29
69%
8
19%
33
79%
42
100%
6
Totale
venuta somministrazione e l’apposizione
della firma (o della sigla) di chi l’ha somministrata. Nel 24% delle RSA del campione è adottata una procedura di registrazione dell’avvenuta somministrazione
della terapia prescritta che nel 70% dei
casi prevede anche la firma di colui che
l’ha somministrata (Tabella 3 a pagina
39). Nel 70% delle RSA la registrazione
avviene direttamente sulla scheda di terapia e nel 30% sul quaderno della consegna.
Si è notata una associazione virtuosa
all’utilizzo di più procedure che aumentano la sicurezza e responsabilizzano i
professionisti nell’attività di somministrazione della terapia: le strutture dove
si registra l’avvenuta somministrazione
della terapia, utilizzano anche procedure
scritte in caso di dubbi sulla prescrizione
(Tabella 4 in alto).
L’indagine ha anche evidenziato comportamenti potenzialmente pericolosi:
nel 24% delle RSA la terapia è preparata
con largo anticipo (da 8 a 16 ore prima)
e nel 45% dei casi sono persone diverse
che preparano e somministrano. Nel
68% delle RSA dove sono persone diverse che preparano e somministrano la
terapia, non si effettua la registrazione
dell’avvenuta somministrazione (Tabella
5 in basso).
discusso, della prescrizione per telefono
in un numero elevato di strutture non
stupisce.
Una tra le procedure riconosciuta quale
concausa di possibili errori di somministrazione della terapia è la trascrizione
delle prescrizioni: maggiore è il numero
di passaggi, maggiore è il rischio di errore.
Nella maggior parte delle strutture (76%)
è adottata la trascrizione dalla cartelle
clinica alla scheda di terapia (Tabella 2 a
pagina 39).
La sicurezza deriva dalla capacità di
creare sistemi che sono in grado di diminuire le probabilità che vengano commessi degli errori (prevenzione), e di
attenuare gli effetti degli errori che comunque si verificano (protezione). (Mills,
1995; Andrews, 1997).
E’ quindi necessario creare un ambiente
in cui sia condivisa la responsabilità di
segnalare gli errori, elaborare delle strategie per la diffusione delle conoscenze,
dei protocolli e delle procedure e fare
interventi di formazione dei professionisti
sulle specifiche tematiche.
Una procedura di sicurezza consigliata
anche per responsabilizzare chi somministra la terapia è la registrazione dell’av-
Lo sviluppo delle competenze:
indicazioni operative
Sulla base dei dati emersi dalla ricerca e
sulle riflessioni scaturite dai risultati,
emerge l’importanza di un percorso formativo di base volto ad un continuo miglioramento delle competenze dell’OSS.
E’ fondamentale che questa figura acquisisca conoscenze di base specifiche
TABELLA 5: PREPARAZIONE E SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA E REGISTRAZIONE
La stessa persona prepara e
somministra
Registrazione dell'avvenuta somministrazione della terapia
prescritta
non risponde
n.
%
non risponde
2
100%
sì
1
3
no
Totale
n.
%
n.
%
n.
2
5%
5%
4
19%
16
76%
21
50%
6
32%
13
68%
19
45%
7%
10
24%
29
69%
42
100%
no
Totale
sì
%
AIOCC <
per il proprio ruolo, abilità tecniche e capacità relazionali necessarie ad instaurare una relazione di aiuto fondata sulla
fiducia e la stima reciproca che passano
attraverso la conoscenza di sé, dei propri
limiti e potenzialità.
Oltre alla formazione di base, anche per
gli OSS diventa importante la formazione
permanente, attraverso incontri specifici,
per esempio, sulla gestione della terapia
enterale nei diversi contesti assistenziali
o in utenti con particolari problemi clinici.
La formazione deve essere pianificata
sulla scorta dei bisogni formativi presenti
nella realtà operativa e delle criticità
emerse nella pratica assistenziale; essa
deve diventare elemento vitale dell’organizzazione di qualsiasi RSA e strutturata
nella logica del miglioramento della qualità assistenziale e della prevenzione dei
rischi. Strumenti utili al raggiungimento di
questi obiettivi possono essere i protocolli
operativi specifici, in particolare sulla gestione della terapia enterale. Essi dovrebbero essere il frutto di un percorso di
formazione ed integrazione fra OSS ed
infermieri e non “calati dall’alto”. All’interno
del protocollo dovrebbero essere definite,
nello specifico, le azioni attribuite alle
diverse figure dell’equipe; il protocollo
potrebbe essere integrato da una scheda
in cui rilevare chi prepara e chi somministra i farmaci, al fine di aumentare il livello
di sicurezza e ridurre il margine dei possibili errori.
La strategia per migliorare passa necessariamente attraverso un percorso di conoscenza che presuppone un confronto
libero da pregiudizi, sia da parte dell’OSS
sia da parte dell’infermiere. In questo
senso la “formazione sul campo”, il lavorare insieme su obiettivi comuni (come la
gestione sicura dei farmaci), in una RSA,
può diventare l’elemento che favorisce
l’integrazione, e che permette di offrire un
servizio migliore.
Fondamentale il ruolo dell’infermiere
coordinatore cui spetta il non facile compito di creare le condizioni affinché possano coesistere nell’organizzazione il
rispetto delle competenze, l’integrazione
e la soddisfazione dei bisogni degli utenti
cui devono essere garantiti interventi
sicuri ed efficaci.
* Master Universitario di I° livello in
“Management Infermieristico per le funzioni
di coordinamento”Facoltà di Medicina
e Chirurgia “A. Gemelli”- Roma
** Associazione Italiana Operatori Cure
Continuative - Gruppo di Ricerca Geriatrica,
Brescia
BIBLIOGRAFIA
Andrews LB, Stocking C, Krizek T et al.
(1997) An alternative strategy for studying
adverse events in medical care. Lancet;
349: 309-331.
Cantarelli M. (1998) Il modello delle prestazioni infermieristiche, Masson Milano.
Capasso S. et al(1999) Durata della degenza ospedaliera in pazienti anziani con patologie clinicamente instabili negli anni 19911995 (studio GIFA). Giornale di Gerontologia; 47, 235.
Conferenza Stato-Regioni: Schema di Accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro
per la solidarietà sociale e le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano per la
individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'operatore socio-sanitario e per la definizione dell'ordinamento didattico dei corsi di formazione. 22 febbraio
2001.
Decreto Presidente Consiglio dei Ministri
22.12.1989:"Atto di indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni e
Province autonome concernente la realizzazione di strutture sanitarie residenziali per
anziani non autosufficienti, non assistibili a
domicilio o nei servizi semiresidenziali."
Delibera della Giunta Regionale Lombarda
N° VII 5428 del 2001 “Individuazione della
Figura e del profilo professionale dell’ Operatore Socio Sanitario”.
Delibera della giunta Regionale Lombarda
N° VIII/005101 18 luglio 2007 “Regolamentazione dei percorsi OSS”
Delibera della Giunta Regionale N° 7435 del
14 dicembre 2001 Attuazione dell'art. 12,
commi 3 e 4 della l. r. 11 luglio 1997, n. 31:
Requisiti per l'autorizzazione al funzionamento e per l'accreditamento delle Residenze Sanitario Assistenziali per Anziani
(R.S.A.)";
Guaita A., Pucci D. (2001) Le motivazioni alla richiesta di ricovero presso una struttura
residenziale sanitaria: dimensione quantitativa e qualitativa. Tendenze nuove; 2-3 : 243250.
Mills DH. (1995) Clinical risk management:
experiences from the USA. In: Vincent CA,
ed. Clinical risk management, London: BMJ
Publications 1995: 3-17.
Savini L. et al (1999), Reingressi ospedalieri
e durata della degenza nella AUSL di S. Benedetto del Tronto (variazioni nel corso di 6
anni). Giornale di Gerontologia; 47, 223.
Senin U. (1999) Paziente anziano e paziente geriatrico. EdiSES, Napoli.
Zanetti E. (2004), L’operatore socio sanitario: una risorsa per l’assistenza agli anziani?
I luoghi della cura 1;2004: 27-30
AGO SET 08 ASSISTENZA ANZIANI
41
> AIOCC
“THE MUST”
Una guida per valutare la malnutrizione
> di MICHELE ZANI *
IL MODELLO MUST (MALNUTRITION UNIVERSAL SCREENING TOOL), PROPOSTO
DALLA BAPEN (THE BRITISCH ASSOCIATION FOR PARENTERAL AND ENTERAL
NUTRITION) E PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2003, SI PREFIGGE DI AIUTARE I PROFESSIONISTI DELLA SALUTE (INFERMIERI, MEDICI O ALTRI OPERATORI ADEGUATAMENTE PREPARATI) AD IDENTIFICARE I SOGGETTI ADULTI SOTTONUTRITI, I
SOGGETTI ADULTI A RISCHIO DI MALNUTRIZIONE E I SOGGETTI OBESI (È ESCLUSA
DALLA COMPETENZA DEL MODELLO VALUTARE LE CARENZE O L’ECCESSIVO
INTROITO DI VITAMINE O MINERALI).
COME noto, il termine malnutrizione è
riferito sia alla carenza sia all’eccesso di
nutrizione: gli autori del modello sottolineano che nella loro presentazione il
termine malnutrizione sarà utilizzato con
l’accezione di sottonutrizione.
Epidemiologia
e soggetti a rischio
Gli studi dimostrano che più di due milioni
di adulti in Inghilterra sono affetti da malnutrizione e i gruppi più a rischio sono:
1. i soggetti con malattie croniche;
2. gli anziani;
3. i soggetti recentemente dimessi
dall’ospedale;
4. i soggetti poveri;
5. i soggetti socialmente isolati.
Le sequele
Numerose sono le sequele della malnutrizione se, come spesso, essa non viene
identificata e trattata.
Tra le maggiori complicanze si annoverano:
1. diminuzione della risposta immunitaria
con aumento del rischio di infezioni;
2. riduzione della forza muscolare e astenia;
3. riduzione della funzionalità dei muscoli
respiratori con difficoltà nella respirazione
e nell’espettorazione e aumento delle
infezioni polmonari;
4. alterazione della termoregolazione
con tendenza all’ipotermia;
5. difficoltà nella guarigione con ritardo
34
OTT 08 ASSISTENZA ANZIANI
dei recupero nelle malattie;
6. apatia, depressione e trascuratezza;
7. aumento del rischio di ospedalizzazione con aumento dei tempi di degenza;
8. diminuzione della libido.
Come valutare i soggetti
attraverso l’utilizzo del MUST?
“É sempre meglio prevenire o scoprire i
problemi precocemente piuttosto che
scoprire tardi problemi complessi”.
Comincia con questa frase degli autori la
descrizione del percorso in 5 step in cui
si articola la valutazione della malnutrizione del soggetto adulto:
1. step 1 e 2: raccogliere le misure antropometriche (altezza, peso, BMI, recente
perdita di peso non pianificata);
2. step 3: valutazione delle malattie
acute;
3. step 4: stabilire il rischio complessivo
di malnutrizione;
4. step 5: utilizzo delle linee guida per un
appropriato piano di cura.
Attraverso questi passaggi è facile identificare, già al primo contatto, i soggetti a
rischio di malnutrizione.
STEP 1: Body Maz Index (BMI) Indice di massa corporea (kg/m2)
Il BMI fornisce una rapida stima della
massa corporea basandosi sui due parametri peso e altezza.
Ottenuto il valore al BMI è necessario introdurlo nella tabella di riferimento per
ottenere il primo punteggio del modello da
sommare ai punteggi degli altri step.
(Qualora il peso e l’altezza non siano rilevabili e i dati riportati dal soggetto non
siano realistici è possibile adottare strumenti di misurazione diretta del peso e
dell’altezza).
STEP 2: perdita di peso
Una non programmata perdita di peso
maggiore del 10% negli ultimi 3 – 6 mesi
è indice di alto rischio di malnutrizione.
TAB. STEP 1: BODY MAZ INDEX (BMI) - INDICE DI MASSA CORPOREA (KG/M2)
PUNTEGGIO BMI
CATEGORIA
PUNTEGGIO SIGNIFICATO/VALORE
< 18.5
Sottopeso
2
Probabile stato di carenza proteinica
e energetica
18.5 - 20
Sottopeso
1
Possibile stato di carenza proteinica
e energetica
20- 25
Peso desiderabile 0
Improbabile stato di carenza proteinica
e energetica
25 - 30
Sovrappeso
0
Aumento del rischio di complicazioni associato
a un sovrappeso cronico
>30
Obeso
0
30 – 35 Moderato rischio di complicazioni
relative all’obesità
35 – 40 Alto rischio di complicazioni relative
all’obesità
> 40 altissimo rischio di complicazioni relative
all’obesità
AIOCC <
TAB. STEP 2: PERDITA DI PESO
NON PROGRAMMATA PERDITA DI PESO PUNTEGGIO
NEGLI ULTIMI 3 – 6 MESI
(IN PERCENTUALE)
SIGNIFICATO / VALORE
> 10%
2
Clinicamente significativo
5 -10%
1
Più del normale, primo indicatore
di aumento del rischio di malnutrizione
< 5%
0
Nella normalità
La perdita di peso è rilevabile attraverso
l’intervista al soggetto o attraverso la
consultazione di documenti clinici precedenti (nei casi in cui il soggetto non abbia avuto perdita di peso il punteggio da
assegnare è uguale a 0).
Ottenuta la percentuale della perdita di
peso è necessario introdurla nella tabella
di riferimento per ottenere il secondo
punteggio del modello da sommare ai
punteggi degli altri step.
STEP 3: malattie acute che possono portare a un rischio di malnutrizione
Riscontrare la presenza di malattie acute
fisiche o psicologiche che possono generare la possibilità che il soggetto non si
nutra per più di 5 giorni.
In questi pazienti vengono inclusi i malati
critici, i soggetti con difficoltà nella deglutizione (ad es. post ictus), i soggetti con
lesioni alla testa e i soggetti sottoposti a
chirurgia gastrointestinale.
In caso di presenza di una delle situazioni sopraindicate aggiungere 2 punti
STEP 4: rischio complessivo
di malnutrizione
Stabilire il rischio complessivo di malnutrizione attraverso la somma dei punteggi
(INDICE) degli Steps 1, 2, 3.
Qualora non sia
possibile ottenere
0
Basso rischio
né il BMI né la perdita di peso negli
1
Medio rischio
ultimi 3-6 mesi si
>2
Alto rischio
può procedere
con altri criteri di
valutazione di tipo soggettivo esposti
nella seguente tabella.
INDICE RISCHIO
STEP 5: utilizzo delle linee guida
Predisporre, concordare e condividere un
appropriato piano di cura relativo all’indice
complessivo di rischio di malnutrizione
(come indicato nella tabella).
IL PIANO DI CURA
1. Impostare obiettivi e finalità del trattamento.
2. Trattare ogni condizione di base.
3. Trattare la malnutrizione con cibi e o
supplementi nutrizionali. Nei soggetti che
non sono in grado di soddisfare le loro
esigenze nutrizionali per via orale può
essere richiesta la nutrizione artificiale entrale o parenterale. Nessuno di questi
metodi è esclusivo e può essere necessaria la combinazione di più di essi. In
caso di soggetti sovrappeso o obesi consultare le specifiche linee guida.
4. Monitorare e valutare l’intervento nutrizionale e il piano di cura.
5. Rivalutare il soggetto a rischio nutri-
ALTRI CRITERI
Se altezza, peso e BMI non sono ottenibili esistono una serie di criteri che possono aiutare il clinico a farsi
un’idea del rischio complessivo di malnutrizione.
Si raccomanda di utilizzare questi criteri non come risultato di un attuale rischio di malnutrizione ma come
aiuto per indicare se il soggetto ha un aumentato rischio di malnutrizione.
BMI
Indicare l’impressione clinica: chiara magrezza (molto magro), magro, peso accettabile, sovrappeso, obesità
(molto sovrappeso).
PERDITA DI PESO
Osservare se abiti o bigiotteria sono palesemente larghi.
Raccogliere la storia di diminuito di introito di cibo, ridotto appetito o disfagia da più di 3-6 mesi e chiari segni
di disabilità psicologica o fisica che possono causare perdita di peso
MALATTIE ACUTE
Assenza di nutrizione o possibile assenza di nutrizione per più di 5 giorni
STIMA IL RISCHIO DI MALNUTRIZIONE IN BASE ALLA TUA VALUTAZIONE
TAB. STEP 5: UTILIZZO DELLE LINEE GUIDA
INDICE “MUST” COMPLESSIVO RISCHIO
DI MALNUTRIZIONE
AZIONI
>2
Alto
Tratta: a meno che il supporto nutrizionale
non abbia benefici o sia dannoso
1
Medio
Osserva: o tratta in caso di un rapido
deterioramento clinico o se si avvicina
una situazione di alto rischio
0
Basso
Normale routine: a meno di un deterioramento clinico evidente
OTT 08 ASSISTENZA ANZIANI
35
AIOCC <
ALGORITMO
zionale e monitorare l’andamento nel
piano di cura.
INTERVENTO
NUTRIZIONALE ORALE
Affrontando un intervento nutrizionale
orale è necessario prendere in considerazione i seguenti punti:
1. Fornire aiuto e consigli sulle scelte alimentari.
2. Garantire pasti e snack gustosi e attraenti e di buon valore nutritivo.
3. Offrire assistenza nella spesa, nella
preparazione e nella somministrazione
del cibo.
4. Creare piacevoli ambienti nei quali
mangiare in qualsiasi setting si trovi il
soggetto.
SUPPLEMENTI
NUTRIZINALI ORALI
Affrontando un intervento con supplementi nutrizionali per bocca è necessario
prendere in considerazione i seguenti
punti:
1. Usare supplementi nutrizionali se non
è possibile soddisfare le necessità dietetiche (può essere utile un ulteriore apporto
giornaliero variabile tra le 250 e 600
kcal).
2. Può essere utile la consulenza dello
specialista.
SUPPORTI NUTRIZIONALI
ARTIFICIALI
Nutrizione Enterale e Parenterale
Se richiesti far riferimento alle linee guida
specifiche.
STEP 1
BMI
BMI kg/m2
> 20 (>30
obeso)
18.5-20
< 18.5
STEP 2
STEP 3
% perdita di peso involontaria Effetto della malattia acuta
nei 3-6 mesi precedenti
Puntegg
io
=0
=1
=2
%
<5
5 – 10
> 10
Punteggio Se il soggetto ha una malattia acuta e vi è stata o vi
=0
sarà una assenza di nutrizione per più di 5 giorni
=1
Punteggio = 2
=2
STEP 4
Rischio complessivo di malnutrizione
STEP 1 + STEP 2 + STEP 3
Punteggio 0 = Basso rischio
Punteggio 1 = Medio rischio
Punteggio > 2 = alto rischio
STEP 5
Gestione
0
Basso Rischio
Assistenza routnaria
Ripetere lo screening:
In ospedale: settimanalmente
In istituto: mensilmente
Al domicilio: annualmente
1
Rischio Medio
Osservare
Documentare introito nutrizionale
per 3 giorni nei soggetti ricoverati
in ospedale o in istituto
Se l’introito nutrizionale è adeguato ripetere lo screening nei
tempi descritti, se l’introito è inadeguato ricorrere alle linee guida
specifiche
Ripetere lo screening:
In ospedale: settimanalmente
In istituto: almeno mensilmente
Al domicilio: almeno nei successivi
2-3 mesi
MONITORAGGIO
Tutti i soggetti identificati a rischio di malnutrizione devono essere monitorati
>2
Alto rischio
Tratta*
*(a meno che il supporto nutrizionale non abbia benefici o sia dannoso)
Consultare il dietista e il team di
supporto nutrizionale o implementate le linee guida
Perfezionare e aumentare l’intake
nutrizionale
Monitorare e rivedere il piano di
cura:
In ospedale: settimanalmente
In istituto: mensilmente
Al domicilio: mensilmente
su base regolare al fine di garantire che
il piano di assistenza continui a soddisfare
le loro esigenze.
* Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia Azienda Speciale
“Le Rondini”, Lumezzane (BS)
BIBLIOGRAFIA
The MUST Explanatory Booklet – A
guide to the “Malnutrition Universal
Screening Tool” (MUST) for Adults.
Editet on behalf of MAG by Vera
Todorovic, Christine Russell, Rebecca
Stratton, Jill Ward and Marions Elia.
November 2003
OTT 08 ASSISTENZA ANZIANI
37
AIOCC <
LAVORO DI CURA
Analisi della dimensione uomo-donna
> di GIOVANNA PERUCCI *
UNA CULTURA DELLA “NEUTRALITÀ” HA CARATTERIZZATO A LUNGO GLI AMBIENTI
IN CUI SI SVOLGONO LE ATTIVITÀ PROFESSIONALI ED È, ANCORA OGGI, UN
OBIETTIVO GENERALMENTE AUSPICATO. IN PARTICOLARE, ACCANTONARE,
COMPRIMERE, NEGARE LA DIMENSIONE UOMO/DONNA HA SVOLTO, PERALTRO, UNA
SUA UTILE FUNZIONE ALL’INTERNO DELLE ORGANIZZAZIONI (AZIENDE, SERVIZI) IN
QUANTO HA FAVORITO LA SEMPLIFICAZIONE DEI COMPORTAMENTI INDIVIDUALI E
DELLE DINAMICHE INTERPERSONALI.
“SEPARARE per semplificare, vivere
una cosa alla volta in luoghi diversi facilita
la concentrazione sul compito, elimina le
distrazioni superflue, è produttivo. Piace
agli uomini che sanno controllare meglio
i loro sentimenti o, più propriamente,
hanno una maggiore dimestichezza con
la scissione emotiva. Ma può essere apprezzato anche dalle donne, che al lavoro
possono rilassarsi un po’, calmare quell’incessante produzione sentimentale
che caratterizza la loro vita ordinaria.
Sono queste - a grandi linee - le ragioni
per cui le organizzazioni si aspettano
dai propri membri, a tutti i livelli, dei comportamenti controllati e ovviamente asessuati (Piva P, 1994)”.
Tuttavia, una gestione asettica degli ambienti professionali è difficile. Le stesse
organizzazioni che vi aspirano richiedono
nel contempo agli individui - sempre più
- di lasciarsi coinvolgere nei compiti di lavoro e di collaborare tra colleghi/e. Tale
coinvolgimento esige si mettano in campo risorse legate all’identità personale maschile o femminile - e i rapporti uomodonna. Questi fattori, quindi, vanno resi
espliciti e governati piuttosto che negati.
Esser uomo o donna è differente nella vita privata? E al lavoro? Essere operatore
uomo o donna è solo un problema del paziente? O dell’operatore quando interviene sull’”intimo”? E nei rapporti tra colleghi? Innanzitutto, parlando di differenze tra uomini e donne - fuori o dentro al
mondo del lavoro - di quali differenze
parliamo? In particolare di quella che sta
acquisendo oggi un grande rilievo: l’identità di genere. L’ingresso recente (dagli
anni ’70) degli uomini nella professione infermieristica, e il numero sempre maggiore di donne nella professione medica e di
ASA/OSS, rendono ancora più necessario mettere a fuoco le ricadute dell’identità di genere sui ruoli sociali e professionali. Quando parliamo di ruoli di genere
(femminile e maschile) ci riferiamo ad
un processo di costruzione sociale. Sarebbe quindi la società - sulla base delle
diverse funzioni degli uomini e delle donne nell’ambito della procreazione - ad
aver costruito una divisione dei compiti
che i due soggetti svolgono nel mondo.
In particolare, la cultura ha attribuito tradizionalmente agli uomini il ruolo prevalente di procacciatori del reddito familiare
attraverso il lavoro professionale, e alle
donne quello prevalente - all’interno della
famiglia - della cura del partner, dei figli,
di eventuali anziani non autosufficienti, e
così via.Tali diversi ambiti di interventi e
modelli di comportamento finiscono con
l’aderire a tal punto alla base biologica da
essere percepiti come un tutt’uno con
essa. Si è così giunti, nel tempo, ad identificare anche alcune competenze professionali come “da donna” e altre come
“da uomo”, quasi questa fosse una divisione “naturale” e non una sovrastruttura
sociale.
Mentre se è vero che, in termini strutturali
e ormonali, esistono nei due generi predisposizioni ben differenziate, è però solo con lo specifico concorso di un persi-
stente rinforzo, sociale e culturale, che tali
differenze acquistano il peso, il significato
e la portata che tutti conosciamo.
Sulla base delle differenti esperienze sociali sviluppate, nel tempo, dagli uomini e
dalle donne, si sarebbero sedimentate
identità di genere differenti - una prevalentemente maschile e una prevalentemente femminile -. La preoccupazione
più recente degli studiosi, e soprattutto
delle studiose, è quella di mettere in
guardia rispetto al rischio che possibili
specificità caratteriali degli uomini e delle
donne diventino stereotipi generalizzati,
cioè immagini di ruolo che ingabbiano in
clichè immutabili i diversi soggetti maschili
e femminili. Al contrario, pur condividendo
alcune caratteristiche generali del proprio
genere, ogni essere è portatore di una
propria individualità più articolata e sfumata. Oggi la nostra cultura tende a superare la polarizzazione stereotipata uomo-donna. Essa ipotizza in prospettiva
“… la coesistenza di caratteristiche maschili e femminili all’interno del medesimo
soggetto, sia esso uomo o donna” (Taurino, 2005).
Ma per il momento va segnalato soprattutto il fatto che il carattere “femminile” è
stato svalutato storicamente rispetto al
valore attribuito socialmente a quello
“maschile”, in particolar modo fuori dalle
mura domestiche. Lo stereotipo, in questo senso, avrebbe fissato uomini e donne: “… in posture immobili, sempre sfavorevoli alle donne nel lavoro extradomestico. Se gli uomini sono forti, decisi,
coraggiosi, valorosi, rapidi, autonomi, indipendenti, naturalmente portati alla carriera, allora sono veri uomini, premiati,
perché questi sono valori stimati dalla
società. Se le donne sono affettive, deboli, dipendenti, passive, dolci, sottomesse, espressive, mansuete, naturalmente
portate alla cura, allora sono vere donne.
Peccato che questi valori siano altamente
stimati dalla società se restano rinchiusi
NOV DIC 08 ASSISTENZA ANZIANI
39
> AIOCC
nel segreto di una casa ma non siano affatto valori stimati nel mondo della produzione. Se nel linguaggio comune il lavoro
complesso e pluridisciplinare che una
donna svolge nell’ambito familiare viene
definito “niente” (Che lavoro fa? Niente,
la casalinga) anche tutte le abilità ad
esso connesse e le capacità in esso maturate saranno “niente”, qualcosa da nascondere sotto il tappeto, da buttarsi dietro le spalle quando dal mondo del lavoro
familiare si passa al lavoro extrafamiliare”
(Piazza, 1999).
Identità di genere e competenze
professionali trasversali
Il mondo del lavoro, oggi, come è noto,
sta cambiando rapidamente. All’interno di
tale trasformazione acquista particolare
rilievo la crescente importanza attribuita
al capitale umano - cioè alle persone nell’ambito delle organizzazioni produttive, tanto nelle aziende quanto, soprattutto, nei servizi di cura. Non è solo la qualità della merce/servizio offerta che oggi
fa la differenza, ma è la qualità della
relazione che si stabilisce con il ‘cliente’/utente. In questo senso le risorse umane
che agiscono tale relazione diventano
sempre più cruciali nell’organizzazione
del lavoro.
A queste risorse umane oggi si chiede di
possedere delle “competenze trasversali”. Il termine competenze trasversali sta
a segnalare che alle aziende e ai servizi
occorre personale non solo in possesso
di conoscenze teoriche e di abilità pratiche, ma anche in grado di tradurle operativamente in comportamenti concreti ed
efficaci che tengano conto dell’ambiente
in cui si opera. Si va inoltre diffondendo
una visione non “neutra” delle caratteristiche professionali delle risorse umane.
All’interno delle competenze trasversali,
quali il mondo del lavoro ritiene più “femminili”, quali più “maschili” e quali più
“neutre”, nel senso di attribuibili in egual
misura ad entrambi i sessi?
Le ricerche condotte (De Fazi et al.,
2000) su questo tema evidenziano che:
• le competenze relazionali sono ritenute
più ‘femminili’, in quanto le donne sarebbero più orientate a tenere conto dell’altro,
a gestire le relazioni, ad agire in un’ottica
interattiva;
40
NOV DIC 08 ASSISTENZA ANZIANI
• le competenze relative alla capacità di
affrontare sono ritenute più ‘maschili’, in
quanto gli uomini sarebbero più allenati
a prendere iniziative, ad agire perseguendo direttamente uno scopo senza
necessariamente stabilire relazioni significative di coinvolgimento con le persone
e l’ambiente circostante;
• le competenze diagnostiche sono invece attribuite in ugual misura ad entrambi i sessi.
Anche se è ancora considerato un valore
spogliarsi della propria identità di genere
nell’ambito lavorativo, da qualche tempo
si tende non più a negare ma a valorizzare le specificità femminili e maschili trasferite nell’attività professionale. In particolare, le competenze ritenute più ‘femminili’ cominciano ad avere rilievo nella
nuova organizzazione del lavoro orientata
‘al cliente’ e impostata sul lavoro di gruppo.
Uscendo dalle mura domestiche - dove
erano considerate naturali e date per
scontate - le capacità tradizionalmente
attribuite alle donne, perché sviluppate
nelle cure familiari, cominciano, dunque,
a perdere la loro invisibilità. Le ricerche,
pur confermando un luogo comune (le
donne sono dolci, pazienti, disponibili,
ecc.), non evidenziano più una svalutazione di questo tipo di competenze. È
questo l’aspetto innovativo.
Al contrario, anche se le competenze
trasversali ‘femminili’ non sono ancora
diffusamente valutate e premiate dalle
organizzazioni, nei contesti di lavoro si
riconosce loro sempre più valore strategico per l’azienda/il servizio. Quella delle
competenze trasversali ‘femminili’ è una
grande opportunità per le donne, a condizione di assumerla e giocarla in modo
consapevole. Esse infatti risultano particolarmente strategiche nei servizi alla
persona, dove l’attività professionale è
molto incentrata sulla qualità della relazione con il paziente/utente. Spesso, però, le risorse umane femminili valorizzano
poco il proprio patrimonio professionale
specifico, anche perché più una competenza professionale femminile risulta
vicina ai compiti svolti dalle donne nel ruolo materno - e, quindi, a titolo gratuito - più
essa fatica ad acquistare un proprio va-
lore ‘di mercato’, cioè sul piano professionale.
Dal lavoro familiare al lavoro professionale: quale passaggio di
competenze?
Il contenuto del lavoro di cura - un lavoro
non a caso con una prevalente presenza
di donne - ha molte contiguità con i compiti familiari di accudimento.
Nonostante rappresenti un’esperienza
sociale fondamentale per maturare determinate attitudi-ni/capacità nelle donne, il
lavoro di cura svolto all’interno della famiglia è stato -come già detto- per lungo
tempo ritenuto un “non lavoro”, un insieme di gesti ovvii, che non richiedono
nessuna particolare competenza. Non
è quindi facile che esso acquisti valore e
venga riconosciuto -sia dagli individui
sia dalle organizzazioni- una volta trasferito dall’interno delle case al mercato
professionale. Eppure, se consideriamo
gli aspetti più tradizionali di tale ‘lavoro’,
notiamo che esso ha potenziato nelle
donne alcune attitudini utilizzabili proficuamente nell’attività lavorativa. Ma nello
stesso tempo, proprio per le sue caratteristiche, tale lavoro ha determinato alcune
delle difficoltà che le donne talvolta incontrano nel mondo del lavoro.
Le donne infatti:
“Dal lavoro materiale della casa,
per definizione invisibile, visibile solo
quando non è fatto o quando viene riconosciuto dall’altro, portano la capacità
riparativa, la sublime arte del rammendo
- che tanto più è perfetto quanto più è
invisibile - la capacità cioè di far sì che tutto proceda bene senza attirare l’attenzione. Con precisione, attenzione, senso
pratico. Ma proprio perché il lavoro nella
casa è visibile quando è riconosciuto
dall’altro, le donne si aspettano che anche
nel lavoro professionale sia l’altro a riconoscerlo, dunque non sono autoassertive, non chiedono, non si propongono,
difficilmente sanno affermare il proprio
valore. Si aspettano che sia l’altro a farlo.
Dal lavoro di mediazione tra famiglia e Stato (servizi sociali, sanitari,
educativi,ecc) traggono la capacità di
destreggiarsi nei rivoli della burocrazia e
della complessità, una mentalità “problem
solving”, l’abilità di affrontare e risolvere
AIOCC <
problemi complessi; ma anche la difficoltà, spesso, ad accettare l’astrattezza delle leggi o le regole delle organizzazioni.
Dal lavoro di rapporto (in famiglia e
con l’esterno) portano nel lavoro professionale l’attitudine alla relazione, alla mediazione, alla negoziazione nei conflitti, la
capacità di tener conto delle differenze,
l’attenzione ai pareri degli altri, il senso
dell’equilibrio; ma anche la tendenza a
non tener conto dei propri bisogni, quindi
ad avere scarso rispetto di sé.
Dal lavoro materno portano la mancanza di arroganza, l’attenzione ai bisogni
dell’altro, la disponibilità, la pazienza.
Ma talvolta corrono il rischio di un eccesso di disponibilità, la tendenza a servire.
Dal lavoro di manutenzione dell’apparato tecnologico-domestico portano
nel lavoro professionale la cura per gli
strumenti di lavoro, ed anche dell’ambiente in cui esso si svolge (renderlo gradevole e comodo), ma molto meno la capacità di destreggiarsi con le tecnologie
complesse.
Dal lavoro di consumo (far la spesa,
cucinare) portano la capacità di previsione e programmazione, l’ottimizzazione
delle risorse, l’attitudine a contrastare lo
spreco. Ma spesso anche la difficoltà a
rischiare, un eccesso di timidezza nei
confronti del maneggio del denaro.
Dal lavoro di organizzazione complessiva del lavoro di cura portano la capacità di tenere contemporaneamente
sotto controllo molte variabili, di avere il
quadro di insieme della situazione e soprattutto la capacità di definire le priorità;
ma anche la tendenza a non accettare la
parcellizzazione del proprio lavoro, e la
tensione verso il controllo, con il rischio di
sovraccaricarsi non delegando (Piazza,
1999)”.
Vanno evidenziate, tuttavia, le trasformazioni profonde - negli ultimi decenni verificatesi all’interno del tradizionale lavoro di cura familiare. In precedenza si erano giustamente sottolineati il carattere
di disponibilità temporale e psichica di tale
lavoro e l’apertura relazionale, la cooperazione, l’attenzione alla dimensione affettiva del rapporto. Oggi, invece, si mettono più in evidenza quelle caratteristiche
del lavoro di cura - legate alla sua complessificazione - che ne trasformano in
gran parte il contenuto e le modalità. In
particolare, si sta superando il concetto di
“sacrificio” per evidenziare i problemi organizzativi e strategici, oltre che psicologici. Problemi che, per essere affrontati,
richiedono rapidità di decisione, senso
dell’organizzazione, capacità di combinare risorse, modalità di espressione e
relazionalità, apertura agli altri, ma anche
investimento su di sé. Dunque capacità
strategiche e decisionali molto forti, cioè
manageriali. Anche nel mondo del lavoro,
e in particolare dei servizi alla persona,
questo intreccio di diverse competenze
(gestionali e relazionali) risulta sempre più
richiesto. Le donne sarebbero quindi potenzialmente avvantaggiate dai nuovi
orientamenti del mercato. Tuttavia, prima
che esse lo siano di fatto, c’è ancora
molta strada da fare. Il contesto attuale
dei servizi, almeno formalmente, ancora
non valorizza la cultura della cura, anzi,
non riconosce neppure una specificità alle
donne che vi lavorano. Di fatto, però, fa
affidamento in modo strisciante proprio
sulla dedizione, sulla presenza costante,
sulla capacità di far da collante, che le
donne sembrano “naturalmente” portare
con sé.
* Infermiera professionale
BIBLIOGRAFIA
De Fazi S, Perucci MB, Piazza M. Competenze S-convenienti. Domanda di
lavoro, valori organizzativi e modi di
produzione femminili, Edizioni Editoriale
Aesse, Roma 2000.
Piazza M, Dal lavoro di cura al lavoro
professionale. Sinergie, contaminazioni,
perversioni. In: Demetrio D et al. Il libro
della cura si sé, degli altri, del mondo,
Rosemberg & Sellier, Torino 1999:90-3.
Piva P. Il lavoro sessuato. Donne
e uomini nelle organizzazioni, Anabasi,
Milano 1994:16-8.
Taurino A. Psicologia della differenza di
genere, Carocci, Roma 2005:88.
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
Perucci G. Sulla nostra pelle. Il corpo
dell’operatore nel lavoro di cura, Carocci,
Roma 2006.
Ruspini E. Le identità di genere, Carocci,
Roma 2004:108.
CORSI AIOCC - ASSOCIAZIONE ITALIANA OPERATORI CURE CONTINUATIVE
15 gennaio 2009 - Ore 14,30-18,30
29 gennaio 2009 - Ore 14,30-18,30
12 febbraio 2009 - Ore 14,30-18,30
“Valutare e comprendere il paziente anziano:
la malnutrizione”
“Valutare e comprendere il paziente anziano:
il dolore ”
“Valutare e comprendere il paziente anziano:
i disturbi del comportamento”
4 crediti per Operatori dell’Assistenza
(in attesa conferma)
4 crediti per Operatori dell’Assistenza
(in attesa conferma)
4 crediti per Operatori dell’Assistenza (in
attesa conferma)
Programma
14.30-15.30 La malnutrizione: causa di tanti problemi
15.30-16.30 Quando il soggetto anziano è a rischio
di malnutrizione?
16.30-17.30 Approccio assistenziale in presenza
di disfagia
17,30-18,30 Discussione, valutazione del gradimento e dell’apprendimento e chiusura
del corso
Programma
14.30-15.30 Il dolore del corpo e della mente
15.30-16.30 La valutazione del dolore: il paziente ha
sempre ragione!
16.30-17.30 Osservare per comprendere: la valutazione del dolore nei pazienti affetti da
demenza
17,30-18,30 Discussione, valutazione del gradimento e dell’apprendimento e chiusura
del corso
Programma
14.30-15.30 Agitazione, aggressività, fuga: ecco i
disturbi del comportamento
15.30-16.30 Come riconoscere e comprendere i
disturbi del comportamento
16.30-17.30 Approccio all’anziano con disturbi del
comportamento
17,30-18,30 Discussione, valutazione del gradimento e dell’apprendimento e chiusura
del corso
Destinatari:30 Operatori dell’Assistenza (ASA, OSS,OTA)
Scheda iscrizione: www.grg-bs.it
Informazioni e iscrizioni:Elisa Boldini - [email protected] - Tel. 030 3757538
NOV DIC 08 ASSISTENZA ANZIANI
41