05_Domani - Fatati - Recenti Progressi in Medicina

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05_Domani - Fatati - Recenti Progressi in Medicina
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Domani
Alimentazione sostenibile:
l’insegnamento del passato
Giuseppe Fatati1
Sustainable diet: history lessons.
Summary. Global dietary patterns changed dramatically in
the past 50 years, presenting both a boom and a threat to
the health and well-being of populations everywhere. We
need sustainable diets, with low-input, local and seasonal
agro-ecological food productions as well as short distance
production-consumption nets for fair trade. The development of a global food system able to guarantee everyone
a balanced food intake requires health professionals an
awareness and a commitment to increasingly complex
education. Dietary changes such as the adherence of to
the Mediterranean Dietary Pattern can reduce the environmental footprint and thus the use of natural resources.
Increased focus on improving the utilization of freshwater
fishes and the correct use of the waters of rivers and lakes
should also be encouraged. Cultural heritage, food quality
and culinary skills are other key aspects determining sustainable dietary patterns and food security. The Mediterranean street food (Mediterraneità), for intrinsic characteristics, can represent valid model to address the main issues
concerning the sustainable food system. The issues of sustainability offer a great opportunity to nutritional science
and scientists to play a more central role in the political
analysis of future food systems. We are confident that preserve the past helps us understand the present and build
for the future, the Mediterranean lifestyle is much more
than the Mediterranean diet and, finally, the rivers and the
lakes may be our future.
Introduzione
Elizabeth Neige Todhunter (1901-1991), presidente dell’American Dietetic Association nel
biennio 1957-1958, rivolgendosi ai giovani dietisti, ebbe a scrivere: «Il lavoro nel mondo è effettuato nelle vallate, circondate dalla frenesia, dal
trambusto e dalla routine, ma la prospettiva viene
dall’alto, il significato di tutto ciò che fai durante
la giornata affaccendata. Non farti seppellire dal
tuo lavoro, cosicché non riesci ad arrampicarti in
cima alla montagna per ottenere una visione più
ampia e più critica del tuo operato»1. Se oggi riuscissimo a seguire il suo consiglio ci renderemmo
conto che il mondo conosciuto è diviso in due realtà
diverse. Secondo le ultime statistiche della FAO,
ci sono oltre 800 milioni di affamati nel mondo,
dei quali il 98% vive nei Paesi in via di sviluppo.
La distribuzione nei continenti è la seguente: 525
milioni in Asia, 226 milioni in Africa, 37 milioni
Recenti Prog Med 2015; 106: 540-544
in America Latina e Caraibi e 14 milioni nei Paesi
sviluppati. Contemporaneamente il 65% della popolazione mondiale vive in Paesi dove l’obesità e il
sovrappeso fanno più vittime della denutrizione e
almeno 40 milioni di bambini di età inferiore ai 5
anni sono in sovrappeso o francamente obesi2.
I modelli alimentari
I modelli alimentari globali sono cambiati drasticamente nel corso dell’ultimo secolo ed in particolare negli ultimi cinquanta anni accompagnati,
almeno in Italia, da un allungamento della vita
media. Nel 1881 la vita media era pari ad appena
35,2 anni per gli uomini e 35,7 per le donne. La
speranza di vita alla nascita ha superato i 50 anni
per entrambi i sessi solo nel corso degli anni Venti:
oggi sono 79,1 e 84,3 gli anni che in media hanno da vivere, rispettivamente, un bambino e una
bambina nati nel 2010. Questo dato può sembrare
eccezionalmente positivo se non si tiene conto del
fatto che sono aumentate anche le patologie croniche non comunicabili (PCNC) come le malattie
cardiovascolari, l’ipertensione e il diabete. Nei Paesi industrializzati si è passati da una situazione
sanitaria ricca di patologie acute e infettive ad alta
mortalità a una in cui, accanto alla riduzione della
mortalità, predominano le PCNC che comportano
una limitazione dell’autonomia personale, un evidente disagio psichico e un peggioramento della
qualità di vita. Le PCNC vengono considerate una
delle sfide epocali per tutti i sistemi sanitari, a
causa della loro inarrestabile crescita. Il diabete
mellito (DM) rappresenta l’esempio più eclatante3.
Le stime più recenti indicano che l’8,3% di adulti
- 382 milioni di persone - ha il diabete, e il loro numero è destinato a salire a oltre 592 milioni
in meno di 25 anni. Alla base di una crescita così marcata possono essere identificati due motivi
principali: l’invecchiamento della popolazione e il
progressivo aumento dell’obesità. La prevalenza
del diabete aumenta sensibilmente dopo i 65 anni:
due terzi dei casi si trovano in questa fascia di età
e gran parte dei soggetti è obesa.
Insieme all’urbanizzazione e agli stili di vita sedentari, la tipologia degli alimenti viene considerata una delle cause principali di questo fenomeno.
Nello stesso tempo anche nei Paesi industrializzati sono aumentati i poveri e i malnutriti. I dati
dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) ci dicono
che, nel 2013, il 12,6% delle famiglie italiane era
in condizione di povertà relativa (per un totale di
3 milioni 230 mila) e il 7,9% in termini assoluti (2
milioni 28 mila). In totale, gli individui in povertà
relativa ammontavano al 16,6% della popolazione
(10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta al 9,9% (6 milioni 20 mila).Tra il 2012 e il
2013, l’incidenza di povertà relativa tra le famiglie
Struttura Complessa di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica, Azienda Ospedaliera S. Maria, Terni.
Pervenuto il 9 dicembre 2014. Accettato senza richiesta di modifiche il 27 marzo 2015.
1
G. Fatati: Alimentazione sostenibile: l’insegnamento del passato
è rimasta stabile (dal 12,7 al 12,6%) in tutte le ripartizioni territoriali; la soglia di povertà relativa,
pari a 972,52 euro per una famiglia di due componenti, è stata di circa 18 euro inferiore (-1,9%) al
valore della soglia del 2012. L’incidenza di povertà
assoluta è aumentata dal 6,8% al 7,9% (per effetto
dell’aumento nel Mezzogiorno, dal 9,8 al 12,6%),
coinvolgendo circa 303 mila famiglie e 1 milione
206 mila persone in più rispetto all’anno precedente4. Nonostante ciò solo negli ultimi anni si è posta
attenzione più direttamente a tutto quanto viene
consumato nei Paesi sviluppati e in quelli in via
di sviluppo, compresi i metodi di produzione e di
stoccaggio e al conseguente impatto sulla salute
umana, l’ambiente e i sistemi alimentari. Recentemente è stata presentata la versione finale del
Protocollo di Milano condivisa in occasione di Expo
2015. In particolare, il Protocollo, promosso dalla
Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition
(BCFN), fissa sulla carta impegni concreti per combattere lo spreco alimentare, favorire l’agricoltura
sostenibile e contrastare fame e obesità attraverso
la promozione di stili di vita sani5. Nell’introduzione al testo si legge che il criterio e la rapidità
con i quali le risorse naturali sono sfruttate stanno erodendo la capacità del pianeta di rigenerare
il capitale ambientale da cui dipende il benessere
di tutti i suoi abitanti. Secondo il recente rapporto Millennium Ecosystem Assessment6, nel corso
degli ultimi 50 anni gli esseri umani hanno modificato gli ecosistemi nel modo più veloce e massiccio dell’intera storia dell’uomo, principalmente
nel tentativo di rispondere alla domanda sempre
crescente di cibo, acqua potabile, legname, fibre
e carburante. In conseguenza di ciò, il quadro socioeconomico e ambientale attuale è afflitto da tre
enormi paradossi globali: lo spreco di alimenti, l’assenza di un’agricoltura sostenibile e la coesistenza
tra fame e obesità.
Sostenibilità alimentare, mondo scientifico
e Protocollo di Milano
Il Protocollo di Milano sottolinea che nonostante l’enorme diffusione della fame, una grande
percentuale dei raccolti è utilizzata per la produzione di mangimi e di biocarburanti. Secondo le
previsioni, la domanda globale di biocarburanti
arriverà a 172 miliardi di litri nel 2020 rispetto
agli 81 miliardi di litri del 2008, il che corrisponde
ad altri 40 milioni di ettari di terreni convertiti a
coltivazioni per biocarburanti. Un terzo della produzione agricola globale è impiegato per nutrire
il bestiame. Sui circa 7 miliardi di abitanti della
terra, 1 miliardo non ha accesso all’acqua potabile,
provocando la morte di 4.000 bambini ogni giorno.
In contrasto, per produrre un solo chilogrammo di
carne di manzo servono 15.000 litri d’acqua. La
speculazione finanziaria eccessiva e dannosa sulle
materie prime aggrava ulteriormente il problema,
favorendo la volatilità del mercato e l’aumento dei
prezzi alimentari5.
Per ogni persona affetta da denutrizione, ve
ne sono due obese o sovrappeso (sovranutrizione):
805 milioni di persone nel mondo sono affette da
denutrizione, mentre oltre 2,1 miliardi sono obese o sovrappeso. Il fenomeno dell’obesità è quasi
raddoppiato rispetto al 1980 e continua a crescere
in proporzioni epidemiche: la percentuale di adulti
con un indice di massa corporea (IMC) superiore a
25 kg/m2 è oltre il 30%: il 44% delle malattie diabetiche, il 23% delle cardiopatie ischemiche e fino
al 41% dei tumori sono attribuibili a un eccesso
di cibo. La radice di questo problema risiede nello
squilibrio globale della ricchezza e delle risorse,
secondo il quale una parte della popolazione mangia in quantità eccessive mentre un’altra parte
stenta a sopravvivere. I governi e le istituzioni
hanno una forte responsabilità nel porre rimedio
a questi paradossi, riconoscendo la semplice verità
che la fame degli esseri umani dovrebbe avere la
precedenza sulla fame per la crescita sfrenata.
Il mondo scientifico non può, comunque, sottrarsi a quello che è il suo ruolo fondamentale:
studiare i fenomeni e individuare le soluzioni per
una gestione ottimale. Nel 2010, la Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO)
ha sviluppato la seguente definizione di consenso
di diete sostenibili: quelle diete a basso impatto
ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale e di vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili sono
protettive e rispettose della biodiversità e degli
ecosistemi, culturalmente accettabili, accessibili
economicamente, giuste e convenienti, sono nutrizionalmente adeguate, sicure e sane, e in grado di
ottimizzare le risorse naturali e umane. Sebbene
in apparenza ridondante, questa definizione racchiude un concetto essenziale: non ci può essere
rispetto per la salute degli esseri umani se non c’è
rispetto per la salute dell’ecosistema7,8. Lo sviluppo di un sistema alimentare globale, in grado di
garantire a tutta la popolazione un apporto nutrizionale equilibrato, richiede ai professionisti della
salute una consapevolezza e un impegno educativo
sempre più complesso.
Purtroppo il mondo scientifico della nutrizione
è stato dominato dallo studio di specifici nutrienti,
carenze nutrizionali e talvolta singoli alimenti o
gruppi di alimenti e il loro impatto sulla salute e la
nutrizione. Le conoscenze sono state parcellizzate
e disaggregate e non è stata sviluppata una visione integrata delle problematiche emergenti. Solo
negli ultimi anni, una serie di studi si è rivolta più
direttamente alla questione delle diete e al loro
impatto sulla salute umana, l’ambiente e i sistemi
alimentari7. Nel 2013 abbiamo ritenuto opportuno
verificare, attraverso un questionario specifico, le
opinioni di un gruppo di opinion leader influenti
all’interno della comunità scientifica italiana degli esperti di nutrizione. Le informazioni raccolte
confermano la variabilità del concetto di sostenibilità tra coloro che hanno partecipato alla nostra
survey. In relazione al consumo di alcuni alimenti
si è rilevato il potenziale conflitto tra salutistico
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Non ci può essere rispetto per la salute degli esseri umani
se non c’è rispetto per la salute dell’ecosistema.
e sostenibile9. Inoltre, si è evidenziata l’assoluta
necessità di documenti condivisi (raccomandazioni
e/o linee-guida) e di un’accurata loro implementazione. È fuor di dubbio che il miglioramento della
cultura nutrizionale dei medici deve iniziare nei
primi anni di università o meglio anche prima.
Siamo d’accordo con quanti affermano che un corso
di nutrizione potrebbe essere un requisito di preiscrizione universitaria, con un livello di complessità più rilevante per i futuri medici10-12.
La via mediterranea all’alimentazione:
la lezione della storia
È opinione comune che l’aderenza di una data
popolazione a un modello dietetico mediterraneo
(MDP) attraverso un giusto consumo in quantità,
qualità e proporzione del cibo come indicato dalle
piramidi alimentari, può influenzare non solo la
salute umana, ma anche l’ambiente13. È importante leggere questi dati ricordando che la United
Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO) ha iscritto nel 2010 la Dieta Mediterranea nella Intangible Heritage Lists
(IHL); dopo circa un anno si è avuta la pubblicazione della nuova piramide alimentare che in qualche
modo ne è una conseguenza. Infatti, alla base della
piramide ci sono i comportamenti caratterizzanti
l’area mediterranea e non più gli alimenti, in particolare la convivialità e tutto quanto è inerente la
cucina e la gastronomia. Molti oggi parlano di “mediterraneità” o di “via mediterranea all’alimentazione”; la risoluzione dell’UNESCO che ha riconosciuto il valore immateriale della dieta mediterranea ha contribuito, senza alcun dubbio, a spostare
l’attenzione dai singoli alimenti ai comportamenti.
Mediterraneità è un neologismo che descrive un
atto complesso che risponde a tre quesiti principali: cosa mangiare, come mangiare e con chi mangiare. Indica un modo particolare di vivere l’atto
alimentare che è caratterizzato da spazio (la cucina), tempo (il tempo dedicato al cibo), economia
(corretto utilizzo delle risorse), relazioni (identità e
appartenenza), cultura (coltivazioni adatte ai luoghi e alle esigenze del gruppo familiare), politica
(la teoria dello stato)14. La via mediterranea all’alimentazione può essere considerata una storia
dimenticata perché fino a oggi l’attenzione anche
del mondo scientifico è stata attratta quasi unicamente dai singoli alimenti iscritti nelle diverse
piramidi proposte.
Si è sottovalutato il fatto che nel Mediterraneo convivono tre ecosistemi differenti: il mare e
la piattaforma continentale, le pianure costiere e
quelle in prossimità dei corsi d’acqua e una zona
che va dalla collina alla montagna. Quando pensiamo alla dieta mediterranea pensiamo imme-
diatamente al consumo di pesce di mare; in questo
caso dobbiamo però cercare di rispondere a due
quesiti: il consumo consigliato di pesce di mare è
compatibile con una alimentazione sostenibile e
siamo sicuri che era una caratteristica consolidata per la popolazione italiana? Le raccomandazioni che sostengono la necessità di incrementare il
consumo di pesce devono essere inserite nel contesto del potenziale collasso globale delle riserve
ittiche marine15,16. Solo una gestione integrata degli ecosistemi potrà consentire, a medio termine,
il mantenimento delle attuali popolazioni ittiche
marine. L’aumento della produzione attraverso
l’acquacoltura non è in grado di migliorare la situazione, per la crescente richiesta e il progresso tecnologico delle metodiche di pesca17. D’altra
parte i consumatori sembrano non considerare la
necessità di scelte consapevoli nonostante diverse
istituzioni invitino a consumare pesci di stagione
e nostrani per combinare piacere, salute e sostenibilità. Il consumo del pesce fresco, considerato
aspetto caratterizzante l’alimentazione mediterranea, al contrario di quanto si pensa, è una caratteristica che non ha coinvolto il popolo italiano
per lunghi secoli. Si dice che il pesce di mare è
tipico della cucina ricca di Roma antica: in realtà
non si considera che, in assenza di frigoriferi, l’alimentazione a miglia zero, quindi il pesce pescato
nel tratto urbano del Tevere, era la preferita. Non
è un caso che esistesse una corporazione di pescatori che festeggiava a giugno con pesce fresco
i Ludi piscatorii a Trastevere, e ogni 23 agosto
pesciolini vivi venivano ritualmente offerti al dio
Vulcano nel Volcanal al Foro Romano18. Nel Medioevo è proprio il pesce di acqua dolce, dei fiumi,
dei laghi delle paludi che trova grande valorizzazione. Il pesce più ricercato è stato per molti secoli l’anguilla, sia in Francia che in Italia. Martino
IV, 189° papa della Chiesa cattolica, è ricordato
da Dante nel canto XXIV del Purgatorio e viene
posto nella sesta cornice, tra le anime dei golosi,
a causa della sua famosa passione per le anguille
del lago di Bolsena e per la vernaccia di San Gimignano. Brillat Savarin (1755-1826) diversi secoli
dopo definisce il piatto d’anguilla come degno di
un arcivescovo19. È importante sottolineare che
nel Medioevo ogni monastero aveva la sua roggia e il suo stagno, appannaggio del priore, in cui
si allevavano tinche, carpe, anguille e lamprede.
L’attentato terroristico dei brigatisti ghibellini di
allora consisteva nel gettare nottetempo i lucci
nello stagno del convento con conseguente strage
dei poveri pesci destinati alla mensa abbaziale.
La vera rivoluzione alimentare italiana si ha nel
decennio 1951-1961; è impressionante notare come aumentino tutti i consumi: la carne passa da
14,8 a 25,9 kg pro capite/anno, la frutta da 16,6 a
61,5 kg e le verdure da 36,5 a 112,7 kg. Il consumo
G. Fatati: Alimentazione sostenibile: l’insegnamento del passato
Recuperare e mantenere la biodiversità agraria
è fondamentale per garantire la vita dell’essere umano sulla Terra.
di pesce, che era solo di 2,9 kg, sale a 7,2 kg pro
capite/anno. In questo periodo il boom del pesce
come pietanza esclusiva è conseguenza diretta del
turismo diffuso, spesso esclusivamente balneare.
Solo alla fine del XXI secolo si afferma il ruolo
salutistico del pesce.
La storia ci racconta che le acque dei fiumi e
dei laghi sono state una risorsa importante che
l’uomo ha cercato di utilizzare al meglio a proprio
vantaggio. E da sempre c’è stato un forte connubio tra acqua e religione. Interessanti sono i miti, le tradizioni e il modo di vivere degli abitanti
della Valnerina. La tradizione locale narra che,
nella valle di Narco ove correva il fiume Nera,
si trovava un drago che ammorbava l’aria, motivo per cui gli abitanti chiesero a due eremiti,
S. Mauro e suo figlio S. Felice, che vivevano nei
pressi, di bonificare la zona. Nella decorazione
della facciata della chiesa di S. Felice di Narco,
con mirabile sintesi espressiva, l’ignoto artista
che ha eseguito i bassorilievi ha proposto, tra le
altre, la figurazione di S. Mauro che, armato con
una rudimentale ascia, affronta il drago per ucciderlo. La simbologia è esplicita: il drago rappresenta la zona paludosa da risanare20. È anche un
modo per esorcizzare il rapporto dell’uomo con il
fiume, presenza costante e silenziosa nella sua
vita e voce importante dell’economia del luogo21.
Il fiume andava imbrigliato non solo per rendere salubre il territorio, ma perché era in grado
di alimentare, con la sua forza idraulica, mulini e frantoi; è interessante ricordare che già nel
Quattrocento alcuni Comuni vendevano l’acqua
necessaria a muovere tali attrezzature. A partire
dall’Ottocento le stesse acque, captate e canalizzate, saranno il motore della grande industria
ternana. La pesca in Valnerina non è stata un
mestiere esclusivo: l’uso di attrezzi che non richiedevano la costante presenza dell’uomo permetteva al pescatore di essere, al tempo stesso,
coltivatore, legnaiolo, carbonaio.
Il fiume creava anche altra ricchezza come
quella prodotta dai frutteti e dal commercio delle
arance amare (merangole) che stupivano i viaggiatori del Gran Tour per essere coltivate in piena
campagna, senza nessun riparo22. Non mancavano
però esempi di pescatori di mestiere (a Scheggino
e a Cerreto) che vendevano il pescato nello spoletino. Vennero inoltre organizzate vasche, silos
e incubatoi, progenitori dei moderni allevamenti
di trote: a tal proposito è opportuno rammentare
che già nell’Ottocento esisteva a Scheggino una
peschiera di proprietà di una nobile famiglia. Il
pescatore della Valnerina pescava, lavorava l’orto, curava il frutteto e consigliava piatti ancora
presenti nei ristoranti locali23. Potremmo definirla
un’economia a chilometro zero ante litteram o, meglio, un sistema alimentare sostenibile.
Conclusioni: l’insegnamento del Medioevo
L’industria del farmaco sta cercando per la terapia del diabete sempre nuovi prodotti; ultimamente sono stati proposti i derivati della florizina,
un glucoside presente nella radice e nella corteccia
di pomacee e di drupacee24,25. La sua proprietà di
bloccare il riassorbimento renale del glucosio, con
conseguente comparsa di glicosuria, era conosciuta
fin dalla fine dell’Ottocento. L’industria, rivisitando
la memoria storica della ricerca scientifica, riesce
a trovare soluzioni sempre più avanzate. Seguendo questo esempio, pensiamo che il tentativo di un
corretto utilizzo delle acque dei fiumi e dei laghi e la
riscoperta dei pesci di acqua dolce e delle colture arboree vicino ai corsi d’acqua possano esserci d’aiuto.
Recuperare e mantenere la biodiversità agraria è fondamentale per garantire la vita dell’essere umano sulla Terra. A essa sono legati sviluppo
agricolo ed economico, l’identità del territorio e la
sua valorizzazione. Storicamente i fiumi e i laghi
sono stati componenti essenziali della via mediterranea a una corretta e sostenibile alimentazione.
Il Medioevo in questo settore può essere di grande
insegnamento26 e non va considerato solamente come un periodo buio caratterizzato da guerre, fame
e carestie. Ciò si può dire solo dei secoli XIV e XV,
i due secoli che ne hanno determinato l’immagine
che si è poi consolidata.
All’inizio si sono fronteggiate due differenti culture alimentari: quella mediterranea, basata sulla
triade grano-olio-vino integrata con latticini e formaggio, e quella celtica, basata su caccia, pesca,
allevamento brado, ortaggi e birra. I due modelli
non potevano non incontrarsi, integrarsi gradualmente e dare vita a un modello alimentare misto.
L’alto Medioevo vide una notevole espansione della popolazione europea che passò da 35 a 80 milioni tra il 1000 e il 1347. Il problema della sostenibilità dell’alimentazione e dell’ecosistema era già
presente e veniva risolto grazie a leggi precise che
regolamentavano la pesca, la vendita del pesce e la
manutenzione dei ponti e degli argini. Proprio nei
monasteri e in riva ai laghi si assisteva alla messa
in pratica di quei sistemi integrati che ancora oggi sono obiettivi difficilmente realizzabili. I laghi,
ma anche i piccoli stagni interni, rappresentavano
l’acquacultura dell’epoca ma servivano anche per
irrigare gli orti limitrofi, e le acque dei torrenti e
dei fiumi fornivano energia per mulini e frantoi.
Molte soluzioni utilizzate per fronteggiare la
crescita e le conseguenti richieste alimentari sembrano di notevole attualità. Le problematiche della
sostenibilità offrono una grande opportunità alla
scienza della nutrizione e agli scienziati per svolgere un ruolo più centrale nell’analisi politica dei
sistemi alimentari futuri27,28. Se nutrire l’individuo
è lo scopo principale del cibo, dovrebbero risultare
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definite le priorità/emergenze nutrizionali da affrontare su scala nazionale e internazionale per
poter rendere efficaci i modelli d’intervento di tipo
sia preventivo sia terapeutico e di pianificazione
agro-alimentare per le popolazioni29.
Il concetto di dieta mediterranea ha subito una
progressiva evoluzione nel corso degli ultimi 60
anni, da un modello alimentare sano a un modello
alimentare sostenibile, in cui la nutrizione, il cibo,
le culture, le persone, l’ambiente e la sostenibilità interagiscono e si integrano30. Siamo certi che
preservare il passato ci aiuti a capire il presente e
costruire il futuro, che lo stile di vita mediterraneo
sia molto più che la dieta mediterranea e infine
che i fiumi e i laghi possano essere il nostro futuro.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Giuseppe Fatati
Struttura Complessa di Diabetologia,
Dietologia e Nutrizione Clinica
Azienda Ospedaliera Santa Maria
Viale Tristano di Joannuccio
05100 Terni
E-mail: [email protected]
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