storia del ragazzo e del barbone che gli insegno` a volare

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storia del ragazzo e del barbone che gli insegno` a volare
Gisella Laterza
L’incontro-scontro con un vecchio che vive per strada farà cambiare molte cose della visione della
vita di un ragazzo che odia il latino e si disinteressa dello sport.
LUNA, LATTUGA E LATTINA
«PROFE SA COSA LE DICO IO ODIO LEI LA STRAMALEDETTA LINGUA CHE CI
IMPONE GIULIO CESARE E L’ALLEGRA COMBRICCOLA DI ALCOLISTI ANONIMI CHE
HA AVUTO LA BELLA IDEA DI UCCIDERLO!!!!!»
Ecco cosa le urlerei volentieri. Dopo che la vampira mi ha scoperto a copiare il compito, dopo
un’interrogazione indimenticabile, dopo un’ora da incubo, la vampira ha il coraggio di farmi anche
delle domande di storia.
«Allora, quando morì Cesare?»
So che sanno tutti la risposta… ma… quando morì il caro Giulio?!? Ho un lapsus. Maledetto latino!
Come faccio a ricordare una parola contorta come lapsus e non quando morì Giulio? Il mio sguardo
veleggia nella classe, arriva la tempesta, cado in mare, so che ci morirò, là dentro, ci muoio! Oh,
quale luce, quale figura soave, oh, sirena degli oceani, ti ho vista!
Dal fondo della classe, Valeria agita quattro dita per due volte. Ma certo! Quattro per quattro:
sedici!
«16 a.C.» dico sfoderando il migliore dei miei sorrisi che in realtà è un impiastricciato tentativo di
sopravvivenza.
Valeria si batte una mano in fronte.
Valeria, ma cosa mi combini!? La vampira se ne accorgerà!
«Servalli, ragazzo mio – oh, mia preda!– quando ti deciderai a studiare anche una sola delle materie
che insegno? Cesare morì nel 44 a.C., come stava tentando di dire la Merelli.»
«Ma no, prof!» tenta di giustificarsi lei «Stavo acchiappando una mosca…»
Mi cadono le braccia, e anche qualcosa d’altro (che se cadesse rotolerebbe, quindi è non
specifichiamo). Non ci posso credere, l’ha detto davvero!
«Servalli, Merelli, per farvi ricordare questa data, metterò un bel 4 a tutt’e due.»
Ed ecco la risata sadica da horror-star. Ma perché quella donna insegna latino? Dovrebbe recitare in
un film horror americano, di quelli che si guardano sugli autobus in gita per spaventare gli alunni
anche in vacanza.
Driiiin
Intervallo!
Mi tiro in piedi e ciondolo elegantemente verso la porta.
«Servalli, chi ti ha dato il permesso di alzarti?!»
«Nostro Signore.» rispondo sicuro. Eh, certo, lei è una vampira, deve avere un po’ di timor di Dio!
«Come?!»
Tentando di farla evaporare, alzo le due dita indici al livello del mio sguardo, sistemandoli a croce e
urlo:
«Vade retro, Satana!»
I miei compagni scoppiano a ridere. Lattuga, mio fratello gemello, complice di mille malefatte,
strilla: «E poi dice di non sapere il latino!»
Soddisfatti della nostra scenetta quotidiana, io e Lattuga raggiungiamo la porta.
La prof si alza in piedi:
«Stop!»
«Ma vada aff…arsi un giro!» riesco a contenermi.
E fuggiamo.
Il mio camerata si complimenta con me, scuotendo i capelli verde-convinzione sistemati a ciocche,
che fanno sembrare la sua testa un cespo d’insalata.
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La zia, quando sono morti i nostri genitori, ha obbligato uno di noi a farsi un segno di distinzione,
così quel pazzo di Lattuga ha potuto coronare il sogno di avere i capelli verde-convinzione, portati
lunghi fino alle spalle, con vari boccoli rivoluzionari che si danno battaglia tra la fronte e il collo.
«Tu hai voglia di tornare in classe?»
«No.»
«Impicchiamo!»
«Anche oggi?»
«Sì, però ‘sta volta con stile. Lasciamo un biglietto alla prof con su Arrivederci all’inferno»
E ride come un assatanato.
«Ci sto.»
E ci avviamo con noncuranza all’ingresso. Non ci ha visto nessuno.
Sospiro di sollievo. Io e il mio compare abbiamo la media dell’8 in latino… sì, se avessimo il
cervello in comune. Peccato che, come dice la zia, il nostro cervello si è diviso alla nascita e da
allora ne abbiamo metà ciascuno. C’est la vie.
«È ancora lì, il nonnetto…» bisbiglia Lattuga, indicando un barbone che da mesi sta all’angolo di
una strada vicina a scuola.
«Dammi qua.» e gli prendo dalle mani la lattina di Cola semivuota, lancio e… beccato in pieno!
Il vecchio, colpito in testa, raccoglie placidamente la lattina, la guarda, mi guarda, mi vede, mi
osserva, mi scruta così profondamente che mi sento congelare sul posto.
«Cosa aspetti, scemo? Fuga!» strilla Lattuga e scappiamo lontano a gambe all’aria, ma il barbone
non vuole rincorrerci.
All’improvviso, la pioggia. Ci beccheremo di sicuro un raffreddore!
Così, tutti i lavoratori che oggi hanno il giorno libero, le mamme che stanno a casa dai figli, i
grandiosi ragazzi che hanno impiccato vedranno due pazzoidi lanciati in corsa sotto la pioggia che
starnutiscono come motociclette.
Oggi Lattuga ha la febbre e dice di avere i capogiri. Io sono l’ultimo a credergli, ma non mi va di
litigare.
A me il casco! A me il carro armato! Oggi si va a scuola in motorino!
Oh, no, piove ancora!
Niente motorino, dunque. Andrò a piedi.
Cammino a testa bassa, quando una presenza mi blocca.
Ha cambiato posto questa volta.
Siamo lontani dalla scuola, eppure c’è, e tiene in mano la mia lattina di Coca Cola.
Lo guardo, ma lui ha gli occhi chiusi.
Si pulisce la barba con il palmo della mano, una mano grande, enorme e nodosa come una quercia.
«Grazie.» mi dice con un sorriso severo «Ieri avevo sete.»
Apre gli occhi e mi guarda, mi vede, mi osserva, mi scruta così profondamente che mi sento
congelare sul posto. Ha gli occhi grigi, ma non il grigio palloso dei giorni di pioggia, è il grigio
dell’asfalto bollente. Sono occhi veri, questi, forti.
«Abbiamo gli stessi occhi.» dice il barbone e io penso che non è vero. Non ho mai visto uno
sguardo così intenso. Ma lui mi legge nel pensiero: «Stesso grigio color asfalto.»
Non riesco a parlare, sottomesso e vergognoso di avergli tirato quella lattina ieri. Ora che faccio?
«Siediti.»
Seduti sulla strada, le macchine ci sfrecciano davanti.
«Il tuo nome è…»
«Simone.»
«Ieri mi sembravi un allegrone, Simone! Perché ora non parli?»
Non rispondo. Ma quanto mi ci vuole a mandare il nonnetto al Creatore e raggiungere gli amici al
bar?!
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La sua voce lenta riprende:
«A sedici anni ti senti potente, senti il mondo sotto di te, non è vero? Renditi conto, Simone, che il
mondo è attorno a te. Capisci?»
Ho la forza di annuire.
«Ti senti potente, ma non lo sei e quando arriva qualcuno più potente di te, vorresti sparire, ma non
puoi. È più frustrante la prima cosa o la seconda?»
Assurdo. Sto continuando a parlare con un vecchio pazzo. Perché lo faccio? È insensato, ma… mi
piace.
«Penso che sia più frustrante non poter fare una cosa quando si vuole, ma penso che sia uno schifo
credere di essere potenti, quando si è in realtà delle cicche stirate sull’asfalto.»
Il vecchio si illumina: «Risposta interessante.»
Pausa. Poi:
«Hai mai giocato a calcio, Simone?»
Ecco un’altra domanda assurda.
«Sì e sono anche bravo.»
«Ti va di giocare con me dopo la scuola?»
Anche se sbigottito, accetto ancora una volta e vado a scuola, trascorrendo il primo giorno senza
creare crisi d’isterismo a nessun professore.
Al ritorno ciondolo verso il campetto di calcio dietro l’oratorio.
Ricordo che da piccolo mio padre mi ci portava. Prendeva la palla di cuoio e diceva: “Pronto,
Simone? Vai, prendi la luna e spediscila in cielo!”
A calcio sono bravo, ma non ho mai pensato di giocare seriamente, e tantomeno avrei mai pensato
di giocare col primo che incontro per strada.
È vestito con i soliti vestiti di tutti i giorni, ma ha con sé un pallone.
«Scartami.»
Mi faccio avanti baldanzoso.
Tre passi, due di corsa, scarto a destra, a sinistra, rincorsa con piede a mezz’aria e… il piede rimane
a mezz’aria e intanto il barbone ha già fatto sparire la palla e ora si avvia verso la porta saltellando e
rimbalzando dietro alla luna.
Non ho tempo di imprecare, comincio a corrergli dietro, ma è troppo veloce. Zigzaga, sembra un
pazzo, un siluro mal pilotato, oscilla, rimbalza, scivola, per un momento sta per cadere, ma non
cade, è un ubriaco ma ha una meta. È lì, è davanti a lui, è contro di lui. Ed è goal.
«Hai trovato qualcuno più potente di te, Simone.» sorride, sazio di essersi mangiato la palla.
«Io ti batterò.» prometto.
Allenamento tutto il pomeriggio fino a tardi.
«Sbuccia la palla e mangiatela! Sbuccia la palla e mangiatela!» «Simone, quella palla è la
luna!Acchiappa la luna, Simone, adesso! Carpe lunam stante pede!!!»
Eh, no! Puoi battermi a calcio, ma non sopporto che mi si rinfacci la mia carenza in latino!
Glielo dico e lui ci fa su una risata. Poi è pensieroso. Gli occhi forti sono neri come la strada più
cupa.
«Perché voglio insegnarti a giocare a calcio?»
«Non saprei…»
«Sei uno che non si fa domande o che non ha voglia di cercarsi le risposte?»
«Entrambe le cose, penso…»
«Se pensi, te ne fai di domande…» mette una mano in tasca e prende una sigaretta «Ho insegnato a
giocare a calcio a mio figlio. Litigammo per una stupidaggine e non lo vidi più. Seppi dopo qualche
mese che era morto chissà come. Ancora oggi sogno di raggiungerlo, ma più tendo la mano e meno
ci arrivo, più tendo il piede e più calcio a vuoto.
Realizzeresti un sogno per me?»
Lo guardo negli occhi. Abbiamo gli stessi occhi.
«Sì.»
3
«Giocheresti una partita a calcio vera? Non quelle che si vedono alla televisione, io voglio una
partita vera.»
Trascorro la mattina dopo a reclutare gente per dare al barbone la sua partita vera.
«Ho sentito che stai organizzando un torneo di calcio.»
Mi volto: è Valeria, ma perché è così rossa in faccia?
«Sì.» rispondo spiccio.
«Vorrei partecipare…»
«Sei una femmina e non sei capace…»
Valeria se ne va. Sembra che pianga, ma arrivata alla porta della classe si gira, lancia in aria la sua
merendina per l’intervallo, solleva il piede, colpisce la merendina che mi si spatascia sulla schiena,
facendomi un gran male.
«Ma che diavolo…»
«Allora, Simo, posso giocare?»
“Ringrazia che sei una ragazza, se no stavi legata alla lavagna a testa in giù!”
«Visto che non troviamo proprio nessuno… ci manca giusto quel buco… se ci tieni tanto… ma è
perché sono buo…»
Valeria fa una faccia esasperata, della serie “Ho vinto contro un allocco” e se ne va.
È notte e sto dormendo della grossa.
Stavo dormendo della grossa!
«Lattuga! Perché mi hai svegliato!?»
Lattuga mi si fa vicino vicino e per la prima volta vedo i suoi occhi in mezzo ai ciuffi d’insalata:
«Io e i ragazzi abbiamo organizzato un colpo grosso.»
«Oh, no! Un altro tentativo di svaligiare il Mc Donald?»
«Ma no! Questa volta si fa sul serio! L’obiettivo è una gioielleria!»
«COME?!»
«È organizzato tutto per domani notte. Gaspar ha un complice alla gioielleria»
L’occasione della tua vita. È qui, è davanti a te, è con te, è contro di te. Ci pensi, Simone?, dice
l’omino nel cervello Una gioielleria vera!
«Mi dispiace, Lattuga, ma ho chiuso con queste cose.»
“E poi c’è la partita vera del vecchio, domani sera.”
Bum! È la vetrata della gioielleria che si sfonda.
Fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiith! È il fischio d’inizio.
Niiiiiinooooooooniiiiiiiiiinoooooooo È la sirena della polizia.
Punf spunf spanf GOAL!!! È Valeria che ha segnato.
Fuori fuori fuori! È Lattuga che scappa con la refurtiva.
Smack È Valeria che mi bacia a tradimento.
Bang bang bang bang È il poliziotto che spara a Lattuga.
Fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiith È il fischio di fine primo tempo.
Tonf È Lattuga che cade nell’asfalto.
«Come sta?» grido.
«Benone. Ha già cominciato a tirar matta la mia collega, non preoccuparti.»
«Posso vederlo?»
«Va’»
Entro nella stanza d’ospedale di Lattuga.
«Come va?»
«Me la cavo. Piuttosto tu, perché hai lasciato a metà la tua partita per portarmi qui?»
«Avevo un presentimento.»
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Lattuga scuote la testa:
«Nostro padre amava il calcio. Diceva sempre che giocare è prendere la luna al rimbalzo. Perché hai
lasciato la luna?»
«Perché potevi morire!»
«Quella partita non la rivivrai mai più.»
«Potevo perderti!»
«Anche noi abbiamo perso nostro padre, ma il calcio è rimasto. Ho sbagliato tutto a provare con
quella gioielleria. Promettimi che continuerai a giocare e io prometto che sarò un bravo ragazzo.»
«Lattuga…»
«Lo sai chi è quel vecchio barbone che hai colpito l’altro giorno con la lattina di Coca-Cola?»
«No.»
«È uno che a suo tempo aveva detto a nostro padre “Carpe lunam stante pede!”»
«Come lo sai?»
«È passato a salutarmi. Ha detto che ora deve andare per sempre.»
Me ne vado anch’io.
Arrivo all’angolo dove il barbone sta sempre.
Non c’è.
Ha preso la luna. Chi prende la luna non vuole più tornare indietro.
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