il progetto e la biografia delle donne

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il progetto e la biografia delle donne
Partigiane della libertà: le donne della Resistenza romana
L’idea di segnalare queste otto partigiane della Resistenza ha anche una motivazione direttamente
legata alla storia del Socrate: Maria Teresa Regard Calamandrei è stata infatti la Presidente del
consiglio d’istituto del nostro liceo negli anni ’70, al tempo dell’istituzione degli organi collegiali.
Per coloro che hanno partecipato al concorso Sulle vie della parità la scelta di queste otto biografie
di donne che incontrano nella loro esistenza la Resistenza romana -Garroni, Lombardo Radice,
Musu e Regard nei GAP (Gruppi di azione patriottica), Bei, Gualdi, Jemolo e Nenni nei GDD
(Gruppi di difesa della donna) e nel Comitato di assistenza alle vittime del fascismo- ha rivelato
come le storie individuali possano intrecciarsi tra di loro e nel contempo con gli eventi della Storia.
L’attentato di via Rasella, l’assassinio di Teresa Gullace o la strage delle donne romane sul ponte
dell’industria sono solo alcuni dei fatti, forse i più significativi, che vedono il contributo di queste
otto donne. Di poche -a Carla Capponi, ad esempio, è già stata dedicata una via- la toponomastica
della capitale si è già ricordata.
E’ il momento di dedicare un riconoscimento anche alle altre.
Questi i nomi, rigorosamente in ordine alfabetico:
Adele Bei (1904-1974)
Laura Garroni(1922-1996)
Egle Gualdi (1901-1976)
Adele Maria Jemolo (1925 –1970)
Laura Lombardo Radice (1913-2003)
Marisa Musu (1925-2002)
Giuliana Nenni (1911-2002)
Maria Teresa Regard (1924-2000)
ADELE BEI
Adele Bei (Cantiano 1904-Roma 1974) iniziò giovanissima l’attività politica. Si sposò nel 1922
con Domenico Ciufoli, politico già affermato e per sfuggire alla persecuzione fascista visse con lui
in esilio in Belgio, Lussemburgo e in Francia dove nacquero i loro due figli. Da lì compì numerosi
viaggi clandestini in Italia per svolgere attività di collegamento tra militanti antifascisti. Nel 1933 fu
arrestata e condannata a diciotto anni di carcere che scontò prima a Roma e poi a Perugia; nel
giugno 1941 fu assegnata al confino di polizia a Ventotene dove rimase due anni. Dopo l'8
settembre 1943 partecipò alla Resistenza con il compito di organizzare i Gruppi di difesa della
donna e insieme alle altre dirigenti del Partito comunista clandestino ideò e organizzò gli assalti ai
forni delle donne romane. Nel 1945 venne designata dalla CGIL a far parte della Consulta
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nazionale; nel 1946 fu tra le 21 donne elette all'Assemblea costituente italiana dove sedette come
componente del gruppo parlamentare comunista. Deputata in varie legislature, continuò anche al
termine del suo mandato istituzionale a dedicarsi alle lotte in favore delle lavoratrici e dei loro
diritti.
LAURA GARRONI
Laura Garroni (1922-1996) era ancora studentessa universitaria quando, con il nome di copertura di
Caterina, divenne componente attiva nei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) romani. Assieme a
Marcella Lapiccirella, Laura Lombardo Radice e molte altre, fece parte del comitato di
coordinamento per assistenza e appoggio alle forze combattenti e contribuì alla preparazione
dell'azione di via Rasella (23 Marzo ’44). Partecipò in prima persona agli assalti ai forni per
protestare contro il razionamento. Fu la moglie del fisico Giulio Cortini, anche lui membro del GAP
e, in quanto artificiera, partecipò alla lotta armata occupandosi del trasporto di armi e della
diffusione del materiale di propaganda, diventando così una delle grandi donne romane che hanno
fatto la Resistenza.
EGLE GUALDI
Egle Gualdi (Modena 1901-Roma 1976) fu nella prima giovinezza operaia tessile. La ribellione
alla guerra e al nazifascismo la spinse ad aderire nel 1921 al Partito Comunista d’Italia. Nel 1926,
dopo avere subito alcuni arresti per la sua attività politica, fu condannata a tre anni di confino da
scontarsi nelle isole di Favignana, Ustica e Ponza. Si trasferì poi a Parigi dove si unì ad altri
fuoriusciti politici comunisti, ma dopo l’8 settembre del 1943 giunse a Roma, dove iniziò la sua
attività nelle file della Resistenza romana, con il nome di battaglia di Sandra. Insieme ad Adele Bei
organizzò i Gruppi di Difesa della Donna (GDD) e l’assalto ai forni delle donne romane. Nel
settembre dello stesso anno costituì a Roma insieme ad alcune esponenti del PCI l’Unione donne
italiane (UDI), il cui scopo era di chiamare all’attività politica e alla ricostruzione del paese le
donne italiane, per le quali si chiedeva da subito il diritto di voto. Dopo la guerra continuò ancora a
lungo la sua attività nel partito, sempre in difesa dei diritti delle donne lavoratrici e per
l’emancipazione femminile.
ADELE MARIA JEMOLO
Nata nel 1925 a Roma da una famiglia cattolica, (era figlia dello storico Arturo Carlo Jemolo e della
scrittrice Adele Morghen), Adele Maria Jemolo maturò una coscienza antifascista già negli anni del
liceo. Dopo esser riuscita, insieme alla compagna di scuola del liceo Mamiani Marisa Musu, a
contattare alcuni esponenti del Partito Comunista Italiano in clandestinità, chiese l'iscrizione al
partito; in tale contesto conobbe il futuro marito Lucio Lombardo Radice. Vicina al movimento dei
GAP romani, con alcune compagne istituì un comitato per aiutare prigionieri politici in fuga e fece
propaganda per la Resistenza. Nel 1944 fu testimone dell’assassinio di Teresa Gullace, uno degli
avvenimenti più drammatici accaduti a Roma, città aperta, evocato nel film di Rossellini. Dopo la
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liberazione si laureò in medicina alla Sapienza di Roma specializzandosi in virologia e proseguendo
la sua attività di ricercatrice e docente. Negli anni del dopoguerra svolse attività politica all'interno
del PCI, mantenendosi fedele alla sua formazione cattolica. Nel 1968 il suo nome, insieme a quello
dei suoi genitori, fu iscritto tra i giusti tra le nazioni a Yad Vashem per aver ospitato nella propria
casa romana una famiglia di amici ebrei ferraresi durante l'occupazione nazista. Morì a Roma nel
1970.
LAURA LOMBARDO RADICE
Laura Lombardo Radice (Fiume 1913- Roma 2003) sin dalla fine degli anni Trenta si avvicinò con
un gruppo di giovani intellettuali romani alla lotta antifascista. Iniziò ad insegnare a Chieti a 23
anni, impegnandosi attivamente in politica: si iscrisse, infatti, al partito comunista clandestino.
Nella Resistenza romana svolse azioni di boicottaggio, organizzò scioperi e raccolte di medicine,
indumenti e cibo per i prigionieri politici. Nel lavoro di cospirazione incontrò un amico del fratello
Lucio, Pietro Ingrao che più tardi sarebbe divenuto suo marito. In seguito all'assassinio di Teresa
Gullace, del quale fu spettatrice, organizzò una protesta che scosse molto le coscienze. Dopo la
liberazione di Roma dall'occupazione nazista, Laura proseguì l'attività politica sia nel PCI che
nell'UDI (Unione Donne in Italia) tra «comizi, campagne elettorali - sono sue parole - la
professione di docente, allattamenti e bambini piccoli», i cinque figli nati dal matrimonio con
Ingrao. Laura partecipò con passione umana, culturale e politica ai dibattiti in corso (diritto di voto
alle donne, legge Merlin, ecc…) scegliendo con convinzione l'attività politica di base che le
consentì di impegnarsi nella scuola e sui temi della cultura per tutta la sua vita.
MARISA MUSU
Marisa Musu nacque a Roma il 18 aprile 1925. A 16 anni, ancora studentessa del liceo Mamiani,
entrò in contatto con l'associazione clandestina del PCI con la compagna Adele Maria Jemolo. Nel
settembre del 1943 Marisa era stata tra i protagonisti della sfortunata battaglia per la difesa di
Roma: con il nome di Rosa era entrata nella formazione dei GAP (i Gruppi di azione patriottica).
Fra le operazioni portate a termine da questo gruppo contro gli occupanti la più significativa fu
l'attacco del 23 marzo 1944 in via Rasella . In seguito ad altre azioni cadde nelle mani della polizia
e, rinchiusa alle Mantellate, fu condannata a morte dal tribunale di guerra. Riuscì tuttavia a farsi
trasferire all'Ospedale San Camillo fingendosi malata, riuscendo ad evadere grazie all'aiuto di
alcuni medici antifascisti.
Al termine della guerra venne insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Dopo la liberazione Marisa Musu si impegnò nel movimento giovanile comunista con Enrico
Berlinguer; fu giornalista a Paese Sera e a l'Unità, inviata a Pechino, in Vietnam e a Praga. Lavorò,
infine, anche con Gianni Rodari per la fondazione del Coordinamento genitori democratici.
E’ morta a Roma il 3 novembre 2002.
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GIULIANA NENNI
Giuliana Nenni nasce a Faenza nel 1911 da Pietro e da Carmen Emiliani. Quando vide la luce il
padre era in carcere. Si dimostrò fin da giovane la più combattiva e volitiva delle figlie di Nenni.
Nell'esilio parigino fu redattrice del giornale socialista «Populaire»; a 25 anni fu nominata
segretaria del Comitato di lotta antifascista. Arrivano i tempi duri della guerra di Spagna,
dell'invasione tedesca della Francia: Giuliana divenne sempre di più il braccio destro del padre e nel
'42 stampa il «Nuovo Avanti». In seguito venne il tempo dell'impegno istituzionale: Giuliana Nenni
è stata deputata dal '53 al '58 e senatrice dal '58 al '63. Elegante, riservata e tenace, si è sempre
battuta per i diritti delle donne; è stata una delle più strenue sostenitrici del voto alle donne ed
esponente di spicco dell'Udi. La ricordiamo anche come la prima parlamentare a proporre una legge
sul divorzio che fu chiamata del «piccolo divorzio». Una passione, quella per la politica, anzi per il
socialismo, che ha accompagnato Giuliana Nenni anche negli ultimi anni di vita. E' morta a Roma il
19 marzo del 2002, all'età di 90 anni.
MARIA TERESA REGARD
Maria Teresa Regard nacque a Roma il 16 gennaio 1924. Studiò presso il Liceo Classico Terenzio
Mamiani, dove conobbe le sue future compagne di lotta Marisa Musu e Adele Maria Jemolo. Entrò
a far parte dei Gruppi di Azione Patriottica nel 1943 e subito si distinse per la tenacia con cui
partecipò a diverse azioni contro il regime, come ad esempio il 10 settembre ’43 a Porta San Paolo,
il 19 dicembre dello stesso anno all’hotel Flora in Via Veneto e il 24 gennaio ’44 alla stazione
Termini. Fu arrestata e torturata nella prigione di via Tasso. Nel 1944 sposò Franco Calamandrei,
compagno nei Gap; dopo la Liberazione si trasferì con il marito a Londra, dove divenne giornalista.
Per il contributo da lei dato alla guerra di Liberazione, Maria Teresa Regard è stata decorata al valor
militare con la seguente motivazione «Giovane studentessa universitaria, partigiana, ardimentosa
dava alla causa della Resistenza apporto entusiastico e infaticabile...Tratta in arresto e tradotta
nelle prigioni di Via Tasso, teneva, durante i ripetuti interrogatori, contegno virile ed
esemplare...». A quel “virile” Regard rispose dicendo “sentite, levate ‘virile’ perché proprio non lo
reggo.” Morì nel 2000.
Biografie delle partigiane della libertà: le donne della resistenza romana (versione integrale)
E’ opportuno precisare le biografie delle otto donne proposte per l’intitolazione di piste ciclabili,
già presentate in un formato più agile e sintetico (10/15rr.) per le didascalie da aggiungere alle
targhe, sono qui di seguito elaborate in una trattazione più ampia per fornire alla Commissione
toponomastica del comune di Roma una motivazione più dettagliata e articolata delle proposte di
intitolazione.
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Adele Bei nacque il 4 maggio 1904 a Cantiano, un piccolo centro marchigiano in provincia di
Pesaro, terzogenita degli undici figli di Angela Broccoli e Davide Bei, boscaiolo. Nella sua famiglia
era molto intensa e vivace la discussione politica – il padre era socialista - e questa attitudine
influenzò la sua infanzia e la sua adolescenza, inducendola ben presto a dedicarsi all’attività
politica. Nel 1922, all’età di diciotto anni, si sposò con Domenico Ciufoli, anch’egli di Cantiano,
già politico affermato, che l’anno prima a Livorno, abbandonando il congresso del Partito Socialista
Italiano, insieme ad Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci, Pietro Secchia, Umberto Terracini e
Mauro Scoccimarro aveva fondato il Partito Comunista d'Italia.
Adele entrerà nel partito nel 1925, ma alla fine del 1923, incalzati dalla presenza fascista, per
evitare l’arresto, insieme al marito, impegnato a organizzare i primi nuclei comunisti nel loro paese
natale, abbandonò Cantiano, vivendo in esilio nelle zone minerarie prima del Belgio e poi del
Lussemburgo. Espulsi da questi due paesi per motivi politici, i due si trasferirono in Francia dove
nacquero i figli Ferrero e Angela. Da lì Bei compì numerosi viaggi clandestini in Italia per svolgere
attività di collegamento tra militanti antifascisti. Nel 1933 fu arrestata e condannata dal Tribunale
speciale per la difesa dello Stato a diciotto anni di carcere. Ne scontò otto, prima a Roma e poi a
Perugia; nel giugno 1941 fu assegnata al confino di polizia a Ventotene dove rimase due anni.
Le condizioni dei detenuti politici nell’isola erano molto precarie. Lei stessa, parlando in seguito di
quell’esperienza, ricordava che mancava il cibo, che si faceva proprio la fame e che da questo punto
di vista si stava peggio che in carcere. I confinati vivevano in cameroni di venticinque letti
ciascuno; lì dormivano, scrivevano, leggevano e lavoravano in una promiscuità che spesso era causa
di malattie. A Ventotene c’erano tra gli altri Sandro Pertini, Altiero Spinelli, Antonietta Pintor,
Umberto Terracini e Giuseppe Di Vittorio, con cui Adele strinse una forte amicizia, instaurando con
lui un’intesa politica e umana proseguita nei successivi anni del comune impegno sindacale. Caduto
il fascismo nell'agosto del 1943, tornò a Roma e qui, dopo l'8 settembre, iniziò la sua partecipazione
attiva alla Resistenza con il compito di organizzare i Gruppi di difesa della donna.
Insieme alle altre dirigenti del Partito comunista clandestino, Laura Lombardo Radice, Marcella
Lapiccirella ed Egle Gualdi, Adele Bei ideò e organizzò gli assalti ai forni delle donne romane
coinvolgendone, grazie ai passa parola, un gran numero. Le spinse a questa azione l'ordinanza
emessa il 26 marzo 1944 dal comando tedesco di Roma durante l'occupazione della città, che aveva
ridotto a 100 grammi la razione giornaliera di pane destinata quotidianamente ai civili. Molti forni
si sospettava panificassero il pane bianco destinato alle truppe di occupazione. L'assalto ai forni,
che costrinse i nazifascisti a scortare i convogli e a presidiare depositi e punti di distribuzione, si
ripeté in vari quartieri della capitale: al Flaminio, in Prati e al Trionfale, al Tiburtino III, a Monte
Sacro, Val Melaina e in Via Alessandria. Il 3 maggio, ancora al Tiburtino III, l'azione si concluse
cruentemente con l'uccisione di Caterina Martinelli, madre di sei figli. Si risolse violentemente
anche l'assalto al forno Tesei, il 7 aprile 1944, con l'eccidio di dieci donne presso il Ponte
dell'Industria, barbaramente trucidate e lasciate a terra tra le pagnotte abbandonate e la farina,
impedendo che i cadaveri venissero rimossi. Una lapide le ricorda sul luogo del loro martirio.
Alla fine della guerra alla Bei fu riconosciuto il grado di capitano e le fu concessa la croce di guerra
al valor militare. Nel 1945, nominata responsabile della Consulta femminile della CGIL, venne
designata dalla Confederazione a far parte della Consulta nazionale, unica donna indicata da un
sindacato e non dal proprio partito. In quegli anni fu chiamata dal Pci a far parte del Comitato
regionale delle Marche e del Consiglio nazionale della donna; fu membro del Consiglio direttivo
dell'Unione Donne Italiane (UDI) e del Consiglio nazionale dell'Anpi. Nel 1946 fu tra le 21 donne
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elette all'Assemblea costituente italiana, dove sedette come componente del gruppo parlamentare
comunista. Venne poi eletta alla Camera dei deputati, sempre nelle file del partito comunista e nel
corso della I legislatura (1948-1953) sedette al Senato della Repubblica. Fece parte di varie
commissioni (lavoro, emigrazione, previdenza sociale), battendosi per la conquista di migliori
condizioni di vita e di lavoro, per la parità dei diritti e per l'attuazione dei principi della Costituzione
a favore delle donne. Dal 1963, terminato il suo impegno parlamentare, continuò a dedicarsi alle
lotte in favore delle lavoratrici e dei loro diritti.
Nel 1972 divenne consigliera nazionale dell’Associazione perseguitati politici antifascisti.
E’ morta a Roma il 15 ottobre 1974.
Laura Garroni (Roma 1922-1996) entrò nei Gruppi di Azione Patriottica romani quando era
ancora studentessa universitaria . La ragazza, che faceva parte con il nome di Caterina del gruppo
artificieri dei GAP, sposò il fisico Giulio Cortini anche lui membro dei GAP romani durante la
Resistenza; nel dopoguerra divenne bibliotecaria all'Università di Napoli.
Le donne che provenivano dalle file dei partiti politici antifascisti, molte delle quali uscite da pochi
giorni dalle carceri, tornate dai confini delle isole, decisero di formare un comitato di
coordinamento per le attività di assistenza e di appoggio alle forze combattenti civili e militari. Il
comitato era composto da donne di varie esperienze politiche, tra cui Adele Bei, Egle Gualdi,
Marcella Lapicirella, Laura Lombardo Radice e la stessa Laura Garrone.
In quanto appartenente ai GAP, fu tra le donne che parteciparono ai preparativi dell’azione di via
Rasella, condotta il 23 Marzo 1944 contro un reparto delle truppe d’occupazione tedesca; insieme a
Marisa Musu e Lucia Ottobrini era schierata per coprire la fuga di Franco Calamandrei. Durante il
periodo della resistenza fu tra le donne che andavano e venivano con i pacchi di fogli a stampa e
giornali che infilavano nelle buche delle lettere e sotto le saracinesche dei negozi. Fu anche tra
coloro che trasportavano le armi nella borsa della spesa attraverso la città, armi che furono poi usate
per gli attacchi ai nazisti di Piazza Barberini, della Stazione Termini, di Via Rasella e per decine di
altre azioni.
Era in prima fila quando fu compiuto l’assalto ai forni ove si panificava il pane bianco per fascisti e
nazisti; le azioni avvennero nei quartieri di Trionfale e Borgo Pio per protestare contro la
sospensione della distribuzione di patate e farina di latte.
Inizialmente semplice membro dei GAP romani, fu in seguito una componente sempre più attiva
tanto che divenne artificiera per le azioni di resistenza. Si occupò essa stessa del trasporto delle
armi, partecipando alla lotta armata e contribuendo alla liberazione dell’Italia.
Egle Gualdi nacque a Modena l’11 gennaio 1901 da Enrico e Bleonice Gozzi. La sua prima
giovinezza fu segnata dalle vicende della Prima Guerra Mondiale alla quale prese parte il fratello.
Dal 1914 al 1919 fu operaia tessile: aiutava la madre a confezionare giubbe militari, all’interno
delle quali, nelle fodere delle maniche, le donne scrivevano a matita auguri di pace per i militari al
fronte. Nella provincia di Reggio Emilia era stato infatti istituito un laboratorio per confezionare
indumenti militari in cui erano impegnate oltre duemila donne del capoluogo e dei comuni limitrofi,
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che lavoravano in condizioni durissime di sfruttamento, affrontando anche la diffidenza e l’ostilità
dovute alla mentalità dell’epoca.
Prima della partenza del fratello, Egle scoprì nel suo zaino volantini contro la guerra: dopo un lungo
colloquio notturno con lui maturò la consapevolezza di doversi opporre alla guerra e da allora, per
tutta la sua vita, si batté per la pace e per i diritti dei lavoratori. La ribellione alla guerra,
strettamente connessa alle condizioni sociali delle donne lavoratrici, fu una delle ragioni che la
spinsero ad aderire nel 1921 al Partito Comunista d’Italia. Nel 1926, dopo avere subito alcuni arresti
per la sua attività politica, fu condannata a tre anni di confino da scontarsi nelle isole di Favignana,
Ustica e Ponza. In quegli anni contrasse una malattia polmonare e nel 1926 le fu amputata la gamba
destra. Finita la pena, nel dicembre 1929 si trasferì a Parigi dove si unì ad altri fuoriusciti politici
comunisti e lì conobbe Agostino Novella , di cui fu la compagna sino alla fine degli anni Quaranta.
Nel 1934 fu delegata al IV Congresso del Partito Comunista a Colonia. Tra il 1934 e il 1939 riprese
a svolgere attività clandestina in Italia: a Milano, Torino, Firenze, La Spezia e Sarzana. Tornò in
Francia, ma dopo l’8 settembre del 1943 giunse a Roma dove il suo compagno era stato richiamato
dalla direzione del partito. Dirigente politica della seconda zona di Roma (Trastevere), cominciò qui
la sua attività nelle file della Resistenza romana, con il nome di battaglia di Sandra, organizzando
una scuola politica per una ventina di giovani donne. Insieme a Adele Bei, organizzò i Gruppi di
Difesa della Donna (GDD), nati a Milano e Torino nel novembre di quell’anno su iniziativa del PCI
per organizzare l’attività femminile nella Resistenza. Il loro programma prevedeva di organizzare
nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, nelle campagne la resistenza ai tedeschi, di sabotare la
produzione di guerra, di proibire nelle fabbriche il lavoro notturno, quello a catena e quello nocivo
alle donna, di esigere per queste gli stessi salari degli uomini e un’adeguata assistenza alle madri.
Nel 1944 insieme alla Bei, che ne fu ideatrice, e ad altre dirigenti del Partito comunista clandestino
quali Laura Lombardo Radice e Marcella Lapiccirella, Egle Gualdi partecipò all’organizzazione
degli assalti ai forni delle donne romane, che ebbero in due casi, al Tiburtino III e al Ponte
dell’Industria, una fine tragica.
Nel settembre dello stesso anno costituì a Roma insieme a Rita Montagnana, Giuliana Nenni,
Marisa Rodano, Bastianina Musu e altre esponenti del PCI l’Unione donne italiane (UDI), il cui
scopo era di chiamare all’attività politica e alla ricostruzione del paese le donne italiane, per le quali
si invocava da subito il diritto di voto. Nel 1945 l’UDI si fuse con i Gruppi di Difesa della Donna.
Tra le date simboliche la nuova organizzazione femminile scelse l'8 marzo e a Rita Montagnana
venne l’idea di abbinare la mimosa alla giornata internazionale della donna.
Dal 1945 al 1948, Egle Gualdi fu responsabile della Federazione femminile del PCI di Genova e
continuò ancora a lungo la sua attività nel partito, sempre in difesa della causa del lavoro e per
l’emancipazione delle donne.
Morì a Roma nel 1976.
Adele Maria Jemolo (Roma, 1925 –1970) figlia dello storico cattolico Arturo Carlo Jemolo e della
scrittrice Adele Morghen, studiò nel liceo classico romano Terenzio Mamiani ed ebbe come amica e
compagna di banco Marisa Musu. Di famiglia cattolica, maturò una coscienza antifascista già negli
anni del liceo. Proprio con Musu riuscì infatti a contattare alcuni esponenti del Partito Comunista
Italiano in clandestinità per chiedere l'iscrizione al partito. Al rifiuto, giustificato dalla giovane età
delle richiedenti, Jemolo e Musu decisero di sostenere l'esame di maturità già nel 1942, saltando
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un anno di liceo come consentito agli studenti particolarmente brillanti, al fine di potersi iscrivere
all'Università e di inserirsi al più presto nella lotta partigiana.
Nello stesso 1942 Adele conobbe l'oppositore comunista Lucio Lombardo Radice che, appena
scarcerato, era stato coraggiosamente invitato in casa da Arturo Carlo Jemolo; il legame
sentimentale e politico con Lombardo Radice proseguirà per tutta la sua vita. A quel punto la
Jemolo e la Musu furono ammesse nella rete clandestina del Partito Comunista. Mentre la Musu
entrò nei GAP romani, e, tra le altre azioni di resistenza, partecipò anche all'attacco di via Rasella,
la Jemolo costituì un “piccolo Comitato” con Adele Bei Ciufoli, le sorelle Ribet, Giuliana Nenni,
Maria Fermi, Linda Puccini ed altre, impegnato ad aiutare prigionieri in fuga, sbandati, a
organizzare manifestazioni, a distribuire stampa e manifesti.
La mattina del 3 marzo 1944, insieme alla sorella di Lucio Laura Lombardo Radice, a Marcella
Lapiccirella e ad Adele Maria Jemolo è presente al barbaro assassinio di Teresa Gullace. Le tre
donne, spontaneamente, improvvisarono una muta protesta, allestendo una camera ardente lì in
strada, pregando e ricoprendo il corpo dell'uccisa con mazzi di fiori sempre più numerosi: la
protesta fu tale che i nazisti furono costretti a liberare il vedovo Girolamo Gullace. Dopo la
liberazione si laureò in medicina all'Università di Roma La Sapienza, ove svolse la professione di
docente e ricercatrice di virologia.
Nel 1946 sposò Lucio Lombardo Radice da cui ebbe tre figli: Daniele, Marco e Giovanni. Negli
anni del dopoguerra svolse attività politica all'interno del PCI nell'ambito del gruppo proveniente
dal partito della Sinistra Cristiana. Nel 1968, il suo nome, insieme a quello dei suoi genitori, fu
iscritto tra i giusti tra le nazioni a Yad Vashem per aver ospitato nella propria casa romana una
famiglia di amici ebrei ferraresi, durante l'occupazione nazista
Laura Lombardo Radice (1913-2003) nasce alla vigilia della prima guerra mondiale a Fiume, città
italiana che allora era lo sbocco sul mare dell'impero austro-ungarico. Cresce con la sorella
Giuseppina e il fratello Lucio in una famiglia non comune per cultura e coerenza di idee. Negli anni
'20, malgrado la forte opposizione di Gemma, Giuseppe accetta di lavorare alla Riforma fascista
della scuola voluta dal ministro dell'istruzione, il filosofo siciliano Giovanni Gentile, in qualità di
direttore generale per l'istruzione elementare. La famiglia si trasferisce quindi a Roma, ma, dopo il
massacro del deputato socialista Giacomo Matteotti per mano degli squadristi, sdegnato e sconvolto
Giuseppe si dimette e torna all'insegnamento. Vessato dal regime fascista, a stento salva la cattedra.
Intanto, mentre Laura e i fratelli vanno avanti negli anni e negli studi, il fascismo invade tutto il
tessuto sociale, creando un clima soffocante, al quale la giovane reagisce come può, dando vita con
Lucio ad un gruppo di intellettuali romani vicini alle idee marxiste: Giaime e Luigi Pintor, Aldo
Natoli, Paolo Bufalini, Mirella De Carolis tra essi. Ma, ad un certo punto, si accorgono che la
cultura da sola non basta, che c'è fame di azione concreta, di cambiamento, insomma di politica,
soprattutto dopo la guerra di Spagna (1936) e dopo la "scoperta" di Antonio Gramsci. A ventitré
anni, nel 1937, Laura vince il concorso e ottiene il primo incarico di insegnamento a Chieti
(1937/38). L'allontanamento da Roma dura poco, perché la morte del padre segna il suo ritorno
nella capitale e l'intensificazione della sua attività nel movimento di cospirazione del gruppo
antifascista. Dopo qualche mese il governo fascista introduce le leggi per la difesa della razza, che
deporteranno ad Auschwitz e Dachau migliaia di ebrei. E' anche l'inizio di una parabola che porterà
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in galera per "ricostituzione del partito comunista" Lucio, che, per a causa dell'arresto non può
prendere servizio come assistente alla cattedra di geometria analitica; dovrà attendere fino al '45 per
essere ammesso alla Sapienza. Nel momento dell'arresto del fratello Laura – sono sue parole - ha
una svolta e diventa militante prendendo coscienza di non essere soltanto la sorella di un carcerato,
ma una che partecipa in prima persona (Appunti inediti, anni '80). Entrata nella Resistenza romana,
svolge azioni di boicottaggio, organizza scioperi, raccoglie medicine, indumenti e cibo per i
perseguitati e i prigionieri politici. Nel lavoro di cospirazione incontra un amico di Lucio, Pietro
Ingrao. Per potersi scambiare messaggi, documenti, indicazioni operative, i due giovani devono
crearsi una copertura, fingere di essere fidanzati. Non è difficile, anzi: uscire insieme, passeggiare,
andare ai concerti. .. «Stavamo da soli noi due, anche molto a lungo», racconta Pietro. «Lei era
bella, vitale, intelligente, io un giovanotto di campagna, non ancora trentenne e anche un po'
rozzo…». Nel dicembre '42, c'è una nuova ondata di arresti. Lucio, che è un affermato matematico,
è tornato libero, ma non si può esporre in quanto controllato dalla polizia, per cui tocca a Mario
Alicata e a Pietro Ingrao, ormai dirigenti del gruppo comunista, informare il partito al Nord. Il 27
dicembre è arrestato Mario, e allora il partito ordina a Pietro di darsi alla macchia, di sparire. Per
Pietro, ormai fidanzato con Laura, saranno mesi di clandestinità e per entrambi un cammino lungo
sessant'anni. La morte del patriota e scrittore Giaime Pintor, saltato a ventiquattro anni su una mina
nel dicembre'43 è un durissimo colpo per i suoi amici più stretti, tra cui Laura che fa ancora più suo
il messaggio etico-politico che Giaime aveva indirizzato al fratello minore Luigi sulla necessità
degli intellettuali di scendere sul terreno dell'utilità comune e combattere. Il 3 marzo 1944, Laura,
assieme a Marcella Lapiccirella e alla fidanzata di Lucio, Adele Maria Jemolo, figlia diciottenne
dello storico cattolico Carlo Arturo Jemolo, si trova per lavoro come responsabile di zona a viale
Giulio Cesare, nei pressi della caserma dove erano stati appena portati molti uomini vittime di un
rastrellamento. E' allora che assiste al barbaro assassinio di Teresa Gullace, madre di cinque figli e
incinta del sesto, falciata da una raffica di mitra tedesca mentre cerca di passare dalla finestra uno
sfilatino di pane e formaggio al marito Girolamo. E' la scena che a Roberto Rossellini ispirerà il
momento più drammatico del film Roma città aperta, con una Anna Magnani indimenticabile nel
ruolo di Teresa mentre insegue la camionetta. Sono loro, Laura, Marcella e Adele Maria a ricoprire
di fiori il luogo dell’omicidio, sono loro le prime a contattare la famiglia, a portare aiuti concreti.
Poco dopo la liberazione di Roma dall'occupazione nazista Laura sposa Pietro, dal quale ha cinque
figli, di cui quattro donne, e prosegue nell'attività politica sia nel PCI che nell'UDI (Unione Donne
in Italia), tra «comizi, campagne elettorali - sono sue parole - la professione di docente, allattamenti
e bambini piccoli». E' presente sulla stampa, dove partecipa con passione umana, culturale e politica
ai dibattiti in corso (diritto di voto alle donne, Legge Merlin, ecc). Pietro diventa dirigente di primo
piano nel PCI (è il primo presidente comunista della Camera dei deputati, dal 1976 al '79), Laura
sceglie l'attività politica di base, che le consente anche di impegnarsi nella scuola - un lavoro che
ama molto - e sui temi della cultura. Fino all’età di settant'anni Laura esercita l'insegnamento nelle
scuole superiori, dove si era distinta fin dal '50 per i suoi metodi innovativi e per l’attenzione al
rapporto con gli studenti. Nessuna meraviglia, quindi, che partecipi al movimento della
contestazione del '68. Collabora alla Casa cinematografica Vides, e, al momento del pensionamento
entra come insegnante volontari nel carcere di Rebibbia, lei che non aveva mai dimenticato il triste
pianeta conosciuto nel '39 quando andava dal fratello Lucio, detenuto a Regina Coeli. Fonda
l'associazione "Ora d'aria" di assistenza ai detenuti. Muore a Roma il 23 marzo 2003.
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Marisa Musu nasce a Roma il 18 aprile 1925 da una famiglia antifascista e di origine sarda. A
sedici anni e ancora studentessa del liceo classico Mamiani, tramite Lucio Lombardo Radice,
Marisa entra nell'organizzazione clandestina del PCI insieme ad Adele Maria Jemolo, sua
compagna di studi e futura moglie di Lombardo Radice. In seguito si iscriverà alla facoltà di fisica
dell'Università di Roma. Nel settembre del 1943 Marisa era stata tra i protagonisti della sfortunata
battaglia per la difesa di Roma. Con la capitale occupata dai nazisti non si era arresa: con il nome di
“Rosa” era entrata nella formazione dei GAP (i Gruppi di azione patriottica), guidata da
Franco Calamandrei.
Tra le tante azioni portate a termine da questo gruppo contro gli occupanti, il leggendario attacco
del 23 marzo del '44 ad una colonna di nazisti in via Rasella, durante il quale Marisa Musu ebbe il
compito di spalleggiare armata Rosario Bentivegna e Carla Capponi. Dopo due settimane ancora, in
seguito ad altre azioni portate a termine “Rosa”, cade nelle mani della polizia. Fortunatamente i
commissari Antonio Colasurdo e De Longis, che erano in collegamento con il CLN, fanno passare
Musu e i compagni arrestati per una banda di rapinatori comuni, portandoli nel carcere di Regina
Coeli ; Marisa Musu, rinchiusa nel carcere femminile delle Mantellate, viene condannata a morte
dal tribunale di guerra nazista come criminale comune.
La ragazza riuscì, prima che la sua vera identità fosse scoperta, a farsi trasferire, fingendosi malata,
all'Ospedale San Camillo. Di qui evase grazie all'aiuto di alcuni medici antifascisti evitando la pena
capitale cui era destinata. Al termine della guerra è stata insignita della Medaglia d’Argento al
Valor Militare. Sulla Resistenza a Roma ha scritto, in collaborazione con il marito Ennio Polito, due
libri: La ragazza di via Orazio e Roma ribelle.
Figura intellettualmente e politicamente poliedrica, dopo la Liberazione Marisa Musu ha lavorato
nel movimento giovanile comunista. Nel 1956, con i fatti di Ungheria, dissente dalla linea del P.C.I.
abbandonando gli incarichi di partito per passare alla professione di giornalista. Lavora a Paese
Sera, a L’Unità e a Liberazione. E’ inviata per due anni a Pechino, in Vietnam, a Praga nel 1968, in
Mozambico e in Palestina.
Col tempo nei suoi articoli cominciano a trasparire un interesse crescente per la scuola, la pedagogia
e la formazione educativa dei giovani. Diventa così direttrice de Il Giornale dei Genitori.
Marisa Musu ama i bambini e per questo si dedica a lungo ai problemi della scuola; è fondatrice,
nel 1976 con Gianni Rodari, del Coordinamento Genitori Democratici. Diventa componente del
Consiglio Nazionale degli Utenti e del Comitato di Vigilanza TV e Minori presso la F.R.T.
(Federazione Radio Televisioni).
Nel 2000 fonda con Marina Rossanda l’Associazione Gazzella, dal nome di una bambina di
Hebron, gravemente ferita da un soldato israeliano, che si salvò dopo una lunga convalescenza; un
nome, simbolo di speranza per i tanti bambini palestinesi feriti.
Donna carismatica, appassionata e vitale, ha vissuto sempre secondo i valori in cui credeva,
impegnandosi fino alla fine nelle battaglie in difesa dei più deboli. Marisa Musu è morta a Roma il
3 novembre 2002.
“Se sono serena, non è solo perché ho fatto tante piccole cose e, nel farle, ho incontrato uomini e
donne e con loro ho vissuto e lavorato per qualcosa che credevo giusta. Sono serena perché
incorreggibile ottimista, sono convinta che le grandi cose che hanno costituito il filo conduttore del
mio impegno - la fine delle ingiustizie sociali, una reale uguaglianza tra i popoli, la libertà, la pace
- e quelle che sono venute dopo - un mondo libero dall’inquinamento, rispettoso delle leggi della
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natura, multietnico - ci mettono, per realizzarsi, più tempo di una vita, della mia certamente, ma
alla fine si compiono”. (Marisa Musu)
Giuliana Nenni (Forlì 1911 – Roma 2002) vide la luce mentre il padre Pietro era in carcere per le
proteste contro la guerra italo-turca. E così nel 1926 tutta la famiglia fu costretta all'esilio per le
persecuzioni del regime fascista. A Parigi seguì i corsi di “Civilisation française” alla Sorbona; poi
si dedicò al giornalismo, come redattrice del giornale socialista «Populaire» e alla politica, come
segretaria del Comitato di lotta antifascista.
Con l'entrata in guerra dell'Italia e l'occupazione tedesca della Francia, il padre si stabilì a Palalda,
sui Pirenei orientali in semiclandestinità con la famiglia, per poi subire il confino a Saint-Flour.
Giuliana rientrò a Roma dopo la caduta di Mussolini e partecipò alla resistenza costituendo un
piccolo comitato impegnato a portare avanti la resistenza, con Adele Bei Ciufoli, le sorelle Ribet,
Adele Maria Jemolo, Maria Fermi, Linda Puccini ed altre. Poi nel dopoguerra fu tra le promotrici
dell’Unione Donne in Italia-UDI.
Nel 1948 fu eletta alla Camera dei deputati nelle liste del Fronte Democratico Popolare e si iscrisse
al gruppo parlamentare socialista; fu rieletta nel 1953 nelle liste socialiste.
Alla Camera proseguì la collaborazione con le altre parlamentari provenienti dall'Unione Donne,
presentando una serie di proposte di legge aventi ad oggetto l'emancipazione della donna, in
particolare nel mondo del lavoro. Fu firmataria della legge sulla "Conservazione del posto di lavoro
alle lavoratrici madri" e della legge sull'"Estensione dell'assicurazione assistenza malattie ai
lavoratori addetti ai servizi domestici familiari". Altre sue proposte di legge sulle pari opportunità e
il diritto di famiglia, non approvate all'epoca perché troppo avanzate, sarebbero state oggetto di
battaglie civili nei decenni successivi.
Inoltre, nel 1955, fu Grande Ufficiale Ordine al merito della Repubblica italiana.
Eletta al Senato nel 1958 e nel 1963, Giuliana Nenni è stata la prima parlamentare della Repubblica
a proporre una legge sul divorzio.
Lasciata la politica parlamentare fece da segretaria all'anziano padre e, dopo la morte di
quest'ultimo, ne curò il riordino delle carte e la pubblicazione delle pagine del Diario. Anche nei
suoi ultimi anni di vita fu consigliera e interlocutrice dei più importanti esponenti socialisti.
Nata a Roma il 16 gennaio 1924 da famiglia ginevrina, Maria Teresa Regard trascorse l’infanzia
a Napoli. Rientrata a Roma, studiò al Liceo ginnasio statale Terenzio Mamiani dove
conobbe Marisa Musu e Adele Maria Jemolo. Nel 1941 si iscrisse al Partito comunista italiano. Il
10 settembre 1943, dopo essere entrata nei Gruppi di Azione Patriottica, partecipò agli scontri
di Porta San Paolo come portaordini e dispensatrice del rancio e dell’acqua ai combattenti. L’azione
dinamitarda del 19 dicembre 1943 contro il comando tedesco all'hotel Flora in Via Veneto, condotta
con Franco Calamandrei, Arminio Savioli e Pasquale Balsamo, non provocò morti ma ebbe una
vastissima eco. Il 23 gennaio 1944, Maria Teresa Regard e Guglielmo Blasi, entrambi vestiti da
tedeschi, lasciarono una borsa con bomba al posto di ristoro dei soldati tedeschi alla stazione
Termini causando la morte di tre ufficiali tedeschi e il ferimento di altri 19. Dopo tali azioni venne
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promossa al grado di tenente. Arrestata il 30 gennaio del 1944 mentre si riforniva di chiodi a tre
punte da utilizzare contro gli automezzi dei nazisti e dei loro collaboratori fascisti, Maria Teresa fu
portata in via Tasso e sottoposta a interrogatori che si risolsero in nulla, in quanto il gappista
Giorgio Labò, anche se sotto tortura, negò di conoscerla. Non prese parte all’attentato di via Rasella
il 23 Marzo 1944, in quanto riteneva sbagliata la scelta del luogo; nel giugno del ’44 sposò Franco
Calamandrei, che con Carlo Salinari, Carla Capponi e una decina di altri gappisti aveva invece
partecipato all’azione di via Rasella. Dopo la Liberazione, Maria Teresa Regard si trasferì a Londra
come corrispondente del Nuovo Corriere. Nel 1954, insieme al marito – corrispondente
de L’Unità – seguì la Guerra d'Indocina per Vie Nuove e Noi Donne, entrando con le truppe
comuniste a Dien Bien Phu e ad Hanoi appena liberate; successivamente furono entrambi in Tibet e
in Cina. Hanno avuto due figlie, Gemma e Silvia. Nel 1999 fu tra i testimoni al processo Priebke.
Morì il 21 febbraio del 2000.
Per il contributo da lei dato alla guerra di Liberazione, Maria Teresa Regard è stata decorata al valor
militare, con la seguente motivazione «Giovane studentessa universitaria, partigiana, ardimentosa
dava alla causa della Resistenza apporto entusiastico e infaticabile...Tratta in arresto e tradotta
nelle prigioni di Via Tasso, teneva, durante i ripetuti interrogatori, contegno virile ed
esemplare...». A quel “virile”, dietro al quale si nasconde un collegamento automatico e necessario
tra il valore militare e il mondo maschile, Regard rispose dicendo “sentite, levate ‘virile’ perché
proprio non lo reggo.”
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