Schema - Piazza della Resistenza

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Schema - Piazza della Resistenza
Caratteristiche generali
Il libro di Ester racconta una vicenda che sarebbe accaduta ai tempi dell'impero persiano. Alla
fine dell'esilio (538 a.C.) molte famiglie ebraiche non erano ritornate in patria, ma erano rimaste
nei territori dove erano state deportate. Qui sorgevano spesso contrasti con le popolazioni locali,
perché gli Ebrei seguivano usanze e modi di vivere diversi dagli altri.
Spesso queste rivalità sfociavano in vere e proprie persecuzioni.
Il libro di Ester parla appunto del successo ottenuto dagli Ebrei in una di queste.
Ester, una ragazza ebrea, fu presa in sposa dal re di Persia e divenne regina. In quel tempo il
primo ministro persiano, Aman, per rivalità contro un funzionario ebreo, aveva organizzato una
persecuzione antiebraica. Ester riuscì a ottenere dal re che gli Ebrei potessero resistere con le
armi. La data del loro sterminio era stata fissata da Aman estraendola a sorte. Ma, per merito di
Ester, la situazione si capovolse e il giorno sorteggiato vide il trionfo degli Ebrei sui loro
persecutori. A ricordo di questo evento - dice il finale del libro - fu istituita una festa, chiamata dei
"purim" cioè delle "sorti", che gli Ebrei celebrano in primavera.
Autore e ambiente storico
Secondo alcuni studiosi, il libro di Ester fu scritto verso la fine del Il secolo a.C. Il suo scopo è
quello di infondere coraggio negli Ebrei, invitandoli, quando sono perseguitati con violenza e senza
ragione, a tentare ogni via umanamente possibile per difendersi. L'aiuto di Dio non è escluso (vedi
4,14), ma il libro incoraggia soprattutto l'impegno umano di resistenza.
Ricorda agli Ebrei, che in quel tempo avevano perduto ogni speranza di indipendenza, il diritto alla
libertà alla difesa della loro identità.
Ma la vicenda narrata fa anche riflettere su dramma della violenza che genera violenza.
Schema
- Antefatto:Vasti offende il re Assuero cap. 1
- Ester diventa regina di Persia 2,23
- Aman decide la rovina degli Ebrei 3,1-15
- Ester ottiene dal re la salvezza degli Ebrei 4,1-6,1
- Il trionfo degli Ebrei 7,1-10
Personaggi:
- Mardocheo, lo zio di Ester (lavorava a corte del re)
- Ester (nome ebraico: Adassa, mirto)
- Assuero, il re persiano successore di Nabucodonossor
- Aman, promosso dal re a più alta carica dell’Impero
Capitolo 2 (Ester nell’harem del re)
A quel tempo abitava in Susa un Ebreo della tribù di Beniamino, di nome Mardocheo,
discendente di Iair, di Simei e di Kis. Era uno di quelli che il re di Babilonia
Nabucodonosor aveva deportato da Gerusalemme insieme con il re di Giuda Ieconia.
Egli era il tutore di una ragazza, orfana di padre e di madre, figlia di un suo zio. Il nome
della ragazza era Adassa, ma tutti la chiamavano Ester. Essa era bellissima e
affascinante. Dopo la morte del padre e della madre, Mardocheo l'aveva presa con sé
come una figlia. Quando fu dato l'ordine di radunare a Susa ragazze per l'harem, anche
Ester fu portata a corte e affidata a Egai, il sorvegliante delle donne. Ester gli piacque
molto e conquistò le sue simpatie. Egai le diede subito l'occorrente per curare la sua
bellezza, le assegnò un trattamento speciale, le mise a disposizione sette serve, scelte fra
le migliori della corte, e la sistemò con loro nella parte più confortevole dell'harem.
Ester non aveva detto che era Ebrea e non aveva parlato della sua famiglia, perché
Mardocheo le aveva ordinato di non dire niente. Lui poi passava ogni giorno davanti al
cortile dell'harem per sapere come stava Ester e se la trattavano bene. Secondo il
regolamento dell'harem, ogni ragazza andava dal re Assuero quando era il suo turno, alla
fine di dodici mesi di preparazione. Per sei mesi doveva fare massaggi con olio di mirra,
per altri sei doveva far uso d balsamo e altri cosmetici. Quando finalmente la ragazza
lasciava l'harem per andare da re, le venivano dati tutti gli ornamenti che chiedeva di
portare con sé. Andava alla sera la mattina ritornava in un altro reparto del l'harem
diretto dall'eunuco di corte Saasgaz, i quale sorvegliava le donne che erano già stata con
il re. Esse non tornavano più dal re; solo se una gli piaceva molto la mandava a chiamare
per nome. Quando venne il suo turno, Ester (figlia d Abicail, zio di Mardocheo che
l'aveva adottata) prese soltanto quello che le aveva consigliato Egai, l'eunuco custode
delle donne. Essa conquistava l'ammirazione di tutti quelli che li vedevano. Ester fu
condotta alla corte del re Assuero nel settimo anno del regno, nel decimo mese, o mese
di Tebet. Il re preferì Ester a tutte le donne che erano già state con lui. Essa
conquistò la sua benevolenza e la sua simpatia più di ogni altra ragazza. Perciò il re
le mise in testa il turbante regale e la nominò regina al posto di Vasti. In onore di
Ester il re fece un grande banchetto per tutti i principi e funzionari, proclamò un
giorno di festa in tutte le province e distribuì molti doni con generosità regale.
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Capitolo 3 (Aman decide la morte degli ebrei)
Per ordine del re tutti i funzionari in servizio a corte dovevano riverire Aman con la
genuflessione e l'inchino. Solo Mardocheo non si inginocchiava e non si inchinava mai.
Gli altri funzionari di corte chiedevano a Mardocheo: "Perché trasgredisci gli ordini del
re?". Essi gli facevano questa osservazione tutti i giorni, ma lui non li ascoltava
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dichiarandosi Ebreo. Allora lo denunziarono ad Aman per vedere se questa
giustificazione era valida. Aman vide che davvero Mardocheo non si inginocchiava e
non si inchinava al suo passaggio, e si irritò moltissimo. Quando seppe a quale popolo
apparteneva Mardocheo, Aman non si accontentò più di volere la morte di lui solo, ma
progettò di sterminare tutti gli Ebrei dell'impero insieme con lui.
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FILM: al minuto 57
Capitolo 5 (Ester invita a banchetto il re ed Aman)
Tre giorni dopo Ester si vestì da regina e si recò nel cortile interno della reggia, davanti
alla sala del trono. Il re era seduto su trono di fronte alla porta d'ingresso. Appena vide
la regina Ester, in piedi nell'atrio, fu beni impressionato dalla sua presenza e stese verso
di lei lo scettro d'oro. Ester si avvicinò e toccò la punta dello scettro. Il re le disse:
- Ester, mia regina, che desideri? Avrai quel che vuoi, fosse anche la metà del mio regno.
Essa rispose:
- Ti prego di accettare l'invito al banchetto che oggi ho preparato per te e Aman.
Il re ordinò:
- Avvertite subito Aman di prepararsi per l'invito di Ester.
Così il re e Aman andarono al banchetto preparato da Ester.
Mentre si bevevano gli ultimi bicchieri di vino il re disse:
- Ester, chiedi quel che vuoi e l'avrai! Qual'è il tuo desiderio? Per farti contenta ti darei
anche metà del mio regno!
Ma Ester rispose:
- Che cosa posso chiedere? Se vuoi farmi piacere, o mio re, se proprio vuoi
accontentarmi, ebbene, domani, tu e Aman tornate a banchetto da me. Ti dirò domani
quel che desidero.
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(Aman vuole far uccidere Mardocheo ma mentre va dal re per dirglielo lo stesso re sta
pensando come ringraziare Mardocheo per avergli salvato la vita)
Capitolo 7
Il re e Aman andarono al banchetto della regina Ester. Anche questa volta, alla fine del
pranzo, il re domandò a Ester:
- Mia regina, allora qual'è la tua richiesta? Quel che desideri te lo darò. Per farti contenta
ti darei anche la metà del mio regno. La regina Ester rispose:
- Se mi vuoi accontentare e ti pare giusto, ecco quel che ti chiedo: salva la mia vita e la
vita del mio popolo, perché ci hanno venduti e destinati allo sterminio! Se io e il mio
popolo fossimo venduti come schiavi, la cosa non sarebbe così grave. Non avrei
disturbato il re, avrei taciuto. Ma c'è uno che ci vuole rovinare e far morire!
Subito il re domandò a Ester:
- Ma chi ha osato decidere una cosa simile? Dov'è quest'uomo?
- Eccolo! - rispose la regina. - Il nostro nemico, l'uomo che ci odia è il perfido Aman.
Sotto lo sguardo del re e della regina Aman era sconvolto. Il re si alzò da tavola
infuriato e uscì in giardino. Aman capì che il re aveva ormai deciso di condannano e si
fermò a supplicare Ester di salvargli la vita. Ester era sdraiata sul divano. Aman le si era
appena avvicinato quando il re rientrò nella sala. Lo vide e gridò: "Quest'uomo vuole
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addirittura far violenza alla regina in casa mia, davanti ai miei occhi!". Con questa parola
del re, Aman era ormai condannato.
Un funzionario del re, un certo Carbona, aggiunse: "C'è di più: Aman ha fatto piantare
in casa sua un palo alto venticinque metri. Voleva farvi impiccare Mardocheo, che aveva
salvato la vita al re". Il re ordinò: "Impiccate Aman su quel palo!". Così impiccarono
Aman al palo che lui stesso aveva innalzato per Mardocheo e l'ira del re si calmò.
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Insegnaci dunque a contar bene i nostri giorni,
per acquistare un cuore saggio.
Come molti grandi della storia, Ester si presenta come una figura molto
umile, un'orfana ebrea vissuta durante la deportazione di Israele. In quattro
anni la sua posizione cambia radicalmente ed Ester raggiunge il massimo del
livello sociale: diventa la regina di una grande potenza mondiale, un ruolo che
riesce a vivere saggiamente.
Il racconto che troviamo nella Bibbia è ambientato al tempo delle guerre
tra i persiani ed i greci nel palazzo suntuoso dell'impero persiano al tempo di
Serse I (486 - 465 a.C.).
Arazzi di cotone finissimo, bianchi e viola, stavano sospesi, con cordoni di
bisso e di porpora, ad anelli d'argento e a colonne di marmo. C'erano divani
d'oro e d'argento sopra un pavimento di porfido, di marmo bianco, di
madreperla e di pietre nere. Si offriva da bere in vasi d'oro di svariate forme, e
il vino alla corte era abbondante, grazie alla liberalità del re. Tutto questo
viene descritto nel libro di Ester 1:6-7.
Grande è l'importanza data a questa donna: il suo nome viene
citato nella Bibbia ben 55 volte. Il nome di nessun'altra donna è ripetuto
così spesso. Soltanto Sara si avvicina; il suo nome appare come Sara 35 volte
e come Sarai 16, .
La regina che ha preceduto Ester si chiamava Vasti, una bella donna
nobile che ha avuto l'audacia di contraddire un ordine irragionevole del marito.
Durante una lunga festa nella quale aveva bevuto molto, il re Assuero ordinò a
sette eunuchi di convocare la regina Vasti davanti a lui per far sfoggia di fronte
ai principi della sua bellezza. Vasti rifiutò e il re ne fu irritatissimo... l'ira
divampò in lui.
Ma proprio il rifiuto di Vasti ha permesso l'entrata di Ester nella storia.
La ragazza (allevata dal cugino Mardoccheo, un Beniaminita, addetto alle porte
del palazzo del re) viene notata per la sua bellezza e condotta con le altre
giovani vergini di bell'aspetto nell'harem del re, come aspirante al posto della
regina Vasti.
Tra tutte le ragazze radunate a Susa, probabilmente solo Adassa (nome
ebraico di Ester) non adorava gli idoli. Istruita come una figlia da Mardoccheo
probabilmente aveva conosciuto da lui le verità riguardanti l'Iddio Altissimo,
l'Eterno.
Una volta davanti al re, Assuero amò Ester più di tutte le altre donne. La
ragazza trovò grazia e favore agli occhi di lui più di tutte le altre vergini. Egli le
pose in testa la corona reale e la fece regina al posto di Vasti.
Divenuta regina, il suo nome è stato cambiato da Adassa, (il mirto) in Ester (la
stella).
E ben presto ha svolto un ruolo non comune nelle vite della sua gente,
minacciata dalla distruzione. Ester si è dedicata, non al piacere, alle comodità
ed ai lussi del più suntuoso palazzo del tempo, ma alle aspirazioni, alle
speranze ed alle ambizioni della sua gente.
Quando Ester è diventata regina, il re Assuero ignorava che fossa
giudea, per lei fa una grande festa e sgrava di tasse i popoli dominati. Tutto
questo perché è stato attratto dall'amabilità e dalla bellezza di Ester.
Pensando a lei, possiamo supporre che in questo palazzo magnifico si
muovesse con dignità e splendore, portando abiti d'oro, gioielli di ogni sorta
che spiccavano tra i suoi capelli e accanto agli occhi raggianti dalla meraviglia
per ciò che le stava capitando. Possiamo immaginare che presto ha ipotizzato
di essere stata posta a tale condizione non a caso, ma per un grande scopo.
La regina Ester ha guadagnato il favore della gente che la circondava,
per:
• la sua saggezza,
• l'autocontrollo
• la capacità pensare ad altri prima che a se stessa.
Nel frattempo Ester scoprire che Aman, il favorito del marito, odia la sua
gente. Da scrittori ebrei moderni Aman è stato descritto come un tipico Hitler,
pieno di odio al punto da ordire un diabolico piano per distruggere tutto un
popolo solo per orgoglio ed ambizione personale.
Di fronte alla malvagità di Aman si oppone ed agisce il coraggioso di Ester,
pronta a difendere la sua gente anche a costo della propria vita.
Ester è afflitta per lo scontro in corso tra lo Mardoccheo e Aman, ma si rende
però conto che deve agire subito e con saggezza.
Un messaggio da parte del cugino la mette infatti di fronte alla sua
responsabilità:
"Infatti se oggi tu taci, soccorso e liberazione sorgeranno per i Giudei da
qualche altra parte; ma tu e la casa di tuo padre perirete; e chi sa se non sei
diventata regina appunto per un tempo come questo?" (Ester 4:I4)
Ester è risoluta: donna saggia e prudente, digiuna per tre giorni
e coinvolge in questo non solo le sue serve, ma anche tutto il popolo
ebreo che si trova nella città di Susa. Di fronte alla distretta tutto il
popolo digiuna e, senz'altro anche se non è scritto, prega.
Poi, Ester si prepara ad andare da suo marito per adoperarsi per la sua gente.
Se il re, un uomo molto volubile, fosse stato di buon umore, ce l'avrebbe fatta,
sennò, avrebbe potuto perdere oltre alla causa anche la sua stessa vita.
Mentre Ester si preparata a comparire davanti al re, fa la dichiarazione
più coraggiosa mai fatta da una donna nella Bibbia: "Se io debbo perire, che
io perisca! " (Ester 4:16),
L'Eterno ricompensa l'abnegazione e l'ubbidienza.
Tutto è nelle Sue mani; il piano di salvezza e la forza di compierlo viene solo
da Lui. Ester è una donna coraggiosa, ferma ma soprattutto possiede una fede
sincera e una dedizione alla causa della sua gente.
INTERVISTA ALLA PROF.SSA Cettina Militello
STUDENTESSA: Ringraziamo la professoressa Cettina Militello per
essere qui con noi. Ora introduciamo l'argomento con una scheda
filmata.
È una collocazione rigidamente definita quella della donna nell'Antico
Testamento? E rigidamente definita, entro i limiti di una cultura patriarcale, è
la sua subordinazione all'uomo? D'altra parte, anche il Nuovo Testamento ha
non poche ombre a questo riguardo. Suonano davvero inquietanti molte delle
parole pronunciate da San Paolo nel tempo della sua predicazione. Una per
tutte, perentoria come una sentenza, nella Prima Lettera ai Corinzi: "Capo
della donna è l'uomo". Ma è lo stesso San Paolo, in un altro passo, a
riconoscere "l'uguaglianza di natura e dignità dei due sessi": "Come la donna
deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna". Nel racconto evangelico la
presenza della donna è significativa, spesso rivelatrice. Non solo le donne sono
al seguito della predicazione di Gesù, come si legge, ad esempio, nel Vangelo
di Luca, ma diventano assolutamente fondamentali nei giorni della sua
Passione e Resurrezione. Ai piedi della Croce, estrema compagnia del Cristo in
agonia, c'è un piccolo gruppo di donne. Queste testimoni della Passione di
Gesù custodiscono le sue ultime parole, raccolgono il suo grido: "Dio mio! Dio
mio! Perché mi hai abbandonato?". E, come racconta il Vangelo di Giovanni, è
a Maria di Magdala, prima di chiunque altro, che appare il Cristo Risorto:
"Donna perché piangi?". Dunque, l'interrogazione sul posto delle donne nelle
Sacre Scritture non finisce, al contrario si arricchisce di nuovi problemi, di
nuove domande, e di nuovi contributi. Quelli, ad esempio, di un'esegesi e di
una teologia femminile che va ripensando la collocazione della donna nella
Bibbia e soprattutto il suo posto nella comunità cristiana.
STUDENTESSA: Quanto, secondo Lei, questa figura della donna così
sottomessa, che emerge dalla Bibbia, ha influenzato la cultura
moderna e soprattutto ha legittimato l'atteggiamento di alcuni uomini
nei confronti delle donne.
MILITELLO: Bisogna rovesciare la domanda, perché il fatto religioso non
condiziona la cultura. È piuttosto la cultura all'interno della quale si vive il fatto
religioso. E allora, se mai, dal mio punto di vista, l'esperienza religiosa ha
pagato un eccessivo tributo ad una cultura androcentrica e patriarcale. Detto
altrimenti, noi potremmo pensare che la subordinazione e la soggezione della
donna dipende da quanto la Scrittura afferma. La Scrittura traduce quello che è
la considerazione culturale che della donna si ha in quel determinato tempo.
Difatti a una lettura più attenta si constaterà come sovente la Scrittura
contraddice la cultura e apre delle interpretazioni, delle prospettive di lettura,
che poi sono quelle sulla cui base, speriamo, prima o poi, secondo gli
antropologi da qui a un trecento anni, se la tendenza non subisce mutazioni,
finalmente dovremmo arrivare ad una parità tra uomo e donna.
STUDENTESSA: Possiamo individuare delle tipologie femminili
ricorrenti nell'Antico Testamento?
MILITELLO: Certamente. Nell'Antico Testamento noi abbiamo
fondamentalmente una tipologia che si iscrive nelle cosiddette strutture di
"mediazione salvifica", cioè all'interno dell'esperienza del popolo d'Israele
abbiamo alcune figure che sono chiamate ad esercitare la profezia, la regalità,
il sacerdozio. Fatta eccezione per il sacerdozio, che non prevede neanche il
vocabolo femminile, abbiamo profetesse e abbiamo regine. La figura più
interessante è quella delle profetesse, il che sta a dire che la gratuità dello
spirito, che sta a monte della profezia, viene elargita, come dice la Bibbia - e
vuole dire su tutte le persone, senza distinzione - viene elargita "a suon di
carne". La Scrittura usa il termine "carne" (basar), per dire la totalità
dell'essere umano. Però un capitolo molto interessante, per quanto riguarda
l'Antico Testamento, è dato dalle matriarche, queste figure singolari delle
compagne dei patriarchi, la cui epopea la Bibbia ci narra, e che acquisiscono un
ruolo di vere e proprie protagoniste, soprattutto nel passaggio che va da
Abramo a Giacobbe. Queste donne contano. C'è la stupenda figura di Sara, la
mamma di Isacco, la quale addirittura ci testimonia quell'ironia che la
letteratura contemporanea riconosce come caratteristica delle donne del porsi
nei confronti del reale. E Sara ha il coraggio di ridere. Ormai è in menopausa,
le dicono che aspetta un figlio, giustamente dice: '"Ma questo è matto!" e ride
tranquillamente. Quindi non figure ingessate, ma figure capaci, appunto, di
ridere di se stesse: "Il mio Signore verrà da me, adesso che sono così vecchia,
così avanti negli anni, che il mio grembo ormai è sterile?". Per dire, questa
capacità di autoleggersi, con tutta franchezza, appunto con ironia. Così come è
interessantissima la figura di Rebecca, che, prediligendo il figlio Giacobbe, fa
passare su di lui la linea della primogenitura. E, diciamo, meno forti delle
matriarche, ma riconducibili a questo ruolo di partnership, troviamo anche altre
donne all'interno della Scrittura. La stessa cosa potremmo dire proiettandoci
anche nel Nuovo Testamento, anche se le tipologie sono meno chiare e meno
evidenti.
STUDENTESSA: Quali sono le novità introdotte dal Nuovo Testamento?
C'è una rottura con la visione passata?
MILITELLO: Allora, la rottura c'è, però bisogna mettersi nell'ottica delle diverse
fasi che ci testimonia lo stesso Antico Testamento. Io ho una mia teoria: cioè i
momenti di fondazione o di rifondazione del fatto religioso sono sempre nel
segno di una partnership, mentre la codificazione "legalistica", comporta la
rottura di questa partnership, che poi è quello che vediamo anche nei momenti
forti dell'umanità, non so rivoluzioni, guerre. Nel momento forte o rifondativo
dell'ethos di un popolo, uomini e donne stanno a fianco, poi, appena si finisce,
si esce dall'emergenza, gli uomini si riprendono il posto che, secondo loro, è
loro dovuto. Quindi bisognerebbe, nell'Antico Testamento, verificare come va
cambiando in realtà questo modello. Non è un modello univoco. Certamente
nella fase che prepara il Nuovo Testamento, negli ultimi libri dell'Antico
Testamento, malgrado emergano dei modi femminili di dire Dio, per esempio la
sapienza, per esempio lo spirito, tutte e due sono termini femminili nel lessico
di Israele, diciamo che le donne ormai sono ingessate in tutta una rete di
precetti che veramente le chiudono e impediscono loro una soggettualità dal
punto di vista religioso. Pensate, per esempio, che nella prassi della Sinagoga
le donne stanno separate dagli uomini e non è qualcosa che abbiamo inventato
adesso, ma è qualcosa appunto di originario nel segno di questa separzione.
Quello che Gesù innova è il fatto che - ma qualcosa del genere avviene nel
giudaismo extratestamentario, per esempio, a suo modo, anche nelle comunità
esseniche - accetta le donne alla sua sequela. Noi sappiamo, è stato ricordato
nella presentazione, il testo di Luca: 8; 1-3, che c'erano delle donne che lo
seguivano, ma queste donne che lo seguivano, non soltanto prestavano,
diciamo, il supporto che le donne, soprattutto ricche, prestavano alle strutture
religiose ebraiche - una sorta di protettorato, erano degli sponsor, mettevano a
disposizione mezzi, eccetera -, ma queste donne partecipano proprio del
ministero, soprattutto del ministero galilaico, cioè dell'incedere di Gesù,
predicando il regno di Dio, per le strade della Galilea. E queste donne salgono
con lui a Gerusalemme e poi, soprattutto nei fatti della Passione e della
Resurrezione, noi vediamo emergere la parità di queste donne. Se vogliamo
poi riandare ad uno schema e dire, così, in un modo molto sintetico, che cosa
Gesù innova, sono tre i tabù che Gesù praticamente demolisce: il tabù
dell'impurità sessuale. Credo che sappiate che una donna mestruata era
considerata impura. La legge regolava rigorosamente i rapporti. Sappiamo
tutti, uomini e donne, quanto sia utopico il modello di una donna
perfettamente regolare. Quindi pensate di quanti problemi, non solo a livello di
sfera religiosa, ma anche a livello di sfera familiare e civile, comportasse una
donna che era in condizione di impurità. Non poteva far da mangiare, non
poteva avere rapporti anche verbali. Quindi dal punto di vista del rapportarsi
era il caos. E l'episodio dell'Emoroissa, detta così per pruderie, in realtà è una
donna che ha perdite di sangue, e il fatto che la potenza di Gesù la guarisca
sta a significare che questo tabù è spezzato. L'altro tabù è quello della minorità
della donna. Tutto il mondo antico ha considerato la donna nel segno della
imbecillitas, per usare una parola latina, o astenia, come la chiamano i Greci.
La donna è fragile, è debole, eccetera, eccetera. Lo è per natura. Bene, le
donne che stanno con Gesù, dimostrano che non sono fragili né dal punto di
vista intellettuale, né dal punto di vista fisico, visto che compartecipano questa
vita, che è quella di un gruppo carismatico, di un gruppo che procede senza
particolari comfort, o senza particolari "riguardi" per le donne. E poi infine vede
riconosciuta la soggettività giuridica delle donne. Le donne nel mondo ebraico
non potevano rendere testimonianza. E paradossalmente ad esse si mostra il
Risorto dicendo:"Andate a dire a ai fratelli, ai discepoli, l'evento della
Resurrezione". Per cui diciamo che la triplice sfera della minorità femminile,
nell'atteggiamento di Gesù di Nazareth, è completamente sconfitta. Un'altra
cosa molto simpatica ci viene dal linguaggio che usa Gesù. Per esempio,
proprio ieri, mentre mi occupavo di un'altra cosa, riflettevo sulla Parabola della
chioccia. Gesù dice a un certo punto di avere voluto radunare Israele come la
chioccia fa con i suoi pulcini: una immagine poverella, addirittura indecorosa
per un profeta, per un rabbi. Cioè, voglio dire che il linguaggio di cui si serve
Gesù è un linguaggio che attraverso le parabole assegna una soggettualità alle
donne e addirittura arriva a servirsi di metafore femminili, pure risibili e
discutibili, visto che la chioccia non è esattamente un paradigma con il quale si
stabilisce normalmente un confronto, un paragone.
STUDENTESSA: Come possiamo interpretare il fatto che il primo
miracolo di Gesù alle Nozze di Cana, secondo il Vangelo di Giovanni, sia
stato sollecitato proprio da una donna?
MILITELLO: Il racconto delle Nozze di Cana è un racconto enormemente
complesso, dove la teologia biblica, che mette al centro dell'episodio la figura
di Maria, costruendo, così, il tema del ruolo della Madre di Gesù. Infatti,
l'episodio comincia con il verso iniziale: "E c'era la madre di Gesù". Però, in
realtà, il brano di Cana è uno dei più interessanti perché mostra il superato
contrasto uomo-donna. Quelle di Cana sono le nozze che il Messia, il Re,
stringe definitivamente con il suo popolo. Allora noi abbiamo Maria, la Madre,
gli sposi per i quali si fa la festa, a cui Gesù, che non è una persona di quelle
allampanate, non è un'asceta alla maniera di Giovanni, va con i suoi discepoli e
quindi partecipa alla loro gioia. Però, in questo gioco di protagonisti reali, c'è
anche il gioco di protagonisti simbolici, e cioè il popolo di Dio, che è il nuovo
popolo che partecipa al banchetto messianico, gioisce del vino, che è segno
della gioia delle nozze e Gesù che ripropone la figura veterotestamentaria di
Dio come sposo di Israele. Intendiamoci, non è che tutto sia così pacifico,
perché l'immagine delle nozze è una immagine ambigua, perché la cultura
patriarcale elegge la donna nel segno della soggezione. Però, per il momento,
fermiamoci a considerare il fatto gioioso, perché anche in una cultura di
soggezione, le nozze sono sempre un fatto di gratuità e di dono. C'è una
poesia delle nozze che la Bibbia attesta. Pensate, per esempio, al Cantico dei
cantici. Comunque, in particolare, lì c'è Maria che Giovanni interpreta, sì, come
la madre di Gesù, ma soprattutto come simbolo della comunità messianica,
come simbolo della chiesa, e interloquisce con lui. Ed è molto bello questo
dialogo tra personaggi, che apparentemente non parlano tra di loro o
addirittura che non si comprendono. Gesù usa addirittura quell'espressione
forte, che, per quanto ci si sforzi di interpretare, rimane sempre di una
crudezza pazzesca: "Che cosa c'è tra me e te, o donna?". In realtà il problema
di Gesù è che non vuole ancora dare inizio, non vuole svelare la sua identità di
Messia. Ma il tempo è pronto. E Maria di Nazareth viene scelta da Giovanni
proprio per significare - come devo dire - l'elemento catalizzante, dirompente,
quello che quasi costringe Gesù ad operare il primo dei due segni. Difatti,
malgrado apparentemente Gesù sembra aver deciso di andare per la sua
strada, poi, di fatti, fa quello che la Madre gli chiede, cioè venire incontro,
pensate, ad un bisogno minimo, perché che il vino ci fosse o non ci fosse, visto
che avevano già bevuto abbondantemente, poteva pure sembrare un piccolo
dettaglio, ma non nella compiutezza della gioia, non nella compiutezza delle
nozze messianiche, nelle quali il vino che, per la sua trasformazione, per la sua
fermentazione, simboleggia la presenza dello spirito, viceversa è necessario,
ed è necessario in grande quantità.
STUDENTESSA: Le citazioni di San Paolo, nelle Lettere, non fanno un
passo indietro rispetto alla nuova visione espressa nel Vangelo da
Gesù?
MILITELLO: Allora, consentitemi una premessa, che, se fatta con termini
tecnici, sarebbe un poco complicata, quindi la faccio in modo più semplice. Noi
non dobbiamo metterci davanti alla Scrittura - probabilmente lo sapete già -
leggendola in modo piatto. Ma nella Scrittura vanno ricercate quelle che
chiamiamo "le tradizioni", cioè le diverse fasi compositive, la stratificazione del
testo. È un lavoro che ormai facciamo anche con i testi classici. Bene, questa
lettura delle tradizioni ci mette di fronte, nel Nuovo Testamento, ad una
constatazione, che vale, in parte, anche per l'Antico Testamento: c'è quella che
potremmo chiamare una tradizione delle donne, che i testi non sempre
recepiscono così come ci sono giunti. Però, siccome le donne ci sono sempre
state e per quanto si prova a cancellarle, non ci si riesce a cancellarle del tutto
veramente, allora, ad un esame più attento, noi scopriamo queste tradizioni
delle donne, che poi sono quelle che ci hanno tramandato, per esempio, gli
episodi della Passione, della Resurrezione, e così via. Per quanto riguarda Paolo
intanto noi ci troviamo non ad un corpo, che è scritto dalla medesima persona,
ma ci troviamo di fronte, ad un crescendo di fasi che ci mettono dinanzi un
primo periodo, un secondo periodo e un periodo addirittura postpaolino, che è
quello de Le lettere pastorali. Allora noi abbiamo attestato il momento nel
quale Paolo è testimone della parità di uomini e donne, di quella che si chiama
con parola propria la partnership missionaria, cioè uomini e donne sedotti
dall'annuncio di Gesù, convinti che Gesù è risorto, e insieme testimoniano lo
zelo per il Vangelo, la passione per il Vangelo. Per esempio, che queste donne
ci fossero e fossero importantissime lo troviamo al Capitolo XVI della Lettera ai
Romani, che non soltanto ci raccoglie un elenco straordinario di donne, ma per
queste donne degli aggettivi, delle espressioni di stima, che, se fossero state
dette per maschi, li avrebbero fatti considerare dei personaggi eminentissimi
della Chiesa delle origini. A questa fase, che è quella in fondo sintetizzata dalla
Lettera ai Galati Capitolo 3 ,versetto 28: "In Cristo Gesù non c'è più né giudeo
né greco, né schiavo né libero, né uomo e donna", noi abbiamo il manifesto
della libertà cristiana, della parità cristiana. Tra l'altro, una cosa molto
interessante è che nella Scrittura uomo e donna sono espressi con tre termini
diversi. Abbiamo un termine che è quello, si dice, eziologico, cioè spiega il
significato del nome: Eva, madre dei viventi, Adamo il terroso. C'è quello che
io dico indica l'identità di sesso ed è il nome con il quale la Scrittura dice la
conformazione: la donna è la perforata, l'uomo è il puntuto. Quindi più chiaro
di così si muore. Bene, in Galati 3; 28, Paolo usa proprio questo termine, che
fa riferimento, diciamo, al discorso della morfologia sessuale. C'è ancora
un'altra distinzione nominale, che è quella che io chiamo della identità di
genere, ed è uomo - "uoma"(ovvero, alla lettera: "uomo dalla forma
femminile"), ossia, in ebraico, la distinzione 'ish - 'ishsha che, nel linguaggio di
Paolo, nella fattispecie, viene ad essere tradotto allorché Paolo parla dell'uomo
come ahnèr o come antropos. "Antropos" è il termine più totalizzante. Dunque
in Galati 3; 28 abbiamo indicato il discorso della identità sessuale con una
piccola variante. Mentre prima è detto "né ... né", "né greco né giudeo, né
schiavo né libero", la differenza, secondo Paolo, rimane: "Né ... e". Abbiamo un
uch - 'hai, cioè viene sancito il principio che non si dissolve la differenza, ma la
differenza rimane a significare in fondo il dono fondamentale che l'uomo e la
donna sono l'uno nei confronti dell'altro nel piano di Dio. Questo orizzonte che
accetta la differenza, anche se poi la argomenta secondo queste forme, se
vogliamo, pittoresche, cede invece in un'ulteriore periodo, che è quello nel
quale la comunità cristiana accetta il modulo culturale dominante. Lì arrivano i
brani che abbiamo visto scorrere e che forse sono quelli sui quali ci sarà ancora
qualche altra domanda. Non vorrei anticiparVi. Se viceversa, non ci sono
domande, relative alle frasi di Paolo, circa la soggezione della donna, allora, se
volete, posso anche continuare con questo discorso. Ho visto scorrere tra le
tante frasi quella che dice che la donna viene dall'uomo e che l'uomo è il capo
della donna. Paolo sta seguendo un'interpretazione rabbinica, che si lega alla
lettura di Genesi 1 e 2. Genesi 1 dice: "A immagine di Dio lo creò, maschio e
femmina li creò". E dunque mette di fronte la differenza di genere nella
reciprocità ed è stupendo. Mentre il testo di Genesi 2 racconta questa fatica di
Dio che prima plasma l'uomo, poi l'uomo non trova reciprocità, gli animali sono
tutti accoppiati, lui dà loro il nome, ma non trova uno che gli sia simile. Allora
la narrazione dell'operazione chirurgica, dal suo porre su Adamo e dell'uomo
tratto dalla costola. Bene, non si sa perché, nella interpretazione il primo
racconto, che è molto bello, molto liturgico, molto ottimistico - ritorna
continuamente il tema del bello e del buono -, è stato messo da parte, mentre
si è tutto costruito su questo secondo, tra l'altro immaginando che, per il fatto
che Eva è stata creata per seconda, per ciò stesso, sia, per natura, sottoposta
all'uomo. In realtà si è proiettato nel racconto quello che era la presunzione
che l'uomo aveva di sé. Difatti esiste - ed è simpaticissima - una cosiddetta
tradizione alternativa, che per esempio troviamo anche in Ambrogio di Milano,
che sostiene che la donna invece è superiore all'uomo, perché l'uomo è stato
fatto dalla terra, la donna è stata fatta dalla carne di Adamo. Adamo fu creato
fuori dal giardino, Eva è stata creata nel giardino, eccetera, eccetera. Vi
risparmio per dire come lo stesso fatto si prestava a interpretazioni diverse. E
comunque Paolo assume questa che è una delle interpretazioni rabbiniche
relative al rapporto uomo e donna.
STUDENTESSA: "Le donne sono sotto la croce del Golgota": è una
donna che annuncia la Resurrezione. Non crede che nella storia della
Chiesa la donna abbia un po' perso in qualche modo questa sua
centralità?
MILITELLO: Allora, la centralità dello stare al Golgota le donne non l'hanno
persa. Sono crocifisse e stanno con i crocifissi. Vedevo pocanzi, le abbiamo
viste insieme, le stupende immagini della madre di Pasolini, perché sapete che
il regista scelse la madre per interpretare Maria ai piedi della croce. E proprio
mentre guardavo le immagini pensavo che era una sorta di anticipazione di
quello che questa donna avrebbe poi sofferto quando, anziana, avrebbe dovuto
vedere il figlio morto tragicamente. Il Golgota le donne non lo hanno perso. Lo
hanno però, forse, ricevuto nella sua negatività, cioè nel peso di dolore, non
nella speranza di resurrezione che comporta. Quanto alla resurrezione, beh,
forse, di annunciare alla resurrezione hanno perso o per lo meno è difficile che
ci ricordiamo di loro come annunciatrici di resurrezione. Esco fuori dalla donna
nella Bibbia. Voglio dire che noi facciamo tutta una retorica della donna e della
vita, però, in realtà, non siamo poi coerenti. Ancora quindici giorni fa ascoltavo
a Roma Rigoberta Manciù, che narrava della strage che ha subito il suo popolo,
in particolare la sua famiglia. Ed era un moltiplicarsi di croci. Certo una donna
come Rigoberta Manciù a questo punto è anche figura dell'annuncio della
resurrezione. Con ciò voglio dire che purtroppo la retorica della vita, retorica,
spesso finisce con l'essere una sorta di catena, obbligata per le donne, le
circoscrive alla cura del corpo altrui e non assegna loro una soggettualità di
parola, una soggettualità di testimonianza, una soggettualità che incida nella
storia. Allora, a me va bene che ci siano state le donne al Golgota, tanto più
che tutti registrano che gli uomini se l'erano battuta e che stavano a guardare
da lontano, tranne Giovanni, che ovviamente colloca se stesso ai piedi della
croce, nel dialogo tra lui, Gesù e nell'affidamento a Maria. Ma è l'unico racconto
nel quale sappiamo della presenza, diciamo, di un maschio ai piedi della croce.
Per quanto riguarda la resurrezione credo sia rimasta come regola l'attitudine
dei discepoli che le prendono per matte. Dicono: "Il dolore ha fatto loro
perdere il senno". Vaneggiano, hanno visto un fantasma. Mi piacerebbe molto,
non soltanto come lettura della Scrittura, ma come traduzione quotidiana della
Scrittura, che le donne non incarnassero soltanto il dolore, dello stare ai piedi
della croce, ma fossero anche, significativamente e incisivamente, testimoni,
banditrici della Resurrezione.
STUDENTE: Ma in che cosa si differenziano le altre confessioni cristiane
rispetto alla visione della donna nelle gerarchie ecclesiastiche? Ad
esempio, nella Chiesa Valdese, la donna non ha un ruolo
fondamentale?
MILITELLO: Allora, è già stato detto qual è la differenza. Il ruolo fondamentale
è quello del ministero. La Chiesa Cattolica ritiene, per antica e veneranda
tradizione, che le donne non siano state chiamate da Gesù a far parte del
gruppo dei dodici e dunque, a seguire, del gruppo dei successori dei dodici, e
cioè degli apostoli, i vescovi e i loro collaboratori, i presbiteri. Per le chiese
evangeliche che, all'epoca della Riforma, hanno negato la sacramentalità
istituzionale del ministero - episcopato, presbiteriato, diaconato -, non è stato
poi così difficile, sia pure dopo secoli, mutata la condizione culturale,
riconoscere le donne come soggetti capaci del pastorato. Ma il pastore non è
nella comunità protestante, quello che il presbitero è nella comunità cattolica.
Il pastore è un fratello tra i fratelli, anche se c'è un rito di ordinazione, che in
qualche modo lo mostra alla comunità in questo suo ruolo. La teologia cattolica
legge altrimenti la teologia del sacerdozio. E dunque è questa la differenza
fondamentale. Però consentitemi di notare che, anche per quanto riguarda le
chiese protestanti, sono arrivate in questo nostro secolo ad ammettere le
donne al pastorato, cioè nel momento in cui, con il femminismo e con le sue
rivendicazioni, con l'acquisizione alle donne di diritti civili, è obbligatoriamente
cambiata anche la contestualità culturale. In particolare la Chiesa Valdese ha
messo le donne al pastorato solo dopo la Riforma del Diritto di famiglia,
perché, sino a quando stava scritto, nella nostra legislazione, che la moglie
segue il marito là dove egli decida di porre la sua residenza, Voi capite bene
che mancava la condizione perché una donna potesse essere pastore. Nel
momento in cui non è stato fatto più obbligo ai coniugi di avere la medesima
residenza e non è più vincolante l'opinione del marito relativamente a questo
fatto, allora anche le comunità valdesi, che sono state tra le ultime, peraltro,
hanno ammesso le donne al pastorato. La chiesa antica - ed è biblica la figura
- ha conosciuto le diaconesse, cioè delle donne le quali non sappiamo bene che
ruolo svolgessero nella comunità. Proprio la Lettera ai Romani comincia citando
una diaconessa. Non sappiamo quale fosse esattamente il ruolo di queste
figure, diaconi e diaconesse, nel Nuovo Testamento, e facciamo anche fatica a
capire il ruolo di questi diaconi e diaconesse, poi, nelle comunità dei padri. Di
certo - ed è interessante -, il diacono, alla lettera, è colui che serve, il
servitore. Quando scompare il diaconato maschile scompare anche il diaconato
femminile. E nella storia del cattolicesimo molto presto esiste un solo
ministero, che è quello presbiterale, e lo stesso vescovo è differente dal punto
di vista - come devo dire - giuridico, non dal punto di vista del sacramento
ricevuto. Tutto questo sarà poi, in parte, cambiato dal Concilio Vaticano II.
STUDENTE: Possiamo sostenere che la Chiesa Cattolica abbia avuto
uno sviluppo misogino nei confronti delle donne? Come e quando è
accaduto?
MILITELLO: La Chiesa Cattolica è un campione storico di misoginia come lo
sono altre religioni, che esistono sulla faccia della terra. Ho detto prima che il
problema è quello della cultura, e la Chiesa si adegua alla cultura, interpreta la
cultura. È molto difficile che la Chiesa viva in un rapporto conflittuale con la
cultura. Tra l'altro non dovete intendere qui cultura come lo sto usando, nel
senso in cui abitualmente lo si intende, di persone colte o di tendenza. Dovete
intenderlo nel senso antropologico-culturale, cioè come insieme organico di
temi, modelli e istituzioni. La Chiesa si esprime nelle forme della cultura.
Pensate, per esempio, che, quando, diventando il Cristianesimo religio licita,
viene meno la religione pagana, le insegne dei sacerdoti pagani passano quasi
immediatamente e naturalmente ai vescovi. Le prerogative che quella
determinata classe aveva nell'Impero Romano diventano le prerogative della
nuova classe. Quindi questo deve esser chiaro. Bisogna dire che il
Cristianesimo ha una sua parola colta, irresolubile aporia, cioè è
contraddittorio, perché mentre nega alle donne una visibilità, un protagonismo
sul piano della storia, riconosce l'assoluta parità di uomini e donne sul piano
della grazia. Ed è qui che il discorso fa corto circuito, perché proprio la
citazione di Galati 3; 28 : "In Cristo Gesù non c'è più né uomo né donna", sta a
significare che, di fronte alla redenzione, alla salvezza, che poi è la grande
categoria interpretativa del Cristianesimo, come di ogni fenomeno religioso,
non c'è differenza tra uomini e donne. Le donne hanno salvezza né più né
meno come ce l'hanno i maschi. E, siccome per i cristiani la salvezza è
diventare Cristo, le donne diventano Cristo né più né meno come ci diventano i
maschi. Per esempio, c'è una grossa differenza rispetto all'Islam, che non
considera la donna nella sua soggettualità religiosa. Anche Israele considerava
la donna come soggetto religioso, anche se non gli dava una soggettualità
religiosa pubblica. Però, a fronte di questa considerazione, che non c'è
differenza in ordine alla grazia, la differenza c'è poi in ordine alla storia, per cui
i grandi protagonisti saranno soltanto i maschi e le donne dovranno rosicchiarsi
uno spazio fondamentalmente in due modi: attraverso la santità, o attraverso
il riferimento al dono dello spirito. Saranno la mistica e la santità il banco di
prova delle donne e il modo in cui le donne faranno la storia. Guardate che la
fanno molto seriamente, perché tra l'altro la mistica e la santità sono anche
esercizio di sapienza. Bisogna pure dire un'altra cosa. Voi siete ragazzi colti e
dunque mi posso permettere queste battute: che senza il Cristianesimo
probabilmente noi non avremmo avuto le donne soggetto di cultura, perché la
forma che ci può sembrare più paradossale di segregazione femminile e di
riproposizione della esclusione o del marchio iscritto nella loro sessualità l'ascesi, la verginità, eccetera, eccetera -, diventa per le donne l'occasione di
vivere in una sorta di gineceo filosofico. Le donne studiano la Scrittura, le
donne scrivono, commentano, talora predicano. C'è Ildegarde de Duby, che fu
una grande predicatrice medioevale. Senza il Cristianesimo probabilmente
questi lussi non se li sarebbero permessi. Paradossalmente, quando le donne
nella storia della comunità cristiana escono dal chiostro e cominciano la vita
attiva allora viene negata loro la scienza e la sapienza. La loro mistica diventa
mistica di diavoli e di miracoli. Non so se mi sono spiegata. Cioè c'è una
mistica che è di tipo sapienziale, è fatta, sì, di esperienza con Dio, ma di
conoscenza di Dio. E, viceversa, c'è un'esperienza, che è quella del vedere da
per tutto miracoloso, immaginoso, diabolico, eccetera eccetera. Ora noi
dobbiamo, paradossalmente, alla misoginia culturale se le donne hanno messo
a profitto tanta risorsa culturale. Oggi la situazione è, per grazia di Dio, molto
diversa, ma non ci si può illudere che la partita sia vinta. Certo siamo lontani,
almeno dalle forme invereconde di misoginia, che, ripeto, una cultura
fondamentalmente misogina si poteva permettere.
STUDENTESSA: Vorrei tornare al ruolo della donna nel Nuovo
Testamento e chiederLe come può essere vista e letta la figura di
Maria, che da una parte può rappresentare comunque la prescelta, ma
dall'altra, in quanto donna, è subordinata.
MILITELLO: Sì, in effetti Maria è un bel rompicapo. Le teologhe femministe,
quando scoprirono Maria, dissero che era una donna da liberare. Ci sono delle
pagine molto belle di Catharina Alkes, una olandese, che è una sorta di grande
madre delle teologhe europee, grande madre della teologia femminista, la
quale proprio scrivendo: La teologia femminista, ne La teologia della
liberazione, venne fuori con lo slogan che Maria era anzi tutto "una donna da
liberare". In effetti quello che ci hanno detto di Maria e la Maria che ci hanno
presentata è il massimo del nascondimento e della sottomissione. Quando io
ero ragazzina libri di pietà parlavano del silenzio di Maria, dimenticando che
Luca pone sulle sue labbra il Magnificat, cioè un lungo componimento, che
sicuramente non l'ha composto Maria, ma il fatto che Luca glielo attribuisca
dice una presa di parola, a parte che la costruzione letteraria di Luca, la vede
dialogare con l'Angelo per essere fatta convinta, mentalmente convinta di
quello che le sta capitando. Allora bisogna liberarsi della figura della statuina o
del santino Maria, perché francamente non ha nessun referente biblico. La
Maria della sottomissione, della passività, la Maria, quella che va per la
maggiore nei santini che corrono in certi ambienti pii, cioè vestita di bianco, col
velo azzurro, gli occhioni grandi, tipo, non so, Barbie o non so chi, guardate,
ecco, quella è la Barbie mariana, cioè questa Maria nascosta, di cui non si vede
mai il corpo, per carità, la Scrittura non ci presenta assolutamente questa
donna. Ci presenta una donna che il figlio tratta con durezza, che fa difficoltà a
capire il figlio. "Che c'è tra me e te, o donna!" è una di queste. Gesù arriva a
dire - e lo registrano Marco e Luca - che quegli è sua madre, quelli sono i suoi
fratelli e le sue sorelle: "Quelli che fanno la volontà del Padre mio". E a chi
dice: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha nutrito", dice ancora
una volta:" Non beati questi, ma quelli che ascoltano la parola di Dio e la
mettono in pratica". Allora bisogna capire Maria come una donna, che vive un
qualcosa di incomprensibile, al di sopra di quello che è compatibile con le
regole, diciamo, della esistenza umana e che per di più, anziché essere, per
così dire, premiata, deve rinnegare la maternità, secondo la carne, per
diventare madre e sorella al figlio nel discepolato. Luca presenta Maria come la
perfetta discepola. Se vogliamo essere maliziosi, dobbiamo dire pure che per
Luca le donne, perfette discepole, devono stare anche zitte. Ma lì entra lui in
contraddizione. Sono dettagli nei quali cade anche un agiografo. Però, ripeto,
quello che a noi importa adesso non è il discorso del silenzio, ma è il discorso
del discepolato. Maria, come tutti i credenti, deve mettersi alla sequela del
figlio. Questa è l'immagine di Maria, l'immagine teologica, che troviamo tanto
nel Vangelo di Luca che nel Vangelo di Giovanni. Il Vangelo di Giovanni è
apparentemente quello che dà a Maria il massimo del protagonismo, perché la
pone all'inizio del Libro dei Segni e poi la pone lì nel contesto del Libro della
Passione del Signore. Non è l'unica donna, ci sono anche altre donne, perché
Giovanni usa le donne come figure prolettiche, cioè quello che sta per avvenire
lo fa vivere simbolicamente attraverso figure femminili che precedono la
scansione dei libri. Però, ripeto, sia Luca, con la sua concezione un po' strettina
del discepolato femminile, sia Giovanni, che invece è molto femminista, perché
ha un'enorme considerazione delle donne, della loro presenza nella Chiesa,
concordano in questa figura di Maria come discepola. E, credetemi, è una cosa
molto seria, perché il problema vero e forte non è quello dell'esser madre, ma
è quello dell'essere discepola. Alla fin fine, Maria non ci mette niente. "Sì,
d'accordo", dice il suo sì, tutto quello che volete, non voglio minimizzare la sua
vocazione, ma, forse proprio per questo, diventa estremamente difficile
accettare la sconfitta, accettare d'essere rinnegata nei suoi diritti di madre,
accettare che questo figlio, anziché preoccuparsi di lei, se ne vada
tranquillamente. Io sono convinta che Maria ha seguito Gesù e faceva parte del
gruppo delle donne della sequela. In realtà noi troviamo Maria soltanto nel
contesto della Passione. Non abbiamo una testimonianza della presenza di
Maria durante il ministero. Comunque non è senza significato questa presenza
di Maria, che è testimoniata dal Vangelo di Giovanni. Ammesso pure che sia
teologia, diciamo non storia - d'altra parte la Scrittura non è mai storia -, ma
quello che importa è il messaggio, ciò che il messaggio comporta. Quindi Maria
è una figura positiva tutta da riscoprire, ma da riscoprire in questa sua genuina
originalità. D'altra parte, guai se le donne si chiudessero nel carcere del loro
grembo. Avremmo soltanto una funzionalità di tipo biologico. Anche la
maternità come fatto personale importa una dialogia, un riconoscimento del
rispetto del figlio. Se io non taglio il cordone ombelicale - ma davvero! - non ho
diritto di interloquire con mio figlio. Il figlio va preso nella sua gratuità. Questa
parabola umana è quella che Maria fa e proprio per ciò la comunità cristiana
negli Atti degli Apostoli, 1; 14, la addita, mostrandola in preghiera con i
discepoli altezza dello spirito come il modello della perfetta credente, che non è
cosa da poco.
STUDENTE: Volevo sapere se esiste una particolare ragione per cui la
misoginia può sembrare una costante delle tre grandi religioni
monoteiste.
MILITELLO: Ripeto ancora: l'affermazione da cui sono partita è una costante
perché da quando (secondo quelli che sostengono questa tesi) tribù che
venivano dalla steppa hanno cambiato la nostra cultura, da matriarcale che
era, in patriarcale, quello che ha dominato nella storia è il principio di una
supremazia del maschio, acquisita sul campo, non vi so dire di che,
probabilmente del tipo di struttura e dunque di funzione, che egli esercitava
per la sopravvivenza del gruppo umano. Le tre grandi religioni nelle loro
contraddizioni attestano tuttavia, tutte indistintamente, compresa l'Islam, ed è
un'affermazione che faccio, diciamo, con sofferenza, visto quello che è il
quadro e i problemi che oggi l'Islam pone, tutte le religioni hanno germi di
filogenia e hanno invece, fortemente emergente, soprattutto nei loro interpreti,
questo filone di misoginia. Ma guardate che misogina è anche la cultura in cui
viviamo. Occorre veramente promuovere una cultura inclusiva, una cultura
della reciprocità. Bisogna veramente riconoscere l'altro nella reciprocità di
genere. E, credetemi, non è una cosa così semplice. Chiudo con un aneddoto
che mi riguarda. Prima di accostarci alla Comunione noi diciamo una preghiera,
che abbiamo detto da tanto tempo, da quando è in italiano, ma era così in
latino, con il genere maschile: "Signore non sono degno di partecipare alla tua
mensa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato/a". Bene, io, Cettina
Militello, la comincio al maschile e la finisco al femminile. Il che dice quanto per
me stessa è difficile usare un linguaggio inclusivo. Il condizionamento culturale
è molto forte. Bisognerebbe, con passione, trarre dalla Scrittura e dalle
Scritture delle grandi religioni il messaggio di liberazione che esse realmente
possiedono, ma che i detentori maschili della interpretazione delle Scritture
stesse non hanno permesso lievitasse e fermentasse. Oggi abbiamo donne
ebree che accostano la thorà con criteri di ispirazione femminista. Abbiamo
donne musulmane che accostano il Corano con criteri parimenti ispirati al
femminismo. Abbiamo, per grazia di Dio, teologhe cristiane che accostano
l'Antico e il Nuovo Testamento con nuove metodologie. È un piccolo tassello
che, unito allo sforzo di filosofe, sociologhe, antropologhe, scienziate, eccetera,
porta in sé il germe di una cultura finalmente rispettosa degli uomini e delle
donne.
Puntata registrata il 4 aprile 2001
Biografia di Cettina Militello
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La Bibbia come racconto di Remo Ceserani
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