U. Lauro Coordinamento azioni risarcitorie

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U. Lauro Coordinamento azioni risarcitorie
SSM
SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
UFFICIO DEL REFERENTE PER LA FORMAZIONE DECENTRATA
DISTRETTO DELLA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
INCONTRO DI STUDIO SUL TEMA
L’AMIANTO: BENEFICI PREVIDENZIALI ED AZIONI
RISARCITORIE
16/17 APRILE 2015
NAPOLI – NUOVO PALAZZO DI GIUSTIZIA
CENTRO DIREZIONALE-SALA AUDITORIUM
II GRUPPO DI STUDIO E LAVORO
Napoli, 17 aprile 2015
TEMA
“LE CONTROVERSIE RISARCITORIE: CASI PRATICI,
QUESTIONI CONTROVERSE, SOLUZIONI OPERATIVE”
Coordinatore: dr. Umberto LAURO
Pres. II sezione Lavoro Tribunale di Napoli
1
INDICE
Introduzione……………………………………………………………pag.3
Parte Prima
1. Le condizioni per la risarcibilità del danno non patrimoniale.........pag.4
2. I criteri di liquidazione………………………………………………pag.7
2.1 Il quadro normativo………………………………………………..pag.7
2.2 La posizione della giurisprudenza…………………………………pag.9
2.2.1 I contrasti giurisprudenziali……………………………………...pag.12
Parte Seconda
1. La risarcibilità del danno non patrimoniale nel contratto di lavoro…pag.16
2. Problematiche sull’an debeatur……………………………………….pag.17
2.1 La recente pronuncia della Cass. civ. sez. lav. 19.01.2015 n. 777…pag.21
3. L’azione di risarcimento del danno biologico differenziale quantitativo e principali problematiche……………………………………………………...pag.22
3.1 Rapporti tra azione indennitaria e risarcitoria………………….…...pag.24
4. Parti del giudizio civile………………………………………………..pag.25
5. Tabelle applicabili per la determinazione dei postumi………………..pag.26
6. Modalita’ di comparazione tra importo spettante a titolo risarcitorio ed importo liquidato a titolo di indennizzo………………………………………...pag.27
Allegati 1 e 2…………………………………………………………pagg.29 ss.
2
INTRODUZIONE
La liquidazione del danno non patrimoniale è problematica complessa poichè riguarda la
quantificazione di un valore, quello della persona umana, che, ontologicamente non è
suscettibile di valutazione economica.
La problematica investe due profili fondamentali, vale a dire, quello delle condizioni
occorrenti perché possa ipotizzarsi l’esistenza del danno non patrimoniale (an debeatur)
e quello dei criteri di liquidazione (quantum debeatur).
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PARTE I
1. LE CONDIZIONI PER LA RISARCIBILITA’ DEL DANNO NON
PATRIMONIALE
Quasi superfluo è ricordare che il naturale punto di partenza, ancora oggi, risulta essere
la sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 26972 - 11.11.08, che, unitamente alle alte tre
(26973, 26974 e 26975), pur non risolvendo l’intera problematica, ha, però, indubbiamente posto alcuni punti fermi:
1) ha consacrato il sistema bipolare, riconducendo il danno alle due categorie di quello
patrimoniale (atipico) e di quello non patrimoniale (tipico);
2) ha stabilito che il danno non patrimoniale è, invero, risarcibile solo:
a. nei casi previsti dalla legge;
b. in presenza di un fatto costituente reato;
c. in ogni altro caso in cui vi sia stata lesione di un diritto inviolabile della persona (salute, libertà, onore, immagine, autodeterminazione in materia di cure mediche) e sempre
che l’offesa sia stata grave ed abbia prodotto un danno serio (non è stato considerato tale
la “perdita del tempo libero”, la quale non costituisce dirittoi).
Il danno non patrimoniale è risarcibile, oltre che in caso di responsabilità extracontrattuale, anche nell’ipotesi di responsabilità contrattuale. In quest’ultimo caso, solo se la
causa concreta del negozio (sintesi degli interessi tutelati) contempli anche un interesse
non patrimoniale riconducibile ad un diritto inviolabile della persona ed esclusivamente se il danno sia prevedibile nel momento in cui sorge l’obbligazioneii.
3) ha individuato alcuni contratti, tra cui quello di lavoro, in cui la causa contempla un
interesse non patrimoniale riconducibile ad un diritto inviolabile della persona.
Nella fattispecie del contratto di lavoro, infatti, l’interesse all’integrità psico-fisica del
lavoratore ed alla dignità del lavoro (tutelati dall’articolo 2087 c.c.), è riconducibile alla
i
Vedi Cass. 21725/2012.
4
tutela posta dagli artt. 2, e 32 della Costituzione ed incorporato nel contratto individuale,
in virtu’ del richiamo dell’articolo 1374 c.c.
4) ha dettato le linee guida per la liquidazione di ogni danno non patrimoniale.
In particolare, ad avviso della Suprema Corte, è compito del giudice, a prescindere dalla
denominazione attribuitagli dalla parte, accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio
subito, individuando quali ripercussioni negative si siano verificate sul valore uomo e
provvedendo alla loro integrale riparazioneiii.
In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento
sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non il "nome" assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall'attore ("biologico", "morale", "esistenziale"), ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice.
Si ha, pertanto, duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia
liquidato due volte, sebbene con l'uso di nomi diversi (Cass. Civ. 10527/11).
Il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria, rispondendo le voci adoperate dalle parti (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, danno alla vita di
relazione, danno professionale, danno estetico) ad esigenze meramente descrittive che
non danno vita ad autonome sotto-categorie di danno.
Inoltre, esso deve essere personalizzato.
Non può, infatti, essere liquidato in modo standardizzato, ma la liquidazione deve tener
conto dell’effettivo pregiudizio psico - fisico patito dal soggetto, onde pervenire ad un
integrale risarcimentoiv.
Il grado di invalidità permanente indicato da un baréme medico - legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, quali il danno alla vita di relazione e
alla vita sessuale, il danno estetico e il danno esistenziale.
ii
Vedi art. 1225 c.c. non richiamato dall’articolo 2056 c.c.
Vedi Cass. Civ. 10527/11.
iv
In tal senso, vedi anche Cass. 14402/11, Cass. 22909/12 e, più recentemente, Cass. 26590/14, Cass. 23778/14.
iii
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Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate
dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati,
rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non
stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass. Civ. 07.11.2014 n.23778).
La pronuncia delle Sezioni Unite Civili n. 26972 ha, altresì, affermato che vanno evitate
duplicazioni attraverso la liquidazione dello stesso pregiudizio, diversamente denominato, ed ha individuato i pregiudizi non patrimoniali astrattamente risarcibili, vale a dire il
danno morale e il danno biologico c.d. dinamico.
Danno morale è il turbamento psichico, la sofferenza interna, suscettibile di autonoma
rilevanza solo nel caso in cui esso sia rimasto tale senza sfociare nel danno biologico.
Danno biologico dinamico è, invece, qualsiasi lesione, temporanea o permanente
dell’integrità psico - fisica della persona, suscettibile di valutazione medico - legale, atta
a ripercuotersi negativamente sulla salute del soggetto e sulle sue abitudini di vita quotidiana e relazionale, a prescindere da ogni rilevanza sulla capacità di produrre reddito.
Il danno biologico è qualificato come dinamico in quanto, verificatasi una lesione
dell’integrità psico - fisica (e quindi un danno biologico), questo ingloba in sé il danno
morale, che ne costituisce la precondizione, ed il danno esistenziale (la perdita delle
abitudini quotidiane, che esige la dimostrazione di “fondamentali e radicali cambiamenti
dello stile di vita”, che è onere dell'attore allegare e provare).
La già citata sentenza ha, inoltre, escluso qualsiasi autonoma rilevanza del danno esistenziale, vale a dire dei riflessi negativi sull’esistenza, provocati dai postumi, temporanei o permanti, della patologia.
Quanto al caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso
ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale (c.d. danno da rottura del rapporto parentale),
non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti del-
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lo stile di vita, che è onere dell'attore allegare e provare.
Tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo
risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche.
Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto non adeguatamente adempiuto il suddetto
onere di allegazione da parte dei genitori di una persona deceduta in un sinistro stradale,
i quali avevano domandato il ristoro, in aggiunta al danno morale, anche del danno c.d.
esistenziale, allegando a fondamento di tale pretesa la perdita "del piacere di condividere
gioie e dolori col figlio" e dei "riti del vivere quotidiano”, quali potevano essere il cinema assieme alla sera, l'alternarsi alla guida della macchina, le vacanze, le telefonate durante la giornata, il caffè appena svegli, il pranzo, la cena e i regali inattesi (Cass.
10527/11).
2. I CRITERI DI LIQUIDAZIONE
2.1 Il quadro normativo
Il quadro normativo relativo ai criteri di liquidazione si caratterizza per l’assenza di una
disciplina generale.
Esistono, invero, solo disposizioni di carattere settoriale che, per chiarezza espositiva,
saranno indicate nell’ordine cronologico di emanazione.
- Il decreto legislativo n.38 del 23.02.2000, all’articolo 13 ha ricompreso il danno biologico tra le voci coperte dall’assicurazione previdenziale, qualora i postumi permanenti
raggiungano la percentuale del 6%.
- Il decreto ministeriale 12.07.2000, in vigore dal 09.08.2000, contiene allegate la tabella
di quantificazione dei postumi invalidanti e la tabella attestante il valore del punto.
- Il decreto legislativo 07.09.2005 n. 209, agli articoli 138 (macro) e 139 (micro), contiene la disciplina della liquidazione dei postumi transeunti e permanenti determinati da
sinistri stradali.
7
Sia per “micro” che per “macro” è prevista personalizzazione del danno biologico con
aumento fino al quinto (per micro) o al 30% (per macro), con equo e motivato apprezzamento, fondato sulle condizioni soggettive del danneggiato.
Inoltre, dispone l’emanazione di una tabella unica nazionale per la liquidazione del danno da lesioni micro e macropermanenti. In particolare, la tabella per la liquidazione delle
lesioni micropermanenti, dall’1% al 9%, è stata emanata con decreto ministeriale del
03.07.03 ed aggiornata con decreto del 19.06.09; invece, la tabella per le liquidazioni
relative a lesioni macropermanti, dal 10 al 100%, non ha mai ricevuto emanazione.
- Di seguito, il d. P. R. n. 37/2009, individua i criteri per il calcolo dell’invalidità permanente dei soggetti rimasti vittime di infermità per cause di servizio, riportate in missioni
militari all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali.
Il danno biologico viene liquidato in base alle tabelle previste dal codice delle assicurazioni, con applicazione, in via provvisoria fino all’emanazione della tabella unica nazionale per lesioni macropermanenti delle tabelle INAIL, fatta salva la possibilità di un aumento a titolo di personalizzazione.
Si distingue espressamente il danno morale dal danno biologico, prevedendosene la
quantificazione, con aumento percentuale del danno biologico.
L’art. 5 del predetto d.P.R. stabilisce, inoltre, alla lett. c), che “la determinazione della
percentuale del danno morale viene effettuata, caso per caso, tenendo conto dell’entità
della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all’evento dannoso, in misura massima pari a
due terzi del biologico”.
- Ancora, il d. P. R. n. 181/2009 stabilisce i criteri medico - legali per l’accertamento e la
determinazione dell’invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del
terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell’art. 6 della legge 3 agosto 2004, n.
206.
Il danno biologico viene liquidato in base alle tabelle previste dal codice delle assicurazioni, con applicazione, in via provvisoria fino all’emanazione della tabella unica nazio-
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nale per lesioni macropermanenti, delle tabelle INAIL, fatta salva la possibilità di un
aumento a titolo di personalizzazione.
Si distingue espressamente il danno morale dal danno biologico, prevedendosene la
quantificazione, con aumento percentuale del danno biologico.
L’art. 1 , lett. b, definisce il danno morale come “il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto lesivo in sé considerato”.
L’art. 4, lett. c), dispone la determinazione della percentuale di danno morale “tenendo
conto della entità della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della
lesione alla dignità della persona, connessi ed in rapporto all’evento dannoso”.
- Il decreto legge n. 158 del 13.09.2012 (cd. decreto Balduzzi), convertito con la legge n.
189 del 2012 e contenente “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese
mediante un più alto livello di tutela della salute”, all’art. 3, comma 3, sulla “Responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie”, statuisce che il danno biologico sarà risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D. Lgs. 209 del 7
settembre 2005 (c.d. Codice delle assicurazioni).
Merita evidenziare come nei più recenti interventi normativi si distingua, espressamente,
la voce danno biologico da quella danno morale, che ci si impone di determinare in percentuale, si suppone, necessariamente del biologico.
Al danno biologico si estende l’applicazione degli artt. 138 e 139 D.L. 209/2005, e, in
via temporanea, sino all’approvazione della tabella per le macropermanenti, si dispone
l’applicazione delle tabelle INAIL.
2.2 La posizione della giurisprudenza
Per consolidata giurisprudenza di legittimità, la liquidazione del danno non patrimoniale
è di tipo necessariamente equitativo.
A tale scopo, il giudice deve tener conto di tutte le circostanze del caso concreto ed assicurare la parita’ di trattamento con i casi simili.
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In mancanza di una tabella unica nazionale, i tribunali hanno provveduto a redigere proprie tabelle.
La Corte di Cassazione, per assicurare il più possibile l’equità della liquidazione, ha invitato i giudici di merito ad utilizzare la tabella redatta dal tribunale di Milano, ritenendola la più idonea allo scopo, anche per la maggiore diffusione sul territorio nazionale.
La facoltà di discostarsene è concessa, purchè vi sia appropriata motivazione, mentre, la
mancata adozione costituisce error in iudicando e legittima l’impugnazione ex art. 372
c.p.c. per violazione dell’articolo 1226 c.c.
In particolare, “Nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa, di cui all'art. 1226 cod. civ., deve
garantire, non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma
anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol
perché esaminati da differenti Uffici giudiziari” (Cass. Civ. 07/06/2011 n. 12408).
Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale e al quale la Suprema Corte, in applicazione dell' art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno
biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. , salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono.
L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a
quella che sarebbe risultata sulla base dell' applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto
la questione sia stata già posta nel giudizio di meritov.
I parametri adottati dalla tabelle milanesi costituiscono parametri equitativi, come tali
motivatamente riconsiderabili in sede di personalizzazione al fine di assicurare, nel caso
concreto, l’integralità del risarcimento (Cass. Civ. 30.06.2011 n. 14402).
v
Sul tema, ex plurimis , Cass. Civ. 13/11/14, n. 24205 e Cass. Civ. 24/09/14, n. 20111.
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La versione delle suddette tabelle, antecedente alla sentenza n. 26972 del 2008, prevedeva la liquidazione di tre distinte voci di danno, ossia: a )il danno biologico standard,
liquidato sulla base del valore punto, determinato in considerazione della gravità della
lesione e dell’età del danneggiato; b) la personalizzazione del danno, fino ad un massimo del 30%, con adeguata motivazione che tenga conto delle condizioni soggettive del
danneggiato, e, c) il danno morale in misura da ¼ ad ½ del danno biologico.
La versione successiva, invece, risulta adeguata al nuovo orientamento relativo
all’unitarietà del danno non patrimoniale e alla possibilità di una sua personalizzazione.
Nello specifico, la tabella prevede una liquidazione congiunta di tutti i possibili pregiudizi sulla base di due indici: l’indice dei valori medi e l’indice della personalizzazione.
Per quanto concerne il primo indice, è stata individuata una tabella di valori monetari
“medi” (come prima con un valore punto, anche se adeguato, in base alla gravità della
lesione ed all’età).
Tale tabella corrisponde ad una lesione standard del danno non patrimoniale, conseguente ad una lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona, suscettibile di
accertamento medico - legale, sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali, che nei suoi risvolti relazionali medi, e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni
in termini di “dolore”, “sofferenza soggettiva”, in via di presunzione in riferimento ad
un dato tipo di lesione.
Per il secondo indice, è stata prevista una percentuale massima di aumento dei valori
“medi” da utilizzarsi “onde consentire una adeguata personalizzazione complessiva della
liquidazione, laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, sia quanto agli aspetti anatomo - funzionali
e relazionali, sia quanto alla sofferenza soggettiva conseguente alla lesione”vi.
Con le stesse finalità, sono stati adeguati i valori del danno non patrimoniale temporaneo
(mediante unificazione in un unico valore biologico e morale), e del danno da perdita
vi
Cass. Civ. 1361/15 ha argomentato diffusamente concludendo per la illegittimità dell’apposizione di una limitazione massima non superabile alla quantificazione dei danni alla persona.
11
del rapporto parentale, ove quasi sempre è assente la lesione dell’integrità psico-fisica e,
quindi, si impone la liquidazione autonoma, tra un minimo ed un massimo, dei pregiudizi dinamico - relazionali e della sofferenza morale patita dai congiunti della vittima.
Da ultimo, giova ricordare che le cosiddette "tabelle" uniformi predisposte dai Tribunali
per la liquidazione del danno non patrimoniale non costituiscono dei documenti in senso
proprio, né rappresentano degli elementi di fatto, come tali da allegare con gli atti introduttivi del giudizio, ma sono piuttosto assimilabili ai precedenti giurisprudenziali, che le
parti possono invocare a sostegno delle proprie argomentazioni.
Esse, pertanto, possono essere prodotte anche in sede di legittimità, da parte di chi ne
lamenti l'erronea applicazione da parte del giudice di merito, senza che ciò violi il divieto di cui all'art. 372 cod. proc. civ. (Cass. Civ. 29/05/2012 n. 8557)
2.2.1 I contrasti giurisprudenziali
Richiamando quanto già evidenziato in precedenza, la fondamentale sentenza delle Sezioni Unite, n. 26972 del 2008, ha sancito il principio del carattere unitario del danno
non patrimoniale ed ha individuato i pregiudizi non patrimoniali astrattamente risarcibili, vale a dire, il danno morale ed il danno biologico cd. dinamico.
Inoltre, ha escluso qualsiasi autonoma rilevanza del danno esistenziale, identificato nei
riflessi negativi sull’esistenza provocati dai postumi, temporanei o permanti della patologia.
Tuttavia, l’intervento delle Sezioni Unite non ha eliminato contrasti ed incertezze, alimentate dalla stessa giurispudenza di legittimità.
Allo stato, quest’ultimo continua a costituire l’orientamento maggioritario, consolidato
da successive pronunce di pari segno, tra le quali mi limito a citare Cass. civ. 19.01.15,
n. 775, Cass. civ. 07/11/2014, n. 23778 e Cass.civ. 24/09/2014, n. 20111.
Continuano a registrarsi, però, pronunce di segno diverso, che, quanto al danno morale,
statuiscono che esso non costituisce mai un pregiudizio autonomo, ma solo un elemento
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da valutare in sede di personalizzazione, per cui se non c’è menomazione dell’integrità
psico - fisica non c’è neanche danno moralevii.
Secondo altre pronunce, ad es. Cass. civ. n. 29191/2008, il danno morale costituisce un
pregiudizio ontologicamente diverso rispetto al danno biologico, in quanto consegue
alla violazione di un bene protetto diverso rispetto al diritto alla salute, ma parimenti
inviolabile (vedi art. 2 Cost. e art. 1 Carta di Nizza) e specificamente alla lesione
dell’integrità morale e della dignità umana di un individuo, che va, quindi, autonomamente risarcito, non come mera componente del danno biologico o come frazione di essoviii.
Quanto al danno esistenziale, ne è stata affermata l’autonoma esistenza in Cass. civ.
n. 14402/2011 e in Cass. n. 20292/2012 e, più recentemente, in Cass. 23.01.14 n. 1361.
Ove, peraltro, si tratti di dover risarcire anche i c.d. aspetti relazionali propri del danno
non patrimoniale, il giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in concreto
applicate tengano conto (come accade per le citate tabelle di Milano) pure del c.d. "danno esistenziale", ossia dell' alterazione - cambiamento della personalità del soggetto che
si estrinsechi in uno sconvolgimento dell' esistenza, e cioè in radicali cambiamenti di
vita, dovendo in caso contrario procedere alla c.d. "personalizzazione", riconsiderando i
parametri anzidetti in ragione anche di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire
l'integralità del ristoro spettante al danneggiato.
Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel
peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito
abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali, ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio
di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione
vii
Vedi Cass. civ n. 3906/2010; n. 24401/2010; n. 15373/2011; n. 21999/2011; n. 1072/2011.
Vedi anche Cass. n. 18641/2011; n. 2228/2012; n. 20292/2012 e, più recentemente, Cass. civ. lav. 16/10/2014
n. 21917 e Cass. civ. 3^ 03/10/2013 n. 22585.
viii
13
unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (in applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, in un caso
di danno da uccisione del prossimo congiunto, aveva liquidato ai congiunti due doversi
danni, definiti l'uno morale e l'altro esistenzialeix.
Il danno esistenziale corrisponde al “pregiudizio di natura non meramente emotiva ed
interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto,
che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione ed alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno” ed è risarcibile: a) in caso di reato, ove discenda dalla lesione di
un interesse giuridicamente protetto; b) o, altrimenti, ove consegua dalla lesione di un
diritto inviolabile della persona diverso dal diritto all’integrità psico-fisica.
Tale affermazione risponde a quanto statuito dalle Sezioni Unite del 2008, dovendosi
escludere che le stesse abbiano negato la configurabilità e la rilevanza di tale posta di
pregiudizio.
Viene confermata la presenza del danno esistenziale nel sistema, sottolineando quel che,
da parte di molti, si era detto già nel 2008, vale a dire che le Sezioni Unite, del novembre dello stesso anno, non avessero affatto sancito la scomparsa del danno esistenziale.
Si riconosce, infatti, come i pregiudizi esistenziali possano essere senz’altro risarciti sia
nei casi esplicitamente previsti dalla legge, che nelle ipotesi di lesioni dei diritti inviolabili, sicché tale figura continua a trovare spazio nel sistema con valenza descrittiva.
Altro orientamento, invece, in particolare Cass. n. 15373/2011, nega l’autonoma esistenza del danno esistenziale.
Il problema, in effetti, attiene soprattutto a quei casi in cui non vi è degenerazione patologica con lesione del diritto alla salute, eppure vi è lesione all’onore, alla reputazione
e/o alla dignità; casi che possono verificarsi frequentemente nelle controversie di lavoro,
specie nelle ipotesi di mobbing e di demansionamento.
A voler ritenere che, anche in questo caso, vi sia spazio per una liquidazione del solo
ix
Vedi Cass. n. 20292/12.
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danno morale e del solo danno esistenziale, non essendo utilizzabili le tabelle, e quindi il
criterio della percentuale, diviene problematico individuare dei criteri validi per addivenire ad una convincente liquidazione equitativa di tali pregiudizi.
Tale questione assume minore impatto ove si discuta di differenziale, in quanto ivi si
concretizza comunque una lesione biologica per cui il giudice può efficacemente intervenire in sede di personalizzazione.
Ad ogni modo, le perduranti incertezze renderebbero auspicabile un nuovo intervento
delle Sezioni Unite.
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PARTE II
1. LA RISARCIBILITA’ DEL DANNO NON PATRIMONIALE NEL
CONTRATTO DI LAVORO
Con specifico riferimento al rapporto di lavoro subordinato, va rilevato che la risarcibilità del danno non patrimoniale biologico da malattia professionale trova indubbia facilitazione nella circostanza che il contratto di lavoro rientra nell’ambito di quelli in cui non
occorre dimostrare che la causa concreta si estenda alla tutela di un interesse non patrimoniale riconducibile ad un diritto inviolabile della persona.
L’iter argomentativo può essere riassunto come segue:
- attraverso il richiamo operato dall’articolo 1374 c.c., il contratto individuale di lavoro
incorpora automaticamente il contenuto dell’art. 2087 c.c., a sua volta riconducibile alla
tutela dei diritti inviolabili alla salute ed alla dignita’ umana, accordata dagli articoli 2, 4
e 32 della Costituzione.
Al di fuori di tale ipotesi (art. 2087 c.c.), valgono le regole generali.
Viene segnalato un rigore maggiore rispetto alle sentenze nn. 8822 e 8823 del 2003, le
quali ritenevano sufficiente la lesione di un interesse non patrimoniale costituzionalmente protetto, senza la necessità che l’interesse non patrimoniale leso fosse riconducibile ad
un diritto inviolabile della persona umana.
Sempre con riferimento al contratto di lavoro subordinato, la questione della risarcibilità
del danno non patrimoniale biologico da malattia professionale trova, però, indubbie
complicazioni nel caso di concorrente operatività della tutela previdenziale INAIL.
Una migliore comprensione della problematica impone di evidenziare che, a partire dalla
data del 09.08.2000, in virtù del decreto lgs. 38 del 2000 (art. 13) e del successivo d.m.
12.07.2000, la tutela indennitaria risulta, invero, estesa, oltre che alla capacità di lavoro
generica, per l’ipotesi di postumi permanenti superiori al 5%, anche al danno biologico
puro.
Quest’ultimo da intendersi come qualunque lesione permanente dell’integrità psico -
16
fisica del soggetto, suscettibile di valutazione medico - legale, che si ripercuota negativamente sulla vita quotidiana dell’individuo e sulle dinamiche relazionali/esistenziali.
L’assicurazione sociale INAIL, a norma dell’art. 10 comma 1 del d.P.R. n. 1124 del
1965, esonera, di regola, il datore di lavoro dalla responsabilità civile, salva l’eccezione
posta dal successivo comma 2, vale a dire l’ipotesi di condanna per delitto colposo perseguibile d’ufficio.
2. PROBLEMATICHE SULL’AN DEBEATUR
Nei casi di operatività della tutela indennitaria, relativamente al danno biologico permanente, ci si interroga se l’indennizzo INAIL sia tendenzialmente satisfattivo di ogni pretesa o, se ancora oggi, residui spazio per un danno biologico differenziale quantitativo.
Indiscussa è, invece, la non estensibilità dell’indennizzo INAIL al danno morale.
La giurisprudenza di merito risulta divisa ed, al suo interno, l’orientamento maggioritario è schierato per la permanenza del danno biologico quantitativo sulla base di elementi
testuali e sistematici, riportati di seguito.
Elementi testuali:
- la modifica legislativa non ha abrogato l’art 10, comma 6, d. P.R n. 1124/65, che prevede espressamente la configurabilità e la risarcibilità di un danno per differenza
nell’ipotesi in cui le prestazioni erogate dall’INAIL non coprano l’intero danno risarcibile. Dal momento che l’art. 13 del d. lgs. 38/00 dispone che il nuovo indennizzo debba
essere erogato in luogo della prestazione di cui all’art. 66 c. 1, n. 2 del Testo Unico che
prevedeva l’erogazione di una rendita per inabilità permanente, ne deriva che, mentre
prima il differenziale andava calcolato rispetto alla rendita per inabilità permanente, oggi
andrà calcolato rispetto al nuovo indennizzo;
- il d. lgs. n. 38/2000 è stato emanato in attuazione dell’art. 55 lett. a) legge 17.5.1999, n.
144 che ha delegato il Governo solo a garantire “un’idonea copertura e valutazione
17
indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa dei premi”
e quindi solo ad estendere l’ambito dell’assicurazione INAIL al danno biologico.
Escludere la risarcibilità del danno biologico differenziale avrebbe sostanziato un eccesso di delega;
- l’art. 13 qualifica l’emolumento a carico dell’INAIL come “indennizzo”, termine che,
dal punto di vista della teoria generale del diritto, indica un concetto del tutto distinto da
quello di “risarcimento”.
L’utilizzo del termine indennizzo, in luogo di risarcimento, non può considerarsi una
questione meramente nominalistica, rispondendo i due istituti a diverse finalità;
- il raffronto tra le tabelle introdotte dal DM 12.07.00 ex art. 13 d. lgs. n. 38/2000 per
l’indennizzo INAIL, previsto a partire dal 6%, e le tabelle delle micropermanenti (invalidità comprese tra l’1% e il 9%), nell’ambito della responsabilità civile per circolazione
stradale, ex d. lgs. 209/2005, conferma la differenza tra risarcimento ed indennizzo.
Entrambe le norme dettano la stessa definizione del danno biologico, quale lesione
dell’integrità psico - fisica della persona, suscettibile di valutazione medico – legale,
indipendente dalla capacità di produzione del reddito.
Tuttavia, il raffronto dei valori attribuiti ai punti di invalidità evidenzia come, per il “risarcimento”, le tabelle delle micropermanenti del sistema di assicurazione per responsabilità civile automobilistica prevedano somme sensibilmente più alte di quelle previste
dalle tabelle INAIL, con liquidazioni di circa il 50% superiori, a parità di età e di invalidità, e via via proporzionalmente più elevate con uno scarto che arriva quasi al 75% in
più al crescere della percentuale di invalidità considerata.
Elementi sistematici:
- Assai persuasive appaiono le considerazioni basate sulla circostanza che risarcimento
ed indennizzo divergono per funzione, presupposti e condizioni.
Il risarcimento mira a garantire il ristoro integrale del danno subito dalla vittima di un
illecito, in attuazione dell’art. 32 Cost., che assicura una piena ed integrale tutela del
diritto alla salute. L’indennizzo, invece, in attuazione dell’art. 38 Cost., ha lo scopo di
18
assicurare al lavoratore, con immediatezza, solo quel minimun sociale necessario per
liberarlo da uno stato di bisogno.
Il risarcimento presuppone la prova della condotta colposa o dolosa del danneggiante,
l’indennizzo, al contrario, spetta per il solo fatto che si è verificato un evento qualificabile come infortunio o malattia professionale, a prescindere che sia avvenuto per colpa del
datore di lavoro, del lavoratore o per caso fortuito.
Infine, il risarcimento compete senza limiti minimi e va liquidato tenendo conto anche
delle evoluzioni future delle lesioni, mentre l’indennizzo richiede una soglia minima di
danno e viene liquidato allo stato attuale in quanto sussiste l’istituto della revisione.
Si richiamano i principi espressi dalle note sentenze della Corte Costituzionale del 1991,
ove si afferma il diritto fondamentale dell’individuo lavoratore all’integrale riparazione
del danno alla salute (Corte costituzionale n. 87/1991, n. 356/1991, n. 485/1991) e si
ricorda, inoltre, che la Suprema Corte, nell’analizzare l’indennizzo INAIL precedentemente la riforma, ha più volte statuito che esso viene corrisposto anche là dove il lavoratore continui a svolgere le stesse identiche mansioni, “non assolvendo ad una funzione
propriamente risarcitoria” (Cass. 16.2.2000, n. 1640).
- Si aggiunge che, in caso di mancata ammissione della risarcibilità del danno biologico
differenziale, si finirebbe, sotto il profilo della responsabilità civile nei confronti del lavoratore, con il mettere sullo stesso piano il datore di lavoro che ha diligentemente approntato le misure a prevenzione degli infortuni e quello che tali misure non ha affatto
predisposto, causando l’evento dannoso.
Ciò contrasta, come si può evincere, sia coi principi in tema di responsabilità civile, sia
con quelli ispiratori della legislazione in materia antinfortunistica.
- Si osserva che l’ontologica differenza tra risarcimento ed indennizzo si ricava anche
dal meccanismo della rivalsa, ove è indubbio che il datore di lavoro non può subire la
rivalsa INAIL se non entro i limiti di quanto avrebbe dovuto pagare in applicazione dei
principi di responsabilità civile”x .
x
Cfr. Cass. 5.6.2000, n. 7479, Cass. 7.8.1998, n. 7772.
19
- Da ultimo, si fa leva su inaccettabili disparità di trattamento tra l’assicurato e altro
danneggiato “comune”, che agisca con ordinaria tutela civile; tra l’assicurato che agisca
dopo la riforma e l’assicurato che abbia agito prima della riforma (il quale ultimo in virtù
della giurisprudenza costituzionale poteva agire per tutti i danni civili); tra l’assicurato
che agisca per un danno biologico pari o superiore al 6%, soggiacendo alle liquidazioni
delle tabelle indennitarie, e l’assicurato che, avendo subito menomazioni permanenti di
valore inferiore, possa ottenere l’integrale ristoro dal datore di lavoro , determinandosi
una posizione deteriore dei danneggiati più gravi.
Esaurita, senza alcuna pretesa di esaustività, la disamina degli elementi testuali e sistematici posti a sostegno dell’orientamento maggioritario, è doverosa l’analisi della posizione minoritaria della giurisprudenza di merito che, di norma, afferma la non configurabilità di un danno biologico differenziale quantitativo, valorizzando, a sostegno della
regola tendenziale dell’esonero, vari elementi.
Innanzitutto, il carattere di transazione sociale dell’assicurazione, a seguire, il silenzio
del legislatore che ubi voluit dixit, mentre nulla ha detto nella formulazione dell’articolo
13 (in verita’, la norma di riferimento va individuata nell’articolo 10, comma 6, del T.U.
n. 1124 del 1965) ed, infine, la mancanza di precisi criteri di determinazione.
Tale orientamento ritiene esperibile l’azione risarcitoria per danno differenziale solo
nell’ipotesi in cui venga meno la regola dell’esonero, verificandosi la previsione del già
citato articolo 10, comma 2.
Quanto alla giurisprudenza di legittimità, essa si è occupata dell’argomento quasi mai
approfonditamente, assumendo, comunque, sempre posizione in favore della persistente
esistenza del danno differenziale non patrimoniale quantitativo.
Infatti, da Cass. civ. sez. lav. 08.03.2011 n. 5437, si legge “il danno biologico non si
esaurisce nell’indennizzo INAIL” e Cass. civ. sez. lav. 26.10.2012 n. 18469 recita:
“sussistono considerevoli e strutturali diversità tra l’indennizzo erogato dall’INAIL
all’assicurato e il risarcimento danno relativo al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro”.
20
2.1 La recente pronuncia della Cass. civ. sez. lav. 19.01.2015 n. 777
La recente pronuncia della Cass. civ. sez. lav. 19.01.2015 n. 777 conferma la tesi della
ricorrenza di un danno biologico differenziale rispetto all’indennizzo INAIL, basandosi
su un argomento testuale ed un argomento interpretativo.
In primo luogo, si evidenzia, infatti, che l’articolo 13 del decreto legislativo in esame
definisce il danno biologico in via sperimentale e ai soli fini della tutela spettante al lavoratore nell’ambito di quella assistenziale.
La prospettiva in cui si pone la norma è quella di definire e determinare il danno biologico nel suo aspetto indennitario a carico dell’assicurazione, senza occuparsi del danno
biologico sotto il profilo risarcitorio che non attiene al rapporto previdenziale ma a quello di lavoro.
Secondariamente, a conferma della non esaustività dell’indennizzo si sottolineano le
differenze funzionali e strutturali che questo presenta rispetto al risarcimento del danno.
L’indennizzo, infatti, 1) è frutto di una transazione sociale ed assolve al compito di assicurare al lavoratore infortunato o ammalato un aiuto sanitario ed economico nel momento del bisogno; 2 )trova la sua giustificazione nell’articolo 38 e non nell’articolo 32
Cost.; 3) è accordato a prescindere dalla colpa datoriale ed anche nell’ipotesi di sua dipendenza da caso fortuito o comportamento del lavoratore; 4) cessa con la morte del
soggetto (la rendita non si trasmette), a differenza del risarcimento che, una volta consolidatosi, entra nel patrimonio del lavoratore e si trasmette ai suoi aventi causa.
In conclusione, opinare diversamente porterebbe all’iniquo risultato di ritenere
l’introduzione dell’articolo 13 come reformatio in peius della condizione del lavoratore
e determinerebbe una inspiegabile differenziazione tra lavoratori ammalatisi prima o
dopo o tra lavoratori ed altri soggetti danneggiati al di fuori del rapporto lavorativoxi.
xi
La giurisprudenza costituzionale inaugurata dalla sentenza n. 87/91 impone di interpretare la norma nel senso che
la tutela apprestata dall’articolo 13 costituisca un arricchimento della condizione del lavoratore e non un peggioramento della stessa.
21
3. L’AZIONE DI RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO
DIFFERENZIALE QUANTITATIVO E PRINCIPALI PROBLEMATICHE
Nell’ambito dell’azione di risarcimento del danno biologico differenziale quantitativo,
occorre esaminare gli oneri allegatori “preliminari” del lavoratore, trattandosi di una
questione assai importante poiché la “carenza” determina nullità del ricorso o, addirittura, il rigetto della domanda (a seconda della diversa posizione che si abbia in ordine
alla violazione dell’articolo 414 c.p.c. e della applicabilità o meno dell’art. 164 c.p.c.).
Per chi considera l’esonero da responsabilità civile, previsto dal comma 1 dell’articolo
10, limitato alla sola somma indennizzata dall’INAIL, gli oneri allegatori e probatori
saranno quelli tipici dell’azione di responsabilità contrattuale, sui quali ci soffermeremo
di qui a poco.
Coloro i quali, invece, nonostante il recente intervento della S. C., continuano a ritenere
sussistente la regola tendenziale dell’esonero da responsabilità civile, considerano
l’azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro per danno biologico differenziale
esperibile solo nel caso in cui ricorra la colpa datoriale per reato perseguibile d’ufficio.
Ed allora, occorre che l’attore specifichi, in ricorso, chiaramente che l’azione esercitata
è quella di cui all’articolo 10 ,commi 2 - 6.
In particolare, l’onere allegatorio della parte ricorrente può dirsi soddisfatto solo se: a)
risulti espressamente indicato il reato perseguibile d’ufficio (589 o 590 c.p.) in relazione
al quale sussista la responsabilità penale del datore di lavoro; b) sia espressamente indicato l’indennizzo liquidato (o liquidabile) dall’INAIL; c) vengano espressamente esposte
le ragioni atte a dimostrare il diritto a ricevere un quid pluris a titolo risarcitorio (ragioni
ad integrare le quali non è sufficiente il mero riferimento alle tabelle di liquidazione del
danno elaborate dai vari tribunali)xii.
xii
Sul tema, vedi Trib. Napoli 08.10.2010 (dr. Amendola), Trib. Napoli 03.04.14 (dr.ssa Ciaramella) ,Trib. Napoli
28.05.13 n. 12378 (dr. Armato), Trib. Napoli 08.05.12 n. 13087 (dr.ssa Manzon).
22
Nell’ambito di tale orientamento, una parte della giurisprudenza, con atteggiamento meno rigoroso, ritiene soddisfatto l’onere allegatorio anche senza la specifica indicazione
del titolo di reato integrato dai fatti costituenti l’inadempimento del datore di lavoro.
Ciò che si ritiene necessario è la specifica indicazione della condotta addebitata e della
cautela omessa, lasciando la qualificazione all’apprezzamento del giudice.
Tale opzione appare preferibile, risultando anche confortata dall’indirizzo giurisprudenziale avviato dalla Corte di Cassazione che, in generale, circa l’onere di allegazione in
tema di danno non patrimoniale, non ha richiesto l’uso di formule sacramentali, dando
invece prevalenza all’analitica descrizione dei fattixiii.
La responsabilità datoriale per il risarcimento del danno conseguente ad infortunio sul
lavoro o a malattia professionale ha natura contrattuale (artt. 2087, 1374 c.c.).
La struttura dell’illecito contrattuale comprende la condotta inadempiente colpevole, il
danno evento, inteso come danno alla persona, ed il nesso causale tra primo e secondo
elemento ( il riferimento è alla causalità materiale regolata dagli articoli 40 e 41 c.p.).
La struttura del risarcimento contempla, invece, il danno conseguenza (non in re ipsa nel
danno evento) e la dipendenza del danno conseguenza della condotta inadempiente (ivi
il riferimento è alla causalità giuridica, di cui agli artt. 1223-1225 c.c.).
Ora, applicando i principi generali e le eccezioni previste (art. 1218 c.c.), può, schematicamente, affermarsi che:
- il lavoratore creditore deve provare l’esistenza del rapporto, l’attività lavorativa (mansioni), la nocività dell’ambiente (utilizzo dell’amianto) , il nesso di causalità materiale
(art. 40 e 41 c.p.).
A questo proposito, giova ricordare che il principio della concausa efficiente è da accertarsi con il parametro civilistico del più probabile che non e non con il parametro penalistico dell’oltre ogni ragionevole dubbioxiv.
Tuttavia, anche i parametrici civilisti richiedono, comunque, un “rapporto di elevata
xiii
xiv
Vedi Cass. civ. 17.07.12 n. 12236 e Cass. civ. 09.03.12 n. 3718.
Vedi allegato 1.
23
probabilità scientifica” (Cass. 30.07.13 n. 18267), un “grado elevato di probabilità”
(Cass. 29.03.12 n. 5086), una “probabilità qualificata” (Cass. 24.01.14 n. 1477).
Deve solo allegare la colpa che si ascrive al datore di lavoro.
Il mancato adempimento dell’onere allegatorio della condotta datoriale non può essere
sanato dal giudice. A tal fine, ci si interroga se sia sufficiente, in ricorso, il generico richiamo alla nocività dell’ambiente ed alla violazione dell’articolo 2087 c.c., attesa la sua
natura di norma in bianco e di chiusura del sistema, oppure occorra l’indicazione della
misura cautelare tipica o atipica che si assume violata.
Giurisprudenza prevalente ritiene che la misura o cautela innominata violata non debba
essere esposta in modo dettagliato, essendo sufficiente un richiamo sinteticoxv.
Per chi sostiene la tesi minoritaria (azione risarcitoria, art. 10, comma 2-6), si pone
l’ulteriore problema dei criteri, penalistici o civilistici, con i quali accertare il nesso di
causalità e la colpa.
- il datore di lavoro deve, invece, provare l’eventuale inesistenza del rapporto, l’assenza
dell’inadempimento o la sua carenza di colpa, intesa come addebitabilità a comportamento del lavoratore, a caso fortuito o forza maggiore.
Ritornando alla liquidazione del danno differenziale, nel caso di concorrente operatività
della tutela indennitaria, la domanda risarcitoria proposta dal lavoratore, per ottenere la
integrale riparazione del danno subito, richiede al giudice una complessa operazione:
occorre, invero, innanzitutto, determinare l’ammontare del danno secondo i normali criteri civilistici e, poi, detrarre l’ammontare dell’indennizzo INAIL.
3.1 Rapporti tra azione indennitaria ed azione risarcitoria
In considerazione della diversa funzione e struttura delle due azioni, non sempre la domanda indennitaria precede quella risarcitoria, come logica vorrebbe.
xv
Sul punto, Cass. civ. 11.04.13 n. 8885, Trib. Napoli 02.10.2014 n. 8872 (dr. Lauro), Trib. Napoli 10.12.13 n.
21093 (r.ssa D’oriano), Trib. t.a. 12.03.13 n. 1440 (dr.ssa Dell’Erario), Trib. Napoli 05.02.2013 n. 3983 (dr.
Gambardella).
24
Se il lavoratore agisce direttamente nei confronti del datore di lavoro, senza essersi precedentemente rivolto all’INAIL o a procedura ancora in corso, quale influenza tale circostanza avrà sulla domanda risarcitoria?
In altri termini, ci si chiede se l’azione indennitaria costituisca, o meno, condizione di
proponibilita’ dell’azione risarcitoria.
Un primo orientamento, più rigoroso, ritiene che la preventiva e tempestiva proposizione
dell’azione indennitaria costituisca condizione di proponibilità dell’azione risarcitoria o,
quantomeno, influisca negativamente sulla ricorrenza dell’interesse ad agire, determinando il rigetto della domanda risarcitoriaxvi.
Un secondo orientamento, meno rigoroso, ritiene che tale rapporto non sussista e che il
giudice, una volta determinato l’ammontare del risarcimento, debba soltanto procedere
alla sottrazione di quanto già liquidato o, comunque, liquidabile dall’INAIL (es. Trib.
Genova 18.07.07).
Si condivide tale ultimo orientamento, tenuto conto che la regola dell’esonero opera automaticamante, ragion per cui sia laddove la denuncia vi sia stata, sia laddove la stessa
abbia avuto esito negativo (ad esempio, per prescrizione) e, altresì, ove manchi del tutto,
è sempre possibile sottrarre dal risarcimento l’indennizzo liquidato o liquidabile.
4. PARTI DEL GIUDIZIO CIVILE
Ulteriore punto controverso è se il lavoratore che agisce in giudizio per il risarcimento
del danno differenziale debba o meno convenire in giudizio anche l’INAIL, oltre al datore di lavoro.
Una parte della giurisprudenza ritiene che, nella fattispecie, ricorrerebbe un caso di
litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c..
Si propende per la tesi contraria, essendo la diversità del titolo (previdenziale/risarcitorio), la diversità dell’oggetto (indennizzo/risarcimento) e la diversità di pre-
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supposti e condizioni, tutti indici volti all’esclusione del contraddittorio necessario.
Pur essendo astrattamente ipotizzabile la partecipazione al giudizio dell’INAIL, su istanza di parte o iussu iudicis, ai fini del simultaneus processus, si ritiene che
l’appesantimento derivante dalla molteplicità di domande sconsigli l’utilizzo di tale opzione.
5. TABELLE APPLICABILI PER LA DETERMINAZIONE DEI POSTUMI
Il giudice deve indicare, nel quesito di consulenza, la tabella da utilizzare per la quantificazione dei postumi.
Tra le possibili soluzioni si annoverano:
- le tabelle introdotte dal decreto lgs. n. 209 del 2005, relative alle individuazioni di lesioni micro permanenti da circolazione stradale;
- le tabelle applicate nei risarcimenti civili;
- le linee guida elaborate dalla comunità scientifica (Luvoni, Barbagna),
- la tabella introdotta dall’allegato al d.m. 12/07/2000 relativa alla liquidazione dei postumi derivanti da malattia professionale ed infortunio sul lavoro.
Escluso il ricorso alle tabelle di cui al decreto legislativo n. 209 del 2005, elaborate con
specifico riferimento a danni da circolazione stradale, si ritiene preferibile l’uso delle
tabelle INAIL.
Esse, infatti, presentano omogeneità di materia (postumi derivanti da malattia professionale), facilitano le operazioni di sottrazione delle somme indennizzate (o indennizzabili), liquidate sulla base di una quantificazione dei postumi operata con gli stessi criteri
ed, infine, sono state redatte con il concorso della comunità scientifica.
xvi
Vedi, Trib. Napoli 03.02.14 n. 1325 (dr. Pellecchia) e Trib. Napoli 11.04.13 n. 9054 (dr.ssa Lombardi).
26
6. MODALITA’ DI COMPARAZIONE TRA IMPORTO SPETTANTE A
TITOLO RISARCITORIO ED IMPORTO LIQUIDATO A TITOLO DI
INDENNIZZO.
Circa le modalità di comparazione tra importo spettante a titolo risarcitorio ed importo
liquidato a titolo di indennizzo, sono percorribili due diverse strade.
Da un lato, si può effettuare una comparazione tra poste omogenee, tenendo conto, cioè,
della sola parte di indennizzo liquidato per danno non patrimoniale.
Dall’altro, si può procedere mediante comparazione tra importi complessivamente liquidati, anche se disomogenei.
Un primo orientamento giurisprudenziale ritiene che la comparazione debba tener conto
del valore di tutta la rendita (ratei già corrisposti e valore capitalizzato), vale a dire anche della parte di rendita destinata ad indennizzare il danno patrimoniale.
Un secondo orientamento ritiene, al contrario, che la comparazione debba avvenire per
poste omogenee, e, quindi, senza considerare quanto liquidato a titolo diverso di danno
patrimoniale.
Questa strada sembra l’unica atta a garantire l’integrale risarcimento del danno.
Peraltro, preme ricordare, in assenza di espresse pronunce della Suprema Corte di legittimità, che, la stessa, sotto il vigore del previgente regime, e sia pure in tema di limiti
all’azione di regresso, si era pronunciata per la comparabilità solo di poste omogenee,
escludendo, ad esempio, che il regresso dell’INAIL potesse investire somme non coperte
da assicurazione.
Infine, sono doverosi dei cenni alla problematica della comparazione tra danno non patrimoniale ed indennizzo non patrimoniale.
Per chi ritiene che il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria e che lo
stesso comprenda le voci del danno morale, del danno biologico e di quello danno esistenziale, la logica conseguenza risulta essere la comparazione delle due poste non patrimoniali unitariamente considerate .
Invece, per chi sostiene che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il danno morale
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continui a rimanere voce distinta ed autonoma, la conseguenza è la comparazione delle
due poste non patrimoniali, senza considerare quanto liquidato per danno morale.
Infine, per gli assertori della permanenza, nell’ambito del danno non patrimoniale, permanenza delle distinte voci del danno morale, del danno biologico e del danno esistenziale, la conseguenza è la comparazione delle due poste non patrimoniali, senza considerare quanto liquidato per danno morale e per danno esistenziale.
Napoli, 17.04.2015
Dr. Umberto Lauro
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ALLEGATO 1.CIRCA L’ACCERTAMENTO DEL NESSO EZIOLOGICO
Nell'accertamento del nesso causale in materia civile vige la regola del "più probabile che
non" che comporta un'analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie (Cassazione Sezione Terza Civile n. 23933 del 22 ottobre 2013, Pres. Massera, rel. De Stefano).
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è
da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una
valutazione ex ante - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime
probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che,
nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza
dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della
prova "oltre il ragionevole dubbio".
Nello stesso ordine di idee, si è affermato che l'esistenza del nesso di causalità tra una condotta illecita ad un evento di danno può essere affermata dal giudice civile anche soltanto
sulla base di una prova che lo renda probabile, a nulla rilevando che tale prova non sia idonea a garantire una assoluta certezza al di là di ogni ragionevole dubbio.
Infatti, la disomogenea morfologia e la disarmonica funzione del torto civile rispetto al reato impongono, nell'analisi della causalità materiale, l'adozione del criterio della probabilità
relativa, che si delinea in una analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie
del singolo processo, nella loro irripetibile unicità, con la conseguenza che la concorrenza
di cause di diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata e valorizzata
in ragione della specificità del caso concreto, senza potersi fare meccanico e semplicistico
ricorso alla regola del 50% plus unum.
In relazione all’illecito civile ed a quello penale, il concetto di colpa è unitario: tanto
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nell’uno, quanto nell’altro caso, l’elemento soggettivo è integrato sia dalla colpa generica
(imprudenza, negligenza, imperizia), sia dalla colpa specifica (violazione di norma particolare). Ciò che cambia è il regime probatorio, nel senso che, in civile vale la presunzione di
colpa a carico del datore di lavoro, in penale vale l’esatto contrario, di tal che in dubio pro
reo.
ALLEGATO 2.
Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 gennaio 2015, n. 777 - Appalto e infortunio sul lavoro: risarcimento del danno biologico
Presidente Roselli – Relatore Manna
Fatto
Con sentenza del 12.5.06 il Tribunale di Torino - per quel che rileva nella presente sede condannava in solido I.A. e F. , quali soci illimitatamente responsabili della cessata S.n.c.
Nuova E., la O. S.n.c. di P.M. e P.A. quale società appaltatrice, nonché la Ed. di C.O.
S.a.s., quale subappaltatrice, a pagare in favore di A.A.A.A.S. il risarcimento dei danni patiti da costui per infortunio sul lavoro occorsogli il (12.07.01), a seguito del quale aveva
riportato un'invalidità dell'85%. Tali danni venivano liquidati in Euro 27.000,00 per danno
biologico temporaneo e in Euro 114.204,00 per danno morale.
Il primo giudice negava la liquidazione anche del danno biologico differenziale e di quello
esistenziale, danni che - invece - venivano riconosciuti dalla Corte d'appello di Torino con
sentenza depositata il 16.6.08, che liquidava il primo in Euro 290.367,00 e il secondo in
Euro 300.000,00.
Per la cassazione di quest'ultima sentenza ricorre C.O. , in proprio e in qualità di liquidatore della Ed. di C.O. S.a.s. in liquidazione, affidandosi a due motivi.
A.A.A.A.S. resiste con controricorso.
30
La S.n.c. Nuova E., la O. S.n.c. di P.M. e P.A. e costoro personalmente, I.A. e F. , la Nuova
E. S.n.c, la Aurora Assicurazioni S.p.A. e la Nuova Tirrenia S.p.A., tutti soggetti che hanno
partecipato ai gradi di merito, sono rimasti intimati.
Diritto
1. Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13 d.lgs.
n. 38/2000 in relazione all'art. 2059 c.c., per avere l'impugnata sentenza ritenuto liquidabile
il danno biologico differenziale pur in assenza di condanna penale per l'infortunio patito dal
lavoratore e in assenza di prova specifica di danno ulteriore rispetto a quello coperto dall'INAIL.
Il motivo è infondato.
Nell'attuale regime, che all'art. 13 cit. d.lgs. prevede l'estensione della copertura assicurativa obbligatoria gestita dall'INAIL anche al danno biologico, le somme eventualmente erogate dall'istituto non esauriscono il diritto al risarcimento del danno biologico in capo all'assicurato.
Invero, lo stesso art. 13 cit., dopo aver premesso che le disposizioni in esso contenute si
pongono nell'ottica della "attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e
dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento", definisce il danno biologico
solo "in via sperimentale" e ai soli "fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali".
Tali puntualizzazioni dimostrano che la prospettiva della norma non è quella di fissare in
via generale ed omnicomprensiva gli aspetti risarcitoli del danno biologico, ma solo quella
di definire i meri aspetti indennitari agli specifici ed unici fini dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.
Infatti, l'erogazione effettuata dall'INAIL è strutturata in termini di mero indennizzo, indennizzo che, a differenza del risarcimento, è svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale od aquiliano) e, di conseguenza, può essere disposto anche a prescindere dall'elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità.
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Si tenga altresì presente che, anche riguardo al consolidamento degli effetti patrimoniali in
capo all'avente diritto, l'indennizzo INAIL si struttura in modo diverso da un risarcimento
del danno, dal momento che la rendita cessa con la morte del lavoratore (e non passa
nell'asse ereditario), mentre il diritto al risarcimento, una volta consolidatosi, entra a far
parte del patrimonio dell'avente diritto e si trasferisce agli eredi (come del resto si era ritenuto in giurisprudenza anche nell'ipotesi di lesioni che avessero determinato la morte del
danneggiato solo in un secondo momento).
Sempre a conferma delle notevoli divergenze strutturali tra l'indennizzo erogato dall'INAIL
e il risarcimento del danno biologico, si consideri altresì che mentre quest'ultimo trova titolo nell'art. 32 Cost., l'indennizzo INAIL è invece collegato all'art. 38 Cost. e risponde alla
funzione sociale di garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore.
In breve, la differenza strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 cit. e il risarcimento del danno biologico preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a
tale titolo versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive
del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato od ammalato,
nel senso che esse devono semplicemente detrarsi dal totale del risarcimento spettante al
lavoratore.
Ritenere il contrario significherebbe attribuire al cit. art. 13 la finalità non già di apprestare
un arricchimento di tutela in favore del lavoratore ma, al contrario, un suo secco situazione
anteriore (come formatasi in virtù di giurisprudenza ormai consolidata) e un trattamento
deteriore - quanto al danno biologico - del lavoratore danneggiato rispetto al danneggiato
non lavoratore.
Ulteriore conferma del fatto che il cit. art. 13 d.lgs. n. 38/2000 non possa integrare una limitazione di tutela del lavoratore danneggiato, ma debba, anzi, costituire il contrario, si
evince dalla giurisprudenza della Corte cost. che, fin dalla sentenza n. 87/91, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3 e 74 d.P.R.
30.6.65 n. 1124, in riferimento agli artt. 3, 32 co. 1, 35 co. 1 e 38 co. 2 Cost., sollevata in
ragione della mancata indennizzabilità del danno biologico da parte dell'INAIL, ebbe tutta-
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via a rilevare che: "... indubbiamente, l'esclusione dell'intervento pubblico per la riparazione del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi alla propria
attività lavorativa non può dirsi in sintonia con la garanzia della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.) e, ad un tempo, con la
tutela privilegiata che la Carta costituzionale riconosce al lavoro come valore fondante della nostra forma di Stato (artt. 1, primo comma, 4, 35 e 38 Cost.), nel quadro dei più generali
principi di solidarietà (art. 2 Cost.) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.).
È vero che il danno biologico, in sé considerato, deve ritenersi risarcibile da parte del datore di lavoro secondo le regole che governano la responsabilità civile di quest'ultimo.
Tuttavia, le stesse ragioni, che hanno indotto a giudicare non soddisfacente la tutela ordinaria e ad introdurre un sistema di assicurazione sociale obbligatoria contro il rischio per il
lavoratore di infortuni e malattie professionali capaci di incidere sulla sua attitudine al lavoro, inducono a ritenere che anche il rischio della menomazione dell'integrità psico-fisica
del lavoratore medesimo, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba
per se stessa, e indipendentemente dalle sue conseguenze ulteriori, godere di una garanzia
differenziata e più intensa, che consenta, mediante apposite modalità sostanziali e procedurali, quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare".
In definitiva, anche alla stregua di una doverosa interpretazione costituzionalmente orientata, deve escludersi che le prestazioni eventualmente erogate dall'INAIL esauriscano di per
sé e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato (v. altresì, in
motivazione, Cass. n. 18469/12).
Obietta parte ricorrente che il risarcimento del danno differenziale è stato accordato pur in
assenza di condanna penale per l'infortunio patito dal lavoratore e in assenza di prova specifica di danno ulteriore rispetto a quello coperto dall'INAIL.
Ma a tale riguardo va rilevato che, per costante giurisprudenza, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione
dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclu-
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sione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma dell'art.
10 d.P.R. n. 1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte cost., riguarda l'ambito
della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica.
Invece - in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte cost. n. 356 e 485
del 1991 e con il conseguente orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della
surroga dell'assicuratore - tale esonero non riguarda il danno alla salute o biologico e il
danno morale di cui all'art. 2059 c.c., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale
risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità
del datore di lavoro (cfr., ex aliis, Cass. n. 8182/2001 e successive conformi).
2- Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art.
2059 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha liquidato il danno esistenziale a prescindere da allegazioni e prova a riguardo, ritenendolo in re ipsa.
Il motivo non è conferente perché, in realtà, l'impugnata sentenza non ha ritenuto il danno
in re ipsa, ma in sostanza lo ha desunto, ex art. 115 cpv. c.p.c. da massime di comune esperienza, considerata la giovane età dell'odierno controricorrente (che aveva appena 25 anni
al momento dell'infortunio per cui è causa, che lo ha ridotto su una sedia a rotelle) e la gravità delle conseguenze del non poter più avere capacità di procreazione e di vita sessuale,
di fare sport e/o altre analoghe attività e, in sintesi, di avere una normale vita di relazione
così come gli altri suoi coetanei.
È appena il caso di ricordare che l'uso di massime di comune esperienza a fini di riconoscimento del danno non patrimoniale è perfettamente conforme all'insegnamento di Cass.
S.U. n. 26972/08.
È pur vero che il danno esistenziale non è un'autonoma posta di danno, ma solo un criterio
di liquidazione della più generale posta di danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059
c.c., ma il sostanziale tenore della motivazione della sentenza impugnata dimostra che in tal
senso l'ha inteso considerare la Corte di merito.
omissis
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