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Il labirinto: unione inscindibile
fra metafora e realtà
Simbolo per eccellenza manifesta ciò che è impossibile esprimere con le
parole e incarna il senso profondo della vita e le ataviche paure umane
Minotauro è il mostro, metà uomo
e metà toro, il mostro frutto di
divine vendette, di un’unione aberrante, di giochi di potere che il re
di Creta, Minosse, costringe in
un luogo impervio appositamente
progettato dall’architetto Dedalo.
A lui, vittima e carnefice allo stesso
tempo, ogni nove anni quattordici figli ateniesi devono essere
mandati in sacrificio. È Teseo allora, figlio del re di Atene, che gli
lancia la sfida per porre fine a questo macabro rito espiatorio ed entra nella sua labirintica roccaforte.
La sfida consiste nel trovare, combattere il mostro e riconquistare
la via del ritorno, e Teseo, in questo, è aiutato dall’amore di Arianna,
figlia di Minosse, che gli dona il
prezioso filo. L’allegoria quindi,
descrive il labirinto come un luogo
dove è facile entrare, arduo da affrontare, ma anche difficile da lasciare. Che il Minotauro fosse stato
rinchiuso in un palazzo intricatis-
simo o in una complessa caverna
non è chiaro, ma quello che invece è certo è che si tratta di un
contesto periglioso e disorientante. Il mito cretese, senz’altro il
primo e immediato riferimento,
aiuta a comprendere il significato, ma lascia anche tanti dubbi
che velano il simbolo e la parola
che lo indica di perpetua ambiguità, l’unico fatto evidente è la
metafora di un percorso iniziatico.
Tutte le incertezze che circondano quest’immagine simbolica
rendono difficile fornire una definizione corretta e precisa. È necessario uno sforzo per mantenersi
quanto più possibile in termini
semplici e generici così da non
scontrarsi nelle mille contraddizioni insite sia nelle sue espressioni formali sia nell’uso che, nel
tempo, ha assunto questa parola,
perciò si può tentare una definizione di labirinto descrivendolo
Incisione rupestre a Naquane - Valcamonica
come un tortuoso percorso nel quale
è facile perdere l’orientamento
(sia perché ingannevole, sia perché estremamente contorto).
Il fascino e il mistero del labirinto
comincia, infatti, già nel nome,
dal punto di vista etimologico
non esistono certezze: una versione, tra le più accreditate, è quella
che vede l’origine nella parola greca
labris, l’ascia a doppio taglio, l’ascia
bipenne, il sacro simbolo del potere reale a Creta che aveva la forma
di due quarti di luna a simboleggiare il potere di vita e di morte
della divinità lunare matriarcale.
L’enorme struttura della reggia
di Minosse, il cosiddetto palazzo
della labris, riproduceva proprio
questa forma e possedeva una pianta
così complessa da originare il mito
corrispondente. L’altra ipotesi,
nello smentire la precedente, vede
invece la provenienza del termine
da labra o laura che indica la cava,
la cavità, ovvero la caverna con i
Incisione rupestre - Rocky Valley, Cornovaglia
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suoi cunicoli, caverna nella quale
sarebbe stato nascosto il Minotauro. Ma le supposizioni sono
numerosissime, l’universalità dei
rinvenimenti si può spiegare considerando il labirinto come una
forma pensiero che grazie a trasmissioni sincroniche è fiorito in
ogni angolo del pianeta. C’è chi,
invece, riconduce l’origine del segno alla mappa di Atlantide: dalla
descrizione di Platone si ricostruisce infatti una planimetria che
corrisponde allo schema classico
del labirinto. Questo spiegherebbe la globale diffusione del
simbolo grazie alla fitta rete di
contatti delle antiche civiltà con
Atlantide.
Una prima, necessaria, distinzione
da fare è quella tra il labirinto inteso in senso classico, originario e
quello, probabile sviluppo del
primo, che spesso è indicato come
dedalo. Il labirinto “classico”, quello
antico, è unicursale, un unico ingresso e un unico percorso che porta
verso un centro, qui la difficoltà
non consiste nello scegliere la strada
da percorrere, ma nell’avanzare
nell’unica direzione possibile, quindi
nel riuscire ad andare avanti verso
l’ignoto, l’unica alternativa è tornare indietro: è chiaramente un
percorso iniziatico, dove chi non
va avanti fallisce, chi va oltre trascende. Non c’è nessun inganno,
è un viaggio verso la verità, verso
il confronto con il proprio mostro, il proprio Minotauro, per
poi poter procedere verso un ritorno che si configura così, come
una rinascita, ritorno non facile
comunque, vista la tortuosità del
percorso, tanto che a Teseo è servito il filo donato da Arianna e a
Icaro le ali.
Al contrario, il dedalo, è progettato per essere ingannevole, può
avere una o più entrate, e nasce
Labirinto nella Cattedrale di San Martino - Lucca
Turf maze - Hilton, Cambridgeshire
dell’incrociarsi di numerosi percorsi che costringono a continue
scelte istigando incessantemente
all’errore. Pur configurandosi come
uno sviluppo del labirinto “classico” si distingue sostanzialmente
da questo, le due strutture sono,
infatti, completamente diverse
non solo nell’aspetto ma anche
nelle intenzioni: il labirinto si
propone di risolvere i conflitti,
mentre il dedalo è ideato appositamente per confondere.
Questa sorta di spirale è un simbolo legato a un significato atavico, che va dalla rappresenta-
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zione del caos primordiale, generatore del cosmo e dell’uomo, al
difficile cammino per la ricerca
della conoscenza e la rinascita, il
passaggio attraverso una percorso
che conduce dalle tenebre alla luce.
Prima del cristianesimo lo scopo
del labirinto era quello di rappresentare il ciclo che va dalla nascita alla fine e poi alla rinascita,
sono evidenti i riferimenti alla
vita e alla morte, alla vittoria sulla
morte per ritrovare la vita; costituisce una via interiore da trovare
e seguire fino in fondo, un cammino che porta all’interno di noi
stessi nei più intimi recessi dove
si nasconde la nostra parte più
misteriosa per un
confronto impietoso, col fine di
uscirne rinati. Un
viaggio che dal buio
porta alla luce di
una trasformazione
interiore che si compie nel raggiungimento del centro
e si consolida nel
percorso di ritorno.
È anche una sorta
di trappola e come
tale veniva usata a
scopo protettivo.
Il labirinto aveva
il compito di respingere le forze negative che si pensava fossero capaci di avanzare solo
in linea retta, così i labirinti tracciati sui muri delle case avevano
la funzione di spaventare il nemico.
I ritrovamenti disseminati nel
mondo testimoniano come quest’immagine abbia una storia lunga
quanto quella dell’uomo, sono
incisi sulle pietre, organizzati con
sassi allineati sul terreno, realizzati in erba, dipinti sui vasi, con-
formati in veri e propri edifici.
Storicamente questo segno ha alternato periodi di esaltazione a
momenti di rifiuto, il Medioevo
senz’altro si configura come un
periodo di grande fioritura, recupera questa tradizione millenaria
nella quale traduce una corrispondenza spirituale: Cristo (come Teseo) compie il percorso per liberare l’anima dal male (dal Minotauro). Il Medioevo quindi riprende
il simbolo pagano rivedendolo
alla luce di una nuova consapevolezza spirituale, il labirinto viene
interpretato come un labor intus,
un lavoro interiore, per farlo diventare la traslazione del tortuoso
Labirinto nella Cattedrale di Chartres
percorso di espiazione e conoscenza
necessario per il raggiungimento
della salvezza dell’anima, oppure
funge da ammonimento. In questa concezione non è difficile vedere come, nelle espressioni esteriori dell’uomo medievale, si riscontri sempre un riferimento al
labirinto, nella complessità delle
allegorie, delle costruzioni, dell’urbanistica ovunque si respirano queste allusioni. Dato que-
sto pensiero esoterico è comprensibile l’inserimento del simbolo
in un posto d’onore come quello
delle grandi cattedrali: la raffigurazione del difficile viaggio che il
fedele deve compiere alla ricerca
della salvezza, come percorso alternativo al pellegrinaggio in Terra
Santa oppure come un cammino
di espiazione corrispondente a
quello che fece Gesù per raggiungere il Calvario.
Nel XIV secolo il labirinto comincia a perdere la carica penitenziale di concezione cristiana
tanto che non se ne trova quasi
più traccia. È a partire dalla metà
del Cinquecento, quando si avvia
un processo di “individualizzazione”
dell’uomo che inizia a compiere una
ricerca interiore della
conoscenza di sé, che
si assiste a un nuovo
periodo di affermazione del labirinto
che esploderà in una
ricchezza senza precedenti nel Sei-Settecento. L’uomo rinascimentale è attratto dalla sinuosità del percorso che
analizza alla luce delle
nuove scienze e conoscenze per astrarlo
fino a farlo diventare un gioco, un divertimento.
La pittura, senza considerare la
prolifica produzione nell’arte figurativa minore, raffigura in modo
più o meno evidente questo aspetto,
il quadro di Bartolomeo Veneto,
Ritratto dell’uomo con il labirinto,
riporta chiaramente il segno al
centro della scena proprio sul petto
del protagonista, oppure il quadro attribuito alla scuola del Tintoretto, oggi in Inghilterra, che
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raffigura un labirinto in un parco
pieno di personaggi intenti a divertirsi. Siamo di fronte a una nuova
mentalità labirintica che emerge
in mille modi, si pensi ancora alle
immagini di Piranesi, la serie delle
Carceri che inducono la perdita
dell’orientamento con un intrico
di passaggi, ponti, scale, gallerie
il tutto calato in un’oscurità irreale da incubo.
Ci si dirige verso significati più
laici e profani in un processo che
diventerà una vera e propria moda
culturale. Il labirinto cambia forma,
perde il centro e diventa un luogo
dove ci si può smarrire. Fiorisce il
labirinto multicursale, progettato per divertire e che rappresenta l’ambiente in cui si vaga
condotti dai propri sensi. È la metafora della vita come percorso
irto di pericoli e insidie che possono fare abbandonare la retta via,
oppure nel senso più generico, la
vita nella quale si entra nascendo
e si esce morendo dopo un cammino fatto di continue scelte di
direzione che non sappiamo mai
dove ci porteranno.
Le rappresentazioni si moltiplicano, non solo pittura, ma anche
calligrafia, scenografia, musica,
in tutto si esprime la necessità del
labirinto, anche se una delle espressioni di maggiore successo è senza
dubbio quella dei giardini. Il dedalo diventa un ornamento per i
parchi, un gioco, ha perso gran
parte del significato di percorso
penitenziale per trovare una nuova
leggerezza che sempre però nasconde, sotto la superficie ludica,
la sua sacralità metaforica. Il pensiero manierista e poi barocco calano l’uomo in una struttura continuamente interrotta da biforcazioni, frantumata in fatali cammini fuorvianti da dove ci si salva
solo per grazia divina o per intelligenza tenace, non c’è più il centro e non esiste più la direzione
per raffigurare un mondo di tormenti e incertezze dove si erra col
continuo rischio di perdersi. L’arte
del giardinaggio, rinata nel Cinquecento, recupera la maestria
dell’arte topiaria che ben si presta
alla composizione di questi nuovi
svaghi. Le complesse strutture
sono abilmente realizzate con siepi
potate a regola d’arte con fontane,
statue e muretti così da formare
una sorta di segreta verde il cui
scopo è quello di stupire e divertire giocando sull’elementare paura
dell’uomo di perdersi. I giardini
di Villa d’Este, per esempio, con-
tavano ben quattro labirinti, a
Versailles, fu invece realizzato intorno a trentanove statue, rappresentanti le favole di Esopo, oppure quello famoso settecentesco
di siepi, costruito a Villa Pisani a
Stra per il doge Alvise Pisani.
Nell’Ottocento, secolo legato alla
civiltà industriale e al potere della
nuova classe borghese, il concetto
di labirinto viene abbandonato,
in favore di un pensiero positivista e pragmatico che non ammette
né misteri né frivolezze. Il Novecento, se da una parte si configura
come decisamente antilabirintico, con l’architettura in prima
in alto Bartolomeo Veneto: Ritratto dell’uomo con il labirinto - Cambridge, Fitzwilliam Museum
sopra Labirinto a Villa Pisani - Stra, Venezia
a sinistra Veduta del labirinto al Castello di Chenonceau
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Joan Mirò: Labirinto a Saint-Paul de Vence
Pablo Picasso: Minotaure dans une barque sauvant une femme
fila a testimoniare questo atteggiamento, fatta di nuovi materiali e forme di riferimento, con
una totale assenza di centro e di
sacralità, alla continua ricerca della
chiarezza e linearità, dall’altra
parte vede un deciso riavvicinamento con un nuovo approccio. I
cambiamenti avvenuti sono molteplici e profondi: la teoria di Einstein e la psicanalisi freudiana rivoluzionano i concetti basilari sul
tempo e lo spazio e spalancano realtà infinite in ciascuno di noi riferibili agli universi tanto esterni
quanto interni. Questo nuovo approccio scardina gli ultimi residui positivisti per riavvicinarsi
decisamente agli intrichi e al caos
del labirinto. Nella letteratura è
frequente la riproduzione dell’immagine del labirinto, emblematico il caso di Pirandello, e nelle
arti figurative la smentita della
visione dell’arte come raffigurazione naturalistica porta a una
completa revisione del linguag-
gio cui le avanguardie hanno ampiamente attinto. Si è aperta la
breccia verso l’irreale, l’illogico,
il disordine, utilizzata dagli artisti per esprimere il caos interiore.
L’arte non vuole più riprodurre
pedissequamente la realtà, ma vuole
elevarsi al di sopra della forma
per lavorare su domande di ordine morale. Ecco allora le labirintiche ricerche dipinte e sofferte dagli artisti, in cui l’immagine simbolica non emerge in superficie, ma resta nascosta, oppure i riferimenti più espliciti e
diretti come, ad esempio, nella
ricca serie della produzione grafica di Picasso relativa al Minotauro raffigurato a volte come furia animalesca a volte come essere
debole e inconsapevole.
Il Minotauro, il labirinto diventano patrimonio del Surrealismo.
L’analisi dell’inconscio, dell’animo
umano, del sogno appartiene alla
ricerca dei surrealisti come Mirò,
Magritte, Dalì. La leggenda del
Minotauro disegnata da Mirò come
il suo Labirinto , installazione a
Saint-Paul de Vence decorato con
fontane e sculture dalle forme che
esprimono il dedalo dell’inconscio dal quale con un opportuno
filo di Arianna occorre risalire
alla superficie. Il labirinto di Magritte è invece rappresentato da
un intrico di simboli metaforici:
gli intrecci, le trappole, gli enigmi
diventano mezzo per esprimere
l’inesplorabilità, l’inafferrabilità
dell’inconscio.
Avvicinarsi al tema del labirinto
equivale a compiere un viaggio
nel mondo e nel tempo. In ogni
parte del pianeta, si trovano tracce
di quest’immagine così densa di
significati simbolici quanto di
mistero che, fin dalla preistoria,
ha mantenuto e accresciuto la sua
efficacia. In qualità di simbolo
ancestrale, comune quanto costante nella storia umana, ha trovato il modo di esprimersi nella
filosofia, nell’arte, nei miti, nelle
religioni, nelle culture di tutto il
mondo. È tanto diffuso quanto
indefinibile, appartiene a quel
genere di raffinate elaborazioni
che si traducono in simboli, escogitate dall’uomo per raccontare
tutto ciò che è impossibile esprimere con le parole.
francesca bardi