Untitled - DropPDF

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Untitled - DropPDF
1103
Prima edizione ebook: dicembre 2015
© 2015 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-8931-7
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Lidia Ottelli
Odio l’amore, ma forse no
I
Samantha Testa
Direi che questa è una situazione ideale.
La vedete quella riccia castana con gli occhi verdi che si contorce in quel lenzuolo
di seta nero?
Quell’affascinante donna di trentatré anni che geme perché tra le gambe ha un
aitante fustacchione moro che le sta facendo vedere le stelle in pieno giorno?
Ecco, quella sono io.
«Oh, sì… uhm, così».
Che sensazione divina.
Amo la mia vita, amo me stessa e amo fare sesso con gli uomini che non vogliono
altro che una pura, trasgressiva, sensuale e perversa scopata.
So che gli uomini reputano le donne oggetti sessuali, ma in questo caso io reputo
loro i miei giocattoli erotici. Non avete mai sentito parlare di donne ultratrentenni con
una libido pari a quella di un uomo? Non ci credo! Dopo una certa età, gli ormoni di
una donna s’imbizzarriscono. Soprattutto quando si è vicine a quel periodo del mese.
Non so se sia la pillola o il fatto che più s’invecchia più si diventa perverse, ma io
adoro il sesso senza complicazioni.
«Continua, ci sono quasi».
Niente male questo Enrico, oppure è Luca o Roberto… mmm, sono una frana con i
nomi.
Questa testa nera che si muove tra le mie cosce l’ho incontrata in palestra. Tutto
muscoli e poco cervello, l’ideale per una notte.
No problemi.
No fidanzato.
No famiglia.
No matrimonio.
Sì scopatina mordi e fuggi.
«Vengo! Sì!».
Ecco che scarico la tensione.
Il moro si stacca e si asciuga le labbra sul lenzuolo. Si sdraia vicino a me. Proprio
niente male… lui, sì, insomma, avete capito, il palestrato.
«È stato bello? Ti è piaciuto?», mi chiede sorridendo.
Che palle i maschi e le loro manie di sentirsi macho man, con tanto di applauso alla
fine. Credetemi, uomini, non fatelo, perché la donna mente… sempre.
«Certo», commento. E cosa gli devo dire? Wow, sì, magnifico, mitico… mentirei.
Siamo nella norma.
«Io dovrei andare, tra poco ho una lezione privata», mi dice.
Ah, ora ricordo! Paolo, il personal trainer, ecco chi sei!
«Vai pure».
«Posso andare un attimo in bagno?»
«Certo, è quello là». Indico con il dito la porta bianca a destra del letto.
Ho il bagno in camera, cosa c’è di strano? Serve sempre.
Quando si alza, lo spettacolo mi dilata le pupille: un fisico statuario, un sedere da
paura, sodo come una roccia, addominali a tartaruga e più in basso… okay, non è
molto dotato ma che pretendete…
Mister muscolo non può essere perfetto.
Appunto da segnare sull’agenda elettronica.
“Uscita con Paolo personal trainer della palestra Armonia”.
Nota:
“Tanto esplosivo, miccia corta”.
Paolo esce dal bagno, si veste, mi saluta e se ne va. Meglio di così si muore.
Ottima giornata, sì, sì, ottima giornata.
Mi preparo per fare una doccia veloce visto che sono le 14:00 ed è tardissimo.
Dimenticavo, ora vi parlo un po’ di me.
Ho una piccola azienda di cosmetici e profumi in centro a Milano di nome Romance
Blu. La cosa migliore di questo lavoro, per una donna come me che ama coccolarsi e
sentirsi bellissima, è avere a portata di mano tutto il necessario. Trucchi all’ultima
moda, prodotti sempre innovativi e soprattutto profumi, dagli aromi dolci e
inebrianti… a mia disposizione in un battito di ciglia!
La competizione tra le varie aziende è tanta e ho impiegato molti anni a farmi un
nome nel settore, ma oggi attori e cantanti famosi, italiani e internazionali, comprano
da noi e, credetemi, non è facile accontentare tutti.
Un profumo personalizzato è sinonimo di eleganza. I miei assistenti in laboratorio
sniffano centinaia di fragranze al giorno. Fare soldi in quest’ambiente non è facile; per
fortuna, al mio fianco ho Alessia, la mia migliore amica, nonché il mio braccio destro.
La conosco da quando andavamo alle elementari. Siamo cresciute insieme,
fisicamente e professionalmente. Nonostante il diverso stile di vita – lei è una
mogliettina fedele da sette anni, senza grilli per la testa, e ha un bambino di cinque
che adoro – ci capiamo con uno sguardo: mi fido ciecamente del suo giudizio e finora
non ha mai perso un colpo.
Eccomi arrivata nel mio enorme ufficio.
Un’altra cosa: non pensiate che mischi il lavoro con la vita privata. Non sono mai
uscita con un dipendente, socio o chiunque faccia parte della mia équipe. Okay, un
rappresentante mi è scappato, ma solo perché ero frustrata, debole e sconsolata…
Scherzo! Era un grande gnocco e io adoro gli uomini in giacca e cravatta, hanno un
non so che di “ti strappo le mutande e te le ricompro con lo sconto rappresentanti”.
«Ciao, Samantha».
Sì, mi chiamo così. Un nome da pornostar, credo che i miei genitori quel giorno in
sala parto si fossero fumati non so che tipo di sostanza tossica. In realtà, il fatto è che
mia madre era una fan di Samantha Fox, una cantante tutta tette degli anni Ottanta.
«Ciao, Alessia. Novità?».
La mia amica si avvicina con una pila di fogli in mano. Il martedì è la giornata delle
firme.
«Ha chiamato il dottor Pira, ci ha chiesto dieci confezioni di Romance Rose nelle
solite confezioni di Natale».
«Il vecchio si diverte alla grande, quest’anno le amanti sono raddoppiate».
Mi passa i fogli. «Non prenderti gioco di lui, tra poco anche tu farai la stessa fine».
Avete presente la solita vecchia storia del “se non ti sistemi, rimarrai zitella a vita?”.
Io non ho una madre che me lo dice, ma ho la mia vecchia amica che me lo ricorda
ogni santo giorno.
«Lui non se la passa tanto male. Dieci donne a sessant’anni, direi che è molto
fortunato».
«Firma qua». Mi porge un altro foglio. «Per una donna è diverso, non sarai sempre
così bella».
«Alessia, non iniziare!».
«Sam, hai più di trent’anni, tra poco compariranno le rughe, la cellulite, il culo
moscio e le tette ti cadranno a terra. Chi vuoi che esca con una così?».
Tragica.
«Vado in palestra proprio per questo». Mi appoggio alla sedia. «A proposito di
palestra, stanotte mi sono fatta un personal trainer da paura», sorrido maliziosa.
Alessia alza gli occhi al cielo. «Ti rendi conto? Parli come un uomo. Anzi, direi che
ti comporti come uno di loro!».
«Prima o poi metterò la testa a posto, giurin giurello. Ma non adesso».
Alessia sbuffa ed esce dalla porta borbottando chissà quale frase per maledirmi.
Il martedì sono piena di lavoro: clienti, assistenti dei clienti, nuovi clienti, uomini
che si prostrano a mo’ di tappetino per le ricche mogli, figlie di attori che si credono le
Paris Hilton italiane. In poche parole un casino.
Prendo il telefono. «Clara, mi porti una tazza di caffè? Grazie».
Clara Tempo è la mia segretaria. Una ragazza intelligentissima ma, povera lei, per
niente bella. E in più non ha un briciolo di stile. Credo scelga i suoi abiti nei mercatini
dell’usato. Credetemi, non è di certo colpa mia, io rispetto i miei dipendenti e li pago
il dovuto. Clara non ha proprio gusto: al suo matrimonio, lo scorso anno, aveva un
vestito verde acqua con dei fiori lilla, sembrava un prato appena fiorito.
«Ecco il suo caffè».
Lo appoggia vicino alla mia mano.
«Clara, chiama la signora Rossi e passamela sulla due», le chiedo gentilmente.
«Subito, signorina Testa».
Anche qui, caliamo un velo pietoso. Non sapete che calvario alle scuole con i
ragazzini. «Ehi, guarda chi c’è: Samantha occhio alla Testa», oppure: «Samantha ti
gira la Testa». Anche se la peggiore rimane: «Immagino che Samantha andrà a
testoni».
Ora sembrano frasi innocue e stupide, ma a sei anni non lo erano.
Stupidi maschi che servite solo per una cosa…
II
Avvocati della notte
Odio queste cene, odio queste cene.
«Ciao Sam, benvenuta».
Alessia è riuscita per l’ennesima volta a trascinarmi a casa sua per una cena segreta,
che poi tanto segreta non è, visto che tutte le volte mi presenta un collega di Marco,
suo marito.
Ormai siamo a cinque, quanti associati può avere uno studio di avvocati? Dieci,
venti, uno in più uno in meno. Venti cene con noiosi avvocati pieni di sé, per niente
affascinanti e lì per il solo scopo di trovarsi una moglie? Per il cibo di Alessia posso
sopportarlo.
«Ciao, Marco, come va?».
Mi aiuta a togliere il cappotto, per l’occasione mi sono messa un vestito poco
aderente di colore nero, per niente vistoso, e dei tacchi minimi di cinque centimetri;
non voglio che l’avvocato pensi che ho intenzione di accalappiarlo.
«Tutto bene».
Improvvisamente arriva di corsa l’unico uomo che amo, la luce del miocorazón.
«Zia Sam!». Mi abbraccia forte, fino quasi a soffocarmi.
«Il mio piccolo ometto. Ciao, Nicolas».
Me lo sbaciucchio tutto, il mio amorino… quanto lo amo.
«Zia, sai che all’asilo c’è una bambina che mi ha detto che sono bello e vuole che
divento il suo fidanzatino?».
Lo prendo in braccio. «E tu cosa le hai risposto?»
«Ho detto che a me mi piacciono tutte le bambine, non solo lei».
Il mio “nipotino” mi riempie il cuore. «Bravo, così si fa, perché uscire con una sola
bambina se ne puoi avere dieci?».
Marco mi fulmina.
«Cosa fate qui? Andiamo di là». Alessia arriva a prenderci.
«La tua cara amica sta mettendo in testa a nostro figlio strane idee».
«Sam!», esclama arrabbiata Alessia.
«Non ho fatto niente», ammetto sorridendo, «hai un figlio intelligente che ha già
capito come va il mondo».
Mi spupazzo un altro po’ Nicolas.
«Ne parliamo dopo, andiamo, abbiamo un ospite».
«Dài», sbuffo, «che sorpresa». Come se non lo sapessi.
Alessia si avvicina. «Non fare come al solito, lui è il capo di Marco e si parla di
promozione».
«Allora dovevi invitare Sara del reparto cosmetici, cerca marito…».
«Smettila di fare la stupida e comportati bene… insomma, cerca di non essere te
stessa».
Mi blocco e la fisso. «Io mi comporto sempre bene».
«A Carlo, l’ultimo collega di Marco, hai proposto di farsi una plastica al naso
perché era troppo grosso».
Risbuffo.
«Non è colpa mia se aveva il Titanic al posto del naso».
Mi abbasso per appoggiare a terra Nicolas e mi accingo a seguirla in salone. Relax,
è solo un’altra cena con un avvocato brutto, arrogante e sicuramente con qualche altro
difetto ben visibile.
Respira e pensa che tra un’ora sarai uscita da qui e potrai correre a immergerti nella
tua vasca idromassaggio con tanta schiuma, una bottiglia di vino e un bel tipo che
t’insapona la schiena.
Entro in salone. Sul divano non c’è nessuno e con la coda dell’occhio vedo Marco
avvicinarsi a noi. Mi giro e, appena dietro di lui, compare un uomo, anzi, direi un
superfigaccione: elegante, affascinante, appetibile, sensuale… oh, mio Dio, che uomo!
Il mio radar inizia a mandare inequivocabili segnali.
Uomo da portarsi a letto a ore due, uomo da portarsi a letto a ore due.
Niente male… per niente male.
«Ciao, piacere, io sono Luca», mi porge la mano.
«Ciao, io sono Samantha», tutta panna… da leccare. «Ma chiamami pure Sam».
Sfoggio il mio sorriso incantatore.
«Piacere, Sam».
Proprio stasera dovevo indossare questo monacale vestito nero?!?
Ammicco mentre ci dirigiamo verso il divano.
«Dimmi, Sam, Marco mi ha detto che sei una donna manager».
Accavallo le mie lunghe gambe cercando, senza farmi vedere, di alzare un po’ la
gonna. Donne in ascolto, seguite i miei passi. Accavallate le gambe con un
movimento lento e sensuale, nel frattempo tirate un po’ su con una mano il lembo di
gonna che nasconde le vostre famose armi da combattimento.
«Sì, ho un’azienda di cosmetici abbastanza nota in centro. Tu invece sei un
avvocato?»
«Sì. Esatto». Sorride.
Datemi un paio di occhiali da sole, quest’uomo mi sta accecando con il suo
splendido sorriso.
Avete presente il film L’avvocato del diavolo, quello con Keanu Reeves? Ecco,
esatto, è lui… ce l’ho qui vicino a me e mi sento mooolto Al Pacino nella parte del
diavolo.
E la gonna sale… sale ancora un altro po’.
«Lavoro interessante, chissà quanti divorzi dovrai affrontare».
«Sam!», Alessia mi ammonisce.
La guardo alzando le spalle, non ho detto niente di male, solo la pura verità. Ormai
nel sessanta percento dei casi marito e moglie si tradiscono e divorziano in meno di
tre anni. E, nel restante quaranta percento, tradiscono ma non divorziano.
«Hai ragione, molti divorzi. Per fortuna, aggiungo, altrimenti noi avvocati divorzisti
non lavoreremmo».
La sua voce è così sensuale e la sua risposta così perfetta che si merita di vedere un
altro pezzettino di gamba.
Finalmente è ora di cenare. Mi prendo un attimo per accomodarmi meglio e
guardare questa meraviglia di uomo sedersi vicino a me. I suoi capelli sono così
brillanti sotto la luce del lampadario che mi fanno venire una gran voglia di infilarci le
dita e tirarli. Porta un maglioncino talmente aderente da mettergli in evidenza un
fisico niente male e quei jeans… o ha qualcosa in tasca oppure è decisamente
dotato… e io spero nella seconda ipotesi!
La serata continua tra chiacchiere, buon cibo e occhiate maliziose.
Nicolas, il mio ometto preferito, è distrutto e Alessia lo porta a letto al piano di
sopra mentre Marco sparecchia la tavola.
Finalmente soli.
I suoi occhi neri mi fissano profondamente, surriscaldandomi. Con un movimento
repentino Luca appoggia la mano sulla mia coscia e senza indugiare si rivolge a me
con una voce ferma ed eccitante.
«Ti va un drink?»
«Certamente, vado a prenderlo». Faccio per alzarmi, ma lui mi trattiene.
«A casa mia».
Sono la classica donna perversa che non può mai dire di no a una proposta del
genere.
Mi rendo conto che:
1. questo ci sta;
2. me lo scopo;
3. mi sono messa le mutandine bianche e il reggiseno nero!
E ora? Cosa faccio? Non posso di certo andare a casa sua così. Spalanco la bocca e
sgrano gli occhi.
Okay, Sam, ragiona.
Vado in bagno e me le tolgo, posso sempre dire che non le porto per comodità.
Certo, con il freddo che fa fuori, una ventata di aria sotto la gonna non è proprio il
massimo.
Idea!
«Vado un attimo di là e poi possiamo andarcene», sorrido.
Lui annuisce e mi segue con gli occhi e io? Sculetto tatticamente, come a volergli
dire: “Osservami, sono la tua gattina”.
Mi guardo in giro, nessuno all’orizzonte. Entro di soppiatto nella stanza da letto di
Alessia e Marco. L’idea sembrerà folle, ma credetemi non posso mostrarmi così
davanti a un uomo, ho una reputazione da difendere. Apro tutti i cassetti fino a quando
non trovo quello che cerco.
«Ecco qui». Frugo in mezzo alla biancheria intima di Alessia. «Hai capito la mia
amica “lo faccio solo alla missionaria”! Le piace l’intimo trasgressivo».
Prendo un perizoma nero di pizzo e lo accartoccio nel pugno. Non ci posso credere,
sto rubando delle mutandine alla mia migliore amica. Una parte di me si sta
vergognando ma l’altra metà pensa già al fusto che mi aspetta in salone.
Niente ripensamenti, niente tentennamenti, sono una donna caparbia e sicura e poi,
che problema sarà mai, domani gliele lavo e gliele restituisco immacolate.
Entro in bagno, mi tolgo i miei orrendi slip e indosso le sexy mutandine di Alessia.
Cosa mi tocca fare per te, mio dolce frutto proibito. Eccomi, sono pronta.
Quando torno in sala, Luca è seduto tranquillamente a bersi un digestivo con Marco.
Cammino con passo felpato e mi avvicino alla borsa, ficcandoci dentro il mio intimo.
Poi mi siedo vicino a loro e Luca azzarda un sorriso che mi stende. Devo essere
sincera? Me lo farei qui, subito, se non ci fosse Marco costretto a godersi lo
spettacolo.
«Per me si è fatto tardi», dice scrutandomi negli occhi, «è meglio tornare a casa».
Come disse Massimo Decimo Meridio nel Gladiatore: «Al mio segnale scatenate
l’inferno». Il suo segnale doveva essere proprio questo.
«Effettivamente si è fatto tardi», guardo lo schermo del mio cellulare su cui
lampeggia l’ora della fuga sessuale.
Mentre ci incamminiamo verso l’uscita la mia attenzione è catturata dall’espressione
di Alessia. Mi guarda con gli occhi infiammati. Oh, non si sarà accorta che le ho
rubato l’intimo? Si avvicina.
«Non fare cavolate, Marco aspetta una promozione. Vai a casa e lascia perdere il
suo capo».
Noiosa.
Avete presente quando dite a un bambino di non fare una determinata cosa e
immancabilmente lui la fa? Ecco, io sono così. Venti minuti dopo mi ritrovo nella
macchina dell’avvocato, avvinghiata a lui.
Quanto è sexy, in tutto e per tutto.
Sono seduta a cavalcioni sopra di lui, sul sedile posteriore della sua Mercedes nera.
Le sue mani invadono ogni angolo del mio corpo. Mi muovo sopra di lui e lo sento
teso e duro contro il mio perizoma.
«Non volevi portarmi a casa tua?», gli sussurro sulle labbra.
«Non credo di resistere».
Sta andando a fuoco, lo sento. Le sue labbra assaporano i miei seni e un gemito
rumoroso esce dalla mia bocca. Gli sbottono i jeans e i suoi respiri diventano sempre
più pesanti. Lo accarezzo per tutta la sua lunghezza, mentre le sue mani mi rovistano
sotto la gonna.
«Mmh… pizzo», geme al mio orecchio. «Mi piace, ma ora queste mutandine le
togliamo».
Alessia, a Natale ti sei meritata un doppio regalo.
Prima di realizzare che non siamo del tutto nudi, lo sento dentro di me. Dire che sto
facendo un viaggio eccitante a cavallo di un purosangue sarebbe un po’ eccessivo,
però in fin dei conti non è affatto male, considerato che avevo previsto una serata
infinitamente noiosa.
Saltiamo i convenevoli, tanto il sesso è tutto uguale.
Mentre ci ricomponiamo, mi rendo conto di dover assolutamente mettere in chiaro
la situazione. Non posso di certo dirgli a muso duro che non voglio altro da lui se non
questo. Però non posso nemmeno perdere due amici che mi hanno supplicato di non
portarmi a letto il capo di uno di loro.
«Ascolta, devo essere sincera. Non sono una da storie, ora ho la testa altrove e non
posso distrarmi». Bene cosi.
Lui mi guarda alzando un sopracciglio e poco dopo scoppia a ridere.
«Tranquilla, Sam, io sono come te».
Alleluia!
«Scusa la sincerità, ma non volevo creare problemi a Marco, visto che è stato lui a
presentarci».
«Non ti devi preoccupare», si limita a dirmi. Non sembra molto sconvolto, anzi.
«Sai, non vorrei mai che quello che è appena accaduto tra noi avesse ripercussioni
negative sulla carriera di Marco».
Si mette a ridere.
«Sam, io sono sposato».
Oh oh, ops.
Regola numero uno, non uscire con il capo del tuo migliore amico che aspetta una
promozione; regola numero due, chiedere sempre a un uomo se è sposato; regola
numero tre, io NON FACCIO SESSO CON GLI UOMINI SPOSATI!
Cattiva Samantha, cattiva!
Si allaccia le scarpe. «Anche se non avessimo fatto questa “chiacchierata”, avevo
già deciso di promuovere Marco».
Scampato pericolo.
«Però se ogni tanto volessi rivedermi per “parlare”, io sono sempre disponibile».
Si avvicina.
Molla l’osso, uno sbaglio si può fare, due no.
«Certo», sì come no.
Mi bacia e mi riaccompagna alla macchina.
III
Eduardo Mala
Dopo una colazione nutriente mi dirigo in ufficio. Una delle cose negative di questa
città è il traffico mattutino. Per arrivare al lavoro impiego dai quaranta ai cinquanta
minuti per un tragitto di appena quindici chilometri. Sono sempre puntuale e
nonostante le mie notti brave, non arrivo mai in ritardo. La prima regola di un buon
imprenditore è dare il buon esempio ai propri dipendenti, presentandosi sempre in
anticipo, bella e profumata, fresca come una rosa appena colta.
Parcheggio la mia BMW nel parcheggio privato ed entro dalla porta principale.
Vengo immediatamente raggiunta dalla mia segretaria che mi porge il solito tè verde.
L’unica donna al mondo che si sveglia alle cinque di mattina per prepararmi il tè a
casa sua. Non fate domande, è lunga da spiegare, sappiate solo che coltiva piantagioni
di tisane nel suo giardino.
«Buongiorno, Samantha. Le ricordo che oggi ha un appuntamento alle dieci e uno a
pranzo con il signor Mala».
Il signor Malavoglia come lo chiamiamo in ufficio.
«Sì, va bene. Ci sono chiamate?»
«No».
Vedo in lontananza Alessia e decido d’ingranare la marcia per scappare e
rinchiudermi nel mio ufficio.
«Sam», mi chiama. «Sam».
Dritta, fai finta di niente… allunga il passo, ci sei quasi…
Mi lascio cadere sulla mia comoda sedia, appoggio la borsa sulla scrivania e
accendo il computer. Certo, so di non potermi nascondere da lei in eterno, soprattutto
perché la porta della mia stanza è sprovvista di chiave, pertanto questo piccolo
particolare m’impedisce di chiudermi dentro…
Maledetta la donna delle pulizie che l’ha persa!
«Samantha?».
Eccola.
«Dimmi…».
«Non hai sentito che ti stavo chiamando?»
«No, scusami, stavo pensando agli appuntamenti di oggi». Bugia. «Avevi
bisogno?».
Entra e si siede davanti a me. «Bella serata, ieri. Luca è veramente un bell’uomo».
«Sì, non male». Faccio la vaga, controllando le mail sul PC.
«Sei andata a casa subito ieri, vero?», mi guarda minacciosa.
«Sì».
Batto forsennatamente sui tasti.
«Sam!».
Mi giro verso di lei. «Che c’è?»
«Ti conosco». Mi punta il dito contro. «No, mia cara, tu stai mentendo».
«Smettila di fare così», cerco di divagare, ma la mia espressione è la prima a
tradirmi e del resto ad Alessia non riesco a mentire.
«Oh no, no, no, me l’hai promesso. Tu… tu me l’avevi promesso!».
«Non è come credi», cerco di giustificarmi, «è stato lui a provarci».
Alessia si alza di scatto e inizia a camminare oltre la mia scrivania, avanti e indietro,
nervosamente.
«La vuoi smettere? Mi stai facendo venire la nausea».
«Sam, o cammino o ti salto al collo e ti strozzo».
«Okay, continua a camminare».
Mi fulmina subito con lo sguardo. «Marco mi ammazzerà», mi comunica. «Anzi,
ammazzerà anche te».
«Vuoi calmarti e sederti per favore?».
La obbligo a sedersi e cerco di placarla, ma lei blatera cose incomprensibili.
«Credimi, è tutto a posto. Lui è sposato», dichiaro per tranquillizzarla.
«Lo so che è sposato!».
Ah.
«Dimmi, mi conosci da quanti anni? Circa trenta su per giù. M’inviti a cena a casa
tua sapendo come sono, mi presenti un bel tipo e pretendi che faccia la brava? E per
giunta non mi dici nemmeno che è sposato», sbuffo.
«Senti, prima di tutto io ero contraria, ma Marco ha insistito perché il suo capo si
sentiva in imbarazzo a venire a cena senza la moglie. Due, sei l’unica amica carina
che ho. Tre, non pensavo che ti saresti infilata anche nel suo letto».
«Veramente l’abbiamo fatto in macchina», sorrido.
«Che diavolo, Sam!».
«La prossima volta noleggiati un’amica finta».
Ahi, la vedo dura. Alessia si lascia cadere arresa sulla sedia e appoggia la fronte sul
ripiano freddo e duro della mia scrivania. Non mi parla, e questo è preoccupante. Nel
silenzio si sente lo squillo quasi minaccioso di un telefono. Lei finalmente dà segni di
vita. Alza la testa e guarda il display senza dire niente, ma il suo viso cambia
espressione.
«Marco», annuncia con voce tremolante.
Non ci voleva.
«Pronto. Ciao, sì, bene e tu?». Mi guarda ringhiando.
Silenzio, troppo silenzio.
«Veramente? Giura? Sì, è qui davanti a me».
Sorrido, forse è meglio non interferire…
«Ah… capisco. Luca ha detto che è stato bello chiacchierare con Samantha».
«Anche per me», grido, seduta stante.
«No, amore, che ti viene in mente? Hanno parlato a cena. No che non si sono visti
dopo». Alessia si schiarisce la voce. «Domani sera a cena per festeggiare la
promozione. Glielo dirò». Mi fissa. È il momento della mia rivincita.
Mi appoggio meglio alla sedia e faccio finta di guardarmi le unghie.
«Marco, porto il vino», rido di gusto.
«Va bene, ciao amore, a stasera… anch’io, bacio».
Mi volto e osservo divertita la mia amica che chiude la conversazione, facendo un
lungo respiro. Senza dare troppe spiegazioni, si alza e mi punta ancora il dito. «Per
questa volta ti è andata bene. Ti aspetto domani a cena per festeggiare la promozione
di Marco».
Senza esitare si dirige alla porta.
«Lo sai, vero, che la parola “chiacchierare” era un modo di dire che significa ben
altro».
Alessia impiega meno di un secondo per girarsi e fulminarmi con lo sguardo,
pregandomi silenziosamente di non aggiungere una sola parola. Mi dà le spalle, esce e
se ne va.
«Che caratterino!», dico ad alta voce.
Scampato pericolo: finalmente mi rilasso un po’, anche perché, a dire la verità, mi
ero alquanto spaventata.
Sono le 11:30 del mattino. Il primo appuntamento è terminato e tra poco ho il
pranzo con Mala. Ho passato una settimana intera a studiare come rifilare a questo
cliente la scorta super dei nostri prodotti. Devo procedere con cautela: questo signore
ha due negozi in centro a Londra e per noi potrebbe rivelarsi un partner importante;
entrare nelle sue grazie significherebbe sbarcare in un mondo nuovo con i nostri
articoli. Mio padre mi dice sempre: «Non abbassarti a leccare il culo a nessuno,
annusalo e fai sì che siano loro a leccarlo a te».
Non si tratta solo di me, ma di tutta l’azienda.
Salgo le scale, respirando profondamente. Il Milan è il ristorante più elegante ein di
tutta la città. Per avere un tavolo bisogna prenotarlo con un mese di anticipo, persino i
vip fanno la coda per mangiare qui, ma io ho la fortuna sfacciata di conoscere la
proprietaria, che altri non è che la migliore amica di mia madre. Questo scherzetto,
cioè l’aver chiesto a mia madre un favore, mi costerà sicuramente tre cene a casa
sua… e se l’aveste mai incontrata, capireste che vuol dire…
Avete presenta Meryl Streep in Il diavolo veste Prada? Be’, mia madre è così.
Capelli tinti biondi, occhiali scuri anche di sera, elegante e sempre impeccabile, ma
soprattutto una stronza senza pari!
Ha un piccolo atelier di moda in provincia di Pavia, dove le ricche signorotte della
zona vanno a spendere i soldi dei rispettivi mariti. A proposito di mariti, lei ne ha
avuti tre. Mio padre, il suo socio e infine Luis, l’attuale vittima. Come avrete intuito,
non vado molto d’accordo con lei. Sfido chiunque ad andare d’accordo con mia
madre. È una vera dittatrice, maniaca del controllo. Odia come mi vesto, odia come
mi trucco, odia chi frequento, ma la cosa che più di tutte non sopporta di me è che non
abbia un marito. Nella fattispecie quello che lei ha scelto per me. Un ricco rampollo
tutto brufoli, vicino di casa della sua villa in Sardegna.
Ma ritorniamo al mio appuntamento.
Malavoglia già mi aspetta e purtroppo non è solo.
«Buongiorno», esordisco e lui e il suo “ospite” si alzano.
«Buongiorno, signorina Testa. Si ricorda di mio figlio Eduardo?».
Come non ricordare lo scorso capodanno al Plaza, in camera sua, nella mia e così
via? Sì, okay, è vero, non mischio lavoro e sesso. Ma lui non era lavoro… almeno non
ancora.
Eduardo è un uomo bellissimo: capelli castano scuro, occhi neri penetranti e un
sorriso che ti spiazza. Ci vediamo spesso in giro per locali e immancabilmente
finiamo a fare sesso in bagno, in macchina, nel privé…
«Certamente. Come va?». Eduardo mi sposta la sedia e mi accomodo.
«Bene, grazie. È bello rivederti».
Smettila di sogghignare.
Annuisco sorridendo.
Nel mondo degli affari prima si mangia, poi si discute di cose serie, quindi noi
facciamo così. Questo pranzetto mi costerà trecento euro per tre insalate e tre antipasti
di pesce, per cui spero vivamente di ricavarne qualcosa d’interessante e soprattutto di
proficuo.
«Allora, signorina Testa, ho visionato le brochure che mi ha mandato in ufficio. La
proposta è molto interessante», mi dice il vecchio, appoggiando la forchetta.
«La ringrazio», rispondo, sempre con un sorriso da ebete sul viso. Se avessi appena
fatto il lifting, mi salterebbero tutti i punti.
«Non le dispiacerà, spero, ma ho sottoposto i bozzetti anche a mio figlio».
Figurati, io a tuo figlio ho sottoposto anche altro.
«Nessun problema, due opinioni sono sempre ben accette».
Eduardo continua a sogghignare e appoggia la mano destra sulla mia coscia sinistra.
«Bene. Passiamo ai fatti».
Il figlio inizia a toccarmi la gamba salendo piano e questo non è bene… no, non è
per niente bene.
«Noi, come gruppo Green Cosmetici, abbiamo apprezzato diversi prodotti, ma non
tutti», mi confessa.
«Capisco, signor Mala, è comprensibile». Sposto la mano di Eduardo, che però non
sembra intenzionato a cedere.
«Posso, papà?», interviene Eduardo, spostandosi più vicino a me.
«Certo, figliolo». Il padre fa cenno con la mano al figlio di continuare e lui
prosegue, non solo con le parole.
«Ho analizzato i costi e le offerte dei vari prodotti e credo sia possibile inserirli nei
nostri negozi, sempre che tu sia disposta ad abbassare i tuoi prezzi».
Non so se avete capito, ma questa è una metafora. “Abbassati le mutandine”.
«In che senso?», chiedo, mentre lui mi stuzzica di nascosto in mezzo alle gambe.
«I prodotti made in Italy a Londra vanno via come il pane. Però dobbiamo far sì che
i prezzi siano accessibili», mi spiega, e le dita affondano.
«Sì», inghiottisco. «Certamente», bevo un goccio di acqua.
«Quindi», continua, «noi, anzi io, inserirò un po’ alla volta i tuoi prodotti sul
mercato, ma tu devi aiutarmi ed essere ragionevole con i prezzi. Almeno inizialmente,
per far conoscere il marchio».
Più che inserire poco alla volta, esce ed entra.
«Mi sembra un’ottima idea. I tempi?». Sto sudando e ogni muscolo del mio corpo si
sta irrigidendo.
«Per questo a voglia», lo interrompe Mala, «possiamo iniziare già a gennaio».
Per la cronaca, manca meno di un mese alla fine dell’anno.
«Fantastico!». Sorrido entusiasta e vogliosa, visto che quel bastardo del figlio
continua imperterrito.
«Sono contento che ti piaccia», mi dice Eduardo.
Stronzo.
«Dobbiamo festeggiare, allora». Chiama il cameriere. «Papà, che ne dici un
bicchiere di Bellavista per un brindisi?», chiede guardando il padre.
«A voglia, figliolo».
Capito perché lo chiamiamo Malavoglia? Diciamo che quando è entusiasta la sua
espressione preferita è: «A voglia».
Mi sistemo meglio sulla sedia, non è facile stare fermi in circostanze come queste.
Le sue dita affondano sempre di più, cerco di trattenere gli ansimi tossendo o
bevendo, ma non resisterò a lungo.
Devo uscire da questo impiccio subito!
«Scusate, dovrei andare un attimo alla toilette».
Eduardo mi guarda di traverso e sposta la mano, infastidito. Sistemo il vestito sotto
la tovaglia e mi alzo. Vado dritta verso il mio obiettivo, senza voltarmi, senza
esitazioni, dritta verso l’unico posto in cui una donna può starsene tranquilla. In
bagno.
Quell’idiota di Edu vuole far saltare tutto. Se suo padre si fosse accorto di quello
che stava accadendo sotto il tavolo, in questo momento sarei sprofondata all’inferno.
Entro in bagno velocemente. Non so se siete mai stati in una toilette per signore di un
ristorante di lusso. Vi spiego un po’: in pratica è come entrare in un salotto. Ci sono
costosi divani di pelle, vasi di fiori freschi e profumati, specchi con sgabello, sedie
imbottite e sapone liquido per le mani di Calvin Klein.
Ogni bagno è composto da un lavandino, un bidet, un wc e un’enorme scatola nera
in cui, sollevandola con l’apposito pedale, trovi salviette calde e morbide. Insomma,
in poche parole è un ambiente assolutamente elegante e raffinato.
Ho bisogno di acqua fresca.
Mi spruzzo un po’ il viso, per fortuna il mio trucco è waterproof. Mi lavo le mani
cercando di calmarmi e di calmare le mie voglie che pulsano. Sistemo le calze
autoreggenti attaccandole meglio al reggicalze di pizzo nero e dopo mille respiri esco,
sistemata e fresca come prima.
«Stai andando da qualche parte?».
Mi giro: una voce familiare mi ha colto di soprassalto.
Maledizione!
Eduardo!
«Sto tornando al tavolo».
«Sicura?», mi domanda con un mezzo sorriso.
«Certo che sono sicura. Tuo padre ci aspetta».
Alza gli occhi al cielo e mi si avvicina. Sento il suo corpo addosso al mio e le sue
labbra a un centimetro da me. No, non deve succedere… Ma come sempre la mia
forza di volontà è pari a zero. Anzi, sotto zero.
Il suo respiro è un po’ troppo vicino al mio collo. Le sue mani corrono lungo i miei
fianchi e mi spingono verso il muro. Le sue dita mi percorrono le forme del seno e il
mio respiro aumenta quando mi morde il labbro inferiore.
«Entriamo, non preoccuparti per mio padre, se n’è già andato».
Mi spinge nel primo bagno che trova. Mi chiede ansimante: «Dove eravamo
rimasti?».
I suoi baci ardono sulla pelle e le sue mani bruciano tra le mie gambe.
«Ti odio», gli sussurro tra le labbra.
«E io ti voglio. Sei sempre bellissima, Samantha. Bellissima e vogliosa, proprio
come piace a me».
Non riesco a tirarmi indietro, lui mi controlla ogni volta, ha un magnetismo e
un’influenza negativa sul mio corpo che mi fanno impazzire.
Che c’è? Anche se è solo sesso, tutti noi abbiamo i nostri “amanti” preferiti… be’,
io ho lui.
Scopa che è uno spettacolo, bacia da meraviglia e abbiamo un’alchimia sessuale
eccezionale.
«Piccola», mi sussurra nell’orecchio. «Ti piace?»
«Sì», ansimo sotto le sue dita.
«Girati».
Mi giro appoggiando con le mani sul lavandino. Sento il suo respiro affannato sul
collo e sui capelli. «Samantha, tu mi fai impazzire».
La sua punta mi accarezza leggermente, «Oh, sì», urlo, quando di colpo scivola
dentro di me.
«Ti piace così?».
Mi sta facendo perdere il controllo. «Sì, ancora», lo sento dietro di me, ansimante e
voglioso.
Le sue spinte si fanno sempre più forti e aumentano d’intensità ogni secondo che
passa.
«Edu», soffoco il mio grido.
«Vieni, piccola, vieni».
IV
Dracula e il suo castello
Do un’occhiata ai vestiti esposti. Ho bisogno di festeggiare l’affare andato in porto e
per una donna non c’è miglior premio di una sessione di shopping. Il negozio è posto
su due piani con un ascensore dalle pareti in vetro che si staglia al centro della stanza.
Il cuore mi pompa di gioia non appena il mio sguardo si posa su delle splendide
scarpe altissime all’altro lato del negozio. I miei polmoni aspirano l’odore della pelle
e i miei occhi brillano grazie a quegli scintillanti brillantini che luccicano su tacchi e
cinturini. Il bagliore dei grandi lampadari rende l’atmosfera davvero strabiliante.
Accidenti! Questo sì che è il paradiso!
Una commessa, vestita di bianco e con voluminosi capelli rosso rame, mi si
avvicina.
«Salve», mi sorride. «Posso esserle utile?».
Mi guardo intorno. «Vorrei provare quelle, quello, quelle e tutti quelli».
I miei occhi puntano ogni vestito e ogni scarpa nel raggio di un metro da me.
La vedo allontanarsi con un sorriso che rivela chiaramente che sta pensando a
quanto aumenterà la sua percentuale sulle vendite grazie alla sottoscritta.
L’aroma dolce d’incenso incorporato nei vestiti e la cera per pavimenti hanno un
profumo familiare che a me piace immensamente, quello di lavanda. Questo odore mi
ricorda vari negozi; non so se hanno tutti la stessa impresa di pulizie o un contratto
con la casa produttrice di lavanda, fatto sta che profumano tutti uguali.
Passo attraverso la doppia porta del camerino di prova. Ondeggiando a ritmo di
musica, vengo trasportata in un locale dalle pareti viola e le tende bianchissime. Inizio
a canticchiare, mi muovo fluidamente e fluttuo in mezzo a pile e pile di vestiti.
«Questi abiti dovrebbero essere della sua taglia, e le scarpe della sua misura». Mi
dice la commessa, appoggiando sul divanetto vicino al camerino cinque vestiti di
diverso taglio e colore, coordinati con scarpe e borse.
Emozionata, prendo tra le mani tutto quel ben di Dio ed entro in camerino.
La commessa mi porta un vassoio d’argento con sopra appoggiate una teiera e una
lucida tazza di porcellana. Del tè, immagino, vista l’ora. Accanto ci sono anche delle
paste, di quelle che si usano per accompagnare le bevande calde. Ammetto di non
amare molto questo tipo di trattamento, forse perché l’unico tè che bevo è quello della
mia segretaria, però accetto per educazione e ringrazio con un sorriso.
Immaginatemi con un abito di seta nero e un paio di scarpe con tacco dodici… è il
primo vestito che mi sto provando. Sono di buon umore, le guance arrossate, gli occhi
incandescenti e i riccioli castani che rimbalzano a ogni cambio d’abito. La commessa
se la ride compiaciuta, io me la rido compiaciuta: siamo tutti compiaciuti. Meglio di
così…
Ma, nonostante l’euforia, in un secondo, anzi, in un nanosecondo, la mia
espressione cambia. Il mio telefono inizia a squillare e la musica di Profondo
rosso echeggia per tutto il negozio. So chi è, certo che lo so, quella musica l’ho
associata solo a una persona: mia madre.
La commessa mi guarda.
«Scusi, arrivo subito», dico. «Mia madre è uscita dalla bara».
Prendo il telefono e premo il tasto verde. «Ciao, mamma».
Giro per il negozio.
«Sì, è andato tutto bene».
Niente male questa gonna.
«No, stasera ho da fare. No, veramente. Ti dico che è così. Mamma, ho da fare».
Attimo di silenzio. «Sì, okay, va bene, sto mentendo, non ho impegni».
La solita ramanzina. Faccio finta di impiccarmi con una sciarpa di seta presa
all’occorrenza da uno stand.
«No, non è così, non è vero che non ti voglio vedere. No, veramente. Ti dico che è
così», sbuffo. «Okay, è vero, non ho voglia di venire».
Sorrido nervosamente alla commessa dai capelli rossi, che mi guarda divertita.
«No, mamma, non preferisco papà. No, veramente. Ti dico che è così. Okay, un po’
è vero, ma… va bene, ci vediamo alle venti in negozio. A dopo».
Perché, perché, perchééééé!
La terra inizia a tremare e vengo inghiottita dai sensi di colpa che mia madre mi fa
puntualmente venire tutte le volte che mi chiama. Preferirei essere impalata su un
albero in mezzo al bosco con mille lupi mannari arrabbiati e affamati intorno, pur di
non andare da lei. Datemi una vasca piena di piragna e mi ci immergerò senza
esitazione, pur di sfuggirle. Ma, ahimè, non posso negare che mi ha aiutato a
prenotare un tavolo al ristorante, per cui questo incontro glielo devo, anche se…
datemi una lametta: mi taglio le vene qui, subito.
Digito il numero di Alessia.
«Ciao, Ale, stai bene?»
«Certo che sto bene, aspettavo un tuo cenno, sono agitatissima», mi dice all’altro
capo del telefono.
«Be’, è andato tutto bene, sbarchiamo a Londra».
«E me lo dici così? Cosa aspettavi a comunicarmelo?»
«Hai ragione, scusami, mi sono fermata in un negozio e sto provando delle cose,
solo che ho un grosso problema», appoggio il telefono e metto il vivavoce mentre mi
provo un paio di scarpe.
«Problema? Con Mala?», mi chiede spaventata.
«Ma no! Con loro tutto okay. Pensa, c’era anche Eduardo».
«Quello che ti sei fatta in quell’hotel anni fa? Non mi dire che te lo sei scopato in
bagno».
Avete presente quando in pochi secondi entrano in un negozio dieci persone e tutte
ti guardano e tu non riesci a togliere il vivavoce al telefonino e la tua amica continua a
raccontare intimi dettagli sulle tue abitudini sessuali? Ecco, in questo preciso
momento sto sprofondando.
«Ale!».
«Non dirmi che abbiamo perso il contratto perché hai fatto un servizietto al figlio
del capo. Va bene che hai un debole per lui, ma contieniti!».
Aiuto! Spegniti, cellulare del cazzo, perché ti blocchi? Mi viene da piangere…
«ALESSIA!», urlo.
«Che c’è?»
«SEI IN VIVAVOCE!».
«Ops».
«Scusate, la mia amica ha dei problemi». Con la mano mimo che le manca qualche
rotella nel cervello. Dopo mille tentativi, finalmente il telefono si sblocca. «Ma sei
scema? Che figure mi fai fare!», la rimprovero. Poi, cambiando argomento:
«Comunque con Mala tutto a posto, i primi dell’anno nuovo debuttiamo».
«E tu dimmelo che sono in vivavoce, stupida. Però sono felice», inizia a gridare la
sua gioia per telefono.
«Sì, è stupendo. Sono al settimo cielo. Però ora ho bisogno di te».
«Non mi dire che c’entra Eduardo».
«No! Niente di tutto ciò. Mia madre mi ha invitato a cena».
Fine dell'estratto Kindle.
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