APOSTOLI DEL SOCIALISMO nell`Italia nord-occidentale

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APOSTOLI DEL SOCIALISMO nell`Italia nord-occidentale
Giovanni Artero (*)
APOSTOLI DEL SOCIALISMO nell’Italia nord-occidentale:
Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani
(*)Buccinasco (MI) tel. 0245701875
Indice
Giovanni Lerda tra massoneria e “intransigenza”
Oddino Morgari. Biografia politica di un "cittadino del mondo"
Costantino Lazzari. Un socialista lombardo da Bertani a Lenin.
Dino Rondani. “commesso viaggiatore” del socialismo.
Appendice:
Generazioni e percorsi del massimalismo socialista in Lombardia.
Premessa
Nel territorio di quello che nel secolo scorso era il “triangolo industriale”, (Milano-Torino-Genova), vi
fu un precoce sviluppo di organizzazioni operaie e contadine1 (Società di Mutuo soccorso,
1
All’inizio del ‘900 nelle regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria) erano
presenti 760 cooperative (con 364 mila soci) su 2200 (con 567 mila soci); 2670 (con 412 mila
iscritti) Società operaie di mutuo soccorso su 6600 (con 994 mila soci); il 39,19 degli iscritti al PSI
in un territorio abitato dal 25,8 della popolazione italiana.
In queste tre regioni il movimento operaio e contadino ebbe caratteri che lo distinguono sia
del modello emiliano (con propaggini nel mantovano e Polesine), incentrato sull'agricoltura
capitalistica, sia da quello “centro-italiano” (Toscana, Marche, Umbria), regioni in cui predomina la
mezzadria e la piccola impresa artigianale. Si veda: M.Degl'Innocenti Geografia e istituzioni del
socialismo italiano, 1892-1914, Napoli, 1983; M.Ridolfi Il PSI e la nascita del partito di massa, Bari,
1992
Cooperative, Leghe sindacali, Camere del lavoro) nonché di sezioni del Partito socialista, con la
conseguente formazione di una leadership che si impose anche a livello nazionale.
Da questo territorio provengono infatti molti leaders sia del socialismo (da Filippo Turati a Claudio
Treves, Leonida Bissolati, Enrico Ferri…) che del movimento sindacale (da Rigola a Cabrini e
Buozzi…) delle origini.
Alcuni di essi hanno destato l’interesse degli storici che hanno loro dedicato studi monografici, ma
personalità che hanno ricoperto ruoli importanti - si pensi ad un Costantino Lazzari segretario del
PSI nel cruciale periodo tra impresa libica e guerra mondiale - non hanno ricevuto una attenzione
adeguata.
Il volume raccoglie le biografie di quattro di questi “pionieri” (uniti anche da una comune
appartenenza generazionale oltre che territoriale: quindici anni separano il più anziano dal più
giovane), come contributo a studi più approfonditi.
GIOVANNI LERDA (1853-1927) tra massoneria e “intransigenza”
Premessa
1. Tra positivismo e massoneria (1880-1893)
2. Lo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese
3. Giovanni Lerda nel socialismo torinese (1888-93)
4. Il modello socialista genovese
5. Il decennio genovese (1893-1902)
6. La lotta per la vita (1894)
7. Il Congresso di Firenze (luglio 1896).
8. Il socialismo e la sua tattica (ottobre-novembre 1896)
9. La polemica con Bernstein (1897)
10. Esilio svizzero (1898-99) e attività all’estero.
11. Il nuovo secolo e il "ferrismo" (1900-1906)
12. La frazione intransigente (1906-11)
13. Da Modena a Reggio Emilia (1911-12)
14. L'impresa libica nel quadro dell’imperialismo italiano ed europeo
15. Il congresso di Ancona, la guerra e il dopoguerra
Premessa
«Appartiene alla preistoria del socialismo ligure e del socialismo italiano. Scrivendo così,
epigraficamente, di Giovanni Lerda, incido il suo nome tra quelli degli apostoli».2 Queste solenni
parole dedicate alla sua leggendaria figura di pioniere del socialismo in Liguria ritraevano lo stato
d'animo di devozione che seppe suscitare attorno alla sua persona3 per l'attività propagandistica e
organizzativa4
Il movimentato percorso di Giovanni Lerda riflette le complesse e contrastanti esperienze di un
2
La Farandole (Luigi Campolonghi), “Il lavoro”, 24.10.1904
3
Gli operai genovesi fecero trasportare la salma a Voltri, dove nel 1952 fu commemorato il
centenario della sua nascita
trentennio di storia del socialismo italiano. Formatosi nella torinese Editrice Scientifica Bocca, culla
del positivismo, iscritto alla massoneria senza condividerne l'anticlericalismo di origine
democratico-risorgimentale, il suo avvicinamento al marxismo è simile a quello di molti esponenti
socialisti della sua generazione il più illustre dei quali fu Enrico Ferri.
I suoi tratti distintivi furono una particolare attenzione alle condizioni materiali di vita dei lavoratori
ed un impegno costante sul piano della propaganda elementare. Dalla sua formazione culturale da
autodidatta derivò un certo eclettismo, una concezione pedagogica della cultura e un
atteggiamento di deferenza nei confronti degli intellettuali provenienti dal mondo accademico.
L'occasionalità degli articoli di giornale e la contingenza dei comizi nascondevano la debolezza dei
concetti che divulgava tra le folle, ma quando si trattava di dare un contributo teorico allo sviluppo
del marxismo emergeva la mancanza di rigore sistematico e la frammentarietà del suo pensiero.
Fu però uno dei pochi socialisti italiani che, per la sua conoscenza del tedesco e i contatti stabiliti
grazie alla sua compagna Oda Olberg5, partecipò ai dibattiti della Seconda Internazionale.
Rivolse anche l'attenzione alla religione, considerandola un tramite per la realizzazione di un
socialismo inteso moralmente come solidarismo da praticare all'interno della famiglia, negli
ambienti del lavoro, nella vita privata. Nella iscrizione che volle sulla lapide: "visse e morì come
ateo" la chiave di lettura sta nel «come», che allude al valore strumentale del suo ateismo visto, in
un'ottica illuminista, come superamento della religione in nome della "ragione morale".
4
La sua compagna scrisse che «faceva, più che vita di famiglia, vita di ferrovia: non c'è
quasi comunello d'Italia dove non abbia tenuto conferenze» Oda Olberg, “II Lavoro Nuovo”
24.8.1952
5
Oda Olberg (1872-1955), figlia di un ufficiale di marina, appartiene alla generazione di
intellettuali tedeschi avvicinatisi alla socialdemocrazia dopo la vittoria elettorale del 1890, nel suo
caso agevolata dalla lettura di La donna e il socialismo di Bebel. ll 1896 è l'anno sia de La miseria
nell'industria tessile a domicilio che della collaborazione alla “Neue Zeit”. Criticò le tendenze del
PSI facendo riferimento al suo partito d'origine, «partito-guida» della Seconda Internazionale. Con
Lerda presentò l'OdG degli «intransigenti» al congresso di Roma del 1906, ma dopo la vittoria al
congresso di Reggio Emilia si distaccò dalla frazione per l'incompatibilità del suo orientamento
"kautskiano" con la linea di alleanza col sindacalismo rivoluzionario perseguita da Mussolini.
Nonostante la guerra continuò la collaborazione al “Vorwarts” di Berlino e all' “Arbeiter Zeitung” di
Vienna e la corrispondenza epistolare con Luisa e Karl Kautsky, ma fu strettamente sorvegliata
dalla polizia. Diffidata nel 1923 per alcune corrispondenze apparse sul “Vorwarts”, aderì al PSU.
Nel 1927 si stabili a Vienna, dove divenne redattrice dell' “Arbeiter Zeitung” e nel 1928 pubblicò
un opuscolo intitolato alla memoria di Lerda, nel 1931 fu in Spagna, inviatavi dal partito austriaco e
dall' “Arbeiter Zeitung” e l'anno dopo dette alle stampe Nationalsozialismus . I coniugi avevano
avuto quattro figli: Gracco, Edgardo (nato a Genova il 29.7.1899), Marcella (nata a Roma il
3.5.1906) e Renata. Su Edgardo esiste nel Casellario Politico Centrale un fascicolo personale
perchè, trasferitosi a Buenos Aires , fu assunto nel 1933 dalla polizia argentina per la lotta alla
mafia. Nel 1934 si stabilì presso il figlio a Buenos Aires, dove proseguì l'attività politica come
membro di varie organizzazioni socialiste e antifasciste, collaborando alla “Nuova patria” e a
“Critica”, e qui morì l’11 aprile 1955.
1. Tra positivismo e massoneria (1880-1893)
Nato il 29 settembre 1853 nel forte di Fenestrelle6, in una famiglia di militari (un nonno era stato
nella Grande Armata napoleonica in Russia), rimasto orfano del padre nell’infanzia, fu costretto a
lasciare la scuola nautica7 per motivi economici. Trovò allora lavoro a Torino presso la Casa
editrice Bocca8, in cui entrò come impiegato subalterno, ma di cui divenne direttore a soli 27 anni
nominato nel 1880 dal vecchio proprietario.
La Casa curava le "Edizioni Scientifiche", in cui pubblicavano Max Nordau,9 Herbert Spencer,
Enrico Ferri, Iakov A.Novicow, Scipio Sighele10, Giuseppe Sergi, Cesare Lombroso, che dirigeva
anche l’Archivio di antropologia criminale, psichiatria, e medicina legale.11 L’attività editoriale lo
mise in contatto con questo ambiente, da cui ricevette un'indelebile impronta, anche se la sua non
fu un'accettazione acritica, ma anch'egli contribuì alla autodecomposizione del positivismo che
6
Comune montano della Val Chisone (Pinerolo) a 70 km. da Torino, era all’epoca un
importante sito militare. Nel 1853, non esistendo ancora i registri di stato civile, fu iscritto sui
registri di battesimo della Parrocchia di S.Luigi, depositati in copia presso il comune, come "Lerda
Antoine Sebastien Jean", dimorante presso il Forte San Carlo. Il padre Bartolomeo risulta
"militaire". La madre, Natalina Tarò, era di Cairo Montenotte, capoluogo della Val Bormida, in
provincia di Savona.
7
1846
Si tratta probabilmente dell’Istituto tecnico navale "Leon Pancaldo" di Savona, fondato nel
8
Enzo Bottasso L' editoria torinese dopo l'Unita d'Italia, Roma, 1981
9
1849-1923. Scrittore, filosofo, leader sionista. Ilsuo libro più noto è Menzogne
convenzionali
10
M.Garbari, Società ed istituzioni in Italia nelle opere sociologiche di Scipio Sighele ,Trento,
1988; N.Gridelli Velicogna, Scipio Sighele: dalla criminologia alla sociologia del diritto e della
politica, Milano, 1986; E. Landolfi, Scipio Sighele: un giobertiano fra democrazia nazionale e
socialismo tricolore, Roma, 1981
11
A questa rivista Lerda aveva collaborato con la recensione che avrebbe costituito più tardi
il nucleo del suo saggio su La lotta per la vita. Partecipò al primo congresso internazionale di
antropologia criminale a Roma nel 1885
avvenne in Italia a cavallo dei due secoli.
Torino sul finire dell'800 fu uno dei maggiori centri di diffusione del materialismo evoluzionistico,
che nel mondo intellettuale torinese aveva radici lontane. Nel 1860 su invito di Francesco De
Sanctis era venuto nell'Ateneo torinese come docente di biologia Jacob Moleschott, uno dei grandi
maestri del materialismo, che anche dopo il suo trasferimento a Roma nel 1879 non perse i
contatti con quell'ambiente, collaborando con la torinese "Rivista di filosofia scientifica".12
La frequentazione di questo ambiente culturale permeato di un'etica laica che sconfinava
nell'anticlericalismo, ne favorì l'avvicinamento alla massoneria che risale al 1884, quando fu
affiliato alla loggia “Dante Alighieri”13, e diede inizio a una militanza all'interno del Grand'Oriente
d'Italia che fu interrotta solo dalla morte.
Nel 1892 contese il collegio di Torino 2 al liberale Edoardo Daneo, massone da più lunga data
iniziato nella loggia «Pietro Micca-Ausonia». Il duello elettorale, più che una lotta “fratricida”, si
inserì nella tensione fra le diverse anime della “famiglia massonica" che vide dislocarsi a favore del
«sol dell’avvenire»14 scrittori, professori, scienziati e imprenditori, fiduciosi nel «fatale cammino»
dell’umanità verso un progresso che doveva significare anche redenzione delle plebi.
Massone secondo una visione del progresso dell'umanità in cui il proletariato diventava il moderno
fattore di elevamento culturale e il principe illuminato, non ritenne incompatibile l'appartenenza alla
massoneria e quando questa fu condannata al congresso socialista di Ancona del 1914 si distaccò
dal partito, senza cessare di considerarsi socialista.
2. Lo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese
La storia di Torino operaia e socialista è stata scritta più volte15 ma si ritiene utile fornire alcuni dati
essenziali di inquadramento.
L'Esposizione Universale del 1884 aveva sancito il superamento della crisi legata al trasferimento
della capitale. Su una popolazione nel 1880 di 300.000 abitanti gli addetti all'industria
12
A.Leonetti Da Andria contadina a Torino operaia, Urbino,1974: "ci seduceva allora la
filosofia evoluzionista di Spencer. Ci colpivano anche, in modo o nell'altro Nietsche, Max Nordau,
Hume....ci si accalorava per la filosofia positivista di Auguste Comte e di Robero Ardigò anzichè di
Croce....eppure il positivismo ha condotto molti al socialismo, compreso lo stesso Zino Zini, uno
dei maestri di Gramsci. Tutto il male che è nato con il riformismo e il piatto gradualismo non lo si
deve certamente ad esso...la filosofia idealista ha provocato guai e guasti anche maggiori"
13
Preceduto da Camillo Olivetti, Luigi Salmoiraghi, Cesare Goldmann, Alfredo Comandini,
Romeo Boselli Donzi, e seguito da Umberto Dal Medico, Giuseppe Ronchetti e Leonardo Bistolfi. Il
massone che ebbe maggiore rilievo sulla sua evoluzione verso il gradualismo, fino alla
partecipazione alla lega democratico-sociale durante la grande guerra, fu il matematico Giuseppe
Peano, entrato nella loggia «Dante Alighieri» nel 1885, esperantista e socialista umanitario, che
dinanzi a ogni invenzione poneva la domanda: «A che cosa serve? Farà abbassare il prezzo del
pane?».
14
A.A. Mola, Da quale oriente sorse, nel Piemonte del 1892, il "sol dell'avvenire"? Studi
Piemontesi", 1992, 1
(comprendendo anche i lavoratori a domicilio e parte degli artigiani) costituivano una quota del 2030 %. La maggior parte delle imprese risultava già allora concentrata nei settori metallurgico e
tessile con il 40% e il 19% delle imprese cittadine rispettivamente. Accanto al vecchio comparto
statale (Arsenale militare, Manifattura tabacchi, Officine ferroviarie) che continuava a
rappresentare il più consolidato nucleo produttivo cittadino, cresceva un tessuto di imprese private
dotate di grande dinamismo che avevano dato vita a stabilimenti di medie dimensioni con
maestranze operaie dalle 100 alle 300 unità e che negli anni tra la fine degli anni '80 e i primi anni
'90, nonostante la rottura commerciale con la Francia e la crisi bancaria, riuscirono a consolidare il
primo nucleo del capitalismo d'impresa destinato a soppiantare le produzioni governative e a
fornire alla città il suo definitivo volto industriale.
Questo processo di sviluppo entrava in conflitto con una società connotata da relazioni sociali
fortemente gerarchiche, da retaggi politici e culturali di tipo tradizionale e da un sistema politicoistituzionale elitario. Aveva iniziato a modificare questo quadro la crescita tumultuosa e disordinata
di un proletariato proto-industriale accanto e pericolosamente intrecciato con il “ceto operaio sobrio
e previdente” caro alla tradizione sabauda, crescita che era vista come una minaccia del rapporto
paternalistico tra élites liberali e associazionismo operaio.
Nel 1880-81 dal ceppo della Lega della democrazia, cioè dall'area che andava dai mazziniani ai
radicali e che, pur non essendo vasta e socialmente radicata come nel milanese, non era priva di
organizzazioni in ambiente operaio, artigiano e piccolo-borghese, erano sorte l'Associazione
democratica subalpina, il Consolato operaio, la Società di mutuo soccorso Fratellanza artigiana.
Nella primavera 1886 l'agitazione dei muratori assuse quasi le caratteristiche di una rivolta urbana
con blocco dei quartieri, scontri violenti e presidio di molte zone da parte della polizia; poi vi erano
state la lotta delle sigaraie e la diffusione di una piccola conflittualità negli stabilimenti manifatturieri
su problemi di salario, orario, regolamenti.
Intorno a quel periodo cominciò a manifestarsi quella tendenza repubblicano-socialista che,
dapprima rappresentata solo da pochi mazziniani attratti dal movimento operaio (gli avvocati
Leandro Allasia e Giambattista Cagno, il giovanissimo pacifista Claudio Treves, il gasista
Gianpietro Daghetto) crebbe sino a costituire il pilastro della formazione a Torino del Partito
socialista.
Nel giugno 1887 nasce la “Gazzatta operaia” fondata dallo studente vercellese Luigi Galleani16,
che ebbe un ruolo come elemento di mediazione tra anarchismo e movimento operaio, ma
numerosi erano, in un'area dai confini incerti, i giornali che si pubblicavano nella capitale
piemontese: il “Ventesimo secolo” di Giovanni Lerda, il “Grido del popolo” del tipografo Chenal, la
“Squilla” di area radical-repubblicana.
Nel corso del 1888 si costituì, con l'intervento degli operaisti milanesi Lazzari e Casati, sul modello
15
P.Spriano “Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1958; P.P.Bellomi “Lotte di classe,
sindacalismo e riformismo a Torino 1898-1910” in “Storia del movimento operaio, del socialismo e
delle lotte sociali in Piemonte”, vol. 2., Bari, 1979); M.Grandinetti“Il tempo della lotta e dell'
organizzazione: linee di storia della CdL di Torino”, Milano, 1992; M. Scavino, “Con la penna e con
la lima. Operai e intellettuali nella nascita del socialismo torinese. 1889-1893”, Torino, 1999
16
P.C.Masini “La giovinezza di Luigi Galleani” in “Movimento operaio”, 1954 n.3; U.Fedeli
“Luigi Galleani: qurant'anni di lotte rivoluzionarie”, Cesena, 1956
dei lombardi “Figli del lavoro”, la Associazione fra i lavoratori d'ambo i sessi di città e di campagna
che poco dopo si presentò come federazione locale del Partito Operaio Italiano. Fu l'unica forza in
grado di intervenire nell'intensa fase di agitazioni di fabbrica e proteste operaie che attraversarono
Torino nella primavera-estate 1889, con dimensioni e intensità mai raggiunte in precedenza, e i
cui effetti determinarono una svolta decisiva per la configurazione del movimento operaio e
socialista locale
A metà aprile del 1889, partita dai pellettieri che protestavano per una ribasso dei cottimi,
ripresero le agitazioni che si infittirono ed estesero in tutti i settori, in particolare quello tessile
colpito dal rialzo delle tariffe doganali.
La tendenza spontanea dell'agitazione operaia si intrecciò così con il progetto politico e
organizzativo della federazione operaista che si era costituita proprio sulla tesi della centralità delle
lotte economiche per lo sviluppo del socialismo come movimento politico, sostenendo un duro
confronto con l'anarchismo intransigente tradizionalmente diffidente verso il concetto stesso di lotta
di classe come lotta rivoluzionaria
La situazione si radicalizzò a partire dall'inizio di giugno, con una città quasi in stato d'assedio: gli
arresti nei giorni 11 e 12 furono una quarantina e il 13 iniziarono i processi per direttissima con
condanne da due giorni a tre mesi; anche dopo questa data si ebbero strascichi con l'entrata in
scena dei panettieri e poi dei garzoni del macello civico.
Il 10 novembre 1889 si votò a Torino per rinnovare il consiglio comunale sulla base della legge del
30 dicembre 1888 che estendeva il diritto di voto a parte dell'elettorato operaio. Si determinò in
occasione di queste elezioni la frattura dei democratici tra un'ala possibilista, che si inserì nella
lista liberale, e un'ala più radicale che si accordò con i gruppi socialisti-operaisti per la
presentazione di una lista democratico-operaia, i cui risultati furono deludenti, non andando
nessuno dei candidati oltre i 1800-1900 voti.
Dopo la fallimentare campagna elettorale del 1889, sull'onda della delusione che serpeggiava, e
con la ripresa delle vertenze, questa volta alle Officine ferroviarie, la parola d'ordine della
fondazione della Borsa del lavoro ebbe grande successo, raccogliendo nell'estate del 1891
l'adesione dei più forti sodalizi operai a partire dall'Associazione Generale Operaia (AGO) che,
forte di 6.000 soci, aveva un'immagine pubblica quasi istituzionale, e tutt'altro che scontata era la
sua adesione al progetto, presentato comunque con caratteri di moderazione tali da essere
accettabile ai liberali.
La proposta di fare del Primo Maggio una giornata internazionale di lotta, lanciata a Parigi nel
1889, diede luogo a Torino nel 1891 ad incidenti: sfidando il divieto prefettizio folti gruppi di
dimostranti, radunatisi in piazza Statuto, furono circondati e dispersi dalle forze di polizia:
quell'episodio rimase rimase a lungo impresso nella memoria collettiva della città, e fu il fatto
scatenante che determinò nel noto scrittore Edmondo De Amicis, che assisteva alla scena dalle
finestre del suo appartamento su quella piazza, l'interesse verso il socialismo. Nei giorni successivi
vennero celebrati i processi per direttissima, che comminarono pene pesanti: da due a tre anni.
Frattanto il progetto della Camera del lavoro che, come a Milano e in altre realtà, diede luogo ad
una trattativa con il Municipio per il riconoscimento e un sussidio, andava avanti: nell'estate 1891,
non appena fu avviata l'organizzazione delle sezioni per arti e mestieri, passò rapidamente da
poco più di 700 a quasi 4.000 aderenti.
Nel novembre 1892 si presentò una lista socialista con candidati in quattro collegi. La dura
sconfitta alle urne indusse l'area degli ex-radicali e repubblicani, della “Squilla”, della “Lega
Democratica Sociale”, a prendere la decisione, nel corso di una riunione tenuta il 15 novembre
1892, di fondare la sezione del “Partito dei lavoratori di Torino e provincia”, in attesa di concordare
l'affiliazione a livello nazionale. Fu una forzatura di un gruppo di organizzatori che in questo modo
si candidava al ruolo di direzione del socialismo torinese in sostituzione della “vecchia guardia”.
Il quadro dirigente che guidò il processo di formazione del partito non proveniva dalle esperienze
storiche del socialismo, (con l'eccezione del vecchio operaista Paolo Alessi) ma
dall'associazionismo repubblicano e a dare il tono al nuovo partito più che la componente operaia,
presente con Chenal, Daghetto, Racca e gli organizzatori Quirino Nofri e Morgari, fu quella dei
giovani di simpatie democratiche e repubblicane provenienti dall'Università e destinati a ruoli di
primo piano come Claudio Treves, Adolfo Zerboglio, Guglielmo Ferrero, Camillo Olivetti, Mario
Novaro, Zino Zini, Felice Momigliano, Gina e Paola Lombroso. Fu un passaggio di consegne non
formalizzato ma dovuto alle indubbie capacità organizzative di alcuni personaggi che dimostrarono
di meritare un ruolo di guida nel partito e di saperlo condurre alla conquista di nuovi traguardi.
Il Partito esordì organizzando una serie di conferenze operaie a partire dal 2 dicembre e indicendo
le elezioni per il rinnovo della Commissione Esecutiva della CdL che, sebbene fondata appena da
un anno, languiva in difficoltà amministrative e politiche. Il nuovo gruppo dirigente restituì la CdL
all'influenza socialista, cosa che aveva un significato particolare alla luce dei principi organizzativi
stabiliti al Congresso di Genova, e si presentò come gruppo autonomo, dandosi una struttura
unitaria al posto della precedente federazione di associazioni di mestieri e di circoli politici
Al momento dell'adesione nazionale, il 14 gennaio 1893, i soci iscritti erano solo 80, ma già il 21
confluì la Lega Democratica Sociale portando un contributo essenziale di soci e di risorse con 300
iscritti, ad aprile 1893 divenuti 400. e la “Squilla” cessò le pubblicazioni irrobustendo il “Grido del
popolo”, divenuto organo ufficiale a livello locale. Al successo di questo giornale contribuì anche il
declino del “Ventesimo secolo” di Lerda e Schiaparelli.
In questa fase di impianto dell'organizzazione, a prendere le iniziative (formazione di una
commissione di propaganda, istituzione di una scuola di partito, piano di potenziamento del
“Grido”) fu un gruppo composto dall'insegnante Battelli, dal medico Norlenghi, Morgari, Daghetto,
Allasia, Zerboglio, Treves, Cagno. La sezione si formò su alcune basi politiche e ideologiche:
propensione all'analisi sociologica, influenza del socialismo prampoliniano-emiliano, critica
dell'ordinamento borghese più moralista che marxista. Come scriverà “La Stampa” alcuni anni
dopo, il partito socialista a Torino “lo fondarono un esiguo numero di persone, giovanissime quasi
tutte, alcune colte, quasi tutte sentimentali e talune fino alla morbosità, agitate da sogni seducenti
di ricostruzione dell'attuale società viziata e corrotta” 17
3. Giovanni Lerda nel socialismo torinese (1880-92)
L'esperienza torinese, influenzata dal fenomeno dell'«andata al popolo» degli intellettuali, che ebbe
caratteristiche illuministe e umanitario-sentimentali, incise profondamente su di lui, determinando il
suo modo di concepire i rapporti tra intellettuali e classe operaia e di intendere la propaganda e
l'educazione come mezzi di emancipazione.
Compì il suo tirocinio di intellettuale borghese votato alla causa del riscatto della classe lavoratrice
negli anni in cui il proletariato torinese stava scrollandosi l'egomonia delle correnti moderate e
legalitarie, e finalizzò il lavoro di organizzazione delle masse alla formazione di una coscienza di
classe potenzialmente egemonica.
Collaborò prima al periodico di tendenza anarchica “Proximus tuus”, poi alla “Questione sociale”,
ed infine divenne fondatore del “Secolo XX”, uno dei sostegni più consistenti per la Camera del
lavoro.
Caratteristica comune degli articoli che scrisse per il “Secolo XX”, il cui motto era «agitate,
educate, organizzate», furono l'attenzione agli aspetti biologici della questione operaia, la
propaganda elementare di impronta positivista e la sottolineatura dell'importanza determinante
della organizzazione. Nel primo numero, in occasione della celebrazione del Primo Maggio,
rivolgendosi ai borghesi, così si espresse «Non temetela, non credetela una battaglia quella del
1.Maggio, siete troppo forti ancora... troppo grande ancora è l'ignoranza e l'ineducazione delle
masse... [ma] ... per la forza della nostra educazione, della nostra volontà, del nostro numero, voi
ogni giorno più perdete terreno di fronte alla nuova idea rigeneratrice... non è una sommossa, è
una grande rivoluzione nelle idee, cui seguirà parallelamente la rivoluzione degli ordinamenti
attuali”18
Sempre sul “Secolo XX”19 deprecò le decorative e superflue spese di certe società operaie di
mutuo soccorso in occasione di cerimonie ed il loro ossequio alla borghesia. Pur non sfuggendogli
il valore dell’associazionismo, forma primitiva di organizzazione di classe, ne ripudiò la
17
”La Stampa”, 6.12.1899. Questo il bilancio, poco simpatizzante, dei caratteri del primo
movimento socialista a Torino che traccerà un trentennio dopo, Piero Gobetti:”La fisionomia del
vecchio socialismo torinese fu data quasi essenzialmente dall'esistenza dell'Alleanza cooperativa,
grande organismo economico che si rivelò capace di sostenere la concorrenza del libero
commercio nel provvedere alle esigenze del consumo ma, in sede politica, fu scuola di
collaborazionismo e di spirito burocratico. Né alcuna corrente che divenisse dominante nel partito
ne potè prescindere, perché questa era la vera base finanziaria del partito nella sua azione locale.
Nofri, tecnico del cooperativismo, nel quale potè anche trovare il suo canonicato; Casalini, il
missionario dell'igiene, il medico dei poveri, che lavorando nel suo Comune esauriva tutti i suoi
ideali filantropici; Morgari, l'apostolo popolare nella lotta contro i soprusi e i privilegi, furono le
figure eminenti e popolari nella psicologia rudimentale delle masse. Il «marchese» BalsamoCrivelli, il raffinato dell'erudizione, il Pastonchi degli studi storici, e il «professore» Zino Zini
recarono al quadro i necessari colori romantici, con la loro adesione aristocratica e filosofica alla
causa degli umili e degli oppressi.”
18
La manifestazione di oggi, “II Secolo XX”, 3.5. 1891:
finalizzazione alla sola ricerca di maggiore benessere e ne vide la funzione positiva quando la
rivendicazione economica scaturiva da una chiara coscienza della propria condizione, che le
masse acquisivano solo in un’organizzazione formatrice di consapevolezza oltre che di unità.
Nel 1892 fu tra i propugnatori della partecipazione dei socialisti alle elezioni. Il Piemonte non era
nuovo a candidature dell'Estrema: oltre a quella di Costantino Lazzari, nel collegio di Torino, il 20
aprile 1884 l'anarchico Amilcare Cipriani venne contrapposto a Benedetto Brin, ministro della
Marina, seguito il 23 novembre 1890 da Andrea Costa, che raccolse 340 preferenze su oltre
10.000 votanti. A Novara il 23 maggio 1886 l'operaista Giuseppe Croce raccolse 239 preferenze su
13.000 votanti. Solo nel Cuneese nessun operaista o socialista contese il terreno alla lista guidata
da Giovanni Giolitti, mentre nel collegio di Saluzzo era Andrea Ferrero-Gola, fratello del più famoso
Giuseppe, garibaldino, già internazionalista e massone, a raccogliere il voto di protesta contro i
candidati governativi.
Nelle elezioni del novembre 1892 si presentò una lista socialista con candidati in quattro collegi,
con risultati deludenti: Prampolini ottenne 53 voti, Lerda 153. Mentre per Lerda il problema della
sconfitta non si poneva, non avendo mai puntato sulle elezioni se non come occasione per far
sentire la voce del socialismo, nella nota di commento pubblicata dalla “Squilla” e scritta da
Morgari si coglieva una posizione più problematica, espressione di una cultura per la quale lotta
economica e lotta politico-parlamentare formavano un tutto unico e che poneva l'esigenza di una
tattica di partito integrale.
4. Il periodo genovese (1893-1902)
Giovanni Lerda si trasferì nel 1893 a Genova, dove divenne comproprietario con Giovanni Ricci
della Libreria Moderna in Galleria Mazzini20. Qui curò l'introduzione di opuscoli sociologici e politici
e collaborò alle attività editrici della libreria, il cui catalogo del 1907 comprendeva un volume di
Marx-Engels (Pagine scelte), altrettanti di Kautsky e di Wagner, tre di Vandervelde e undici di
Tolstoj,21 e tenne riunioni con studenti e operai che destarono le preoccupazioni e la segnalazione
della Questura genovese.22
Riprese la sua opera di pubblicista militante sull' "Era Nuova" di cui fu uno dei fondatori nel 1894 e
dove pubblicò una serie di articoli divulgativi sul "Capitale", già apparsi sul "Secolo XX" di Torino23
nel 1891-92, e alcuni studi sulle condizioni di lavoro, igieniche e di orario degli operai e su quelle
dei contadini colpiti dalla crisi agraria. Come aveva parlato “Agli operai socialisti” sul giornale
torinese, ammaestrandoli, col medesimo indirizzo si rivolse loro sul settimanale genovese.24
Collaborò alla costituzione delle Camere del Lavoro di Sampierdarena e Genova e partecipò ai
19
“II Secolo XX”, 4 .10.1891
20
La Galleria Mazzini fu tra Otto e Novecento un “salotto sotto vetro” con diversi luoghi di
incontro per i letterati: il Caffè Diana, il Caffè Roma e la Libreria Editrice Moderna di Giovanni
Ricci, che ebbe fra i suoi fra i frequentatori Ceccardo Ceccardi, Antonio Giulio Barrili, Edmondo De
Amicis, Paul Bourget.
21
Alain Goussot Le fonti internazionali della cultura socialista in Italia In L'almanacco,
dicembre 1991.
congressi della Federazione regionale socialista ligure in rappresentanza della federazione
collegiale di Voltri.
Al primo Congresso, che ebbe luogo a Sampierdarena il 13-14 maggio 1894, nella relazione
sull’azione per la conquista dei Comuni25 sostenne la tesi del decentramento amministrativo che
riprese e approfondì negli studi pubblicati nel 1904 sulla “Rivista Municipale”26 il periodico
dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia.
Fu spesso colpito da misure di polizia: multato più volte per aver promosso pubbliche conferenze
non autorizzate e proposto il 16 settembre 1894 per l'assegnazione al domicilio coatto dalla
questura di Genova, ma la Commissione Provinciale, con deliberazione del 15 ottobre respinse la
proposta, ritenendo che «sebbene il denunciato siasi qualificato socialista evoluzionista, pur
nullameno a suo carico non risulta che egli abbia manifestato idee o principi anarchici, e tanto
meno che abbia fatto «propaganda in questo senso, e manifestato il deliberato proposito di
«commettere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali»27.
Tenta di dimostrare che chi si ubriaca in osteria non è un vero operaio "E' vero, alcuni
disgraziatamente si danno al lusso di ubriacarsi domenica e di scioperare il lunedì, però
bisognerebbe sapere quali e quanti sono questi operai in confronto al numero totale, bisognerebbe
sapere se molti di loro sono veri operai, oppure semplici inscritti di nome nel nobile esercizio ...la
massima parte degli avventori appartengono piuttosto a quelle basse classi di borghesi che sono
merciai, venditori ambulanti, mezzani, borsaioli, tutta gente che se dal vestire e dai modi ha
l'apparenza di operaio, non lo è certo per il lavoro nè per il guadagno, perchè non vi è chi non
sappia che a sfruttare il lavoro vero e produttivo concorre fino all'ultimo dei rivenditori ambulanti,
22
Nella lettera della Questura di Genova del 25 novembre 1898 che lo propone per
l'assegnazione al domicilio coatto si dice: «Nei centri operai di Sestri Ponente, Pegli, Fra, Voltri, fu
il Lerda che vi gettò le basi della organizzazione socialista. La sua opera colà risale al 1894,
quando tenne una prima conferenza sovversiva nella borgata Fabbriche, in quel di Voltri, a molti
operai, che convinse ad ascriversi al partito ed eccitò ad agitarsi per raccogliere nuovi « proseliti».
(Archivio di stato di Genova, Carte della Prefettura di Genova, pacco 264, fascicolo «Assegnazioni
al domicilio coatto».
23
Gli articoli: «Capitalismo e miseria» del 25.7.1891; «Nutrizione e delinquenza» del
10.1.1892; «Nutrizione e intelligenza» del 21.2.1892; «Mortalità ed economia» del 3.4,1892;
«Decrescenza della popolazione» del 10.4.1892
24
“Era Nuova” 22.7.1894: «Agli operai socialisti».
25
“Era nuova” 20.5.1894
26
“Rivista Municipale”, pubblicazione mensile ufficiale per gli atti dell' Associazione
nazionale dei Comuni italiani. Redattore per la parte generale (che comprendeva almeno metà
della rivista) era Lerda. Tra i collaboratori erano Bissolati, Carlo Canepa, Enrico Dugoni, Giacomo
Ferri, Enrico Leone. Luigi Sturzo.
27
A. S. Genova, Carte della Prefettura, pacco 264.
una turba di parassiti che vivono improduttivamente e perciò largamente"28
L'interesse per le condizioni del lavoro operaio lo spinse a proporre al quarto Congresso socialista
ligure, svoltosi a Genova nell'aprile 1896, che operai di tutte le categorie iscritti al Partito
raccogliessero sul luogo della propria diretta esperienza di lavoro dati e statistiche concernenti la
loro condizione.29 Tali dati, elaborati, furono pubblicati negli «opuscoli da un centesimo», col titolo
Perché gli operai sono poveri 30. L’opuscolo fu sequestrato dalla Procura con l’accusa di
«incitamento all’odio di classe» due settimane prima che la catastrofe di Abba Garima
determinasse il crollo del regime crispino. Nel luglio 1897 fu condannato a 3 mesi e 15 giorni di
detenzione, pena che in appello fu ridotta a 75 giorni e poi condonata in base all’amnistia per i reati
politici concessa in seguito all’ondata di sdegno dell’opinione pubblica e all’energico intervento di
Costa in Parlamento.31
Dopo un'interruzione, con lo pseudonimo "Julio" riprese l'attività giornalistica sull' “Era Nuova”
nell'estate 1896 con la serie di articoli «Perché devi essere socialista» in cui le coercitive
condizioni biologiche del rapporto di lavoro a cui è "innaturalmente" condannato il proletariato
costituivano la base della questione operaia e dei compiti del movimento socialista, insieme con la
propaganda elementare di impronta positivista e la sottolineatura dell'importanza determinante
della organizzazione.
Negli innumerevoli comizi che tenne, da Voltri a Campoligure e Rossiglione, da Prà a Sestri
Ponente, da Sampierdarena a Novi, con la sua vocazione di educatore conquistava l'affetto della
folla, suscitando l'apprensione della polizia, sempre in moto per tamponare le sue iniziative
oratorie.32
Se trattando del Lerda la Questura fino ad allora aveva parlato delle sue "manifestazioni
socialistiche in senso evoluzionista, le quali escludono di voler ricorrere a vie di fatto contro la
società", nel 1898 lo si schedò come «socialista rivoluzionario...caporione del Partito militante di
Genova...socialista battagliero d'azione. Il magistero della parola, che egli ha facile ed insinuante,
non basta ai suoi disegni: è dalla opera, è dall'azione, è dalla rivolta che egli spera il
28
G.Lerda Salari e risparmio, “Era nuova” n. 37, 1894
29
“Era Nuova”, 8.3.1896.
30
G. Lerda, Perché gli operai sono poveri, Biblioteca popolare socialista », n° 2, Genova,
1896. Riprendeva il titolo di un suo articolo sul “Secolo XX” del 2.3.1893.
31
R. Colapietra, Il '98, Milano, 1959, p. 20.
32
Nella scheda biografica del Lerda redatta dalla Prefettura di Genova si legge, in data 6
aprile 1897: «Nel collegio di Voltri tentò più volte arringare la folla sulla pubblica via, malgrado i il
decreto del 14 Marzo 1897 di questa Prefettura che proibiva le concioni socialiste sulle strade e
piazze pubbliche. E così nella sera del 14 Marzo tentò parlare agli elettori in Voltri nella Piazza
della Pretura, ma quel delegato di P.S. gli tolse la parola e sciolse l'adunanza; tentò parlare il 16
successivo nella pubblica piazza di Pegli, ma il delegato di P.S. di Sestri Ponente glielo impedì.
Tornato a Voltri sera del 19 successivo, intendeva arringare nuovamente la folla, ma il delegato di
Voltri si oppose ed allora il Lerda nascostamente si portò a Prà ove parlò sulla Piazza per 20 minuti
circa. Per questi fatti fu denunciato alla Pretura di Voltri per contravvenzione all'art. 434 C.P.».
conseguimento dei propri ideali»33.
Al quarto Congresso socialista ligure fu nominato membro del comitato regionale, e nel febbraio
1898 del comitato nazionale socialista in luogo del dimissionario Giovanni Vacca.
Nel collegio di Voltri fu sempre il candidato socialista, pur non essendovi mai eletto: nel 1893
ottenne 470 voti, 550 nel 1895, 812 nel 1897, 1307 nel 1900 al primo turno e 1486 in ballottaggio
contro i 1700 dell'on. Pizzorni34, nel 1904 1800, nel 1909 oltre 2000, nel 1913 ben 6800.35
Nell'agosto 1902, poco prima del trasferimento a Roma, curò su “Il Martello” di Sestri Ponente la
rubrica "Argomenti di legislazione, di igiene operaia e sociale"
5. Il modello socialista genovese
A Genova tra Otto e Novecento l'intreccio tra culture tradizionali (comunitarie e di mestiere)
radicate nel territorio e modernità prodotta da un’industrializzazione accelerata era presente sia in
una borghesia composta di grandi famiglie che gestivano in modo oligarchico attività finanziarie,
commerciali e armatoriali, sia in un proletariato in prevalenza di portuali e marittimi, frammentato
da antiche tradizioni di lavoro e radicato in culture di tipo preindustriale. In questo contesto l'azione
svolta in ambito locale dai socialisti genovesi non potè che mettere in evidenza lo scarto tra il
modello elaborato dal partito e la sua realizzazione.
Diversi rispetto al capoluogo la presenza e l'orientamento dei socialisti nei comuni del ponente, in
cui si concentravano le grandi industrie meccaniche e siderurgiche: Sampierdarena, Voltri,
Pontedecimo, Sestri Ponente. Quì la conquista dei comuni e l'elezione di deputati rivelarono la
capacità di definire relazioni e modelli di controllo del potere locale, ma mancarono gli spazi
economici necessari a consolidare il consenso e ad evitare il formarsi di una base di massa del
sindacalismo rivoluzionario.
La presentazione del nuovo Partito avvenne nel marzo del 1894 con la pubblicazione dell'Era
nuova, che aveva per sottotitolo periodico socialista e proponeva in prima pagina il programma del
Partito dei lavoratori italiani (poi PSI)36. Prevaleva nel giornale un approccio positivista37 nell’utilizzo
del metodo storico-sperimentale come fondamento scientifico contro le accuse di "interpretazione
33
Scheda del 1898 in A.S. Genova, Carte della Prefettura di Genova, pacco 264
34
In cui sfiorò il successo come mai più gli sarebbe accaduto. Il suo avversario, in minoranza
al primo scrutinio, fu poi eletto col ricorso a manovre illecite nel ballottaggio. “Il Martello”,
27.6.1900: «Come fu eletto il Pizzorni».
35
M. Pignotti, Notabili, candidati, elezioni. Lotta municipale e politica nella Liguria giolittiana,
Milano 2001
36
M. Milan, La stampa periodica a Genova dal 1871 al 1900, Milano, 1990, p. 214. Il giornale
si pubblicò fino al 1913 con un'interruzione dal 1906 al 1910.
37
D. Cofrancesco, Filosofia e politica a Genova nell'età del positivismo, Genova, 1988.
ideologica”38 che la cultura liberale rivolgeva al movimento socialista. In un’ottica gradualista ed
evoluzionista il percorso della storia è determinato dalle condizioni di struttura, il progresso è lento
ma ineluttabile, l'evoluzione della società, su cui non incide né l'atto volontaristico dell'anarchico39,
né il salto rivoluzionario, è fatalmente collettivista.
"Era nuova" esprimeva, soprattutto con gli articoli di Giovanni Lerda, la scelta della lotta di classe
come unico strumento di soluzione della questione sociale, ribadendo il principio che "le leggi civili
non possono mutare le leggi economiche". Con una serie di indagini statistiche sulle condizioni
delle classi subalterne e la pubblicazione di scritti di teorici del socialismo (da Alfonso Asturaro40 a
Fourier, Saint-Simon, Babeuf, Proudhon, Marx, Bakunin, Lassalle, Turati, Costa, Prampolini41) si
assegnò la funzione di direzione politica del movimento economico per orientarlo in senso
socialista con un programma di elevamento del livello culturale degli operai e di spostamento della
mentalità delle organizzazione operaie in senso marxista.42
Al primo Congresso socialista ligure del 13-14 maggio 1894 vennero affrontate le scelte in fatto di
"azione elettorale"43. La relazione di Angiolo Cabrini su "Partiti politici e religiosi" si allineò alla
scelta di rigida contrapposizione “all’azione di tutti gli altri partiti che si contendono il favore della
pubblica opinione”, intransigenza flessibile solo nei confronti di repubblicani collettivisti presenti
nelle associazioni operaie repubblicane, cui si indirizzava la propaganda socialista, ma non dei
38
Ad esempio, "Socialismo e scienza positiva. Darwin, Spencer e Marx", Era nuova, 15 luglio
1894.
39
"Il delitto politico", ivi, 1.7.1894 e "Caffaro e il signor G.F.", ivi, 8.7.1894; e per il
collettivismo "La fatalità del collettivismo", 3.6.1894. L'esposizione più sintetica della sociologia
socialista è espressa nell’articolo che il giornale dedicò a "Giuseppe Mazzini e il socialismo", 10
marzo 1895, in cui si afferma: "II socialismo prescinde da qualunque elemento metafisico e
teologico. Esso segue il metodo positivo, il quale ricerca sempre le leggi coll'osservazione dei fatti,
colla storia, con l'esperienza. Per esso individuo e società sono due termini inseparabili e concordi
della vita umana, e cosi viene a stabilirsi un equilibrio laddove volevasi scorgere un conflitto. Il
principio supremo è l'interesse dei più, perché in questo interesse si legittima e si compie
l'interesse individuale".
40
1854-1917. Autore di numerose pubblicazioni, in particolare: La sociologia: i sui metodi e le
sue scoperte, Genova, 1897 e varie edizioni successive; Il materialismo storico e la sociologia
generale : prelezione al corso di sociologia generale dell'anno 1902-1903 nell'Università di
Genova, poi Modena 1910; M.Pescio, Alfonso Asturaro, in “ Le origini del socialismo in Liguria” a c.
di V. Malcangi, Alessandria, 1995
41
Ai lettori " Era nuova” 21.10. 1894.
42
L. Borzani, "La palestra della mente": l'attività della Camera del lavoro di Genova per
l'istruzione popolare (1900-1912) in L..Rossi , Cultura, istruzione e socialismo nell'età giolittiana,
Milano,1991
43
Il congresso fu preceduto da una riunione del "Comitato coordinatore per il primo
congresso socialista ligure", ivi, 20.4.1894, che provvide alla costituzione della Federazione
socialista ligure e definì lo statuto.
leaders del movimento repubblicano genovese, accomunato agli altri partiti borghesi.
Nel primo periodo di vita del partito controversa fu la scelta tra le candidature intese all'elezione di
socialisti e le candidature di protesta, ma non l’opzione per l’intransigenza che comportò l'assenza
fino al 1902 di rappresentanti socialisti in consiglio comunale44.
L' "Era nuova" ospitò critiche nei confronti dell'amministrazione in carica, ma si trattava di
osservazioni marginali che non investivano la struttura complessiva di governo della città.
L'attenzione dei socialisti genovesi fu rivolta ad assumere la direzione degli scioperi che
scoppiavano spontanei dando ad essi precisi connotati di lotta di classe e puntando sulle
condizioni di lavoro, soprattutto nel porto, inique per i lavoratori ma anche inadeguate al processo
produttivo.
Genova operaia entrò sulla scena nazionale con lo sciopero del dicembre 1900 in difesa della
Camera del Lavoro. La compattezza della protesta, la disciplina, il rifiuto della violenza, sancirono
la maturità del proletariato creando però anche una retorica dell'operaio genovese, in cui i tratti
stereotipati della "genovesità", il pragmatismo, la concretezza, la poca dimestichezza con la frase
rivoluzionaria e i gesti impulsivi, si coniugano con un'etica volta al graduale conseguimento della
promozione sociale e della elevazione morale.
La Camera del Lavoro, con gli organismi collegati: l'Università Popolare, il Consorzio delle
Cooperative e il quotidiano "Il Lavoro", diventò il "Comune operaio", costituì il perno attorno a cui si
definì e si costruì il socialismo genovese. Ma l’originale e complesso sistema di cooperazione,
conquistato a partire dal combattivo “sciopero nero” dei carbonai del porto, non fu in grado di
valorizzare la sua forza economica sul piano politico.
La tradizione democratico-mazziniana e il mutualismo furono il retroterra di un impegno che si
esprimeva più attraverso istituti autonomi, dalle cooperative di resistenza e di lavoro alle case
popolari, che in una azione di modifica dei poteri pubblici, rappresentando una caratteristica del
movimento operaio genovese: il privilegiamento dell'iniziativa economica rispetto a quella politica e
istituzionale.
La forza del riformismo genovese, la costruzione di questo tessuto di sodalizi operai, si trasformò
in debolezza a Sestri Ponente e Sampierdarena, dove mancarono alla classe operaia delle grandi
industrie meccaniche e siderurgiche gli spazi economici necessari a consolidare il consenso e ad
evitare il formarsi di una base di massa del sindacalismo rivoluzionario, come già si è detto poco
prima.
All'accusa di "opportunismo", "possibilismo politico", di "trascurare la propaganda e la formazione
della coscienza socialista", di caratterizzarsi solo in iniziative imbevute di spirito utilitario, i riformisti
contrapposero l'esperienza genovese, presentata insieme a Reggio Emilia come un modello dove i
dibattiti e le prese di posizione ideologica, "ampolle di alchimia politica così cara agli anarcoidi
senza oriente, così accetta a chi da molti anni non ha fatto che commemorazioni politiche", non
intaccavano l'attività di organizzazione e l'incremento costante delle istituzioni di classe, un
modello di crescita civile non faziosa o turbolenta a cui si opponevano le teorie velleitarie di "quello
scarso socialismo catastrofico" che trova la sua origine nel "mezzogiorno feudale...dove non resta
che giocare un terno al lotto della rivoluzione e aspettare".
"Nell'abito della svolta liberale...prese corpo un modello riformista socialista ligure che ebbe larga
44
Il primo congresso socialista ligure “ Era nuova”, 20.5.1894.
fortuna non solo localmente.....esso trovò ampia sperimentazione in forme di interrelazione tra
l'istanza mutualistica, cooperativa e sindacale. Fu dato vita a un sistema riformista che per la sua
rilevanza ebbe analogie con il polo riformista reggiano diretto da Camillo Prampolini e di cui
massimi rappresentanti furono in sede parlamentare Giuseppe Canepa45 e Pietro Chiesa, nel
movimento associativo Ludovico Calda e Gino Murialdi. Tra il 1903 e il 1904 tale sistema si
strutturò organizzativamente dando vita all'Unione regionale ligure fra le associazioni di resistenza,
mutualità e cooperazione, formula che anticipò la creazione su scala nazionale della cosiddetta
Triplice del lavoro, all'indomani della fondazione della CGdL (1906)"46
6. “La lotta per la vita” (1894)
Il suo primo tentativo di un'esposizione elaborata ed organica dei concetti divulgati in modo
frammentario nei suoi articoli e comizi, fu il saggio "La lotta per la vita"47 che riprese e allargò una
recensione già apparsa nell’ "Archivio di psichiatria", in polemica al libro di Jacques Novicow48 "Les
Luttes entre les sociétés humaines et leurs phases successives" 49.
Al Novicow, che applicava meccanicamente alla dinamica storico-sociale la metodologia
evoluzionista darwiniana, contrappose la funzione nella realtà sociale dell'iniziativa umana come
forza organizzata in vista di obiettivi selezionati consapevolmente dai «bisogni» dei diversi
raggruppamenti di classe da cui, essendo contraddittori fra loro, nasceva inevitabilmente la «lotta
per la vita».
Si trattava di un richiamo alla funzione determinante dell'iniziativa umana, misconosciuta da chi
riteneva che la storia fosse esclusivamente il campo di gioco meccanico di forze uniformi con un
loro inevitabile sviluppo. Lerda cercò di chiarire in che cosa consisteva la intelligenza
organizzatrice dei raggruppamenti sociali, e cioè quali erano le concrete forze storiche nelle quali
erano venuti ad articolarsi e a formarsi quei gruppi o classi.
Parlando dell'uomo lo definì «una parte minima di un intero ed enorme organismo che gli si
impone inconsciamente...che...non può reagire contro l'ambiente che in minima misura,
essendone esso stesso saturo, e tanto meno poi egli può trasformarlo». In ogni società Io
«sviluppo e l'opera di trasformazione non può prodursi che dalla massa». Con ciò la funzione
dell'iniziativa storica veniva trasferita all'interno della massa: "ora abbiamo degli individui ignoranti,
45
M. Bettinotti, Vent'anni di movimento operaio genovese : Pietro Chiesa, Giuseppe Canepa,
Lodovico Calda Milano - 1932
46
M.Degl’Innocenti Alcune considerazioni sulla cooperazione nell’età giolittiana: cultura di
lotta e impresa nell’associazionismo ligure, in L. Borzani Tra solidarietà e impresa: aspetti del
movimento cooperativo in Liguria 1893-1914 Genova 1993
47
La lotta per la vita “Il pensiero italiano”: repertorio mensile di studi dedicati alla prosperità
e a cultura sociale,s1894 e in opuscolo: Milano, C. Aliprandi, 1894
48
Positivista francese (1842-1912)
49
Paris, F. Alcan, 1893 e 1896
che nulla comprendono, che nulla tentano determinatamente per un ideale elevato; ma i quali
però, solo seguendo l'impulso dei bisogni che si fanno vivi nelle diverse classi cui appartengono,
gettano lentamente le basi di un nuovo edificio sociale di cui solo più tardi la scienza studierà e
determinerà il processo evolutivo».50
Affermando che «non già dall’individuo si ha la forza che deve condurre gli aggregati umani a
migliori destini, ma sibbene dall’intera società o almeno da quella parte di essa che rappresenta
le tendenze evolutive, che in questo momento storico vanno concentrandosi nel proletariato”51
poneva l’accento sulle tendenze evolutive della intera società, la cui forza animatrice finiva per
essere non l’iniziativa autonoma del proletariato, ma la “scienza che studia e determina il processo
evolutivo” di cui il proletariato era una particolare, provvisoria coagulazione. Gli artefici
dell'iniziativa storica non potevano che essere gli «scienziati» socialisti delle leggi evolutive, che
avrebbero agito nei confronti dell’organismo sociale così come “il biologo incrocia razze animali o
innesta una specie di vegetale sull’altra”.
La sua formazione ed esperienza di propagandista lo portavano a seguire certe valutazioni
implicite: che le masse si muovono solo per motivi biologici-utilitaristici e che l’intelligenza e la vita
morale possono animare le masse solo se ricevono un costante apporto educativo dalle «élites»
pedagogiche del Partito.
Nel suo pensiero una cosa era la «rivoluzione delle idee» e un’altra quella «degli ordinamenti»,
una cosa l’agitazione ideologica e un’altra il “rinnovamento fatale della società", per cui si creava
un dualismo tra teoria e prassi, tra «scienza marxista» e «leggi fatali» della vita economica e
sociale, colpendo così un pilastro del pensiero marxista.
Sempre nel 1894, nell’intervista "a personalità del mondo letterario, artistico e scientifico"52
respinse qualsiasi attributo emotivo «al socialismo... che è scienza...[e].. deve per quanto possibile
allontanare qualunque elemento perturbatore o deprimente che potrebbe condurlo ad una falsa
interpretazione delle leggi che fatalmente si sviluppano nell’attuale momento economico e
sociale».
7. Il Congresso di Firenze (luglio 1896)
Al quarto Congresso nazionale del PSI, tenuto a Firenze dall'11 al 13 luglio 1896, facilitato dalla
sua compagna Oda Olberg, già corrispondente della Wiener Arbeiterzeitung, iniziò l'attività di
corrispondente di riviste socialiste tedesche ed austriache. Sul Sozialistische Akademiker riportò le
sue impressioni sul Congresso e sulla situazione particolare in cui si trovava il movimento operaio
italiano dopo la caduta del Crispi53.
Sul punto all'ordine del giorno "Organizzazione del Partito" relazionò Lazzari che sostenne
l'impostazione che si era data il precedente congresso di Parma, basata sull'adesione individuale
50
La lotta per la vita, cit., pag. 312
51
Ibidem, pag. 314.
52
Pubblicata su “Vita Moderna” Giornale d’arte e di letteratura diretto da Gustavo Macchi,
1894 e poi nell' opuscolo II socialismo giudicato da letterati, artisti e scienziati italiani, con pref. di
G. Macchi, Milano,1900.ta
al posto di quella delle organizzazioni. Questo criterio, che si basava sul modello della
socialdemocrazia tedesca, mentre il sistema delle adesioni collettive era caratteristico del
laburismo britannico, fu motivato come prova dell’avvenuta maturazione nei singoli militanti di una
consapevole coscienza di classe ma era nato da considerazioni di opportunità, come espediente
per sottrarsi alla repressione crispina: separare dalle sezioni di partito le organizzazioni di classe
significava consentire a queste un almeno formale agnosticismo politico che le collocava nelle
retrovie della battaglia preservandone l’esistenza per tempi migliori. La relazione di Lazzari
insisteva sull'organizzazione politica basata sui collegi elettorali, che era stata valida quando
l'infuriare delle leggi eccezionali aveva costretto i lavoratori ad organizzarsi nell'unica forma
legalmente riconosciuta, ma ora rivelava la sua incapacità di esprimere a livello più alto le istanze
politiche degli strati popolari, e su ciò si aprì un dibattito.
Per Lerda un'involuzione «radico socialista» si profilava nel socialismo italiano determinata da una
sempre più grande distanza tra il gruppo dirigente del Partito socialista, che rischiava di diventare
una "élite" sempre più orientata verso un «socialismo borghese carrieristico» e i settori popolari
economicamente più svantaggiati, verso cui non erano sufficienti i discorsi rivoluzionari ma si
doveva svolgere una propaganda capillare e farsi interpreti delle loro rivendicazioni ed esigenze
per trasferirle a livello politico, cosa che riguardava anche gli emigrati, a favore dei quali Lerda
sostenne l'istituzione di un ufficio esecutivo centrale del partito.
8. "Il socialismo e la sua tattica" (1896) e Georges Sorel
Giovanni Lerda fu tra gli iniziatori del revisionismo marxista in Italia: nel saggio "Il socialismo e la
sua tattica" 54 mise in guardia da coloro che, interpretando in modo troppo rigido il materialismo
storico, credevano che le trasformazioni sociali si producessero fatalmente e che la logica potesse
determinare la storia.
Non era giusto dire che il socialismo sarebbe arrivato fatalmente a trionfare: per dirigere il
movimento verso questo fine occorrevano le condizioni intellettuali e morali della società, venendo
a mancare le quali “...si potrebbe avere anche un terribile e rigoroso feudalesimo industriale il
quale, collettivizzando la produzione e regolandola per mezzo di sindacati internazionali,
eliminando violentemente gli elementi coscienti ribelli, regolando sistematicamente le nascite dei
figli, forte di clientele e della supina acquiescenza di una folla di lavoratori, ai quali avrebbe
accordato, a prezzo della loro libertà e della loro dignità, un relativo benessere, avrebbe ottenuto
artificialmente di far convergere a proprio esclusivo vantaggio l’evoluzione economica che oggi si
impone come necessità”.
La sola cosa che si poteva affermare era l'avvento prossimo di una rivoluzione, ma non si poteva
dire come sarebbe stata. Nell'attesa, e come preparazione della rivoluzione, occorreva rinsaldare
la coscienza socialista delle masse operaie, evitare l'imborghesimento dei quadri del partito e
qualunque alleanza con altri partiti, non sopravvalutare l'importanza dell'azione parlamentare,
rafforzare la lotta di classe tralasciando di incorporare le classi medie ormai prossime a morire,
53
G. Lerda, Der Kongress der italienische Sozialdemokraten zu Florenz, in "Der
sozialistische Akademiker" 1896, pp. 647-650.
54
In “Rivista di sociologia”, ottobre-novembre 1896, fasc. 10-11, poi in opuscolo pubblicato
nel 1897 dalla Libreria Editrice Ligure.
lottare contro ogni forma di opportunismo politico e basarsi esclusivamente sulla forza del
proletariato. Il partito socialista doveva essere consapevole di portare il vessillo di un diritto nuovo,
che poteva realizzarsi solo con la distruzione totale della società.
L'accoglienza dello scritto da parte del PSI fu fredda: "Pubblicato nel 1897 quando, dopo il
Congresso socialista italiano di Firenze, l'idea dell'alleanza elettorale coi cosiddetti partiti affini
aveva acquistato largo favore ed era caldeggiata da molti dei nostri migliori, quest'opuscolo non
solo non ebbe fortuna, ma i giornali del Partito avendogli negato l'onore della critica, passò sotto
silenzio come se non fosse nato".55 Ebbe invece recensioni sulle riviste del movimento operaio
tedesco e francese; quella sul "Devenir Social"56 colse la compresenza di elementi evoluzionistici
spenceriani e di una dialettica che, senza aver assimilato la lezione marxista, spinta da
esigenze di analisi nuove, tendeva a scavalcarla per adeguarsi ad una realtà storica più complessa
di quella in cui si erano trovati Marx ed Engels.
Georges Sorel in molte di queste idee vide delle conferme delle sue e su altre meditò fino a farle
proprie. Allora fu l'impostazione etica del socialismo che più di tutto lo colpì: “È da dispiacersi molto
che Lerda non abbia sviluppato più ampiamente questa teoria, la cui importanza filosofica non
sfugge a nessuno. L'autore italiano trae, infatti, dalla concezione morale del socialismo dei principi
che non si troverebbero facilmente per altra via. L'interesse e l'originalità delle teorie affrontate da
Lerda sono grandissime; c'è da sperare che l'autore si deciderà, un giorno, a darne una
esposizione completa e originale"57
I due concetti fondamentali fatti propri da Sorel furono un'interpretazione del materialismo storico
non dogmatica ma aperta alla rivalutazione degli elementi morali e intellettuali, e la riaffermazione
del principio della lotta di classe intesa come ferrea opposizione del proletariato alla borghesia
oltre che netta distinzione del movimento socialista dagli altri partiti favoriti dall'avanzare del
parlamentarismo. E se, sullo scorcio del secolo, fu sul primo di questi concetti che Sorel soprattutto
si soffermò, con i primi anni del novecento, procedendo verso la sua teorizzazione sindacalista,
affermò con sempre maggior vigore anche il secondo.
La recensione di Sorel dimostra come, oltre alla influenza esercitata su di lui dai primi scritti
crociani sul marxismo e prima di fare il suo incontro nel 1897 con quelli di Saverio Merlino, lo
scritto che allora più lo colpì fu quello di Lerda.
Su « Le Devenir Social »58, analizzando per i lettori francesi la nascita e sviluppo del socialismo in
Italia, Lerda disse con orgoglio della classe operaia italiana: «Elle est disciplinée, mais elle discute;
elle a repoussé le dogme de l'autorité que lui avait inculqué la classe bourgeoise, et elle n'agit
qu'après s' ètre decidée elle-mème, quelles que soient les atfirmations de ses chefs». Egli
concepiva l’organizzazione operaia come spontaneità consapevole in una moralità socialista
55
G. Lerda, II socialismo e la sua tattica, Genova, Libreria Moderna. 1902. pag. 5
56
Firmata con la sigla B, “Le Devenir Social” 1897, pagg 473-474.
57
«Le Devenir social», 1897, pp. 475-476.
58 G. Lerda, Le socialisme en Italie, in Le Devenir Social, maggio 1897; la corrispondenza fu
riprodotta anche nei Sozialistische Monatshafte, maggio 1897, col titolo Der Sozialismus in Italien.
metastorica, palingenesi risolutrice dei confitti di classe al di là del movimento reale della storia59.
9. La polemica con Bernstein (1897)
Il saggio "Il socialismo e la sua tattica" ebbe una coda nella polemica che egli ebbe nel 1897 con
Bernstein.60 Ancora nel 1925 Paul Froelich, scrivendo l'introduzione alle opere di Rosa Luxemburg
curate da Clara Zetkin e Adolf Warsky,61 ricordò Giovanni Lerda come uno dei socialisti con cui
Bernstein entrò in polemica nel periodo in cui difendeva l'ortodossia marxista.
Quando il saggio di Leda fu pubblicato Bernstein, che godeva con Kautsky del prestigio di
depositario del marxismo, attraversava quel travaglio ideologico che lo portò ad essere l'eretico per
antonomasia della Seconda Internazionale. Negli anni 1896-'98 entrò in contatto con i fabiani
inglesi e scrisse sulla "Neue Zeit" la serie di saggi "Probleme der Sozialismus" che costituirono il
primo nucleo delle "Voraussetzungen des Sozialismus" che il Congresso di Hannover scomunicò
nel 1899.
Gli articoli "Klassenkampf und Kompromiss" 62 con cui Bernstein rispose polemicamente al Lerda e
"Die Theorie der Zusammenbruchs und der Kolonialpolitik", con cui replicò all'accusa di Belfor Bax
di aver messo in dubbio la teoria degli scopi finali del socialismo63 costituirono la prima rivelazione
dell'eresia di Bernstein.
Nella polemica, invece di confrontarsi l'ortodosso Bernstein col deviazionista Lerda, si verificò un
capovolgimento per cui fu Lerda ad esprimere un contenuto intransigente e rivoluzionario,
trovando nell'antagonista un revisionista che smantellava la sua costruzione teorica con la tecnica
freddezza della dialettica formale.
Bernstein evitò di distinguere nella sovrastruttura mitologica concettuale del suo interlocutore le
59 Per cui diceva che «il movimento socialista è certo qualcosa di ben superiore e di ben diverso
da quello che può essere un movimento politico della quotidiana politica» (Relazione di Lerda
«Appoggio ad indirizzi di governo e partecipazioni al potere» in Resoconto dell'Xl Congresso
nazionale del Partito Socialista Italiano, Roma, 1910, pag. 5) oppure: «II socialismo è una dottrina
filosofica e sociale di cui il Partito nella sua azione quotidiana, negativa o positiva, è
semplicemente l'espressione politica in confronto e in opposizione della politica e dei poteri della
società costituita ». (In Resoconto stenografico del Xll Congresso nazionale del P.S.l. di Modena,
Milano, 1912 pag. 27).
60
G. Lerda, Die Taktik der socialdemokratischen Partei, in Die Neue Zeit, n.14, gennaio
1897, pp. 420-431.
61
p.16.
R. Luxemburg, Gesammelte Werke, herausg. von C.Zetkin und A. Warsky. Band III,1925,
62
E. Bernstein, Klassenkampf und Kompromiss in Die Neue Zeit, 1896-97, pp.
518-24.
63
P. Gay The dilemma of democratic socialism : Eduard Bernsteins challenge to Marx , New
York, 1952
carenze speculative dalla parte genuinamente anche se confusamente rivoluzionaria. La
precarietà del pensiero di Lerda lo solleticò a formulazioni teoriche che sviluppavano gli spunti
evoluzionisti-riformisti dell'apparato culturale di Lerda possibili di sviluppi teorici gradualistici,
benchè l'accento ideologico fosse combattivamente intransigente.
Lerda sosteneva che lo sviluppo di una società è simile a quello dell'organismo biologico: come un
animale o una pianta raggiungono la massima efficienza e la più alta potenza se le loro forze
componenti vitali mantengono una funzionale compattezza nei confronti degli elementi estranei,
così il movimento socialista potrà raggiungere la sua più grande forza se riuscirà a mantenersi
rigorosamente refrattario all'introduzione nel suo corpo di elementi estranei che potrebbero
innaturalmente e fatalmente accelerare la sua crescita e decomposizione e quindi anticipare la sua
estinzione come organismo autonomo. Per mantenere tale refrattarietà è necessaria l'oculata
sorveglianza della guida del Partito che tenga desta l'anima rivoluzionaria delle masse impedendo
loro l'equivoco tra fittizio benessere economico e reale progresso socialista.
Bernstein fondò la sua polemica sulle analogie tra gli sviluppi storici della società e l'evoluzione
degli organismi naturali, tra le fasi progressive delle classi sfruttate e gli adattamenti all'ambiente
delle specie vegetali ed animali. La sua tecnica polemica consisteva nell'ironizzare sulle
affermazioni senza respingerle, inverandole nelle formulazioni revisioniste del suo "Lotta di classe
e compromesso", che può considerarsi lo sviluppo unilaterale della parte "transigente" del pensiero
del Lerda.
Dopo aver concesso la validità del parallelo tra organismo biologico e società, di cui aveva negato
all'inizio la liceità, per avvalorare la sua tesi del compromesso contrapposta a quella
dell'intransigenza, Bernstein affermò: «Ma anche se non si potesse dedurre dalla storia e della
natura alcuna analogia o argomento per il compromesso, il discorso di Lerda ci guadagnerebbe
ben poco. Poiché appena egli accenna alla questione delle leggi di sviluppo della società
umana, si rivolge subito contro "quelli che interpretano il materialismo nella sua forma più
angusta". Noi supponiamo che voglia dire "nella sua forma più estrema". E rinfaccia loro che
"forza e materia, quando si sono elevate a consapevolezza, hanno le proprie leggi che, pur in
accordo con le leggi generali, possono tuttavia modificarne gli effetti". E continua dicendo che
"date le condizioni puramente economiche della trasformazione sociale perseguita dai socialisti,
non è ancora data quest'ultima, ma che ad esse dovrebbero aggiungersi premesse intellettuali e
morali". In altri termini non sarebbe impossibile che si adempisse un mutamento dell'ordine
sociale, ma in una forma essenzialmente diversa da quella che deve essere perseguita dalla
socialdemocrazia. Quest'ultimo è un pensiero del tutto giusto che non perderebbe nulla del suo
peso se si aggiungesse che in un tale sviluppo, anche se soltanto temporaneo, la
preponderanza dei fattori economici spingerebbe pur sempre necessariamente ai fini perseguiti
dalla socialdemocrazia»64.
Le "premesse intellettuali e morali" che per Lerda possono consapevolmente modificare lo
sviluppo della trasformazione sociale, per Bernstein sono una pura sovrastruttura formale che
nulla aggiungerebbe al realizzarsi di una trasformazione socio-economica. Bernstein non afferma
un integrale automatismo dei processi economici, la cui discutibilità si propone di affrontare nei
suoi "Problemi del socialismo"; per lui i principi devono essere intrinseci e politici, forza motrice
integrata nell'assetto «realistico» e dinamico delle forze politiche esistenti. In tal senso le
collaborazioni e i compromessi con la borghesia, che si avviava a teorizzare, costituiscono uno
strumento di direzione ideologica che garantisce una concreta accelerazione: «economia di tempo
64
E. Bernstein, Klassenkampf cit., pp. 517-518.
e di forza» dei processi di trasformazione storica di una società.
Con ciò veniva abbandonata ogni prospettiva d'iniziativa autonoma di classe che muova aIl'attacco
dell'assetto sociale antagonistico, mettendolo in discussione radicalmente nelle sue fondamenta. Il
determinismo si ripresentava sotto le spoglie di una subordinazione al capitalismo, fittiziamente
animate da quegli ideali della conciliazione di classe in vista di una morale universale che
avrebbero costituito il neokantismo del Bernstein.
Nell'accusare di astrattezza la normatività etica, la «intransigenza» suggerita dal Lerda al
movimento socialista, e la sua fissazione pedagogica di formatore di masse, fino a schernirlo quale
portabandiera che «corre molto attorno, ma fa assai poco», Bernstein sorvola sul carattere
demistificatorio del formarsi di una coscienza di classe delle masse che "consente alla classe
operaia il rifiuto della adesione acritica alla storia e quindi alle interpretazioni «realistico
economistiche» che i detentori del potere danno a giustificazione del «loro» assetto sociale" 65.
Secondo Bernstein «Da diversi accenni del suo articolo si deve dedurre che Lerda ritiene la lotta
della classe lavoratrice quale pura lotta di classe. Ma questo è un grosso errore. Per fare un
esempio: un sindacato, in quanto tale, conduce sempre in modo mediato una parte della lotta della
classe lavoratrice, in modo immediato rappresenta l'interesse particolare di un settore del
proletariato borghese e un compromesso con quest'ultimo gli si addice perfettamente»66. Fu
questa una delle prime affermazioni integraliste che egli formulava contro la valorizzazione del
momento soggettivo della lotta di classe, la parte più acutamente intuitiva del saggio del Lerda, e
che la Luxemburg così gli contestò «Secondo la concezione corrente il significato socialista della
lotta sindacale e politica consiste in questo: che essa prepara il proletariato, e cioè il fattore
soggettivo della trasformazione socialista, alla sua realizzazione. Secondo Bernstein consiste in
ciò: che la lotta sindacale e politica deve limitare in modo graduale lo sfruttamento capitalista,
sottrarre alla società capitalista sempre più il suo carattere capitalistico e darle quello socialista, in
una parola deve attuare la trasformazione sociale in senso oggettivo»67. Due anni dopo, nelle sue
"Premesse del socialismo" Bernstein, che aveva rimproverato l'automatismo economico del
Lerda e ripreso la sua ingenuità che vedeva nel latente opportunismo parlamentaristico e
carrieristico dei partiti socialisti la degradazione della "idea" e dei "principi" così si espresse «il
motivo economico oggi si presenta libero, mentre prima era rivestito di rapporti di forza e di
ideologie d'ogni tipo. La società moderna è rispetto alle società precedenti assai più ricca di
ideologia non determinata dall' economia e dalla natura agente come forza economica o meglio,
per non dare adito ad alcun equivoco, il livello oggi raggiunto dallo sviluppo economico lascia
ai fattori ideologici e in particolare a quelli etici un margine d'autonomia più grande che in
passato"68
Per controbattere queste «sensazionali» affermazioni Kautsky scrisse nel 1899 il pamphlet
"Bernstein e il programma socialdemocratico"69 e Rosa Luxemburg nella sua recensione
puntualizzò: «Bernstein deve, almeno per salvare nella forma il programma socialista, rifugiarsi in
65
G.Lerda, Die Taktik , cit., “Die Nene Zeit“, gennaio 1897, pagg. 425 e 426
66
E. Bernstein, Klassenkampf .... cit., pag. 523.
67
R.Luxemburg. op. cit., pag. 81.
68
E. Bernstein, Die Voraussetzen des Sozialismus, 1920.
una costruzione idealistica collocata al di là dello sviluppo economico e trasformare il socialismo
stesso da una determinata fase storica dello sviluppo sociale in un "Principio" astratto»70
"ontologizzando" l'ideologia socialista in misura non molto diversa da quella di Lerda.
Lerda dopo la risposta conclusiva a Bernstein71 sviluppò gli elementi di latente gradualismo della
sua dottrina sui Sozialistische Monatshefte, organo teorico ufficiale del revisionismo: nel 1898 il
saggio Pessimismo e Storicismo 72 e nel 1900 Il significato della razza per la civiltà73.
In ambedue dilatò sempre più il primo elemento della sua dicotomia evoluzione-rivoluzione fino a
ridurre i compiti dei partiti socialisti a quelli di una pedagogia antropologica, dello sviluppo più
funzionale dei «centri nervosi» delle masse e della loro coscienza ridotta ad elemento di
considerazione biogenetica74.
Lo scritto che aveva dato luogo alla polemica con Bernstein fu tradotto nel 1902.75 L'introduzione
che vi premise risente dell'involuzione riformista che lo indusse ad accentuare le posizioni
economiciste-deterministe, fino a dissociare il socialismo dalle «teorie di Marx» e «il movimento
ascendente delle classi inferiori» dalle «disquisizioni accademiche»: "II socialismo italiano si è
certo anche inspirato al pensiero poderoso del grande tedesco ma, sia la larga e meno
dogmatica natura del nostro spirito nazionale, sia la ripugnanza per le analisi troppo sottili
ed unilaterali, fatto sta che l'opera di Marx rimase patrimonio di studio agli scienziati, ma non
influì nella misura che molti credono, a costituire il patrimonio del nostro pensiero
socialista . Ciò significa in lingua povera che il socialismo non sta tutto e sta al di fuori delle
teorie di Marx, e che per essere socialisti non è proprio necessario di essere marxisti.....In Italia
l'unità del Partito non può essere scossa appunto perché le finalità del socialismo sono
accettate in teoria, semplicemente come la risultante probabile e non bene determinata
di una tendenza nuova e reale che si produce nella società moderna, in forza di cause
economiche e di ragioni d'indole materiale e morale; perché l'azione socialista nel suo
complesso, ed indipendentemente dagli speciali problemi teorici e dalle disquisizioni
accademiche, si afferma con un movimento ascendente delle classi inferiori diretto alla
formazione di quegli elementi ed alla conquista di quelle attività funzionali che renderanno
possibile «una trasformazione profonda di tutto il meccanismo sociale»76.
69
K Kautsky, Bernstein und das sozialdemokratische Programm, Stuttgart, 1899.
70
R.Luxemburg, op. cit., pag. 75.
71
G. Lerda. Nochmals die Frage des Kompromisses, “Die Neue Zeit“ 1896-97
72
G. Lerda. Pessimismus und Storicismus, in Sozialistische Monatshefte, 1898 .
73
G. Lerda, Die Bedeutung der Rasse in die Kultur, in Sozialistische Monatshefte, 1900. pp.
330-339.
74
Non rinunciando però a spunti di demistificazione di quella che definiva la «scienza
ufficiale » borghese, classista e razzista.
75
G. Lerda, II socialismo e la sua tattica, Genova, Libreria Moderna. 1902.
10. Esilio svizzero (1898-99). Attività all’estero
Di fronte alla stretta reazionaria del ministero Pelloux, per sottrarsi all'arresto emigrò
clandestinamente in Svizzera nel maggio 189877 ritornando nell'aprile dell'anno dopo.
Le relazioni di collaborazione col movimento operaio estero che instaurò come esule politico,
propagandista e organizzatore nel mondo dell'emigrazione, corrispondente di riviste socialiste
straniere, diedero alla sua attività un aspetto di modernità, lontana dal provincialismo che
caratterizzò l'apostolato socialista delle origini, e lo resero attento ai problemi della politica estera,
al colonialismo e al pericolo di una guerra europea, al dibattito teorico del movimento socialista
internazionale.
Erano anni difficili di crescita del movimento operaio europeo e nuovi imprevisti problemi di classe
e di solidarietà si imponevano di fronte al fenomeno della emigrazione e del conseguente
crumiraggio di cui si rendevano responsabili gli emigranti sostituendo il lavoro dei loro compagni di
diversa nazionalità. L'internazionalismo del movimento operaio era messo a dura prova e se ne
rese conto Lerda in Svizzera e poi in Germania, dove fu invitato dalla Direzione berlinese della
S.P.D. dopo il Congresso di Imola del 1902.78
La sua attività di propagandista nelle zone di transito alpino del flusso migratorio degli operai verso
la Svizzera e la Germania, nel Trentino, sulle montagne del Friuli, dove si recava su slitte trainate
da cani,79 nella Svizzera dove si erano avute manifestazioni violente dell'insofferenza che la
presenza di italiani «crumiri» destava nelle masse operaie dei cantoni tedeschi, era diretta
soprattutto agli emigranti stagionali che tornavano nell'inverno e che si trovavano a lottare sia
contro lo sfruttamento dei padroni stranieri, che contro l'ostilità dei compagni di lavoro svizzeri e
tedeschi. Caldeggiò un Ufficio esecutivo centrale del Partito a tutela degli emigranti italiani
all'estero.
Il suo invito alla solidarietà di classe da parte degli italiani verso i loro compagni svizzeri allorché
questi ultimi passavano all'azione diretta contro il fronte padronale, si concludeva costantemente
con l'appello ad un'azione coordinata nell'ambito delle organizzazioni politiche e sindacali in terra
straniera, come nella Schweizerische sozialistische Partei italienischer Sprache, in cui si
76
Introduzione a Il socialismo e la sua tattica, cit., pag. 10-12
77
Scheda biografica della Questura, in AS Genova, in data 28 novembre 1898, che annota
che il Lerda “nel maggio 1898 si allontanava da Genova clandestinamente e riparava in Isvizzera,
ove colla parola e con scritti cooperò al movimento rivoluzionario”, formula l'ipotesi che avesse
collaborato “alla preparazione delle bande armate, pronte a scendere in Italia per partecipare ai
moti di Milano, Firenze ed altre regioni del regno”, e conclude: «La sua azione colà ha attirata
subito l'attenzione di quel governo, che lo ha compreso nella lista dei rivoluzionari da sorvegliare
attentamente».
78
“Il Martello” 31.8.1902.
79
O.Olberg Un apostolo della Giustizia e della Libertà “Il Lavoro Nuovo” 24.8.1952. Risulta
segnalata in CPC, b2773 una conferenza a Belluno nel gennaio 1908 e un ciclo nel circondario di
Udine nel dicembre 1912
esercitava già da tempo80 l'azione del Vergnanini.
Lo stesso appello di “solidarietà internazionalista ad un'altra giustizia” lo ripropose nel Baden dove
si recò su invito della S.P.D. per fare un giro di un mese e mezzo tra gli operai italiani emigrati
come ad Amburgo dove i lavoratori italiani avevano subito violenze da parte dei loro compagni
tedeschi, tanto che il governo italiano aveva posto il veto al reclutamento di portuali da sostituire ai
lavoratori in sciopero. Come accaduto nel Baden, il difficile lavoro di solidarizzazione che tentò di
impostare tra le masse di quella città gli fruttò l'espulsione da parte delle autorità. Tornato a
Genova, trasferì le sue esperienze nell'opuscolo Gli italiani all'estero, pubblicato nelle edizioni della
Libreria Moderna del Ricci81.
Nel 1907 la Direzione del partito lo incaricò di risolvere alcune controversie interne al socialismo
del Canton Ticino82, come aveva già fatto nel 1905 coi socialisti napoletani83.
11. Il nuovo secolo e il "ferrismo" (1902-06)
Tra la sua forzata permanenza in Svizzera e il giro in Germania, la situazione in Italia era
profondamente mutata in seguito all'azione concordata di socialisti, radicali e repubblicani. Indette
le elezioni politiche del giugno 1900 "II Martello" di Sestri Ponente annunciò la sua candidatura nel
collegio di Voltri: l'aumentato prestigio di Lerda, circondato dal fascino dell'esilio da cui era appena
rientrato, e la sua annosa instancabile attività di propagandista fecero sì che egli sfiorasse il
successo come mai più gli sarebbe accaduto nelle successive candidature. Il suo avversario
Pizzorni, in minoranza al primo scrutinio, fu poi eletto col ricorso a manovre illecite84 nel
ballottaggio.
Rappresentante dal dicembre 1899 della Liguria al comitato nazionale del partito, al congresso
nazionale del novembre 1900 a Roma fu eletto membro della Direzione, nella quale rimase fino al
1906, con Barbato, Alessandri, Lucci e Romeo Soldi.
Lerda, che fino ad allora aveva svolto una funzione di sollecitazione pedagogica, di
popolarizzazione di concetti socialisti sui fogli locali e nei mille comizi in provincia, rivelò le sue
carenze nella situazione di accresciuta influenza del PSI, che si trovava ora a muoversi non più
solo in senso “tattico”, ma al centro del nuovo corso instaurato dalla duttile politica di Giolitti.
Corresponsabile nella direzione del Partito in un momento in cui l'apertura giolittiana aveva
80
G. Lerda, Eine profetische Frage, “Die Neue Zeit“, 1898-99.
81
G. Lerda Gli italiani all'estero, Genova 1900
82
ACS, CPC, b.2773. Segnalazione del 16.5.1907 della sua presenza a Lugano da due
mesi, per conferenze ma soprattutto per pacificare la sezione, in cui erano scoppiate dispute tra
Serrati, Cagnoni, Olivetti. Terminato l'incarico rimane in Svizzera, perchè è segnalata il 15 luglio
una sua conferenza a Basilea.
83
ACS, CPC, b.2773. Segnalazione della prefettura napoletana del 25.5.1905 della sua
presenza per risolvere controversie interne.
84
«Come fu eletto il Pizzorni» “Il Martello” 27.6.1900 .
disorientato l'organizzazione operaia, che era sopravvissuta all'assalto reazionario irrigidendosi
nella resistenza, non riuscì ad elaborare una linea politica più dinamica e realistica.
Rimase fisso ai «principii», alle parole d'ordine imperative che avevano salvaguardato il Partito nei
tempi difficili e si trovò dalla parte dei «rivoluzionari». Di fronte era la frazione riformista, disposta
ad una linea d'azione gradualistica di collaborazione con le forze democratiche che credeva di
vedere nella borghesia; vicino a lui collaboratori scaltri, ma indubbiamente meno onesti, come
Ferri, la cui ambiguità sedusse per un breve tempo Lerda, che divenne dopo il suo trasferimento a
Roma uno dei più assidui collaboratori della rivista "Il socialismo".
Il primo scontro con l'ideologia riformista del PSI fu con Treves che lo accusò di sterile astrattezza
o addirittura di “misticismo” rivolgendo il suo sarcasmo contro la vocazione degli “apostoli e
patrocinatori di miseri”85. Sull' “Era Nuova” Lerda rispose che Treves, opponendosi a che più
spazio fosse dedicato sull'Avanti! alla «educazione delle masse», aveva il grave torto di
sottovalutare l'importanza del ruolo che nel movimento operaio deve giocare la propaganda86 .
Al congresso di Imola del settembre 1902 votò l'ordine del giorno presentato da Enrico Ferri, che
coagulò la vasta opposizione, da Arturo Labriola a Rinaldo Rigola, al riformismo turatiano e fu
relatore sull'organizzazione politica sostenendo «l'indipendenza» del partito per la difesa della
unità di classe.
Questo congresso, che segnò un'esperienza amara nella sua carriera politica, con la proposta di
Turati di abolire a causa della sua inefficienza la Direzione, a cui Lerda era stato eletto dal
precedente congresso, dimostrò il disorientamento ideologico del Partito e denunziò con la vittoria
di Enrico Ferri il carattere illusorio e sovrastrutturale delle differenziazioni ideologiche.
La sua permanenza genovese si concluse alla fine del 1902 con il trasferimento a Roma, dove fu
tra i più assidui collaboratori e, dal dicembre 1903, redattore capo della rivista di Ferri "Il
Socialismo" 87 dove dedicò molta attenzione alle esperienze straniere e ai problemi di legislazione
sociale. In collaborazione con la moglie curò soprattutto la rubrica dedicata alla stampa e alla
pubblicistica del movimento operaio straniero, con un particolare interesse verso alcuni aspetti
dell'industrializzazione, come la sopravvivenza di forme di lavoro a domicilio e di sfruttamento del
lavoro minorile, l'educazione scientifica, la polemica antiprotezionista riguardo alla Svizzera e alla
crisi industriale in Inghilterra.
Intuendo la tendenza alla ricomposizione di un blocco unitario delle forze borghesi in funzione
antisocialista, sottolineò come la legislazione sociale fosse una politica paternalista comune alle
classi dirigenti dei paesi dove esisteva un forte movimento operaio, e come intorno ad essa
andasse ricomponendosi l'«antica alleanza» tra borghesia e Chiesa che la rivoluzione francese
aveva scosso.
L'adesione al ferrismo fu di impronta moralistica, prodotto di quel pedagogismo delle masse al
quale costantemente si richiamò. In tal senso interpretò le rumorose campagne di stampa di Ferri,
85
“ Il Martello” 24 .6.1900.
86
La propaganda . “Era Nuova” 25.9.1900 e 9.12.1900
87
Il settimanale “Il Socialismo”, col sottotitolo: Nel pensiero la forza, fu pubblicato a Roma
dal 1902 al 1905
come nel processo Bertolo88 e ne apprezzò i costanti richiami alla propaganda.
In rappresentanza del gruppo di Ferri, uscito vincitore dal congresso di Bologna dell'aprile 1904, fu
confermato nella direzione nazionale. Con la dispersione della composita maggioranza ferrianasindacalrivoluzionaria e la formazione di una corrente centrista maggioritaria denominata
"integralista" con Oddino Morgari e Francesco Paoloni, si fece promotore di un nuovo
raggruppamento di «intransigenti» che il repubblicano Napoleone Colajanni definì «lerdismo»89
12. La frazione intransigente (1906-12)
Il primo nucleo della frazione si formò al congresso di Roma del 1906, dove la mozione da lui
presentata, che si proponeva un rilancio dell'anti-ministerialismo e la riconferma del principio della
lotta di classe, ottenne solo 1.161 voti su 34.000; al congresso di Firenze del 1908 la corrente si
consolidò ottenendone 5.387, pari 19%. Al congresso di Milano del 1910 migliorò le posizioni col
24% dei voti; nel 1911 a Modena conseguì 8.600 voti su 21.000 e infine nel 1912 a Reggio Emilia
con 12.550 voti superò le due mozioni riformiste che ottennero complessivamente meno di 8.000
voti (senza contare i riformisti di destra già usciti). Da notare che fu essenziale per la vittoria il
contributo della federazione forlivese guidata da Mussolini il cui ruolo, marginale fino ad allora, con
la nomina alla direzione dell'”Avanti!” assume statura nazionale.
In diverse fasi di aggregazione e sviluppo coagulò componenti e personalità radicate nella
tradizione socialista specialmente di derivazione "ferriana" e integralista assieme a esponenti
provenienti dal Partito Operaio diffuso a Milano e in altre province lombarde e piemontesi nel
decennio 1880-90, come Costantino Lazzari e Osvaldo Gnocchi-Viani; a loro si venne
aggiungendo la Federazione giovanile ricostituita dopo la scissione sindacalista-rivoluzionaria del
1907 sotto la guida di Arturo Vella, al cui interno iniziava a svilupparsi la generazione più giovane
dei Bordiga e dei Tasca che aveva fatto il suo ingresso nelle fila del socialismo tra il 1911 e il 1914
in pieno clima antiriformista e antipositivista
Al congresso di Milano del 1910 fu promosso un coordinamento, ma il passaggio ad uno stadio
superiore con la costituzione in frazione avvenne con la pubblicazione il 1. maggio 1911
dell'organo ufficiale "La Soffitta", la nomina dei responsabili regionali (agosto) e del Comitato
Centrale (novembre).
Nel marzo 1911 Giolitti, che si presentò con un programma democratico imperniato sul suffragio
universale e sulla gestione nazionale delle assicurazioni, ma tenendo segreta l'intenzione di
andare in Libia, incontrò Bissolati, che rifiutò di entrare nel ministero non sulla base dei principi, ma
perché "non credeva che il Partito socialista fosse maturo per partecipare al governo" Il Gruppo
Parlamentare Socialista votò comunque la fiducia al governo.
All'indomani di quel voto apparve “La Soffitta”90 che riprendeva polemicamente nel titolo
88
“ Il Socialismo”, 25.11.1903
89
N.Colajanni, I partiti politici in Italia, Roma 1912, p. 102.
90
“La Soffitta”, giornale della frazione rivoluzionaria intransigente del Partito socialista diretta
da Giovanni Lerda e Costantino Lazzari uscì dal 1° maggio 1911 al 20 luglio 1912. Principali
collaboratori furono: Alceste della Seta, Francesco Ciccotti, Osvaldo Gnocchi-Viani, Arturo Vella,
l'affermazione di Giolitti sul preteso accantonamento del marxismo da parte del socialismo
italiano91 Questo l'editoriale di Lerda sul primo numero: "Noi abbiamo desiderato sempre un partito
radicale in Italia, e ci saremmo acconciati e ci acconceremo, tanto meglio, a veder sorgere un
partito magari radico-socialista; ma ciò che crediamo esiziale agli interessi del partito ed alla
ascensione del proletariato è la partecipazione di uomini nostri al potere; è il vincolo, la
soggezione, la depressione anzi delle residue attività combattive, inevitabile quando di un potere
che non è, che non può essere nostro si devono subire le vicissitudini, le alternative e, peggio
ancora, le esigenze preponderanti di interessi che, per quanto rispettabili, non collimano sovente,
sovente sono addirittura antitetici a quelli del proletariato92. Constatava nel partito "depressione,
sconforto, smarrimento" e per la chiarezza auspicava che Bissolati uscisse dal partito e
collaborasse con Giolitti
Gnocchi Viani a sua volta affermava che "i rivoluzionari intransigenti vogliono essere i Puritani del
Socialismo" 93
Per l’antico e coerente intransigentismo e antiriformismo, per la popolarità conquistata nell'attività
di propagandista e organizzatore, per il fatto di essere uno dei pochi pubblicisti che vantasse
anche rapporti con il movimento operaio estero, Lerda ricoprì un ruolo di primo piano
nell’orientamento e nell’aggregazione di quelle forze che, in corrispondenza della crisi degli
equilibri giolittiani, nel PSI ponevano esigenze politiche nuove.
Partiva però da posizioni appartenenti a momenti in larga misura storicamente superati, che le
impellenti esigenze nella lotta interna al PSI, la crisi della direzione riformista e la scarsa
preparazione culturale e politica degli esponenti della frazione intransigente, lasciavano in una
sorta di ambiguità.
La polemica contro i riformisti di destra e gli organizzatori sindacali che auspicavano un "partito del
lavoro" apolitico, la rivendicazione di una direzione centralizzata ed omogenea, il recupero del
marxismo, il tentativo di dare "unità d'indirizzo ed una guida ed uno schema d’azione a tutto il
movimento operaio" in contrapposizione "al socialismo pratico, frammentario, localista,
corporativista e parlamentare dei riformisti", erano esigenze che emergevano nel processo di
crescita del socialismo italiano.
Lerda fu un censore delle pose declamatorie, dell’improvvisazione, del verbalismo agitatorio di
tanti suoi compagni di frazione e tese sempre a ricercare le ragioni storiche ed economiche dei
fenomeni, ma poi non seppe indicare al partito un obiettivo che andasse al di là della direttiva di
Elia Musatti, Angelica Balabanoff, G. M. Serrati.
91
Nell'editoriale del primo numero de “La Soffitta”, 1. Maggio 1911 Alceste Della Seta
spiegava il titolo deplorando che dal PSI fosse stata"abbandonata al ridicolo la figura dell'uomo
che sopra ogni altro seppe comunque interpretare ed esporre scientificamente il valore dell'ideale
socialista. Noi dobbiamo con Carlo Marx rifugiarci in soffitta. Marx sa che con lui si rifugiano
uomini che hanno saldo cuore nelle lor convinzioni e giovani che cercano il trionfo della nostra
causa nelle vecchie vie del socialismo"
92
G.Lerda "La Soffitta," 1.5.1911.
93
O. Gnocchi Viani "La Soffitta," 30.5.1911
«mantenere alta la forza educativa e direttrice dell’idea».
Il recupero del marxismo si tradusse nella riaffermazione polemica del valore prioritario della
propaganda e dell’educazione delle masse sostenuto fin dagli anni torinesi.
Particolarmente marcata fu la difesa del ruolo del partito, ispirata dalla ammirazione per il modello
tedesco. Fu sul tema della disciplina e dell’organizzazione del partito che si battè con particolare
insistenza nel dibattito avviatosi nel 1911-12 nella sinistra socialista.
Fra un congresso e l'altro la frazione aveva lavorato alla sua organizzazione e ora che disponeva
di una rete organizzativa, si apprestava a conquistare il partito sulla linea del "distacco assoluto e
reciso dai riformisti"
Appaiono in gestazione gli elementi ideologici e psicologici del massimalismo, che prenderà il
sopravvento a Reggio Emilia con l'apporto temporaneo del "mussolinismo". Prese rilievo il motivo
del "socialismo che non muore" in opposizione alle dichiarazioni di morte presunta del marxismo
ma anche in contrapposizione idealistica alla crisi teorica del socialismo, che gli intransigenti non
ammettevano.
L'accento posto sulla classe fu l’elemento di fondo degli intransigenti, che cercarono di interpretare
il risveglio proletario, di stimolarlo e rappresentarlo, distinguendosi in ciò dai sindacalisti
rivoluzionari di Arturo Labriola dei primi del ‘900 che abbandonarono il partito e non si posero
seriamente l'obbiettivo della sua conquista.
Se l'intransigentismo respingeva “la semplice tutela degli interessi” delle masse e la teoria
soreliana dello sciopero generale del sindacalismo rivoluzionario, all'integralismo di Oddino
Morgari e Francesco Paoloni rimproverava di ammettere, come i riformisti, la possibilità di
collaborazione con i governi borghesi. Era la riaffermazione della priorità «dell'educazione
socialista delle masse» fondata sulla considerazione delle «arretrate condizioni attuali del
proletariato e della inconsapevolezza in cui esso si trova delle grandi leggi che dominano da
storia».
Lerda era comunque consapevole dei limiti della corrente tanto da scrivere che "la frazione che
finora ha assunto atteggiamenti solo negativi, non ha un programma nè un pensiero che possa
guidare se domani dovrà assumere il potere"94; infatti la conquista della direzione del partito al
congresso di Reggio Emilia nel 1912 non modificò l'azione del Gruppo Parlamentare rimasto in
mano ai riformisti, i quali rilanciarono all'indomani della sconfitta l'iniziativa politica tanto nella
Confederazione Generale del Lavoro quanto nella cooperazione e nelle amministrazioni locali,
dove disponevano di un personale più qualificato di quello dei loro competitori di partito.
“Gli intransigenti che avevano conquistato la guida del partito si sforzarono di varare una serie di
riforme organizzative che trasformassero il PSI: la creazione di federazioni provinciali e regionali fu
uno dei terreni fondamentali di questa azione di rinnovamento. Tuttavia, nonostante gli sforzi per
smantellare il sistema delle autonomie…(…)…non riuscirono a capovolgere il portato di una
tradizione ormai profondamente radicata”95. Questo tentativo di ristrutturazione del partito restò in
larga parte inoperante per la mancanza di funzionari, le difficoltà finanziarie e le resistenze locali, e
il PSI restò un partito centro-settentrionale.
94
"La Soffitta" 29.9.1911
95
R.Martinelli « Il Partito comunista d’Italia 1921-26», Roma, 1977
Proseguiva intanto la sua instancabile opera di propagandista, testimoniato dalle segnalazioni
della polizia: nell'aprile del 1907 tiene una serie di conferenze nel Ponente ligure96, a giugno alla
Società A.Saffi di Genova, a settembre a Siena e a Castelnuovo Garfagnana. Nel novembre 1909
compie un giro di propaganda in provincia di Brescia97
13. Da Modena a Reggio Emilia (1911-12)
L'imperialismo fece la sua comparsa in Italia con l'impresa libica, che pose al PSI il problema
dell'atteggiamento nei confronti del governo Giolitti e rappresentò un momento di coagulo del
massimalismo.
Nel marzo 1911 Giolitti si presentò alla Camera con un programma democratico tenendo segreta
l'intenzione di andare in Libia.98 Il Gruppo Parlamentare socialista votò la fiducia al governo che
avrebbe trascinato l'Italia in guerra con la Turchia e il Paese si trovò in guerra senza dibattito,
verificando i limiti del Parlamento nello Statuto albertino.
La frazione intransigente uscì tempestivamente il 1° ottobre con un combattivo manifesto "Contro
l'avventura di Tripoli" da cui emergono i limiti dell'analisi delle forze imperialiste e quindi anche
della linea di lotta proposta. ll manifesto insisteva sullo "sperpero di denaro", l’"inorgoglimento del
nazionalismo", il pericolo di "altre imprese dilapidatrici", il sacrificio di "sangue e di vite proletarie",
la "minaccia di più esperta e pericolosa reazione" aggiornando su posizioni combattive i motivi
ideologici e sentimentali comuni ai socialisti non revisionisti e concludendo:"tutto ciò il socialismo
non può arrestare in un attimo, non può impedire in un giorno, non può respingere per
opportunismo. Tutto ciò efficacemente e vittoriosamente si combatte rimanendo sempre nella
propria direttiva politica". Richiamava infine l'attenzione sul fatto che l'esercito era "composto di figli
di proletari" e invitava a tutte quelle "manifestazioni che il proletariato vorrà fare a tutela dei propri
interessi e a dimostrazione del fatale antagonismo fra esso e la borghesia"99
Il Congresso di Modena (15-18 ottobre 1911) si tenne pochi giorni dopo l'inizio della guerra e fu
anticipato di un anno (i congressi si convocavano ogni due anni e quello precedente si era tenuto
nel 1910 a Milano) per discutere sul "ministerialismo" di Bissolati e dei riformisti di destra.
Lerda intervenne "sottolineando la necessità per il PSI di «non cessare di ritenersi il
rappresentante dì una dottrina che ha per postulato la necessità di un radicale e profondo
mutamento della società intera» e di preoccuparsi in primo luogo dell'educazione politica delle
masse. In polemica con Bussi disse che la genesi dell'impresa tripolina erano circostanze
lungamente maturate e che non poteva meravigliare coloro che non si erano mai illusi di fare
96
Il 13 a Pieve di Teco con 200 persone, il 15 alla Società operaia di Rezzo, 40 persone; il 16
a Borghetto S.Spirito, il 18 a Villa S.Pietro, il 19 a Pontedassio
97
Da "Brescia nuova" del 13 novembre: il 14 a Rovato, il 15 a Montichiari, il 16 a Calcinato, il
17 a Salò, il 18 a Toscolano, il 19 a Bagnolo, il 20 a Rezzato e il 21 (domenica) due conferenze: a
Verolanuova al mattino e a Quinzano al pomeriggio
98
G. Giolitti, Memorie della mia vita, pp. 287-88 e 328.
99
"La Soffitta," 1.10.1911.
diventare socialista un governo borghese. Criticò la politica priva di mordente ideologico svolta dal
Partito nelle organizzazioni sindacali e cooperative e controbattè la teoria secondo cui l'appoggio
socialista a Giolitti era reso necessario dall'esigenza di ottenere il suffragio elettorale universale e
la Cassa Pensioni. Rimanendo fuori si poteva ottenere molto di più che «facendo gli intrusi, gli
accaparratori, con scapito della dignità del Partito, della propaganda e del valore morale ed
effettivo di tutta l'azione socialista sul Paese fra le masse». Senza dubbio era possibile ottenere
riforme utili mediante l'attività parlamentare. Ma era cessata la partecipazione delle masse a tali
riforme, si voleva che esse lasciassero traccia e servissero al miglioramento dell'uomo".100
Dopo il congresso di Modena e in vista della conquista della maggioranza Lerda, che confessò di
non avere le capacità e le attitudini di un capo, aprì101 una discussione sulla piattaforma ideale e
programmatica della frazione che fu una tappa significativa nella formazione del gruppo dirigente
del massimalismo d'anteguerra.
Egli affermò di non credere ai dogmi ed alle formule, neppure a quelle del cosiddetto socialismo
scientifico: "credo alla vita che è movimento" respingendo però l'empirismo dei riformisti ed ogni
forma di dogmatismo: "sono un solitario che in molte questioni ed apprezzamenti sente
diversamente e dai rivoluzionari e dai riformisti". Partito dalla constatazione che “la frazione...ha un
programma" solo negativo, e dopo aver premesso che si trattava non tanto delle "esigenze della
dottrina e della scienza" quanto di quelle "della disciplina, per la coordinazione del lavoro e per la
psicologia delle masse", la sua proposta aveva lo scopo pragmatico di dare al partito "una guida e
uno schema dell'azione". Di contro al "socialismo pratico, frammentario, localista, corporativista e
parlamentare" dei riformisti rivendicò la "necessità di una revisione" già invocata al congresso di
Milano.
Si trattava di restituire al Partito socialista quella "unità di indirizzo" che il riformismo, aveva
distrutto anche come "unità di movimento tendenziale" La discussione e l'elaborazione di un
programma della sinistra rivoluzionaria avrebbe dovuto innanzitutto procurare l'unità della frazione
e garantire in un secondo tempo la "integrazione del pensiero del Partito socialista e del
movimento proletario in una unità non infeconda fattrice ed educatrice."
In risposta Arturo Vella ammonì i compagni di “non cacciare anche dalla soffitta quel Carlo Marx
che, volere o no, è l'unico che può dare a noi la fiaccola rischiaratrice per procedere innanzi nella
buia notte della storia.102 Vedeva assai bene che si trattava di contrapporre "all'empirismo volgare
dei riformisti, al pragmatismo inconsapevole degli integralisti ed al neoidealismo dei malcontenti
una netta e salda concezione del divenire socialista" che non poteva non essere il marxismo.
Quanto al programma di Genova, esso doveva essere ripreso in mano, come bandiera, dalla
frazione rivoluzionaria. Obbiettivo fondamentale della frazione, dunque, “ricostituire
gagliardamente i quadri di un partito veramente di classe che deve poggiare l'azione sua sullo
spirito del marxismo che va dal Manifesto dei comunisti al programma di Genova (adattamento
italiano del programma di Erfurt)".
Vella assunse una posizione di difesa ideologica rispetto agli atteggiamenti oscillanti fra il
tradizionale revisionismo e il nuovo pragmatismo che fermentavano in forme più o meno
100
Pedone I congressi del PSI, vol. 2, Milano-Roma, 1958
101
G.Lerda, Dichiarazione, "La Soffitta," 29.10.1911.
102
A.Vella, In cerca d'un programma. Melanconie d'un credente, "La Soffitta" 3.11.1911
consapevoli e contrappose alle idee di Lerda le posizioni di Costantino Lazzari.103 Infine promise
una serie di articoli per profilare i "lineamenti per un programma di attuale azione per la nostra
frazione, programma che chiamerei massimalista per la sua derivazione dai massimi principi",
Già all'indomani del congresso l'organo della frazione constatò i progressi nei confronti dei
riformisti e delle posizioni intermedie e predispose gli animi alla conquista della direzione del
Partito. Dal Congresso di Firenze del 1908 a quello di Modena del 1911 la forza intermedia degli
integralisti divenne irrilevante e i gruppi riformisti erano scesi da 18 mila voti a 11 mila, mentre gli
intransigenti da 5 mila erano quasi raddoppiati, sicché sull'onda degli avvenimenti, non fu difficile
conquistare la maggioranza nelle federazioni principali, e andare al Congresso di Reggio Emilia
con la vittoria già assicurata.
Alla conquista giovò anche quell'atteggiamento di combattività locale, a contatto con la base, che i
rivoluzionari tennero e che fu teorizzato da Serrati poco prima del congresso vittorioso. Preso dallo
sconforto per la visione della "sfrenata vita borghese-capitalistica" che imperava in Italia, in
quell'angoscioso "quarto d'ora di affarismo," Serrati peccò di pessimismo e finì col ritenere che il
Partito non potesse risollevarsi che il giorno in cui la borghesia si fosse spinta "fino al collo" nella
speculazione e ne fosse soffocata. Intanto era possibile soltanto una via di ripresa e di riscossa:
"Vado diventando localista perché mentre gli organi dirigenti del partito hanno dato il peggiore degli
esempi e sono stati la pietra dello scandalo vi è invece fra le masse un terreno meravigliosamente
fertile per la propaganda e la educazione socialista104
Al congresso di Reggio Emilia del 1912 Lerda si dichiarò a favore dell'espulsione dal partito dei
riformisti di destra filotripolini, ma auspicò una nuova maggioranza che includesse anche i riformisti
di sinistra (Modigliani) e presentò un ordine del giorno, approvato dal congresso, che pur
affermando la necessità di seguire il metodo intransigente e di presentare candidature socialiste in
tutti i collegi, lasciava alla Direzione la facoltà di autorizzare a votare nei ballottaggi per i candidati
dei partiti affini.
All'ordine del giorno presentato da Lerda era stato proposto di aggiungere quello di Francesco
Ciccotti approvato al congresso regionale di Forlì, che escludeva «ogni alleanza coi partiti cosidetti
affini, a primo scrutinio e in ballottaggio, nel campo politico e amministrativo», su cui si sviluppò la
discussione interna alla frazione, riunitasi la sera del 6 luglio105. Lerda fece notare che la sua
mozione sulla tattica elettorale esprimeva l'orientamento di tutta la frazione, meno le sezioni
romagnole, che in nome dell'unità invitò a ritirare il documento.
I romagnoli si impegnarono ad uniformarsi alla volontà della maggioranza che sarebbe emersa da
una votazione la sera stessa e dopo una discussione106, l'intransigenza nelle elezioni
amministrative fu approvata con 35 voti contro 16, mentre l'intransigenza nei ballottaggi di quelle
politiche ebbe 32 voti contro 19.
In una seconda riunione il giorno dopo, quando tutti i delegati avevano raggiunto Reggio, Elia
Musatti chiese di ripetere la votazione, senza che ciò cambiasse il risultato. La prevedibile vittoria
103
C.Lazzari, I principii ed i metodi del PSI, Milano, 1911.
104
G.M.Serrati, Necessità attuale di Idealismo, "La Soffitta," 2.6.1912.
105
I rivoluzionari. L'intransigenza assoluta di Ciccotti vittoriosa sull'ordine del giorno Lerda,
«Avanti!», 7.7.1912
congressuale della frazione, ammonì Musatti, l'avrebbe posta in condizioni del tutto nuove: non si
sarebbe più trattato di combattere su enunciazioni di principio, nella posizione privilegiata di chi
sapeva di perdere, ma di affermare direttive che, per determinare il successo elettorale del partito,
avrebbero dovuto essere applicate in modo rigoroso, cosa non facile data la diseguale
distribuzione delle forze del partito sul territorio nazionale e dati gli effetti imprevedibili della nuova
legge sul suffragio allargato, che rendeva difficile una soluzione univoca.
A fronte di 508 collegi elettorali il partito disponeva di un migliaio di sezioni: 900 da Roma in su, 78
da Roma in giù, isole comprese. Che cosa dovevano fare le 78 sezioni meridionali nei 201 collegi
al di sotto di Roma? Porre candidature socialiste dappertutto, anche dove non esistevano sezioni?
E nei moltissimi casi di ballottaggio che si sarebbero verificati là dove era possibile candidare un
socialista ma non assicurarne l'elezione, e l'alternativa era tra ritirarsi e rimanere battuti? Non era
meglio concentrare le forze sul collegio della provincia nella quale più facile si presentava la lotta?
E in quale misura e prospettiva l'accesso al voto di nuovi strati proletari e popolari, in gran parte
analfabeti, avrebbe modificato la situazione?
Il nodo della politica del partito nel meridione non fu sciolto nemmeno nella terza riunione,
precedente la seduta congressuale pomeridiana dell'8 luglio, in cui Mussolini chiese l'espulsione
dei destri Bissolati, Cabrini, Bonomi e Podrecca per «determinati atti» e non per le loro idee
politiche e in cui si discusse nuovamente sulla questione dei ballottaggi e delle elezioni
amministrative. L'«Avanti!» riferì: «alla discussione molto animata, partecipano molti oratori, ma
poiché l'ora è tarda, si rinvia ogni deliberazione a domani nel pomeriggio».
Se in sede di frazione i rivoluzionari avevano approvato la mozione Ciccotti, quando la mattina del
10 si giunse al dibattito in congresso fu proposto l'OdG Lerda, approvato senza votazione. La
conclusione107, che non era giustificata dai rapporti di forza, provocò la critica del riformista Nino
Mazzoni: "Questo che doveva essere il Congresso della schiettezza crudele, che doveva risolversi
nella più perfetta intransigenza, si trasforma in una intransigenza a primo scrutinio, diritto della
106
Storia della sinistra comunista. I, cit., p. 56: «Gli "esperti" spiegarono che ogni congresso
vive di una sola grande battaglia». Ad invitare gli intransigenti a soprassedere sulla questione
elettorale, per concentrare gli sforzi in sede congressuale contro i «traditori del partito», fautori
dell'impresa libica, intervenne Costantino Lazzari, mentre Arturo Vella dichiarò di essere contrario
non solo ai blocchi, ma anche alla conquista dei Comuni su basi intransigenti.
107
Si può supporre che la rinuncia all'ordine del giorno Ciccotti fosse dovuta alle pressioni
degli intransigenti romani, impegnati nel blocco raccolto attorno a Nathan. Lerda, nel momento più
acuto della crisi determinata dall'impresa libica, raccogliendo una notevole maggioranza
nell'Unione Socialista Romana, si oppose alle richieste di rottura di ogni alleanza con i partiti
borghesi. Cfr. La questione del blocco nell'Unione Socialista Romana, «La Soffitta», n. 19, 17
dicembre. L'ambiguità della mozione prevalsa al Congresso di Reggio Emilia è rilevata da Sergio
Bertelli, Socialismo e movimento operaio a Roma dal 1911 al 1918, in «Movimento Operaio»,
1955: «nella formulazione della mozione sull'indirizzo elettorale del partito, si era guardato
soprattutto a Roma e si era giunti all'approvazione del principio intransigente sol perché le
dimissioni di tutti i consiglieri socialisti avrebbero costretto il Nathan a nuove elezioni immediate,
dalle quali si sperava un rinvigorimento (altro che secessione!) della compagine bloccarda che, si
faceva notare, era rimasta nella sua composizione immutata per cinque anni, malgrado
l'accresciuta influenza socialista nella città». L'uscita dell'USR dal blocco amministrativo il 31 luglio
1912 si verificò in questo contesto.
Direzione d'intervenire nei ballottaggi, e silenzio completo sulle elezioni amministrative"108
Così Modigliani, che si era pronunciato per il diritto di intervento della Direzione anche nelle
elezioni amministrative, prese atto con soddisfazione che aveva prevalso la «più blanda» delle due
correnti in cui era divisa la frazione intransigente, e concluse che la concezione riformista, pur
sconfitta, si rivelava più rispondente alla realtà e alle necessità del partito e al tempo stesso più
audace e combattiva di quella vincente.
L'intervento di Mazzoni rivelò le divergenze tra gli intransigenti. Mussolini, per quanto invitato non
prese la parola in questa fase.109 Ciccotti negò che il suo OdG fosse orientato nel senso indicato
da Mazzoni, e aggiunse che la mozione di Lerda, concernente solo l'indirizzo generale del partito,
era quella ufficiale della frazione. Una volta affermata l'intransigenza per le elezioni politiche era
inutile ribadirla per le amministrative.
Lerda, dopo aver precisato di essere contrario ai blocchi, sottolineò la necessità di distinguere tra il
campo amministrativo e quello prettamente politico, accennando ai numerosi comuni delle
province meridionali, in cui il proletariato si trovava di fronte le camorre, i clericali, ecc., e concluse
affidando alla nuova Direzione il compito di impedire degenerazioni bloccarde.
A questo punto intervenne Giacinto Menotti Serrati, fautore dell'intransigenza assoluta, con una
dichiarazione che stabiliva a nome dell'intera frazione che la nuova Direzione doveva liquidare in
tempi brevi i blocchi ancora esistenti.
A suscitare la reazione di Mazzoni fu che ancora una volta la questione della Massoneria era finita
in coda nell'agenda del congresso. Mazzoni definì superficiale, moralistico e astratto l'approccio al
problema da parte del partito. Oltretutto non si teneva nel minimo conto il cambiamento che si era
verificato nella politica della Massoneria che, da espressione di un vago anticlericalismo
liberaleggiante agli inizi del secolo, era diventata un vero e proprio partito politico tra gli altri,
infiltrato nelle organizzazioni operaie (a cominciare da quelle a carattere economico, in cui più
facile era coltivare piccole ambizione e vanità individuali) per svolgervi un'opera di mediazione,
culminata appunto nel popolarismo e nel bloccardismo110.
Questa lezione proveniva da un riformista esperto, che dirigeva allora con Argentina Altobelli la
Federterra, autore di numerose inchieste e relazioni sulle condizioni della classe lavoratrice nel
Settentrione, che nel corso delle polemiche post-congressuali definì la mozione Lerda un
contrappeso all'ordine del giorno di Mussolini sui destri (Bissolati, Bonomi, Cabrini, Podrecca).
La formazione del Partito Socialista Riformista Italiano da parte di costoro costrinse la Direzione a
108
255.
Resoconto stenografico del XIII Congresso Nazionale del PSI, Città di Castello, 1913, p.
109
Mussolini, secondo il giornalista Michele Campana, avrebbe teorizzato il completo
disinteresse del partito per le questioni economiche e amministrative. Si veda La discussione al
Congresso socialista si accalora: tre tendente tra i rivoluzionari, «II Nuovo Giornale», 10.7.1912,
riprodotto in B. Mussolini, Opera Omnia, IV, cit., p. 294.
110
XIII Congresso nazionale..., cit., pp. 295-297. Anche // PSI nei suoi congressi, 11, Milano,
1961, p. 212, riporta l'ordine del giorno presentato da Mazzoni sul problema della Massoneria.
definire con una circolare111 il significato della loro espulsione: si dovevano considerare espulsi
anche coloro che si rendevano solidali con i quattro deputati.
Ad evitare travisamenti e forzature l'editoriale non firmato "Concordi nell'azione" sull'Avanti! del 27
precisò che l'ordine del giorno Mussolini si era riferito ad atti specifici compiuti dagli espulsi e che
«nessun pensiero, nessuna tendenza, nessuna frazione» erano state coinvolte sia in esso, sia
nelle delibere della Direzione55. Ma lo stesso articolo, sostenendo che «l'appoggio ad indirizzi di
governo» era stato dichiarato incompatibile con la permanenza nel partito dalla mozione Lerda,
dava di questa un'interpretazione che lo stesso Mazzoni ritenne di dover subito contestare:
"Opinione rispettabilissima che viene fissata per cauzionare una direttiva: ed alla quale noi ci
dobbiamo sottomettere per dovere di disciplina. Ma "opinione" che noi abbiamo diritto di non
condividere senza che ciò debba farci considerare esclusi dal Partito112. Questa precisazione
mirava a salvaguardare l'attività e l'autonomia del Gruppo parlamentare socialista, che Mussolini
dalla tribuna congressuale aveva stigmatizzato, dichiarandone esaurita la funzione. Mazzoni
concluse dicendo che se i deputati socialisti non volevano limitarsi a essere una «minaccia
decorativa», ogni loro intervento implicava l'accettazione della schermaglia parlamentare che si
determina nel gioco delle forze politiche, mentre un atteggiamento sistematicamente negativo li
avrebbe trasformati in altrettante mummie.
La nuova impostazione del lavoro organizzativo che Lerda propose doveva ristabilire le condizioni
per un autentico partito operaio in cui alla «scienza borghese» dei delegati ai congressi, scelti
perchè potevano permettersi le spese di viaggio, sempre pronti agli «interessi personali»,
subentrasse un lavoro rivolto alla base di «scienza socialista» o «filologia di Marx» con
l'utilizzazione del denaro a disposizione del Partito.
Dopo l'approvazione dell'OdG antimassonico di Nino Mazzoni presentò le dimissioni dal Partito,
che la presidenza del congresso considerò non avvenute. Nonostante ciò e l'offerta della
direzione dell'Avanti! che rifiutò, questo congresso rappresentò per lui l'inzio del tramonto.
In questo periodo si andò accostando ai riformisti di sinistra di Modigliani come dimostrava la tesi
della necessità di dar vita ai blocchi nei piccoli comuni, e soprattutto la ricerca della costituzione di
una maggioranza di centro, dopo l'espulsione dei bissolatiani. Del resto aveva dichiarato al
congresso socialista piemontese del giugno 1912 che considerava l'intransigentismo come un
fenomeno transitorio, valido fintantoché la propaganda e l'educazione non avessero fatto uscire il
proletariato «dalla sua condizione di inferiorità»113
Decisa, comunque, fu la sua opposizione al «mussolinismo».
111
l'«Avanti!» 24.7.1912
112
N. Mazzoni, // Congresso di Reggio e l'appoggio agli indirizzi di governo, «Avanti!», 28 .
7.1912. Una nota non firmata, apparsa sul quotidiano pochi giorni dopo nello spazio solitamente
riservato ai comunicati ufficiali dell'organizzazione, ammise, sottolineando gli aspetti unitari del
Congresso, la «scrupolosa esattezza» dei rilievi di Mazzoni: Per l'unità del Partito, 1.8.1912,
rubrica «Vita di Partito»
113
G.Lerda “Avanti!”, 16.7.1912
14. L'impresa libica nel quadro dell’imperialismo italiano ed europeo
Lerda fu uno dei pochi socialisti italiani che, grazie alla conoscenza del tedesco, parteciparono ai
dibattiti della Seconda Internazionale, introducendo nella stampa di partito tematiche come quella
della trasformazione del capitalismo in imperialismo, con i rischi di guerra mondiale insiti nella lotta
per accaparrarsi le materie prime e gli sbocchi mercantili.
Se già nel 1893 sulla "Critica sociale" aveva fatto esplicita professione di antimilitarismo, fu
decisamente contrario alla guerra di Libia, in cui intravide un momento di svolta della politica
estera giolittiana, giudicandola in parte il risultato dei processi di concentrazione industriale in atto
nel paese e in parte il tardivo tentativo dell'Italia di inserirsi nelle competizioni capitalistiche
internazionali. Al congresso di Reggio Emilia del 1912 si dichiarò perciò a favore dell'espulsione
dal partito dei riformisti di destra filotripolini.
In una serie di lucidi articoli apparsi fra il 1911 e il 1912 sottolineò l'incapacità dei partiti socialisti
della Seconda Internazionale di impedire quella guerra europea che gli sembrava sempre più
inevitabile, ma da questa considerazione derivò solo la speranza che «il proletariato non si
smarrisse ai fini della nuova, futura civiltà».
Il manifesto del Comitato centrale della Frazione,114 che rivendicò solo al «socialismo non
degenere, non viziato, non compromesso dalle arti governative nella direttiva della propria
coscienza» il diritto di condannare l'impresa libica, oppose la concezione dottrinaria del socialismo
senza accettare l'impostazione salveminiana e liberista dell'antitripolismo, che proponeva un
criterio differenziato nella valutazione del colonialismo in rapporto al modello liberoscambista
inglese, subita invece dai riformisti di sinistra, che nelle prese di posizione, negli articoli di stampa
e nei comizi usarono le accuse di «tradimento» e «ingiustificata pazzia».
La guerra libica apparve agli intransigenti un'ulteriore conferma dell’impossibilità di una
collaborazione con la borghesia, e quindi come la testimonianza degli errori di indirizzo politico
commessi dal riformismo nell’età giolittiana, e li portò a criticare sia l'opportunismo del gruppo
bissolatiano che l'impostazione antitripolina di Treves e Turati e in genere tutte le prese di
posizione «dell'ultima ora».
Lerda al congresso di Modena accusò i riformisti di non capire che l'impresa libica era maturata
lentamente e che aveva radici lontane.115 Inserì l'impresa nella continuità dello sviluppo storico del
paese cogliendone le matrici economiche e quelle inerenti alla politica internazionale116 nel quadro
di un generale consolidamento a destra del potere della borghesia. Pertanto la guerra libica non
era attribuibile a fattori patologici ma era la logica di classe a portare la borghesia italiana a Tripoli
nel quadro dei rapporti di forza interni che coglievano il movimento socialista in posizione difensiva
o subalterna a seguito dell'indirizzo collaborazionista dei riformisti.
114
“La Soffitta”, 1.10.1911
115
F. Pedone, op. cit., p. 164.
116
In un comizio a Siena M. Terzaghi attribuiva la causa dell'impresa alle ingerenze del
capitalismo finanziario e industriale (Avanti!, 29.9.1911). Nel manifesto degli intransigenti
pubblicato il 1° ottobre su La Soffitta si metteva in relazione la guerra libica con la soluzione della
crisi marocchina.
Mancava però un'analisi storica delle condizioni strutturali che avevano determinato la politica
espansionistica dell'Italia, per cui l'indicazione della lotta al capitalismo finanziario o al
nazionalismo appariva priva di riferimenti reali, quando addirittura non portava ad una valutazione
positiva delle «virtù battagliere e conquistatrici della borghesia» perché avrebbero determinato
nella classe operaia un maggior senso della propria autonomia117.
Nel movimento socialista italiano gli intransigenti furono sostanzialmente assenti dal dibattito sul
colonialismo e la questione tripolina118 come evidenziò il disinteresse per una campagna di stampa
contro il mito della terra promessa o la condotta militare-diplomatica, anche se interventi in questo
senso non mancarono nella stampa locale (“La Conquista” di Bari, II “Grido del popolo” di Torino,
“La lotta di classe” di Forlì). Non si operò alcun salto qualitativo rispetto al passato, e l'impresa
libica apparve piuttosto come il momento di verifica delle vecchie posizioni, anticollaborazioniste e
intransigenti.
Quando conquistarono la direzione del partito e dell'Avanti!, non modificarono la linea della
campagna di stampa antitripolina tenuta dai riformisti, pur accentuando le note antigiolittiane e
anticollaborazioniste. Sulla questione tripolina per l’insufficiente messa a fuoco del problema
mancò anche l’omogeneità dei maggiori esponenti della corrente.
Lerda sulla Soffitta, partendo dal rifiuto della tesi riformista della guerra come parentesi, si fece
promotore, nel quadro di un ripensamento generale sull'età giolittiana, di una attenta analisi della
borghesia italiana nel primo decennio del secolo,
Lerda nel presentare un articolo di M.Terzaghi scrisse che «da solo valeva più delle migliaia di
o.d.g. e di proteste con cui il PSI credeva forse di imporre il rientro dei soldati italiani dalla Libia»
soprattutto per lo sforzo di illuminare le ragioni storiche e economiche dell'impresa con quei «criteri
obiettivi la mancanza dei quali aveva fatto sì che l'opposizione socialista si fosse risolta finora in
vani clamori»119 .
L'autore accusò i riformisti di aver contribuito al consolidamento dell'espansionismo capitalistico
colla «smobilitazione» del partito e l'offerta della «garanzia di tranquillità» attraverso una tregua
sociale e il riassorbimento del malcontento popolare, facendo risalire a Giolitti il merito del regime
di libertà che non era che «un bisogno per la borghesia ai fini della sua espansione economica e
del suo consolidamento patrimoniale». I successivi «sdilinquimenti ministeriali» avrebbero indotto il
PSI a credere che «il suo disarmo verso la borghesia fosse reciprocanza» se non addirittura che la
borghesia avesse «abdicato alle sue finalità e a compiere il ciclo storico del suo ulteriore sviluppo».
In realtà la borghesia non aveva mai disarmato, come dimostrato dal susseguirsi degli eccidi
117
Vindex La conquista, “ La Soffitta” 1.10.1911.
118
Significativo che Lerda ritenesse marginale il problema della pubblicazione su “La Soffitta”
di un articolo filotripolino di Norlenghi (27.1.1912), a cui replicarono D. Marra (15.3.1912) e Vezio
(15.2.1912). In una nota redazionale Lerda chiudeva, nell'aprile 1912, la polemica rivendicando a
tutti gli iscritti la libertà di pensiero, pur nel rispetto della disciplina di partito.
119
A proposito della guerra. I tre punti di vista, “La Soffitta” 17.12.1911. Lerda nella nota
redazionale aggiungeva che il problema era quello di educare il proletariato ma che, per farlo
realmente, si doveva «abbandonare il sistema declamatorio» e «cessare di prospettare i problemi
della vita sociale come si prospettava una figura geometrica perché... le chiacchiere erano
chiacchiere».
proletari e dall'alleanza con i clericali nelle elezioni del 1904, nonché i sintomi della potenza del
capitalismo italiano (conversione della rendita, incremento dei depositi bancali, quota della rendita
in borsa, riserve degli istituti di emissione, ecc.). Di fronte al processo di sviluppo e di
rafforzamento della borghesia, di cui l'impresa libica era una tappa importante, il movimento
operaio avrebbe dovuto non tanto occuparsi della questione tripolina, quanto piuttosto procedere
ad una ristrutturazione organizzativa e propagandistica, ed assumere tutte quelle iniziative che
preparassero fin d'allora la resistenza «contro la invadenza guerrafondaia», perché la borghesia
«reduce da Tripoli, imbaldanzita dalla vittoria» non trovasse la classe operaia indifesa. E ciò anche
nella considerazione che già la magistratura «tornava sulle peste reazionarie di novantottesca
memoria, che la stampa si faceva un giorno più dell'altro assertrice di un provvido restringimento
dei freni, che la borghesia si imbaldanziva nei pubblici poteri, che le garanzie costituzionali
tendevano ad essere allegramente livragate120».
La ricostruzione del Terzaghi, che restava quasi esclusivamente in un ambito finanziario senza una
considerazione adeguata delle concentrazioni monopolistiche, era viziata da un
anticollaborazionismo che considerava la borghesia come un blocco indifferenziato, privo di una
sua interna dinamica, ma ebbe il merito di porre, nell'ambito della critica al concetto di trasmissione
passiva del potere della borghesia, il problema dell’autonomia del partito della classe operaia,
sottolineando l'esigenza di una maggiore capacità di iniziativa.
Anche Lerda, per una conoscenza diretta dei dibattiti in seno alla socialdemocrazia tedesca e i
contatti personali con gli ambienti del socialismo internazionale, scrisse nel 1911-12 una serie di
articoli sul capitalismo internazionale e sui processi di concentrazione industriale all'interno, che si
distinsero per l'interesse verso problemi su cui il socialismo italiano era largamente assente e per
alcune intuizioni felici.
Prima dell'impresa libica, nell'agosto 1911, interpretò la nomina ad ambasciatore a Costantinopoli
di Garroni, legato agli Ansaldo, come una svolta nella politica estera verso una penetrazione
economica in Oriente non più attraverso la semplice azione diplomatica e formale, ma attraverso
«una politica di fatti e azioni», «con uomini capaci di creare una fitta rete di interessi reali». Anche
l'Italia, pur con i suoi ritardi e contraddittorietà, entrava nelle competizioni capitalistiche
internazionali: «È la lotta per la vita del capitalismo moderno che, pena la morte, non può rimanere
inoperoso, né rinchiudersi come in altri tempi nei forzieri; è la lotta, fra i governi che tali capitali
rappresentano, di nuovi mercati»121
Lerda, rilevando l'indebolimento del ruolo della diplomazia, scrisse che «la grande politica» stava
passando «dalle mani dei poteri dinastici a quelle dell'alta banca e del capitalismo» e avanzò
l'ipotesi che una futura confederazione degli Stati europei sarebbe stata «l'espressione della forza
della nascente Internazionale capitalistica». Per l'immediato pronosticò come inevitabile una
guerra europea.
Sullo stesso concetto tornò in un articolo del 17 dicembre 1911, nella considerazione della
crescente rivalità tra Germania e Inghilterra, dei fermenti di rivolta nei Balcani, delle mire
austriache su Salonicco. Giudicate «risibili» «le società borghesi per la pace, come i tribunali
dell'Aia», dichiarò che «Il proletariato europeo non era assolutamente in grado di impedire la
120
Dal nome di un ufficiale che aveva commesso abusi sulla popolazione libica
121
G. Lerda, Nell'alta politica, “La Soffitta” 15.8.1911. Il 29.5.1912 tenne una conferenza a
Corato (BA) contro la guerra italo-turca
grande guerra», ormai inevitabile.
Sottolineando le contraddizioni dell'imperialismo internazionale, nel cui ambito era entrata anche
l'Italia, nello stesso tempo rilevava la debolezza delle posizioni socialiste che si alimentavano
dell'illusione intorno al mito dell'Internazionale come forza sufficiente per impedire la guerra
europea.
Tuttavia quando passava dall'analisi all’indicazione di direttive politiche in una situazione in rapida
trasformazione restava entro la logica della Seconda Internazionale e prefigurava alcune posizioni
del PSI durante la guerra mondiale, avanzando la speranza che il proletariato attraverso la guerra
«non si smarrisse ai fini della nuova, futura civiltà»122
In politica interna, se segnalava i processi di concentrazione industriale anche in rapporto alla lotta
sindacale123 e coglieva gli elementi di novità del quadro politico124 perveniva a conclusioni riduttive
della potenzialità di iniziativa del movimento operaio, che veniva ammonito a non scendere troppo
precipitosamente in sciopero, perché occorreva prima «studiare le condizioni di forza proprie e
dell'avversario».
In conclusione teorizzò l'autonomia di classe, ma inserita in una prospettiva difensiva e subalterna,
che preservava la dottrina e l'organizzazione dai compromessi e dall'opportunismo, senza però
porsi il problema di competere per il potere con la classe antagonista e di rovesciare la tendenza a
destra della politica italiana.
15. Il congresso di Ancona, la guerra e il dopoguerra
L'approvazione a Reggio Emilia dell'OdG contro la massoneria lo indusse a rassegnare
immediatamente le dimissioni dal PSI, respinte dal congresso con voto unanime. Dopo aver
rifiutato la direzione dell'Avanti!, continuò nella sua attività di propagandista e organizzatore
socialista.
La definitiva uscita dal partito avvenne al congresso di Ancona del 1914, dove sulla doppia
appartenenza, alla massoneria e al Partito, furono presentate tre mozioni: l'OdG Zibordi-Mussolini,
per l'incompatibilità e l'espulsione, che ottenne 27 mila voti, l'OdG Matteotti, per la sola
incompatibilità, con 2300 voti e l'OdG Poggi per la compatibilità che ebbe 1800 voti. Posto di fronte
a questa secca alternativa, optò per la permanenza nel Grande Oriente d'Italia. Dichiarò che i
122
G. Lerda, Una ben più grande e terribile guerra, “ La Soffitta”, 17.12.1911
123
G. Lerda, Trusts, sindacati, scioperi, , “ La Soffitta” 19.11.1911
124
G. Lerda, Timeo danaos..., “La Soffitta” 15.5. 1911. Lerda scriveva che il programma
democratico di Giolitti e la chiamata di Bissolati da parte del re potevano nascondere il tentativo di
distogliere l'attenzione del proletariato da un intervento dell'Italia nell'impero ottomano,
probabilmente nei Balcani. I sintomi di una nuova politica estera aggressiva andavano ricercati per
lui in alcuni fenomeni nuovi di politica interna: «II coro della stampa italiana contro la debolezza e
pusillanimità della nostra politica estera, l'esautoramento del nome e del prestigio italiano, la
diminuita influenza nostra in regioni e in mezzo a popoli fra i quali la tradizione della lingua nonché
quella del nome italiano si erano mantenute per tanti secoli… la nascita del partito nazionalista
sbucato fuori come di sorpresa col programma della grande e forte patria italiana».
socialisti massoni non avrebbero ripudiato la loro fede politica, anche se fossero stati privati della
tessera. Accennò al pericolo per il Partito del diradarsi dell'elemento intellettuale e concluse
dicendo che egli ed i suoi amici non potevano accettare «questa nuova funzione che il Partito si
arroga di guardare chi è battezzato e chi è circonciso»125
Il Grande Oriente d'Italia lo chiamò a far parte della propria giunta esecutiva, riconfermandolo nel
1919 sotto la gran maestranza di Ernesto Nathan. L'appartenenza alla massoneria ebbe un certo
peso nel suo progressivo allinearsi su posizioni democratico-interventiste. Nel luglio 1914 fece un
viaggio a Parigi, e con i socialisti francesi mantenne stretti rapporti durante tutto il periodo della
guerra.
Divenuto uno dei punti di riferimento dei gruppi socialisti dissidenti, il 10 gennaio 1917 fu nominato
segretario del gruppo socialista autonomo a Milano126 e a febbraio eletto insieme a Mussolini per
rappresentare tale movimento al congresso dei partiti socialisti dei paesi dell'Intesa, che avrebbe
dovuto svolgersi a Parigi e non ebbe luogo per il precipitare delle vicende belliche, in particolare di
quelle russe.
Come segretario del gruppo milanese partecipò al congresso del partito socialista riformista
tenutosi a Roma il 15-16 aprile 1917 nella sala della federazione del libro, e nel giugno successivo
si recò con Arturo Labriola, I. Cappa e Orazio Raimondo in Russia per caldeggiarne la
continuazione della guerra a fianco dell'Intesa127.
Fu tra i fondatori dell'Unione socialista italiana, fautrice della «lotta di difesa contro la minacciata
egemonia del militarismo austrotedesco e di liberazione dei confini nazionali» in cui confluirono
molti elementi dell'interventismo di sinistra, e nell'agosto 1918 entrò a far parte della sua direzione
centrale. Il 2 novembre 1919 fu incluso nelle liste del «Partito del lavoro» di Genova come
candidato nelle elezioni politiche generali
Nonostante l'accostamento a Bissolati nel 1916-17 e l'adesione all'USI, mantenne sempre buoni
rapporti con molti degli ex-compagni del PSI, soprattutto con Costantino Lazzari128 e con gli
organizzatori sindacali. Il vecchio organizzatore e propagandista non riusciva a distaccarsi dal
movimento operaio.
Polemizzò duramente durante il «biennio rosso» contro il massimalismo che giudicava insieme
velleitario negli obiettivi e prodotto di una situazione di arretratezza economica e di insufficienza
culturale, secondo il suo consueto metro di giudizio. A questo proposito, la guerra determinò
profonde modifiche all'interno del partito tanto nei quadri quanto nella stessa base sociale, per cui
occorre distinguere tra intransigentismo e massimalismo (rispettivamente prima e dopo la guerra),
125
Pedone, Il Partito ..., vol 2., 1902-17, cit., pag.231
126
Un informatore della polizia lo presentò come «un dissidente che si dava anima e corpo
ad organizzare il nuovo partito socialista in contrapposto a quello ufficiale». In questo contesto
potrebbe aver fatto da intermediario nel febbraio 1917 tra la massoneria e II Popolo d'Italia, a cui
sarebbero state date 4.500 lire.
127
ACS, CPC b.2773, lettera a Oda del 24.6.1917 da Cristianaia (Copenhagen)
128
ACS, CPC b.2773: una informativa del 10 novembre 1917 riferisce che frequenta
C.Lazzari.
perchè se il primo fu l'indubbia matrice del secondo, dell’originario gruppo dirigente della frazione
solo pochi mantennero una posizione di primo piano (Serrati, Vella), alcuni concorsero alla
formazione del PCdI mentre molti degli esponenti più rappresentativi dell’anteguerra confluirono su
posizioni più moderate alla fine del conflitto, anche in relazione alla rivoluzione russa.
Concluse il suo percorso politico aderendo nel 1922 al Partito socialista unitario. Dopo l'avvento
del fascismo affittò il primo piano del proprio villino di Roma al PSU, che vi impiantò gli uffici
amministrativi e la redazione della Giustizia, alla sezione romana della CGdL e al sindacato
ferrotranvieri. Dopo il fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre, attribuito al
giovane Anteo Zamboni,129 fu sottoposto a stretta sorveglianza dalla polizia e perseguitato dalle
squadre fasciste, che ne saccheggiarono la casa130.
Trasferitesi a Torino131 sempre vigilato dalla polizia, morì il 17 maggio 1927, quando gli si stava
preparando l'espatrio clandestino. Pare che Mussolini si riferisse a lui quando in un discorso a
Torino il 27 maggio 1927 dichiarò «Anche gli irriducibili muoiono».
129
Probabilmente opera di fascisti dissidenti legati al ras bolognese Arpinati, che utilizzarono il
quindicenne Anteo come capro espiatorio, pugnalandolo a morte per depistare le indagini e far
sparire ogni traccia. Ved. B. Dalla Casa, Attentato al duce: le molte storie del caso Zamboni
Bologna 2000
130
G. Salvemini. Scritti sul fascismo. Voi. 1. Feltrinelli, 1961, pag. 119
131
Il 3 marzo 1927, in via Massena 18
ODDINO MORGARI (1865-1944). Biografia politica di un "cittadino del mondo"
1. Il personaggio
2. Nel socialismo torinese del decennio 1890-1900
3. L’elezione nel 1897 e il Novantotto
4. L’ostruzionismo (1899)
5. L’attività all’inizio del Novecento (1900-1905)
6. Il” propagandista” Morgari e il “ciarlatano” Frizzi
7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)
8. Segreteria della Camera del lavoro e lotte del 1906
9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del ‘900
10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)
11. La direzione dell’”Avanti!” (1908) e un primo "dialogo" coi cattolici
12. Attività in Parlamento e nel Paese (1907-11)
13. Con Salvemini per la questione Meridionale
14. Viaggio in Oriente e congresso di Ancona (1911-14)
15. Lo scoppio della guerra
16. L’incontro di Lugano (1915)
17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna
18. Nel Paese in guerra (1915-16)
19. Da Zimmerwald a Kienthal
20 La Missione Ford
21. Nel Paese in guerra (1917-18)
22. La Commissione di informazione e di azione internazionale (1918)
23. La Comune di Budapest (1919)
24. I viaggi in Russia e la ricostruzione economica in Russia (1922 e1936)
25. Nell’antifascismo in Italia e in Francia (1922-44)
1. Il personaggio
Nato a Torino il 16 novembre 1865 in una famiglia di pittori (tali furono il padre Paolo Emilio, la
madre Clementina Lomassi, la sorella Bice, il fratello Luigi, il più celebre, vissuto dal 1857 al 1935
e autore di numerosi affreschi132), questa parentela concorse probabilmente allo stereotipo di
“bohemien”. A questa nomea contribuì l'autobiografia di Rinaldo Rigola in cui l’anziano sindacalista
racconta che, eletto deputato nel 1904, non essendovi allora indennità per tale carica "l'on. Morgari
mi impartiva delle lezioni di economia parlamentaristica:..."risparmio i soldi dell'albergo andando a
dormire in treno. Combino il viaggio in modo che tra l'andata e il ritorno ci sia da passare l'intera
notte" approfittando della franchigia ferroviaria che consentiva ai deputati di viaggiare
gratuitamente."Sapevo che Morgari era capace di fare ciò ed altro ma non ero del suo
avviso...non mi sentivo di spingere il mio eroismo a tal punto......non [ero ] tagliato per
l'eccentricità" 133
Più seriamente, c’è sicuramente nella sua vita un lato avventuroso, un certo gusto per la vita
nomade: dal soggiorno in Francia alla fine degli anni '80 alla presenza in Macedonia nel 1903 dove
era accorso in occasione dell'insurrezione al dominio turco, dai due anni trascorsi in Estremo
Oriente (1911-13), ai viaggi durante la guerra mondiale per riallacciare i rapporti tra i socialisti, fino
alla presenza a Budapest durante la “Comune” e ai viaggi in Russia nel 1922 e alla metà degli anni
'30.
Spontaneo il paragone con personaggi del socialismo dell'epoca, come Giacinto Menotti Serrati134
che trascorse una parte importante della sua vita nell'emigrazione come organizzatore dei
lavoratori italiani in Svizzera e negli Stati Uniti, o come il "cittadino del mondo" Edmondo Peluso135
che ha suggerito il sottotitolo. Al di là dell’aspetto pittoresco è importante cogliere lo spessore
umano e politico del personaggio che fu una figura non secondaria di un quarantennio del
socialismo italiano, e nel periodo della guerra anche internazionale, trovandosi sovente al centro
132
A.M.Comanducci “I pittori italiani dell’Ottocento. Dizionario critico e documentario”, Milano,
1992, ad nomen. Era anche genero del pittore Vincenzo Fasano, avendone sposato la figlia Sofia.
133
R.Rigola Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel biellese: autobiografia, Bari, 1930, pag.
172-3. Fu eletto alla Camera la prima volta il 3 giugno 1900 con 3.062 voti nel collegio di Biella, ciò
che gli permise di rientrare dall'esilio francese per l'immunità parlamentare. Il 6 novembre 1904 fu
rieletto al primo scrutinio con 3.838 voti, mentre nel giugno 1906 fu battuto per 3.664 contro i 3.872
voti del candidato liberale.
134
Natta Serrati. Vita e lettere di un rivoluzionario, Roma, 2001; A.Rosada Serrati
nell'emigrazione. 1889-1911”, Roma, 1972; Vedi anche G.Miccichè Vincenzo Vacirca : un
socialista itinerante , Ragusa, 1992
135
D.Gnocchi Odissea rossa. La storia dimenticata di uno dei fondatori del PCI, Torino, 2001
dei più importanti avvenimenti, fino almeno al primo dopoguerra quando verrà superato dai nuovi
eventi e da una nuova generazione.
Nel sistema di valori fondativi del socialismo italiano delle origini, il carattere positivisticosentimentale della sua adesione è comune alla maggior parte della generazione, mentre i suoi
tratti distintivi sono il disinteresse, che lo portò a subire più che a ricercare le cariche direttive, e la
predicazione tra le masse. Nelle cronache delle agitazioni e degli scioperi di tutta Italia, dal 1890 in
poi è raro non trovare il suo nome: quando la situazione si faceva critica e occorreva la presenza di
qualcuno che sapesse parlare alle masse, le sezioni del Partito e le Camere del Lavoro si
rivolgevano a lui..
Nel 1885 durante il servizio di leva, che per la sua conoscenza del disegno andava svolgendo
all'Istituto Geografico Militare di Firenze, ebbe luogo la sua iniziazione politica, che così rievocherà
in uno scritto dei suoi ultimi anni: “nella mia adolescenza per motivi di natura psicologica ed
ereditaria la mia mentalità era come una spugna pronta ad imbeversi di quel qualunque ideale
umanitario che le fosse prospettato dal primo idealista in cui si sarebbe imbattuto; e volle il caso
che questo fosse un mazziniano andato al par di me nella Fortezza di Basso di Firenze, ragion per
cui in tre giorni fui avvinto e mi diedi a quella fede per metà politica e per metà religiosa con quella
stessa ardente passione con cui un giovane vive il suo primo amore” 136
Ma fu trasferito per punizione «quando il Ministero delegò una Commissione disciplinare a
giudicare di un rapporto della polizia, che [lo] denunciava come mazziniano»137 Espatriato dopo il
servizio militare, raggiunse Parigi e in seguito Marsiglia dove dal settembre al dicembre del 1890
diresse il circolo mazziniano. Per usare le sue parole, scritte però a cinquant’anni dagli
avvenimenti e quindi da considerare con cautela: “Quattr'anni erano passati dopo d'allora durante
i quali avevo preso contatto col pensiero socialista traverso scarse ed incomplete battute, cosicchè
poco a poco ero venuto a dubitare che il mazzinianesimo fosse un edificio mancante di alcuni muri
maestri, ma per passare alla convinzione socialista ero impedito da diverse obiezioni suggeritemi
dal buon senso dell'aspetto pratico delle questioni già vivo in me nonostante l'età giovanile.
Respingevo con noia certe obiezioni volgari.....ma certi altri dubbi mi ponevano in imbarazzo: per
esempio mi stringeva il cuore assistendo alla propaganda di tanti sindacalisti e socialisti che alle
masse parlavano soltanto di diritti e mai di doveri...e che si disinteressavano delle sofferenze di
tanti altri lavoratori solo perchè non portavano il berretto dell'operaio di fabbrica....Si poteva temere
che nel nuovo assetto si scatenasse una nuova forma di sfruttamento, quella degli oziosi e dei
cinici sui compagni coscienti e volonterosi.... mi chiedevo se per ottenere un corretto adempimento
dei nuovi obblighi sociali non sarebbe stato necessario un regime di dittatura che avrebbe
trasformato l'Eden promesso in un'immensa caserma...Il socialismo prometteva di costruire una
nuova casa di cui però non presentava il piano limitandosi a magnificarlo con vaghe frasi
messianiche...tutti motivi che mi portavano ad attendere che un uomo o un libro mi dimostrasse
con argomenti irrefutabili che .....non era un'impresa destinata a fallire dopo immensi sacrifici per
l'incapacità morale e tecnica dei suoi imprenditori e per imprevisti difetti d'un meccanismo che
nessuno aveva cura di prevedere....La rivelazione mi raggiunse sotto la forma d'un volumetto
venutomi sotto mano per caso e che lessi d'un fiato in una camera di un albergo di quint'ordine
della vecchia Marsiglia...”L'Anno 2000” di Edoardo Bellamy, uno scrittore totalmente vuoto in fatto
136
Come divenni socialisti "Nuovo Avanti!" di Zurigo, 27.7.1939
137
“Grido del Popolo” 18.10.1913, articolo che tratteggia la sua figura di candidato alle
elezioni politiche
di dottrine..[ma]..nel leggerlo io vidi la società socialista nella sua architettura e nei suoi
ordinamenti e di colpo tutti i miei dubbi sparirono dalla mia mente...e poi fui certo che la società
degli uguali e dei liberi non era un sogno come quello del paradiso dei cristiani, ma un
meccanismo che si poteva concretamente costruire e far funzionare ... Questa verità mi folgorò nel
cervello e mi fasciò di gioia tantochè ad un certo punto della lettura andai alla finestra e gridai: “ho
compreso! ho compreso!” come se volessi informare tutta Marsiglia. Per qualche tempo vissi nello
stato d'animo di un visionario a cui Iddio è apparso in sogno per assegnargli una qualche
missione”138
2 Morgari nel socialismo torinese del decennio 1890-1900
Sullo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese si rinvia al paragrafo della biografia di
Lerda dedicato a questo tema. Nella situazione ivi descritta si inserisce Morgari che, rientrato dalla
Francia, prende parte attiva sulle pagine della Squilla alle discussioni seguite al congresso
socialista di Genova del 1892 . Non proveniva dal socialismo militante, era quasi sconosciuto
all'inizio al punto che il Grido del Popolo ne storpiava il nome, ma apparteneva a quell'area di
repubblicani di recente conversione guardata con una certa diffidenza dai vecchi operaisti e
socialisti per questo motivo.
Così viene descritto quasi cinqunt'anni dopo da un anonimo collaboratore dell'”Avanti!”: “Arrivato
da dove non si sa piovve un giorno a Torino un tale con un pizzetto rossiccio ... trovò lavoro come
contabile presso la cartoleria Simondelli in via Po. ....Erano allora gli impiegati pagati a mesi e
Oddino ebbe l'audacia di chiedere un anticipo sullo stipendio del suo primo mese. Allora si andava
a vedere il padrone con il cappello in mano e l'ordine di costui e il fatto per di più che gli venne
concesso stupirono parecchi di noi della stessa ditta. Parlava un linguaggio nuovo e una sera mi
invitò ad andare alla “Fratellanza operaia” .....non ricordo se a parlare ci fosse Cerutti o Chenal.
Intervenne nel dibattito anche un avvocato che più tardi seppi era Claudio Treves...Passò qualche
anno e il PSI fondò una sezione a Porta Palazzo sorvegliatissima dalla polizia.... Poscia la testa
calda fondò un'altra sezione vicina a Piazza Filiberto frequentata da universitari: Roux, Casalini e
altri. E forse anche persone di dubbia moralità, difatti una sera vedo Oddino pallido e silenzioso.
Più tardi ci spiegherà l'origine del suo malumore. Aveva riscosso quella sera stessa il suo stipendio
e mentre era nella Sezione un biglietto da 100 lire aveva preso il volo dal suo portafoglio. Oddino
non volle denuncìare il fatto alla polizia Ne subirebbe la sezione..La gente direbbe che vi son dei
ladri fra noi che vogliamo riformare il mondo. E poi chi lo ha preso forse ne aveva più bisogno di
me. Così la cosa fu messa a tacere per non danneggiare la sezione” 139
Per la giornata del Primo Maggio 1993 il partito tenne 13 conferenze in città e altre 4 in provincia,
dando così l'immagine di un'organizzazione forte e radicata sul territorio. Il 28 maggio Morgari
tenne un comizio al Teatro Nazionale in appoggio alla proposta di legge del deputato democratico
Pietro Albertoni di abolizione dei dazi sui beni di largo consumo e di una tassazione fortemente
progressiva sulle successioni. A maggio iniziò la propaganda nelle campagne attraverso
conferenze e in giugno i quattro candidati alle amministrative (Morgari, Nofri, Alessi, Goria)
ottenevano 1809 voti che erano anche il risultato della precedente conquista di un'importante
istituzione quale la Cooperativa ferroviaria
138
Come divenni socialista, "Nuovo Avanti!" di Zurigo. 27.7.1939
139
Appuntamento con Oddino Morgari, “Nuovo Avanti!”, 11.5.1940
Nell'agosto del 1893 ad Aigues Mortes in Provenza erano avvenuti dei gravissimi scontri tra gli
operai locali e quelli italiani che accettavano di lavorare nelle saline per salari più bassi, culminati
nel linciaggio di una trentina di immigrati. Alle dimostrazioni antifrancesi appoggiate dal governo, i
socialisti torinesi contrapposero una piccola manifestazione nel corso della quale Morgari fu
arrestato e subì la sua prima condanna: dieci giorni di arresto per violazione dell'art. 434
(disobbedienza all'ordine di scioglimento d'una manifestazione)
Al congresso di Reggio Emilia del settembre 1893 Morgari non fu tra i delegati della sezione
torinese, che inviò Giuseppe Battelli e Claudio Treves
Il 29 ottobre 1894 fu condannato a quattro mesi di detenzione e a 300 lire di multa per un discorso
tenuto durante un banchetto a Romano Canavese. Nel novembre dello stesso anno fu sul banco
degli imputati della pretura di Torino con Treves e Guglielmo Ferrero per un proclama inserito nel
“Grido del Popolo” e venne definito: «uno dei più esaltati caporioni del Partito in Torino» e
condannato a tre mesi di confino a Morgex (Aosta). Per concludere, il 18 febbraio 1897 a Roma,
durante il processo a 120 socialisti, venne condannato ad un'ammenda di 10 lire per aver
protestato contro il decreto di scioglimento della federazione socialista romana.
Dal 1896 la propaganda socialista a Torino trovò nella questione dell' amministrazione cittadina la
leva più potente di agitazione. Di fronte ai problemi delle masse popolari riusciva, con un
«programma minimo», a sostanziare la fede nell'avvenire di solidi motivi immediati: socializzazione
dei servizi pubblici (acqua, gas, telefoni, luce), abolizione dei dazi sui consumi, giornata lavorativa
di otto ore per i dipendenti municipali, facilitazioni alle cooperative, istruzione laica obbligatoria e
gratuita.
Per le elezioni politiche del 1897 venne enunciato un programma più avanzato, propagandando
oltre alla grande rivendicazione democratica del suffragio universale la concezione della "nazione
armata”: “facciamo come in Svizzera”, dice Morgari che non si limita ad illustrare questo
programma attraverso giornali e opuscoli ma insiste sulla necessità della costituzione di circoli,
come strumenti fondamentali di penetrazione.
3. L'elezione nel 1897 e il “Novantotto”
Nel 1897 furono eletti in Italia 15 deputati socialisti, di cui due in collegi torinesi: Quirino Nofri,
ferroviere e cooperativista e Morgari, anche se la sua candidatura fu ostacolata, come traspare da
una lettera a Treves: “Ritengo non sia assolutamente necessario che i rappresentanti del Partito in
Parlamento siano tutti e senza eccezione scelti nella categoria delle macchine da discorsi e da
teoria, ma anche qualche volta, in quella degli uomini da lavoro e di senso pratico, atti non solo ad
illustrare e a demolire, ma anche ad amministrare, organizzare, costruire. Disposto a ritirarmi di
fronte a candidature operaie... non lo sono di fronte alle candidature di chiunque altro ...
Dimostrami che l'interesse del Partito esige il mio ritiro. Se rimango convinto mi ritirerò» 140.
Il 5 maggio 1897 esordì in Parlamento con una interrogazione sulla morte di Romeo Frezzi, legata
140
ACS, Fondo Morgari, cit. da R.Allio, Oddino Morgari socialista “Bollettino storico
bibliografico subalpino” 1970, n.3-4
al tentativo di Pietro Acciarito di uccidere re Umberto I il 21 aprile 1897. La polizia avviò indagini tra
gli anarchici, nel tentativo di dimostrare che l'attentato era frutto di un complotto. Durante le
perquisizioni fu rinvenuta una foto di Accarito nell'abitazione del Frezzi che venne arrestato. In
seguito al durissimo interrogatorio per estorcergli una confessione di complicità muore e l'autopsia
rivela che la causa non è il suicidio, ma l'inaudito pestaggio141
“L'Avanti!” conduce una dura battaglia per far emergere la verità e promuove la sottoscrizione per
una lapide e per la vedova, venendo naturalmente accusato di complicità morale con l'attentato.
Per alcuni giorni in via delle Murate, sede del giornale, i socialisti si scontrano con gli agenti che
arrestano l'amministratore Mongini, il proto, gli strilloni: Oddino Morgari e Leonida Bissolati,
essendo coperti dall'immunità parlamentare, s'improvvisano strilloni, mentre il governo emana una
circolare che autorizza il sequestro di stampa preventivo e sommario e dichiara inviolabile il
comportamento della polizia, in polemica con la stessa autorità giudiziario che aveva spiccato il
mandato di comparizione per il questore.
I funerali, il 9 maggio, sono una grande manifestazione contro la monarchia e il 22 agosto parte da
Campo de' Fiori un corteo di 15000 persone contro gli assassini "morali e materiali" del Frezzi. In
un primo momento il governo aveva proibito le dimostrazioni, ma i funerali erano riusciti imponenti,
Tafferugli con la forza pubblica al Verano, e al Gianicolo discorsi contro il governo. Il 25 grande
comizio commemorativo dei repubblicani in Campo dei Fiori, con bandiere rosse e rossonere
Intervenne più volte in favore degli operai delle manifatture tabacchi; difese i dipendenti del
Ministero della Guerra che chiedevano le 10 ore. Chiese, associandosi alla campagna promossa
dai partiti dell'Estrema, il trasferimento di fondi dai bilanci dei dicasteri «non produttivi», quali
l'esercito e la marina militare, a quelli dell'agricoltura e dell'industria. Fece parte della prima
redazione dell'«Avanti!» e ne fu amministratore; ma nel gennaio del 1898 rinunciò a quest'incarico
per dedicarsi maggiormente all'opera di propaganda e motivò così le sue dimissioni: "non sono
all'altezza; o dirò meglio alla bassezza di un incarico che esige spirito inquisitoriale, severità,
misure di rigore. Negli impiegati e nei dipendenti di ogni fatta vedo dei compagni con cui l'estrema
familiarità delle relazioni toglie la possibilità del tiranneggiare. Vedo degli uomini e dietro ogni loro
pena le cause ereditarie di nutrizione, di nervi, di bisogno e di passione che quella deficienza
producono e ciò mi disarma. Non sono tagliato per comandare»142
Nel 1998 il tribunale di Biella lo condannò a tre mesi e 26 giorni e ad una multa di 100 lire per
eccitamento all'odio fra le classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza
elettorale a Cossato nel 1897, in appoggio alla candidatura di Dino Rondani, anche lui eletto
deputato in quella legislatura.
Nell'aprile del 1898 fu presente con Andrea Costa e Camillo Prampolini allo sciopero di Molinella e
presentò diverse interrogazioni sulle cause che avevano portato allo scioglimento della cooperativa
locale. Pochi giorni dopo partì con Rondani per Palermo, per sostenere la locale sezione nella lotta
141
Il primo comunicato della questura dice che è morto per suicidio, picchiando la testa contro
il muro: ma il cadavere è fuori dalla cella. Secondo comunicato: è morto per aneurisma. Il pretore
ordina la perizia, esce un terzo comunicato: suicidio, è saltato giú da un ballatoio alto sei metri. Alla
Camera gli esponenti dell'estrema chiedono chiarezza, Cavallotti porta i risultati di un'indagine in
un appassionato intervento, ma Di Rudinì si assume personalmente la responsabilità di fermare
ogni indagine per scongiurare pericoli di sovversione.
142
R.Allio, Oddino Morgari cit.
contro la mafia crispina della zona.
A Torino si ebbe inizialmente scarsa eco dello scoppio dei moti del maggio 1898, tanto che
Morgari, Nofri e Treves firmarono un manifesto della sezione in cui si lamentava «la lotta micidiale
di Milano, che si combatte senza un chiaro obiettivo» e si invitavano i socialisti ad astenersi da
ogni dimostrazione, a mantenere fede alla tattica evoluzionistica del partito, al gradualismo «che
solo potrà portare il proletariato alla conquista del potere politico" . Il 9 maggio il generale Bava
Beccaris, comandante della piazza militare di Milano, che per la proclamazione dello stato
d'assedio aveva ricevuto dal capo del governo Rudinì i pieni poteri, fece trattenere Turati e
Bissolati, presentatisi in questura per protestare contro l'espulsione della Kuliscioff, "essendovi
evidente flagranza reato incitazione rivolta per parte entrambi", fece arrestare Andrea Costa e
diede analoghe disposizioni per Morgari e il deputato socialista di Carpi Alfredo Bertesi.143
Lo stesso giorno partì per Milano ma non riuscì a trovare contatti, essendo tutti incarcerati o
fuggiti; partì allora per Lugano per avere notizie più precise dai compagni là riparati. In questo
viaggio l'autorità di P.S. volle vedere un legame con la tentata invasione di bande armate dalla
Svizzera144.
143
M.Pecoraro ”Alfredo Bertesi: la figura e l'opera”, Modena , 1995
144
Morgari scrisse la prefazione al libro di Francesco Berutti “Le bande svizzere: episodio
tipico dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Così Umberto Levra smonta la leggenda in “Il colpo
di stato della borghesia", Milano, 1975: “poco più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro
e, grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza bagagli in treno alla volta del
Sempione. Prima del confine intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario
morto, arrestano gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li
ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale,
dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta
fino a Chiasso dove li consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran
parte dell'opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni liberali
elvetiche … AI Sempione poche decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero,
disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il
confine a piccoli gruppi … Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza
incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla
fatica… Gli arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della
provincia di Novara e, in subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono
immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di
Domodossola, il quale si preoccupa, da un Iato, di "legittimare completamente l'operato della
truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far risaltare con evidenza Ia connessione fra i
fatti criminosi di Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo, la
rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato, il saccheggio, la
distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli
arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere
alla competenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto
per il proseguimento dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di Milano, incurante
delle testimonianze oculari di uomini d'ordine elvetici e italiani, si atterrà alla versione delle bande
armate, coinvolgendovi anche il Rondani e il Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e
repubblicani rifugiati a Lugano
Gli arresti avvengono sulla base di elenchi predisposti dalle questure, quasi mai in flagranza di
reato e per lo più senza prove e capi d'accusa, alla ricerca dei quali si procede al momento del
processo.
Il commissario straordinario di Milano propose l'arresto fuori della sua giurisdizione anche di
Rondani, bestia nera degli industriali biellesi perché animatore delle lotte operaie della Valsessera
e di Nofri, organizzatore dei ferrovieri, Si scatena dunque la caccia benchè fosse prescritta la
flagranza di reato per l'arresto di membri del parlamento.
Rondani è già riuscito a espatriare. Meno fortunati furono Nofri e Morgari. Il primo, dopo essere
stato sorvegliato, è fermato a Torino la sera del 12. Morgari il 14 maggio è arrestato a Roma
“essendo risultato essersi egli trovato Milano nel giorno nove quando avvennero tumulti Monforte,
parendomi inoltre esistere flagranza a termini del capoverso articolo 33 codice penale essendo
stato trovato deputato denaro giornale sovversivo "Avanti" e così in possesso oggetti che lo fanno
presumere coautore in reato di istigazione.”
A fabbricare le prove provvide la questura di Milano, con due voluminosi rapporti all'avvocato
fiscale militare. Preoccupazione primaria del questore è di ribadire il carattere insurrezionale dei
tumulti, l'ideologia rivoluzionaria dei partiti socialista e repubblicano e degli anarchici, la
responsabilità determinante di trentadue capi socialisti, repubblicani, anarchici che coincidono con
gran parte del gruppo dirigente nazionale e locale dei tre movimenti politici.
Contro Morgari non esisteva che l'accusa di essere per Torino “quasi quello che Turati era in
Milano” cioè un abile organizzatore e propagandista. Il processo presso il Tribunale militare si
concluse il 12 agosto con l'assoluzione di Morgari e la condanna di Turati e del deputato
repubblicano De Andreis a 12 anni (ma furono liberati l'anno successivo)
4. L'ostruzionismo
Caduto il governo Rudinì gli succedette Pelloux, che si mosse sulla stessa linea, anche se con una
maggioranza parlamentare inizialmente allargata ai liberali zanardelliani e giolittiani. In materia di
ordine pubblico era stato approntato un decreto che dava all'autorità di pubblica sicurezza la
facoltà di "vietare, per ragioni di ordine pubblico, gli assembramenti e le riunioni politiche"; vietava
di portare ed esporre in pubblico "insegne, stendardi o emblemi sediziosi"; dava facoltà al ministro
dell'interno di sciogliere le “associazioni dirette a sovvertire, per vie di fatto, gli ordinamenti sociali o
la costituzione dello stato"; vietava la sciopero degli "impiegati, agenti ed operai addetti alle
ferrovie, alle poste, ai telegrafi, alla illuminazione pubblica"; aggravava le disposizioni penali in
materia di reati di stampa estendendo la responsabilità di eventuali pubblicazioni incriminate anche
agli "autori e cooperatori" delle pubblicazioni stesse, oltre che al gerente del giornale. Si trattava di
un testo assai lesivo della libertà e pericoloso, poiché poteva essere il punto di partenza di ulteriori
disposizioni repressive.
L'11 giugno 1899 nelle elezioni per il rinnovo parziale del consiglio comunale di Milano la
coalizione dei radicali, repubblicani e socialisti ottenne 19.000 voti contro 15.000 andati alla
coalizione clerico-moderata e il radicale Mussi, padre del giovane ucciso durante la manifestazione
dell'anno precedente che era stata la scintilla dei moti milanesi, divenne sindaco di Milano. A
Torino, a Firenze e in altre città, furono ottenuti dai socialisti altri successi, indicativi del nuovo
orientamento dello spirito pubblico, oltre che della forte ripresa delle organizzazioni operaie.
Per il governo Pelloux, l’esito delle elezioni rappresentava un campanello d'allarme; nonostante ciò
decise di far passare il decreto in seconda lettura alla Camera. L'incauta mossa ebbe come effetto
non solo di esasperare la volontà ostruzionistica dell'estrema sinistra, ma di far passare
all'opposizione la sinistra liberale di Giolitti e Zanardelli, che fino a quel momento si era
preoccupata di tenere le distanze dall'azione dell'estrema, suscitando perplessità e riserve persino
in alcuni ambienti conservatori settentrionali, se non altro per ragioni di opportunità politica quando
non per scrupoli legalitari.
L’ostruzionismo, già ipotizzato dai socialisti da mesi, annunciato alla Camera e parzialmente
applicato alla ripresa dei lavori, si esplicò, formalmente sempre nei limiti del regolamento
dell'assemblea, con la presentazione di emendamenti, con continue richieste di verifica
dell'esistenza del numero legale, con discorsi fatti al solo scopo di protrarre la discussione a tempo
indeterminato e che appaiono una giostra di trovate, come a esempio la pseudo arringa dell'afono
Bertesi, le disquisizioni di Morgari fatte con voce lentissima, sillabando le parole, i discorsi di
quattro, cinque ore di Ferri e Pantano, le provocazioni alla maggioranza per suscitare incidenti e la
conseguente sospensione della seduta. L'ostruzionismo, cui non partecipò la sinistra liberale, rese
assai agitata l'atmosfera dell'assemblea ed innervosì la maggioranza governativa, non abituata a
quel metodo di lotta nuovo per il parlamento italiano
La seduta della Camera del 30 giugno 1899 all'ordine del giorno ha le modifiche al suo
regolamento e la conversione in legge del decreto 22 giugno 1899. Terminato il primo appello
sorge Prampolini a chiederne un secondo per l'approvazione del verbale, forte del regolamento
della camera. Il presidente arbitrariamente rifiuta e mette ai voti il verbale per alzata e seduta, tra le
proteste e le grida dell'Estrema, in un clima che diviene subito arroventato.
Quando il presidente della Camera fece preparare le urne per una votazione a scrutinio segreto vi
fu uno scontro tra Bissolati e Sonnino, che vennero alle mani, mentre Prampolini Morgari e De
Felice si impadronirono delle urne e le rovesciarono disperdendo le schede dei deputati che già
avevano votato.
Nel tumulto generale il presidente dichiarò allora sciolta la seduta e poco dopo fu annunciata la
chiusura della sessione145. La ripresa dei lavori fu stabilita per il 14 novembre.
Il giorno dopo il presidente, i vicepresidenti e i segretari della camera si riunirono per decidere quali
sanzioni adottare contro i responsabili della rottura delle urne, ma l’avvenuta chiusura della
sessione, avendo fatto decadere l’intero ufficio di presidenza, li pose nella condizione di non poter
deliberare alcun provvedimento. A questo punto intervenne la magistratura a promuovere d’ufficio,
contro Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini un’azione penale per avere impedito alla Camera
l’esercizio di una delle sue funzioni. All’intervento del potere giudiziario non erano estranee le
pressioni dell’esecutivo, che sperava così di colpire l’ostruzionismo e i suoi più battaglieri
esponenti.
145
La stessa validità giuridica del decreto del 22 giugno era in questione: la Corte dei conti
l'aveva registrato con riserva in quanto ledente l'assoluta competenza del potere legislativo,
mentre sulla sua legittimità era stata chiamata a pronunciarsi in maniera definitiva, la prima
sezione penale della Cassazione di Roma che il 20 febbraio 1900 emise una sentenza che
dichiarava l'illegittimità del decreto non essendo stato approvato
La sentenza di rinvio a giudizio della corte d'appello di Roma, le requisitorie del P.M. e del
procuratore generale, l'ordinanza della camera di consiglio del tribunale sono concordi - dinanzi
agli imputati che sostengono di essere stati costretti a difendere con la forza i diritti della
minoranza dalla violenza esercitata dal presidente dell'assemblea asservito alla maggioranza e
che dichiarano perciò non solo di non aver commesso il reato a loro attribuito, ma di aver compiuto
lo stretto dovere di deputati - nell'affermare il principio che, essendo "sovrana la maggioranza nelle
nostre istituzioni costituzionali, non si saprebbe capire come possa la sua deliberazione qualificarsi
violenza e tale da consentire una reazione fuori le linee della legalità con vie di fatto costituenti
delitto." A giustificazione poi della procedura contro quattro deputati senza tener conto delle
immunità parlamentari, la magistratura si appella al tipo di reato che appartiene ai delitti contro i
poteri dello stato ed è quindi "evidentemente d'azione pubblica", mentre lo Statuto garantisce ai
membri del parlamento di non essere arrestati soltanto nel periodo di apertura della sessione
parlamentare.
La risposta di Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini all'intervento dei giudici romani è
politicamente abile: pur ribadendo che la magistratura non ha alcun diritto di giudicare il modo in
cui si svolgono le discussioni parlamentari, essi dichiarano di astenersi dal sollevare eccezioni
sulla legittimità e regolarità dell'azione giudiziaria, perché a tutti "importa per ragioni politiche che il
processo abbia corso colla maggiore possibile sollecitudine," per trasformare l'azione giudiziaria in
un processo politico.
Perciò non soltanto confermano, durante gli interrogatori, i fatti
attribuiti loro dall'accusa, ma addirittura si spingono fino all'autodenuncia allo scopo di allargare
sempre più le dimensioni del processo politico contro il governo146. A questo punto però il governo,
dopo aver tentato di servirsi della magistratura per colpire gli ostruzionisti, è costretto a
retrocedere, per evitare di divenire, dinanzi al paese, da accusatore accusato.
L'inizio del processo presso la corte d'assise di Roma è già stato fissato dal presidente il 30
ottobre, gli imputati sono già in carcere, quando la vigilia un decreto reale annuncia per il 14
novembre l'apertura della terza sessione della ventesima legislatura e, col restituire loro l'immunità
parlamentare, rimette in libertà i quattro deputati socialisti evitando nello stesso tempo il processo.
Prima della chiusura della sessione parlamentare la Camera approva il 9 luglio le conclusioni della
commissione incaricata di riferire sull'autorizzazione a procedere contro i deputati Turati, De
Andreis, Bissolati, Andrea Costa, Morgari, Bertesi, Rondani, Pescetti per eccitamento alla guerra
civile, istigazione e associazione a delinquere. Facendo proprie le argomentazioni dell'avvocato
fiscale del Tribunale Militare di Milano e le conclusioni della commissione parlamentare viene data
via libera all'apertura di un procedimento penale contro Turati, il repubblicano De Andreis, Morgari
e il socialista toscano Pescetti.
Mentre a Montecitorio si svolgevano queste vicende il paese rimaneva tranquillo: nessuna
saldatura si operò fra l'azione ostruzionistica dell'Estrema e i movimenti popolari, sia per il senso di
stanchezza e frustrazione lasciato dall'esperienza del maggio precedente, sia per il rapido
processo di normalizzazione seguito alle misure repressive: molte associazioni disciolte avevano
potuto ricostituirsi e la maggior parte dei giornali sospesi riprendere le pubblicazioni; già nel
dicembre i condannati con pene inferiori a due anni avevano riacquistato la libertà grazie a un
146
ACS, Fondo Morgari, b. 2, fasc. 2, sottofasc. 6; AGB, fasc. Processo Bissolati - Prampolini
- Morgari - De Felice (atti istruttori, testimonianze raccolte dal giudice istruttore, carteggi degli
avvocati difensori);
indulto e infine proprio nel giugno 1899 un secondo provvedimento di clemenza restituì la libertà
anche ai rimanenti. Ma più importanti ancora erano gli effetti della fase economica ascendente che
stava ormai consolidandosi i cui benefici cominciavano a filtrare vedo il basso.
5. L'attività all’inizio del Novecento (1900-1905)
Dopo la fase di repressione del biennio '98-'99, con il nuovo secolo si aprì un'epoca di riforme (pur
con una dura gestione dell'ordine pubblico che degenerò in frequenti eccidi di dimostranti) e di
graduale inserimento del socialismo nella compagine nazionale, che durò con fasi alterne per un
quindicennio, fino allo scoppio della guerra mondiale.
Al governo presieduto da Zanardelli, con un programma di riforme liberali, per la prima volta nella
loro storia i socialisti concessero il voto. Nonostante questo appoggio esterno, a seguito della
campagna di stampa promossa nel 1903 da Ferri contro il ministro della Marina ammiraglio
Bettolo, Morgari con il deputato liberale Franchetti propose un’inchiesta parlamentare che di fronte
alla gravità delle accuse, facesse piena luce sui rapporti della Marina con le ditte fornitrici, in
particolare la società Terni.
La Camera respinse la proposta con una maggioranza però piuttosto esigua (188 voti contro 149)
in quanto numerosi deputati di destra avevano fatto confluire i loro voti con quelli dell’Estrema.
Giolitti si dimise il giorno successivo al voto, in modo da non venir coinvolto nel declino
zanardelliano, e il governo sopravvisse pochi mesi con un semplice rimpasto.
La sua attività politica non si esauriva in quella parlamentare: durante lo sciopero dei portuali di
Marsiglia del 1990, andato ad incoraggiare alla lotta i lavoratori italiani, venne espulso come
perturbatore dell'ordine ed accusato da alcuni giornali italiani di essere pagato dai commercianti
liguri, interessati ad attrarre a sé il traffico del porto francese. A seguito del viaggio del re in Russia
nel giugno 1903, venne annunciato alla Camera che lo zar avrebbe restituito la visita; egli dichiarò
che "qualunque grido di acclamazione sarebbe stato un plauso allo knut"147 e che sarebbe stato
accolto dai fischi dei sociaIisti. I riformisti ironizzarono sulla "politica del fischio"148 e i paventati
fischi fornirono il pretesto per rinviare una visita sgradita al governo di Vienna.
Sempre nel 1903, durante l'insurrezione in Macedonia, si recò sul posto e inviò all'Avanti! una serie
di articoli.
Nel 1903 Zanardelli si dimise e subentrò Giolitti, cui il Partito Socialista, a differenza di quanto fatto
nei confronti del governo precedente, negò la fiducia. PersonaImente Morgari, che denunciò
sempre i brogli elettorali di Giolitti, riteneva tuttavia che per l'immediato futuro soltanto un governo
giolittiano avrebbe potuto procedere sulla via delle riforme e in quell'occasione egli scrisse: “Ora
che Ella definitivamente non è più ministro... delle elezioni. tra l'altro. posso dirigerle questo saluto
senza che Ella dubiti della mia sincerità... lo sono e sarò sempre socialista ma il progresso va per
147
“Annuario Parlamentare” 1902-5 vol. ix, pag. 891-23. Da allora Morgari fu un punto di
riferimento per l'emigrazione russa in Italia, anche per l'elargizione di piccoli sussidi, fin oltre la
rivoluzione d'ottobre, dopo la quale tutelò anche socialisti che non aderivano al nuovo regime, cfr.
A.Venturi Rivoluzionari russi in Italia, 1917-1921, Milano, 1979, e A.Tamborra “Esuli russi in Italia
dal 1905 al 1917”, Soveria M., 1977 e 2002
148
“Critica sociale” 1903, n.18-19
gradi, ed Ella è tale uomo da personificare i! progresso per un periodo di I0 o di 20 anni. Poi Ella
sarà sorpassato se non camminerà con esso, ma vi è tempo di parlarne".149
Negli anni successivi Morgari fu presente a molte delle agitazioni che scoppiarono in tutta Italia:
nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale; in maggio
fu nel vercellese a sostenere le rivendicazioni delle mondariso; fu presente allo sciopero dei
contadini di Magliano Sabino e a quello dei minatori di Capoliveri.
Nel settembre del 1904 in un grande comizio a Milano, dopo la strage dei minatori di Buggerru
(Sardegna), fu lanciata la parola d’ordine dello sciopero generale nazionale; riunitosi il 14 a Roma
il Comitato Esecutivo del PSI, composto da Ferri, Lerda e Morgari, ai quali si aggiunsero il
segretario amministrativo Mongini, Varazzani per il GPS e Cabrini per il Segretariato della
resistenza (embrione della CgdL). decise in un primo momento di respingere la richiesta di
sciopero generale, che fu comunque proclamato perchè a causa di un altro eccidio il movimento
spontaneo divenne incontenibile.
6. Il propagandista Morgari e il ciarlatano Frizzi
Il 1. febbraio 1900 fondò il quindicinale "Sempre Avanti!, periodico per gli umili e i pratici", in cui
riprende i moduli della sua arte propagandistica già collaudata. Alla diffusione dei principi e degli
obiettivi cui sono dedicate le prime due facciate sotto il titolo “La pagina degli umili”, aggiunge “La
pagina dei pratici”, con la quale si propone di dare maggior mordente alla propaganda trattando gli
argomenti dell’organizzazione e gestione cooperativa, dell’amministrazione comunale, della
condotta pratica degli scioperi. Interessante è la rubrica “Se fossi deputato, cosa farei?” che
pubblica le risposte dei lettori.
Morgari rivela una grande capacità di volgarizzatore, teorizzando così il suo metodo di
predicazione: ”Per attrarre le masse lavoratrici è necessario convincerle e per convincerle
occorrerà parlare in maniera da essere compresi. Bisogna ridurre ai termini minimi il bagaglio delle
idee, renderle semplici, riferirsi a dei fatti conosciuti, partire dal noto per giungere all’ignoto, servirsi
di parabole e fare impiego di una lingua che altro non sia che dialetto tradotto, insomma
discendere fino al basso livello culturale delle masse lavoratrici, prenderle per mano e
riaccompagnarle adagio adagio all’insù”150 e a chi lo accusava di cadere nel semplicismo,
rispondeva: «Bisogna dividere il lavoro. Occorrono discorsi, giornali e opuscoli per le classi colte,
discorsi, giornali e opuscoli per le non istruite». A queste ultime egli rivolse specialmente la sua
opera.
Essa fa appello agli stessi sentimenti elementari e profondi dell’operaio, al suo spirito di giustizia e
fratellanza, convincendolo che soffre non perché i padroni siano cattivi ma perchè il sistema
sociale è ingiusto. Nel povero è racchiusa la figura ideale del sofferente e dell’oppresso,
accomunando il muratore e il contadino, il mendicante e la ragazza di filanda. Ad essi si rivolge
badando non solo a cementarne l’unione ma a liberarli dai pregiudizi antisocialisti radicati negli
strati popolari: rompendo con la tradizione dei primi fogli operai, l'atteggiamento verso la religione,
la patria, le istituzioni è rispettoso: “Il socialismo non vuole distruggere né la famiglia, né la
religione, né la proprietà, né la libertà. Vuole procedere con mezzi pacifici, a grado a grado…i
149
“Carteggio Giolitti”, Milano, 1962, 2. vol.
150
“Sempre Avanti!”, 1.2.1900
socialisti non vogliono spartire: mettono insieme: tutti procedono come soci». La descrizione
avveniristica di una società di eguali è l'espressione di una fiducia positiva nell'evolversi
dell'umanità verso un mondo di giustizia.
La tecnica della propaganda ha una suggestiva presa sentimentale e insieme regole fisse,
elementari. Procede a base di dialoghi, apologhi, vignette, con una didascalica convincente e
meticolosa che non ignora i richiami letterari, alla Zola, di una descrizione veristica.
Nel 1896 aveva scritto “L'arte della propaganda socialista”, pubblicata a puntate e poi raccolta in
un opuscolo che ebbe vasta diffusione e fu più volte ristampato151. E' un testo didascalico,
interessante oggi solo in quanto rivelatore della ideologia socialista "media" del tempo: come testi
per la formazione del propagandista “colto” indicava "un riassunto delle teorie di Darwin e
Spencer...Marx completerà la fondamentale triade col celeberrimo e indispensabile suo Capitale, il
vangelo dei socialisti contemporanei", a cui aggiunge il "Socialisme integral" di Benoit Malon,
“Socialismo e scienza positiva” di Enrico Ferri, Schaffle “La quintessenza del socialismo”, Bellamy
"L'anno 2000", mentre agli operai consigliava la lettura dei giornali di partito.
L'andata al popolo, l'origine piccolo-borghese dei quadri, è proclamata così: “Sono ben spesso i
migliori, codesti disertori della loro classe. Avrebbero tornaconto a mantenere il presente assetto
sociale, sì mite per loro e lo combattono. Essi nel partito sono i più disinteressati. Il partito fu
fondato dai disertori della classe abbiente e quasi ovunque è diretto da essi”
Sempre nel 1896 fondò il periodico “La parola del povero. Foglio di propaganda popolare”,
supplemento quindicinale del "Grido del popolo" che si pubblicava con il motto “Lavoratori voi non
siete piccini se non perchè state in ginocchio: alzatevi". Presentandolo scrive: ”È la parola che
viene dalla risaia dove bruciano al sole fanciulle decenni e vecchi falciatori; è la parola che esce
dalle fabbriche dove si consuma tanto fiore di giovinezza: è la parola che sale dalla perpetua notte
delle miniere e dalle zolfatare, sepolcri di vivi: è la parola che viene dalle soffitte fredde e dai
bugigattoli marci, dove si pigiano tutte le miserie. Conteneva l'interessante rubrica "Prime notizie
dalla città futura" e nell'ultima pagina la pubblicità dell'Alleanza cooperativa torinese. Ebbe una
notevole diffusione di massa tirando nei primi 23 numeri complessivamente più di 300.000 copie.
Sul “Sempre Avanti!” nel 1902 aveva pubblicato in appendice l’autobiografia di Arturo Frizzi,
singolare personaggio di venditore ambulante convertitosi al socialismo152, che mise al servizio del
partito la sua “arte” di oratore popolare. Questo scritto aveva anche lo scopo di mettere “in luce
che il merito della mia riabilitazione la devo alla fede socialista che sempre mi sarà costante
compagna nella lotta per l’esistenza". Per il genere di vita che conduceva, la sua richiesta di
iscrizione non venne subito accettata e Bissolati, cui si era rivolto, gli rispose “sii buono, pazienta
ancora, sta un po’ sotto aceto, poi in seguito rifarai la domanda, e se ti comporterai bene, come ho
fiducia, sarai soddisfatto. Non dubiti, caro Leonida – io replicai- che farò meno male di quanto mi
sarà possibile per rendermi degno di voi socialisti, veri apostoli di Cristo153...Voi soli meritate tutto il
151
Ora in appendice a R.Pisano “Il paradiso socialista. La propaganda socialista in Italia alla
fine dell'800”, Milano, 1986. F.Andreucci “Il marxismo collettivo: Socialismo, marxismo e
circolazione delle idee dalla seconda alla terza Internazionale”, Milano, 1986; G.Turi “Editoria e
cultura socialista (1890-1910)”, in “A. F. Formiggini. Un editore del '900”, Bologna, 1981
152
153
“Arturo Frizzi, vita e opere di un ciarlatano” a c. di A.Bergonzoni, Milano, 1979
A. Nesti “Gesù socialista. Una tradizione popolare italiana.(1880-1920)” Torino, 1974
rispetto perchè disinteressatamente sostenete le ragioni degli umili, degli offesi, degli sfruttati. Tre
anni dopo fui accettato nel Circolo di Cremona, poi per maggior comodità, causa la mia posizione
di ambulante mi iscrissi alla Sezione Centrale dove pagavo le mie quote”.
Per un atto di rispetto verso i compagni aveva ritenuto doveroso abbandonare Rosina, la donna
che amava ma che non era sua moglie, come di frequente succedeva nel mondo degli imbonitori.
Questo gesto fu apprezzato come espressione della volontà di riabilitazione ma Morgari nella nota
di commento allo scritto volle sottolineare di non considerare “come fallo” l’incontro con questa
donna: “... noi rivendichiamo altamente ad ogni essere umano, come massimo bene, il diritto alla
libertà dell’amore ....che prorompe fin d’ora – rivoluzionariamente – nei casi come quello narrato
dall’autore, ma che avrà pratica e generale sanzione soltanto in una società socialista, allorchè
l’uomo e la donna, posti su uno stesso piede d’eguaglianza economica, più non si vincoleranno
che per amore, sciogliendosi quando l’amore non c’è più, senza danno materiale per alcuna delle
parti, e nemmeno pei figli”
Frizzi partecipò alla vita di partito sia come propagandista che come candidato in prima persona e
collaborando alla stampa socialista come diffusore ed anche inviando corrispondenze a vari fogli:
"La nuova terra", "Il popolo" di Trento diretto da Cesare Battisti, ecc. Intervenne al congresso di
Bologna del 1904 dichiarando "di essere venuto con simpatie riformiste ma di essere diventato
intransigente dopo il discorso di Lazzari " 154. Si dimise nel 1912.
Ripubblicata col titolo “Il ciarlatano” e con la prefazione del direttore della “Giustizia” Giovanni
Zibordi nel 1912, la biografia conteneva una dedica a Oddino Morgari “cui devo l’essere diventato
un socialista, pratico e nemico della violenza, da qualunque parte venga. Lo chiamo con orgoglio
mio padre, sebbene di due anni più giovane, perchè per me egli fu tale come per molti, che dalla
sua parola appresero la vera natura del socialismo”
7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)
Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000, superando quelli della
Lombardia. Nel capoluogo raccolsero 5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI. In
una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al 29% della
popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali l'alleanza con la piccola borghesia
impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre città non aveva una formazione
democratica che la rappresentasse (in provincia di Torino contro i 48.000 voti costituzionali e
14.000 socialisti si hanno appena 3.000 voti radicali) ma votava direttamente per i candidati
socialisti.
Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati nelle elezioni. Nofri e Morgari erano
dirigenti di quelle associazioni mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto, fungevano da
tramite fra gli interessi economici della classe operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L'equilibrio era
destinato a rompersi con i primi anni del '900 quando la nascita della grande industria avrebbe
dilatato la massa operaia.
Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con la celebrazione del 7. Congresso regionale,
tenuto ad Alessandria il 6 gennaio in cui il neo-sindaco della città Paolo Sacco, relatore sulla
tattica, propose l'alleanza tra i partiti popolari come elemento permanente della politica socialista,
154
F.Pedone “Il Partito socialista nei suoi congressi”, vol.2., Milano, 1961
incontrando resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era accompagnato alla chiusura
ad alleanze per mancanza di partners.
Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e
Morgari), 17 consiglieri comunali e 3 provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta
politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce
di altri nove consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e accademica.
A dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non bastò la mobilitazione compatta per
quasi due mesi e la solidarietà di altri lavoratori per aver la meglio sull'intransigenza degli
industriali; lo sciopero sostanzialmente fallì, senza che l'organizzazione delle leghe di mestiere si
sfaldasse: tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902, la Camera del lavoro conta 6500 operai
organizzati, numero comunque modesto in rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se
confrontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di partito vivono con apprensione
questa vigilia della prima grande battaglia dei lavoratori torinesi: è in gioco, a livello locale, la
credibilità della linea strategica riformatrice e legalitaria che il PSI ha confermato con il voto di
fiducia espresso nel febbraio 1901 al governo Zanardelli.
L'occasione sembrò giungere agli inizi di febbraio del 1902, quando gli operai gasisti delle due
Società esercenti in città scendono in sciopero. L'agitazione è seguita dai dirigenti sindacali: nel
salone dell’AGO dove i gasisti si sono riuniti per decidere lo sciopero sono presenti oltre al
segretario della Lega, il consulente legale dei gasisti, il rappresentante della CdL e quello della
Federazione nazionale, che si dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei successi
ottenuti dalla categoria in altre città italiane. Scontata è l'intransigenza delle due società produttrici
che hanno già dimostrato, non rispondendo al memoriale, di non voler trattare. Ma un elemento
nuovo e non previsto rende problematica una favorevole risoluzione della vertenza: le autorità
cittadine e governative intervengono nel conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria operaia. Il
giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione operaia e invia la truppa, affinché presìdi i
gasometri e contribuisca al funzionamento dei forni. Il sindaco respinge la proposta operaia di
continuare a prestare servizio di accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli
spazzini comunali.
Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui denuncia l'operato del prefetto e fa
presente che ad Alessandria, in un'analoga situazione, non vi era stato l'invio della truppa e, anche
a Genova, dove inizialmente erano stati mandati dei soldati, questi erano stati subito ritirati.
È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di Morgari, che dice fra l'altro: “Questo
non si chiama garantire la pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro.
Chiedo che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la sua immediata intromissione per
risolvere la vertenza”.
Anche i consiglieri comunali socialisti, nella seduta del 12 febbraio, protestarono vivamente contro
il comportamento del sindaco facendo presente che le società, legate da una convenzione con il
comune, sono da considerarsi inadempienti avendo rifiutato di prendere in considerazione le
richieste operaie. Nel frattempo le due società hanno invitato, pena il licenziamento, le maestranze
a presentarsi al lavoro. L'appello cadde nel vuoto, ma ormai la situazione è compromessa
L'intervento dei soldati e il reclutamento di crumiri ha riportato la normalità nel servizio
d'illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della commissione degli operai gasisti che la soluzione
della vertenza fosse demandata a un collegio arbitrale fu rifiutata, facendo giungere al culmine
l'indignazione della massa operaia torinese.
Nella notte del 20-21 sono diffusi manifestini inneggianti allo sciopero generale, nella mattina del
21 vi sono alcune astensioni spontaneamente dal lavoro, nel pomeriggio il numero degli
scioperanti aumenta. Un gruppo di dimostranti è caricato dalla truppa e si effettuano alcuni arresti,
alle 17 parlano alla folla Actis, Casalini e Morgari, che è il più deciso nell' invitare allo sciopero
generale cittadino
In serata, la commissione esecutiva della CdL redige un manifesto, in cui prende atto della nuova
situazione Non tumulti, non violenze; la classe operaia dimostra la sua forza semplicemente con
l'astensione dal lavoro. Essa non ritornerà alle officine se non quando gli operai gasisti avranno
ottenuto soddisfazione. I giorni seguenti sono caratterizzati da scontri tra dimostranti e forze
dell'ordine, ai quali fanno seguito arresti. Allo sciopero non hanno aderito tutti i lavoratori, ma
alcune avanguardie sono decise a continuare la lotta. Per cinque giorni, 10.600 operai e 5.000
operaie si astengono dal lavoro e sfilano per le vie cittadine, anche se il prefetto ha proibito ogni
pubblica manifestazione.
Fu ancora Morgari nel pomeriggio del 22 febbraio a parlare alla folla invitandola a continuare la
lotta, dopo che nella mattinata aveva guidato un corteo di protesta sotto il municipio . Nel frattempo
il sindaco convince le due società ad accettare l'arbitrato, ma solo previa accettazione del
principio dell'illicenziabilità dei crumiri, ciò che rappresenta per i gasisti una resa senza condizioni.
Nonostante ciò, la CdL e la dirigenza socialista rivolgono un appello ai lavoratori affinchè
riprendano il lavoro, in quanto con il loro sciopero avrebbero già vinto una grande battaglia. Anche
Morgari, fino all'ultimo deciso sostenitore della lotta, firma il manifesto. In seno alla dirigenza
socialista del partito e della CdL è ancora una volta prevalsa la moderazione.
Il 27 febbraio in un'adunanza all'A.G.O. Morgari cercò di spiegare il suo atteggiamento e il perché
del manifesto che invitava al ritorno al lavoro, ma venne apostrofato violentemente da un
anarchico che lo accusò di aver prima trascinato gli operai nello sciopero generale, rovinandoli, e
di essersi poi ritratto e concluse invitando gli operai a diffidare da simili «capi» che cercavano
piedistalli a spese degli operai e che sarebbero domani diventati tiranni; Morgari reagì con un
ceffone. Nei giorni successivi, coperto di lettere di biasimo, pubblicò sul “Sempre Avanti!” un
articolo amaro ma pacato in cui affermò di aver agito secondo coscienza .
Il 1° marzo il lodo obbliga le due società a riassumere solo 224 dei 658 scioperanti Il bilancio
dell'agitazione non può esser più negativo: alla mancata riassunzione si aggiungono i 200
procedimenti penali degli arrestati.
8. La Segreteria della Camera del lavoro e le lotte del 1906
Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la ricostruzione a metà febbraio 1900 della
Camera del lavoro, con un graduale processo di riorganizzazione delle leghe.
Alla direzione della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai 5500 iniziali a 3500155, è
nominato nell’aprile 1902 il tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino alla primavera del
1906, ed è quello della sua segreteria un periodo di ripresa (funestata però da scontri come quello
del 17 settembre 1904 dove rimane ucciso l’operaio Garello): già a metà del 1903 gli iscritti sono
8000, mentre le sezioni sono salite da 36 a 58; tra queste fanno spicco quella dei tipografi con 528
155
Contemporaneamente la CdL di Milano conta 34.000 iscritti, 28.000 quella di Genova e
6.000 Bologna
soci, dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con 649. Queste tre sezioni comprendono più di un
terzo di tutti gli organizzati.
Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della Cdl viene affidata nella primavera del 1906 a
Morgari che, tra contrasti di corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un
atteggiamento più conciliante cercando di trovare accordi con le controparti, coadiuvato dal
sindaco di Torino, il giolittiano Secondo Frola.
Il 3 maggio 1907 nella discussione sulla relazione morale e finanziaria, la C.E. può affermare che i
soci sono aumentati da 8768 a 15626 e le sezioni da 68 a 110 “il grande numero di soci coincide
con la presenza dell’on.Morgari alla segreteria per l’impulso da lui dato all’ordinamento interno e
all’azione esterna. La CdL può andare orgogliosa. Anche le entrate sono aumentate da 8643 L. a
17.608”.
Durante la sua segreteria la volontà di lotta delle masse operaie torinesi pone comunque la
dirigenza sindacale di fronte alla realtà di un movimento rivendicativo di un'ampiezza mai prima
conosciuta.
Il 30 aprile 1906 le 800 operaie del cotonificio Bass richiedono alla direzione la riduzione
dell'orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL, considerata la disorganizzazione della
categoria, sconsigliano ogni forma di lotta. Nonostante ciò il 3 maggio le cotoniere della Bass
scendono in sciopero, seguite il giorno seguente da quelle degli altri cotonifici, lanifici e maglifici Il
5 maggio lavoratori dei due sessi del settore tessile sfilano per le vie cittadine. La CdL, pur
dichiarando d'essere contraria allo sciopero, non si esime dall'esprimere solidarietà alle scioperanti
e rende pubbliche le richieste operaie.
Lunedì 7 maggio la schiera delle scioperanti risulta ingrossata dagli operai di molti stabilimenti
meccanici e chimici, che vogliono dimostrare solidarietà alla categoria in lotta. Come ormai è
tradizione, gli scioperanti si assiepano davanti alla CdL; il lancio di sassi da parte di alcuni ragazzi
provoca la reazione della forza dell'ordine che, guidata dal commissario di Pubblica sicurezza
entra nel cortile dell’AGO, sparando sulla folla. Il bilancio è pesante: un morto, 8 feriti, 22 arrestati.
I dirigenti camerali e del Partito decidono all' unanimità la proclamazione dello sciopero generale; è
anche deciso di richiedere lo sciopero generale in tutta Italia: si effettuerà a Milano, Bologna,
Firenze e Roma.
II giorno 8 decine di migliaia di lavoratori assistono ai comizi dei massimi esponenti socialisti.
Come nel 1902, in occasione dello sciopero dei gasisti, i toni più accesi e battaglieri provengono
dai discorsi di Morgari. Il 9 maggio, dopo un'imponente manifestazione popolare, Morgari parlò
esaltando la forza nuova del popolo che si era venuta manifestando accanto alle tradizionali
potenze dello Stato e della Chiesa, della banca e dell'industria.
Il 9 la CdL dichiara la cessazione dello sciopero. Già il 7 sera infatti, gli industriali tessili, convocati
nuovamente dal sindaco, avevano deciso di accettare le richieste operaie. L'8 il prefetto aveva
inoltre assicurato che sarebbe stata aperta un'inchiesta. Gli avvenimenti di Torino hanno una vasta
eco a livello nazionale e uno strascico parlamentare; i deputati socialisti avendo visto bocciare la
proposta intesa a scongiurare nuovi eccidi rassegnarono le dimissioni.
Quasi tutte le categorie richiedono, spesso ottenendoli, miglioramenti salariali e normativi; in alcuni
casi non è nemmeno necessario il ricorso allo sciopero. La favorevole congiuntura economica
consiglia gli imprenditori a non rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe
una perdita di profitto. II 12 maggio gli operai carrozzieri presentano un memoriale contenente la
richiesta di un trattamento salariale e normativo analogo a quello delle fabbriche di automobili. Il 17
la carrozzeria Rothschild concede le 10 ore, l'aumento della paga delle ore straordinarie e i 10
minuti di tolleranza sull'entrata. Il 19 maggio 1906, nei locali del municipio, i padroni delle principali
sartorie cittadine e una rappresentanza delle operaie del settore raggiungono un accordo, che
prevede l'accoglimento di alcune delle più significative richieste del memoriale presentato dalla
Lega sarte e modiste. Le uniche categorie a non ottenere sensibili miglioramenti appartengano a
quei settori produttivi che non hanno potuto beneficiare della favorevole congiuntura economica.
Il 15 febbraio 1907 viene sostituito da Alessandro De Giovanni, di tendenza sindacalistarivoluzionaria, perché chiamato alla segreteria nazionale del PSI. Se durante la sua direzione gli
iscritti sono saliti, scendono a 11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e 9.392 nel 1911 e a 9.117 nel
1912 .
9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del '900
Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i riformisti, i quattro delegati della sezione
torinese votano per la mozione Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla sezione in
maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri comunali, commissione esecutiva della CdL)
riformista; solo agli inizi del 1904 l'acceso dibattito fra le tendenze tocca anche il capoluogo
piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima
precongressuale, a Enrico Ferri è un' anticipazione della scelta di campo della sezione.
È Riccardo Momigliano, leader della corrente intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del
«Grido del Popolo», la posizione politica della sezione: non dovrà essere consumata alcuna
scissione, ma non dovranno esserci cedimenti nel senso che il PSI non deve diventare un partito
possibilista accodato a una frazione della democrazia. A Bologna, all'8. Congresso (8-11 aprile
1904), dei sette delegati torinesi sei si pronunciano nella prima votazione a favore dell'odg
presentato da Labriola, mentre uno si astiene. Nella seconda, tutti i voti torinesi confluiscono
sull'OdG presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che prevale e diventa segretario.
Morgari al congresso di Bologna era stato firmatario dell'OdG intermedio, presentato
prevalentemente da organizzatori sindacali come Rigola, Cabrini, Reina, che si poneva tra i
riformisti e la coalizione ferriana-sindacalrivoluzionaria. Preso atto della divergenza politica, rimette
il suo mandato al collegio che lo ha eletto. I socialisti di Borgo Vittoria gli inviano un telegramma in
cui respingono le dimissioni e salutano in lui «il valoroso soldato del Partito socialista».
Già nel 1902-1903 toni fortemente anticlericali avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai
primi socialisti nella loro opera di «apostolato laico». Ora che gli intransigenti hanno conquistato
maggiore spazio nel quadro organizzativo del partito, la propaganda anticlericale tende a uscire
dalle sale di conferenza dei circoli culturali per divenire momento di mobilitazione. Il 22 maggio,
giorno della tradizionale processione di S. Bernardino in Borgo S. Paolo, sono indetti dai socialisti
un corteo e un comizio anticlericali. Benché il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione, un
gruppo di socialisti si dirige verso il luogo dove si deve tenere in forma privata il comizio. Le truppe
caricano il corteo e arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente intransigente torinese.
II 2 giugno 1904, nel 22° anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, è organizzato dai
socialisti e dai repubblicani un grande corteo-comizio. Gli oratori ufficiali sono il repubblicano avv.
Gorini e l'avv. Leandro Allasia, un esponente dell'ala riformista del Partito socialista. Riformisti e
rivoluzionari trovano nell'anticlericalismo un momento unificante di lotta.
Dopo il referendum del novembre 1905 sulla creazione di un'azienda municipalizzata per l'energia
elettrica, in cui i suffragi dei socialisti risultarono decisivi per il successo della proposta formulata
dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono condizioni per una convergenza su punti importanti:
dalla riforma delle imposte, all'abolizione delle «spese di lusso», al passaggio al comune di alcuni
servizi pubblici; dall'attuazione di una serie di provvedimenti annonari che tenessero basso il costo
dei viveri, a una politica di acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora sino al 1911, quando in
coincidenza col dibattito sull'allargamento della cinta daziaria tornarono sulle posizioni critiche dei
liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle dell'antagonismo.
Morgari nel 1906 in occasione del 9. Congresso nazionale propone la mozione “integralista” che
conquista la maggioranza della sezione torinese perché, pur basata su posizioni riformiste, offre la
possibilità di mantenere una posizione intransigente sul tema delle alleanze elettorali che a Torino,
per mancanza di partiti affini, non si pone neppure, diventando una sorta di mito radicato ed
elevato a teorema politico.
Tale facile estremismo riesce al Congresso provinciale a strappare, nonostante la loro aumentata
influenza, la maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti delle sezioni, 14
votano l'ordine del giorno integralista e 11 quello rivoluzionario. Non diverso è l'esito preelettorale
nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non è riuscito, nonostante la sua campagna per
il metodo dell'azione diretta fosse stata suffragata dai successi dei lavoratori, a trasformare la
natura, la composizione sociale e l'orientamento del partito in città.
10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)
Morgari si affermò sul piano nazionale in occasione del 9. Congresso di Roma dell'ottobre 1906,
allorché assieme al socialista umbro Francesco Paoloni156 propose la mozione «integralista». In
due articoli dal titolo “Verso il congresso nazionale socialista”, pubblicati sull' “Avanti!” del 29 e 30
settembre 1906 spiegò il significato della formula, consistente in una «sintesi dell'anima
possibilista e dell'anima avvenirista del socialismo, dell'idealismo e della praticità, dell'azione
diretta e dell'azione rappresentativa, dell'antistatalismo e della legislazione statale, della
rivoluzione e della legalità, del sindacalismo e dell'antisindacalismo, dell'intransigenza e
dell'affinismo».
Nella seduta del 7 ottobre ribadì: «Vi dico che integralismo, nella sua espressione più intima e più
caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella coscienza del militante socialista coesistano
armonizzate la nozione limpida del divenire della società futura nel grembo stesso della società
futura - da affrettarsi colle riforme dirette e legislative - e la nozione dell'assetto ultimo, cercato
quasi con desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società umana dovrà verosimilmente
attraversare una catastrofe causata da un «alto là» della borghesia stancata di concessioni»157.
Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte interne, quando tanto ancora rimaneva da fare a
chiunque avesse a cuore la condizione proletaria e volesse veramente agire in favore dei
diseredati. Poiché la situazione non era ancora matura per la rivoluzione, conveniva intanto
operare quotidianamente con mezzi legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente
riformista e rivoluzionario.
156
G.Furiozzi, Francesco Paoloni e il socialismo integrale, 1892-1917, Firenze, 1993
157
Resoconto stenografico del IX congresso nazionale, Roma, 1907, p. 64
Gli uni e gli altri voleva colpire quando scriveva che “i riformisti hanno obliato lo spirito e i fini
dell'azione socialista mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle supreme idealità
marxiste”.
La mediazione era la sua vocazione autentica ed anche un ritorno alle origini, all'ispirazione
prampoliniana dei tempi eroici, un procedimento mentale per cui il «propagandismo» e l'appello ai
sentimenti appaiono in grado di risolvere i termini politici delle questioni. «L'integralismo per lui non
era stato un espediente tattico per carpire una vittoria in congresso, ma uno stato d'animo. Ed è
stato d'animo, quello di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in umiltà perché esso è il
partito della redenzione degli oppressi»158.
L'integralismo rappresentò nel 1906-8 l'affermazione del corpo centrale del partito,
fondamentalmente unitario, che ricercava nei valori propagandistici e pedagogici quella identità del
socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze sembrava minacciare. Il progetto di rilancio del
Partito su basi intransigenti e classiste, nella lotta contro le spese improduttive e le spese militari, il
latifondo e il sistema fiscale, un atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una
difesa dell'istanza partitica e dell'esigenza primaria della propaganda per la formazione della
«coscienza socialista» erano istanze sedimentate nella tradizione socialista italiana.
Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in una posizione sostanzialmente
difensiva, dì raccoglimento. Più che alla ricerca di una politica nuova, con caratteri propri,
l'integralismo intendeva correggere, amalgamare, insomma integrare ciò che di positivo fosse
presente nelle tendenze opposte. In pratica confermava la necessità dell'azione quotidiana di
organizzazione e di propaganda, la lotta parlamentare per le riforme, lo stretto collegamento tra
l'istanza politica e quella di resistenza, il fine della socializzazione come obiettivo unitario
contrapposto al corporativismo economico e settoriale. Erano questi per lo più obiettivi presenti
anche nel riformismo. Tipici degli integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla
coscienza di classe, la concezione «organicistica» del proletariato che favoriva una sottolineatura
più marcata dei valori del collettivismo, il ruolo più incisivo attribuito alle organizzazioni economiche
e al partito, la rivendicazione di una più sostanziale autonomia del partito che escludeva alleanze
sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della borghesia, con la quale avrebbe anche potuto
stringere di volta in volta accordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa rappresentava
l'avversario di classe. Al congresso di Roma del 1906 l'odg maggioritario ottenne 26.500 voti su
34.000 con la confluenza dei voti dei riformisti e l'adesione del Ferri, ex alleato di Labriola, che
diede alla formazione del « blocco integralista unitario » il significato di «un punto di arresto contro
la deviazione sindacalista e il catastrofismo».
Al congresso, che lo nominò segretario politico, il tema della propaganda-organizzazione fu
ripreso più volte. In primo luogo fu deciso di istituire «segretari regionali» ai quali fosse demandato
il compito della organizzazione politica ed economica: era investito così il punto importante della
questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del
movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della
lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica
nazionale del partito. Significativa risultò la composizione della nuova direzione, che teneva conto
non solo del criterio della omogeneità politica, ma anche del principio della rappresentanza
regionale. Riuscirono eletti numerosi dirigenti di organizzazioni di resistenza, di federazioni di
158
G. Arfè, Storia dell'Avanti. Vol. 1, 1896-1926. Milano-Roma, 1963, p. 71
mestiere e di associazioni: da Quaglino (Federazione edilizia) a Rigola (tessili), a Del Buono e
Marzetto (CdL di Firenze e Vicenza). Ciò rifletteva il peso che avevano quadri e dirigenti sindacali
che, pur essendo su posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due esigenze
fondamentali: l'unità del movimento di classe e la diffidenza verso il parlamentarismo. Facevano
parte della Direzione i rappresentanti regionali, il direttore dell'« Avantil » e un delegato del Gruppo
Parlamentare, che poi a lungo sarebbe stato proprio Morgari. La numerosa direzione appariva
assai più rappresentativa delle precedenti per la sua espressione regionale, Vi era l'impegno a
ricondurre all'interno del partito tutte le componenti - sindacali, cooperative, politiche - del
movimento socialista, ma di per sé non rappresentava una soluzione per una effettiva direzione.
Le aree di diffusione dell'integralismo rimanevano nel Piemonte, che dava circa il 22% dell'intera
forza della componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in Emilia-Romagna, dove era
attestato oltre un terzo (36,6%) della forza complessiva della corrente. Vero punto di forza
dell'integralismo era la Toscana. Erano integralisti Roma e il Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il
fenomeno integralista era pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza integralista nei
centri urbani dell'Italia centrale, e in genere nelle grandi città (dove raggiungevano il 55,4%). Erano
infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma. L'integralismo rappresentò una meteora
abbastanza breve, ed entrò rapidamente in crisi, impari a quegli obiettivi di ricomposizione unitaria
del movimento socialista che si era prefissi: come posizione di raccoglimento e come istanza
unitaria favoriva il processo di riorganizzazione e consolidamento del riformismo e di sfaldamento
della possibile alternativa sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all'interno del Partito furono
decisamente modificati a vantaggio del primo dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel
1907. Allora agli integralisti venne meno il ruolo mediatore che si erano attribuiti.
L'unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente l'iniziativa politica dei
riformisti, i quali del resto con la costituzione della CGdL avevano riassorbito molti quadri sindacali,
Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al congresso di Roma si erano pronunciati per
l'integralismo.
Al congresso di Firenze del 1908 mentre molti della sua corrente si presentano con i riformisti nella
“concentrazione socialista” che prevale con 18.000 voti, ribadisce di voler mantenere la mozione
“integralista” (che ottiene 6.700 voti pari al 21%) “anche se sostanzialmente uguale nella lettera
ma non nello spirito”, mentre i voti ottenuti dall'odg Pescetti al congresso di Modena del 1911 sul
quale si riversarono i consensi di molti ex-integralisti furono 1070 pari al 5%
11. La direzione dell'”Avanti!” (1908) e un primo "dialogo" coi cattolici
Nel gennaio 1908 Enrico Ferri, avendo accolto l'invito a tenere delle conferenze nel Sud America,
aveva rassegnato le dimissioni da direttore dell'«Avanti!»; gli subentrava Morgari, nella sua qualità
di leader della corrente che era prevalsa al congresso. Il più importante centro di propaganda e di
orientamento politico rimaneva in mano agli integralisti.
La direzione di Morgari era chiaramente transitoria: egli stesso, nell'accettare la carica, avvertì che
l'avrebbe tenuta fino al successivo congresso; nel comunicare ai lettori di aver assunto la direzione
del giornale, rassicurò coloro che temevano che l' “Avanti!” nelle sue mani divenisse un organo di
esposizione elementare del socialismo: «Accettando di portare una croce che io non ho sollecitata
né ambita, mi sono fatto giaculatoria del principio secondo cui il portavoce dei malvestiti deve
camminare in redingote e cilindro".
Direttore dal 22 febbraio al 30 settembre 1908, quando gli succedette Bissolati avendo i riformisti
riconquistato la direzione del partito al congresso di Firenze, la redazione disponeva di
collaboratori di alto livello come Bonomi, Francesco Ciccotti, Galantara, Paoloni, Podrecca.
Durante la sua direzione condusse una campagna per la legalità nelle manifestazioni:
approfittando di una sua assenza, Francesco Ciccotti aveva pubbicato sull' “Avanti!” del 3 aprile un
violento editoriale per l’eccidio in occasione di una manifestazione, suscitando la reazione di
Bonomi che diede le dimissioni ritirandole solo quando Morgari prese le sue difese, conducendo
una campagna di stampa, suggestivamente intitolata “prendere il toro per le corna” (cioè i due
corni del dilemma: legalità o illegalità, da cui il proletariato-toro era dilaniato) che prendeva
decisamente posizione contro i cortei che degeneravano in manifestazioni violente.
Pubblicò sull'Avanti una lunga lettera che due giovani usciti dall'esperienza della Lega
democratica nazionale e avvicinatisi ai socialisti cristiani, Guglielmo Quadrotta159 e Felice Perroni,
gli indirizzavano e che si concludeva con una domanda esplicita: «A chi professa i nostri ideali
sono aperte oggi le file del Partito socialista italiano?» La lettera160 suscitò una polemica nella
quale intervennero, tra gli altri, Bonomi, Turati, Zibordi, Paoloni, sostenendo diversi punti di vista,
ma questa apertura al mondo cattolico fu sconfessata al congresso di Firenze con l'approvazione
dell'OdG Bussi-Vella che negava ai cattolici l'entrata nel PSI.
159
Nel dopoguerra divenne seguace di Bonomi; curò il volume “Il colloquio di un secolo fra
cattolici e socialisti: 1864-1963”, Roma, 1964
160
“l'Avanti!”, 17.7.1908, Possono i Socialisti cristiani iscriversi al nostro partito? riportata
anche in A.Luciani “Socialismo e movimenti popolari in Europa”, vol. 2,t.2, Venezia, 1985" «On.
Morgari, Ella gentilmente c'invita nell'Avanti! di alcune sere fa ad esporre le idee che hanno
condotto noi e numerosi nostri amici democratici cristiani, aderenti alla Lega democratica
nazionale, a fare una professione di fede socialista; e il suo invito è cosi cortese, ed è un indizio
cosi indubbio di una serenità che molti si ostinano a non vedere fra i socialisti, che noi non
possiamo sottrarci a quest'atto di "coraggiosa sincerità", come Ella lo chiama. Ella sa, onorevole
Morgari, come un nostro ordine del giorno sull'indirizzo sociale che avrebbe dovuto assumere la
Lega democratica nazionale nel prossimo Congresso, ordine del giorno esplicitamente socialista,
abbia diviso in due frazioni la sezione romana della Lega stessa. Dall'una parte la nostra corrente;
dall'altra quella dei democratici-cristiani vecchio stile, la quale crede conformemente all'antico
programma sociale-cristiano di rimediare alle ingiustizie della società attuale cercando soltanto di
infonderle un nuovo spirito morale, e ritoccandone alquanto le istituzioni, ma mantenendole nella
loro struttura fondamentale..(...).La nostra adesione al socialismo, on. Morgari, ha radice nelle
nostre convinzioni religiose. La religione per noi non è una credenza intellettuale in certi principi
astratti od un cerimoniale, cioè un insieme di pratiche cristallizzate, come la predicano e la sentono
i seguaci della tradizione. La religione è anzitutto e soprattutto un atteggiamento pratico e vitale di
fronte al problema dell'essere e della vita: è l'atteggiamento dell'uomo che sente la propria
insufficienza individuale, e cerca di completare ed integrare la propria esistenza entrando in
comunione di vita con una potenza superiore, di cui egli sente essere una parte. La vita religiosa è
una vita di effusione, di allargamento per cui all'uomo vecchio fatto di egoismo sottentra l'uomo
nuovo assetato di amore e di giustizia. Nulla quindi di più contrario alla religione dello spirito
individualista, sia esso morale od economico, per cui l'uomo considera se stesso come centro e
fine delle proprie azioni e subordina gli altri ai propri desideri. Dato questo concetto della vita
religiosa, per cui essa non viene concepita come una forma particolare di vita contrapposta a
quella morale,
Morgari, che pure condusse dure battaglie contro la Chiesa161 e sostenne la battaglia per
l'abolizione dell'educazione religiosa nelle scuole condotta da Bissolati, era avverso all'estremo
anticlericalismo. Durante la sua direzione scomparvero rubriche come “la cloaca clericale” e gli
attacchi gratuiti alla Chiesa.162
12. L' attività nel Parlamento e nel Paese. 1907- 1911
Nelle votazioni per il Congresso di Firenze del 1908 i riformisti proclamarono l'opportunità di dare
la scalata all’amministrazione dello Stato e dei Comuni e su tale base stesero il nuovo programma
economica, ecc., ma come un orientamento di tutta la vita, era naturale che noi dalle
dispute filosoicho e teologiche, scendessimo alla considerazione dei problemi sociali. E di fronte
alla società presente, che della conquista della ricchezza fa una guerra atroce fra uomo e uomo, e
crea un dualismo gravido di lotte e di odii tra capitale e lavoro, fra produttore e consumatore, noi ci
siamo domandati: corrisponde questa società al nostro ideale religioso? Perché il principio
cristiano della solidarietà e della cooperazione deve rimanere un principio morale astratto e non
può, incarnandosi in una società, divenire la legge della produzione e dello scambio? Perché mai
questa vita a doppia partita? Ed allora noi abbiamo profondamente sentito la bontà dell'ideale
socialista; noi abbiamo sentito che oggi il socialismo non rappresenta soltanto un esercito di
sfruttati, spinti dall'insofferenza del giogo padronale verso la conquista di un'esistenza migliore, ma
rappresenta l'umanità nelle sue più nobili aspirazioni di giustizia e di solidarietà, aspirazioni che il
proletariato ha l'alta missione storica di realizzare....Sulle labbra di Cristo suonarono i più forti
accenti di speranza che mai abbia udito l'umanità, e il Cristianesimo sorse come una grande
speranza nell'avvento di un regno che non era già quello dell'oltretomba, ma un regno terreno di
giustizia e di amore, Solo durante i secoli da speranza sociale che esso era, divenne speranza
individuale, una partita personale fra l'uomo e Dio. Ma il nostro cristianesimo non solo ci ha
convinti della bontà e della verità delle aspirazioni socialistiche, ma ci dà pure la speranza e la
fiducia ch'esse possano pienamente trionfare. Se il socialismo per attuarsi richiede una forte
trasformazione psicologica dell'individuo, una trasformazione delle tendenze egoistiche e
particolariste in tendenze altruistiche, chi meglio di noi che abbiamo cosi profonda fiducia
nell'energia creatrice dello spirito umano e siamo gli umili ma consapevoli rappresentanti di una
religione che fu detta di liberazione, appunto perché ammette le ampie possibilità di trasformazioni
e di adattamenti dell'uomo, chi meglio di noi potrà avere fede e speranza nel divenire della società
socialista? Del resto la storia costituisce una luminosa riprova della verità della nostra convinzione:
tutte le volte che il cristianesimo è stato profondamente vissuto e sentito, esso non si è rivelato
soltanto come movimento religioso, ma come movimento sociale...... Anche l'Avanti! on. Morgari,
accennava recentemente in una corrispondenza americana ad un grande movimento del clero
americano verso il partito socialista, al quale avevano aderito vescovi e sacerdoti numerosi; il
Congresso pan-anglicano, tenutosi in questi giorni a Londra, ha dimostrato quale formidabile
corrente in favore del socialismo vi sia nel clero anglicano; parecchi clergymen hanno fatto delle
dichiarazioni socialiste nel più largo senso della parola, tra applausi fragorosi dell'assemblea: in
Francia e nel Belgio, Jaurès e Vandervelde, tra i socialisti, hanno mostrato di capire tutto il
vantaggio che alla causa socialista potrebbe venire dal rinnovamento del cristianesimo; in
Inghilterra i socialisti hanno inaugurato delle cosi dette Chiese di lavoro ...Noi sentiamo le difficoltà
che in Italia si oppongono ad un movimento simile, ma nutriamo profonda speranza che
progressivamente si possa attuare un'intesa fra le persone sinceramente cristiane e la democrazia
socialista. E concludiamo, onorevole Morgari, con una domanda: a chi professa i nostri ideali sono
aperte oggi le file del Partito socialista? »
minimo che comprendeva: migliore legislazione del lavoro (disciplina giuridica dei contratti,
estensione delle pensioni, leggi sulla maternità), abolizione del dazio sul grano, laicità della scuola,
opposizione agli incrementi sulle spese militari, suffragio universale e suoi corollari (proporzionale
e indennità ai deputati), concordandolo con quanti al Congresso precedente si erano presentati
integralisti.
Morgari non volle confluire nella nuova corrente, rinunciare alla vecchia bandiera, e ripresentò la
mozione “anche se sostanzialmente uguale nella lettera ma non nello spirito” in cui accentuava le
sue riserve all' appoggio dei socialisti al governo.
Neppure a Torino nel dibattito precongressuale l'azione di Morgari era valsa a sottrarre la
maggioranza dei suffragi a quegli esponenti «sindacalisti riformisti», che, sotto la guida di Rigola,
esercitano un predominio incontrastato sulla sezione dopo l'allontanamento dei sindacalisti
rivoluzionari. Anzi, risultano eletti nella direzione del partito, col Rigola, il Reina e il Quaglino, i due
piemontesi che gli sono più legati. E il “Grido del Popolo” può cosi inorgoglirsi che «alla testa del
Partito socialista siano uomini nostri, cresciuti alle nostre lotte, sperimentati alle nostre prove», e
condannare la «distinzione capziosa» di Morgari il quale lascia frattanto la direzione dell'«Avanti!»
a Leonida Bissolati.
A Torino si continuerà per tutto il 1909 a correre ancora molto lungo questa strada. La propaganda
del partito sul piano politico generale non conosce più che la solita nota anticlericale, mentre da un
punto di vista teorico l'identificazione di «socialismo» con le più immediate riforme della
legislazione sociale è ormai totale.
Dopo la vittoria riformista al congresso di Firenze del 1908, all'interno dell'area si delineò la
spaccatura tra una componente (i dirigenti confederali insieme con Bissolati e Bonomi) che
proponeva la creazione di un «partito del lavoro» privo di connotazione ideologica e aperto a tutte
le componenti del movimento economico del proletariato, e la “sinistra riformista” di Modigliani e
Salvemini.
Al successivo congresso di Milano dell'ottobre 1910, in cui Turati riesce a ottenere un'ampia
maggioranza con la confluenza della destra bissolatiana sulla sua mozione che ottiene 13.000 voti,
Morgari si accosta ai “riformisti di sinistra” Modigliani e Salvemini presentando insieme a loro una
mozione “intermedia” che raccoglie 4.500 voti (quella intransigente presentata da Lazzari ne
raccoglie 6.000), rimanendo quindi sempre al centro dello schieramento.
Morgari, che alle elezioni del 1907 era stato rieletto, votò nel 1909 in favore del governo Sonnino;
essendo il voto in contrasto con I'opinione della direzione del Partito. diede le dimissioni da
propagandista.
Nel 1909, quando si cominciava a temere la guerra, presentò alla Camera il seguente OdG: «La
Camera da incarico al governo di farsi iniziatore di una conferenza per l'arbitrato e per il disarmo».
161
Si veda il contradditorio con il cattolico triestino Antonio Pavissich (1851-1913) sostenuto a
Monza il 10 febbraio 1901, così come gli articoli di stampa contro il vescovo di Cefalù poi raccolti in
“Un lupo in mitria: requisitoria contro sua accellenza rev.ma monsignore dott. don Gaetano
D'Alessandro,vescovo e parroco di Cefalù in Sicilia”, Corigliano calabro, 1905
162
Intervistato dal “Grido del popolo” il 20.9.1907, ammoniva “l'anticlericalismo, col prendere
forma parolaia, quarantottesca, di vecchio stile democratico, costituisce un vero danno al nostro
movimento di classe sviandone l'attenzione dai problemi del socialismo”
Sempre nel 1909 si tornò a parlare di una visita dello zar in Italia. Il Partito Socialista assunse di
nuovo un atteggiamento di aperta ostilità e Morgari riprese la sua protesta attraverso discorsi e alla
Camera respinse tutte le obiezioni sugli interessi diplomatici dell’Italia con un perentorio “Non si
fanno gli affari con gli assassini”163, articoli e opuscoli. Fu creato un "Segretariato nazionale
antizaresco" e quando il 23 ottobre lo zar giunse a Racconigi, Morgari riuscì a tenere una
conferenza alla CdL in virtù dell’immunità parlamentare e a fischiare l'ospite: il suo gesto entrò
nella leggenda. Le relazioni con gli emigrati socialisti russi di varie tendenze molto numerosi sulla
Riviera e a Capri, iniziate almeno dal 1903, si andarono infittendo: è del 18 maggio 1908 una sua
interrogazione - su sollecitazione dello scrittore Gorki - su pacchi di giornali russi fermati alla
dogana cui Giolitti rispose prontamente. In effetti l'Italia venne usata da Lenin in quel periodo come
tappa intermedia per introdurre stampa sovversiva in Russia.
I deputati socialisti si andavano sempre più orientando verso il ministerialismo. Morgari, allora
segretario del gruppo parlamentare, vi si oppose ripetutamente. Il 10 maggio 1910 l' “Avanti!”
pubblicò una sua lettera: "Perchè ognuno assuma le proprie responsabilità": "Io che odio più di
ogni altra cosa al mondo I'ipocrisia dovunque l'incontro proruppi quando mi accorsi che la mia tesi
veniva elusa perché molesta...Tace anche I' Avanti... Non protestai prima e tutte le volte, e son
decine, che non vidi registrato il mio pensiero nei resoconti delle adunanze del gruppo socialista.
Ora non sono più disposto a farlo. Ho lavorato per degli anni per spegnere Ia disgustosa ed
esiziale lotta intestina delle tendenze, sopportando le beffe dei sapienti e dei saccenti... Ora
scongiuro gli amici dell'Avanti! di non costringere proprio me a riaccenderla”.
Alle elezioni suppletive del marzo 1910 dopo l'opzione di Nofri per il collegio di Siena, la sezione
torinese, contro il parere dei riformisti favorevoli alla presentazione di Rinaldo Rigola, scelse la
candidatura di protesta del giornalista triestino Todeschini che fu battuto dal candidato
costituzionale. Questa sconfitta non pregiudicò il rafforzamento in seno alla sezione del gruppo
intransigente guidato dal professor Temistocle Jacobbi che, eletto segretario politico nel novembre
1909, diventò nel 1910 anche direttore del «Grido del Popolo». A Torino la situazione più critica per
il partito si verificò alla Camera del lavoro: a luglio 1910 i socialisti furono messi in minoranza in
seno al consiglio generale. La commissione esecutiva, controllata dai socialisti, rassegnò le
dimissioni dopo aver richiamato alla disciplina di partito gli iscritti. Il consiglio generale, convocato il
7 agosto, decise di nominare transitoriamente una commissione di studio con lo scopo di
preparare il futuro congresso camerale ma dei cinque eletti solo due furono socialisti.
La sezione torinese tornò nel 1910 a identificarsi colle posizioni di Morgari, facendo confluire i
propri voti sulla mozione Modigliani al congresso di Milano dell'ottobre. L'indirizzo politico della
sezione venne premiato sia alle elezioni politiche che a quelle amministrative da un aumento
costante di suffragi. I dirigenti locali non si curavano di definire criteri rigorosi di discriminazione
appagandosi del generico appoggio dall'esterno alle iniziative del partito e della Camera del lavoro,
o della sporadica collaborazione giornalistica su soggetti disparati. Oddino Morgari sintetizza in
una lettera del 25 agosto 1913 a Gustavo Balsamo-Crivelli tale concezione dei rapporti con i
fuorusciti della borghesia: “ troppi intellettuali - e tu ne sei davvero uno - ci lasciarono da qualche
anno in qua: e deve possedere un nocciolo morale di natura profondamente buona e
disinteressata l'uomo che al par di te rimane dopo vent'anni nelle nostre file quando per nascita,
per ingegno aristocratico, per l'ambiente in cui vive e per il quale come letterato scrive, per tanti
esempi che ha dinnanzi di uomini che perdettero l'antica fede, per le diffidenze che sono intorno ai
così detti professionisti nel campo operaio, per la natura rozza del movimento proletario, per i non
163
Camera dei deputati, Legislatura xxiii, Atti del Parlamento italiano, Discussioni, Roma,
1909, Tornata del 23 giugno 1909, pag. 2878
rari suoi eccessi, per non avere avuto gl'incarichi a cui il suo valore lo indicava - bene potrebbe
umanamente essere tratto a distaccarsi da noi"164
13. Con Salvemini per la questione meridionale
Salvemini aveva presentato al congresso di Milano del 1910, come già a quello precedente di
Firenze, la prima piattaforma politica fondata non su schemi dottrinari ma su un’analisi storica della
società italiana e delle sue contraddizioni; il suo piano era di contrapporre al blocco reazionario
indutriale-agrario l'alleanza degli operai del Nord e dei contadini del Sud.
E' in questa occasione che Morgari venne a contatto con la tematica meridionalista salveminiana,
aderendo alla mozione "intermedia", firmata anche dal livornese G.E.Modigliani, ma il suo
interesse per i problemi del Sud risaliva agli inizi dell'impegno socialista differenziandolo in ciò dal
riformismo padano che, anche nei suoi esponenti più illuminati come Turati, ha chiusure quasi
razziste nei confronti del meridione. Nel 1998 partì per Palermo con Dino Rondani, entrambi
deputati socialisti piemontesi eletti l'anno precedente, per sostenere la locale sezione nella lotta
contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di Crispi. La sera del 16 aprile i due deputati e
un gruppo di compagni vennero aggrediti dai crispini che spararono anche alcuni colpi di rivoltella.
Nell'ottobre 1902 iniziò un ciclo di conferenze di propaganda nel Sud; l'anno successivo condusse
un'inchiesta su Gaetano Alessandro, vescovo di Cefalù, noto nella zona quale persona di dubbia
moralità, usuraio e truffatore, pubblicando tra la fine del 1903 e il 1904 sull' “Avanti!” una serie di
articoli che furono raccolti nell'opuscolo Un lupo in mitria già ricordato. Nell'aprile 1904 si recò a
Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale.
Al congresso di Roma del 1906 vinto dagli integralisti fu deciso di istituire nell'Italia meridionale e
nelle isole «segretari regionali ai quali sarà demandato il compito della organizzazione politica ed
economica": era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di
consolidare la struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel
quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso
tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito.
Nel 1909 Morgari si battè, con toni salveminiani, contro i mafiosi e per il suffragio universale, che
voleva ottenere con la lotta popolare, contro i brogli e per l'elevazione delle plebi. L'agitazione
aveva un particolare significato per l'Italia del Sud; la legge elettorale dava infatti diritto di voto a
tutti i maschi adulti che sapessero leggere e scrivere, e nel Mezzogiorno la percentuale di
analfabeti era ancora molto alta: praticamente tutta la massa dei contadini e dei braccianti era
esclusa dalla vita politica; la compravendita di voti e la violenza toglievano poi ogni significato ai
pochi voti del Sud proletario. Sempre nel 1909 si occupò dell'elezione di Vito de Bellis a Gioia del
Colle e condusse con De Felice, Bissolati e Ciccotti una indagine in merito165.
164
Archivio G.Bergami”, Carte BalsamoCrivelli, cit. in “Gramsci e i lineameti idali del
socialismo torinese”, in “Storia del movimento operaio...in Piemonte”, 2. vol., cit
165
Del caso si occupò Salvemini in un articolo sull'”Avanti!”, ristampato in “Il ministro della
malavita”, Firenze, 1910
Avendo appurato che i metodi elettorali del de Bellis si basavano essenzialmente sulle mazzette,
quando l'elezione del deputato meridionale venne convalidata, Morgari proruppe alla Camera in
un'aperta indignata denuncia dei brogli, delle camorre, della violenza nelle elezioni.
Nel luglio 1910, durante le elezioni politiche ad Andria (Bari), i seguaci del candidato governativo
impedirono la distribuzione dei certificati elettorali. Il 31, durante uno scontro fra proletari, seguaci
del candidato governativo e forze dell'ordine, due contadini furono uccisi e 10 feriti. Venne
proclamato lo sciopero generale. Morgari, accorso sul posto, fece un'inchiesta e inviò al Presidente
del Consiglio un telegramma166. In seguito, da numerosi comuni dell'Italia meridionale, pervennero
a Morgari richieste di occuparsi delle loro amministrazioni. Nel 1910 la Direzione del Partito stanziò
8000 lire per la propaganda, che «nel Mezzogiorno sarà essenzialmente curata da Oddino
Morgari».
Nelle elezioni del 1913, le prime a suffragio quasi universale maschile, nel collegio di Gallipoli
(Lecce) si affrontarono il candidato socialista Stanislao Senàpe De Pace e l’economista liberista
Antonio De Viti De Marco. Il Senape fu accusato dalla stampa avversaria (moderata, radicale,
conservatrice e cattolica) di aver adottato la croce come simbolo per ottenere il suffragio
dell’elettorato contadino167. Un articolo dell'«Avanti!» affermava che: “un candidato socialista
poteva scegliersi un distintivo più profano. Dal punto di vista politico è chiaro che l'ori. Senàpe ha
scelta la croce per avere i voti dei credenti in Cristo... Con un'origine elettorale del genere noi
crediamo che l'on. Senàpe non tarderà molto ad avvertire l'incompatibilità della sua ulteriore
permanenza nel gruppo socialisti” 168
Immediata la risposta della sezione socialista gallipolina: “Noi non condividiamo il giudizio
scientifico dell'Avanti! sul «caso Senàpe». L'on. Senàpe aveva impresso sulla sua scheda da
candidato una croce di tinta rossa. L'Avanti! non ha accettato le spiegazioni offerte dall'on. Senàpe
il quale dichiarava che, per le contingenze speciali e locali di propaganda fra i contadini di Gallipoli,
la croce aveva, per la sua significazione del martirio di Cristo, un certo valore sovversivo” .169
166
«Esaminata situazione, ritengo che ove Governo pensasse prendere occasione
avvenimenti Andria per iniziare radicale opera rigenerazione Mezzogiorno, dovrebbe sciogliere
amministrazione comunale Andria, aprire processo per associazione a delinquere che non arrestisi
davanti eventuali responsabilità dominatori comune e deputato Bolognese: sottrarre istruttoria
giudice Macchia da tempo, per varie prove, legato ai responsabili dei fatti, ricercare probabili
conniventi vari funzionari, specie delegato Damiani e sottoprefetto, e loro eventuale destituzione;
incriminare carabinieri e soldati, che invece di limitare il fuoco contro autori vari spari che non
causarono scalfittura alcuna militi, spararono su quanti curiosi fuggenti transitavano via Carmino,
ingigantendo conflitto; sciogliere corpo guardie notturne e campestri in cui attendono pregiudicati;
disperdere con mezzi legge aggruppamenti malavita andriese, che acquiescente polizia costituisce
braccio esecutivo dominatori comune e deputato collegio; sussidiare famiglie morti e feriti. Qualora
anche questa volta Governo, traverso sua inchiesta istruttoria eludesse obbligo porre fine malavita
locale, inciterò 9000 contadini leghe, più volte vittime violenza suddetta malavita dispederla
direttamente violenza».
167
A. Palumbo Il caso del collegio di Gallipoli “ Società e Storia” luglio-sett.2008
168
Punti sugli «i». La croce dell'on. Senàpe, «Avanti!», 14.12.1913.
169
Simbologia socialista a proposito del «caso Senape». La croce, il pesce o che ?,
Il partito cercò di accertare la buona fede del proprio candidato. Oddino Morgari si occupò di
riallacciare i rapporti con la sezione gallipolina170 Agli inizi di gennaio la direzione del PSI lo assolse
pienamente mantenendolo all'interno della propria rappresentanza: “sotto il labaro dei cristiani
antichi, l'on. Senàpe sta orgoglioso di tale sforzo difensivo. È ormai sicuro: il Partito non
abbandonerà mai uno dei suoi ..” 171
14. Il viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14)
Il 23 novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue dimissioni da segretario del
gruppo parlamentare172. In una lettera a Turati, ribadendo le sue dimissioni. Morgari scrisse: ”Sono
«Spartaco», 24.12.1913.
170
«La Vita» pubblicò successivamente parte della corrispondenza tra Morgari e i socialisti
gallipolini. In una lettera del 17.12. scriveva: «Dopo le informazioni avute sulla schietta e generosa
opera ventennale del Senàpe, dopo le sue dichiarazioni alla Camera, il Gruppo vede chiusa la
questione per quanto lo riguarda» ed il giorno dopo «il Senàpe non ha bisogno di essere
giustificato ai nostri occhi ma le attestazioni che ci pervengono dal collegio di Gallipoli ci forniscono
gli argomenti per difendere questo valoroso collega dagli attacchi avversari». Infine il 5.3.1914
Morgari affermava: «Il Gruppo cui è iscritto l'on. Senàpe non ha però bisogno di delucidazioni
intorno a questi "strascichi elettorali". II Gruppo conosce e stima l'on. Senàpe e si ascrive ad onore
di contarlo fra i propri membri». C. Bazzi, L'epistolario dell'on. Morgari, «La Vita», 19.3.1914
171
Lo scandalo dell'elezione di Gallipoli. L'on. Morgari insulta il socialismo e il Mezzogiorno,
«Il Resto del Carlino» 20.3.1914.
172
Questo il testo integrale: "Non posso adempiere ad un incarico senza passione, senza
fede. Orbene io mi sono andato accorgendo che la maggioranza del gruppo ha bisogno di un
segretario abile Un uomo di carattere, che resta un socialista è ormai di impaccio alla
maggioranza suddetta, fattasi definitivamente incapace di tenere alla Camera l'atteggiamento e il
linguaggio che a socialisti convengono. E non alludo con ciò all' appoggio che si è dato e che si
continuerà a dare al Ministero Luzzatti. Al contrario io penso che si potrebbe appoggiare un
gabinetto per molto meno quando però il Gruppo mantenesse ad un tempo quella fierezza politica
e ripetesse quelle affermazioni programmatiche con cui soltanto - nel contatto con uomini d' altri
partiti, specie se cinici e bacati in larga parte - si può impedire che l'involuzione delle dottrine,
l'addomesticamento progressivo, l'arrivismo lo scetticismo penetrino in noi e nelle masse che ci
guardano operare. A più riprese, ma invano, tentai galvanizzare la spenta fede nell'animo di molti
colleghi.e d'altro canto mi domando se a un segretario compete questa funzione di mentore o se
non piuttosto ha l'obbligo di seguire l' indirizzo della maggioranza od altrimenti di andarsene. Io
me ne vado, ormai ritengo che non convenga applicarsi a irrobustire le energie fattive e il prestigio
politico del Gruppo che spenderà poi questi valori in modo che io ritengo deleterio: intendo dire in
un non lontano ministerialismo coi giolittiani anche più sporchi, ciò toglierà al gruppo la
rispettabilità morale nel preparare con sapiente lentezza e non nella forma fanciullesca del Ferri,
la partecipazione dei socialisti al governo; e nel tagliare un dopo l'altro i ponti col passato,
accentuando per gradi il proprio rinsavimento dalle utopie originarie, vuoi col fare su di esse il
silenzio sistematico, vuoi col retrocedere a volgarità di monarchici nazionalisti e militaristi sebbene
di scartamento ridotto, vuoi col porre a riposo l'ultima caratteristica di un partito che voglia
un po' sindacalista [alludendo alla corrente di Arturo Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l'azione
diretta del socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l'azione parlamentare
narcotizza e addomestica il maggior numero dei deputati penso che giovi rinvigorire l'azione nel
paese con una propaganda orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista dei
movimenti che la destra si adopera a cancellare senza strepiti».
Nell'agosto 1911, disgustato «dallo spettacolo della compagine parlamentare socialista», accettò
l'invito di Alfredo Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà Bissolati e nel 1915 aderirà
al fronte patriottico) e fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di recarsi in
Estremo Oriente per studiare un particolare sistema locale di lavorazione del truciolo, che si voleva
introdurre in Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il giro del mondo senza quasi far
giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912 l’ “Avanti!” pubblicava una sua lettera da
Manila. Nel 1913, a campagna elettorale già iniziata, era ancora all'estero e il 29 agosto il giornale
cattolico torinese “Il Momento” ne approfittò per accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di
viaggiare per interesse, smentito da Bertesi che sul “Grido del Popolo” disse che viaggiava senza
diaria ma col semplice rimborso delle spese vive.
Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle critiche che gli potevano essere mosse, scrisse
a Torino chiedendo di non essere più candidato: «Non è che io desideri ritirarmi dalla vita pubblica.
L'incarico del deputato, ora che il Gruppo parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in
sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a piacermi. Ma si tratta di ben altro, si
tratta dell'interesse del partito danneggiato dalla mia lunga assenza... dalla parvenza che io avrei
di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente per raccattare un'indennità”
Ma la sezione torinese rispose che aveva già cominciato la campagna elettorale sul suo nome e
ne attendeva con impazienza l'arrivo. Egli giunse a Torino il 15 agosto accolto trionfalmente. Nel
discorso di saluto disse: "C'è stata nel passato una deviazione verso destra, perciò è bene che il
partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di un proletariato il quale comprende
che il fine del socialismo è al di là delle riforme e delle stesse battaglie, anche grandiose, delle
organizzazioni operaie". Nell'ottobre venne rieletto nel tradizionale secondo collegio anche per la
XXIV legislatura.
Morgari era partito dall'Italia poco prima dell'inizio dell'impresa libica, restando quindi estraneo alla
lotta politica interna al PSI che travolse la dirigenza riformista coinvolta dal rapporto con Giolitti e
portò, al Congresso di Reggio Emilia del 1912, alla direzione degli "intransigenti" Giovanni Lerda,
Costantino Lazzari, Giacinto Serrati, Benito Mussolini.
Salvemini così gli scrisse rievocando le cause della sua uscita dal PSI "Per la primavera e l'estate
del 1911 io feci la Cassandra inascoltata, cercando di eccitare i dormienti per Tripoli. Mentre
ferveva la campagna nazionalista l' “Avanti!” taceva. Quando l'inerzia del Partito, i cui capi
dormivano sulle ginocchia di Giolitti, ebbe preparato via libera all'impresa e la guerra parve
ineluttabile, solo allora l'Avanti! cominciò a protestare disordinatamente e incoerentemente. E fu
inscenato uno sciopero generale buffonesco, che si sapeva non sarebbe riuscito. Questa
commedia mi tolse il velo dagli occhi. Sentii l'abisso morale di uomini in cui avrei voluto sempre
vedere non solo maestri di idee, ma modelli di carattere. E feci fagotto"173
Dieci anni prima, nell'aprile 1902, Morgari era stato a Tripoli in missione esplorativa e alla partenza
conservarsi il carattere di sovversivo sul terreno sociale, dico la lotta di classe, per limitarsi a
domandare in tono melenso amichevolmente le riforme alla benigna condiscendenza delle classi
dirigenti e del governo”.
aveva confidato al console generale Scaniglia "il concetto complessivo che mi sono formato della
Tripolitania è che è di molto superiore all'Eritrea; che è parzialmente colonizzabile, ma non è tale
da offrire larghissimo sbocco alla nostra emigrazione; salva la pregiudiziale delle terre incolte
d'Italia che aspettano braccia e capitali, ed ammessa per un momento l'utilità di un'occupazione,
bisognerebbe limitarla alla costa"174
I colleghi vollero riaffidargli l’incarico di segretario del Gruppo, e in tale veste al Congresso di
Ancona del 1914 nella seduta del 28 aprile relazionò sull'attività del GPS. La relazione scritta era
divisa in due parti, la prima si riferiva alla forza interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti
can gli altri organismi del Partito, che furono definiti cordiali “vuoi nelle questioni di massima, vuoi
nei quotidiani rapporti fra Segretariati”, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche parlamentari) e la
seconda alla sua operosità (nella quale veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il
contributo del Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all'attività parlamentare).
Sulla sua relazione presero la parola ”… tra gli altri: ”Niccolini che dichiarò degna di elogi l'attività
del Gruppo parlamentare, ma raccomandò nello stesso tempo ai deputati a non limitarsi ad una
cura assidua degli interessi locali, ma ad assumere la cura collettiva dei collegi …, Franco sulla
necessità di frequenti viaggi dei deputati socialisti settentrionali nelle regioni del Mezzogiorno nelle
quali i pubblici poteri rispettavano soltanto coloro che erano protetti dall’immunità parlamentare …
Ercole che accusò il Gruppo parlamentare di avere, in occasione di una recente agitazione di
ferrovieri, favorito la Federazione gialla a scapito. del Sindacato, ecc.” Rispose ai vari interventi
trattando in particolare della vertenza dei ferrovieri a proposito della quale espresse l'augurio. che i
lavoratori della categoria in primo luogo si unifichino. e poi in secondo luogo unifichino se stessi col
resto del proletariato». Furono votati all'unanimità quattro OdG di approvazione in vario grado
dell’operato del GPS 175
Riconfermato segretario del gruppo parlamentare, era membro di diritto della direzione - unico a
non far parte della maggioranza intransigente - con Lazzari segretario e Mussolini direttore dell'
“Avanti!”.
Con quest’ultimo iniziarono a incrinarsi i rapporti all’interno della direzione: in occasione della
Settimana Rossa Mussolini aveva assunto posizioni personali non concordate col segretario e con
la direzione che avevano dato luogo a critiche, ma nella Direzione del 28-30 giugno, con le sole
astensioni di Morgari e Balabanoff, gli venne riconfermata la fiducia, in considerazione del
successo dell'Avanti e del suo aumentato peso politico.
15. Lo scoppio della guerra
Ai congressi dell’Internazionale il dibattito sulle misure da prendere per impedire la guerra diveniva
sempre più frequente in corrispondenza all’aggravarsi della situazione internazionale e vedeva
impegnati i grandi leaders europei: Huysmans, Jaurès, Vaillant, Keir Hardie. Il PSI per chiusura
173
Lettera del 1.9.1913, in G.Salvemini, Carteggio 1912-14, Bari, 1984, pag. 392
174
Documenti Diplomatici Italiani, 3. serie, vol. iv, doc.419; nel 1905 sul “Sempre Avanti!”
aveva auspicato un intervento dell'Italia in Libia, che gli fu poi rinfacciato.
175
F.Pedone “Il PSI attreverso i suoi congressi”, vol.2, cit
provinciale partecipò marginalmente al dibattito sull’imperialismo (se si esclude qualche intervento
di Lerda176 e di pochi altri) e i leaders preferivano non recarsi personalmente ai congressi ma
inviavano generalmente Morgari, che finì per assumere la funzione di “ministro degli esteri”
Al congresso di Copenaghen del 1910 Morgari aveva presentato una mozione che invitava i partiti
socialisti aventi rappresentanza parlamentare a proporre alle rispettive Camere una riduzione degli
armamenti: la richiesta avrebbe dovuto essere appoggiata da dimostrazioni popolari. Tale mozione
era stata respinta e nè al congresso di Basilea del 1912, né a quello straordinario del 1914
vennero deliberate misure concrete contro la guerra. Alla riunione tenuta il 23-24 ottobre 1911 a
Zurigo, intervenne dicendo che “l’aggressione italiana alla Turchia sarebbe stata fronteggiata dalla
classe operaia con lo sciopero generale”177
Nel 1914 il congresso dell'Internazionale era previsto per l'ultima settimana di agosto; ma quando il
23 luglio l'Austria rivolse l'ultimatum alla Serbia, il Bureau Socialiste International (BSI) convocò la
riunione a Bruxelles il 29 e 30 luglio quando già le truppe austro-ungariche avevano passato il
confine serbo.
Al meeting che si tenne la sera del 29 luglio al Cirque Royal parlò anche Morgari, facendo appello
ai valori comuni, alla classe operaia, alla razza umana tutta intera. Nel clima di forte tensione del
momento le parole furono patetiche, commoventi, ma la riunione si concluse con un nulla di fatto.
Poi Jaurès venne ucciso, le dichiarazioni di guerra si susseguirono. I deputati socialisti francesi
votarono per i crediti di guerra e altrettanto, quando già era in atto l'invasione del Belgio, fece la
socialdemocrazia tedesca.
Il 27 luglio si era tenuta a Milano presso l “'Avanti!” una riunione del gruppo parlamentare con
l'intervento di 28 deputati (poco più della metà) presieduta da Morgari con la partecipazione di
Mussolini e Ratti per la Direzione, che si chiuse con una mozione che oltre a reclamare la
“immediata convocazione della Camera al fine di chiedere al governo dichiarazioni impegnative...di
neutralità assoluta” e a reclamare la rapida riunione dell'IOS, invitava i lavoratori a “manifestare la
loro ostilità alla guerra e a tenersi pronti per quelle più energiche misure che il partito intendesse
adottare in vista degli avvenimenti”178
La Direzione del Partito allargata alla Confederazione del lavoro, Federterra, Sindacati Gente di
mare e Ferrovieri si riunì nuovamente a Milano il 3 agosto per sentire Morgari e Balabanoff che
riferirono sulla riunione dell’Internazionale (BSI) a Bruxelles cui avevano partecipato. La sera del 4
agosto ad un comizio a Milano cui erano accorse 40.000 persone, prese la parola con Lazzari,
Della Seta, e De Ambris (per l'USI). All'assemblea del 9 e del 19 settembre della sezione socialista
milanese Mussolini e Morgari raccolsero la grande maggioranza per la tesi della neutralità
assoluta179
Alla Direzione del PSI a Bologna il 19-22 ottobre si aprì un contenzioso con Mussolini che
176
G.Are “La scoperta dell'imperialismo. Il dibattito nella cultura italiana del primo novecento”,
Roma, 1985 M.Degli Innocenti “Il socialismo italiano e la guerra di Libia”, Roma, 1976
177
C.Pinzani “Jaurès, l’internazionale e la guerra”, Bari, 1970
178
“Avanti!” 28.7.1914 e Ambrosoli, cit , pag. 323
179
L.Valiani “Il PSI nel periodo della neutralità. 1914-15”, Milano, 1963, pag. 40
proponeva la formula della “neutralità attiva e operante” invece della neutralità assoluta che era la
posizione assunta dal Partito. Dopo una giornata di discussioni per evitare la crisi, Lazzari, Bacci,
Della Seta e Morgari vennero incaricati di preparare un manifesto che conciliasse le posizioni, ma
Mussolini rifiutò la mediazione; sulla questione Morgari rilasciò un’intervista180, cui rispose
Mussolini con una lettera pubblicata due giorni dopo.
16. L'incontro di Lugano (1914)
Il Partito Socialista Italiano e la socialdemocrazia svizzera, pur tra incertezze, rimasero le sole
organizzazioni socialiste a battersi per la rinascita dell'Internazionale e a mantenere fino in fondo
una decisa opposizione alla guerra.
Questo era il fine per cui il 27 settembre 1914 una delegazione del PSI incontrò a Lugano alcuni
socialisti svizzeri. Erano presenti per l'Italia: Armuzzi, Balabanoff, De Falco, Lazzari, Modigliani,
Morgari, Ratti, Musatti, Serrati, Turati.
I convenuti esaminarono la situazione creata dalla guerra e valutarono ciò che si poteva fare per
abbreviarne il corso. In quella sede venne decisa la convocazione di un congresso da tenersi in
Svizzera entro breve tempo: su questo punto tutti furono d'accordo. I problemi sorsero invece
sull'ampiezza da assegnare alla conferenza.
I congressisti desideravano infatti farvi partecipare anche i membri dei paesi belligeranti: Grimm
propose un incontro dei vari partiti socialisti allo scopo di riconciliare la socialdemocrazia tedesca
con il Partito Socialista Francese. La Balabanoff, Turati e Modigliani approvarono, Morgari ebbe
dei dubbi: riteneva i due punti di vista troppo divergenti perché potessero giungere ad un accordo
Venne anche presa in esame la situazione del BSI ormai paralizzato dalla guerra: si propose di
trasportarne la sede in Svizzera o di affidare al comitato direttivo del partito socialista svizzero i
compiti del Bureau stesso. Ci si rese però conto che la conferenza di Lugano era priva di poteri,
soprattutto in merito a questioni di così vasta portata. Si temette inoltre che il BSI potesse credersi
illegalmente spogliato delle sue funzioni. Grimm suggerì la costituzione di una «Centrale
d'Information Mutuelle», una specie di agenzia destinata a durare quanto la guerra, con il compito
di provvedere agli affari correnti, e di preparare il terreno per una futura riconciliazione. Morgari
propose di costituire un bureau provvisorio dell'Internazionale la cui costituzione, sempre per non
urtare il BSI, avrebbe dovuto essere adottata in una mozione separata.
Alla fine la proposta di Modigliani, approvata contro quella di Morgari che proponeva di rompere
definitivamente con l'ormai inefficiente Bureau residente in Belgio e di istituire un nuovo Ufficio
internazionale provvisorio con sede in Svizzera, incaricava il Partito socialdemocratico svizzero e il
Partito Socialista Italiano di riprendere i contatti con il B.S.I. onde ristabilire le funzioni
I partecipanti alla riunione si separarono con l'impegno di coordinare i loro sforzi e di non rivelare
nulla di ciò che vi era stato dibattuto. Poiché la riunione, che doveva rimanere segreta, era
divenuta di dominio pubblico, al termine della giornata venne elaborato un comunicato in forma di
appello, che fu poi largamente diffuso dalla stampa socialista europea.
180
O.M., “Avanti!” 25.10.1914: “Mussolini parve a tutti noi che fosse venuto a Bologna con la
ferma intenzione di non andare d’accordo con la Direzione: perché un uomo della sua intelligenza
non poteva supporre che 13 persone che sono a dirigere un partito di quasi 60.000 uomini,
avessero potuto da un momento all’altro cambiare opinione…solo perchè uno solo, per quanto
apprezzabilissimo, era in un nuovo ordine d’idee”
Le iniziative auspicate dalla mozione Modigliani si svilupparono pochi mesi dopo. Per l'esecuzione
del mandato di Lugano, infatti, la Direzione del PSI e il direttivo del Gruppo parlamentare
socialista, nella riunione tenuta a Firenze dal 16 al 18 gennaio del 1915, incaricavano Oddino
Morgari, nonostante questi nel convegno di Lugano si fosse decisamente espresso per la
soppressione del vecchio B.S.I., di prendere contatti con i partiti socialisti dei paesi europei
belligeranti e neutrali.
Nel gennaio 1915 si tenne a Copenaghen una conferenza dei partiti socialisti scandinavi e
olandesi. Egli annunciò la sua partecipazione approfittando di una tournée europea che doveva
compiere come collaboratore dell'«Avanti!». Parti quindi per la Danimarca ma non vi partecipò,
affermando di non essere giunto in tempo, ma successivamente, il 18 febbraio, dirà al Comitato
Direttivo del Partito socialista svizzero di non aver preso parte alla Conferenza di Copenaghen sia
perché aveva inteso che la Svizzera non avrebbe inviato delegati, sia perché Grimm lo aveva
informato che vi potevano essere sospetti di influenze tedesche sulla conferenza.
L'incontro di Copenaghen ebbe scarso successo. I partecipanti non furono numerosi e, forse per
timore di creare attriti, trattarono solo argomenti secondari e si limitarono a chiedere al BSI la
convocazione di una conferenza non appena possibile e comunque prima dell'inizio delle trattative
di pace.
17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna
Il suo compito era di raccogliere informazioni, effettuare sondaggi presso i vari partiti per rendersi
conto delle reali loro disposizioni verso la promozione della pace e il risveglio dell'Internazionale. Il
mandato era abbastanza elastico e anche l'itinerario non era ben precisato. Lo scopo principale,
era quello di gettare le basi su cui realizzare il programma di Lugano, e cioè: trasferimento del
Bureau in un paese neutro (di preferenza la Svizzera) e convocazione urgente di una conferenza
dei partiti socialisti dei paesi non belligeranti. Prima di partire, in febbraio, Morgari si recò in
Svizzera ad esporre gli obiettivi del suo viaggio e chiese di essere accompagnato nella sua
missione da un delegato del locale Partito socialista. Gli svizzeri decisero di affidargli invece un
messaggio scritto, copia del quale venne inviata al BSI e ai partiti affiliati prima ancora della sua
partenza. Ma per una serie di circostanze egli non potè partire che ad aprile e in quei due mesi
varie situazioni erano evolute o cambiate.
In una serie di articoli dal titolo Che cosa fare?, apparsi sull' “Avanti!” dal 20 al 22 aprile 1915,
Morgari espresse il suo punto di vista sulla necessità improrogabile della convocazione di una
conferenza internazionale socialista. Dopo aver giustificato i socialisti che avevano aderito alla
guerra in quanto «l'opinione che il proletariato debba associarsi alla difesa della patria circola da
tempo nelle file socialiste, è stata apertamente affermata in molteplici occasioni, nella stampa e nei
parlamenti, e non fu mai sconfessata esplicitamente dai congressi», si rivolgeva all'Esecutivo
dell'Internazionale: «A questo BSI noi rivolgiamo un caldo appello ad uscire dal suo presente stato
di aspettazione ed a riunire senz'altro l'Internazionale».
A Parigi chiese la convocazione di una conferenza internazionale al presidente del B.S.I.
Vandervelde, che non solo rifiutò di convocarla, ma dichiarò che avrebbe impedito agli stessi
svizzeri ed italiani di farlo. Dal canto suo Morgari lo accusò di tenere in ostaggio l'Internazionale, e
il colloquio ebbe toni drammatici. L' “Avanti!” pubblicò la relazione di Morgari sul viaggio a Parigi e
Vandervelde reagì cercando di modificare la propria posizione: ma Morgari replicò che se le parole
potevano non essere esatte, la sostanza era quella da lui indicata: francesi e belgi non volevano
venire in contatto con i tedeschi ed erano per la, guerra a fondo contro il militarismo germanico
Naturalmente i gruppi socialisti dissidenti che vedevano nell'iniziativa italo-svizzera una rinascita
dello spirito internazionalistico accolsero Morgari a braccia aperte. A Parigi strinse rapporti con
Martov e Trotskij , il quale con la sua penna satirica ne traccia questo pungente ritratto: “Morgari ha
una natura d'artista: è un politico e uno psicologo. I tratti del suo viso giovanile recano il segno di
un carattere bonario ed indulgente ... rimprovera al marxismo la mancanza di realismo, riconosce
nella Storia la "molteplicità" dei fattori e tenta di arrivare ad una concezione "integrale", sia nella
pratica che nella teoria. L'integralismo significa, in realtà, uno sforzo per giungere ad un eclettismo
"armonioso" ... Sulla terrazza di un caffè di uno dei grandi boulevards, avemmo una conversazione
con Morgari e alcuni deputati socialisti che per ragioni non molto chiare si consideravano di
sinistra. Sinché il colloquio non andò al di là delle proclamazioni pacifiste e della ripetizione di
luoghi comuni sulla necessità di ristabilire le relazioni internazionali, le cose andarono abbastanza
bene. Ma quando Morgari, con tono drammatico da cospiratore, cominciò a parlare della necessità
di procurarci falsi passaporti per andare in Svizzera (era evidente che l'aspetto "carbonaro" della
faccenda lo attraeva) i signori deputati fecero il muso, e uno di loro si affrettò a chiamare il
cameriere e a pagare le consumazioni. Sulla terrazza aleggiava il fantasma di Molière, forse anche
quello di Rabelais; la cosa non andò oltre.“181
Tuttavia, se il programma di Lugano era inaccettabile per il socialismo ufficiale, per i dissidenti
risultava insufficiente. Essi infatti obiettavano che se si trattava di far cessare la guerra una
conferenza di neutri sarebbe stata inutile. A loro avviso si dovevano invece adunare i dissidenti, gli
elementi di opposizione che nei paesi belligeranti si erano dichiarati contro la guerra e contro la
politica di union sacrée. Al termine dei colloqui parigini Morgari aderì a quest'idea e, tornato in
Italia, la espose alla Direzione tenuta a Bologna il 15 e 16 maggio 1915 che la adottò; i socialisti
italiani decisero così, ignorando gli organi ufficiali dei partiti, di convocare singoli o gruppi socialisti
e sindacali di qualsiasi natura, scelti secondo le convinzioni e appartenenti sia a paesi neutri, sia a
paesi belligeranti.
Pochi giorni dopo si recò a Berna per elaborare con Grimm la realizzazione del progetto
all’insaputa del Partito socialista svizzero. Infatti, mentre il PSI aveva votato a Bologna la
decisione, assai più avanzata rispetto alle posizioni di Lugano, di convocare le minoranze, il Partito
svizzero rimase legato all'idea di convocare soltanto i neutri.
Per questo il PSI trovò come interlocutore attivo non già il comitato centrale del Partito socialista
svizzero, ma Grimm, che aveva assunto una posizione analoga a quella italiana. E solo più tardi, in
novembre, al Congresso di Aarau il Partito socialista svizzero approverà l'operato di Grimm.
L'11 luglio Morgari e la Balabanoff incontrarono a Berna in una riunione preliminare: Zinoviev (per i
boscevichi), Aksel'rod (per i menscevichi), Warski e Waleki (polacchi) e Grimm. Dei partecipanti,
però, solo Morgari e la Balabanoff erano venuti dall'estero con un mandato ufficiale; tutti gli altri
erano già in Svizzera come rifugiati. Fu a questa conferenza che si fissò lo scopo e il carattere del
convegno da tenersi in settembre. Esso «non avrebbe avuto per nulla come scopo la creazione di
una nuova Internazionale, ma il suo scopo sarebbe stato piuttosto di richiamare il proletariato a
un'azione comune per la pace, di creare un centro d'azione e di cercare di ricondurre la classe
operaia alla sua missione storica».
181
L.Trotskij “La mia vita”
18. Nel Paese in guerra (1915-16)
In occasione delle "radiose giornate" del maggio 1915 a Torino la pressione della base operaia
spinse la sezione cittadina, assai dubbiosa pur essendo diretta dagli intransigenti, a proclamare lo
sciopero per il 15. Nell'occasione Morgari non era presente perchè a Bologna con Buozzi e
Pastore. La tensione cresceva da settimane e la giornata si concluse con un pesante bilancio: 14
feriti e un morto tra i dimostranti, occupazione della Casa del popolo da parte dell'esercito, arresto
di esponenti sindacali e politici, che caratterizzano la situazione più grave verificatasi in Italia alla
vigilia dell'entrata in guerra. Rientrato a Torino, con Casalini e Quaglino girò “4 o 5 ore per tutta la
città per persuadere gli scioperanti a riprendere il lavoro". Mentre i componenti della Commissione
Esecutiva della Sezione torinese sono arrestati e rimangono in carcere più di tre mesi, funziona
una C.E. provvisoria, di cui fa parte anche Morgari, che a luglio viene sostituita con elezioni che
vedono contrapposte due liste; in quella intransigente, con Barberis, Boero, ecc., si colloca
Morgari.
Pacifismo e internazionalismo erano aspirazioni sincere che espresse in articoli, manifestazioni,
comizi e nei due discorsi che tenne alla Camera, ma non poteva dimenticare che molti in Italia, tra i
quali gli irredentisti del Trentino e della Venezia Giulia, avevano voluto la guerra per motivi
patriottici e ideali. Né poteva dimenticare la «Lettera aperta» che Cesare Battisti aveva inviato un
anno prima182
Una crisi lo colpirà alcuni mesi più tardi, quando il sentimento mazziniano e risorgimentale
prenderà il sopravvento sulle convinzioni antimilitariste. E’ del mese di dicembre 1915, infatti, la
polemica sorta intorno alla frase «ti invidio» scritta da Morgari al suo amico Plinio Gherardini,
arruolatesi volontario; si parlò allora di un suo prossimo arruolamento tra i garibaldini di Francia. La
notizia, smentita dall’ “Avanti!” e dal “Grido”, fu poi confermata dallo stesso interessato in una
lettera a Lazzari del 25 dicembre, mettendolo in connessione con il particolare momento: «un
periodo nel quale ancora mi pareva possibile conciliare due cose opposte: l'antimilitarismo e il
fucile, quando cioè procuravo di convincermi che - dopo fatto ogni sforzo per impedire lo scoppio
della guerra, dal punto di vista degli interessi generali e dei nostri principi - un socialista potesse,
senza contraddizione seguire il proprio temperamento appena scoppiata la guerra, in base al
motto: "cosa fatta capo ha"».
Ulteriore conferma troviamo nel discorso pronunciato alla Camera il 1 luglio 1916, che si apriva
con la confessione della propria crisi: «persino chi parla ebbe negli inizi un momento di esitanza e
pregò un collega, che è su questi banchi, di tenergli in serbo una camicia rossa»183 La guerra non
182
“La Stampa” 27.9.1914. La lettera è stata riprodotta in C. Battisti: Scritti politici e sociali,
Firenze, 1966, p. 470-476. In essa Battisti in risposta all'affermazione dell'indifferenza delle masse
operaie italiane d'Austria per l'irredentismo sottolineava lo stato d'oppressione in cui l'AustriaUngheria teneva le sue nazionalità, il che ne avrebbe sicuramente determinato lo sfacelo a seguito
della guerra, il gravissimo malessere, materiale e morale del Trentino, e il fatto che gli italiani
d'Austria già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una causa che detestavano, e
scriveva: «Invano io ho cercato sino ad ora sull'Avanti! " e negli altri periodici socialisti le ragioni
pratiche, tangibili della neutralità adatta a persuadere anche chi non ha dimestichezza con Engels
e con Marx. Vi ho trovate lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta di classe,
disquisizioni che mi hanno fatto l'effetto di un predicozzo sulle cause della miseria a chi, avendo
fame, chiede pane e lavoro».
183
Atti parlamentari, Camera del deputati, tornata del 1. luglio 1916. Il collega è il
era considerata unilateralmente come un «portato degli interessi economici delle classi dirigenti»,
ma anche come esigenza di «cause ideali, sdegni generosi, fedi sincere». Fu anche profetico: "se
abbattiamo la Germania essa coverà la sua rivincita, la coverà 20 anni ma la farà" e insiste sullo
scarso interesse a "annettere rupi trentine e caverne del Carso",184.
Il discorso gli procurò i feroci attacchi dell'«Idea Nazionale» e gli elogi dei giovani socialisti tra cui
quello di Gramsci. Serrati, nell'introduzione alla pubblicazione sull'Avanti, pur dissentendo «sia
per ciò che si riferisce alle origini e alle cause della guerra, sia per quanto riguarda la condotta
della guerra e sia anche e soprattutto quanto ha tratto ai rimedi democratici contro la guerra», lo
elogiò in quanto «coraggiosissimo».
19. Da Zimmerwald a Kienthal
Il 5 settembre 1915 la conferenza venne finalmente convocata, nonostante la tenace opposizione
del presidente dell'Internazionale e l'ostilità dei socialpatrioti. Fu scelta Zimmerwald, un paesino
della Svizzera. L'”Avanti!” scrisse: «Gli sforzi entusiastici del nostro Morgari - che gli scettici
deridevano e i cattivi calunniavano - sono stati coronati da pieno successo»
Le convocazioni per Zimmerwald vennero fatte segretamente e la Conferenza si svolse
all'insaputa di tutti, governo svizzero compreso.
A Zimmerwald convennero 38 delegati di 11 paesi: le delegazioni ufficiali dei partiti socialisti di
Polonia, Italia, Bulgaria, Romania e Svizzera e i rappresentanti dei gruppi di opposizione di
Germania, Francia, Olanda, Svezia e Norvegia. Il partito socialdemocratico serbo, che pure aveva
dichiarato la propria neutralità, non potè inviare il proprio rappresentante per la mancata
concessione del passaporto al delegato. Dei russi in esilio, parteciparono Lenin, Zinoviev, Axelrod
e Trotzki. Per l'Italia vi partecipò la delegazione del PSI e del GPS, composta da Costantino
Lazzari, Angelica Balabanof, Modigliani, Serrati e Morgari.
Trotsky nella sua autobiografia descrive così la partenza dei congressisti da Berna per
Zimmerwald:« Noi ci pigiammo in quattro carrozze e salimmo verso la montagna. La gente
guardava con curiosità quella strana carovana. I delegati scherzavano sul fatto che mezzo secolo
dopo la costituzione della prima Internazionale tutti gli internazionalisti trovavano posto in quattro
carrozze. Ma nello scherzo non c'era alcuno scetticismo. Accade molte volte che il filo della storia
si strappi. Allora bisogna annodarlo. E fu quello che si fece a Zimmerwald».
Fin dalle prime battute i delegati si divisero in «destra» e «sinistra». La prima, composta dalla
maggioranza dei convenuti, sebbene intransigente nella condanna della guerra, confessava
ancora fiducia nella Internazionale. La sinistra, invece, riteneva che l'unione sacra e la politica
dilatoria del B.S.I. l’avessero definitivamente squalificata, e poneva il problema della
trasformazione della guerra militare in guerra civile sviluppando le deliberazioni del congresso di
repubblicano Eugenio Chiesa
184
«non parlo dal punto di vista socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda, ma
unilaterale. La interpretazione materialista della storia spiega sempre ad un modo il fenomeno
della guerra. Per essa la guerra è sempre il portato degli interessi economici delle classi dirigenti.
Ogni guerra altro non è che una bassa e criminosa manovra del capitalismo. Vi è del vero in
questa tesi, ma non vi è tutta la verità».
Basilea. Il «Manifesto», che non intendeva ripudiare la 2. Internazionale ma cercava di mutarne la
direzione e si pronunciava contro la guerra addossandone la responsabilità alla cupidigia
imperialistica di tutti i paesi belligeranti, in Italia fu stampato alla macchia e l'«Avanti!» lo pubblicò a
dispetto della censura il 14 ottobre grazie a un'abile manovra del direttore Serrati.
A Zimmerwald, nella firma del manifesto conclusivo, Morgari rivelò non poche perplessità, in
quanto non si sentiva di avallare le affermazioni unilaterali sulle cause della guerra185 persuaso che
la sua impostazione oscurasse le ragioni di coloro che avevano combattuto la guerra non per
interessi economici ma unicamente per motivi morali
Morgari sintetizzò la portata de convegno in un'intervista rilasciata al giornale “La Sera”, in cui
affermava che «l'atto pratico di Zimmerwald è quello di aver compiuto il nostro dovere di socialisti,
che era di riunirci internazionalmente ed esprimere una parola concertata nei riguardi della guerra.
Ma nello stesso tempo pur volendo sfuggire alle responsabilità di questa guerra, noi non diciamo ai
soldati o di fuggire o di non sparare”
La Conferenza costituì anche una «Commissione socialista internazionale» con il compito di
«facilitare le relazioni fra i partiti socialisti» e di «informare le organizzazioni aderenti sugli
avvenimenti e lo svolgimento della lotta per la pace». A farne parte furono chiamati Grimm, Naine,
Morgari e la Balabanoff (in veste di traduttrice). La commissione lavorò attivamente nonostante
l'entrata in guerra dell'Italia, ma i risultati furono scarsi. Ciò non impedì ai giornali borghesi di
sviluppare una vasta campagna di stampa contro i socialisti italiani accusati di svolgere, all'interno
della Commissione di Berna, attività antimilitare e antipatriottica.
Nel febbraio 1916, in una riunione internazionale tenutasi a Berna e promossa dal PSI, venne
decisa una nuova conferenza che si tenne poi a Kienthal dal 24 al 30 aprile. I punti più importanti
all'ordine del giorno della conferenza erano: la battaglia per la fine della guerra, l'attitudine del
proletariato verso i problemi della pace, la questione della convocazione del BSI a l'Aja.
Per l'Italia, con Lazzari, Prampolini, Modigliani, Musatti, Dugoni e Serrati vi partecipò anche
Morgari. In essa vennero riaffermati i principi contenuti nel manifesto di Zimmerwald, pur
apparendo i termini del nuovo manifesto più decisi. Nel testo programmatico che ad esso si
accompagna, venne stabilita, in 14 punti, la condotta che il proletariato doveva adottare di fronte
alla guerra e, fatto nuovo, la lotta per la pace fu identificata con la lotta rivoluzionaria per il
socialismo. I testi di Kienthal furono votati all'unanimità dai partecipanti alla conferenza. Anche se i
gruppi presenti a Kienthal erano sostanzialmente quelli di Zimmerwald, i delegati furono molto più
numerosi e ciò nonostante le autorità di alcuni paesi belligeranti avessero ostacolato la
partecipazione non rilasciando i passaporti. A Kienthal si registrò anche un netto spostamento a
sinistra. Lenin non si trovò più isolato. Dopo due anni di guerra, i delegati di Kienthal non parlarono
più di «pace senza annessioni e senza indennità” ma di «conquista dei governi e della proprietà
capitalistica per parte dei popoli” e aggiunsero: «la pace duratura sarà il frutto del socialismo
trionfante».
Il manifesto di Kienthal venne giudicato non sufficientemente rivoluzionario dalla sinistra, mentre la
destra ritenne troppo assolute e pessimistiche alcune affermazioni. In questa «destra » si inquadra
anche Morgari che formulò un emendamento votato anche da Modigliani, Prampolini, Dugoni,
Musatti. Votarono le tesi senza riserve Serrati e Balabanoff.
185
A. Balabanoff: “Ricordi di una socialista”, Roma, 1946, p. 104 «Tutto ad un tratto dallo
scanno occupato dalla delegazione italiana, si sentì un " non posso votare ". Era il delegato italiano
Morgari, che già all'esordio della lettura del manifesto aveva fatto segni di diniego.
Benché la condanna della guerra risultasse molto più dura e circostanziata rispetto a Zimmerwald,
il rapporto ufficiale concluse con un generico invito all'azione delle masse.
20. La Missione Ford. Stoccolma
È nella mancanza di linearità con le tesi di Zimmerwald e di Kienthal che va inquadrata la sua
singolare partecipazione alla Missione Ford. L'industriale americano Henry Ford186 aveva
intrapreso una campagna per il ritorno della pace in Europa fondando una istituzione che,
abbondantemente finanziata e composta di elementi danesi e svedesi , aveva la sua sede a
Stoccolma. Ford intendeva mostrare la superiorità morale del capitalismo americano che non era
costretto favorire le guerre per realizzare profitti ma poteva legittimarsi moralmente e politicamente
attraverso il coinvolgimento nei consumi delle masse popolari. Non su cannoni, ma su automobili e
su oggetti di consumo era in grado di puntare l'industria americana.
Morgari fu colpito da questo capitalismo che sapeva coniugare le esigenze del profitto con quelle
della socialità e della pace, e questa posizione di apertura ad un certo tipo di imprenditoria ebbe
sviluppi nell'immediato dopoguerra con la collaborazione con Giovanni Agnelli e l'industriale tessile
Franco Marinotti nel tentativo di stabilire rapporti economici con la Russia sovietica.
Ford aveva inviato il proprio segretario a Berna per scegliere una commissione svizzera per il
parlamentino pacifista che avrebbe dovuto sedere in permanenza a Stoccolma. Fu a Berna che
agli inizi del 1916 Morgari conobbe, tramite il vecchio internazionalista Enrico Bignami, il segretario
di Ford. Invitato da quest'ultimo a far parte della commissione permanente della Missione, si
consigliò con Grimm, Balabanoff, Serrati, Lazzari e Vella. Vi si oppone la sola Balabanoff, gli altri
considerarono possibile l'opera di Morgari purché svolta a titolo personale, senza alcun
mandato.
Nel resoconto del viaggio di Morgari, l'“Avanti!” insiste nel presentare la sua partecipazione alla
Missione come un' iniziativa personale, escludendo ogni copertura diretta del partito, che
ufficialmente non poteva essere data, basandosi la Missione Ford esclusivamente sul contributo
finanziario di un capitalista. L'autonomia della iniziativa è riconosciuta dallo stesso Morgari in una
lettera a Serrati del 15 giugno 1917: «Più volte mi scrivesti per invitarmi ad inviare articoli, notizie.
Ma sai come la penso. Invadere l'Avanti! con quelle tesi - posto pure che tu lo concedessi sarebbe un abusare dell'ospitalità politica, e un tentar di scuotere la discreta e sufficiente
concordia odierna del partito. Scrivere senza avanzare tesi non vorrei. Notizie non ne ho; ne ho
186
Così l' “Avanti!” del 23.7.1917:"Nel marzo de1 1916 a Berna l'on. Morgari conobbe per il
tramite del vecchio internazionalista Enrico Bignami il segretario del pacifista Enrico Ford
......Ford è un uomo speciale, entusiasta, ingenuo, che in un convegno con Wilson aveva
dichiarato di essere disposto a dare tutto il suo patrimonio (750 milioni) per abbreviare d'un
giorno la guerra. Aveva qualificato la guerra degli Stati Uniti contro il Messico come un episodio di
pirateria capitalistica, usando, inconsapevolmente, un linguaggio quasi marxista. Invitato da una
pacifista ungherese, si decide a fare una spedizione in Europa per determinare una pressione
dei neutri per por fine alla guerra. Morgari pensa che sarà possibile dare un contenuto concreto a
questa attività ideologica e sterile di per sé . Zimmerwald disponendo di sole tremila lire ha fatto
un lavoro enorme: cosa potrebbe fare se disponesse di maggiori mezzi? ......Egli voleva proporre a
Ford di assegnare 50 milioni per fare attraverso 10 quotidiani opera antibellica, per rafforzare le
minoranze antiguerraiole, per spezzare l'anello di ferro che le polizie e le censure aveva stretto
attorno a Zimmerwald...."
meno di te, che leggi o fai leggere giornali in più lingue »187 In una nota editoriale da attribuire a
Serrati premessa al suo articolo Le due Vittorie apparso su “Scintilla” e poi sull’”Avanti!”, si legge:
«Bella utopia, quella di ricercare nel mondo tutti gli uomini buoni e generosi e stringerli in un fascio
di forze operanti contro la barbarie della guerra. Tanto bella questa utopia che quando noi abbiamo
visto Morgari tutto preso da questo nobile sogno, non ci siamo sentiti di dissuaderlo e, pur
dissentendo, lo abbiamo quasi incoraggiato a correre pellegrino di pace per il mondo alla ricerca
degli uomini buoni......Mentre il pacifismo largamente umanitario di Morgari conduce logicamente
alla cessazione o, quanto meno, alla attenuazione della lotta di classe, il nostro determinismo
economico ci chiama invece ad accentuare l'azione indipendente ed autonoma del proletariato nei
confronti di tutti i dominanti »188. Morgari quindi accettò l'offerta del segretario di Ford tacitamente
confortato dal consenso dei compagni e nel maggio del 1916 intraprese il viaggio per Stoccolma.
Della Missione Ford faceva parte anche Hermann Greulich, che il 17 maggio 1915 aveva
presentato alla direzione del PSI il sig. Nathan, latore da parte di pacifisti americani di offerte
finanziarie categoricamente rifiutate dallo stesso Morgari, a nome della direzione del partito, in un
colloquio avuto a Bologna con il pacifista americano. Fu allora che la stampa antisocialista e
interventista vide nelle offerte di Nathan al PSI il denaro tedesco e identificò in Greulich un agente
del governo imperiale. Memore di tale polemica, Morgari invitò Greulich a dimettersi da membro
della commissione permanente della Missione Ford, per fugare ogni possibile equivoco sulle reali
intenzioni della Missione.
Il parlamentino costituito da Ford a Stoccolma rivestiva particolare importanza per Morgari, dopo i
numerosi tentativi falliti; per questo, incurante del vespaio di critiche suscitato sulla stampa italiana,
egli divenne uno dei maggiori attori della iniziativa pacifista. A suo giudizio il problema essenziale
per il momento, al di fuori di ogni problematica rivoluzionaria, era quello esclusivo di salvare la
pace, anche se tutto ciò comportava collaborazione con un capitalista. Ai delegati della Missione
Ford Morgari presentò un Plan d'une grande campagne mondiale pour la paix prochaine et
definitive, preventivamente discusso dal gruppo scandinavo della Missione il 24 settembre 1916 e
presentato nel novembre a tutti i componenti. Stilato con la meticolosità che gli era propria, si
articolava in 78 punti ed era basato sul contributo finanziario di cinquanta milioni di dollari da parte
di Ford. Prevedeva una campagna mondiale per la pace, della durata di 5 anni, sostenuta da
quotidiani, cartelloni, cinema, propagandisti distribuiti in tutti i paesi. Si articolava in tre fasi di
sviluppo: 1) «Avant l'armistice», per avvicinarlo e influenzare i negoziati preparatori; 2) «Pendant
l'armistice», per influire sulle condizioni del trattato di pace; 3) «Après la paix», per vincere quelle
forze che si opponevano a una completa instaurazione dei diritti delle genti. Il piano prevedeva
anche la fondazione di un quotidiano mondiale, pubblicato in tre lingue, e l’adozione di una lingua
mondiale, l’Esperanto189 - di cui Morgari fu un discreto conoscitore e attivo divulgatore - per influire
più facilmente e uniformemente sull’educazione dei popoli al pacifismo. Ma non se ne fece nulla:
Ford in armonia con l'atteggiamento del governo americano che aveva deciso l'intervento a favore
dell'Intesa, annunciò che non aveva più fiducia nella buona volontà di pace dei dirigenti tedeschi e
sciolse definitivamente la sua missione il giorno della rottura dei rapporti diplomatici tra Germania e
Stati Uniti (2 febbraio 1917).
Il viaggio di Morgari provocò sulla stampa sarcasmi e accuse di ingenuità se non di connivenza
col nemico. Iniziò l' “Idea nazionale” il 13 ottobre 1916, seguita dal “Corriere della Sera” del 3
giugno 1917 che così commentava: ”L’importante è che l’affare si concluda subito per merito suo,
187
Istituto Gramsci, Archivio Serrati, viii/83-83 bis
188
O.Morgari Le due Vittorie ”Avanti!”, 6.11.1917
così il socialismo intasca in moneta elettorale il prezzo della mediazione. Sua Eccellenza Morgari
ha l’anima di un viceplenipotenziario di Federico II o di Maria Teresa», e dal “Giornale d'Italia” del 7
luglio. Morgari esprimerà la sua delusione per il fallimento della Missione in un'intervista rilasciata
alla stampa pochi giorni dopo il suo rientro in Italia. “L'Avanti!” non commentò: a giustificazione
riportò una relazione letta a suo tempo da Morgari alla sezione di Torino. Il carattere borghese
dell'iniziativa di Stoccolma è sottolineato dalle dure parole di critica che “Il Grido del Popolo”
scrisse sull'iniziativa di Morgari: «Noi che abbiamo solo fiducia nella lotta di classe e non crediamo
né alla efficacia, né alla sincerità di alcun pacifismo borghese, saremmo mortificatissimi di aver
perso tre mesi di tempo in collaborazione con un qualsiasi Ford, presso qualsiasi governo, presso
una qualsiasi conferenza che non fosse stata una conferenza di socialisti internazionalisti" .
Rimase tutto l'inverno in Svezia; fallita la Missione Ford, in primavera partì per l'Olanda. All'Aja si
fermò per circa due mesi cercando di mettersi in contatto con Huysmans, per spingerlo a
convocare un congresso per la pace, ma Huysmans fu irremovibile, e qui era stato raggiunto da un
telegramma di Lazzari che lo pregava di raggiungere Pietrogrado per prendere contatti con i
rivoluzionari russi e inviare notizie precise all' “Avanti!”.
Tentò di recarsi in Russia attraverso la Scandinavia, ma inutilmente, a causa delle restrizioni degli
imbarchi per la guerra in corso. Ne diede notizia egli stesso in una lettera a Serrati, in data 15
giugno 1917, dall'Aja: «Rimpatrio. Dopo quasi due mesi di pratiche per ottenere il rimpatrio
traverso il territorio anglofrancese, ottenutolo infine il 21 aprile, ricevo il telegramma di Lazzari
incaricantemi di recarmi in Russia. Pensa quanto siffatto incarico mi lusingasse e corrispondesse
al mio sentimento. Non profittai del permesso con pericolo di vederlo decadere e insieme a un
compagno esiliato russo e ad un organizzatore che conosce i porti olandesi come tu l’Avanti!, feci
ricerche per trovare imbarco alla volta della Scandinavia. Dopo oltre un mese di vane pratiche,
rinuncio »190 . Così nel luglio 1917 rientrò in Italia.
Morgari non potè partecipare alla conferenza di Stoccolma. L'avvento al potere dei bolscevichi
determinò il ritiro della delegazione russa dal comitato di Stoccolma e contribuì alla disgregazione
del movimento zimmerwaldista, la cui crisi era già manifesta dalla metà del 1917. Morgari,
costretto in Olanda dalla guerra, non partecipò ai lavori preparatori né alle sedute della terza
conferenza di Zimmerwald.
21. Nel Paese in guerra (1917-18)
Rientrato in Italia a luglio da Stoccolma, ricevette con Romita e Serrati il 13 agosto 1917 alla Casa
del popolo di Torino i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano compiendo un giro di
propaganda noi paesi dell'Intesa. Si tenne anche un comizio affollatissimo, il primo dall'inizio della
guerra.
189
Morgari scrisse l'opuscolo La più internazionale delle internazionali, pubblicato nel 1915,
apparso a puntate anche sull' “Avanti!” dal 19 al 26 agosto. La «questione esperantista» suscitò
polemiche vivaci in campo socialista, con Gramsci avverso alla diffusione di una lingua unica
internazionale come mezzo per facilitare i rapporti internazionali e far comunicare gli operai dei
diversi paesi. «Le spinte linguistiche avvengono solo dal basso in alto; i libri poco influiscono sui
cambiamenti delle parlate: i libri fanno opera di regolarizzazione, di conservazione delle forme
linguistiche più diffuse e più antiche». Di conseguenza i socialisti dovevano opporsi ai sostenitori
dell'esperanto, preoccupandosi soltanto dell'«avvento del collettivismo e dell'Internazionale» i quali
soltanto avrebbero potuto portare a un «conguagliamento delle lingue ario-europee».
Il 22 agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato dalla carenza di generi alimentari, che
assunse subito carattere politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra. La sera stessa la
sezione di Torino telefonò a Morgari chiedendogli di precipitarsi a Torino. Dalla testimonianza resa
al processo per i moti dell'agosto dal segretario della CdL Dalberto, egli si mise in contatto prima
con Rigola a Biella che rifiutò di intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini in vacanza e Morgari
a Roma, perchè rientrassero. II giorno dopo giungeva nella città trasformata in un campo di
battaglia. Queste iniziative saranno considerate dal Tribunale Militare conferme dell’ipotesi che
Morgari era uno dei promotori dell'insurrezione.
Nella notte tra sabato e domenica furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni esecutive
della sezione socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e parecchi altri compagni tra i
più noti, che decisero di affidare ai deputati socialisti torinesi (Casalini, De Giovanni, Morgari) il
compito di funzionare da direttivo provvisorio. La sera del 23 con Romita e il corrispondente dell'
“Avanti!” Leo Galetto ebbe un colloquio col prefetto, il quale assicurò poi Roma telefonicamente
che Morgari “pare animato da buone intenzioni”. Il 26 presentarono per il visto al Comando del
Corpo d'Armata, che aveva assunto la tutela dell'ordine pubblico, il seguente manifesto:"Lavoratori
Torinesi: l'inefficienza del Governo Centrale, l'ignavia dell' Amministrazione cittadina, le
provocazioni indicibili del potere politico locale, vi hanno fatto scattare unanimi in un movimento di
sciopero generale, meraviglioso, forte, ammonitore ed esemplare. Scoppiato per la mancanza del
pane, esso si è subito tramutato in una decisa manifestazione contro la guerra, che tanti lutti ha
seminato e tanto sdegno suscita in ogni animo, in tutti i paesi. La forza brutale dello stato
borghese, la incoscienza da parte dei proletari vestiti in divisa, la dolorosa impreparazione della
nostra organizzazione ad una azione risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare lunedì al
lavoro. Non è consiglio di viltà quello che vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che
190
Questo il resto della lettera «Mi trovo 'imbottigliato' in Olanda. Quale italiano non posso
traversare la Germania. Quale zimmerwaldiano e pacifista, non l'Inghilterra e la Francia. Una
pratica avviata da questo nostro R° Ministro con i due ambasciatori dell'Aja attraverso Sonnino non
ha dato ancora alcun frutto decisivo. Avrei potuto rimpatriare facendo un giro lungo, per la Spagna
o... per New York ma dal 1° febbraio, cioè dall'inizio della guerra sottomarina rinforzata, nessun
piroscafo per passeggeri è più partito dall'Olanda. La Germania pretende che non tocchino
l'Inghilterra, questa pretende di visitarli in un porto inglese e le negoziazioni durano da due mesi,
né se ne vede la fine. Resta libero - per modo di dire - un ' canale ' che dall'Olanda, teoricamente,
conduce in Scandinavia: largo 20 miglia, con campo di mine inglese a destra e tedesco a sinistra,
qualche cannonata per sbaglio e sottomarini tedeschi di guardia che, se visitano la nave che mi
porta ... mi portano prigioniero in Germania. Non è tutto. Occorre essere accettato a bordo, e di
regola i cittadini dei paesi belligeranti sono respinti. Ma supponiamo che io sia riuscito a sbarcare
in Scandinavia. Mi si permetterà l'ingresso in Russia? Il governo provvisorio è ... interventista
quanto l'inglese e il francese. Non si esigerà come di regola un visto italiano precedente? E questo
mi sarà concesso? Vero è che io mi recherei laggiù tuttaltro che per consigliare una pace separata.
Mai la chiedemmo in Italia. Noi vogliamo la pace tutta, non un miserabile ritirarsi d'uno dei
combattenti che, tradendo gli alleati, mette al sicuro la pancia. Ma chi sa queste cose? Noi tutti
passiamo per germanofili, quando non per venduti. (Aggiungi che una pace separata russotedesca porterebbe a questo, che gli Imperi Centrali, vittoriosi, accetterebbero più tardi l'invito che
la borghesia russa loro farebbe di accorrere a salvarla dalla marea socialista. Ne conseguirebbe lo
schiacciamento dei nostri, la sostituzione della repubblica con un nuovo tzarismo moderatamente
costituzionale e una nuova Santa Alleanza, a parte poi il trionfo del militarismo e dell'imperialismo
nelle loro forme più brute). In breve io raccomanderei di riprendere la proposta Wilson senza
cessar di combattere. Tornando a noi tenterò questo viaggio...»
non solo questo grandioso movimento proletario torinese sia avvertimento serio e definitivo al
governo monarchico borghese, perchè cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi anche a
tutti i proletari d'Italia ed all'Internazionale il dovere di una più intensa e definitiva preparazione.
Torniamo al lavoro, o compagni, ma torniamo colla coscienza di aver compiuto un atto coraggioso
degno e fecondo senza dedizioni e senza rinunzie. E’ stato sparso sangue proletario, ma non
invano. Salutiamo le vittime con una promessa di prossima, preparata rivincita. Salutiamole al
grido: "Viva lo sciopero generale. Viva la pace. Abbasso la guerra!"
E poichè il nulla osta fu negato, consegnano il 27 al generale Sartirana il testo di un nuovo
manifesto assai più moderato e breve: “Ai lavoratori torinesi Compagni! Avendo accettato di
rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti eventi non possono regolarmente
funzionare....crediamo nostro dovere avvertirvi che le nostre organizzazioni hanno delberato di
invitarvi a riprendere il lavoro lunedì corrente. Mandiamo intanto un riverente saluto alle vittime
cadute con quella fede che rimarrà intatta nei nostri cuori”.
Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si registrarono una più vigorosa opposizione alla guerra e
anche alcuni atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare di bolscevizzazione e di
«pericolo di un sabotamento proletario della guerra». Materiale di propaganda socialista
internazionalista e pacifista veniva distribuito clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le
truppe al fronte grazie «alle cassette di munizioni, sul cui fondo si nascondono dei manifesti
sediziosi» Le autorità militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui andavano
ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.
“noi siamo un partito che è costruito da trent’anni e da trent’anni combattiamo la guerra....c’è il
patriottismo dei signori che crede possa la gloria e il benessere della patria realizzarsi solo
nell’espansionismo e vi è il patriottismo della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e la
gloria della patria nello sviluppo interno delle risorse interne,. La guerra è il vero sabotaggio della
guerra. Voi sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi che imperversa”.191
Il 21 dicembre 1917 presentò alla Camera un Od.G : «La Camera invita il Governo a rivolgere alle
potenze alleate, nemiche e neutrali una proposta di pace generale e di riordinamento della
convivenza internazionale basata sull'abolizione del diritto di dichiarare Ia guerra, finora
riconosciuto negli stati dal costume politico e dalle convenzioni interne». Dopo il suo discorso alla
Camera, come già nel 1916, Morgari fu sommerso di lettere, in parte anche di lode, soprattutto da
militari al fronte o vedove di guerra. Anche Gramsci192 e Serrati scrissero a Morgari per
congratularsi con lui. Discorso che passa per "vergognosamete leninista" e contro il quale
protesteranno numerosi professori, da Mosca a Loria. Nell'esaltazione della rivoluzione russa “che
innalza la più grande bandiera che abbia mai sventolato sulla faccia della terra” “Lenin non tiene
abbastanza conto della difficoltà di trasformare bruscamente una società individualista in una
collettivista, sebbene tale trasformazione sia facilitata in Russia dal fondo mistico della razza slava
e ancor più dal fatto che quel paese è uscito da poco dal comunismo primitivo della terra ....Lenin
ha fretta, vuole trasformare il suo Paese in una enorme società cooperativa di produzione e di
consumo...”.
Il 1918 iniziò con una ventata di reazione antisocialista. Il 24 gennaio il governo ordinò l'arresto del
segretario politico del P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il loro atteggiamento «in
191
192
“Avanti!”, 10.11.1917
A nome della sezione socialista torinese, in una lettera datata Torino 29.12.1917
evidente contrasto con le necessità della difesa nazionale». Già nel 1915 Lazzari aveva chiesto a
Morgari di sostituirlo qualora fosse stato arrestato. Lo sostituì ma tenne la carica per poco: il 18
giugno dello stesso anno diede le dimissioni. Era anche segretario del gruppo parlamentare e il
dissidio fra questo e la direzione rendeva difficile la sua posizione. Come al solito riassunse il suo
pensiero in una circolare.193
22. La Commissione di informazione e di azione internazionale
Circa un anno dopo il suo rientro dal Nord, Morgari riprese la sua attività, come incaricato del
partito all'estero, partecipando al congresso del Partito socialista francese. Nella riunione del 30
settembre 1918 la direzione del PSI aveva deliberato che Morgari e Alessandri portassero il saluto
e la solidarietà dei socialisti italiani al congresso del Partito socialista francese, che si tenne a
Parigi dal 6 al 9 ottobre 1918.
In tale occasione, approfittando della presenza di molti delegati stranieri e della vittoria al
Congresso dei "minoritari" fu composta una «Commissione socialista di informazioni e di azione
internazionale». La Commissione, dopo alcune sedute preparatorie tenute da Morgari con il
bolscevico Kemerer e con altri delegati francesi e serbi nelle giornate dell'11-13 ottobre, venne
ufficialmente approvata il 14 nel corso di una riunione negli uffici del Populaire, cui parteciparono il
segretario Frossard, Longuet, Loriot, Paul Faure, Rappoport, ecc; gli italiani Morgari, Alessandri e
Rubino, segretario della sezione socialista italiana in Parigi, oltre a russi, serbi e greci
La nuova Commissione aveva il compito di creare un centro d'informazione e di azione a
disposizione delle correnti di sinistra (internazionalisti, intransigenti, zimmerwaldiani) dei paesi
dell'Europa occidentale e dell'America, in considerazione del fatto che «la censura dell'Intesa era
riuscita ad innalzare un'insuperabile 'muraglia cinese' fra l'Europa occidentale (Italia, Francia,
Inghilterra, Spagna, Portogallo) e il rimanente d'Europa (Imperi Centrali, Russia, Svizzera, Balcani,
Scandinavia), muraglia che durerà ancora a lungo per impedire il propagarsi del bolscevismo
dall'Est d'Europa all'ovest».
La Commissione intendeva inoltre sostituirsi alla Commissione socialista internazionale costituita a
Zimmerwald - trasferitasi, nel frattempo, dalla Svizzera a Stoccolma e forzatamente inefficiente - e
al Bureau della II Internazionale «le cui funzioni, rispettose degli statuti e di tutte le correnti che si
agitano nel socialismo mondiale, non potevano essere che neutrali, e limitate a convocare
193
“Mi nominaste segretario del partito nello scorso febbraio per plausibili motivi:
1.Motivi tecnici: occorreva sostituire il posto lasciato vacante da Lazzari con persona
sperimentata, ed io ero in quanto segretario del gruppo Parlamentare da anni e come tale membro
della direzione de! Partito pure da anni;
2.Motivi politici, perchè la situazione faceva credere che una sola forma d’azione fosse
rimasta al partito, quella parlamentare, cosicché appariva utile che i due segretariati fossero, fin
quando quella situazione durava, riuniti nella stessa persona, ugualmente affiatata con i due
gruppi, a loro volta in quell’epoca sufficientemente d’accordo nell’unico programma di far fronte alla
guerra e alla reazione. L’unicità del segretariato permetteva alla Direzione di trasmettere nel
Gruppo, più direttamente ed efficacemente il proprio consiglio di energica tenace ed intransigente
battaglia .
imparzialmente i diversi partiti appena il Congresso internazionale sarà possibile».194
A Parigi patrocinò la proposta di convocare una conferenza zimmerwaldista a Roma, da
contrapporre alla conferenza interalleata di Londra alla quale la direzione del partito socialista
italiano aveva rifiutato di inviare propri rappresentanti. Morgari interpellò, a tal proposito, alcuni
membri della nuova direzione (ex minoritaria) del Partito socialista francese e della nuova
Commissione internazionale (tra i quali Longuet, Faure, Frossard) ma questi opposero un netto
rifiuto e gli mossero il rimprovero di non aver partecipato alla conferenza di Londra, dove i socialisti
italiani neutrali avrebbero potuto collaborare con i “minoritari”.
23. La Comune di Budapest
Dopo la sconfitta degli imperi centrali e l'abdicazione di Carlo d'Asburgo, il presidente provvisorio
3. Motivi di sicurezza, perché la minaccia di scioglimento e di arresto ne! partito e nella
direzione suggerivano l'espediente di garantire la continuazione di vita di quegli organismi con
l'usbergo della medaglia parlamentare, eleggendo a segretario un deputato e nominando un
comitato di nove deputati a prendere le redini del partito nel caso che la direzione fosse arrestata.
Senonché i rapporti tra il gruppo e la Direzione dopo d'allora mutarono, la mia posizione di
segretario unico divenne difficile e discutibile, specie a proposito di due vertenze: quella per la
partecipazione alle Commissioni governative pel dopo guerra e quella per una tattica parlamentare
per volgere verso la pace nella qua!e io stesso non mi trovai d'accordo con la direzione. Come
potevo continuare ad essere il portavoce della direzione nel gruppo o anche solo il trait-d'union,
ugualmente dai due lati benvisto, se in queste questioni di capitale importanza parteggiavo per il
gruppo direzionale? Avrei dovuto già allora dimettermi da segretario, ma me ne distolsero varie
ragioni: l'imminenza del congresso, l'arresto di Serrati, e quello probabile di Bombacci. La
neutralità dei rapporti personali il timore che a molti le mie dimissioni apparissero come un
ritirarsi da una carica pericolosa, l'inizio di un preoccupante spassionamento, la
coscienza di contribuire ad attutire i contrasti in un periodo in cui tutti auspicano che il partito
resti uno». Dichiarato che la situazione era tale da dimostrare l’impossibilità di un segretario
unico, proseguì: mi era parso da principio che lasci voi in un conflitto nel quale sono d'accordo con
voi e non col gruppo, ma già nella mia prima lettera ho spiegato che non mi sarei sentito l'animo di
sostenere il pensiero della direzione fino a scindere il gruppo e dimettermi anche da suo
segretario se il voto non fosse stato quello che fu. Se prima non mi fossi liberato dal sospetto che
su tanto mio attaccamento alla direzione influisse lo stipendio e il bisogno di assicurarmi le spalle
nel collegio..”. In altro parole sono venute a cessare le condizioni che resero possibile la mia
nomina nello scorso febbraio. Anche il pericolo è cessato, non per le singole persone ma per
gli eventi. Resta la difficoltà di sostituirmi nel posto, ma si può risolvere. In primo luogo
io mi sento inferiore al duplice mandato per esaurimento, stanchezza irrimediabili, ormai lo vedo.
Inoltre Bombacci ha dato prova di possedere tutte le doti di esperienza ingegno e carattere
necessarie per degnamente tenere le redini di un partito di proletari. Si risparmierebbe spesa e si
otterrebbe maggiore e più snella produzione affiancando il Bombacci con un giovane socialista
intelligente e svelto, messo a sua disposizione... Se poi Bombacci fosse arrestato la Direzione
esaminerebbe la nuova situazione nata»
194
In alcuni suoi appunti scrisse al riguardo: "Questa commissione fu costituita per principale
spinta dello scrivente… dopo riunioni preparatorie tenute nei giorni 11-12 e 13 ottobre tra Io
scrivenite, Kemerer e 3-4 francesi e serbi, il 14 ottobre la Commissione veniva costituita in
un'adunanza negli uffici del Populair.
dell'Ungheria Karolyi, di fronte alle crescenti difficoltà e nella speranza di attenuare l’ostilità delle
potenze vincitrici, aveva rassegnato le dimissioni affidando il potere al partito socialista nato dalla
fusione dei socialdemocratici col piccolo partito comunista fondato da Bela Kun. Così iI 21 marzo
del 1919 veniva proclamata a Budapest la Repubblica Ungherese dei Consigli.
In effetti l'Intesa mandò a Budapest un suo rappresentante col compito di trattare l'accordo di
pace. Fu un successo per il governo dei Consigli non solo in Ungheria (dove l'opinione pubblica lo
appoggiò in uno spirito di solidarietà nazionale) ma anche in Europa, alimentando l'interesse
intorno alla seconda rivoluzione socialista, attuata nel cuore dell’Europa.
Il successo e i consensi dei primi giorni di vita permisero al governo rivoluzionario di lavorare per
l'edificazione anche pratica del nuovo ordinamento sociale, economico e produttivo del paese,
esprimendosi con misure più massimaliste di quelle attuate in Russia: il 26 marzo fu decretata la
nazionalizzazione di tutti gli impianti industriali, minerari e di trasporto con più di venti operai, di
tutti i beni immobili e gli istituti finanziari; il 3 aprile si dichiarò il passaggio di tutte le proprietà
fondiarie a «proprietà dello Stato proletario senza alcuna indennità di riscatto». Quest'atto,
sebbene in linea con la dottrina marxista e soprattutto dettato dalla necessità di garantire la
continuità dei rifornimenti alimentari alla capitale e al fronte, rappresentava una delusione per quei
contadini poveri che avevano sperato nella ridistribuzione fondiaria e nel possesso della terra. Il
sistema delle «cooperative di produzione» , spesso amministrate dagli ex proprietari, non fu di fatto
accettato.
Frattanto l'Intesa favorì la creazione di governi controrivoluzionari e aiutò gli attacchi militari della
Romania e Cecoslovacchia. La sorte della repubblica dei Consigli sembrava già segnata quando
alla metà di aprile le truppe romene iniziano la loro offensiva militare se non fosse stato per la
mobilitazione popolare messa in atto dal governo rivoluzionario con la creazione di un' Armata
rossa a cui affluirono per spirito patriottico anche ex ufficiali ed elementi della “intellighenzia”.
I mesi di maggio e di giugno gli ungheresi recuperarono le posizioni perdute aprendo possibilità
per la sopravvivenza della repubblica dei Consigli che attendeva a brevissima scadenza lo scoppio
di una rivoluzione in tutto il bacino centro-europeo confortata dalle notizie provenienti dalla
Baviera e dalla ritenuta imminente saldatura delle truppe ungheresi con l'Armata rossa sul fronte
ucraino.
L'avvenimento suscitò viva impressione sulle masse popolari: la rivoluzione sembrava estendersi a
macchia d'olio In Italia, la Direzione del partito socialista il 19 marzo 1919 aveva votato un ordine
del giorno di adesione all’Internazionale Comunista; ora, dopo le novità provenienti dall'Ungheria e
dalla Baviera, il PSI nel manifesto del Primo Maggio rivolgeva un appello «La classe lavoratrice
dovrà infine affermare che è ormai animata da chiara coscienza della propria forza e dei propri
destini, che è pronta a raccogliere e seguire gli insegnamenti della Russia, dell'Ungheria, della
Baviera dove il potere politico ed economico è raccolto soltanto nelle mani di chi produce, di chi
lavora».
In Italia però le notizie giungevano confuse e allarmanti, la stampa socialista era costretta ora ad
accogliere ora a smentire le più clamorose invenzioni giornalistiche come quella della occupazione
Criteri: Attivita modesta ma immediatamente iniziata. La Commissione sarà composta di
personalità e non di delegati ufficiali per risparmiare tempo ma sopratutto per non mettere
nell'imbarazzo certi partiti (ad es. Il francese, nonostante la recente vittoria dei minoritari ). Si
chiederanno successivamente le ratifiche dei diversi partiti. Roma 8 gennaio 1919.
della capitale o della morte di Bela Kun.195
L’incertezza delle informazioni, l’esigenza di una presa di contatto diretta, il desiderio di
manifestare la solidarietà dei socialisti italiani stanno alle origini della missione affidata dalla
Direzione del Partito a Morgari che si trovava allora a Monaco di Baviera; vi si era recato dopo
aver inutilmente tentato di raggiungere Pietroburgo da Zurigo e da lì il 1. aprile aveva inviato un
messaggio a Mosca nel quale esprimeva la piena adesione del PSI all'Internazionale Comunista e
la solidarietà dei socialisti italiani al governo dei Soviet.196
Il 19 maggio giungeva 197 a Budapest pieno di curiosità e di interesse, disponibile all’entusiasmo,
ma insieme ansioso di registrare obiettivamente sulla base d’un rigoroso metodo «scientifico» e
«sperimentale» quanto avrebbe visto. La tattica consistente «nel registrare colle luci le ombre, le
lamentele, le deficienze, gli errori», spiegandone beninteso le cause, equivaleva ai suoi occhi «ad
aprire una scuola pratica ad uso dei proletariati che non hanno ancora fatto la loro rivoluzione.
Frequentando tale scuola, conoscendo ogni passo del calvario, salito dai fratelli che li
precedettero nella fatica gloriosa, apprenderanno ad imitare le cose buone, a prevedere
difficoltà, a prepararsi a vincerle e a non ripetere gli errori, almeno nella misura che le circostanze
permetteranno»
Il 25 maggio l' “Avanti!” con un servizio da Budapest dava notizia dell'arrivo del Morgari, della sua
visita al più grande complesso industriale della capitale, la Landmaschinen Fabrik, del suo incontro
con le truppe combattenti sul fronte nonché dei colloqui da lui avuti con Bela Kun, con Vilmos
Bòhm e con Gyula Alpàry.
La corrispondenza, negando le esagerazioni delle agenzie borghesi (la morte di Kun,
l’occupazione di Budapest, lo sciopero generale, la fame, il terrore), tendeva a dare un quadro
ottimistico della situazione: «Ieri visitammo con Morgari il fronte a nord-est di Budapest, arrivando
a un chilometro di distanza dalle posizioni ceche di Miskolcz, ove strisciammo a terra per
osservare le posizioni sotto il fischio delle cannonate. Miskolcz, fu presa nella notte stessa dagli
ungheresi, che fecero trecento prigionieri cechi e si impossessarono di trenta mitragliatrici...
Dovunque visitammo truppe riscontrammo grande entusiasmo. Tutti marciavano compatti, uniti,
sventolando bandiere rosse,cantando la Marsigliese e l’Internazionale, adornando cannoni,
automobili e treni con simboli rivoluzionari e accogliendo la nostra automobile con grida di evviva
all’Internazionale...Ad Harszay venne assalito dai soldati l’automobile dello Stato maggiore,
improvvisando una dimostrazione di simpatia. Un soldato parlò a nome del suo reggimento,
pregando i capi dell’esercito di salutare in loro nome il proletariato rimasto nelle fabbriche, nelle
officine e nei campi, raccomandandogli di lavorare tranquillamente all’interno, che essi, proletari in
195
Il 5 maggio l' “Avanti!” pubblicava una nota d'agenzia col titolo:«La fine del Governo
sovietista ungherese?». Il 9 maggio Genosse (Gustavo Sacerdote) informava sulle trattative di
armistizio con la Romania e smentiva recisamente l'occupazione di Budapest: «La notizia,
evidentemente, è falsa. Noi stiamo ancora in diretta comunicazione con Budapest ... L'esercito
rosso continua a battersi con accanimento».
196
La breve lettera di solidarietà “scritta su piccoli ritagli di carta come si faceva ai tempi
zaristi” fu citata da Lenin in un discorso tenuto a Mosca il 17 aprile: Lenin Sul movimento operaio
italiano, pag. 109
197
Fra Vienna e Budapest. La rivoluzione ungherese resiste, “Avanti!”, 20.5.1919.
divisa, faranno il proprio dovere alle frontiere» 198.
A Csòt Morgari si recò il 7 luglio per svolgere un’inchiesta sull’allontanamento della compagnia
italiana del 2. Battaglione balcanico. I 71 volontari italiani dell’esercito rosso erano stati accusati
dal comandante di depredazioni e internati a Csòt. Morgari, nella relazione inviata al Commissario
del Popolo per la guerra, affermò infondate le accuse rivolte ai volontari italiani e ne chiese
l’immediata liberazione. Fece visita anche alla missione militare italiana, l’unica dell’Intesa rimasta
a Budapest, comandata dal maggiore Romanelli199.
Questi giunse a chiedere i “buoni uffici” di Morgari per convincere Bela Kun a cedere il potere,
sotto la garanzia dell’Italia, in considerazione della tragica situazione in cui versava l’Ungheria, in
guerra con quasi tutti i suoi vicini e in previsione di un probabile intervento dell’Intesa. Sembrò, in
un primo momento, che Kun si manifestasse disposto ad accedere alle proposte del Romanelli. Ne
dà notizia un telegramma, spedito per corriere diplomatico il 26 maggio: «Delegazione di Budapest
informa che l’on. Morgari ora Budapest per seguire movimento bolscevico, avvisa nostra Missione
essere Bela Kun disposto cedere potere attuale e chiedere intervento Italia per garantire ordine.
Bela Kun domanda come Italia ricostituirebbe potere in Ungheria e se intervento Italia a Budapest
porterebbe conseguenza intervento altre truppe Intesa......se si potesse in qualche modo profittare
a vantaggio del nostro paese di questo... e prepararci ad una seria influenza nostra per dopo,
sarebbe certamente opportuno non perdere tempo»
Ma dopo il 24 giugno, in seguito all'opera di difensore dei contro-rivoluzionari da Romanelli svolta,
Morgari ruppe le relazioni con la Missione italiana tanto da rifiutare nei momenti della crisi della
«Comune» l'ospitalità e la protezione offertagli. Una polemica si sviluppò successivamente: il
“Corriere della Sera”, in polemica con l' “Avanti!” che aveva attaccato la Missione italiana
accusandola di correità con i controrivoluzionari, aveva scritto che Morgari doveva la sua
liberazione dai soldati bianchi a Romanelli, circostanza smentita dall'interessato. .
In una lettera a Kun scritta all'indomani del tentativo controrivoluzionario del 24 giugno quando
alcuni militari dell'Accademia Ludovica cannoneggiarono la sede del governo, consigliava di non
ricorrere alla pena di morte sia per non dare motivo alla Francia, cui era stato affidato il compito di
polizia dal trattato di armistizio, di intervenire, sia perché metodi feroci di repressione avrebbero
influito “sul buon nome della rivoluzione proletaria in occidente”, e soprattutto perchè «...se anche
fosse vero che col rinunciare al Terrore veniste incontro al voto dei compagni di destra, questa
sarebbe una ragione in più per rinunciarvi, perché così cementereste quell'unione fra le due
correnti del proletariato ungherese che è tanto necessaria e che è una delle ragioni di superiorità
della rivoluzione ungherese sulla russa ...L'obiezione più grave pare questa, che la
controrivoluzione del 24-25 corr. sia stato il frutto di un regime dittatoriale non severo” .
Concludeva suggerendo che “imprigionare molti ribelli e cospiratori borghesi equivale, come
efficacia, ad ucciderne alcuni. Minore l'intimidazione, ma in compenso maggiore la paralizzazione.
198
«Le menzogne della borghesia», siglato I. S., l'Avanti!', 26.5.1919
199
G.Romanelli,”Nell’Ungheria di Bela Kun e durante l’occupazione militare romena”. Udine,
1964, p. 69-73.; nuova edizione dell'Ufficio Storico Militare, Roma, 2002. “…sforzandoci di essere
quanto più possibile obiettivi ci avvenne che pur vedendo i fatti da un punto di vista completamente
opposto sovente ci trovavamo d’accordo nelle deduzioni…la mia impressione [è] che egli
perseguiva una finalità per convinzione, in buona fede ed onestamente, cercando o credendo di
giovare alle classi diseredate senza nascosti ed inconfessati scopi di lucro od ambizione
personale…”
Non crudeltà, non vendetta, ma difesa recando il minor dolore possibile.”
Davanti all'ultimatum di Clemenceau, che intima agli ungheresi di cessare le operazioni militari
contro i cechi e i romeni, Kun dovette cedere e far ritirare le truppe schierate su posizioni avanzate.
Questo gettò lo scompiglio nelle file dell'esercito rosso ungherese, facendone precipitare il morale
e la compattezza.
Il 1° agosto, mentre le truppe romene si apprestano a marciare su Budapest, con la capitale
accerchiata e con una controrivoluzione sempre più attiva all'interno, il Consiglio del governo
rivoluzionario si dimette, e il 18 novembre entrava in Budapest l'ammiraglio Horty instaurando un
regime controrivoluzionario.200 Entrati i romeni a Budapest tra il 7 e l'8 agosto, dopo aver assistito
«ad una atroce caccia all'uomo», era stato arrestato. Liberato, poi di nuovo arrestato altre due
volte, infine definitivamente liberato aveva lasciato l'Ungheria il 15 agosto.
Dopo due mesi trascorsi a Vienna, il 10 ottobre aveva ripreso la via dell'Italia. Ora ci si attendeva
che parlasse, che raccontasse quel che aveva visto. Ma preferiva tacere, anche a costo di lasciar
nascere supposizioni. Se prendeva la parola in pubblico, quanto all'Ungheria si manteneva sulle
generali e sorvolava sui punti più controversi 201
Da quanto possiamo desumere dalla lettera “ai Cari compagni della direzione del partito”,
l'esperimento comunista ungherese deluse fortemente Morgari, soprattutto perché la fine era stata
causata non tanto dalle forze esterne, quanto «dallo stesso voltafaccia della maggior parte dei
lavoratori». La lettera è un documento che ha un notevole valore politico e biografico. Dopo aver
premesso che «se il viaggio compiuto per vostro incarico e l'aver visto vivere e tragicamente perire
ben due Repubbliche dei Consigli, hanno modificato e temperato le mie antiche prevenzioni contro
la tattica bolscevica, non le hanno però annullate», riferendosi esplicitamente alle possibilità
rivoluzionarie che alcuni socialisti itaiani ritenevano esistenti in Italia e in altri paesi d'Europa nel
1919
Morgari scriveva: «Non ho fede nelle energie insurrezionali del proletariato in Italia e nel resto
d'Europa, la Russia esclusa, specie nei paesi usciti vittoriosi dalla guerra, nel presente stato
storico, né d'altra parte credo che la situazione politico-economica dei paesi vittoriosi è catastrofica
da condurre gli istituti borghesi, a cominciare da quello militare, ad uno sfasciamento che dia il
potere al proletariato non per la forza di questo, ma per il crollo avversario». Per quanto
concerneva specificamente l'Italia, egli riteneva pertanto che il PSI «dovrebbe guardare la verità
nel bianco degli occhi; riconoscere che esso non è ancora in grado di rovesciare le istituzioni
capitalistiche».
Le perplessità che la rivoluzione ungherese poteva suscitare nella base socialista erano sui metodi
che avevano caratterizzato la gestione del potere nel periodo di dittatura del proletariato. Per le
tradizioni pacifiste e non violente del socialismo italiano, l'argomento aveva una sua indubbia
200
Pezzi di colore ricavati da appunti scritti nel mese di maggio furono pubblicati dall’ “Avanti!”
il 4,5,10,15 agosto. Gli appunti autografi del ”Diario ungherese” (in ACS, Mostra Rivoluzione
Fascista, b. 130) vanno dal 10 giugno al 15 agosto ed alcuni estratti sono stati pubblicati da G.
Calciano, Appunti e documenti sull’attività internazionale di Oddino Morgari, “Rivista storica del
socialismo”, 1967, n. 32
201
Resoconto del comizio tenuto alla Casa del popolo nell'«Avanti!» edizione torinese,
19.11.1919, “Morgari parla in Borgo Vittoria”
consistenza e non lo si poteva accantonare tanto agevolmente. Il «socialismo» non poteva essere
costruito col «terrore»202: naturalmente si dava certo che le descrizioni propalate dalla stampa
borghese peccassero per eccesso e fossero viziate dalla precisa volontà di stravolgere fatti e
situazioni per spirito di parte. Ma il problema diventava allora sapere che cosa era veramente
successo, ricorrendo a testimonianze obiettive e sincere.
Fu solo il 22 dicembre, davanti a 72 deputati socialisti e a qualche altro compagno fra cui Serrati,
che finalmente ruppe il silenzio tenendo una lunga relazione di quel che aveva veduto e appreso in
Ungheria. Riferendone due giorni dopo l'«Avanti!»203 negò che le conclusioni fossero cosi
disastrose per i massimalisti da consigliare una sorta di censura. Morgari, al contrario, era stato
invitato a stendere una relazione scritta che sarebbe stata certamente diffusa «a meno che non vi
si oppongano ragioni di opportunità politica». Certo aveva sottolineato anche gli aspetti negativi e il
suggerimento che si poteva ricavare da quanto aveva detto era «la necessità d'una più stretta
intesa, onde gli avvenimenti non trovino impreparato il partito, per cui esso sia sorpassato e
sommerso da altri elementi, i quali, mossi solo da interessi o personali o di gruppo, non vedendo le
supreme necessità del movimento d'insieme, potrebbero compromettere cogli eccessi, il successo
di quella rivoluzione sociale, che è la finalità stessa del Partito socialista» .
Ma intanto altre versioni attribuivano al rapporto Morgari una intonazione ben più dura. A stare al
«Messaggero» Morgari avrebbe addirittura dichiarato che «la dittatura proletaria era passata come
una rapida devastazione, che l'attività dei comunisti di Ungheria era stata distruttiva e la
produzione nelle fabbriche era diminuita dal cinquanta al settantacinque per cento», che i contadini
s'erano rifiutati di approvvigionare le città, che la burocrazia, «nonostante il regime comunista, era
estremamente corrotta», che i funzionari bolscevichi «si arricchivano, compiendo, in nome del
governo, requisizioni a proprio vantaggio», che si erano commessi «atti di brutalità» senza
risparmiare «atti atroci di repressione»
All'assemblea del 17 febbraio 1920 della Sezione socialista milanese, Serrati sostenne che «noi
non abbiamo alcuna ragione per tenere nascosto quanto è avvenuto in Ungheria La rivoluzione è
quello che è, non si fa allegramente, è irta di difficoltà, di incognite, di aspri doveri». Proprio per
questo si poteva analizzare senza paura la rivoluzione ungherese, ben sapendo che al di là degli
errori o dei difetti essa sarebbe rimasta «una grande e gloriosa pagina di storia dell'Internazionale
comunista»
Ma Morgari preferiva tacere. E invano nel giugno 1920 la segreteria della SFIO sollecitava l'invio
d'una copia della sua ormai mitica relazione. La richiesta appariva anzi come conferma che aveva
fatto bene a non pubblicar nulla. Gli incitamenti e le esortazioni a farlo erano state numeroso, «ma
- eccettuato per parte di Serrati - sempre da destri o da avversari». Ora la richiesta dei socialisti
francesi aveva un analogo retroterra. «Vuol dire che si cercano armi contro il massimalismo dei
Loriot ecc». Morgari non voleva servire da arma di scissione. «Ora, né io potrei scrivere in un
202
Il deputato socialista Osvaldo Maffioli si trovava in Ungheria allo scoppio della rivoluzione.
Nel giugno aveva avuto un colloquio con Kun, cui non aveva risparmiato riserve sull'esperimento
di dittatura del proletariato realizzato in Ungheria. Il colloquio fu pubblicato con grande rilievo sul
«Secolo» del 22 giugno, a firma del giornalista Luciano Magrini, al quale Maffioli aveva fatto delle
confidenze. La pubblicità data da tutta la stampa provocò le ire disciplinari dell'«Avanti!», alle quali
Maffioli replicò il 27 luglio invocando il giudizio della sezione milanese e rinunciando alle cariche
che ricopriva. Morgari era presente al colloquio
203
“Avanti!”, 24 .12.1919, “Gli insegnamenti di una rivoluzione”.
rapporto la metà solamente delle cose vedute, né potrei scriverle tutte, ciò che varrebbe fornire
argomenti taglienti ai nemici del Partito e alla frazione di esso che non è quella alla cui fiducia
dovetti l'incarico del viaggio in Ungheria».
Ma non era solo questo il motivo di tanta resistenza. Al di là del dissenso, che pure aveva preso
forma, c'era un impegno di solidarietà al quale non si poteva mancare nei confronti di «quei
compagni di fede, ora tutti dispersi per il mondo o tragicamente periti» che avevano
generosamente dato vita all'esperimento d'Ungheria. Anche per questo il silenzio rimaneva,
nonostante tutto, la migliore consegna.
24. I viaggi in Russia e la sua ricostruzione conomica
Nel luglio 1922 era stato varato il «Comitato per le iniziative italo-russe», costituito tra alcuni dei
maggiori rappresentanti della grande industria ed esponenti autorevoli del socialismo riformista, cui
avevano dato la loro adesione tecnici come Alberto Beneduce.
Con Turati, Buozzi e D'Aragona si erano impegnati anche Baldesi. Morgari, Colombino, la Cgl e i
direttivi di federazioni operaie e di leghe cooperative che tentarono di stabilire un terreno di intesa
con gli industriali per contrastarne l’allineamento al movimento fascista e per ricostituire il blocco di
interessi del periodo giolittiano.
La carta era quella di favorire un'apertura alla penetrazione commerciale italiana sul mercato
sovietico che consentisse di alleviare il blocco delle esportazioni ma anche di alimentare canali di
rifornimento di materie prime svincolati dal monopolio dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.
In complesso, una grossa rappresentanza degli interessi del settore meccanico, della navigazione,
tessile e chimico dell’Italia settentrionale aveva raccolto l’invito. Mai come in quel momento era
parsa consistente la prospettiva di una convergenza reciproca fra industriali e sindacati. Ma questa
politica aveva degli antefatti: i riformisti avevano puntato le loro carte su Agnelli come l'unico in
grado di trascinare altri esponenti economici e di avere l'appoggio di Giolitti e che soprattutto era
andato inseguendo l'obiettivo di ripristinare i rapporti commerciali con la Russia fin dal 1920
quando emissari della Fiat avevano compiuti dei sondaggi con Krassin e altri agenti sovietici in
Europa. «Per Buozzi Agnelli è la maggior forza che si potesse avere con noi. È sicuramente il
grande industriale lungimirante capace di procedere per tre-quattro anni per raggiungere uno
scopo. Anche se collocasse in Russia migliaia di auto e camion senza un centesimo di profitto,
avrebbe convenienza ad alimentare l'industria. È un esportatore, unico a vendere nel mondo, ad
essere il più grande fabbricante di macchine»204
Finita la fase ascendente dell'ondata rivoluzionaria in Europa, il governo sovietico aveva espresso
agli ambienti economici occidentali la sua disponibilità per una ripresa delle esportazioni, secondo
lo spirito della Nep di recente inaugurata.
Morgari all'arrivo nel marzo 1921 di una missione commerciale russa conclusasi con la
sottoscrizione di un trattato commerciale provvisorio aveva ripreso le trattative per conto della Fiat
e poi, con il presidente del Consorzio operai metallurgici Colombino, era stato a Genova, a
sondare il terreno presso la delegazione sovietica alla Conferenza apertasi il 19 aprile.
Le forti riserve sollevate da destra e l'intervento del ministro degli Esteri in Consiglio dei ministri
204
Nota del 22.2.1921, Fondo Morgari, busta 3413, in ACS
erano valsi a rimettere in discussione la ratifica del trattato con la Russia già sottoscritto a Genova
il 24 maggio che comportava il riconoscimento dello stato sovietico cosicchè nell’estate si era
creato un vuoto politico, sebbene i rapporti tra la società italiana e il mondo russo si fossero infittiti:
l’Italia aveva risposto con grande slancio all’«appello contro la fame» lanciato da Maksim Gor’kij
per combattere gli effetti della terribile carestia che alla fine del 1921 aveva colpito molte regioni
della Russia. Il partito socialista aveva costituito il Comitato pro-Russia che all’inizio del 1922
aveva inviato nel Mar Nero l’«Amilcare Cipriani», con un carico di viveri e di medicinali.
Paradossalmente il rifiuto al riconoscimento della Russia finiva per rivalutare la presenza di
Morgari e dei suoi compagni nel Comitato perchè rimanevano valide le prospettive di natura
economica e commerciale. Proprio su questa base il presidente della Fiat aveva ritenuto opportuno
mantenere in vita il Comitato.
In queste condizioni però l'attività dei rappresentanti socialisti era destinata a scadere in un'opera
di pura e semplice mediazione commerciale in un momento in cui era mutato profondamente il
clima del Paese e si era andato chiarendo il carattere illusorio di prospettive di collaborazione fra
costituzionali e riformisti, cui non era servita nemmeno la scissione del partito socialista.
Morgari nel corso dell’estate aveva intessuto una fitta rete di corrispondenza con industriali,
cooperatori, autorità governative, per far decollare un progetto di colonizzazione agricola che
espose al primo congresso italo-orientale e coloniale, che si tenne a Trieste dal 12 al 15 settembre
1922, gettando un ponte fra la politica dei «grandi» e dei «piccoli» affari, invitando a considerare il
commercio italo-russo in funzione dell’importazione delle materie prime. Egli si riferì alla Russia
come all’unico paese che potesse salvare l’Italia dall’isolamento e dall’accerchiamento economico
e si propose per andare in Russia come ambasciatore di questa politica.
La sua perseveranza verrà premiata: alla fine del 1922. Agnelli e l'industriale milanese Marinotti 205
lo inviarono a Mosca, con l’incarico di essere il loro osservatore commerciale; anche se non era
ciò che Morgari aveva desiderato, qualora la Fiat avesse deciso di impegnarsi seriamente sul
mercato russo si sarebbe trattato pur sempre di un contributo alla «lotta contro il monopolio delle
grandi potenze industriali».
Egisto Pavirani, cooperatore e tecnico agrario socialista lo aveva seguito per studiare la
realizzazione di un progetto di colonizzazione italiana nella Russia meridionale. "Mussolini in
persona si espresse favorevolmente all’impresa col Baldini" scrisse Morgari206 a Pavirani prima che
questi, insieme a un compagno comunista delegato dal PcdI si recasse nella Russia meridionale
per ispezionare la concessione.
In sostanza, dileguatosi l'ottimismo iniziale circa un proficuo intervento in Russia di cooperative
agricole socialiste, del lungo lavoro portato avanti da Buozzi, D'Aragona e Turati, rimarrà in piedi
semplicemente il rapporto personale stabilito da Morgari con Agnelli, ma senza alcuna concreta
rispondenza alle volenterose aperture verso la grande industria per un rovesciamento dei suoi
orientamenti politici di fondo.
Le sue valutazioni sul regime sovietico variarono nel corso deli anni: nell’opuscolo “Che cosa
vogliono i socialisti unitari”, pubblicato nel 1923 condannò il regime russo, ponendolo sullo
stesso piano di quello fascista “oggigiorno in Russia, grazie al terrore, dominano ancora i
205
Franco Marinotti, 1891-1966, industriale tessile legato a Riccardo Gualino
206
"Diario di Mosca" Fondo Morgari, busta 3413, 16 nov.1922
comunisti ma di socialismo non c'è quasi più niente... Con la tattica della fretta non si ottiene altro
che di diffamare il socialismo».
Quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i comunisti, s'accenderà il dibattito sul
pacifismo socialista, fu il primo a far sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che, riteneva, per
la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione.
Nel 1936-37 soggiornò nell'URSS e in particolare in Crimea nel periodo delle "grandi purghe" e di
queste dette all'inizio un'interpretazione filostaliniana, cosa che non impedirà che gli venissero
confiscati al momento del rientro in Francia207 i materiali di studio costituiti da note e appunti che,
come sua consuetudine, egli diligentemente compilava e che erano custoditi in due valigie, per cui
non ci restano documenti su questo soggiorno.
25. Nel movimento antifascista in Italia e in Francia (1922-44)
Rieletto nel 1919 e nel 1921, pur avendo chiesto di non essere più candidato, come segretario del
gruppo parlamentare prospetta i pericoli della situazione politica e chiede la revisione della linea di
condotta del Partito. Il 2 agosto 1921 con Bacci, Zannerini, Musatti per il Gruppo Parlamentare e la
Direzione del PSI, Baldesi, Galli, Caporali per la CgdL, firma il patto di pacificazione con Mussolini,
De Vecchi, Giuriati nello studio del presidente della Camera De Nicola.
Nel dopoguerra la sua voce nei dibattiti interni del partito risuona sempre meno: non interviene ai
congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922), e nel
corso di quest'ultimo vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di
Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di
Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri.
Scrive nel 1923 l'opuscolo II Partito socialista unitario per illustrarne i princìpi; durante le elezioni
del 1924 raccoglie le prove delle violenze fasciste e documenta i brogli e il terrore delle camicie
nere nel pamphlet “La libertà di voto sotto il regime fascista”. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.)
della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU
sciolto all'indomani dell'attentato Zaniboni.
Nel 1926 ripara in Francia dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti
collabora alla ricostruzione dell'organizzazione che prende il nome di Partito socialista unitario del
lavoratori italiani (PSULI) e che in quel momento dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione),
mentre i massimalisti, più numerosi, ne avevano sette. L'impegno maggiore è quello di fondarne
altre nei più importanti centri dell'emigrazione e di far uscire l'organo di stampa "Rinascita
socialista", come si desume dalla Circolare sull'organizzazione che Morgari stila in data 1. maggio
1927
207
Episodio che rievocò anni dopo con toni molto critici sul “Nuovo Avanti”, 5.8.1939 ”Alla
ricerca della città del sole”, significativamente dopo la crisi con l’Urss e i partiti comunisti provocata
dal patto con Hitler
Il PSULI pur avendo un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti, poteva contare su
dirigenti di notorietà internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e delle
sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti
della ricostituita CgdL.
Collabora al «Corriere degli Italiani», fondato da "popolare" Luigi Donati, risiedendo presso la
redazione del giornale 208.
Il "Corriere degli Italiani", sposando posizioni alquanto critiche verso gli ambienti del fuoruscitismo
offrì il fianco alla provocazione fascista, ricevendo finanziamenti addirittura dall'Ambasciata
italiana: è questo, della eccessiva credulità, un aspetto della personalità del Morgari che si rivelò
pericoloso in un ambiente infiltrato di spie e provocatori quale quello dell'emigrazione antifascista
in Francia209.
Fece parte del "Comitato per l'azione in Italia" costituito nel 1928, e nel 1929 della "Commissione
per la propaganda in Italia", presiedute entrambe da De Ambris.
208
Così lo ricorderà Marzo (G.B.Canepa), in “Le cronache di una vita”, Genova, 1983, che,
costretto ad espatriare, era stato indirizzato a Morgari: “abitava con la moglie Sofia in una specie di
«dépendance» del giornale: un ammezzato composto di una cucina-soggiorno, e una camera da
letto attigua a un bugigattolo ricavato dal sottoscala che serviva da ripostiglio. Mi accolse con
grande affabilità…..Non solo, ma quando gli dissi ch'ero stato espulso dalla Francia e dunque che
sarebbe stato imprudente alloggiare in albergo, propose di sistemarmi in quel sottoscala, e io
subito accettai, senza preoccuparmi degli inconvenienti che avrebbero potuto verificarsi a causa
della coabitazione in un ambiente tanto ristretto…..I compiti che mi vennero assegnati erano fin
troppo modesti: di buon mattino m'affrettavo a compilare la rassegna stampa per i due direttori;
quindi dovevo riordinare gli appunti che Morgari aveva lasciato sul tavolo e ricopiarli per benino
perché poi, al suo arrivo, potesse più agevolmente correggerli e ampliarli. Questo lavoro di
copiatura dovevo ripeterlo più d'una volta, fino alla stesura finale dell'articolo: un lavoro manuale,
dunque, da semplice scrivano, ma lo facevo con grande scrupolo, pago della fiducia che m'era
stata accordata. Ed era una fiducia piena, perché quando Morgari doveva comunicare agli altri
membri della Concentrazione notizie o documenti riservati e importanti, a me soltanto veniva
affidato il compito di recapitarli. Mi si presentò così l'occasione di intrattenermi con personaggi
politici famosi: ad esempio con Gaetano Salvemini…..Nenni, Modigliani, Claudio Treves... Più
spesso però, e regolarmente, dovevo recarmi da Francesco Saverio Nitti, che …..m'incuteva un
rispetto pieno di deferenza. Cosicché ogni qual volta sosteneva una caduta del regime fascista, in
conseguenza dell'inevitabile crisi economica che ben presto avrebbe costretto Mussolini a
dimettersi, mi guardavo bene dal sollevare dei dubbi, ma l'ascoltavo come se fosse un oracolo. I
dubbi li sollevava poi Morgari che, quando gli riferivo quelle previsioni, si affrettava a smorzare il
mio entusiasmo dicendo che la caduta del fascismo basata esclusivamente su delle leggi
economiche, era opinabile, essendo le previsioni in tale materia il più delle volte destinate a restare
un pio desiderio. Morgari era un uomo di indubbio buon senso, e l'esperienza che feci nel periodo
in cui rimasi al suo fianco contribuì non poco a costituire il sustrato ideologico della mia futura vita
politica. E' dal suo insegnamento infatti che appresi a considerare l'anticlericalismo che mi
animava, e ch'era diffuso non solo nei repubblicani ma anche nei socialisti, un atteggiamento
destinato a ostacolare il conseguimento della pace sociale; e così pure il settarismo che avevo
riscontrato in tantissimi compagni quando ritenevano fascisti coloro che militavano in altri
partiti...Anche per questo suo insegnamento conservo il suo ricordo con particolare riconoscenza e
affetto.”
Nel 1930 al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio, che è anche il
congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala guidata da Nenni,
mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) è nominato segretario amministrativo
(segretario politico Ugo Coccia).210
Non risulta aver partecipato invece al 22. Congresso, tenuto Marsiglia nell'aprile 1933. Con il 193334 la vita politica europea subisce un'accelerazione cresente: in Germania arriva al potere Hitler e
viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello
scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d'azione
con i comunisti e dell'impegno in Spagna.
Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di discussione:
quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i comunisti, si accenderà il dibattito sul
pacifismo socialista, è il primo a far sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per
la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e propugna il
«disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.
E' Morgari a iniziare la discussione con due articoli sul "Fattore bellico nella politica
dell'antifascismo" pubblicati dal "Nuovo Avanti!” dell’aprile 1938, cui rispose Modigliani
richiamandosi alla tradizionale agitazione socialista, che con la politica del non intervento di Leon
209
A.Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari, 1953, pag. 18 ".il buon Oddino Morari il quale viveva
poveramente dormendo in una branda alla sede del "Corriere" era rimasto così candidamente
fanciullesco da condurre, ignaro, a visitare il giornale e gli archivi il viceconsole di Nizza, Spetia,
che era anche commissario di polizia"
210
Questo il ricordo di Vera Modigliani che lo frequentò negli anni ’30, in “Esili”, Milano, 1946
“Una grossa testa calva: appena una corona di capelli ancora scuri gl'incorniciava il basso della
nuca e discendeva sul collo forte. Aveva gli occhi vivi sotto le sopracciglia folte, quando,
raramente, li sollevava sull'interlocutore. Ma li teneva di preferenza abbassati, quasi a guardarsi
dentro, nell'anima, in quel lavorio d'introspezione, di autocritica ansiosa, che non lo abbandonava
mai e che faceva spesso di lui un esitante e talora un contraddittore di se stesso. Ho visto a volte
quegli occhi accendersi nell'ira e nello sdegno, ed allora anche la voce, che era di solito piana,
quasi sommessa, si levava in uno scatto, e le parole si rincorrevano affannose. Ed anche, ma di
rado, li ho visti illuminati da un sorriso. Un grosso naso dava a quel viso, che avrebbe potuto
sembrar severo, un’impronta di bonarietà. Una barbetta breve, appena grigia, gli copriva il mento.
Tutti i suoi atteggiamenti erano semplici, cortesi e improntati a un. desiderio di non mettersi in
mostra. Eppure non era modesto. Aveva precisa in sé la nozione del proprio valore, e quel suo fare
riservato, quasi ritroso, era dovuto forse al desiderio di veder chiaro in se stesso, di districarsi nel
numero infinito dei «pro e contro». L'ho visto, per ore e ore, assistere ai dibattiti delle riunioni,
quasi mai partecipandovi attivamente, apparentemente impassibile, con un immobilità di Budda,
l'eterna pipa nell'angolo delle labbra, sempre cogli occhi abbassati, prendendo instancabilmente,
su ritagli di carta, appunti ed appunti. (Minuta calligrafia di uomo che predilige il dettaglio…). era
un'anima mistica di un santo, ma un santo cosciente della propria santità….. Da giovane doveva
esser stato robusto e tarchiato: conservava ancora un po' quella sagoma. Ma ora gli abiti vecchi e
trasandati gli si afflosciavano sul corpo dimagrito. Aveva quasi sempre al fianco la sua Sofia, più
giovane di lui, ma anzi tempo appassita. La trattava come una bambina di scarso discernimento;
lei, però, sentiva la grandezza morale del suo Oddino e gli tributava un'assistenza se non sempre
riposante, sempre devota e premurosa.”
Blum strappa alla borghesia la bandiera del pacifismo integrale, che in Francia è un fatto di massa,
con radici profonde nella grande guerra, nella «rivolta umana contro la distruzione bestiale e la
morte a comando”
Ma e poi? chiede Morgari, che non rinnega il suo precedente pacifismo, ma ritiene antistorico
riproporre il cliché di un marxismo " unilaterale e semplicista", quando l'esperienza insegna che
"talune guerre hanno portato non reazione, ma libertà (…) La stessa guerra mondiale del 19141918 partorì la rivoluzione d'Ottobre e ben dieci repubbliche democratiche”
Gli interrogativi si affollano. E se la guerra scoppiasse mentre noi stiamo svolgendo il nostro
apostolato per la pace, cosa dovremmo fare? Continuare la nostra missione, come se niente
fosse, per l'emancipazione del proletariato e rifiutare di allinearci al blocco antifascista? Ma se
questo malauguratamente perdesse la partita e quindi di conseguenza il proletariato fosse
inabissato nella dittatura reazionaria per una o due generazioni? «Collaboriamo con le altre forze
progressive del mondo a scongiurare la nuova guerra europea, ma se è destino che si produca,
prepariamoci spiritualmente, tatticamente e organizzativamente a far si che questo nuovo
spaventoso delitto del fascismo si converta in una tomba per le camice nere, brune, verdi e di ogni
colore. Con tutti i mezzi, nessuno escluso!”
Al 23. Congresso (terzo dell'esilio) svoltosi a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937, un anno dopo la
vittoria del Fronte Popolare, è delegato della Federazione parigina. Nel corso del 1938 interviene
in comizi "unitari": parla, con Emilio Lussu per Giustizia e Libertà e Giuseppe Di Vittorio per il PCI,
il 5 aprile a Grenoble, e il 6, sempre con Lussu e con Giusppe Berti per il PCI, a Lione. Collabora al
periodico repubblicano "Problemi della rivoluzione italiana" 211
Nell'estate del 1939 il patto russo-tedesco mette in crisi l’alleanza fra PSI e PCI e la segreteria di
Nenni che ne era stata fautrice. In un’assemblea convocata nella sala di rue Meslay nell’ottobre
1939 prende la parola per chiedere le dimissioni di Nenni, che viene sostituito da un Comitato
composto da Morgari, Saragat e Tasca, con funzioni di segretari e di direttori del giornale212
Morgari in due articoli del marzo 1940 pubblicati dal “Nuovo Avanti!” dichiara di non aver rimorsi
per "aver stretta la mano pentita" che Mosca offriva nel 1934 e per aver polemizzato con
Modigliani Tasca e Faravelli a difesa dell'unità d'azione, perché quella politica corrispondeva alle
esperienze e agli ideali socialisti: difendere l'Urss, mantenere la pace, impedire la fascistizzazione
dell'Europa. Ma ora che Mosca con il "turpe abbraccio" con Hitler non lascia più dubbi sulle sue
intenzioni di scegliere la guerra per bolscevizzare l'Europa, egli non ha remore «a cancellare
risolutamente Stalin ed i suoi seguaci» dalle alleanze socialiste, innanzi tutto «"pregiudizialmente",
per un motivo di incompatibilità morale».La sua indignazione è al massimo. Definisce Stalin
"truffatore" e "giuda", chiama «il paese di Stalin, non più Urss, come finora, ma bensì Russia
quanto all’aspetto geografico e Stalinlandia quanto al regime politico”
Fu questa del marzo 1940 la sua ultima presa di posizione politica; il Comitato venne integrato da
Buozzi e Faravelli e quando i tedeschi entravano a Parigi, mentre gli altri membri si trasferivano nel
Sud, dove poi elaborarono le “Tesi di Tolosa”, si trovava ricoverato in un ospedale. Verso la fine del
211
O.M. "Il trionfo del fascismo. Di chi la colpa?", in "Problemi della rivoluzione italiana" , 2.
serie, n.6, settembre 1938
212
S.Merli “I socialisti, la guerra, la nuova Europa : dalla Spagna alla Resistenza, 1936-1942”,
Milano, 1994
1940 all’aggravarsi del male ottenne di ritornare a Torino, accompagnato dalla moglie Sofia
Fasano, dove rivide amici e parenti che avevano persuaso le autorità a concedergli di tornare e di
potersi recare a Sanremo, dove si spense nel novembre del 1944 in una modesta pensione.
L'11 novembre 1945 la salma venne trasferita a Torino, e presso la sede provinciale del PSIUP fu
commemorato dal socialista alessandrino Paolo De Michelis.
COSTANTINO LAZZARI. Vita di un socialista lombardo da Bertani a Lenin (1857-1927)
Introduzione
1. Da Cremona a Milano
2. Il lavoro e l’inchiesta sociale. Anna Maria Mozzoni
3. Il Circolo operaio. Eliseo Reclus
4. Il primo arresto. Il Fascio operaio e la Lega Figli del lavoro
5. L’incontro con Bertani e l'inchiesta agraria
6. La Federazione Regionale dell'Alta Italia del Partito Operaio Italiano
7. Dalla costituzione del POI ai Congressi di Milano e Mantova (1885).
8. Turati scrive l'Inno dei lavoratori per il Partito Operaio
9. Le elezioni del 1886 e la polemica con Felice Cavallotti
10. La ripresa dell’attività del POI. Il congresso di Pavia (1887)
11. Parentesi di vita privata
12. I Congressi di Bologna (1889) e Milano (1890)
13. La fondazione del Partito socialista a Genova (1892)
14. Trasferimento a Busto Arsizio
15. Nascita della Camera del lavoro e della Società Umanitaria
16. Amministratore della Lotta di classe
17. L'adesione di De Amicis al PSI
18. Il Congresso di Reggio Emilia e quello clandestino di Parma
19. Polemiche sulla tattica
20. Il domicilio coatto a Borgotaro
21. Il giurì per la gestione della Lotta di classe
22.Commesso viaggiatore del socialismo
23. Dimostrazioni per il pane
24. Il "novantotto"
25. Finalborgo
26. Propagandista e canditato
27. Enunciazione della linea politica
28. Intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario
29. "I principi e i metodi del Partito Socialista"
30. Segretario tra “settimana rossa” e intervento. “Né sabotare né aderire”
31. Nuova carcerazione
32. Nel dopoguerra; La terza Internazionale
33. Gli ultimi anni
Conclusione
Introduzione
L’aggettivo usato nel sottotitolo individua una caratteristica fondamentale del personaggio,
lombardo per la matrice culturale che, se nei "momenti bassi" si esprime in un "buonsenso" un po'
gretto e provinciale individuato con ironia da compagni e avversari213, si manifesta in positivo
nell'agire concreto dell'organizzatore di circoli, dell' amministratore di iniziative editoriali, del
tessitore di reti di sezioni; il suo antiriformismo non è retorico "atteggiamento" ma espressione di
una diffidenza classista nei confronti dei politici di professione e degli intellettuali, come si vedrà
più avanti nell'episodio del segretario del carcere di Finalborgo “...non saremo noi Milanesi
ignoranti che andremo a prendere lezione di socialismo dai Napoletani sapienti, perché noi nella
vita sociale facciamo già pratica militante della politica socialista” 214.
Abbiamo utilizzato l'autobiografia scritta nel 1926215 - ma che si arresta alla fine dell'Ottocento riproducendone ampi stralci, per l'esposizione vivace, con qualche eccesso "cruento" (probabile
derivazione dalla "letteratura d'appendice). Questo scritto aveva anche una motivazione pratica
perchè la "Fondazione Giacomo Matteotti" (istituita nel 1925 allo scopo di raccogliere autobiografie
di organizzatori del movimento socialista), aveva offerto a Lazzari, che aveva perso l'indennità
parlamentare e si avviava ai 70 anni con a carico la moglie e una figlia adottiva, una modesta
retribuzione in cambio della sua collaborazione a questo progetto.
"Tra poco avrò raggiunto i settant'anni della vita. Arrivato a quest'ultimo periodo della vita, povero e
proletario come sono nato, trovo di non possedere altra ricchezza che la coscienza tranquilla e la
fede sicura nell'avvenire del socialismo .... Come si è formata in me questa fede e come ho
acquistata questa tranquillità di coscienza? Non è possibile rispondere a queste domande senza
avere la conoscenza dell'ambiente sociale in cui sono cresciuto e il cui carattere ebbe certamente
una influenza capitale nel determinare in me la comprensione completa delle dottrine egualitarie
moderne."
1. Da Cremona a Milano
Così inizia le sue memorie, e prosegue "Sono figlio della gleba cremonese per parte della stirpe
213
Ved. un polemico ritratto anonimo in “Rivoluzione Liberale” 1922, n.30. Ezio Riboldi in
“Vicende socialiste. Trent'anni di vita italiana nei ricordi di un deputato massimalista”, Milano, 1964,
riferisce che a Lenin che lo sollecitava all'occupazione delle fabbriche Lazzari rispose: «Sì, l'idea è
giusta, ma poi... che ne facciamo degli industriali?». E Lenin, ammiccando: «Liquidateli!»... « Ma
scior Lenin - esclamò in dialetto milanese il buon Costantino - nun milanes semm brava gent».
214
Ma c'e qui anche un pregiudizio antimerdionale che si ripresenta nel tempo, come si
desume da una testimonianza del comunista siciliano Gerolamo Li Causi in "Il lungo cammino.
Autobiografia 1906-1944", Roma, 1974: "Ricordo una frase di Lazzari a proposito di Bordiga: "L'è
un napoletano", come per dire, in senso spregiativo, che era uno le cui opinioni non contavano
perchè non aveva niente a che vedere con la classe operaia del Nord"
215
In “Movimento operaio e socialista” nn. 4 e 5 del 1952.
paterna (una mia nonna contadina morì suicida in un accesso di pellagra)" ma la madre, Anna
Grandi "apparteneva ad una discendenza di privilegiati decaduti, imparentata con una delle più
illustri famiglie di Lombardia", mentre il padre era insegnante di storia e letteratura nelle scuole
secondarie. Pur enfatizzando l' ascendenza contadina dal lato paterno, è comunque difficile
definirla una famiglia proletaria. Problemi dovettero sorgere presto in famiglia perchè (secondo la
sua versione non molto chiara) "l'ardente idealismo con cui mio padre diede inizio alla vita della
propria famiglia, fu causa di gravi e profondi turbamenti nei nostri reciproci rapporti,” per cui a otto
anni si trasferisce col fratello maggiore dai nonni materni impiegati dell'Istituto tecnico ”Santa
Marta” di Milano.
Nel 1857 Cremona aveva circa 30.000 abitanti e, pur essendo solo il capoluogo di una provincia
lombarda, era però negli anni tra l'ultimo quarto dell'Ottocento e il primo del '900 ricca di
personalità di rilievo nazionale216, come Guido Miglioli, organizzatore delle "leghe bianche"
(cattoliche) contadine, il radicale Ettore Sacchi, il socialista lriformistia Leonida Bissolati, il
repubblicano Arcangelo Ghisleri, il cattolico Stefano Jacini, il vescovo Geremia Bonomelli; ma la
precoce partenza dalla città natale non gli consentì un radicamento nell'ambiente locale,
immergendolo nella realtà milanese fin dalla prima adolescenza.
Dopo le classi elementari, per le ristrettezze economiche familiari, frequenta non il ginnasio, che
preparava agli studi universitari, ma la scuola tecnica, preferita dalla piccola borghesia perchè
dava immediato accesso agli impieghi, e quì inizia ad interessarsi di problemi sociali e politici "Gli
avvenimenti della vita italiana esercitavano su di me una strana attrattiva ed io con avidità ed
entusiasmo leggevo i letterati che vi avevano dedicato le loro opere : Guerrazzi, Berchet, Massimo
D'Azeglio, Manzoni, Grossi, Niccolini, ecc." La scoperta della politica avviene anche tramite un
compagno di classe "Enrico Dalbesio, un simpatico giovanotto proletario di vivace ingegno e di
cuore ardentissimo. Da certi parenti che aveva in Francia egli riceveva molte di quelle
pubblicazioni che al tempo della Comune di Parigi e dopo avevano circolato per l'Europa. Noi le
leggevamo di nascosto ed erano l'argomento favorito dei nostri discorsi: così si iniziò nel mio
animo il primo germe delle cognizioni sociali."
2. Il lavoro e l’inchiesta sociale. Anna Maria Mozzoni
Finita la scuola tecnica, è costretto a cercare un impiego a quindici anni - età non precoce in quel
tempo per l'ingresso nel mondo del lavoro, che anzi nei ceti proletari avveniva anche molto prima entrando "come garzone di magazzino presso la ditta del sig. Luigi De Giorgi, una vecchia e
riputata casa di rappresentanza e deposito di filati. Dopo alcuni mesi di lavoro gratuito — allora si
usava così — il 15 agosto 1873 vi guadagnai le prime 50 lire come mancia di ferragosto: mi parve
di essere diventato ricco e mi comperai l'orologio! Passato il tempo del mio tirocinio, nel 1875
cominciai a ricevere lo stipendio regolare di L. 30 mensili. In quelle condizioni ritrovai il mio
compagno di scuola e di banco Enrico Dalbesio ... Dopo il nostro orario di lavoro ci trovavamo
sempre a passare qualche ora ragionando intorno ai nostri preferiti argomenti sociali…. L'amico
216
F.Invernici "Una città nella storia dell'Italia unita: classa politica e ideologie in Cremona nel
cinquantennio 1875-1925", Cremona, 1986. Il socialismo cremonese, nato in ambito laico e
positivista con influenze massoniche, dal 1893 affiancato dalla Camera del Lavoro fondata da
Garibotti, Quaini e Bissolati, fu essenzialmente riformista, senza escludere tendenze estremiste
nello scontro sindacale, che avveniva spesso in concorrenza con le Leghe bianche. Ved. CGIL
Cremona, Ottantanni di lotte del movimento operaio cremonese, Cremona, 1974
Dalbesio era poi un grande entusiasta per le arti belle e ambedue, durante la scuola tecnica, ci
eravamo tanto distinti nello studio del disegno che io mi decisi a frequentare l'Accademia di Brera
approfittando dell'orario mattiniero (dalle 6 alle 9) nella stagione estiva... Per tre anni mi dedicai
con passione allo studio elementare della figura: arrivato ai corsi di nudo, essendo cambiato
l'orario scolastico, dovetti abbandonare l'Accademia per non perdere quel piccolo guadagno che
mi permetteva di aiutare la vecchiaia dei nonni."
Quando il nonno morì, la nonna si trasferì a Cremona. Rimase solo, abitando per sette anni "in un
abbaino, sotto i tetti, dove d'estate si moriva di caldo e d'inverno di gelo" perché il fratello
maggiore, maestro elementare, viveva da sé. In quel periodo, pure lavorando nel magazzino dei
filati, continuò lo studio della lingua francese e iniziò anche quello delle lingue tedesca ed inglese
frequentando una scuola serale "dove ero accolto gratuitamente per simpatia del titolare alla
memoria del povero nonno”.
Sfuggito al servizio militare avendo estratto un alto numero di leva, si dedicò alla conoscenza degli
ambienti e dei personaggi impegnati nelle questioni sociali e politiche, venendo a contatto anche
con la “Lega Promotrice degli Interessi Femminili” e con la sua presidentessa, ”una nobile e gentile
signora, Donna Anna Maria Mozzoni, che mi impegnò in un grande lavoro di osservazione, di
studio e di azione. Questa mia attività ... ebbe anche il prezioso risultato di svelarmi gli abissi di
miseria del proletariato di città e di campagna. Ricordo che per parecchi anni vissi come
ossessionato dalle scoperte che andavo facendo: tutte le domeniche invece di andare a spasso in
cerca di divertimento, approfittavo dell'orario di entrata libera nell'Ospedale Maggiore per girare in
quelle corsie dolenti, fra quei letti dove la poveraglia manda i suoi malati e i suoi moribondi e poi
scappavo nel mio abbaino a meditare, a imprecare, a piangere di rabbia e di impotenza di fronte a
tanti spettacoli di dolore e di miseria".
Fu cooptato nel comitato esecutivo della Lega, composto dalla Mozzoni, da Paolina Schiff e da
due operaie, con l’incarico del coordinamento con le società operaie. 217
Intanto progrediva nella carriera commerciale. "Il mio salario mensile da 30 lire era salito a 50, poi
a 90, poi a 100, ciò che era allora una ricchezza, tanto che mi decisi a far venire a Milano i miei tre
piccoli fratelli, ai quali mio padre non voleva più provvedere. Alloggiai i due maschi come novizi in
botteghe di salumieri, e la sorella in una buona famiglia di onesti proletari, pagando le relative
quote di pensione e di noviziato. Io vivevo spendendo meno di 60 lire al mese mangiando nelle
modeste trattorie dei sobborghi.”
Dopo qualche anno fece venire a Milano tutta la famiglia, padre, madre e nonna, che andarono ad
abitare in un piano terreno di via Lanzone. "Ricostituimmo così alla meglio un po' di vita
domestica : io rimasi sempre nell'abbaino di via Santa Marta, dove coi libri che mi procurava
l'amico Dalbesio andavo perfezionando le mie cognizioni politiche".
In quel periodo di tempo il fratello gli propose di aiutarlo a stampare manualetti razionali di
istruzione infantile. "Comperammo a credito un vecchio torchio, due o tre quintali di caratteri e
nella casa di via Lanzone ci mettemmo ad imparare l'arte tipografica."
Intanto era venuto a morire il signor De Giorgi, e il suo magazzino passò in eredità al genero, che
lo fece diventare il suo alter ego: "cassiere, procuratore, viaggiatore con uno stipendio di 150 lire
mensili. Ma anche il relativo benessere che così potevo procurarmi, non valse a farmi cambiare il
217
R.Zangheri “Storia del socialismo italiano”, Torino, 1997, pag.212. Di ciò non fa cenno
nell’autobiografia, così come non menzioni l'adesione della Lega al P.O.I nel 1888
regime di vita, di studio e di pensiero ... La grande energia muscolare, che nel passato mi aveva
permesso di andare a piedi, d'estate e d'inverno, da Milano a Cremona, per trovare i miei parenti,
non bastava più a soddisfare gli impegni che man mano si moltiplicavano nella mia vita e perciò,
allo scopo di accelerare i miei movimenti, pensai di adottare l'uso del velocipede. Oltre a girare la
Lombardia in lungo e in largo, percorsi così per la prima volta l'Emilia, la Toscana, la Liguria,
sempre infaticato e infaticabile."
3. Il "Circolo operaio". Eliseo Reclus
Proseguendo nell’esplorazione degli ambienti politici, si iscrisse al Circolo Operaio che era stato
allora istituito nei locali del democratico Consolato Operaio, per avere occasione di scambiare
"parole ed idee cogli uomini e con le donne, vecchi e giovani, specialmente repubblicani, anzi
mazziniani, che allora popolavano quei locali. Quante conoscenze vi feci allora di ardenti giovinetti
che poi, dopo cinquant'anni, ritrovai in parlamento deputati e anche ministri del re !"
Iniziò a concorrere all'opera di propaganda con un discorso intorno alla “Emancipazione della
donna”: "ricordo che davanti a quel ristretto uditorio non ebbi il coraggio di alzare gli occhi dai fogli
sui quali leggevo il mio discorso. Quel primo saggio però valse a farmi rompere la crosta
dell'abitudine, e da allora in poi, in piccolo o in grande, mi abituai a discutere pubblicamente e a
sostenere le mie opinioni.”
Frattanto, con le elezioni del 1882, entrava in vigore la legge promulgata dal governo Depretis che
allargava il diritto di voto politico. Il campo politico era conteso a Milano tra i costituzionali e i
democratici, che col giornale “II Secolo” esercitavano la loro influenza sul Consolato Operaio, una
federazione di società di mutuo soccorso patrocinate dai democratici.
I democratici del “Secolo” lanciarono la candidatura operaia di Antonio Maffi, un fonditore di
caratteri, e lo fecero parlare in un grande comizio popolare tenuto nel Teatro della Canobbiana per
esporre il programma degli operai democratici. "Vi accorremmo tutti: egli esordì con queste precise
parole: «Guerra alla guerra fra il capitale e il lavoro !». Fu per noi una grande delusione, perché noi
credevamo nella esistenza della questione sociale e nella necessità della sua soluzione.” Il
giornale “La Plebe”, che Enrico Bignami pubblicava a Lodi, diventò allora il loro portavoce
permettendo di allargare la cerchia delle conoscenze e quindi la sfera d' influenza.
Nelle elezioni politiche di quell'anno 1882 era diventato primo deputato socialista Andrea Costa: la
sua nomina aveva destato infiniti commenti fra i giovani del Circolo Operaio. Specialmente gli
anarchici avevano criticato l'entrata di Andrea Costa in parlamento e fra i giovani si era sollevata
una accanita discussione, alla quale "anche io presi parte senza avere però in proposito una
opinione precisa e sicura. Allo scopo di orientarmi definitivamente nell'indirizzo da seguire, decisi di
approfittare della buona stagione estiva, per andare ad informarmi personalmente presso il grande
geografo Eliseo Reclus che abitava a Clarens sul lago di Ginevra e che in nome dell'anarchia
conduceva una violentissima campagna contro Andrea Costa deputato. A cavallo del mio
velocipede, attraversai le Alpi, passando per il San Gottardo, percorsi in tutta la sua lunghezza il
cantone Vallese, passai da Losanna ed arrivai a Clarens dove fui accolto ed ospitato con grande
cordialità. Per una giornata intera, restai nello studio di quel grande scienziato a discutere con lui e
con altri suoi amici intorno alla situazione politica italiana. Venuta la sera, mi accomiatai dicendogli:
«Se la vita del mondo fosse tutta racchiusa in questa bella villetta sulle rive del lago, coperta di
rose, ridente di luce di azzurro e di verde, le vaste teorie politiche potrebbero avere ragioni ma
essa si svolge nei grandi centri di popolazione, dove si fatica e soffre nelle tribolazioni e nella
miseria ed io vado là per aiutare fraternamente il lavoro pratico, preparatore dell'ideale futuro”.
4. Il primo arresto. Il Fascio operaio e la Lega Figli del lavoro
Il 20 dicembre 1882 era stato impiccato a Trieste Gugliemo Oberdan e i repubblicani avevano
chiesto al Circolo Operaio di partecipare a una manifestazione di protesta.nel giorno di Natale in
piazza del Duomo. "Io vi avevo aderito più reagire contro la barbarie della pena di morte, che per
adesione al programma irredentista della dimostrazione .. fui caricato dai carabinieri, afferrato da
cento mani, schiacciato contro un muro .. e finalmente arrestato, ammanettato e condotto nelle
prigioni della Questura. Mio fratello che aveva assistito alla scena ed era accorso per vedere cosa
mi facevano, venne pure arrestato e così ci trovammo in undici giovinetti chiusi in quelle orribili e
vergognose prigioni di S. Fedele, dove passammo una notte di insonnia e di disgusto. Il giorno
seguente fummo condotti nel Carcere Cellulare e dopo pochi giorni giudicati per direttissima. Io
venni assolto [ma] messo di fronte al dilemma: o abbandonare la vita commerciale o abbandonare
la vita politica, ben inteso col diritto alla più ampia libertà del mio pensiero !"
Al padrone della ditta era insopportabile l'idea di avere per procuratore uno che era stato in
prigione e poteva tornarvi: così nel 1883 fu licenziato pur avendo sulle spalle il carico della famiglia
paterna e la vita della vecchia nonna "allora, a venticinque anni, mi sentivo una forza di salute e
una tale baldanza di avvenire, che mi sentivo di affrontare e di vincere qualsiasi difficoltà. Però in
quel tempo io non avevo ancora una precisa direttiva politica. Leggevo avidamente libri, opuscoli,
specialmente di autori francesi e russi che trattavano della questione sociale, Guesde, Malon,
Lafargue, Deville, Bakunin, Kropotkin, Herzen”
Frattanto aveva abbandonato l'abbaino di via S. Marta per andare ad abitare in un pianterreno,
dove aveva collocato una piccola macchina tipografica a pedale "Cogli amici del Circolo Operaio ci
accordammo per iniziare un lavoro di propaganda operaia indipendente, che l'elemento
democratico dominante cercava in ogni modo di ostacolare. A tal fine avevamo trovato un vecchio
magazzeno e vi tenemmo le prime riunioni, finché il 29 luglio 1883 iniziammo la pubblicazione del
settimanale “II Fascio operaio, voce dei Figli del Lavoro” che continuò la sua vita per tutto l'inverno
del 1883”
Il gruppo del Fascio operaio lo incaricò di presentare alle elezioni amministrative del novembre di
quell'anno il punto di vista dal quale la classe operaia doveva parteciparvi in un comizio che si
tenne al Teatro Castelli. Fu il suo primo discorso davanti al grande pubblico.
Nel febbraio del 1884 fu costituita una prima Lega dei Figli del Lavoro, la quale aveva un
programma di propaganda per il miglioramento delle condizioni materiali e morali dei lavoratori
mediante la resistenza (come allora venivano chiamati gli scioperi) e la solidarietà, e che divenne
un centro per la formazione di una corrente operaia indipendente ed autonoma dai partiti politici.
In quel tempo il ministro Domenico Berti, di fronte allo sviluppo della propaganda operaia e
socialista, aveva tentato di portare all'approvazione del Parlamento un blocco di leggi sociali
destinate a demandare ad organi dello Stato la tutela delle condizioni di vita più elementari dei
lavoratori. Fu un'occasione per proclamare ed affermare il principio dell'autonomia e indipendenza
del movimento operaio, ed infatti, il 27 gennaio 1884, “in una giornata freddissima, nel teatro
scoperto della Commenda si tenne un comizio su quell'importante argomento. (…) e mentre
cadeva un lento nevischio che faceva aprire gli ombrelli a chi era in platea, la discussione si svolse
intrepidamente per diverse ore, concludendo con un ordine del giorno nel quale era detto che «non
riconoscendo in qualsiasi organizzazione politica né la capacità, né la competenza di dettar leggi
favorevoli ai lavoratori, si respingeva ogni ingerenza governativa nelle questioni operaie e si
reclamava la più assoluta libertà nei rapporti fra capitale e lavoro"
Era una tendenza che non si rifaceva a opzioni teoriche , ma alla collocazione di classe degli
individui e dei gruppi sociali e che puntava non alla conquista di uno spazio politico in senso
tradizionale, ma allo spostamento sul terreno della lotta di classe di strati sempre più consistenti di
lavoratori organizzati. Le proposte operaiste erano infatti semplici ed al tempo stesso di grande
impatto: portare le Società Operaie ad adottare il principio della resistenza (in alternativa od
accanto al tradizionale mutualismo) ed agitare il principio (rivolto contro ogni concezione elitaria,
foss'anche di estrema sinistra, della politica) che "l'emancipazione degli operai dev'essere opera
degli operai medesimi" .
Questi propositi erano il frutto delle discussioni che si facevano quando “ci riunivamo
settimanalmente intorno al Dr. Gnocchi-Viani per intenderci sulla formazione del numero del
giornale che si doveva pubblicare. Egli era la nostra guida e il nostro consigliere”
La Lega organizzava anche gite di propaganda nei centri vicini, a Monza, Busto, Gallarate, Varese,
Como, inizialmente ritrovi con amici, conoscenti o parenti in cui avvenivano scambi di idee e si
allacciavano rapporti. Il giornale serviva da mezzo di comunicazione e da bandiera di raccolta, ma
il ricavato delle vendite non era sufficiente a coprire le spese e nell'aprile del 1884 fu costretto a
sospendere la pubblicazione.
Dopo aver perso il posto nell'azienda commerciale si era sforzato di sviluppare il lavoro
indipendente della sua piccola tipografia: aveva iniziato diverse pubblicazioni di carattere politico,
anticlericale e sociale, opuscoli clandestini, stampati di notte, ma tutto ciò non bastava per vivere.
Occorreva darle un’impronta commerciale, ma proprio in quel tempo vennero introdotte nuove
macchine tipografiche che misero fuori mercato la sua piccola azienda. Nell'impossibilità di lottare
contro questa concorrenza, abbandonò il lavoro indipendente ed entrò come compositore in
diverse tipografie.
5. L’incontro con Bertani e l'inchiesta agraria
Si manifestarono i primi sintomi di intossicazione da antimonio per le emanazioni tipografiche,
tanto che Anna Maria Mozzoni che “aveva per me una vera sollecitudine materna”, lo presentò al
suo amico Agostino Bertani, deputato radicale nonché medico, perché si facesse visitare “Dopo
avermi esaminato attentamente, egli mi impose di abbandonare subito l'arte tipografica.«Come
farò a vivere, professore?» gli disse «Ho anche la famiglia da mantenere insieme a mio fratello e
non posso restare inoperoso».«Vieni con me» gli rispose Bertani. «Sto appunto cercando un
segretario per l'inchiesta dell'igiene rurale e tu puoi fare al caso mio. Ti darò 3 lire al giorno e le
spese quando saremo in viaggio».Accettai e così diventai il suo segretario più fidato.”
A margine della grande Inchiesta agraria, Bertani aveva persuaso il suo vecchio amico Depretis ad
iniziare, coi fondi del Ministero dell'Interno, una rapida e pratica inchiesta per l'igiene rurale. Andò
con lui nella sua casa di Genova, poi a Roma, poi nella sua casa di campagna a Miàsino sul Lago
d'Orta, poi in viaggio per l'Umbria, le Marche, in Lombardia, in Emilia e in Toscana, “e fu così che
io riuscii ad acquistare una straordinaria quantità di cognizioni sociali e politiche per le quali andai
sempre più consolidando la formazione della mia coscienza e della mia volontà per una azione
positiva strettamente legata al grande ideale della emancipazione proletaria. È interessante questa
storia dell'inchiesta per l'igiene rurale, perché si può dire che io vi feci la prima parte della mia
educazione politica.”
Bertani aveva organizzata in casa sua la distribuzione di un questionario ai medici condotti dei
comuni italiani, i quali avevano risposto quasi unanimi alla richiesta del loro collega e la sua casa
di Genova fu piena dei questionari compilati che egli esaminava personalmente. Dove apparivano
lacune o informazioni irregolari egli mandava propri incaricati per esaminare e raccogliere notizie
precise. Così Lazzari ebbe allora occasione di compiere diverse gite in alcune province: “partivo la
mattina solo, con un modesto calessino, e percorrevo villaggi, cascinali e casolari osservando,
interrogando, notando e ritornavo la sera stanco morto, ma colla testa e col cuore pieno di nuove
cognizioni, di impressioni e sensazioni.”
in tal modo percorse e visitò alcune zone della provincia di Milano, di Como, di Macerata e Perugia
sempre in mezzo alla povera gente di campagna “dovunque egualmente legata dalla schiavitù del
lavoro agricolo o da quella del lavoro industriale. Quanti quadri e quanti episodi ignorati di dolori, di
sacrifici e di stenti fra quelle povere popolazioni governate e dominate dai signori, dai preti e dai
carabinieri”.
Durante questo periodo, che ebbe la durata di circa tre anni, per due volte si separarono a causa
di divergenze politiche “Ricordo che egli mi accomiatò dicendomi queste precise parole che non ho
mai più dimenticato: «Quando ti sento parlare mi pare che tu abbia ragione e che ormai la
questione sociale sia la sola e la vera grande questione interessante per la vita e l'avvenire del
popolo italiano; quando sento parlare gli altri temo che voi abbiate a far rovinare l'edificio che noi
abbiamo innalzato con tanti sacrifici. In ogni modo non fidarti degli uomini della nostra
generazione: noi siamo troppo compromessi col lavoro patriottico che abbiamo fatto per poter
essere difensori della nostra causa e non essere nello stesso tempo sostenitori del regime di
privilegio e di oppressione che voi volete combattere”.
6. La Federazione Regionale Alta Italia del Partito Operaio
Nel settembre del 1884 il “Fascio operaio” aveva potuto riprendere le sue pubblicazioni, sorretto da
117 azionisti che versarono 5 lire l'uno; animato dal proposito di gettare le basi di un lavoro
metodico per il miglioramento e l'emancipazione della classe, il gruppo del Fascio operaio, pur
facendo tesoro delle esperienze della propaganda anarchica e internazionalista, decise di iniziare
un'azione essenzialmente politica, ed applicando la massima fondamentale che l'emancipazione
dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi, stabilì di riservare l’iscrizione ai soli uomini e
donne che vivessero di lavoro e di salario.Su questa base il 1° settembre 1884 cinque Società di
Figli del Lavoro fondate a Milano, Gallarate, Busto, Legnano, Sacconago, senza alcuna ingerenza
di elementi estranei alla classe operaria, dichiararono costituita la Federazione Regionale dell'Alta
Italia del Partito Operaio Italiano.
A fianco di questa organizzazione era sorta la Lega Socialista Milanese, destinata a fornire al
movimento operaio il bagaglio teorico necessario al suo sviluppo, e a proporre alla pubblica
opinione il risultato dei suoi studi; facevano parte di questa una cinquantina di pubblicisti,
professionisti, commercianti, industriali, studenti.
Così attrezzato, il movimento continuò la sua azione: la più grande affermazione ebbe luogo il 23
novembre 1884 durante un comizio contro le convenzioni ferroviarie con cui il governo vendeva
l'esercizio del trasporto ferroviario. Tutta l'estrema sinistra parlamentare si era raccolta intorno
all'ex ministro Alfredo Baccarini, il quale sosteneva l'esercizio dello Stato; la Federazione Alta Italia
fece parlare Osvaldo Gnocchi-Viani, il quale “con veemente ed infiammato discorso dimostrò che
la questione ferrovia non era che un aspetto della questione sociale e che soltanto l'esercizio delle
ferrovie affidato ai ferrovieri organizzati poteva rispondere all’ interesse della nazione. Da allora in
poi cominciò a determinarsi nelle file della democrazia e sulle colonne del “Secolo” una sorda
ostilità contro la nostra organizzazione e contro la nostra propaganda”.
7. Dalla costituzione del Partito Operaio Italiano ai Congressi di Milano e Mantova (1885)
Il 1885 fu di ancor maggiore e più intenso impegno. Lazzari era ritornato a lavorare in tipografia,
per quanto sentisse che la salute non resisteva. Il Partito Operaio Italiano si estendeva: i primi
sequestri e i primi processi avevano colpito il Fascio operaio, ma crescevano le file degli aderenti e
il numero dei lettori.
Il 12 aprile e il 3 maggio di quell'anno si tenne a Milano il primo Congresso del POI che in tale
occasione si diede gli organi statutari. Del suo primo Comitato Centrale, che si radunava almeno
una volta alla settimana, Lazzari fungeva da segretario.
Quell'anno cominciarono i sequestri del Fascio operaio, il primo per un voto di solidarietà degli
operai metallurgici di Savona in favore dei contadini mantovani in sciopero. Ne seguì il 23 luglio
1885 un processo in Corte di Assise, che inflisse sette condanne.
I giorni 6-7-8 dicembre di quello stesso anno il 2. Congresso del Partito Operaio Italiano si tenne a
Mantova per solidarietà coi contadini di quella provincia in sciopero generale agricolo. I capi di
quell'agitazione erano stati imprigionati, ma al congresso assistevano in gran numero lavoratori
agricoli venuti da ogni parte della regione, e fu questa la novità: le logge del teatro stipate di
contadini e una organizzazione operaia che per la prima volta delineava un abbozzo di programma
agrario.
Lo scopo di questo congresso era, oltre quello già detto, di realizzare la fusione sotto la bandiera
del Partito Operaio Italiano delle organizzazioni, specie società di mutuo soccorso, che facevano
parte della Confederazione operaia lombarda, già diretta dai democratici ma al cui congresso di
Brescia del 4-5 gennaio 1885 erano prevalse le tesi operaiste sulla resistenza, cioè sullo sciopero.
Il Partito Operaio vi partecipava con 40 Sezioni e la Confederazione Lombarda vi aveva portato 60
organizzazioni. La fusione venne sanzionata aggiungendo all'art. 1° dello Statuto la seguente
dichiarazione: «II Partito Operaio Italiano, estraneo ad ogni partito politico o religioso, parteciperà
alle lotte della vita pubblica come classe distinta che tende alla sua emancipazione».
Il lavoro di organizzazione diventò febbrile: “si può dire che il Comitato Centrale era costretto a
sedere in permanenza e i suoi membri si riunivano tutte le sere per parecchie ore, con grande
disperazione delle loro donne e delle loro famiglie ormai abbandonate. Non passava domenica o
festa di precetto, senza che noi ne approfittassimo per organizzare qualche gita di propaganda in
provincia o fuori secondo i pochi soldi che si trovavano in cassa. Fra le altre, restò indimenticabile
quella che, per iniziativa di Leonida Bissolati, io feci a Cremona il 14 febbraio 1886 ”
8. Turati scrive l’ ”Inno dei lavoratori” per il Partito Operaio
Mentre si compiva questo lavoro organizzativo, la Lega Socialista Milanese aumentava di numero
e di influenza: fra i suoi membri più attivi e più volonterosi si contavano Filippo Turati, Giuseppe De
Franceschi, Osvaldo Gnocchi-Viani218, Paolo Valera, Enrico Dalbesio, Enrico Bignami219, Enrico
Besana, Enrico Viscardi. Fra tutti, costituivano una specie di riserva intellettuale alla quale si
poteva ricorrere nei bisogni materiali e morali del Partito.
Fu in omaggio a questa funzione che nella primavera del 1886 il Partito Operaio ottenne da Filippo
Turati le parole per un inno che fosse la sintesi delle sue aspirazioni ed esprimesse musicalmente
la formazione civile della sua forza organizzativa220.
Lo pubblicò il 20 marzo di quell'anno il Fascio operaio e riuscì a farlo musicare da un maestro
addetto allo stabilimento Sonzogno e “ne facemmo la prima pubblica prova in una allegra serata
carnevalesca, che passammo nella modesta trattoria Tresoldi in Via Bocchetto. Ne restammo tutti
commossi ed entusiasti e da allora in poi diventò il nostro ritornello di richiamo: io andai persino a
zufolarlo lungo le muraglie del carcere di Casale Monferrato dove era stato rinchiuso Alfredo
Casati andato colà per una delle nostre solite gite di propaganda, ed egli mi rispondeva... Questo
218
G. Angelini, Il socialismo del lavoro : Osvaldo Gnocchi-Viani tra mazzinianesimo e istanze
libertarie, Milano, 1987; F. Della Peruta, Osvaldo Gnocchi Viani nella storia del movimento operaio
e del socialismo, Milano, 1997
219
G. Angelini, La cometa rossa: internazionalismo e quarto stato: Erico Bignami e La plebe,
1868-1975, Milano, 1994; G. Carazzali Enrico Bignami : il coraggio dell'ideale. Milano, 1992
220
Questo il testo: Su fratelli, su compagne / su, venite in fitta schiera: / sulla libera bandiera /
splende il sol dell'avvenir./ Nelle pene e nell'insulto / ci stringemmo in mutuo patto, / la gran causa
del riscatto / niun di noi vorrà tradir. / Il riscatto del lavoro / dei suoi figli opra sarà:/o vivremo del
lavoro / o pugnando si morrà. / La risaia e la miniera / ci han fiaccati ad ogni stento / come i bruti
d'un armento / siam sfruttati dai signor./ I signor per cui pugnammo / ci han rubato il nostro pane,/
ci han promessa una dimane:/ la diman si aspetta ancor./ Il riscatto del lavoro.../ L'esecrato
capitale / nelle macchine ci schiaccia, / l'altrui solco queste braccia / son dannate a fecondar. / Lo
strumento del lavoro / nelle mani dei redenti / spenga gli odii e fra le genti / chiami il dritto a trionfar.
/ Il riscatto del lavoro.../ Se divisi siam canaglia, / stretti in fascio siam potenti;sono il nerbo delle
genti / quei che han braccio e che han cor. / Ogni cosa è sudor nostro, / noi disfar, rifar possiamo; /
la consegna sia: sorgiamo / troppo lungo fu il dolor. / Il riscatto del lavoro.../ Maledetto chi
gavazza / nell'ebbrezza dei festini, / fin che i giorni un uom trascini / senza pane e senza amor. /
Maledetto chi non geme / dello scempio dei fratelli, / chi di pace ne favelli / sotto il pie
dell'oppressor. / Il riscatto del lavoro.../ I confini scellerati / cancelliam dagli emisferi; / i nemici, gli
stranieri / non son lungi ma son qui. / Guerra al regno della Guerra, / morte al regno della morte; /
contro il dritto del del più forte, / forza amici, è giunto il dì./ Il riscatto del lavoro.../ O sorelle di fatica
/ o consorti negli affanni / che ai negrieri, che ai tiranni / deste il sangue e la beltà. / Agli imbelli, ai
proni al giogo / mai non splenda il vostro riso: / un esercito diviso / la vittoria non corrà. /Il riscatto
del lavoro.../Se eguaglianza non è frode, / fratellanza un'ironia,/ se pugnar non fu follia / per la
santa libertà;/ Su fratelli, su compagne, / tutti i poveri son servi: / cogli ignavi e coi protervi / il
transigere è viltà. / Il riscatto del lavoro...
inno doveva per la prima volta essere cantato in coro durante la inaugurazione del caratteristico
stendardo che la Lega dei Figli del Lavoro di Milano aveva adottato come suo distintivo e
rappresentava un giovane fabbro che guardava il sole nascente. Il ricamo era un vero capolavoro
uscito dalle mani della compagna Norma De Grandi che era la moglie di Alfredo Casati.”
9. Le elezioni del 1886 e la polemica con Felice Cavallotti
Alle elezioni del 1886 il POI era deciso a presentarsi con una propria lista che i radicali temevano,
non tanto perché il Partito Operaio Italiano fosse in grado di far eleggere alcuno dei suoi candidati,
quanto per i molti voti che avrebbe sottratto alle loro liste. Si comprende che in quella congiuntura
il governo Depretis, interessato a una sconfitta dei radicali specialmente in Lombardia, lasciasse,
in quei mesi di accesa vigilia elettorale, una certa libertà d’azione al POI, che aveva sottoposto
sino a poco prima a persecuzioni poliziesche.
I radicali, irritati da questa tolleranza governativa, e dall’aspra campagna che il Partito Operaio
conduceva contro di loro, cominciarono ad avanzare, specialmente sul «Secolo», vaghe
insinuazioni su non precisati favori e appoggi da parte del governo. Gli operaisti reagirono, e il
«Fascio operaio: voce dei figli del Lavoro» giunse a parlare di «democrazia vile». Frattanto le
elezioni del 2 maggio 1886 dimostravano che, nonostante il buon successo dei radicali a Milano, il
Partito Operaio era riuscito a sottrarre non poche migliaia di voti alla loro lista: Lazzari ebbe 3.359
voti a Cremona, 824 ad Alessandria e 1.425 a Casale Monferrato; altre candidature furono
presentate con successo a Busto Arsizio, Monza, Como, Pavia, Intra, Vercelli, Torino, Sanremo,
Arezzo, Napoli. Nessuno fu eletto, ma, col ristretto suffragio allora in vigore, fu un successo. Il
partito democratico che si vedeva minacciato nella sua tradizionale egemonia ed influenza sulla
classe operaia, accusò gli operaisti di aver fatto il gioco del governo Depretis. Il giornale “II
Secolo”, commentando il risultato delle elezioni, li denunciava apertamente come dei venduti e il
deputato Felice Cavallotti lanciò l'infamante accusa al Partito Operaio di essere un prezzolato
strumento del governo.
II Comitato Centrale del POI domandò al deputato Cavallotti un colloquio personale, allo scopo di
persuaderlo dell'errore in cui egli si trovava sul suo conto. II colloquio ebbe luogo il 31 maggio
1886: nella sua abitazione si recarono Lazzari, Croce e Casati e lo trovarono che li attendeva,
secondo le sue abitudini duellistiche, con due testimoni. Alla esibizione dei documenti di prova
della vitalità finanziaria mediante copialettere, registri e bollettari, dopo tre ore di discussione
pareva, secondo Lazzari, convinto dell’infondatezza delle sue accuse e promise che per
l'indomani sarebbe stata pubblicata una dichiarazione in tal senso sul “Secolo”; invece nel
numero del 1° giugno pubblicò una violenta e furibonda requisitoria colla quale, ricorrendo a
reminiscenze classiche, ribadiva le sue accuse.
Frattanto Depretis, passato appena un mese dalle elezioni, faceva arrestare dal questore di Milano
i principali dirigenti del Partito Operaio, sequestrarne le carte, sopprimere il giornale «Fascio
operaio», con deferimento alla magistratura sotto l'accusa di «associazione di malfattori».
Depretis, con quei severi provvedimenti, da un lato assestava un duro colpo al movimento operaio
del Nord, e dall'altro, alla vigilia della sua interpellanza, metteva in imbarazzo Cavallotti.
All'ultima requisitoria del “Secolo” decise la pubblicazione di un numero del “Fascio operaio”
dedicato alla difesa delle proprie ragioni “Per preparare questo numero straordinario avevo
vegliato tutta la notte e spuntava l'alba del 23 giugno. Avevo spento la lucerna a petrolio — allora
non c’era la luce elettrica e il gas era un lusso — quando irruppero nella mia povera abitazione un
delegato di questura con tanto di sciarpa a tracolla seguito da questurini e da carabinieri. Fui
dichiarato in arresto: si fece un gran fascio di tutte le mie carte e bene ammanettato fui condotto, in
mezzo alla squadra, nella questura centrale di S. Fedele.
Colà trovai già in stato d'arresto gli altri membri del nostro Comitato Centrale: il questore ci lesse
con voce imperatoria un bel decreto del Prefetto col quale veniva dichiarato sciolto e proibito il
Partito Operaio Italiano. Col solito carrozzone fummo condotti e rinchiusi nel carcere cellulare sotto
la duplice accusa di cospirazione e di associazione di malfattori.”
L'istruttoria durò tre mesi, ma finalmente una ordinanza della Sezione di accusa accordava la
libertà provvisoria e rinviava al giudizio della Corte d'Assise.
L’ostilità per Cavallotti ebbe strascichi che si manifestarono anche anni dopo questo episodio: il
deputato radicale, che si presentava come candidato nelle elezioni del 1888, aveva convocato un
comizio il 23 maggio.
Gli “operaisti” vi andarono col proposito di far conoscere le ragioni della astensione e siccome
venne negato loro il diritto di replica “sollevammo un tal coro di proteste e di fischi che il comizio
diventò ben presto un campo di battaglia contro di noi. Noi fummo scacciati dal locale tutti pesti e
sanguinolenti, ma l'adunanza andò a monte e del grande comizio democratico non rimase che un
mucchio di vetri infranti, di sedie rotte e di tavoli capovolti” . Quasi quarant’anni dopo così
commentava il Lazzari “Da allora in. poi Cavallotti, che era stato l'esponente di tutte le calunnie e
le diffamazioni che ci avevano colpito, non riuscì più a diventare deputato di Milano”!
Vi è in queste affermazioni una rimozione perchè numerose furono in seguito i momenti di
convergenza che lo videro personalmente impegnato insieme ai radicali, come il Comizio
internazionale per i diritti del lavoro dell'aprile 1991 e la Lega per la difesa della libertà fondata nel
1995; da notare, a questo proposito, che i 3.359 voti di Cremona nel 1886, furono ottenuti grazie
all'appoggio dei radicali locali.
10. Ripresa dell'attività del Partito Operaio. Il congresso di Pavia (1887)
La Lega socialista in questa polemica era scesa in campo in difesa del POI con una
«Dichiarazione d'onore» che li rendeva solidali con la loro lotta in favore della classe operaia e
avevano manifestato il loro appoggio morale e materiale, per cui il 16 ottobre 1886 ricomparve il
Fascio operaio, privato del sottotitolo di organo del Partito Operaio Italiano
Le organizzazioni erano state sciolte con decreto prefettizio, ma ben presto furono riannodati i
rapporti valendosi del giornale, il quale non era contemplato nel decreto di soppressione del
Partito.
Fu fissato il recapito del giornale presso una Società Operaia che aveva la sede in corso Ticinese,
ma la sorveglianza della polizia obbligò a cercare un altro locale “e lo trovammo in una lurida
cameraccia di una vecchia casa, nell'ora scomparso vicolo di S. Marcellino, tetro ricovero di
malviventi e di prostitute presso il Ponte Vetero. Là, nel freddo e nell'umido, ci riunivamo su quattro
sedie e su quattro panche per discutere le nostre questioni e spedire il giornale.”
L'atteso processo ebbe luogo nella Corte di Assise nei giorni dal 18 al 31 gennaio 1887. Erano sei
imputati e le imputazioni che li avevano colpiti, di eccitamento all'odio, al saccheggio, alla strage,
vennero sostenute dal Procuratore Generale. Però i giurati ridussero tutte quelle imputazioni al
semplice reato di istigazione allo sciopero e quindi furono condannati: Alfredo Casati a 9 mesi,
Giuseppe Croce e Costantino Lazzari a 3 mesi, altri a 3 e 2 mesi, più alcune migliaia di lire e le
solite spese processuali. La sentenza venne letta in mezzo ad una folla enorme che aveva seguito
con passione le varie fasi del lungo dibattimento e venne salutata col grido di: «Evviva il Partito
Operaio Italiano»
Però il sistema di adesione collettiva mise ben presto di fronte a insuperabili difficoltà:
individualmente arrivavano consensi e simpatie (erano di quel tempo le manifestazioni favorevoli di
uomini delle alte classi come Simone Weill-Schott, Prospero Moisé Loria e altri), ma nessuno si
sentiva di mettere le sorti e gli interessi collettivi delle organizzazioni operaie in balia e sotto i colpi
delle persecuzioni che il decreto prefettizio di scioglimento poteva sempre autorizzare. Per queste
considerazioni fu deciso di trasportare il centro del movimento fuori della provincia di Milano e a tal
scopo fu indetto un Congresso generale a Pavia nei giorni 18-19 settembre 1887.
“Ero ritornato in prigione per scontare il resto della pena che mi era toccata e dopo una quindicina
di giorni avevo ripreso il mio tenore di vita ma, nemmeno ingegnandomi col mio materiale
tipografico, un lavoro stabile e serio non riuscii a trovarlo più. Ero scoraggiato e preoccupato per i
bisogni della famiglia e malandato di salute fisica e morale; pensai di rivolgermi agli amici che mi
volevano bene. Bissolati di Cremona mi mandò 500 lire — allora erano un capitale — e De
Franceschi mi offrì un posto come contabile nel suo ufficio di ingegneria con uno stipendio di 90
lire al mese, lasciandomi naturalmente piena libertà di dedicarmi alla propaganda militante dopo il
normale orario del suo ufficio. Quindi ripresi poco a poco la mia attività in compagnia dei vecchi
amici ed accettai di partecipare al nuovo congresso. In causa della grave penuria di danaro che
era generale fra di noi delegati di Milano, decidemmo di andare a Pavia a piedi viaggiando per
buona parte della notte".
Il Congresso dopo due giorni di discussione si concluse con l'approvazione del programma. Le
disposizioni statutarie erano distribuite in 28 articoli e la sede del Comitato Centrale venne fissata
in Alessandria dove le organizzazioni avevano meglio resistito alla bufera della repressione e dove
vi era un saldo nucleo.
Il giornale continuò a pubblicarsi in Milano con varia fortuna presso una Società Operaia Mutua ed
Istruttiva alla quale si erano iscritti i vecchi compagni della disciolta Lega dei Figli del Lavoro, ed
era il centro da cui irradiavano le agitazioni della classe operaia milanese.
11. La vita privata
“In quel frattempo, nelle diverse riunioni di operai e di operaie che andavamo facendo, io avevo
notato la presenza di una giovane cucitrice in guanti, certa Giuseppina Manzoli la quale prendeva
sovente la parola per esporre in modo semplice e suggestivo le dure condizioni di vita e di lavoro
della sua categoria. Era una giovane pallida, di alta statura, di carattere serio, e ben presto fra noi
si stabilì una viva corrente di simpatia. Apparteneva ad una famiglia di poveri proletari: il padre,
venuto dalla campagna, era un abile e robusto fuochista presso la Società del Gas ... la
Giuseppina aveva cominciato come pulitrice in una fonderia di caratteri e poi era andata in una
fabbrica di guanti come cucitrice: il suo lavoro era una specialità ricercata per cui guadagnava
bene .... In quel povero ambiente che io frequentavo, la nostra simpatia diventò ben presto una
relazione, ma la povera Giuseppina che da anni ed anni lavorava a macchina aveva contratto una
grave malattia negli organi interni per cui, da me consigliata, venne operata all'Ospedale Maggiore
dal Prof. Luigi Mangiagalli, al quale l'avevo raccomandata a mezzo dell'amico De Franceschi.
Nella primavera del 1889 uscì guarita dall'ospedale e decise di sposarla civilmente con la "fiducia
che colla sua compagnia la mia esistenza avrebbe avuto un ritmo più regolare e più razionale. È
stato questo uno dei miei più gravi errori; per quanto essa condividesse pienamente le mie idee e il
mio ardore politico, la sua femminilità era stata infranta e la nostra casa restò una povera casa
deserta e sterile senza il sorriso né la gioia dei bambini, mentre io avevo così vivo e forte l'istinto
paterno! Anche per questa ragione la passione esuberante della mia vita si concentrò tutta
nell'attività politica alla quale io dedicavo tutti i ritagli di tempo, di giorno e di notte, che mi
restavano disponibili.”
Qualche anno dopo “l'amico dott. Viscardi andato in rotta con sua moglie, mi propose, dal
momento che io amavo tanto i bambini, di allevare i suoi due figliuoli, Bruno di 6 e Mario di 3 anni.
Accettai con entusiasmo e da allora in poi la nostra casa con la presenza e colle cure per quei due
cari ragazzini fu un vero teatro di festa e di gioia!” Tanto era forte il suo istinto paterno, che nel
1915 adottò Caterina Devoti, una bambina rimasta orfana in occasione del terremoto della Marsica
del 13 gennaio, che gli tenne compagnia negli ultimi anni e cui fece intraprendere gli studi
magistrali
12. I Congressi di Bologna (1889) e Milano (1890) del POI
Per sviluppare l’organizzazione del Partito venne convocato il quarto Congresso a Bologna nei
giorni 8, 9 e 10 settembre 1889; in esso venne elaborato, discusso ed approvato, pur tra contrasti,
il programma comunale che il Partito avrebbe adottato per la sua partecipazione alle prossime
elezioni generali amministrative.
L'autorità ogni tanto, con qualche sequestro del giornale o con qualche perquisizione domiciliare,
veniva ad interrompere il lavoro organizzativo. Nella notte del 22 maggio 1889, mentre era stata
appena trasportata la sede del giornale in Piazza Vetra e arrivavano dalla provincia notizie che i
contadini in sciopero si ribellavano ai carabinieri, “venimmo tutti arrestati nelle nostre case e
rinchiusi nel carcere cellulare. Dopo un mese di prigione, senza la notifica di alcuna accusa,
fummo rimessi in libertà e riprendemmo il nostro lavoro, ma eravamo tanto stremati di forze e tanto
minacciati dalle continue persecuzioni che, dopo alcuni mesi, fummo costretti ad abbandonare
anche la pubblicazione del giornale” e infatti il 16 novembre 1889 uscì in Milano l'ultimo numero
del Fascio operaio.
Ma i compagni di Alessandria il 16 maggio 1890 intrapresero essi stessi la pubblicazione del
Fascio operaio, specialmente allo scopo di organizzare il quinto congresso del Partito che ebbe
luogo a Milano nei giorni 1 e 2 novembre 1890.
In questo Congresso si fece una revisione della situazione, la quale aveva assunto una speciale
importanza dopo la celebrazione del 1° maggio, che si era fatta in Italia per la prima volta
quell'anno e che era stata accolta dalla classe lavoratrice col più grande favore. Nel Congresso di
Milano Lazzari è relatore del quinto punto all’OdG, quello sulle coooperative.
Né si trascurava la partecipazione alla vita internazionale della classe lavoratrice: “nel novembre
1888 io ero andato come rappresentante italiano al Congresso Mondiale delle Trade Unions
tenutosi a St. Andrew Hall di Londra (il Comitato Centrale di Alessandria non aveva potuto
raccogliere a questo scopo più di L. 278, ma io in nove giorni di viaggio e permanenza che passai
dormendo su una poltrona in casa di Paolo Valera, risparmiai ancora 50 lire)” e nel luglio 1889
Giuseppe Croce era andato a Parigi per rappresentare il POI al Congresso di fondazione
dell’Internazionale Socialista.
Il 12 aprile 1891 a Milano si tenne un "Comizio internazionale per i diritti del lavoro". Di fronte a una
platea di oltre mille persone presero la parola i più noti esponenti dei gruppi di estrema sinistra (dai
radicali agli anarchici) e portarono il loro saluto alcuni rappresentanti di movimenti socialisti
europei, mentre Filippo Turati lesse un messaggio inviato da Wilhelm Liebknecht.
L'iniziativa era stata promossa nel mese di marzo da un gruppo di cinquantasette associazioni
popolari milanesi, tutte di area radical-democratica, e da un comitato nazionale del quale facevano
parte i maggiori esponenti dell'Estrema Sinistra: Rosa, Bovio, Cavallotti, Maffi, Colajanni, ma
anche Andrea Costa, Gregorio Agnini e Antonio Labriola.
Segno questo che si andava ricomponendo il conflitto tra operaisti e radicali divampato cinque
anni prima in occasione della denuncia di Cavallotti, che abbiamo visto Lazzari enfatizzare e
presentare come definitivo
Per il comizio fu anche preparato un "numero unico” che si intitolava “/ diritti del lavoro” e
conteneva alcuni messaggi augurali (di Engels e altri) e brevi scritti di agitazione, tra i quali quelli di
Antonio Labriola, di Costantino Lazzari (Gli scioperi), di Filippo Turati e di Anna Maria Mozzoni
Ma persistevano divisioni culturali e ideologiche, che emergevano con particolare evidenza ogni
qual volta si discutesse di legislazione sociale, di leggi di protezione del lavoro, di rapporto tra
movimento operaio e Stato, poiché su questo terreno i diversi gruppi continuavano a mantenere le
proprie posizioni, e ciononostante a lavorare fianco a fianco, a comparire nelle stesse
manifestazioni, a disputarsi lo stesso spazio politico.
Infine nel giugno del 1891, in occasione delle elezioni amministrative milanesi, si arrivò a un
accordo politico e alla formazione di un blocco tra radicali, operaisti, Lega socialista e mazziniani
13. La fondazione del Partito socialista a Genova (1892)
Profittando delle agevolazioni ferroviarie previste in occasione del centenario di Colombo, venne
convocato a Genova nei giorni 14 e 15 agosto 1892 un congresso al quale parteciparono tutti gli
elementi che si interessavano delle questioni operaie. Il POI, entrato in una fase di crisi, vi prese
parte insieme alla Lega socialista milanese che era rappresentata da Filippo Turati e Anna
Kuliscioff, e la caotica discussione cominciata nella Sala Sivori si concluse con una netta
separazione fra i militanti anarchici che rimasero legati alle loro teorie, e gli altri che volevano
mettersi sul terreno della lotta di classe. Per poter fare liberamente ciò, dopo una intera giornata di
furibonde discussioni procedurali, prima per la nomina della Presidenza e poi per l'ordine dei
lavori, si radunarono separatamente i rappresentanti di 150 associazioni, i quali dopo aver votato
la seguente mozione: «I sottoscritti rappresentanti di associazioni intervenute al Congresso del
Partito dei Lavoratori Italiani invitano tutti gli altri congressisti che accettano la lotta elettorale come
uno dei mezzi per la conquista dei pubblici poteri, alla riunione che si terrà oggi lunedì nella sala
della Società Carabinieri Genovesi“, iniziarono la discussione ed approvazione dello Statuto, che si
componeva di soli 5 articoli; venne deliberato che l'organo del Partito sarebbe stato il giornale
Lotta di classe che i socialisti milanesi avevano cominciato a pubblicare ogni settimana. Il Comitato
centrale venne nominato nelle persone di Antonio Maffi, Costantino Lazzari, Giuseppe Croce,
Enrico Bertini, Carlo Dell'Avalle, Luigi Fossati e Camillo Prampolini venne designato a dirigere il
giornale.
Oltre agli impegni politici, che assorbivano le ore serali e le giornate domenicali, Lazzari
continuava la sua funzione contabile presso l'ingegner De Franceschi, che aveva sviluppato la sua
azienda: il suo studio si era trasformato in una officina meccanica e anche il suo stipendio era
salito a 150 lire mensili. "Ciò mi aveva permesso di passare da quell'umile stanzetta che occupavo
con mia moglie nella casa di corso Genova 17, in un appartamentino di due camere, per
ammobiliare le quali l'amico Della Torre Luigi, che avevo allora conosciuto, mi aveva prestato 300
lire. (...) Ma un bel giorno l'ing. De Franceschi credette di dover procedere a certi cambiamenti
nell'andamento dell'amministrazione che io non credevo fossero, dopo cinque anni di fiducia,
conciliabili colla mia dignità: di più, per aver prestato in suo nome 10 lire all'amico Majocchi che era
appena uscito di prigione, e per aver lasciato rompere in officina una macchina di cui mi aveva
affidato il carico, mi aveva imposto il rimborso di quelle ed una multa di 20 lire per questa"
14. Trasferimento a Busto Arsizio
Licenziatosi, andò a Busto Arsizio come impiegato amministrativo presso la ditta di Enrico
Castiglioni, anche per fare compagnia alla sorella Bice che là era diventata maestra comunale.
Anche la nomina della sorella a quel posto di Busto ebbe le sue contrarietà politiche. Essa aveva
cominciato la sua carriera a Musocco nella scuola femminile "con 102 bambine e con 42 lire
mensili di stipendio" poi, caduta ammalata di petto, aveva dovuto sospendere le fatiche
dell'insegnamento. Si era iscritta presso il Provveditorato di Milano, ma i mesi passavano
inutilmente perchè il Provveditore era fratello del deputato radicale Scipione Ronchetti, che
credeva di dare così prova di amicizia al suo collega Cavallotti.
Avvisata dagli amici che a Busto Arsizio vi era vacante un posto, essa si affrettò a concorrere, ma
non l'avrebbe ottenuto se non era per l'appoggio del Soprintendente scolastico, perchè in Consiglio
comunale era sorto il radicale Travelli ad opporsi alla sua nomina.A Busto Arsizio rimase un paio di
anni sempre impiegato presso la ditta Castiglioni con uno stipendio mensile di 120 lire. “Furono
forse gli anni più belli della mia vita coniugale, passati in compagnia dei figliuoli Viscardi e di mia
sorella, circondati dall'amore degli amici e dalla simpatia di tutta la popolazione”
In mezzo a quella folta massa di operai e di operaie, andò sviluppando l'organizzazione del Circolo
Operaio di M. S. e quella di una Cooperativa di Consumo. L'esempio di quanto si faceva a Busto
Arsizio destava una gara in tutti i paesi del circondario e dappertutto sorgevano iniziative di
organizzazione e di propaganda sia fra i lavoratori dell'industria che fra i contadini. Nondimeno coi
compagni di Milano aveva mantenuto le più amichevoli relazioni: “sovente, nelle lunghe serate
invernali, ci trovavamo a passeggiare in Galleria”
15. Nascita della Camera del Lavoro e della Società Umanitaria
Nelle elezioni generali amministrative del 1889 i pochi socialisti ed operai che avevano potuto
entrare nelle Amministrazioni comunali e provinciali vi avevano portato l'eco dei bisogni specifici
delle classi lavoratrici che per il passato non erano mai stati considerati e fu cosi che il Comune di
Milano nel 1891, dietro proposta di Gnocchi-Viani, deliberò di concorrere per l'organizzazione del
mercato del lavoro cittadino, concedendo alcuni locali disponibili nel Castello che era stato
abbandonato dall'autorità militare e diecimila lire di sussidio annuo. Si formò cosi il primo nucleo di
quella forma di Camere del Lavoro che dovevano poi diffondersi in tutta Italia e rappresentare le
forze locali della classe lavoratrice, sia industriale che agricola. “Noi, vecchi avanzi del Partito
Operaio, ci radunavamo si può dire ogni sera colle nostre famiglie in quei locali del Castello, per
discutere intorno al miglior modo di dare fondamento stabile e sicuro alla nuova istituzione", che
ebbe ufficialmente inizio nell'ottobre del 1891 con una memorabile riunione a cui presero parte i
rappresentanti e i membri delle varie arti e mestieri
A queste iniziative venne presto ad aggiungersi una nuova istituzione dovuta alla genialità
utopistica di un singolare personaggio: Prospero Moisé Loria, israelita ed ex-banchiere, il quale
viveva sdegnoso e solitario in una bellissima casa di via Alessandro Manzoni. "Una volta sola ebbi
occasione di parlargli per domandargli aiuto in un frangente di sciopero disperato e ricordo che,
timoroso e sospettoso, mi ricevette in cortile e mi diede un biglietto da 250 lire scongiurandomi di
non farlo sapere a nessuno. Poi, passeggiando nell'atrio della sua casa, mi confidava che la sua
idea era quella di intervenire a favore degli operai milanesi mediante la fondazione di una grossa
istituzione cooperativa agricola, che valesse a frenare l'esodo urbano dei contadini il cui
affollamento nella città per trovare qualche lavoro industriale faceva ribassare i salari e produceva
la crisi della disoccupazione. «Vedi - mi diceva- io ci metto 5 milioni, Weill-Schott ce ne mette 1, De
Asarta 1 e cosi facciamo una grande azienda di campagna per trattenere i contadini nel lavoro
agricolo... Questa sarebbe l'impresa alla quale dovreste dedicarvi anche voi e non la lotta che
sostenete! .«Sta bene - rispondevo io - voi altri che avete i mezzi finanziari fate pure i vostri
tentativi. Noi che siamo spinti dal bisogno, abbiamo un obbiettivo di miglioramento immediato;
lavorare di meno (la giornata di otto ore rimedia alla disoccupazione) e guadagnare di più e questo
rimedia alla miseria. Aiutateci a sostenere questa lotta, noi ci mettiamo il fastidio e il
pericolo...».«Ma se si sapesse, se si sapesse! Cosa si direbbe contro di noi?». «Non si saprà
nulla»; ma più di quel biglietto da 250 lire non riuscii a strappargli.”
Nel novembre 1892 Prospero Moisé Loria morì e lasciò per testamento tutto il suo patrimonio
liquido, circa 13 milioni, per fondare la Società Umanitaria collo scopo di «fornire ai diseredati i
mezzi per elevarsi da sé». L'esempio della Camera del Lavoro di Milano venne ben presto seguito
ed imitato a Firenze, a Genova, a Torino, a Venezia, a Parma, a Bologna, ecc. e una nuova rete di
interessi e di rapporti collettivi della classe lavoratrice veniva a stendersi da un capo all'altro della
nazione.
16. Amministratore della “Lotta di classe”
Col concorso di così favorevoli circostanze i socialisti di Milano, allo scopo di orientare lo sviluppo
del movimento proletario, avevano iniziato nel luglio 1892 la pubblicazione di un settimanale col
titolo Lotta di classe, mediante la formazione di una società di azionisti, i quali si impegnavano al
pagamento di almeno un'azione di L. 250. A dirigere il giornale era stato chiamato da Torino il
giovane avvocato Claudio Treves, abile e coraggioso polemista, al quale era affidato l'incarico
anche della compilazione e redazione.Si trattava dunque di un organo squisitamente politico
destinato a dare e mantenere alla organizzazione una rigorosa unità di indirizzo, consolidandovi le
aspirazioni socialiste Il successo fu rapidissimo, tanto che si rese presto necessario il lavoro
continuo e quotidiano di un impiegato amministrativo e contabile per secondare lo sviluppo
dell'azienda. "Si misero gli occhi sopra di me e l'ing. De Franceschi cominciò a farmene la
proposta mostrandomi i diversi aspetti convenienti materialmente o moralmente per me. Mi
schermii per qualche tempo ... ma la sua insistenza fu tanta, l'impegno scritto che egli si prese di
farmi assegnare uno stipendio di almeno 200 lire al mese era cosi serio, che io finii per arrendermi
ed in principio del 1893 ritornai a Milano, andando ad abitare colla moglie e coi figli di Viscardi"
Col suo lavoro regolare e continuo l'azienda giornalistica acquistò subito un carattere di serietà e di
solidità fino allora sconosciuto. Però il Consiglio d'Amministrazione, viste le forti passività del primo
bilancio, trovò opportuno ridurre il suo stipendio a sole 150 lire mensili e "questa fu una mia prima
delusione. Protestai tanto che in seguito il mio povero stipendio venne portato a 175 lire mensili".
17. L'adesione di De Amicis al Partito socialista
Fu in questo frattempo che ebbe occasione di entrare in rapporti personali con Edmondo De
Amicis, "le cui simpatie per le idealità socialiste io riuscii a convertire in una vera e propria
adesione politica." Già attratto e sedotto dallo stile e dallo spirito degli articoli di Filippo Turati che
comparivano sulla “Critica sociale”, De Amicis aveva domandato di sottoscrivere una azione della
Cooperativa “Lotta di classe”. Come amministratore Lazzari gli mandò il titolo da firmare e
cominciò così un'amichevole corrispondenza in seguito alla quale, avendo avuto occasione di
andare a Torino lo andò a trovare a casa.
"Egli mi raccontava come le sue prime impressioni di carattere sociale si fossero formate
assistendo dalle finestre della sua abitazione alla brutale repressione poliziesca di uno dei primi
cortei del 1° Maggio... ammirava lo spettacolo grandioso di quella folta schiera ordinata e pacifica
di uomini e di donne del ceto operaio che sfilava lenta e solenne cantando non più gli inni dei
vecchi ideali, ma le aspirazioni nuove. Ad un tratto un gruppo di poliziotti, di questurini e di delegati
colle insegne della patria si gettava contro quel corteo e lo scompigliava atterrando uomini e
donne, mentre compariva sulla piazza uno squadrone di cavalleria colle sciabole sguainate.."
Questo attacco al pacifico diritto di riunione, che era stata la gloriosa rivendicazione statutaria della
vecchia generazione, lo aveva colpito e da allora si era messo a riflettere profondamente, a
osservare e studiare il mondo dei proletari e quella questione sociale che sollevava i furori della
legge e dell'ordine. "Egli mi diceva che pensava di scrivere un libro per glorificare gli stenti e i diritti
della folla povera ed innumerevole, io gli mostravo che c'era qualcosa di più direttamente utile da
fare, dal momento che la lotta era dichiarata: mettersi di qua o di là. E questo era il mio ritornello
favorito sul quale io picchiavo sempre, fin quando egli mi annunciò di essersi deciso per la vita e
per la morte, iscrivendosi nella Sezione di Torino. E mantenne la parola fino alla fine" Le sue opere
letterarie dopo d'allora hanno tutte la sua nuova ispirazione; il suo discorso del 1895 alla
Associazione Universitaria di Torino è un invito alla gioventù a partecipare alla lotta socialista e
dietro insistenza di Lazzari scrisse due articoli pubblicati poi sulla “Lotta di classe”.
18. Il Congresso di Reggio Emilia e quello clandestino di Parma
Nel settembre 1893 ebbe luogo a Reggio Emilia il secondo Congresso Nazionale, alla presenza di
300 delegati: qui prese il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, il programma fu
completato e confermato, il Gruppo parlamentare vi ebbe il suo primo riconoscimento e la sua
disciplina (fu questa un'innovazione, imitata poi dagli altri partiti quandi si formarono), il giornale
Lotta di classe diventò l'organo centrale della organizzazione, la quale raggiungeva così la sua
unificazione. Lazzari prese parte attivissima alla discussione ed ai lavori del Congresso.
Però, mentre nell'Italia centro-settentrionale gli effetti di questa rinnovata vitalità del Partito si
traducevano in un intenso ed ordinato lavoro di educazione e di organizzazione proletaria con lo
sviluppo delle Camere del Lavoro, la formazione di leghe e di federazioni operaie e contadine, la
partecipazione a tutte le manifestazioni di attività legislativa e sociale (Lazzari rappresentò la
Camera del Lavoro al Congresso Internazionale sugli Infortuni e Assicurazioni Sociali che ebbe
luogo a Milano dal 1° al 6 ottobre 1894), in Sicilia a migliaia accorrevano ad iscriversi nei Fasci
dei Lavoratori che sorgevano in ogni paese, manifestando il malessere generale e il malcontento
del popolo con dimostrazioni che il governo fronteggiava schierando poliziotti, soldati e carabinieri.
Ne nacquero conflitti cruenti; le notizie di queste sanguinose repressioni provocarono altre
dimostrazioni ugualmente represse colle violenze militari. Come epilogo il governo di Francesco
Crispi decretò lo stato d'assedio in Sicilia e in Lunigiana; gli arresti avvennero a centinaia e i
tribunali militari condannarono ad enormi pene i capi e i gregari del movimento proletario di quelle
provincie. Per meglio fronteggiare la situazione, fu convocato il terzo Congresso Nazionale ad
Imola per i giorni 7, 8 e 9 settembre 1894, ma il governo lo proibì, finché il 22 ottobre emanò un
decreto di scioglimento di qualsiasi organizzazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Il
giornale, che aveva pubblicato un suo articolo col titolo La commedia è finita, venne sequestrato e
in seguito ritornò alla luce intestandosi soltanto come organo dei socialisti italiani.
Nonostante queste difficoltà, continuò il lavoro di propaganda e di proselitismo, approfittando di
tutte le occasioni che si presentavano: Lazzari ebbe un contradditorio col neo-repubblicano Dario
Papa; andò candidato nel collegio di Porto Maurizio; in un comizio elettorale tenuto nel ridotto del
Teatro alla Scala presentò la candidatura del socialista siciliano Nicola Barbato; fu candidato
provinciale a Busto Arsizio, tenendo varie e contrastate conferenze nei paesi del mandamento
Un intenso e continuo lavoro per il quale fu processato una volta insieme a tutti gli altri membri del
Comitato Centrale, perché colpevoli di solidarietà col movimento dei lavoratori siciliani e poi,
isolatamente, perché colpevole di aver fatto «l'apologia del delitto nel delinquente», presentando e
sostenendo la candidatura di Nicola Barbato. Nel primo grande processo furono tutti condannati
alla pena del confino, scontata durante l'anno seguente; nel secondo fu condannato lui solo a tre
mesi di reclusione. In mezzo a questa febbrile attività persuase i compagni del Comitato Centrale a
rifare le basi della organizzazione del Partito, prima di andare dispersi nei vari paesi dove erano
stati confinati e infatti, a questo scopo, fu convocato il terzo Congresso Nazionale (quello che non
si era potuto svolgere a Imola) a Bologna per il 13 gennaio 1895.
La polizia bolognese si mobilitò per impedire l'annunciata riunione, ma i rappresentanti,
debitamente avvisati, si riunirono segretamente a Parma in una saletta privata. Erano in 64
delegati provenienti da ogni parte d'Italia: “restammo chiusi tutto il giorno, in piedi, al freddo,
intorno ad un modesto tavolo dove avevano potuto sedere soltanto i dirigenti della discussione,
mentre di fuori nevicava disperatamente". Lazzari fece una sommaria relazione della situazione in
cui si trovava l'organizzazione del Partito in seguito al suo scioglimento, espose i risultati che
l'esperienza aveva forniti e a nome del Comitato Centrale presentò la proposta di confermare
l'antico programma, scegliendo per titolo il nome semplice e comprensivo di Partito Socialista
Italiano e sostituendo al sistema delle adesioni collettive quello delle singole adesioni personali
raccolte in sezioni di almeno 10 iscritti. "La discussione avvenne rapida e cordiale: ci trovammo
presto tutti d'accordo e alla sera ci separammo coi migliori propositi di portare ognuno nella sua
regione la buona novella dell'avvenuta nostra ricostituzione".
In effetti il criterio dell’adesione individuale, sul modello della socialdemocrazia tedesca (mentre il
sistema delle adesioni collettive era caratteristico del laburismo britannico), fu motivata come prova
dell’avvenuta maturazione nei singoli militanti di una consapevole coscienza di classe ma nacque
da considerazioni di opportunità, come espediente per sottrarsi alla repressione crispina: separare
dalle sezioni di partito le organizzazioni di classe significava consentire a queste un almeno
formale agnosticismo politico che le collocava nelle retrovie della battaglia preservandone
l’esistenza per tempi migliori. Turati, tra gli altri, era riluttante ad accogliere la formula per timore
dell’irruzione nel partito di piccoli borghesi famelici e demagoghi, specialmente nelle sezioni
dell’Italia meridionale
18. Polemiche sulla tattica
La repressione del governo Crispi provocò per contraccolpo la convergenza di tutta l'estrema
(repubblicani, radicali, socialisti). La Lega per la difesa della libertà sorta a Milano nel novembre
1894 , di cui fu tra i promotori, fu il prodotto della rinnovata alleanza dei tre gruppi: radicali,
repubblicani e socialisti. Durante il 1895 furono celebrati i processi contro le sezioni del Partito dei
Lavoratori Italiani, e ad alcuni di questi fu chiamato come testimone: "ricordo quello che si svolse
nella Pretura di Revere mantovano. I poveri nostri compagni si difendevano come potevano dalla
minaccia di essere mandati a domicilio coatto: non facevano certo gli eroi, ma non sconfessavano
le loro idee." Fu in una di quelle circostanze che la Crìtica sociale pubblicò un articolo di aspro
commento "Io mi credetti in dovere di scrivere una risposta nella quale facevo anche una
pungente polemica contro le teorie dell'opportunismo politico e parlamentare che cominciavano a
far capolino fra gli scrittori della suddetta rivista e lo portai a Filippo Turati" che si rifiutò di
pubblicare il suo articolo. In effetti nel PSI iniziarono a delinearsi le "tendenze" come allora
venivano chiamate le correnti, con il prevalere di quella riformista che varò in un consiglio
nazionale del marzo 1895 il "programma minimo" e iniziò un lungo periodo di egemonia, che vide
Lazzari in minoranza e all'opposizione fino al 1912.
Fu in quel tempo che la Lotta di classe ebbe bisogno di qualche aiuto finanziario straordinario e
Lazzari, che altre volte ero ricorso per prestiti a Turati e Treves ma non voleva più farlo a causa
dei dissensi, si fece prestare da Bertini, cassiere del disciolto Partito, una somma di 500 lire la
quale, dato il decreto di soppressione, non doveva figurare nei registri che annualmente si
dovevano presentare al Tribunale per la vidimazione. Dovendo presentare in Tribunale il bilancio
annuale della Cooperativa editrice e volendo nascondere quell'operazione finanziaria compiuta
colla non più esistente cassa del Partito, utilizzò un espediente contabile "mai più pensando che
col progredire del tempo si sarebbe fatta di quell'innocuo incidente una spregevole accusa contro
la mia reputazione."
19. Il domicilio coatto a Borgataro
Venuta la fine del 1895 ricevette intimazione di partire per scontare a Borgotaro la pena dei cinque
mesi di confino a cui era stato condannato un anno prima. Doveva partire il 24 dicembre e
domandò invano una proroga. "Alla mattina del 24 un questurino mi condusse in stazione, mi
diede un biglietto di terza classe e partii con un freddo cane mentre la neve cadeva a larghe falde".
Borgotaro era un antico grosso borgo dell'Alto Appennino parmense sede di Sottoprefettura. La
popolazione del centro urbano si componeva, oltre che dei funzionari governativi e comunali, di
pochi artigiani e commercianti, di alcuni professionisti, medici, avvocati, ingegneri e di molti
contadini piccoli proprietari dei terreni e dei boschi circostanti, nonché di braccianti di campagna.
La vita del borgo si svolgeva calma ed inerte senza preoccupazioni né passioni politiche o sociali:
soltanto nei periodi elettorali saltavano fuori due partiti, uno monarchico-conservatore e l'altro
repubblicaneggiante. " A mezzo di un simpatico e sgangherato faccendone del paese che era
chiamato col soprannome di Bombarda, trovai da affittare a 25 lire mensili una modesta cameretta
e cominciai la mia vita di confinato.... i ferrovieri che avevano saputo del mio arrivo mi
accoglievano fraternamente nella stazione. L'amico Bombarda mi aveva fatto conoscere, fra altri,
un giovane curato di una lontana parrocchia di montanari e con lui, che era intelligente, istruito,
spregiudicato e generoso, entrammo subito in grande amicizia.”
Nella tipografia del paese stampò l'inaugurazione dell'anno giudiziario del Procuratore del Re
guadagnando 25 lire; trovò da insegnare a tre o quattro giovinetti un po' di lingua francese dietro
compenso di 10 lire mensili e in questo modo fu in grado di lasciare alla moglie rimasta a Milano
almeno la metà dello stipendio che l'amministrazione della “Lotta di classe” continuava a
mandargli, considerandolo trasformato da amministratore in collaboratore e corrispondente.
Cominciò un po' di propaganda: affittata per poche lire una cameraccia abbastanza centrale nel
paese, vi fece portare un tavolino e mezza dozzina di panche noleggiate e mandò ad una
cinquantina di capi famiglia un invito per una conferenza privata sul tema: La questione sociale e i
lavoratori.
“Vennero una ventina di persone che entravano ravvolte nei tabarri, silenziosi e diffidenti come
congiurati. A metà del mio discorso cinque o sei se ne andarono annoiati e sonnolenti, ma vidi che
i rimasti erano favorevolmente impressionati. Dopo alcuni giorni mandai un secondo invito col
tema: I partiti politici e la rivoluzione sociale, la sala si riempi di un uditorio vivace ed animato che
mi ascoltò con grande simpatia ed interesse e gli intervenuti se ne andarono commentando il mio
discorso con quelle significanti invettive del dialetto parmigiano che significavano approvazione e
consenso. Questo mi incoraggiò a mandare un terzo invito annunciando per tema: La classe
operaia e il socialismo. La saletta, la scala e la strada si riempirono di gente impaziente ed eccitata
che mi accolse plaudendo e mi salutò alla fine con grandi acclamazioni e colla promessa che si
sarebbe iniziato subito il lavoro di organizzazione"
All'indomani, mentre ingenuamente pensava di gettare le basi di una sezione del Partito, venne il
maresciallo dei carabinieri per notificargli un decreto della Procura che, vista la propaganda con
cui continuava i reati per cui era stato condannato, convertiva la pena del confino in cinque mesi
di carcere, comprendendovi anche la condanna per apologia compiuta durante le elezioni di Nicola
Barbato a Milano, essendo quella sentenza diventata esecutiva. Al termine della condanna,
scontata nel carcere locale, in una riunione di dieci amici fu costituita la sezione socialista e da
allora in poi anche Borgotaro ebbe il suo piccolo nucleo di militanti
20. Il giurì per la gestione della “Lotta di classe”
Nel marzo 1896, quando era ancora detenuto, ricevette dal Consiglio d'Amministrazione della
Lotta di classe una comunicazione che gli notificava il licenziamento dal posto che occupava come
amministratore. "Fu per me un fulmine a ciel sereno: conoscevo le obbiezioni e le osservazioni a
cui aveva dato luogo l'artificiosa scritturazione delle 500 lire prestate dalla cassa del Partito per
chiudere alla meglio il bilancio da presentare al Tribunale, ma non avrei mai pensato che a quella
questione si sarebbe data una simile soluzione, tanto più mentre stavo carcerato per un interesse
di partito. Fu tanta l'amarezza di vedermi cosi bistrattato che per qualche giorno credetti di
impazzirne: ne perdetti il sonno e l'appetito (...) Ritornai a Milano stanco ed avvilito senza risorse e
senza occupazione. Mia sorella, a cui all'ospedale avevano mutilato una gamba, era venuta a
morire in casa mia; mia moglie stentava a far fronte ai bisogni quotidiani; io mi trovavo mezzo
ammalato per una sinovite che mi aveva fatto gonfiare le gambe e scoppiare un tumore in un piede
e camminavo appoggiato ad un bastone" ma gli amici del V Collegio, dove era candidato per la
prima volta Filippo Turati, in sostituzione di Nicola Barbato la cui elezione era stata annullata, lo
trascinarono nella lotta elettorale e gli fecero tenere parecchi discorsi di propaganda.
Per guadagnare da vivere accettò di andare come segretario alla Camera del Lavoro di Monza che
si stava allora costituendo e cosi abbandonò ancora Milano. A Monza guadagnava tre lire al giorno
che divideva con la moglie rimasta a Milano per compiere gli studi da levatrice al fine di cercare
un'altra occupazione visto che per rappresaglia politica gli industriali non le davano più lavoro.
In quelle condizioni, un giorno che era venuto a Milano per incarico degli operai monzesi, trovò in
strada l'amico avvocato Luigi Majno il quale si mostrò indignato per il modo con cui era stato
trattato da “Lotta di classe” e propose, per esaminare e risolvere la questione in modo onorevole,
di nominare un giurì composto da lui, da Gnocchi-Viani per Lazzari e dal ragionier Castiglioni per il
Consiglio della Cooperativa Lotta di classe.
21. Commesso viaggiatore del socialismo
Intanto era andato come rappresentante al Congresso Nazionale, che si teneva a Firenze nei
giorni 11-12-13 luglio 1896. Era quello il primo congresso del ricostituito Partito Socialista Italiano
(quarto nell'ordine dei congressi socialisti italiani) nel quale l'organizzazione del Partito aveva già
potuto presentarsi con 442 sezioni, 19.000 iscritti e 27 settimanali. L'incoraggiante risultato del
Congresso di Firenze aveva impegnato la Direzione del Partito ad affrettare i preparativi per la
fondazione di un giornale quotidiano e Lazzari fu chiamato a far parte di una commissione
composta dai compagni Cabianca, Della Torre, Ferri, Lollini, Morgari, Soldi.
"Incaricato di indicare chi poteva essere designato come direttore, dopo aver accennato alle
ragioni che sconsigliavano la scelta di Turati e di Ferri, tanto favorevolmente noti nel giornalismo
socialista ma già impegnati personalmente colla pubblicazione di proprie riviste, consigliai di
scegliere Leonida Bissolati il quale, colla prefazione ad una edizione italiana del Capitale di Marx,
aveva dimostrato quanto amore e quanto attaccamento egli avesse per la precisa interpretazione
della dottrina rivoluzionaria e della politica antiborghese".
Abbiamo qui una manifestazione dei limiti ideologici e dell'ingenuità politica che portarono Lazzari,
avversario del riformismo, a proporre per la direzione dell'organo di indirizzo politico e di
formazione dell'opinione del Partito il più conseguente e limpido dei riformisti, così come nel 1912
a indicare, sempre per la direzione dell' “Avanti!”, prima Salvemini che era uscito dal Partito a
destra e poi Mussolini che aveva già allora una collocazione autonoma più vicina ai sindacalisti
rivoluzionari che agli “intransigenti”.
Bissolati accettò e si trasferi a Roma dove unitamente a Morgari si gettarono le basi del giornale
“Avanti!” che vide la luce il 25 dicembre 1896 appoggiato da 3.000 abbonati e con una prima
tiratura di 50.000 copie.
"In quanto al giurì, ogni tanto Gnocchi-Viani mi avvisava che c'erano in aria delle grandi ostilità
contro dì me contro le quali egli lottava sempre, ma che si stavano esaminando i libri commerciali
della Cooperativa ed a suo tempo si sarebbe pubblicato il lodo definitivo."
Besana gli propose di entrare nella sua azienda come viaggiatore per il suo commercio di tessuti,
con una provvigione del 3% e il rimborso delle spese. Accettò e così sul finire dell'estate 1896 partì
col suo campionario, cominciando il giro del Bolognese, del Ferrarese, della Romagna, ecc.
“Combinavo dei piccoli affari coi vecchi clienti della ditta, ma intanto facevo delle preziose
conoscenze e alla sera ero pienamente libero coi pochi socialisti residenti nelle città e nei villaggi
coi quali passavo cosi alcune ore felici di propaganda e di fraternità.(...) vita nomade, così contraria
alle mie abitudini casalinghe — ho sempre odiato l'ambiente venale e trascurato degli alberghi e
delle osterie — aveva pure le sue soddisfazioni. I viaggi duravano perfino quattro o cinque mesi
perché io li avevo estesi fino alla Toscana, al Lazio e nell'Umbria e si ripetevano per ogni stagione
estiva ed invernale: essi mi permettevano di percorrere tante zone e tante provincie che altrimenti
non avrei mai veduto e di conoscere tanti preziosi elementi della vita politica italiana."
Certo anche questa attività non era senza inconvenienti a causa della ostilità delle autorità: nel
Mantovano e nel Polesine i contadini quando lo vedevano arrivare combinavano delle piccole
riunioni di propaganda che avvenivano fuori dai centri, in località lontane e disperse, lungo gli
argini; “a Sassuolo, per essere riuscito a tenere una riunione privata, fummo assaliti dai carabinieri;
a Lugo fui processato e condannato per una conferenza tenuta in pubblico senza permesso, ma
ciò non toglieva nulla alle attrattive di quella vita” perché dovunque passava sorgevano nuclei di
aderenti o simpatizzanti e si formavano sezioni del Partito.
In generale ciò non era di ostacolo al lavoro commerciale che doveva fare, anzi in molti luoghi lo
favoriva per l'interesse e la simpatia che la sua presenza destava nelle popolazioni, come avvenne
a Comacchio, dove fu il primo a portare sulla pubblica piazza la parola e l'azione della propaganda
socialista. Agli affari commerciali dell'amico Besana riuscì ad aggiungere quelli dell'amico
Castiglioni di Busto Arsizio mediante un'amichevole combinazione che gli assicurava la possibilità
di un guadagno maggiore. “Ero così riuscito ad assicurare un po' di benessere alla mia vita
domestica della quale però godevo così poco”.
Ricevette finalmente il testo del lodo emesso dal giurì sulla questione del licenziamento
dall'amministrazione della Lotta di classe. Erano diverse pagine scritte da Filippo Turati e
concludeva con l'approvazione e la ratifica dell'avvenuto licenziamento “mi colse un tale
turbamento che credetti di morire e, col senso di essere costretto a sopportare una crudele
ingiustizia, rifiutai di partecipare in qual siasi modo al Congresso annuale del Partito, che si teneva
in Bologna dal 18 al 20 settembre 1897.”
In quel Congresso il Partito si presentava con 623 Sezioni e 27.381 iscritti: era un bel progresso
che faceva giustamente inorgoglire i dirigenti. Nel 1897 era morto suo padre, colpito nel sonno da
un violento colpo apoplettico, e prima che l'anno finisse era morta anche la madre.
22. Dimostrazioni per il pane
Era cominciato in quel tempo un periodo critico per la vita economica: l'annata agricola era stata
scarsa, i grani e le farine mancavano sui mercati od erano monopolizzati dagli speculatori, il pane
rincarava ogni giorno. Una sorda agitazione fermentava nelle città e nelle campagne e scoppiava
in dimostrazioni.
Mentre la vita pubblica era cosi eccitata “arrivai a Camerino nelle Marche alla fine d'aprile 1898, e
vi ero aspettato da diversi buoni clienti del commercio locale. Stavo appunto in una di quelle
botteghe mostrando i miei campionari per la stagione estiva, quando vennero a chiamarmi per
correre a vedere una dimostrazione per la farina. Per uno stradale saliva lentamente una strana
processione che mi fece una impressione indimenticabile. Quattro grandi carri di farina, trascinati
da quei magnifici grossi buoi bianchi infiocchettati di rosso che sono una mirabile specialità della
agricoltura marchigiana, erano circondati da una immensa turba di uomini, di donne, di ragazzi
armati di grandi bastoni e scortati da carabinieri a piedi e a cavallo: salvo i costumi pareva di
assistere ad una scena dei vecchi tempi biblici. La popolazione cittadina guardava dall'alto quella
scena grandiosa e all'arrivo del corteo prorompeva in grandi applausi e in rumorose acclamazioni.”
Col fermo di quel grosso carico di farina si era provveduto momentaneamente al bisogno del pane
quotidiano e tutti erano esultanti. Si era saputo che uno dei grossi speculatori del luogo aveva
venduto una importante partita di farina e la faceva condurre alla stazione ferroviaria. La povera
gente era corsa in massa a fermare i carri per ricondurli in città: il sindaco aveva aderito a fare
l'acquisto della farina per distribuirla poi ai cittadini bisognosi e tutti ritornavano gloriosi e trionfanti
come se avessero vinto una grande battaglia: "Fui pregato dagli amici di dire due parole per
l'occasione: tentai invano di schermirmi per non pregiudicare gli affari della ditta che
rappresentavo, Delegato e questurini mi circondavano, mi si portò un tavolino sul quale venni fatto
salire (...) feci una suggestiva e sommaria dimostrazione delle cause sociali e politiche per le quali
si rende tanto tribolata la vita per la maggioranza dei cittadini, e conclusi affermando la necessità
di dedicarsi a realizzare le conquiste e gli ideali del socialismo. Compiuta la mia giornata, mi recai
a dormire nel solito albergo. Dormivo profondamente il sonno del giusto quando dei replicati colpi
picchiati all'uscio della camera mi risvegliarono di soprassalto. Entrarono due Delegati di P.S. che
mi invitarono ad alzarmi perché dovevo subito partire da Camerino. (...) Dall'uscio aperto entrarono
quattro carabinieri col fucile in mano e circondarono il mio letto. Dovetti dunque alzarmi e vestirmi
rapidamente." Condotto ammnettato a Fabriano, venne accompagnato nelle carceri mandamentali.
Si trattava di un arresto vero e proprio fatto senza regolare mandato dell'autorità giudiziaria.
23. II Novantotto
Dopo essere transitato per il carcere di Ancona, fu condotto a Bologna e rinchiuso nel carcere di
S. Giovanni in Monte "nessuno sapeva darmi qualche notizia dall'esterno. Soltanto una volta capitò
di passaggio un giovinetto socialista di Bertinoro: da lui ebbi confuse notizie di ciò che succedeva
per l'Italia, gli stati di assedio, i tribunali di guerra, e allora cominciai a capire che una qualche
grossa burrasca si andava preparando anche contro di me."
Una mattina venne condotto in stazione con la solita catena di prigionieri e arrivato a Milano
portato al carcere di S. Vittore “osservato l'ambiente del raggio dove io ero rinchiuso vidi che
dirimpetto a me vi era in una cella Filippo Turati, in un'altra Morgari, in un'altra ancora Bissolati,
tutti tre deputati e allora cominciai a temere di essere coinvolto in un processo di natura
essenzialmente politica"
Per effetto dello stato d'assedio si trovava in balia del Tribunale di guerra. Venne il giorno del
dibattimento: in una grande sala del Castello era stata impiantata l'aula delle udienze e c'erano
una ventina di imputati fra cui l'ex-deputato facchino Pietro Zavattari, il prete giornalista don Davide
Albertario, la Kuliscioff, alcuni anarchici, alcuni democratici e repubblicani e parecchi socialisti
Le udienze furono parecchie e piene di incidenti e di sorprese: in generale gli accusati
confermavano le proprie opinioni e i propri propositi con naturalezza e fermezza
Lazzari cominciò a contestare la validità dell' interrogatorio facendo appello alle condizioni di fatto
e di diritto in cui si trovava perché per la sua età, avendo raggiunto i 40 anni, e per la sua
professione civile, non essendo mai stato soldato, non credeva di dover essere sottoposto alla
giurisdizione militare ed invocava, come prescrive la legge, l'esame dei suoi giudici naturali. Allora
il Presidente lesse i decreti dell'8 maggio che istituivano i tribunali di guerra. Prima della sentenza
fu invitato a parlare se aveva qualcosa da dire in sua difesa “mi alzai facendo questa
dichiarazione: «ho da dire che visto il mio alibi materiale perchè da cinque mesi assente da Milano,
e visto il mio alibi morale perché per raggiungere l'emancipazione dei lavoratori io non ho mai detto
di far le barricate, io mi considero estraneo ai recenti fatti avvenuti a Milano e siccome nemmeno i
decreti dello stato d'assedio possono aver soppresso lo Statuto, io continuerò sempre a sostenere
anche per i lavoratori il pieno esercizio del loro diritto di riunione, di associazione e di voto».
Il 23 giugno 1898 venne condannato a un anno di detenzione per aver istigato a delinquere i
milanesi, mentre Zavattari e alcuni anarchici venivano assolti e su don Davide Albertario si
scaricarono i furori dell'avvocato fiscale che aveva domandato per lui il massimo della pena, cioè
tre anni di reclusione.
24. A Finalborgo
Vennero autorizzate le famiglie a venirli a salutare prima di partire, perché erano destinati al
penitenziario di Finalborgo. "Mi ricorderò sempre la scena che avvenne quando fui condotto in
presenza di mia moglie: cogli occhi pieni di lacrime ed ardenti per la febbre essa venne a baciarmi
ed abbracciarmi, raccontandomi brevemente le gravi peripezie che aveva dovuto attraversare in
quel burrascoso periodo di tempo."
Alla sera vennero a prenderli, lo incatenarono con don Davide, e furono condotti alla stazione e
immagazzinati nel vagone cellulare “ogni tanto si sentiva la voce di Valera che diceva: Ciao
Romussi, o ciao Chiesi, o ciao Federici, o come state don Davide? "
Il penitenziario di Finalborgo era l'antico convento dei domenicani i quali, avendo in quel territorio
una specie di giurisdizione, ne avevano fatto una sede feudale con spesse muraglie di pietra,
grandi scaloni, una grossa torre quadrata.
Dopo tre giorni di detenzione cubicolare furono condotti nella quinta camerata: Chiesi, Romussi,
Federici, don Albertario, Valera, Lazzari, Ghiglionca
Ben presto Romussi venne trasferito al penitenziario di Alessandria e a sostituirlo venne Giovanni
Suzzani, un giovane di Lodi che curava l'edizione del giornale Sorgete “questo Suzzani era un mio
grande amico ed ammiratore, tanto che ci chiamavamo zio e nipote ed ottenni di metterlo vicino a
me.”
La Cassazione rigettò il ricorso e quindi dovettero subire le disposizioni del regolamento: furono
rasati completamente, vestiti colla casacca dei reclusi, individuati non più col nome ma col numero
di matricola. Lazzari incominciò allora a soffrire quegli strazianti mali di stomaco che dovevano poi
sviluppare l'ulcera gastrica e portarlo all'operazione della gastroctomia, prima all'Ospedale
Maggiore di Milano nel 1911, poi al Policlinico di Roma nel 1913.
La quinta camerata era chiamata la camerata dei giornalisti "e un giorno il direttore venne a dirci
che, non sapendo a quale occupazione adibirci, come prescrive il regolamento, aveva chiesto ed
ottenuto dal Ministero la facoltà di darci carta, penna e calamaio, onde occupare le nostre inerti ed
oziose giornate. Fu una vera festa per tutti. Chiesi cominciò il suo interminabile lavoro dei romanzi
d'appendice, don Davide scriveva i suoi quaresimali, Federici riprendeva i suoi studi della lingua
inglese, Valera impiantava i suoi indiavolati romanzi popolari ed io, avendo ottenuto il materiale di
disegno, passavo il mio tempo a utilizzare gli studi fatti all'Accademia di Belle Arti a Milano e
ritraendo a colori e in bianco e nero l'ambiente, le persone, le cose da cui eravamo circondati”
Vennero le feste di Natale, e per la fine dell'anno comparve il primo indulto per coloro che avevano
una condanna non superiore ai due anni. Cinque uscirono, ma rimasero in tre, cioè, Chiesi, don
Davide e Lazzari, perché recidivo.
In seguito ai rapporti del direttore il Ministero decise di migliorare la condizione dei detenuti che
potevano provvedere al vitto all'esterno: cosi cominciò un nuovo tenore di vita “Alla mattina Chiesi
faceva la nota del pranzo e della cena consultando don Davide che, come prete, doveva essere il
più competente e la consegnava al sottocapo: a mezzogiorno veniva dal ristorante un gran cesto
(...) in quanto a me il male di stomaco che faceva continui progressi mi impediva di godere la
fraterna liberalità degli altri due.
La voce della sua abilità nel ritrarre e disegnare le persone e le cose pare che fosse arrivata come
un scandalo all'orecchio del direttore, perché un giorno venne un sottocapo, raccolse le carte, le
matite, i colori e se li portò via. Dopo tre giorni gli vennero restituite ma non i lavori, i ritratti, le
prospettive.
In febbraio venne citato davanti al Tribunale di Ancona, per render conto di quanto aveva fatto a
Camerino un anno prima e fu condotto in vagone cellulare prima a Genova, poi a Voghera,
Piacenza, Bologna sempre ammanettato e incatenato in compagnia dei reclusi e dei forzati che
viaggiavano da un penitenziario all'altro.
Arrivato ad Ancona reclamò anche là le concessioni di passeggio, di vitto, di lavoro di cui godeva a
Finalborgo. "Mi misero in una bellissima cella posta nella parte più alta di quell'enorme edificio
carcerario: vi erano due finestre, una sul mare venne lasciata aperta e potevo ammirare cinquanta
chilometri di spiaggia fino a Sinigaglia, fino a Pesaro. Fra i socialisti del luogo si era sparsa la voce
del mio processo e perciò mi arrivavano cibi, libri e lettere in abbondanza."
In prima istanza fu condannato a tre mesi di detenzione, ricorse in appello e, mentre era in attesa
della udienza, venne accompagnato nella sua cella perché condannato a 75 giorni per offese al re
il giornalista repubblicano Domenico Barillari. "Era un brav'uomo, all'antica, che seguiva la sua
politica in modo un po' superficiale e si copriva sempre il capo con un imponente cappello a
cilindro, come se ciò lo dovesse rendere più rispettabile e più venerabile. Per le feste di Pasqua,
fu una gara fra socialisti e repubblicani per mandarmi in dono quelle famose pizze marchigiane per
le quali bisogna avere uno stomaco di ferro".
Venne il giorno dell'appello e il deputato Berenini221 venne da Parma a difenderlo; però lui fece un
discorso per dimostrare che nell'azione svolta a Camerino non vi era alcun reato. "Ricordo che
parlai con tanta eloquenza e passione che i giudici, i carabinieri, il pubblico mi guardavano con
ammirazione e infatti faceva un grande effetto la vista di un recluso che perorava in tal modo la
propria causa. Venni assolto e quando mi ricondussero in carcere, ammanettato e incatenato, i
carabinieri che stavano cenando si alzarono in piedi e mi obbligarono a bere con loro facendo un
brindisi al mio discorso che dicevano migliore di quello dell'avvocato"
Per scontare la restante pena nel carcere di Finalborgo ottenne di viaggiare in traduzione ordinaria
e passando per le stazioni di Romagna, potè salutare degli amici che salirono sul treno per tenergli
compagnia.
Rivide con piacere i due compagni di pena Gustavo Chiesi e don Davide Albertario coi quali aveva
trascorso un anno e da cui a malincuore si separò arrivato alla fine della condanna.
Prima di essere rilasciato venne chiamato nell'ufficio del segretario “Era costui un napoletano il
quale mi disse che aveva studiato all'Università e sapeva cosa è la balorda dottrina del socialismo,
per cui mi consigliava di abbandonare simili malsane teorie ... io gli risposi seccamente che non
saremo noi Milanesi ignoranti che andremo a prendere lezione di socialismo dai Napoletani
sapienti, perché noi nella vita sociale facciamo già la pratica militante della politica socialista”
221
Agostino Berenini e la societa fidentina tra ottocento e novecento Fidenza , 1992
“Erano le 11 del 29 aprile 1899, il portone si aprì completamente ed io uscii finalmente all'aria
libera. Davanti al portone si stendeva un piazzaletto da villaggio: in fondo, lungo una fila di alberi,
vi erano delle donne e dei bambini che stendevano e raccoglievano della biancheria e ridevano e
cantavano... Io rimasi a bocca aperta e alla vista di quelle voci e di quello spettacolo di dolcezza e
di innocenza, dopo tanto tempo ... «Andate via, non si può fermarsi qui», mi gridò la sentinella,
picchiando sui sassi il calcio del fucile. Mi allontanai sbalordito”.
25. Propagandista e candidato
Uscito di prigione, fu eletto membro della commissione centrale del PSI e si pronunciò «per
necessità» a favore dell'alleanza con democratici, radicali e repubblicani nelle elezioni
amministrative di Milano, che si tennero sul finire del 1899. L'appoggio e l'attivissima opera di
propaganda da lui svolta a favore dei candidati «popolari» contribuirono alla loro vittoria
Dopo che non si era presentato al congresso di Bologna del settembre 1897 per i motivi che
abbiamo visto (il lodo sul licenziamento da “La lotta di classe”) non fu eletto nella Direzione
neppure ai successivi congressi di Roma e di Imola (rispettivamente settembre 1900 e 1902) che
videro la prevalenza dei riformisti, e non rientrò in gioco a livello nazionale che al Congresso di
Bologna dell'aprile 1904, quando prevalse la corrente “integralista” di Enrico Ferri e Oddino
Morgari.
Nel gennaio 1900 costituì il circolo elettorale socialista per il sesto collegio di Milano, considerato
"sicuro", con l'evidente intenzione di presentarsi come candidato per le imminenti elezioni politiche,
ma fu invece presentato - pare su pressioni di Turati e di Anna Kuliscioff - lo storico dell'antichità
Ettore Ciccotti, che infatti venne eletto. Fu candidato invece a Voghera e a Varallo Sesia, collegi
"difficili", e non risultò eletto.
Enrico Ferri, già in polemica con Treves e Turati sui metodi di lotta e di propaganda, colse
l'occasione per prendere le difese di Lazzari sulle colonne dell''Avanti!. Turati rispose con una
lettera, pubblicata sull' “Avanti!” del 13 novembre 1900 in cui riesumava le accuse per gli
ammanchi nell'amministrazione della “Lotta di classe”.
In seguito a ciò Lazzari presentò le sue dimissioni, accettate dopo lunghe discussioni dalla
commissione esecutiva della federazione socialista milanese. Nonostante ciò, tenne numerose
conferenze di propaganda in diverse città italiane, fra cui Grosseto, Massa Marittima, Città di
Castello, Macerata e Cesena, conferenze di cui venne data notizia con un certo rilievo anche dai
giornali socialisti. Né certamente Lazzari perse in credibilità nei confronti della base operaia del
partito: ne è conferma il fatto che pochi mesi dopo, il 2 giugno 1901, venne eletto presidente del
comizio promosso dalla CdL di Milano a favore dei muratori in sciopero. E il 7 luglio, a Milano, in
un comizio di protesta contro l'eccidio di Berra manifestò pubblicamente e con linguaggio violento il
suo dissenso dalla linea turatiana, denunciando i pericoli dell'«affinismo», del parlamentarismo e
del «ministerialismo».
26. Enunciazione della linea politica
Nell'imminenza del congresso di Imola, nel 1902, pubblicò un opuscolo, La necessità della politica
socialista in Italia, in cui chiariva la propria linea politica all'interno del partito e criticava più o meno
duramente le posizioni di Turati, Arturo Labriola, Francesco Saverio Merlino e Ferri.
Quest'opuscolo rimase la base, per tutti gli anni successivi, della politica del vecchio operaista e la
giustificazione teorica della sua "intransigenza" .
Per Lazzari infatti si poteva giungere al socialismo solo attraverso una «rivoluzione meditata e
cosciente, da non confondersi con i colpi di mano o i colpi di testa del rivoluzionarismo empirico
convenzionale», che implicava necessariamente una «battaglia profonda e continua sorretta da
una inflessibile politica di guerra» nei confronti della borghesia. Da ciò derivava la necessità della
lotta di classe ad oltranza e il rifiuto della «lentezza e gradualità» del metodo riformista; il non
coinvolgimento programmatico nel processo di formazione di una legislazione favorevole al
proletariato, poiché essa allontanerebbe la politica dei socialisti dalla sua vera e specifica azione
di guerra antiborghese; l'intransigenza assoluta nei confronti delle alleanze con i partiti borghesi,
ad eccezione di quelle sul piano parlamentare occasionalmente utili; l'esclusione della possibilità
di votare bilanci o mozioni di fiducia a ministeri della borghesia. In conclusione la politica socialista
non doveva essere «una specie di olio dato alla macchina governativa dello Stato borghese per il
suo migliore funzionamento, ma una specie di sasso introdotto nei suoi congegni per rendere
evidente e necessario l'intervento del fabbro che la può spezzare e ricostruire». L'opuscolo, dopo
queste critiche, terminava con un appello, profondamente sincero, all'unità del partito.
27. Intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario
Dopo il congresso di Imola, conclusosi con la vittoria dei riformisti, a Milano si ebbe un
avvicinamento tra Lazzari e Arturo Labriola, che vi si era trasferito da Napoli per dar battaglia per la
conquista della segreteria del partito e a tal fine aveva fondato il periodico “Avanguardia socialista”
cui Lazzari collaborava e di cui divenne amministratore nel 1903.
Frutto di questo avvicinamento fu anche la costituzione, nel settembre 1903, del Comitato d'azione
socialista economica, fondato dal gruppo «operaista» milanese (Lazzari, Suzzani, ecc.); ne erano
esclusi i sindacalisti rivoluzionari di “Avanguardia socialista”, che pure ne erano in parte gli
ispiratori. Essenzialmente lo scopo del comitato era di stimolare una maggior fusione tra
movimento rivendicativo e istanza politica e promuovere una maggiore compenetrazione tra
l'azione del sindacato e l'azione del partito.
Nel 1903 entrò a far parte, come delegato dell'Unione impiegati, del consiglio generale della
Camera del Lavoro, a maggioranza riformista. Sempre nel 1903, in seguito al fallimento dello
sciopero dei ferrovieri delle linee Nord di Milano, biasimò a nome del Comitato d'azione socialista
economica, l'operato della Camera del Lavoro ribadendo che era necessario «ritornare ai princìpi
della lotta di classe e non dei vieti opportunismi e dei piccoli miglioramenti immediati» e
trascinando con sé gran parte della base operaia milanese.
Nel febbraio 1904 al congresso regionale lombardo di Brescia diede il suo appoggio alle posizioni
sindacaliste rivoluzionarie di Walter Mocchi che prevalsero, e al congresso nazionale di Bologna
dell'aprile dello stesso anno, criticò l'operato dei riformisti, si pronunciò contro ogni tipo di
collaborazione governativa e diede il suo appoggio alla mozione Ferri.
Nel discorso tenuto all'Arena durante lo sciopero generale del settembre 1904 lanciò la parola
d'ordine della continuazione dello sciopero sino alla caduta del ministero. Sempre nel 1904 si
presentò candidato alle elezioni politiche nel 1. collegio di Milano, ad Affori, a Crema e a Novara
senza riuscire eletto, essendo sempre presentato in collegi non "sicuri".
Negli anni successivi continuò nell'opera d'organizzazione della base ed a tener conferenze in
varie località d'Italia. In questi anni venne sempre rieletto membro della commissione esecutiva
della federazione socialista milanese.
Si possono citare alcuni avvenimenti quali la nomina a membro del Segretariato nazionale della
resistenza nel marzo 1906 (che fu l'embrione della CGdL); l'ennesima sconfitta subita nelle
elezioni politiche suppletive del 1906, quando si presentò come candidato di parte sindacalista,
insieme a Labriola, contro le candidature Treves e Turati; la nuova sconfitta alle elezioni politiche
del 1909 come candidato nel collegio di Novara; la fondazione a Milano nel giugno 1907 insieme a
Filippo Corridoni del circolo anticlericale Giordano Bruno; il breve periodo di corrispondente da
Milano dell' “Avanti!” (novembre 1906-agosto 1907). Nel congresso nazionale del 1906 a Roma
fece confluire tatticamente il proprio voto sulle mozioni dei sindacalisti rivoluzionari, senza
condividerne la linea politica.
Usciti i sindacalisti rivoluzionari dal Partito, al congresso di Firenze del 1908 fu relatore con Oddino
Morgari e Giuseppe Emanuele Modigliani sul tema Tattica e programma per le prossime elezioni
politiche; a quello di Milano del 1910 fu relatore con Pompeo Ciotti sul tema dei rapporti fra gruppo
parlamentare e partito. Ribadì costantemente la condanna del ministerialismo e della politica delle
alleanze con i partiti democratici; ritornò ripetutamente sul concetto che la politica del partito, pur
esplicando un'azione generale di difesa degli interessi immediati dei lavoratori, doveva essere
volta a «combattere il funzionamento e l'incremento delle istituzioni politiche ed economiche ».
Diede allora il suo contributo alla formazione della frazione "intransigente", di cui si è già trattato in
un paragrafo della biografia di Giovanni Lerda.
28 "I princìpi e i metodi del Partito socialista italiano" (1911)
Nell'opuscolo illustrò e rivendicò le tesi del programma costitutivo del partito al Congresso di
Genova del 1892, il cui cardine era la visione della società in classi: "Da un lato la borghesia
dominante per mezzo delle sue istituzioni, in nome del suo diritto privato di proprietà, e dall'altro i
lavoratori sfruttati e sacrificati a beneficio della formazione e dell'accumulazione capitalistica"222
Proprio l'enunciazione chiara e decisa di quella tesi aveva permesso al Partito fino al 1900 di
rafforzarsi e di svolgere una funzione egemonica nei confronti delle altre tendenze presenti nel
movimento operaio, dagli anarchici ai repubblicani e perfino ai democratici, impegnati sia pure
confusamente a contrastare il rafforzamento del blocco monarchico-cattolico.
Dopo il Congresso di Roma del 1900 la politica delle alleanze varata dai riformisti e l'appoggio
fornito a indirizzi di governo avevano portato alla ripresa d'iniziativa delle altre formazioni di sinistra
e alla nascita del sindacalismo rivoluzionario con la scissione del 1907.
Contro la tendenza ad attribuire allo Stato il carattere di rappresentante degli interessi della
collettività e della nazione ricordava la definizione classista delle istituzioni basate sul regime della
proprietà privata e quindi dello Stato, che sanciva il riconoscimento giuridico del predominio di
classe, lo conservava e garantiva con la forza.
222
C.Lazzari I principii e i metodi del Partito socialista italiano: esposizione del programma e
commenti, Milano, 1911
Il programma del 1892, propugnando una lotta contro gli interessi e le istituzioni della classe
dominante, aveva escluso ogni concezione educativa, filantropica e umanitaria del socialismo.
L'azione socialista non poteva limitarsi a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori - obiettivo
comune anche ad altre forze politiche -ma doveva mirare ad abbattere tutti gli ostacoli che si
frapponevano all'emancipazione del proletariato:
I lavoratori non potranno conseguire la loro emancipazione, se non mercé la socializzazione dei
mezzi di lavoro (terre, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto, ecc.) e la gestione sociale della
produzione. Il riformismo parla soltanto di elevamento del proletariato, sostituendo così un
concetto empirico ed occasionale al principio ideale e continuo della nostra storia..
L'opuscolo consente di individuare le idee fondamentali della frazione intransigente, che, al di là
della loro capacità di aggregazione in senso antiriformista, non giunsero mai a uno sviluppo teorico
completo. Almeno una parte di essa abbandonò la rivendicazione del ritorno al programma del
1892, fino a chiederne il definitivo abbandono al Congresso di Bologna del 1919.
Se l'interpretazione lazzariana del programma originario del partito come di un «piano completo ed
organico di azione saldamente ancorato alla dottrina socialista» era destinata a non reggere a
lungo, ebbe tuttavia influenza oltre quella fase l'idea di impostare la critica del riformismo tornando
alle basi del socialismo, intendendo la fedeltà ai postulati programmatici generali come condizione
irrinunciabile di omogeneità e forza politica, in quanto da essi discendevano chiare indicazioni di
metodo, distintive dell'azione socialista rispetto a quella di ogni altra forza politica, e l'intransigente
applicazione di tali indicazioni avrebbe permesso al partito di riscoprire la propria ragion d'essere.
Un postulato essenziale era l'organizzazione del proletariato in partito di classe, indipendente da
tutti gli altri partiti. Nel momento stesso in cui sacrificava questa prerogativa il Partito socialista
«cessa[va] di rappresentare la classe proletaria e diventa[va] un qualunque partito di borghesia per
il quale non vale[va] la pena di sacrificarsi o appassionarsi».
Di qui la critica ai blocchi elettorali coi partiti "popolari" e, soprattutto, alla condotta del gruppo
parlamentare, che sistematicamente aveva confuso la propria azione con quella dell'estrema
sinistra della Camera e non si era reso conto che gli uomini di questa - egli citava Crispi, Cairoli,
Nicotera, Fortis, Zanardelli, Sacchi e Marcora - una volta saliti al potere, diventavano i più accaniti
difensori dell'ordine costituito.
In questo modo il gruppo parlamentare socialista ha talmente perduto ogni suo carattere ed ogni
sua funzione distinta, da non avere più nemmeno la forza di reggersi come organismo speciale in
mezzo al parlamento della borghesia. I singoli deputati votano discordi fra di loro e la loro azione in
Parlamento è senza alcun effetto di propaganda per l'orientamento e la formazione di una buona
opinione socialista.
Il programma del partito, compendiato nella formula della «conquista dei poteri pubblici», non
doveva far perdere di vista il fine dell'azione socialista “chiaramente indicato dal compito di
espropriazione economica e politica che noi dobbiamo esercitare per mezzo di essa contro la
classe dominante, mediante un'opera di trasformazione dei poteri pubblici per togliere ad essi il
carattere che hanno di mezzi di oppressione e di sfruttamento”.
Venendo poi alla distinzione del potere statale in due grandi categorie, quelle del governo centrale
e dell'amministrazione locale (Province, Comuni ed enti pubblici), secondo Lazzari il partito doveva
conservare intatta (senza subire l'influenza dell'ambiente parlamentare) la funzione di
rappresentante dei diritti sociali dei lavoratori, non potendosi permettere nessuna rilassatezza nei
confronti dei poteri esecutivi del regime borghese e meno che mai partecipando all'esercizio di
quei poteri, fatto che lo avrebbe reso corresponsabile di misure inevitabilmente volte alla
conservazione dello stato di cose esistente. La conclusione di Lazzari tuttavia non era così chiara
come potrebbe sembrare: "Non vuol dire con ciò che la quistione della partecipazione al potere
non rimanga una pura e semplice questione di metodo, perché verificandosi il processo storico
della dissoluzione politica, possono determinarsi anche nella vita della borghesia dei momenti
rivoluzionari, nei quali potrà interessare al partito socialista di aiutare i vari strati borghesi più
avanzati nei loro sforzi diretti a demolire gli avanzi del passato dominio.
Egli ammetteva l'assunzione di responsabilità da parte dei socialisti nelle amministrazioni locali: "È
questa la sola concessione che noi possiamo fare verso le istituzioni del potere borghese, perché
la trasformazione dei poteri amministrativi dipende più dallo spirito che li può animare, che non dal
modo del suo funzionamento come è invece proprio del potere governativo".
Quanto all'azione economica, Lazzari, una volta prese le distanze dal sindacalismo rivoluzionario,
richiamava il dovere del partito di appoggiare tutte le lotte dei lavoratori, sconfessando
l'atteggiamento della direzione riformista, che aveva contrastato vari scioperi e varie proteste,
privilegiando essenzialmente il movimento cooperativo e le riforme dell'assistenza e della
previdenza sociale.
Le cooperative di consumo, di lavoro, di credito, non rappresentavano una forma specifica di lotta
proletaria e potevano svilupparsi anche al di fuori della lotta di classe anzi partecipavano per lo più
a quello spirito di conciliazione e pacificazione che distingueva la politica dei moderni partiti
borghesi: Più noi ci terremo lontani da queste insidiose forme di azione, più saremo fedeli ai
principii ed ai metodi del nostro programma, e più avremo aperte le vie dell'avvenire socialista.
Urgeva quindi ritornare alla lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, campo
specifico di azione e aggregazione dei proletari, in quanto solo nel vivo dello scontro tra le
componenti economiche della società la classe sfruttata avrebbe potuto prendere coscienza
dell'abisso che la divideva dalle altre, della natura del regime borghese e delle sue istituzioni e
della necessità di trasformarlo. A fianco dei risultati che la lotta sul terreno economico portava
inevitabilmente con sé, si producevano «incalcolabili effetti morali favorevoli a diffondere nel
mondo quei principii di fratellanza e di solidarietà» che il regime della proprietà privata contrastava
«nel fatto, pure in mezzo alle teoriche ed astratte proclamazioni della filosofia borghese». La causa
ultima della crisi socialista doveva essere individuata nell'involuzione delle teste pensanti del
partito. Si trattava di uomini giunti al socialismo più per l'impotenza degli altri partiti che per la
formazione di una convinzione indipendente e spregiudicata:"lentamente essi ritornavano nella
prima illusione, nella speranza di affrettare un successo che solo le forze nuove ed i nuovi metodi
avevano la capacità e la volontà di realizzare cominciarono a inventare la mancanza nel nostro
paese di quegli elementi di materialismo economico che sono la base e la forza di un vero
movimento socialista e scesi di gradino in gradino per la via delle transazioni politiche, vennero
fino al punto di dichiarare sfatate, morte e sepolte le formule dottrinarie che Carlo Marx aveva con
tanta sapienza elaborate come la base incrollabile dell'azione socialista. Questi uomini,
approfittando della loro posizione eccezionale e valendosi di ogni mezzo, hanno continuato per la
loro via, senza curarsi dello stato di disgregazione, di malcontento e di decadenza che lasciavano
dietro di sé: trionfavano le loro persone ma svaniva lo spirito collettivo che aveva destato tanta
ammirazione e tante speranze. Le azioni del partito non sono più determinate dalla interpretazione
del nostro programma e delle regolari discussioni delle assemblee, bensì della imposizione delle
persone e dei gruppi per via di sorprese, di violenze e sopraffazioni".
29. Segretario tra “settimana rossa” e intervento. “Né sabotare né aderire”
Dopo il congresso di Reggio Emilia del 1912 vinto dalla corrente intransigente rivoluzionaria, fu
nominato segretario del partito (carica che terrà per sette anni, fino 1919). A quel punto sciolse gli
impegni professionali in qualità di commesso viaggiatore con la ditta Enrico Besana e si stabì
definitivamente a Roma.
Si fecero evidenti, con l'assunzione della più importante carica del partito - tra l'alto in un periodo
storico critico come quello tra l'impresa libica e l'intervento nella Grande guerra - i suoi limiti
personali, culturali, politici.
Uno dei suoi primi atti fu quello di offrire la direzione dell'Avanti!, che era lo strumento di indirizzo
politico e di formazione dell'opinione del partito, a un uomo ormai fuori dalle sue fila e che si
autodefiniva «più riformista dei riformisti», Gaetano Salvemini, con una ingenuità evidente. Nella
ricerca dell'uomo nuovo, che avrebbe dovuto dare maggiore slancio alla corrente, da insediare alla
direzione del giornale la scelta cadde, dopo un breve periodo di direzione di Giovanni Bacci, su
Benito Mussolini.
Di fronte alla guerra libica l'opposizione fu netta; egli svolse, unitamente al suo gruppo, un'azione
di stimolo e di coordinamento delle manifestazioni di protesta antimilitarista espresse dalla base.
Ma dell'opposizione alla guerra libica più che uno strumento di lotta contro il capitalismo borghese
e il nazionalismo imperialista, farà un'arma contro i riformisti coinvolgendo nella responsabilità per
la guerra «quella politica socialista che da dieci anni, invece di compiere la sua funzione di
corrosione e di lotta contro tutto il meccanismo delle istituzioni borghesi, aveva favorito e
secondato tutte le combinazioni e le trasformazioni ministeriali».
Lazzari affrontò il pesante compito della direzione del partito basandosi pressoché esclusivamente
sul dogma dell'intransigenza e sull'appoggio alle lotte economiche della base. Vi fu in lui un'attesa
quasi fatalistica dell'inevitabile disgregazione del regime politico della borghesia e una fede
messianica nell'altrettanto inevitabile avvento del socialismo. Gli fu dunque sostanzialmente
estraneo il problema di come influire sugli avvenimenti, di come agire nel momento della
dissoluzione dello Stato borghese.
Allo scoppio della guerra mondiale il Partito, che sotto la sua direzione, nonostante l'immobilismo,
aveva avuto un grosso incremento numerico, si trovò isolato, impossibilitato a manovrare con le
altre due forze nautraliste, i giolittiani e i cattolici, mentre le tradizionali alleanze con le altre forze
di sinistra, repubblicani e radicali, venivano meno e la borghesia intellettuale si orientava verso la
guerra.
Il governo agiva pesatemente per impedire le manifestazioni pacifiste e per scioglierne i cortei,
lasciando agli interventisti le piazze: un trauma per chi era abituato ad averne il controllo, tanto più
per un Partito che restava vincolato a metodi legalitari di lotta, ad una concezione pacifista e non
rivoluzionaria dell'antimilitarismo, incontrando perciò sempre maggiori difficoltà nell'arginare
l'offensiva degli interventisti
Il suo atteggiamento fu di netta opposizione a ogni partecipazione alla guerra e quindi di durissima
condanna di ogni interventismo. Nell'ottobre 1914 sostituì, insieme a Bacci e Serrati, Mussolini alla
direzione dell'Avanti!. Nel novembre pronunciò l'atto di accusa contro Mussolini, espulso per
indegnità politica e morale.
Sull'Avanti! delineò l'atteggiamento in caso di mobilitazione militare: neutralità e tranquillità del
partito per una guerra difensiva; opposizione e resistenza per una guerra offensiva. Nel corso di
una conferenza a Osimo, a chi gli chiedeva cosa avrebbero fatto i socialisti in caso di intervento,
rispose che avrebbero dovuto "assoggettarsi agli eventi , sicuri che a suo tempo si verificherà
quello che avvenne tra i pagani e i cristiani, e cioè che dopo tante lotte cruente seguì la
pacificazione degli animi" . La rassegnazione assume quì dimensioni cosmiche, sul terreno
politico è la passività eretta a comandamento supremo.
Nel maggio 1915 a Bologna, nella riunione congiunta della direzione del partito, del gruppo
parlamentare e dei responsabili della CGdL, Lazzari coniò la formula del «né aderire, né
sabotare», in polemica con Serrati propenso ad un atteggiamento più deciso e combattivo, che
aveva lanciato l'appello per contrapporre "dimostrazione a dimostrazione, comizio a comizio...non
attendere il corso degli eventi in musulmana remissività". Il 29 agosto diramò un comunicato
invitando le organizzazioni a "fare argine e impedire che le esaltazioni sentimentali degli altri partiti
potessero traviare e travolgere la chiara coscienza internazionalista del proletariato italiano". Nel
corso della guerra si adoperò per l'unità del partito e per l'equilibrio delle tendenze, pronunciandosi
contro l' «insurrezionalismo» e condannando i cedimenti patriottici dei riformisti, da Turati a Rigola.
In campo internazionale partecipò ai convegni di Zimmerwald e di Kienthal. Il 21 settembre 1916
in un comunicato invitò le federazoni e le sezioni a fare oggetto di approfondito dibattito le decisioni
del convegno di Zimmerwald.
Nel corso del 1917 si andò organizzando all'interno dell'intransigentismo una frazione
"massimalista" che censurava la sua linea del "nè aderire nè sabotare", cui rispose che "tenuto
conto della nostra dottrina ripugnante ai metodi di sabotaggio, che sono per loro natura individuali
e non potrebbero essere diversamente, data la condizione di minoranza in cui si trova il movimento
nostro anche nel nostro Paese, io vi domando se e come voi possiate sentire il coraggio di
sostenere e di fare un’azione diversa da quella formulata nella tesi che voi ripudiate. Il Partito
socialista ha una tradizione di miglioramento sociale e di bontà e non può mettere a suo carico la
responsabilità di aumentare i danni e i dolori.223
Il 12 settembre 1917, inviò una circolare riservata e personale ai sindaci socialisti perchè
contribuissero "con concorde atto di protesta " ad imporre al governo il punto di vista del gruppo
parlamentare socialista contro "un terzo inverno di guerra". Due le ipotesi avanzate: "rassegnare le
dimissioni ad un ordine della Direzione" oppure "provocare le dimissioni in massa" con una
dichiarazione comune. Il 18-19 novembre 1917 partecipò alla riunione della frazione intransigente
a Firenze, presenti Serrati, Bordiga, Gramsci, Terracini.
30. Nuova carcerazione
La circolare "riservata e personale" venne naturalmente conosciuta dalle autorità e, in base al
decreto Sacchi224, fu arrestato e condannato per propaganda disfattista. Rimase nel carcere prima
di Regina Coeli e poi di Velletri dal febbraio al novembre 1918; durante la detenzione scrisse alcuni
appunti di cui riportiamo due brevi brani: “ho meditato lungamente sulla dura sentenza che mi ha
colpito e mi sono convinto che essa non è un giudizio, ma una rappresaglia politica contro il partito.
Infatti il P.M. si è espresso così: «Erano mezzi di pressione che i dirigenti del partito volevano
esercitare su coloro che dopo Caporetto erano rimasti turbati se continuare o no nel contegno di
rigida intransigenza in rapporto alla guerra. E questo completa la figura del reato che si è
convenuto chiamare disfattismo”. Come se la disfatta fosse nelle intenzioni e nei propositi del
partito! Noi sappiamo che la disfatta vorrebbe dire un aggravamento dei mali del popolo italiano, e
nemmeno ci potrebbe illudere come un mezzo adatto allo scoppiare di una rivoluzione perché noi
223
Risposta sequestrata dalla censura al programma inviatogli dal gruppo torinese
(Rabezzana, Boero, Terrini), in ACS, Guerra, 1915-18 fascicolo «Torino, agitazione contro la
guerra», busta 31: “Cari compagni, ho letto attentamente il programma di frazione che mi avete
mandato. Voi affermate: i) non essere conforme all’assoluta intransigenza la teoria di non favorire
né sabotare la guerra; z) essere necessario per tale intransigenza smentire la mia frase contraria
alla indifferenza tra un padrone italiano e un padrone austriaco, perché cosi viene ad essere
negata la continuità e l’internazionalità dello sfruttamento capitalistico e si valorizza il concetto di
nazionalità, che dovrebbe essere bandito per sempre dalla coscienza del lavoratore. Le vostre
osservazioni sono giuste in astratto. Ma se voi giudicate la mia posizione come vuole la ragione e
l’esperienza, attraverso il tempo e lo spazio, voi non potete fare a meno di ricordare che essa
dovette es sere subordinata a quella dolorosa constatazione di fatto rilevata dalla riunione
generale di Bologna del 16 maggio 1915 nella quale la mancata compattezza nazionale e ancora
più quella internazionale delle organizzazioni e del partito ci rese impossibile di impedire con un
generale movimento di resistenza lo effettuarsi della minacciata dichiarazione di guerra, come noi
volevamo e come io appunto sostenevo. Partendo da questo fatto, tenuto conto della nostra
dottrina ripugnante ai metodi di sabotaggio, che sono per loro natura individuali e non potrebbero
essere diversamente, data la condizione di minoranza in cui si trova il movimento nostro anche nel
nostro Paese, io vi domando se e come voi possiate sentire il coraggio di sostenere e di fare
un’azione diversa da quella formulata nella tesi che voi ripudiate. Il Partito socialista ha una
tradizione di miglioramento sociale e di bontà e non può mettere a suo carico la responsabilità di
aumentare i danni e i dolori. Voi come frazione potete benissimo spregiare questo dovere morale
ma come partito, chi ha la responsabilità di condurre incolume il nostro movimento attraverso le
presenti difficoltà non può non tenerne conto. In quanto alla vostra seconda proposizione voi non
potete a me no di riconoscere che in un regime di dominio straniero tutte le forze politiche sono
naturalmente rivolte a impedire che nei territori dominati le forze economiche indigene possano
liberamente e indipendentemente svilupparsi in concorrenza alle forze economiche straniere, e
quindi come tale compressione esercitata anche soltanto coi mezzi della tecnica capitalistica
impedisca quello stato di progresso e di civiltà che è dato dalla formazione delle classi le quali
sono la forza e la ragione del nostro movimento. Noi abbiamo sempre riconosciuto come un bene
per la causa del progresso e dell’umanità il raggiungimento della unità e indipendenza delle
nazioni, cominciando dalla nostra. Però, in quarant’anni di azione di propaganda, io non ho
mancato mai ai doveri della dottrina internazionalista la quale non ha affatto bisogno di sacrificare
il naturale sentimento di preferenza e di amore per il paese nativo, considerato non per le sue
istituzioni politiche ed economiche ma per il fatto della convivenza in esso di tanti lavoratori simili a
noi nello spirito, nelle condizioni, nei costumi. Non possiamo senza danno per il progresso del
partito che amiamo sopra ogni cosa metterci in contrasto con simile sentimento naturale il cui
riconoscimento può essere sfruttato dai nostri nemici, ma non da noi che sopra di esso mettiamo la
necessità e la possibilità di agire per l’emancipazione del proletariato internazionale. La fine
vogliamo veramente la morte del dominio borghese, ma deve essere una morte naturale e non una
morte violenta, per assicurare il successo e la introduzione del regime socialista. Forse in ciò sta il
danno e l'errore, non volontario del resto, di Lenin"225”II governo socialista di Pietrogrado ha firmato
la pace colla Germania. Io non l'avrei firmata, ma fin dal primo momento delle trattative avrei
decretato lo scioglimento dell'esercito. Dichiarando la cessazione dello stato di guerra avrei
lasciato avanzare l'esercito tedesco e l'avrei aspettato di piede fermo a Pietrogrado protestando
contro la violenza dell'occupazione che nessun motivo poteva giustificare. Queste note
evidenziano l'incomprensione della realtà profondamente mutata dalla guerra e dalla rivoluzione
russa, l'incapacità di dare alla formula «né aderire, né sabotare la guerra» un contenuto concreto
che orientasse il movimento operaio italiano nella sua condotta di fronte alla guerra. Tra la
posizione più duttile di Turati e quella insurrezionale di Bordiga, Lazzari ha l'unico merito di
coagulare le masse socialiste in una fedeltà morale ai principi dell'internazionalismo proletario ma
non riesce a prospettare uno sbocco politico. I giudizi che formula sugli avvenimenti russi
denunciano i limiti di una solidarietà puramente morale che non si prospetta il ruolo concreto che il
proletariato italiano potrebbe assumere in difesa della rivoluzione russa. Né la rivoluzione
bolscevica suscita in lui alcuno stimolo all'analisi delle possibilità nuove che essa offre alla lotta
rivoluzionaria del proletariato italiano ed alle quali commisurare la validità della propria linea
politica tradizionale.
31. Nel dopoguerra; la Terza Internazionale
Nelle elezioni del 1919 fu eletto deputato nei collegi di Milano e Cremona; nel 1921 fu rieletto a
Milano, Pavia e Cremona e mantenne tale carica sino al 1926; nel 1920 nelle elezioni
amministrative di Roma fu eletto consigliere comunale. Al congresso di Bologna dell'ottobre 1919
si espresse a favore della rivoluzione, ma da realizzare colla sola arma dell'intransigenza con
l'esclusione della violenza pregiudizialmente premeditata e programmata; sulla mozione di Lazzari
inonorata delle fantasie antipatriottiche dei vari sindacalisti di Francia e d’Italia dovrebbero pure
ammonirci tutti della sterilità e dell’assurdità di questi propositi di fronte al programma socialista;
essi verrebbero sanzionati con la nostra indifferenza per la nazionalità dei padroni del lavoro
italiano. Ciò non vuoi dire che il nostro partito, nel terzo anno di guerra, non possa ritenere
necessario accentuare maggiormente la sua protesta e la sua resistenza ai vari artefici con cui lo
stato in guerra tenta di trascinare nell’orbita dei suoi interessi anche quelli sacrosanti dei
proletariato ad essa avversa. E questo potrà essere lo scopo utile del nostro congresso nazionale.
Da esso io mi auguro come voi che possano uscire deliberazioni atte ad affrettare il moto
innovatore che tronchi la carneficina e, se esso esprimerà dal suo seno uomini più idonei di noi al
grave compito che incombe sul partito in quest’ora tremenda, io mi auguro che essi siano almeno
quanto noi animati da quello spirito di sincera devozione e amore alla causa che abbiamo
abbracciato e al partito che la rappresenta, da noi conservato unito e saldo nel comune e unitario
programma d’azione ancora possibile colle forze che in 25 anni di resistenza esso ha saputo
raccogliere intorno alla propria bandiera. Questa è la mia dichiarazione che raccomando alla
vostra attenzione."
224
Emanato il 4 ottobre, puniva chi "commetteva o istigava a commettere un qualsiasi fatto
capace di deprimere lo spirito pubblico”
225
27 febbraio e 6 marzo 1918; pubblicati da Alceo Riosa in "Studi Politici", 1989
confluirono i voti dei riformisti. L'esperienza della rivoluzione bolscevica non modificò le sue
precedenti convinzioni e non lo indusse ad una revisione critica della validità della sua precedente
linea politica. Al congresso di Livorno del gennaio 1921 confluì nella mozione massimalista e
rimproverò gli oratori dell'Ordine nuovo di intellettualismo e di aridità del sentimento. Dopo il
viaggio a Mosca del giugno 1921 per perorare l'accettazione dell'adesione del PSI alla III
Internazionale e i colloqui avuti con Lenin, Lazzari si convinse della necessità dell'espulsione dei
riformisti dal partito, ma non dell'avvicinamento alla linea dei comunisti e tanto meno della fusione
col PCI. Nel congresso di Milano dell'ottobre 1921 la mozione di Lazzari per l'accettazione delle
condizioni di adesione alla III Internazionale rimane in schiacciante minoranza. Avvenuta infine
l'espulsione dei riformisti nel congresso di Roma dell'ottobre 1922, al congresso di Milano
delll'aprile del 1923 si dimostrò incerto e tentennante sulla questione della fusione col PCI, per non
abbandonare il vecchio e glorioso nome di socialista. Nel 1924, in occasione della fusione dei
"terzinternazionalisti" di Serrati e Maffi col PCI, rimase definitivamente nel campo massimalista,
pur non cessando di perorare l'adesione del PSI all'Internazionale comunista.
32. Gli ultimi anni
Era stato estromesso nel 1926 dalla carica come tutti i deputati “aventiniani” e quindi privato, alle
soglie dei settan'anni, dell'indennità che gli permetteva di mantenere226 la sua piccola famiglia
composta dalla moglie Eleonora Vitali e da Caterina, l'orfana adottata nel 1915. “II padrone di
casa - scriveva il 10 giugno 1926 ad Alessandro Schiavi, che gli forniva per conto della
"Fondazione Matteotti" un compenso per scrivere le memorie di cui siamo valsi per questa
biografia - mi ha aumentato di altre 100 lire mensili l'affitto del modesto appartamento che occupo
qui (a Roma) e così per il solo alloggio devo spendere 15 lire al giorno: capisci dunque come
succede che alla metà del mese, io mi trovo assolutamente senza soldi e quindi costretto a
ricorrere a ripieghi umilianti e scoraggianti - il Monte di Pietà si è già ingoiato le mie medaglie
parlamentari - che io ho bisogno di evitare anche per conservare la volontà e la energia del
lavoro". Il 9 novembre subiva un'ennesima aggressione negli stessi locali di Montecitorio, e così
racconta la vicenda in un'altra lettera a Schiavi del gennaio 1927 «recatomi a Roma e presentato
alla presidenza della Camera un ordine del giorno contro la pena di morte, venni un'ora prima della
seduta assalito sullo scalone interno di Montecitorio da tre deputati fascisti. Mentre due mi
tenevano per le braccia, il deputato Starace, atterrandomi e massacrandomi a furia di pugni e
calci, mi fece trascinare sanguinolento e tramortito fino sulla soglia del palazzo, dove venni preso
dagli agenti e trasportato in vettura al Commissariato dove venni trattenuto fino alle 10 di notte.(...)
quando ci penso mi sento tuttora mortificato ed avvilito per la defezione di tutti gli altri fra i quali vi
226
"Trovandosi in serie difficoltà economiche, artatamente aggravate dalla stessa POLPOL, il
vecchio capo socialista, al quale in un primo momento era stata promessa la nomina a
Commissario della liquidata «Casa del Popolo», e che, come scrisse Bocchini, appariva dominato
dal «terrore del domani senza pane», agli inizi del luglio 1927, in un incontro con Bocchini, dopo
aver supplicato per l’ennesima volta la nomina, accettò di collaborare con la polizia fascista. […]
Ma il cedimento del vecchio socialista fu di breve durata, poiché già a metà luglio scriveva una
lettera a Pallottino con la quale in definitiva si sottraeva all’incarico fiduciario. Questa volta la
POLPOL passava all’offensiva, dando indicazioni ai suoi fiduciari all’estero, infiltrati nelle
organizzazioni antifasciste, di «diffondere abilmente negli ambienti dei fuorusciti la notizia che
Costantino Lazzari il vecchio leader del socialismo italiano ha fatto il confidente alla Polizia Italiana
mediante compensi in denaro». […] La manovra venne avviata e, crediamo, non fu del tutto
estranea alla morte, sopravvenuta di lì a poco, nel dicembre 1927, di Costantino Lazzari."
erano uomini validi e giovani ben altrimenti adatti a sostenere la nostra bandiera. Eppure
nemmeno uno si era presentato: non dico dei vari e molti aventiniani democratici, popolari,
repubblicani, riformisti, ma i massimalisti? Io ne sono e ne rimango vergognato e disgustato... Ora
sto facendo le pratiche per vedere di trovare posto in qualche ricovero dei vecchi — tale è la sorte
di noi proletari — per non lasciarmi vincere dalla disperazione, ma vi riuscirò? A Milano Veratti mi
ha scritto che ho perduti i diritti di cittadinanza; qui a Roma non li ho tutti e la fine è vicina». Il 23
settembre 1927 «Carissimo Alessandro, da appena un mese sono uscito da una violenta burrasca
che si è scatenata contro di me, perché, andato a Milano per raccogliere i dati e i documenti
necessari a continuare la storia che sto scrivendo, anche per quell'editore straniero che mi ha già
pagato qualche anticipo fui dopo un ritrovo coi miei due fratelli a Brusinpiano, arrestato
brutalmente a Luino e carcerato per un mese colà, a Busto Arsizio, a Varese imputato davanti al
famoso Tribunale speciale. Ora mi trovo in libertà provvisoria, deferito al tribunale ordinario di
Busto Arsizio per un preteso tentato espatrio (che non mi sono mai sognato di fare) e per
resistenza ai carabinieri perché essendomi rifiutato di entrare pacificamente in carcere vi fui
trascinato a forza e con violenza. Ne sono ancora tutto sbalordito, perché non ti so dire tutti i brutali
incidenti che ho dovuto subire in questo periodo in cui ho dovuto attraversare la Lombardia in
mezzo ai carabinieri, coperto di ferri e di catene come un malfattore! «Oggi il ministero detta P.I. a
cui ho fatto conoscere le disgraziate condizioni in cui mi trovo, mi ha annunciato che pagherà esso
la tassa annuale per la inscrizione al 3° corso magistrale della mia povera e cara bambina, la
quale avrebbe dovuto altrimenti abbandonare la scuola... Quindi un raggio di gioia illumina la mia
vita” Il 20 dicembre 1927, la moglie Eleonora Vitali, annunciava che Costantino era a letto con una
polmonite e pleurite. Poco di poi si spegneva.
Conclusione
L'influenza che Lazzari esercitò nel movimento operaio e socialista nel ventennio dal 1880 al 1990,
che coincide forse non casualmente con il periodo trattato nell’autobiografia, è stata decisiva.
Quando rientò in gioco ai massimi livelli dopo la lunga egemonia riformista, con la vittoria del
massimalismo al congresso di Reggio Emilia del 1912, si fecero evidenti i suoi limiti personali,
culturali, politici, tra l'alto dovendo esercitare la sua segreteria in un periodo storico decisamente
critico come quello tra l'impresa libica, l'intervento nella Grande guerra e il dopoguerra.
Riportiamo a questo proposito un vecchio giudizio ancora sostanzialmente giusto: “Malgrado le
apparenze si deve concludere che non è mai stato un capo, che gliene sono mancate le qualità più
indispensabili. Un capo esprime da un lato i bisogni, le tendenze del movimento a cui è legato, e
dall'altro li precorre, segnando la strada. La prima di queste cose si è realizzata in Lazzari
compiutamente, ed è appunto perciò che egli è così “rappresentativo”: il movimento operaio si
rispecchia in lui coi suoi lati positivi e negativi, con grande fedeltà. Diciamo: con eccessiva fedeltà.
Perché in Lazzari è mancato appunto il secondo elemento, quello pel quale il partito politico
adempie, conservando i suoi legami con le masse, alla sua funzione di avanguardia»227 giudizio
sostanzialmente ribadito dall'Arfè 228: “Il dogma dell'intransigenza è quello alla cui luce affronta i
pesanti compiti nel momento in cui viene a trovarsi a capo della nuova maggioranza.(…)
227 Costantino Lazzari. 1851-1927 “Lo Stato Operaio”, genn.-febbr., 1928
228
G.Arfè “Storia del socialismo italiano (1892-1926)”, Torino, 1965
Intransigenza per lui significa rifiuto di ogni compromesso e di ogni patteggiamento, addirittura di
ogni contatto con gli istituti della borghesia, con le forze politiche e con le organizzazioni che non
abbiano la duplice qualifica di proletarie e di socialiste nell'attesa che i «diversi avvenimenti
portino, alla disgregazione del «regime politico della borghesia». Il problema di come influire sugli
avvenimenti, di come agire nel momento in cui tale disgregazione si verifichi, gli è pressoché
estraneo.Il nesso tra il corso delle cose e l'opera degli uomini, che nei riformisti era apparso viziato
da determinismo, viene concepito da Lazzari in forme di puro fatalismo. È Lazzari che di fronte alla
guerra lancerà la formula del «né aderire né sabotare», la quale può anche esser considerata
come un felice compromesso tra le esigenze dell'ideale e le necessità delle circostanze, ma che
cristallizza l'atteggiamento del partito, bloccandolo su una posizione entro la quale non troveranno
postò nei momenti decisivi né il discorso del Grappa di Turati - il tentativo cioè di gettare un ponte
tra il proletariato e la coscienza patriottica del paese -, né la parola d'ordine della trasformazione
della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria. Sarà anche Lazzari che nell'immediato
dopoguerra accetterà la rivoluzione ma si opporrà all'abbandono del programma di Genova e
avverserà il pregiudiziale richiamo alla violenza, accettando su tale piattaforma la scomoda
confluenza dei voti riformisti(…) Ed è lui che nel congresso di Livorno, ai giovani oratori dell'«
Ordine Nuovo », a Gramsci e a Terracini, rimprovera l'intellettualismo e l'aridità di sentimento che li
fanno estranei alla tradizione socialista del buon ceppo antico (…) Gli anni del primo fascismo lo
vedranno impavido e immobile in atteggiamento da profeta”
Dino Rondani (1868-1951) “commesso viaggiatore” del socialismo
Premessa
1. Gli inizi dell'attività politica nel socialismo milanese
2. Il movimento operaio e socialista biellese
3. La “conquista” del biellese
4. Nella svolta reazionaria di fine secolo
5. Il ’98 a Milano
6. Dall’esilio al ritorno nell'Italia giolittiana
7. ”Ispettore” dell'emigrazione
8. Tra impresa libica, Grande guerra, dopoguerra
9. L’esilio a Nizza (1926-45)
10 Nel secondo dopoguerra (1945-51)
Premessa
Turati così lo descriveva: “Invidiabile tipo, son tre settimane che tiene quattro conferenze al giorno
ed è fresco come una rosa!”229 un corrispondente veneziano dell’”Avanti!” scrisse “Nessuno se
l’abbia a male, il giovane deputato di Cossato è il più simpatico dei conferenzieri socialisti. Il suo
facile eloquio è tutto infiorato di osservazioni argute, di facezie brillantissime”230 e così Morgari ne
schizzava il ritratto: "sempre giovanissimo, svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia,
gambe e lingua in movimento perpetuo"231 tanto da consentire di caratterizzarlo come il commesso
viaggiatore del socialismo232
229
Democrazia e socialismo nei carteggi di N. Colajanni, Milano, 1959, p.243
230
Dalla laguna la conferenza di Dino Rondani "Avanti!", 20.10.1900
231
O.Morgari, Fiori di maggio, 1905, p.28. Id. L'Europa vista a volo di ...Rondani, "Avanti!",
16.9.1900 "parla come lavora: v'accenna cento cose in un istante sottintendendo metà delle
parole. Non ama fermarsi su un argomento più di due minuti, nè star seduto più di quattro. Parla
come lavora e come si diverte: con poco ordine ma brillantemente e con intensità. Ha seminato il
suo collegio, il novarese. la Lombardia, l'Italia, l'estero di un numero favoloso di conferenze. Egli è
il moto perpetui ed ha il dono dell'ubiquità. Sotto i suoi passi i circoli, le leghe e comitati, le
cooperative, i giornali crescono come la gramigna. Con ciò non posa a seminatore mistico...perchè
di preferenza semina le barzellette. Parla a saltelli facendo ridere...ha un grande senso della
praticità. Disorienta la gente compassata fa crepare le bolle dell'ampollosità e ai retori. E'
interessante la sua teoria degli uomini illustri: Evitare i grandi nomi, ci vuole gente media che
lavori. Schiacciano tutto...Non è uno stinco di santo. Non posa a martire...Ai nostri occhi è un uomo
completo, sano nello spirito e nel corpo, forte di muscoli e nervi, che perciò ha bandito la
melanconia e ama vivere in tutte le direzioni sia coi sensi che con la mente e col cuore,
beneficiando gli altri senza pregiudizio per sè. Tipo raccomandabile come uomo moderno e felice.
[viaggia] sempre in terza classe per due ottime ragioni: che i viaggiatori di prima si mostrano
annoiati, stupidi, presuntuosi sotto tutte lelatitudini..e anche un po' per economia"
232
".fu il propagandista più in movimento e il conferenziere più facondo. Lo si poteva trovare
nello stesso giorno a Roma e a Firenze e il giorno dopo nel Veneto. Viaggiò tutta l’Italia, tenendo in
media una conferenza al giorno, dalla Sicilia… in Trentino e nel Tirolo, nella Svizzera di lingua
tedesca e in quella francese, fu persino a Tunisi uno dei più attivi propagandisti e organizzatori del
giovane PSI. Qualcuno, scherzando, disse di Dino Rondani, che egli è come il commesso
viaggiatore del partito socialista", G.Manfrin, Rondani Dino: Il commesso viaggiatore del
socialismo, "Avanti! della Domenica", 22.12.2002
Come osservò Rinaldo Rigola, che lo conosceva dal 1895, “non era temperamento di sedentario e
uomo di penna. Ingegno brillantissimo e organizzatore di prim’ordine, aveva un sano orrore per le
dottrine e le polemiche”233. Gli incarichi ufficiali e direttivi non ebbero per lui particolare rilevanza:
ammirava il grandioso slancio creatore del progresso industriale e preferiva impegnare il suo estro
individuale al contatto con i protagonisti proletari della nuova civiltà.
Intervenne poco nei dibattiti alla Camera e non si preoccupò di trasferire sul piano ideologico o in
scritti di qualche respiro la sua vasta esperienza umana e sociale.234 Per la sua avversione alle
lotte di tendenza e alle polemiche interne, propenso a interpretarle come chiacchiere inconcludenti,
non ebbe ruoli di protagonista nei Congressi del PSI, nè si attivò per crearsi un seguito personale.
Tutto questo spiega, anche se non giustifica, l'oblio di questo pioniere del socialismo italiano.
Gli inizi dell’attività politica nel movimento socialista milanese
Dino Rondani nasce il 20 gennaio 1868 a Sogliano al Rubicone235, nella Romagna culla dei partiti
sovversivi, dal repubblicano236 all’anarco-internazionalista, al Partito Socialista Rivoluzionario di
Andrea Costa,237 in una famiglia repubblicana benestante. La madre Angelina Bravetta era figlia di
Sante, tipografo delle edizioni di Capolago, in Svizzera, che stampavano libri proibiti dalla censure
degli stati preunitari, da introdurre clandestinamente in Italia238. Egli restò sempre molto legato alle
sue due sorelle e ai suoi genitori, che perse però prematuramente nel giro di pochi anni: nel 1908
morì sua sorella Eugenia, nel novembre 1913 il padre Eugenio e pochi mesi dopo la sorella
Evelina. Nel 1915 infine morì la madre Angelina239
Il padre lavorava nell’amministrazione finanziaria del nuovo Stato e questo spiega i frequenti
233
R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit.
234
Si ricorda solo l'opuscolo anticlericale del 1897 "Le massime di S.Ambrogio", in risposta ai
festeggiamenti per il 15. centenario della morte.
235
Piccolo centro di 2.900 abitanti in provincia di Forlì-Cesena. Profondo fu il legame affettivo
tra Giovanni Pascoli ed “il piccolo grandemente amato paese di Romagna”, testimoniato dalla
cittadinanza onoraria conferitagli nel 1906
236
M. Ridolfi, Il partito della Repubblica: i repubblicani in Romagna e le origini del Pri
nell'Italia liberale (1872-1895) Milano, 1990
237
1981
V. Evangelisti, E. Zucchini Storia del partito socialista rivoluzionario 1881-1893; Bologna,
238
R. Caddeo, Le Edizioni di Capolago. Storia e critica.storia e critica : bibliografia ragionata,
nuovi studi sulla tipografia elvetica, il Risorgimento italiano e il Canton Ticino : documenti inediti,
Milano, 1934; F.Bernasconi Per un catalogo delle edizioni di Capolago - Bellinzona - 1984
239
"Corriere Biellese", 8.1.1909, Dino Ròndani a Messina; Id. 7.11.1913, Egidio Rondoni è
morto, 15.4.1914, Un nuovo lutto dell'on. Rondoni', "Avanti"!, 24.8.1915
spostamenti di sede: nel 1870 si trasferisce a Portomaggiore, poi a Novara dove il giovane Dino
frequenta il liceo240 e inizia ad interessarsi alla politica iscrivendosi alla repubblicana Società
democratica di Novara.
Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Torino, sul finire dell’800 uno dei maggiori centri di
diffusione del materialismo evoluzionistico oltre che del “socialismo dei professori“
Arriva a vent’anni nel 1888, in seguito al trasferimento del padre, a Milano, negli anni a cavallo tra
'800 e '900 il maggior centro economico del Paese, le cui industrie attiravano una massa crescente
di manodopera dalle campagne che ingrossava le fila di un proletariato che si andava
organizzando in Leghe di mestiere, Società di mutuo soccorso, Cooperative di consumo e di
lavoro, Camere del lavoro. In questo periodo si costituiva ad opera di Osvaldo Gnocchi-Viani e di
Costantino Lazzari il Fascio operaio, organizzazione a carattere esclusivamente classista, che
contese ai radicali la rappresentanza politica del mondo del lavoro, assorbendone il Consolato
operaio e dando vita al Partito Operaio Italiano (1885)241. La fusione con la Lega socialista di
Turati, composta da intellettuali di provenienza repubblicana e "scapigliata", e la fondazione del
Partito Socialista su base nazionale a Genova nel 1892 diede all'organizzazione più ampio respiro
ma fu anche l'inizio di una lotta per l’egemonia con alterne vicende tra rivoluzionari e riformisti, i
quali disponevano della rivista “Critica sociale” cui collaboravano professionisti e studiosi di
spessore culturale e morale come Alessandro Schiavi242, Fausto Pagliaro, Luigi Montemartini243 di
impronta più radical-democratica che marxista. A Milano inizia la sua attività politica244 nel circolo
di Dario Papa, repubblicano “avanzato” e disponibile alla collaborazione col socialismo, ma nel
1890 incontra Turati e si iscrive alla sua Lega socialista milanese245 e per la sua rivista scrive un
articolo “dottrinario” piuttosto schematico246.Nel 1891 è al centro delle diffidenze degli ambienti del
Partito Operaio non ancora superate per gli «avvocati e i dottori»247 e nel 1892 partecipa al
congresso costitutivo del partito socialista a Genova rappresentando la “Società braccianti della
provincia di Milano”.Nel 1892 a 24 anni è contemporaneamente segretario della Lega Cooperative,
240
Il Liceo Carlo Alberto di Novara, fondato nel 1858, è tuttora funzionante in Baluardo La
Marmora 8/c
241
M.G.Meriggi Il partito operaio italiano : attività rivendicativa, formazione e cultura dei
militanti in Lombardia, 1880-1890 Milano - c1985
242
M. Ridolfi, Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista
nel primo '900, Cesena, 1994; Q. Versari, Un riformatore: Alessandro Schiavi nella storia del
socialismo italiano, Bologna, 1986; G. Silei Alessandro Schiavi : il socialista riformista Mandria,
2006
243
A. Magnani, Luigi Montemartini nella storia del riformismo italiano Firenze, 1990; La
cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini: atti del Seminario, Pavia 15
dicembre 1984 - Pavia 1986
244
D.Rondani Ancora, ancora. Ricordi di propaganda in "La lotta di classe", 14-15.1.1899
245
G.Cervo, in Riosa (a c. di) Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo Milano,
1981, pag.35, A. Nascimbene, Il movimento operaio lombardo tra spontaneita e organizzazione :
(1860-1890), Milano, 1976 , pag.394
consigliere del circolo socialista di Porta Genova «Fate largo alla povera gente», redattore della
“Lotta di classe”, organo del partito. Il suo attivismo è dimostrato anche dai giri propagandistici
tipici di questa fase pionieristica di primo impianto del partito e di proselitismo: nell’autunno 1892
inaugura due circoli a Voghera248 e tiene conferenze a Treviglio, Novara, Rho, Lodi249.
Per una collaborazione al giornale socialista di Firenze “La Difesa” viene denunciato e subisce una
condanna a 29 giorni emessa dal pretore di Cecina. Coimputato nel 1895 con 38 socialisti milanesi
in un processo che vide 10 assoluzioni e 27 condanne al confino, fu colpito con 5 mesi di confino a
Domodossola250 utilizzando questo periodo per proseguire la sua opera di organizzatore e
propagandista del socialismo, nonostante le ammonizioni delle autorità251 Nel luglio 1895 da
Domodossola raggiunse i genitori in vacanza ad Adorno Micca dopo aver scontati i sei mesi di
confino. Di lì si recò a Biella con l’intenzione di ispezionare le cooperative della zona iscritte alla
“Lega” di cui era segretario, ma subito il suo interesse per il Biellese andò oltre e quel viaggio fu
determinante anche per lo sviluppo del movimento socialista della zona252
2. Le origini del movimento operaio e socialista biellese
La vita del Biellese, caratterizzata sin alle soglie dell’età contemporanea da una forte influenza
dell’istituto comunitario, dall’economia mista di “terra e telaio”,253 da una costante emigrazione
verso l’estero, entrò con la prima metà dell’800 nel pieno della rivoluzione industriale. Forti di un
246
D.Rondani, Un pane socialista, "Critica sociale", n.15 del 1891 (è l'unico che pubblica su
questa rivista) Pubblica anche "I ferrovieri inglesi e l'organizzazione" per la "Rivista popolare di
politica, letteratura e scienze" del 1888-89.
247
Lettera di Angelo Cabrini all'operaista A.Casati in cui gli chiede se intende escludere il
gruppo Rondani (e intellettuali) del futuro partito. In Manacorda, p. 427
248
249
250
"La lotta di classe", 8-9 ottobre e 4-5 novembre 1892
ACS, CPC, b. 4405
" La lotta di classe", 5-6.1.1895
251
"la condotta del Rondani fu scorrrettissima.Appena qui arrivato trovò modo di infiltrarsi
presso la parte meno rispettabile della popolazionee stringe intima amicizia con diversi giovani che
professano idee esaltate...si diede anima e corpo alla propagazione delle dottrine socialiste
riuscendo persino a costituire un circolo socialista di cui fanno parte 30 associati. Dal Presidente
del Tribunale venne ammonito a meglio comportarsi e di non dar luogo a nuovi rimarchi, ma tutto
risultò inutile" relazione del sottoprefetto di Domodossola 11.4.1895, in ACS CPC, b.4405
252
R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit., p. 137-9.
253
F.Ramella "Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel biellese dellOttocento",
Torino,
loro antico potere che l’ordinamento corporativo aveva tutelato fino al 1845, i tessitori all’indomani
dello Statuto Albertino che proibiva le “coalizioni” avevano ritrovato che le Società di Mutuo
Soccorso composte su base di mestiere erano la formula con cui ridare istituzionalità al loro forte
statuto professionale. Tra il 1864 e il 1865 e poi tra il 1877 e 78 i tessitori scesero in sciopero in
Valle Mosso, nel Triverese e nella Valle dell’Elvo. Nel 1884 diffuse in 42 dei 95 comuni biellesi si
contavano 64 SOMS con 9789 iscritti (8972 maschi e 817 femmine). Delle più antiche
sopravvivevano quelle di Biella (fondata nel 1851) di Bioglio (1852), di Cossato (1853), dei
cappellai di Sagliano (1853) Nello stesso periodo 890 circoli vinicoli, frazionali e di fabbrica, e una
quarantina di cooperative di consumo estendevano la loro rete di servizi. A differenza di altre zone
d’Italia nel biellese254 fin dagli anni ‘60 i confronti più duri si accendevano sugli aspetti normativi dei
regolamenti di fabbrica più che sulle questioni salariali. Per arginare gli scioperi le autorità
governative ricorsero ai provvedimenti repressivi, dal confino per una settantina di operai allo stato
d’assedio nella vallata allo scioglimento della “Società dei tessitori di Crocemosso” che, più volte
soppressa e pù volte ricostruita, sfociava nel 1898 nella “Lega di resistenza tra i tessitori della Valle
Strona e del Ponzone”, che svolse un ruolo di guida255 Negli anni ‘80 si ha una trasformazione
della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega professionale” poi, con il passaggio
dall’aggregazione episodica delle associazioni locali alla costituzione di organismi stabili sia
professionali che territoriali (di vallata), nel comprensorio dei 23 comuni biellesi in cui verso fine
secolo erano concentrati circa 14.000 operai nel sistema di fabbrica. In campo mutualistico sono
presenti nel circondario 47 SOMS di cui 6 nel capoluogo, 2 a Crocemosso, 2 a Cossila, 4 a
Occhieppo, 2 a Sagliano, 2 a Andorno, 2 a Pollone, ecc.256
Dopo la parentesi della repressione di fine secolo, la Camera del lavoro venne fondata nel febbraio
1901, con l'adesione delle leghe locali che si erano collegate con quelle nazionali. Per alcuni mesi
si tennero riunioni preparatorie, promotrici le Associazioni di miglioramento, Unioni pannilana,
cotonieri, fonditori, metallurgici lavoratori del libro, che associavano oltre 1200 iscritti. La riunione di
fondazione della Camera del lavoro ebbe luogo il 4 febbraio 1901 con una relazione introduttiva di
Giulio Casalini257 e conferenza di Angiolo Cabrini.258 Notevole apporto lo diede Felice Quaglino con
254
M.Neiretti, G.Vachino "La lana e le pietre: il biellese nell'archeologia industriale", Biella,
1987; "Archeologia e storia industriale nel biellese: archivio e fonti. Convegno", Biella, 1988;
P.Secchia “Capitalismo e classe operaia nel centro laniero d’Italia”, Roma, 1960; “L’altra storia.
Sindacato e lotte nel biellese. 1901-1986”, Roma, 1987; R. Gremmo: "La repubblica di Sala
Biellese del 1896: dalla rivolta popolare alle lotte di anarchici, socialisti, sindacalisti rivoluzionari e
comunisti nei paesi della Serra", Biella, 1996; L.Moranino "Le donne socialiste nel biellese: 19001918", Vercelli, 1984; M.Neiretti "Le radici e il fondamento: dall’ opinione pubblica alla forma partito
nel biellese di fine Ottocento" "L'impegno", 1993 n.3 = "Democratici e socialisti nel Piemonte di fine
Ottocento", Milano, 1995
255
P.Ferraris "Sviluppo industriale e lotta di classe nel biellese", Torino, 1972
256
L. Petrini "Le SOMS biellesi nel secolo scorso 1851-1872", Biella, 1996
257
I buoni artieri : Parte I Roma 1957
258
F.Fabbri Angiolo Cabrini (1869-1937): dalle lotte proletarie alla cooperazione fascista. In
“Cooperazione e società”, 1971, n. 1-2; F. Borrelli Angiolo Cabrini ; relatore E.R. Papa, Università
di Torino Facolta di Scienze politiche, A.A. 1985-1986 ; E.Santarelli voce in: Dizionario biografico
l’adesione della sezione edili forte di 300 iscritti. Alla fine di aprile gli associati erano ormai 2500. Il
2 giugno si celebrò l’inaugurazione ufficiale con corteo e discorso di Quirino Nofri. La domenica
successiva si radunò a Biella un congresso delle leghe tessili per dar vita alla Federazione arti
tessili259
A far da contraltare alla “riformista” CdL biellese, nel giugno 1902 si costituì la CdL di Cossato ad
opera di socialisti rivoluzionari tra cui spiccano i fratelli Mario e Oreste Mombello, con l’adesione
dichiarata di associazioni che rappresentavano 2000 iscritti contro i 2600 biellesi svolgendo
un’attività vertenziale modesta a differenza dell’intensa propaganda anti-sistema. Quirino Rosso
segretario della CdL di Biella sfruttando le difficoltà organizzative dei rivoluzionari, svolgerà un
paziente lavoro di recupero che culminerà nella unificazione nel 1905. Nel 1904 fu istituito su
proposta della CdL e della Federazione edilizia il Segretariato dell’emigrazione260
Dopo la riforma elettorale del 1882 che aveva permesso a una parte della popolazione operaia di
prendere parte alle competizioni elettorali la democrazia radicale divenuta protagonista della lotta
politica biellese. I mazziniani favorivano il movimento cooperativo e si battevano per sganciare le
società di mutuo soccorso dalla tutela degli industriali e dal 1881, per quattro anni, il settimanale
“La Sveglia” contribuì alla diffusione di una coscienza nuova tra le classi popolari soprattutto
artigiane261. Il loro scopo era di acquisire attraverso il controllo delle società operaie una solida
base elettorale per il loro programma di riforme politiche, ed anche le società operaie avevano
interesse a ricercare il loro appoggio, avendo la repressione dello sciopero dei tessitori del 1877
reso evidente che “per non esporsi più ai rischi di una repressione indiscriminata, dovevano
battersi per il loro riconoscimento e la loro legittimazione con una campagna di agitazione politica
che la sola democrazia radicale aveva allora le armi per svolgere”262.
Nelle elezioni del 1882 i democratici biellesi presentarono una lista capeggiata da Agostino Bertani
e da Luigi Guelpa263; nessuno dei due fu eletto ma la contesa convogliò l’attenzione di molti operai
che si affacciavano alla vita politica e che nel 1883 elessero per la prima volta un presidente di
degli italiani, vol. 15
259
R.Rabaglio, I.Zamprotta “L'azione sociale, culturale e di educazione permanente
dell'Università Popolare di Biella”, Biella, 1992,
260
P.Corti "Il segretariato biellese dell'emigrazione. Strutture organizzative, tradizione
migratoria, spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento", Milano,
1995. All’epoca ne erano stati istituiti già 13.
261
M. Nejrotti, La stampa operaia e socialista 1848-1914, in Storia del movimento operaio del
socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, Bari, 1975, vol. I, p. 412; R. Rigola, Rinaldo Rigola e il
movimento operaio..., cit., p. 73.
262
G.Berta, La formazione del movimento operaio regionale: il caso dei tessili in “Storia del
movimento ..”., cit., p. 310.
263
Luigi Guelpa (1843-1911) avvocato mazziniano esponente della democrazia biellese.
Candidatesi per la prima volta nell'82 contro Sella, fu eletto nel '90 e riconfermato nel '92. Sconfitto
tre anni dopo si ritirò dalla politica attiva.
estrazione non borghese alla Società generale di mutuo soccorso di Biella264. Nel 1883, promosso
dai cappellai, si celebrò a Biella il primo congresso operaio democratico seguito l’anno successivo
dalla costituzione del Consolato Operaio. Nel febbraio 1884 si tenne un convegno di 34 società
operaie che respinse il progetto di legge Berti sulla regolamentazione degli scioperi, secondo la
linea del Partito operaio italiano.
Nel biellese degli anni ottanta erano presenti associazioni politiche di varia appartenenza ma
unificate dalla tematica della questione sociale, mentre l’emigrazione di ritorno diffondeva idee
rivoluzionarie e di utopia sociale, rafforzando l’anticlericalismo militante (con battesimi, matrimoni,
funerali “proletari”). In quella fase, schematizzando, i dirigenti provenivano in prevalenza
dall'anarchismo approdando a posizioni più moderate, mentre l'elettorato di estrazione
“democratica” si radicalizzava.
Negli anni successivi la democrazia radicale condivise la guida del movimento operaio con il POI,
cui aderirono diverse società del biellese e col socialismo anarchico propagandato da Luigi
Galleani. Il movimento operaio era in continua crescita, e nelle amministrative del 1889 per la
prima volta fu eletto un operaio nel consiglio comunale a Biella265, mentre in vari comuni vennero
eletti sindaci della democrazia.
Il primo maggio 1890 era stata convocata una grande manifestazione mondiale a sostegno delle
otto ore lavorative e anche Biella rispose all’appello con un comizio in cui l’oratore di maggior
successo fu l’anarchico Pietro Vigliani266, seguace di Galleani.
I rappresentanti di ventidue società operaie si riunirono il 7 agosto 1892 a Biella in vista del
Congresso di Genova che portò alla fondazione del PSI . Gli anarchici contestarono la
partecipazione dell’onorevole Guelpa, e democratici, repubblicani, socialisti proseguirono il precongresso da soli nominando Luigi Fila267 e Luigi Sola268 delegati a Genova dove però entrambi si
schierarono con gli anarchici. Ma un anno dopo nel biellese la guida del movimento socialista
cadde nelle mani dei “marxisti”, che assorbirono nelle loro fila guelpisti, operaisti e anarchici, tra cui
Rigola.
264
P. Secchia, Capitalismo e classe operaia nel centro laniero d'Italia, Roma, 1960, p. 139
265
Il fonditore Camillo Gioggia, allora seguace di Guelpa, ma che all'inizio degli anni '90 aderì
al socialismo, occupandosi in particolare del movimento cooperativo. AA. W., Linee di storia del
socialismo biellese, Biella, Federazione del PSI biellese, 1962
266
P.Vigliani, muratore autodidatta e apprezzatissimo oratore, fondatore della cooperazione e
della lega muraria a Ponderano, fu il primo sindaco socialista di questo comune. AA. W., Linee di
storia del socialismo ,.., cit.
267
Operaio tessile, già al congresso di Reggio Emilia del 1893 si trovò su posizioni "marxiste".
La "Lotta di classe" del 26-27 novembre 1892 pubblicò la sua : “Un 'inchiesta sulla tessitura nel
Biellese",
268
Operaio meccanico, seguace di Guelpa, socio fondatore e presidente della Unione
Cooperativa Biellese, all'inizio degli anni '90 abbracciò le idee socialiste. Fu il primo socialista ad
essere eletto al Consiglio comunale di Biella.
Circoli anarchici sono diffusi nel Biellese negli anni novanta e nella pubblicistica locale anarchismo
e socialismo non compaiono in antitesi. Nel luglio 1895, Dino Rondani, rilevò la singolarità:
“Piuttosto vi dirò crudo che in nessuna regione d’Italia si sente correre per le vie la parola
socialismo, socialista, anarchico anche, così facilmente come da voi, e corrispondervi spesso una
sostanza di gran lunga diversa dal nome”. Altra evoluzione delle forme di organizzazione degli anni
ottanta è data dalla trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega
professionale”
L’organizzazione del partito venne impiantata secondo lo schema della socialdemocrazia tedesca,
con statuto, tesseramento, sezioni di base, federazioni territoriali, congressi periodici. Nel 1893 il
partito cominciò a organizzare nei centri maggiori le prime sezioni, senza trascurare iniziative
collaterali, per dare una risposta anche ai bisogni sociali degli iscritti e della popolazione, quali
cooperative di consumo, circoli ricreativi, iniziative culturali e istruzione professionale. Con il 1896
si avviò una campagna capillare per avere in ogni comune una sezione.
Il movimento socialista biellese, sviluppatosi dalle origini con caratteri di massa, affondava le radici
in una società locale ad elevata integrazione comunitaria alimentata da una “ideologia del lavoro”.
L’impronta di fondo si espresse sostanzialmente in termini riformisti e gradualisti. Nel 1893 al
Congresso di Reggio Emilia l’adesione di Rinaldo Rigola (che verrà eletto consigliere comunale di
Biella nel '95), attraverso gli operaisti di Angiolo Cabrini e Costantino Lazzari, rappresentò per il
socialismo biellese una importante acquisizione.
Alle elezioni del marzo 1895 il Partito socialista presentò al collegio di Biella Giuseppe De Felice in
carcere per la sua partecipazione al movimento dei Fasci siciliani che raccolse 967 voti contro i
2.981 dei demo-liberali, mentre nel collegio di Cossato il liberale Giovanni Garlanda269 con 3.581
voti sconfisse Luigi Guelpa, (2.102) ed il socialista Nicolò Barbato, candidato di bandiera. In alcuni
comuni i socialisti conquistarono la maggioranza.
La sconfitta di Guelpa, che si era alienato le simpatie operaie appoggiando in un primo tempo
Crispi, provava che nel biellese la democrazia radicale aveva fatto il suo tempo e che solo il partito
socialista aveva le potenzialità per mobilitare la massa di operai ancora estranei alla vita politica,
come capì lo stesso Guelpa secondo cui di lì a poco il collegio di Cossato sarebbe stato
conquistato da un “giovane seguace di Carlo Marx”.270 Infatti dopo il periodo della repressione il
Partito socialista conquistò alle elezioni del 1900 entrambi i collegi biellesi.
3. La "conquista" del biellese
A Biella Rondani conobbe i principali organizzatori locali del socialismo e tra questi Rinaldo
Rigola271, che allora alternava ancora l’attività politica con la sua professione di ebanista e che
269
Federico Garlanda (1867-1913), docente di inglese a Roma, dove fondò la rivista
"Minerva". Eletto nel '95 nel collegio di Cossato appoggiò il governo Crispi. Sconfitto nel '97, si
ricandidò nel 1909 a Biella ma venne sconfitto da Quaglino.
270
R.Rigola, Commemorazione di Luigi Guelpa Biella, Tipografia biellese E. Rigola, Ubertino
e C., 1912, p. 11.
271
C.Cartiglia “Rinaldo Rigola e il sindacalismo riformista in Italia”, Milano, 1976
trentacinque anni dopo tracciò questo ritratto del suo primo incontro: “Una mattina di luglio del
1895 venne nella mia bottega un amico in compagnia di un individuo a me ignoto vestito alla
“touriste”, con cappello di paglia e “pince-nez” all’occhio. Lo sconosciuto mi viene presentato per il
dottor Dino Rondani di Milano ... E’ un parlatore amabilissimo e briosissimo. Tra una arguzia ed un
paradosso, ti snocciola tutto un rosario di piani e di progetti. E’ un visibilio. Perché non si farebbe
questo? Perché non si farebbe quest’altro? A che punto siamo con le leggi protettive del lavoro?
S’è mai tentato di dare esecuzione alla legge dei probiviri in vigore oramai da ben due anni? E se
questa legge non si applica ai 40.000 operai delle industrie biellesi, a chi la si applicherebbe? C’è
da fare tutta l’organizzazione di resistenza, c’è da fare la Camera del Lavoro. Abbiamo noi una
conoscenza esatta della situazione industriale, delle condizioni economiche, igieniche e morali in
cui versa la classe lavoratrice? S’è mai fatta un’inchiesta, dopo quella famosa sugli scioperi, per
rilevare lo stato dei salari, degli orari, della disoccupazione nell’industria tessile, le cui maestranze
sono oggi composte di donne in prevalenza? Sappiamo grosso modo che la degenerazione fisica
è preoccupante, che su 3.000 coscritti dell’ultima leva, soltanto 300 furono dichiarati abili, e tutti gli
altri riformati o dichiarati rivedibili per gracilità o deformazione scheletrica, ma siamo noi in grado di
fare una diagnosi esatta di questa terrificante malattia sociale? Indagini positive ci vogliono. Non
cadiamo negli errori della democrazia, la quale agiva dall’esterno, in base ad astratte ideologie,
invece di far leva sui reali bisogni della classe, resa consapevole dei mali di cui soffre. Basta con la
retorica. Ricordiamo il metodista inglese che predicava essere quello degli operai “un problema di
coltello e di forchetta”. “Wery [sic] well”! ... “Prima bisogna fare il giornale ... il giornale locale è
un’imprescindibile necessità”. 272
Questo ritratto mette in luce alcuni tratti caratteristici: una certa eccentricità nei modi e nel vestire,
una vivacità di discorso e soprattutto una propensione ad analizzare i problemi dal punto di vista
delle possibili soluzioni per risolverli. Il suo è già il linguaggio dell’organizzatore, del sindacalista,
ancora poco usato in una zona dove socialismo era stato sinonimo di anarchismo e quindi di un
concetto di rivoluzione come atto unico e violento273.
Egli era giunto a Biella nel pieno dell’ondata repressiva scatenata da Crispi, reduce dal domicilio
coatto, istituto che paradossalmente si rivelò fondamentale per la diffusione del socialismo nelle
zone periferiche, di cui Rondani si era reso conto: “[Rondani] ha scontato alcuni mesi di confino ...
Sentenza provvidenziale, secondo lui perché ha il vantaggio di ovviare ai difetti della nostra ancor
debole organizzazione, e di frustrare, al tempo stesso, gli scopi che il Governo si è proposto di
raggiungere con la promulgazione delle leggi eccezionali.. Finché i socialisti godevano delle
libertà comuni, la nostra propaganda nelle campagne quasi non arrivava; e ciò era dovuto in parte
alla scarsità dei mezzi e in parte all’innata pigrizia dei compagni delle città. Con le leggi eccezionali
il Governo si è proposto di distruggere i focolai di infezione già esistenti nei centri urbani, ma si
inganna. I nostri non andavano fuori, il Governo provvede lui a mandarveli. Una cinquantina di
compagni milanesi sono già stati processati e spediti in tutte le direzioni, con l’obbligo di risiedere
per un certo tempo in comuni nei quali non c’era per ora speranza di farvi penetrare l’idea
socialista. Quanto più uno è attivo propagandista, tanto più deve rimanere a Domodossola, a
272
R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio ..., cit,
273
Nel luglio 1951, commemorando Rondani appena scomparso, Rigola tornò su quel primo
incontro e sulla rievocazione da lui fattane più di vent'anni prima: "[Era] un ritratto un po'
caricaturale, il mio, del giovane lottatore che non sta nella pelle. Ma sta di fatto che egli mi parlava
un linguaggio diverso dai soliti. Oggi lo chiamano linguaggio sindacalista. R.Rigola, Dino Rondani
nella commossa rievocazione dell'on. Rigola, in "Tribuna Socialista", 14.7.1951
Biandrate, ad Ivrea od a Peretola, dove non esiste traccia di socialismo. Invece di isolare gli
appestati nel lazzaretto, si sparpagliano nei centri tuttora immuni da contagio. Che cosa si
potrebbe domandare di più?”274
Rondani si presentò agli operai biellesi con una conferenza a Croce Mosso in cui puntò soprattutto
a differenziare i socialisti dagli anarchici, dal momento che intorno a questi due termini si faceva
ancora molta confusione: ”“Non siamo del parere delle legnate, né tanto meno delle revolverate o
delle pugnalate, perché questo è il parere dei nostri avversari, e sono essi che hanno l’esercito, la
polizia, la magistratura, le strade, le città, le manette, le carceri... La lotta è economica ed umana,
le armi devono essere economiche ed umane. .. Se noi esercitiamo la scheda elettorale con
tenacia, coraggio e vigore, noi contendiamo, senza crisi serie e senza procurare alcun massacro
su di noi, palmo palmo il terreno ai nostri avversari”275.
Per assicurarsi un’efficace capacità di penetrazione nelle masse era necessario disporre di un
giornale, la cui fondazione era stata posta come prioritaria nel colloquio tra Rigola e Rondani
Nonostante la difficoltà di riunire i socialisti del circondario in tempo di leggi eccezionali, il 15
agosto 1895 sulla vetta del monte Rubello, luogo mitico della ribellione nella memoria collettiva
locale perché vi era stato catturato l’eretico Fra’ Dolcino, si radunarono 150 socialisti del biellese,
valsesia e vercellese; la relazione svolta da Rondani sulla nascita di un settimanale circondariale
venne approvata all’unanimità 276. Il raduno sul monte Rubello costò un nuovo processo in pretura
concluso con l'assoluzione277 ma assunse nella memoria storica dei socialisti biellesi un’aura
leggendaria e il raduno del 15 agosto divenne un punto di riferimento per le generazioni dei
socialisti biellesi, rinverdito dalle “scampagnate” di rievocazione che si tennero negli anni
successivi.
L’avvocato repubblicano Giuseppe Ubertini278 che aveva pubblicato nel 1895 il settimanale “Il
Corriere Biellese” in appoggio alla candidatura di Guelpa, cedette gratuitamente la testata ai
274
R. Rigola, cit, pp. 136-137. Queste considerazioni non gli impedirono naturalmente di
firmare, nel settembre 1897, un manifesto di protesta promosso da Cavallotti contro il progetto
governativo. Anche un altro protagonista del socialismo biellese arriva alle medesime conclusioni:
"A Varallo si è incominciato a parlare di socialismo e di socialisti, perché con le leggi eccezionali di
Crispi alcuni socialisti e anarchici erano stati mandati al confino lassù". (O.Mombello, Sessant 'anni
di vita socialista, Biella, 1952, p. 6)
275
"II Corriere Biellese", 3.8. 1895, La conferenza di Dina Rondani in Croce Mosso. Un
articolo rievocativo in "Il Corriere Biellese", 20.8.1920, La prima pubblica conferenza di Dino
Rondani
276
Ibid, pp. 140-42; P. Secchia, Capitalismo e classe operaia cit., p. 162. Il Secchia indica per
errore come data della riunione il 15 maggio 1895
277
lbid , Linee di storia del socialismo..., cit.
278
Giuseppe Ubertini (1859-1916) avvocato e industriale, fu uno dei fondatori del movimento
mazziniano di Biella; collaboratore della "Sveglia", fondò "Il Corriere Biellese". Fervente
irredentista, a 57 anni si arruolò volontario quando l'Italia intervenne nella prima guerra mondiale, e
sul fronte contrasse il tifo che lo portò alla morte.
socialisti 279 e il 9 febbraio 1896 uscì il primo numero del “Corriere Biellese”, diretto da Rigola, privo
di esperienza giornalistica ma scelto per mancanza di alternative. Si era pensato a Rondani che
era stato redattore della “Lotta di Classe” ed era il solo laureato, ma non risiedeva a Biella e
avrebbe potuto offrire solo una collaborazione saltuaria.
Rondani, la cui provenienza milanese e il suo essere a contatto coi maggiori esponenti del partito
conferiva autorevolezza, per tutta l’estate girò il circondario destando la preoccupazione delle
autorità che notarono che “dal luglio al settembre 1895, [Rondani] contribuì assai allo sviluppo del
movimento socialista, che andò accentuandosi per opera specialmente di lui e di altri fanatici
correligionari”280 e nel settembre 1895 sciolsero il Circolo Ricreativo del lavoratori di Biella
denunciando i sette soci fondatori, tra cui Rigola e Ubertini. L’“attenzione” delle autorità verso i
socialisti dopo l’arrivo di Rondani fu così commentata dal settimanale liberale “La Tribuna
Biellese”: “tempo fa, quando le cose venivano dai socialisti fatte – diremo così – in famiglia, le
autorità non si erano allarmate. In questi ultimi tempi, invece, venuto da Milano a passare l'estate
fra noi – ad Andorno – il dott. Dino Rondani, ecco che le autorità riconoscono motivi di pericolo in
questi pochi, rumorosi, ma punto pericolosi socialisti”281.
Rondani comunque non lasciò più il biellese e pur continuando a vivere a Milano, prese a
percorrere il circondario con assiduità 282 Partecipò alla costituzione del Circolo elettorale di S.
Germano, l’11 agosto 1895, in occasione del 26. anniversario della Società operaia dei contadini
giornalieri; l’8 marzo del '96 fu fondato il “Circolo Popolare Vercellese”, con 33 iscritti, che Rondani
inaugurò con una conferenza.
Il 7 giugno 1896 si svolse a Novara il primo Congresso provinciale, sotto la presidenza di Morgari,
con delegati di 27 sezioni. Rondani, rappresentante di S. Germano tenne la relazione sul
movimento provinciale degli ultimi tre anni: da 656 gli iscritti superavano ormai il migliaio,
organizzati in una ventina di circoli in tutti i collegi elettorali, e la provincia era quella che in
Piemonte vantava il maggior numero di adesioni. Il “Corriere Biellese”, nato da soli quattro mesi,
diffondeva 1.700 copie e aveva 300 abbonati. Terminò dichiarando: “Avendo abbastanza bene
sgobbato durante quest’ultimo anno ... è naturale che non ci sia rimasto tempo per discutere della
tattica. .. Per noi la migliore delle tattiche è ancora una sola: lavoro, lavoro, lavoro. La peggiore è
certamente quella che impiega più della metà del già scarso tempo consacrato al partito nel
discutere sino alla noia di transigenza e di intransigenza, quasi fossimo alla vigilia di chissà quali
avvenimenti politici, in una nazione in cui ventinove milioni e tre quarti su trenta milioni non sanno
ancora cosa realmente i socialisti vogliano”. Al termine dei lavori venne costituita la Federazione
279 Dopo l’avvio come supplemento del “Grido del Popolo” di Torino, il giornale, diretto da Rigola,
ebbe vita propria, passò da settimanale a bisettimanale, raggiungendo ai tempi della prima guerra
mondiale quindicimila copie di diffusione. Il giornale fu determinante nell’affermazione del partito e
dell’azione sindacale, creando una rete di corrispondenti attraverso la quale si diffuse anche
l’organizzazione del partito e si avvicinarono categorie di operatori culturali, in specie gli insegnanti
280
ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 6, fasc. 54, Denuncia del Procuratore del Re contro
Dino Rondani e altri
281 “La Tribuna Biellese”, 26.9.1895, La repressione socialista a Biella. Il giornale liberale
appoggiava in quegli anni il prof. Garlanda, ma fino al maggio 1898 mantenne verso i socialisti
un’opposizione rispettosa. Era stato fondata nel 1891 da Alfredo Frassati (L. Frassati, Un uomo,
un giornale. Alfredo Frassati. Roma, 1978, p. 8).
provinciale designando nel Comitato federale Rigola per il collegio di Biella e Oreste Mombello per
quello di Cossato, mentre Rondani veniva nominato con Giuseppe Ballario nel Comitato regionale
piemontese. Il terzo congresso dei socialisti biellesi (27 luglio 1897) nominò direttore del “Corriere”
Umberto Savio (poi deputato di Santhià) ed amministratore Giulio Casalini.
Rondani fu eletto a far parte della Commissione Esecutiva, con sede a Milano, sia al quarto
(Firenze, 11-13 luglio 1896) che al quinto congresso nazionale (Bologna, 18-20 settembre 1897).
Nel 1897 venne eletto deputato283 nel collegio di Cossato (Biella) ma l’elezione fu annullata non
avendo Rondani i trent’anni di età richiesti. Dopo due suffragi annullati nel 1897 e nel 1898, fu
eletto deputato nel 1900 (con 3.192 voti, il doppio del candidato moderato) per tale collegio che lo
riconfermò al primo scrutinio sia il 6 novembre 1904 che il 7 marzo 1909. Il 26 ottobre 1913 è
rieletto per la quarta e ultima volta
4. La svolta reazionaria di fine secolo
Nei difficili anni di repressione dal 1892 al 1900, libero da vincoli familiari e aiutato
economicamente dai proventi dell’attività professionale, fu in prima fila ovunque: il suo gusto per
l’azione dimostrativa, le sue doti di efficace parlatore, il suo desiderio di cimentarsi in prima
persona potevano servire: conferenze e contraddittori in ogni grande e piccolo centro in
Lombardia, in Liguria, in Toscana, manifestazioni per il 1° maggio, per i Fasci Siciliani, stampa
clandestina di volantini, e come conseguenza ammonizioni arresti e condanne284.
282 Riportiamo questa testimonianza, anche se imprecisa e tendente al pittoresco: “Nell’ultima
decade del secolo scorso un giovane propagandista, preparato e buon oratore, agiva circospetto,
ma con pertinacia e gran coraggio, nel mio paese ed in quelli appartenenti al collegio elettorale di
Cossato...Veniva dalla Romagna, terra calda di sole e di fermenti politici. Appartenente a buona
famiglia, l’aveva abbandonata per l’idea dandosi a una vita grama, randagia, braccato dai
carabinieri, dimenticato dalla famiglia, dileggiato dagli avversari. Divideva un magro pane ed un
piatto di minestra coi seguaci più intimi, modesti operai, e dormiva sovente nei fienili e nelle stalle
al par d’un mendicante, ora in una borgata, ora in un’altra, cambiando di continuo per disperdere le
tracce ai carabinieri che aveva ognora alle calcagna. Veniva spesso anche nella mia borgata,
dove arrivava di notte e ripartiva prima dell’alba. Io ero bambino e ne sentivo parlare in casa e
fuori, sottovoce. Non capivo; naturalmente. Teneva le sue riunioni nei boschi, su alture impervie, in
gran segretezza. Un giorno mio padre, che non era dei suoi ... volle partecipare a titolo di curiosità
ad una di dette riunioni ... Al ritorno raccontò ai vicini com’era andata ... ”“Sapete? Quell’ometto là
non è mica uno stupido come qualcuno pensa. Io, vecchiotto, mi son trovato in mezzo ad una
cinquantina di giovani e giovinetti che l’ascoltavano con grande attenzione. Parlava bene, bisogna
riconoscerlo; diceva cose giuste, ma che a noi, anziani, non fanno molto effetto. Ai giovani, sì. Ed è
appunto ai giovani che l’uomo si rivolge. Se li coltiva per il domani. Saranno essi, fatti elettori, a
dargli il voto” G.Garlanda, Biellese mio, Biella, 1971, p. 61-63
283
Ernesto Bignami si congratulò in una lettera del 17.8.1897 della “STREPITOSA vittoria a
Cossato che tu saprai certamente consolidare” in Fondo Rosselli, cit. da G.Carazzali, Enrico
Bignami, Milano, 1992
284
Nel 1898 il tribunale di Biella condannò Oddino Morgari a tre mesi e 26 giorni e ad una
multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in
Collaborava al “Corriere Biellese” inviando interventi e articoli, e da uno di questi scaturì un duello
giornalistico: l’articolo in questione uscì, anonimo, nel numero del 28 marzo 1896 con il titolo Al
“Corriere di Novara“, un settimanale liberale da poco convertitosi al repubblicanesimo, che sullo
stesso numero pubblicava un editoriale di complimenti all’onorevole Ferri per le dichiarazioni di
“transigenza” verso le altre forze dell’estrema (radicali e repubblicani) espresse alla Camera e per
la sua attenzione al problema istituzionale285 mentre un altro articolo, prendendo spunto dai
numerosi casi di renitenza alla leva verificatisi dopo la sconfitta di Adua per timore di essere
mandati in Africa, si scagliava con disprezzo verso i disertori, definendoli “anime di coniglio, cuori e
cervelli malandati e vuoti”, non potendosi comprendere come “per un istinto di paura, che offende
ogni civil sentire, un essere, che non sia stolto o pusillo, possa attentare alla propria rovina”286.
Rondani, commentati con una certa ironia i complimenti all’onorevole Ferri, denunciò il contrasto
con l’articolo successivo dove “si svescia tutta la bolsa retorica propria di questo disgraziato
periodo monarchico del nostro paese”. Dei disertori scrisse che erano “della gente di buon senso e
di coraggio e valeva molto di più di tutti i bellicosi che se ne stan a casa a blaterare di guerra”,
aggiungendo che se il mercenario ascaro, brutale e selvaggio, restava fino all’ultimo sotto il fuoco,
lo stesso non si poteva chiedere al contadino “che sa di avere a casa dei vecchi che contano su di
lui, dei bambini da allevare e da mantenere, e a cui nessuno degli eroi colla pelle degli altri
penserà”287.
Egli esprimeva il concetto che, a prescindere dal rifiuto opposto dai socialisti alla guerra in genere
e a questa in particolare, era profondamente ingiusto scagliarsi in nome di concetti come il
“sacrificio per la patria” contro individui che non conoscevano neanche il concetto di patria e che
erano mandati a combattere una guerra che non comprendevano, mentre la loro partenza
significava spesso per la famiglia la sconfitta nella battaglia giornaliera della fame. Nell’articolo del
giornale repubblicano Rondani ritrovava quello che per lui era il limite dell’estrema sinistra
borghese, ossia l’ostinazione ad applicare schemi astratti e irrealistici su un popolo che si preferiva
idealizzare piuttosto che cercare di comprendere nelle sue reali necessità, che erano spesso di
pura sopravvivenza.
La polemica con il giornale novarese era poi l’occasione per esprimere la recisa opposizione al
proseguimento della guerra in Africa, e già in un altro articolo era stato chiaro: "Ecco qui l' “Eco
dell’industria”288 che pensa che l’Italia mostrerebbe non aver fibra, di non saper ritemprarsi a nuova
energia se accettasse l’eccitamento alla fuga e alla viltà ritirando le truppe dall’Africa, secondo la
una conferenza elettorale a Cossato in appoggio alla candidatura di Dino Rondani. Nel 1998 partì
per Palermo con Oddino Morgari per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia
palermitana che garantiva l'elezione di Crispi e che il 16 aprile li aggredì a colpi di rivoltella.
285
Buon sintomo, "II Corriere di Novara", 23.3.1896,
286
Herreros, I disertori, "Il Corriere di Novara, 23.3.1896
287 Uno, Al Corriere di Novara “Corriere Biellese", 28.3.1896
288 Settimanale liberale biellese fondato nel 1872. Nel 1891 ne divenne proprietario l'industriale
G.B. Serralunga che ne spostò a destra la linea politica rispetto al periodo precedente, in cui era
stato redattore e comproprietario Alfredo Frassati.
volontà di migliaia e migliaia di italiani. La causa è ingiusta, tutti lo sanno, è barbara e stolida, non
importa, “le abbiamo prese”: è “coraggioso” ed “eroico” cercare di restituirle servendosi prima di
tutto del tradimento, poi dei mezzi di guerra perfezionati" 289
Se quest’ultimo articolo non ebbe strascichi giudiziari, lo stesso non accadde per il precedente, nel
quale il procuratore del Re ravvisò il reato di apologia della diserzione e processò con questa
accusa il gerente del giornale, Fortunato Galletto, che fu condannato a quattro mesi e quindici
giorni di reclusione; Rondani, inviato in Svizzera dal partito per un giro di conferenze non potè
essere presente290.
"Il Corriere di Novara” espresse il suo plauso per la condanna e irrise l’autore che, nascondendosi
dietro l’anonimato, adottava la medesima filosofia dei disertori che aveva difeso, “risparmia la
pancia per i fichi e lascia gli altri nelle pani a cui egli [aveva] fornito il ...vischio!” 291
Ciò lo indusse a pubblicare un nuovo articolo dove dichiarò la sua responsabilità, senza rinnegare
quanto scritto ma respingendo l’accusa di aver fatto un’apologia della diserzione292; una difesa che
Rondani adottò anche al processo che inevitabilmente seguì la sua auto denuncia, in cui spiegò
come intendesse solo difendere “le ragioni che militavano in favore di uomini che aveva visto in
Svizzera lottare eroicamente colla vita per guadagnare un pezzo di pane per sé e pei loro
congiunti”293. La corte lo condannò a sei mesi di reclusione e cento lire di multa. La condanna
venne confermata tre mesi dopo dalla corte d’appello di Torino e successivamente dalla
Cassazione, e solo l’amnistia promulgata il 24 ottobre 1896 in occasione delle nozze del principe
ereditario gli evitò di scontare la pena.
5. Il ”“novantotto” a Milano
All'origine dei moti del maggio 1898 vi fu la congiuntura economica recessiva e un raccolto
agricolo insufficiente aggravato dalla reintroduzione della tassa sul macinato che gravava
soprattutto sui ceti proletari.
I moti nacquero spontaneamente in vari centri: a Milano si mossero per primi i “barabba” cioè il
sottoproletariato urbano che viveva di espedienti, a cui si mescolarono gli anarchici che tennero
viva la tensione polemizzando con i consigli alla calma dei socialisti, i quali invece tendevano a
ridimensionare i moti osservando che “le sommosse, i combattimenti di strada, le insurrezioni
chiamano alla superficie i bisognisti, gli affamati, la plebe che vive come vive, i poveri diavoli che
289 D.R. Nel paese di Gasparone, "Corriere Biellese", 4.4.1896.
290 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32.
291 Herreros, Il Corriere di Novara causa involontaria della condanna del Corriere Biellese, "Il
Corriere di Novara", 10.5.1896. Riportando brani dell'articolo di Rondani, Herreros gli attribuiva la
frase: "è meglio salvare la pancia per i fichi e rinunciare alla gloria di combattere per l'onore del
paese"; frase che in realtà il nostro non aveva mai scritto
292 Oh il repubblicano!, "Corriere Biellese", 16.5.1896,
293
ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32, verbale di interrogatorio, 5.6.1896
crescono fra un furto e l'altro"294 riferendosi anche ai molti immigrati che non riuscivano a inserirsi
nel tessuto operaio e simpatizzavano con gli anarchici più che coi socialisti, identificati con quelle
"aristocrazie operaie" che si collocavano un gradino più in alto perché avevano un posto in
fabbrica.
Come scrisse il conservatore Pasquale Villari "Milano è divenuta una grande, forte, laboriosa e
prospera città, la cui popolazione è enormemente cresciuta per la continua immigrazione di gente
che viene d'ogni parte d'Italia a cercarvi lavoro. E così in essa si vanno accumulando tutto lo
scontento, tutti i rancori, tutto l'odio di classe sparso nella Penisola. Il Romagnolo educato alle
cospirazioni ed alle società segrete; il contadino veneto che lascia la sua lurida capanna di paglia e
di fango; il contadino lombardo continuamente minacciato nelle risaie dalla febbre e dalla pellagra;
la giovanetta che lascia in campagna la famiglia, e che già in parte esaltata, sovvertita da idee
socialiste o anche anarchiche, si trova nella città, in mezzo a compagne più di lei esaltate, e
sempre più s'esaltano, s'accendono fra loro nei convegni serali"295
Concordava il fondatore del Corriere della sera Eugenio Torelli Viollier: queste masse analfabete
"non altro hanno capito se non che tutto ciò che i padroni possiedono è tolto agli operai, e che il
giorno della spartizione è prossimo. Anche le campagnole immigrate s'infiammano la sera nei loro
ritrovi con ogni sorta di fantasticherie comunistiche, e si preparano alla gran giornata, imparando la
strategia: andare pacificamente davanti ai combattenti, non mostrare paura dei fucili né della
cavalleria, sedere sui binari delle ferrovie per non lasciar partire i treni"296. La paura che la
gerarchia sociale, i rapporti di proprietà fossero minacciati dai "barabba" che ritenevano venuto "el
dì de spartì" è ben rappresenta dall'episodio dell'industriale Grondona così apostrofato da un
operaio:"L'è vegnuda l'ora che nun lavorem pù, ve toccarà a vialter adess a sgobbaa"297
Il 6 maggio 1898 i poliziotti arrestarono due giovani che distribuivano agli operai usciti dallo
stabilimento Pirelli per consumare il pranzo un manifesto firmato "I socialisti milanesi" in cui erano
denunciate le cause di fondo del rincaro del pane e si raccomandava la calma. La folla di operai
presenti reclamò il rilascio degli arrestati, mentre il sindacalista Dell'Avalle cercava di ricondurre
alla calma.
Alla ripresa del lavoro il grosso rientrò in fabbrica, ma restò fuori dai cancelli una folla di donne e
disoccupati, cui si mescolano anarchici che mantenne viva l'agitazione invitando gli operai ad
abbandonare il lavoro, mentre Rondani venne con Turati a raccomandare la calma, interrotto da
proteste, con la considerazione che non era ancora venuto il momento dello scontro frontale con la
borghesia.
294
ACS, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di PS, Ufficio riservato (1879-1912), b. 4,
fasc. 10, sottofasc. 1, Denuncia dei caporioni del movimento insurrezionale in Milano 19 maggio
1898; Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898); Relazione
Bava;N Colajanni, L'Italia nel 1898: Tumulti e reazione, Milano-Lodi, 1898; E.Caldara, F.Ercole,
A.Cabrini La storia di un delitto, Lugano, [1898?]
295
P.Villari, Scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze, 1902
296
L.Villari, I fatti di Milano del 1898 ”Studi storici”, 1967 n.3, p. 541.
297
L'insurrezione a Milano.Nuovi particolari sulla giornata del 7 maggio.Ciò che si vuole! In
"L'Italia Reale," 9-10 maggio 1898
Quando Rondani annunciò all'uscita delle 18 degli operai della Pirelli il rilascio dell'arrestato e la
soppressione del dazio sul pane, la protesta pareva terminata, ma un gruppo di dimostranti si
scontrò con alcune guardie di PS che ripiegarono inseguite dalla folla verso la caserma e, dopo
essersi barricate, uscirono sparando sui dimostranti mentre giungeva un reparto dell'esercito che a
sua volta aprì il fuoco. Due operai rimasero sul terreno, con quattordici feriti gravi insieme a una
guardia colpita dai commilitoni. I dimostranti issarono i corpi dei compagni morti su una carrozza
tranviaria e attraversarono la città fino al Cimitero monumentale, in una protesta rabbiosa.
La mattina seguente gli operai si presentarono al lavoro, ma la consorteria moderata insediata in
municipio, fece imporre dall’autorità militare la chiusura degli stabilimenti, per spingere i lavoratori
nelle strade e avere così un pretesto per la repressione. Gli operai messi in libertà si ritrovarono
così nelle vie adiacenti le fabbriche a commentare gli avvenimenti e verso le dieci si formò un
corteo imponente di migliaia di persone che si incamminò verso il centro.
Mentre il corteo si avviava verso piazza Duomo, l'autorità politica passò le consegne dell'ordine
pubblico al comandante del corpo d'armata che in un manifesto annunciò la proclamazione dello
stato d'assedio, ma l'apparato repressivo militare era già pronto da tempo. In caso di tumulti era
previsto un coordinamento tra questura e comando militare secondo un preciso disegno strategico:
nella notte del 5, dodici ore prima dell'inizio della protesta, i comandi militari furono informati dal
prefetto della possibilità di dimostrazioni popolari per il giorno seguente, e alle 4 di mattina del 6
maggio Bava comunicò che “ai soldati saranno distribuite cartucce a pallottola. Uscendo oggi, in
servizio di pubblica sicurezza, al comando dato, la truppa farà fuoco. Gli ufficiali e i soldati siano
preparati e ricordino che colui che non obbedisce sarà punito come dal codice penale militare”.298
Per porre riparo alle cariche della cavalleria sorsero barricate improvvisate da gruppi di giovani299,
mentre il grosso dei dimostranti si sparpagliava nelle strade laterali per poi ricomporsi in un
tentativo più volte rinnovato fino a sera di giungere in piazza Duomo. Nuclei di dimostranti
assalirono la caserma dei bersaglieri, entrarono nelle case prospicienti le barricate per bersagliare
i soldati, invasero la stazione per impedire l'arrivo delle truppe mentre i macchinisti
abbandonavano le locomotive per solidarietà.
I militari concentrarono le forze in piazza Duomo e sospesero la circolazione tranviaria per
consentire alla cavalleria un rapido movimento sulle direttrici che tramite i bastioni conducevano in
periferia. Gli uffici pubblici e gran parte dei negozi chiusero, mentre dalle stazioni ferroviarie
borghesi e aristocratici fuggivano per le residenze di campagna.
Alle 23 del 7 ogni scontro cessò. Domenica 8 si registrarono ancora scontri e l'esercito ricorse al
cannone. Restavano come focolai di protesta Porta Garibaldi e Porta Ticinese, dove l'arresto di
studenti sconosciuti nel quartiere fece favoleggiare le gazzette dell'arrivo da Pavia, Bologna,
Padova e Torino di universitari "in bicicletta" (sic!) armati di rivoltelle.
298
ACS, Ministero Interno, Direzione Generale di PS, Uff. riservato (1879-1912), b. 4, fasc.
10, sottofasc. 1, Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898),
relazione Bava; relazione Del Majno; ACS, Ministero Real Casa, Uff. 1. Aiutante di Campo del Re,
Affari generali, 1898, b. 50, fase. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città,
telegramma ministro della guerra al comandante 1. corpo d'armata, 7.5.1898
299
N.Colajanni, L'Italia nel 1898, cit., p. 75-6; P.Valera, La sanguinosa settimana del maggio
'98, cit., p.172-3.
Le truppe estesero l'occupazione fino alla linea delle porte, occupando i sobborghi per impedire
qualsiasi tentativo d'irruzione in città, immaginando bande di saccheggiatori formate da "tutti gli
elementi torbidi delle vicine campagne" muniti di un sacco e di un bastone venuti a Milano per
riempire il sacco dopo aver bastonato i portinai300 mentre la polizia procedeva alla soppressioni dei
giornali di opposizione e all'arresto dei redattori, alle perquisizioni e scioglimenti di circoli e
associazioni, all'incarceramento degli esponenti socialisti e repubblicani.
La giornata di lunedì 9 culminò nel cannoneggiamento del convento dei cappuccini di Porta
Monforte, in cui si trovavano i frati e una quarantina di mendicanti in attesa della ciotola di
minestra.301 Solo il 10 fu autorizzata la riapertura degli stabilimenti industriali.302 Nei giorni
successivi si aggiunse il pattugliamento, ad opera di colonne mobili, nelle zone industriali col
compito di arrestare sobillatori e "promotori di sciopero"
Il bilancio delle giornate del '98, ufficialmente di 80 morti e 450 feriti, si può stimare in alcune
centinaia di civili uccisi e in un migliaio di feriti; per contro il comando militare registrò una guardia
di PS uccisa dal fuoco dei commilitoni e un solo soldato morto, con 22 feriti. Tra i rivoltosi uccisi vi
furono bambini di 3, 9, 12 anni ammazzati in casa o cannoneggiati per aver fischiato i soldati,
donne, vecchi di 60 e 70 anni freddati nell'atto di chiudere porte e finestre. Il Tribunale di guerra di
Milano distribuì 1.435 anni e 8 mesi di galera in 129 processi contro 828 imputati di cui 688
condannati, un terzo dei quali minorenni.
6. Dall'esilio al ritorno nell'Italia giolittiana
Rondani aveva compiuto un primo breve espatrio in Svizzera nel 1894. La sua popolarità tra i
lavoratori delle vallate prealpine lombarde e piemontesi, costretti a emigrare nella vicina
Confederazione, gli fu utile quando, dopo i moti di Milano del maggio ‘98 sfugge alla cattura
saltando dal treno in corsa (mentre Turati e Morgari vengono arrestati) rifugiandosi nella repubblica
elvetica dove svolse opera di propaganda per l’organizzazione sindacale e contro il crumiraggio
come membro della commissione esecutiva dell’Unione socialista di lingua italiana e come
collaboratore del suo organo, “Il Socialista”.
Nonostante l’opera di pacificazione svolta con Turati e Carlo Dell’Avalle durante i moti, venne
condannato in contumacia a sedici anni di reclusione dal Tribunale militare303.
300
La situazione sempre grave a Milano In "Gazzetta del Popolo" 10 maggio 1898; La
giornata di ieri in Italia. La calma ritorna. In "La Stampa" 12 maggio 1898
301
P.Valera cit., pp. 284-346; dello stesso, L'assalto al convento, Milano 1899; L.Villari, I fatti
di Milano del 1898. La testimonianza di Eugenio Torelli Viollier, cit., pp. 545-6.
302
ACS, Ministero Real Casa, Uff. Primo Aiutante di Campo del Re, Affari generali, 1898, b.
50, fasc. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città, telegramma di Rudinì a Bava,
8.5.1898.
303
Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze di uomini d'ordine elvetici e
italiani, si attenne alla versione delle “bande armate” del consolato di Bellinzona, coinvolgendovi
anche il Rondani e il Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a
Lugano. Ved. F.Manzotti I rapporti italo-svizzeri e la crisi italiana del '90, in “Atti...accademia
Lasciata la Svizzera nel settembre 1898, intraprende un giro di otto mesi sotto falso nome, in cui
tiene delle conferenze, comprendente Germania, Danimarca, Svezia. Nel maggio 1899 partecipa
alle conferenze di Amsterdam e Bruxelles, preparatorie del Congresso dell'Internazionale socialista
da svolgersi a Parigi. Trasferitosi in Inghilterra, il 15 giugno si imbarca per gli Stati Uniti sbarcando
a New York il 21, invitato dal Partito Socialista Italiano della Pennsilvania che gli affida la direzione
del “Proletario”, pubblicato a Paterson sotto la direzione di Paolo Mazzoli dal novembre 1896,
cessando la pubblicazione nel 1987. Rondani risollevò le sorti del giornale304 che divenne il più
diffuso settimanale italo-americano, appoggiandolo alla rete delle sezioni del Socialist Labor Party
di Daniel De Leon e inquadrandolo in una prospettiva chiaramente anti-anarchica e unionista.
Dopo l'elezione alla Camera nel collegio di Cossato (Biella) nel luglio 1900 tornò in Italia e,
nonostante avesse subito a Paterson feroci attacchi dei gruppi anarchici, venne coinvolto nelle
indagini per l’assassinio di Umberto I, con il pretesto che vi si era trovato contemporaneamente a
Bresci. Nella veste di deputato socialista svolse interpellanze ed interrogazioni sullo scioglimento
di una pubblica riunione a Quistello (Mantova); sulle proibizioni di comizi a Biella e a Massa
Carrara; sugli espulsi nel Transvaal; sull’afta epizootica, unendosi all’interrogazione di Bissolati,
nazionale di scienze lettere e arti”, 1962) Sulla tentata invasione di bande armate dalla Svizzera, F.
Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Per quanto
riguarda le “bande armate” così Umberto Levra smonta la leggenda (“Il colpo di stato della
borghesia", Milano, 1975): “poco più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a
collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima
del confine intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto, arrestano
gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un
campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale, dai cui finestrini
spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso
dove li consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell'opinione
pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni liberali elvetiche (…) AI Sempione
poche decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti; la
maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi (…)
Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il
14 e il 15 maggio, ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica (…) Gli arrestati, quasi tutti
in età compresa fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordine,
del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono immediatamente deferiti al tribunale militare di
Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si preoccupa, da un
Iato, di "legittimare completamente l'operato della truppa" che ha arrestato i 49 individui e,
dall'altro, di far risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di Milano e la formazione e
marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta
armata ai poteri dello Stato, il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la
denominazione giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi,
sembra che tali fatti non possano non appartenere alla competenza dell'Autorità Militare di Milano
funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento dell'istruttoria quanto pel
giudizio”. Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d'ordine
elvetici e italiani, si atterrà alla versione delle bande armate, coinvolgendovi anche i principali
esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano
304
A. M. Martellone Una little Italy nell'Atene d'America : la comunità italiana di Boston dal
1880 al 1920, Napoli 1973 p.156-7; Id. La questione dell'immigrazione negli Stati Uniti, Bologna,
1980; G. Dore, La democrazia italiana e l'emigrazione in America Brescia, 1964.
per chiedere al ministro dell’Agricoltura un’indennità per quei contadini che dalla legge sanitaria si
trovavano espropriati del loro bestiame colpito, ma nonostante ciò venne attaccato, in quanto
rappresentante di un gruppo parlamentare troppo transigente col governo, dagli ambienti operai
del biellese e dal vecchio compagno emigrante Oreste Mombello.
Continuò i suoi consueti giri di conferenze e nel febbraio 1901 lo troviamo in Puglia. «Parla come
lavora, come si diverte: con poco ordine, ma brillantemente e con intensità», scriveva Morgari
sul!’’Avanti!, in una intervista a Rondani sui suoi viaggi e sul «favoloso» numero di conferenze
tenute, e ne citava la massima: «Evitare i grandi uomini... Regolarsi in modo come se la posterità
non esistesse».
Tiene un comizio a Cossato il 28 maggio 1907 di protesta per la condanna a tre mesi del sindaco
che aveva fatto togliere i crocefissi dalle aule, ma affronta il problema della scuola in modo
pragmatico e non dottrinario anticlericale: “bagni e docce, refezione, aule belle e sane, giardini,
maestri ben pagati“ e polemizza con il nuovo direttore del ”Corriere Biellese” Mario Guarnieri 305
per il taglio anticlericale e antimilitarista impresso al giornale.
Se nell'ambito locale cresce la sua influenza e alle elezioni del maggio 1909 ottiene più del doppio
dei voti dell'avversario (4790 contro 2279), invece declina la sua presenza ai vertici del Partito
nazionale, che lo avevano visto eletto nell’esecutivo con Lazzari, Dell’Avalle, Enrico Bertini e
Garzia Cassola al quarto congresso (Firenze 11-13 luglio 1896), e riconfermato al quinto (Bologna
18-20 settembre 1897) con Bertini e Dell’Avalle, segno di un suo defilarsi dalla lotta per il potere e
anche delle lotte di corrente.
All’8 congresso (Bologna 8-11 aprile 1904) è firmatario della mozione ”“intermedia” o di
centrodestra, con Rigola, Morgari, Cabrini, Reina, Scaramuzzi, Lollini e Sacco. Nel 1910 all’interno
della vasta maggioranza riformista si verifica una divaricazione tra Bissolati e Bonomi da un lato e
Modigliani e Salvemini dall’altro. Con 5 voti contro 4 prevale l’OdG che rispetta l’autonomia del
Gruppo Parlamentare, e Rondani si schiera con la maggioranza del GPS per l’appoggio al
ministero Luzzatto che aveva promesso un allargamento dell’elettorato. Di fronte all’alternativa tra
una riforma parziale ma immediatamente realizzabile e una campagna per il suffragio universale
proposta da Salvemini che rischiava di rimanere testimonianza, si schiera con la prima, benchè
due mesi prima avesse approvato l’OdG Canepa-Salvemini che negava l’appoggio a qualsiasi
governo che non avesse nel programma il suffragio universale. Dietro l’incoerenza apparente c’era
la ricerca delle riforme possibili, cui si aggiungeva la concezione del gruppo dirigente riformista
settentrionale dubbioso della maturità rispetto al voto della popolazione meridionale.
Alla riunione del GPS del 7 aprile 1911 sul caso Bissolati si schiera coi destri, frenato nell'adesione
alla loro linea perchè non condivideva l’intento di dissolvere il PSI in un Partito del lavoro.
Interviene per l'ultima volta a un congresso nazionale a Reggio Emilia (7-10 luglio 1912) dove è
relatore con Montemartini sull’attività del GPS, ed emblematicamente, col passaggio della guida
del Partito dai riformisti agli “intransigenti”, resta testimone di un'altra epoca, anche se sarà rieletto
nel 1913 e resterà fedele militante del socialismo fino all'ultimo.
7. “Ispettore “ dell'emigrazione
305
Fu successivamente chiamato da Buozzi per collaborare nel sindacato; durante il regime
e nel dopoguerra si estraniò dalla politica attiva
Il fenomeno dell’emigrazione assunse in Italia caratteri di massa nel decennio 1880-90 per la crisi
agraria innescata dall’arrivo del grano americano, divenuto competitivo sui mercati europei con
l'introduzione della navigazione a vapore, e perdurò per la diffusa povertà di vaste zone dell’Italia
fino alla grande guerra.
Il primo provvedimento dello Stato in merito fu nel 1888 la legge n. 5877 del governo Crispi; con la
legge n. 23 del 1901 fu poi istituito il Commissariato Generale dell’emigrazione, che si interessò
prevalentemente a quella transoceanica.
Nel 1900 nasce con origine e finalità religiose306 l’ ”Opera di assistenza degli operai emigranti
italiani in Europa e nel levante” (nota come Opera Bonomelli dal nome del vescovo di Cremona
che la patrocinò). Lo stesso anno al sesto congresso del Partito Socialista (Roma 8-11 settembre)
l’11. punto dell’OdG riguarda l’emigrazione e Rondani, propagandista tra i lavoratori italiani in
Svizzera e in America negli anni dell’esilio, ne è il relatore con Cabrini e Majno. 307
Gli emigranti partivano ignorando lingua, costumi, leggi, tariffe, affidandosi a speculatori o
“caporali”: da ciò violazioni del contratto del lavoro, speculazioni sugli alloggi e i viveri, premi di
assicurazione pagati dagli operai anziché dall’imprenditore e la frequente perdita dell’ indennità di
infortunio, poiché l’operaio non poteva fermarsi fino alla conclusione di lunghe pratiche.
Inoltre. nel settore edilizio vari scioperi in Svizzera e Germania si erano conclusi con un
insuccesso a causa dell’intervento di crumiri italiani. L’intervento in favore dell’emigrazione italiana
non era quindi dettato solo da motivi umanitari ma anche da un impegno di solidarietà verso il
movimento operaio europeo, con cui quello italiano poteva conservare i rapporti solo adoperandosi
a debellare il crumiraggio.
Per l’emigrazione temporanea in Europa le statistiche ufficiali davano la cifra di 222.725 308 unità
nel 1902. Si trattava di un fenomeno in espansione, visto come positivo perché creava ricchezza e
diminuiva la disoccupazione309 senza privare il paese di energie come invece accadeva per
l’emigrazione permanente. I socialisti erano persuasi che non si poteva arrestare il fenomeno, ma
306 P.Borzomati Giovanni Battista Scalabrini: il vescovo degli emarginati, Soveria, 1997; Centro
studi emigrazione La societa italiana di fronte alle prime migrazioni di massa: il contributo di mons.
Scalabrini e dei suoi collaboratori alla tutela degli emigranti, Roma 1968; S.Tomasi, Scalabriniani e
mondo cattolico di fronte all’emigrazione italiana (1880-1940) in “Gli italiani fuori d’Italia”, Milano,
1983; G.Rosoli, L’emigrazione italiana in Europa e l’Opera Bonomelli (1900-1914), ibid.
307
Pedone I congressi del PSI, cit.
308
“Bollettino dell'emigrazione”, n. 8, 1903. Ma secondo Schiavi tali cifre andavano più che
raddoppiate. Cfr. F. Assante Il movimento migratorio italiano dall’Unita nazionale ai giorni nostri
1978
309
perchè “i lavori che offre il mercato dell'Europa continentale diventano come una fonte di
reddito fisso e sul quale si fa conto, per una grande massa della nostra classe lavoratrice, così
che, un fenomeno determinato da condizioni anormali, tende a diventare normale ed a entrare
come fatto ordinario nella vita della nazione". G. Montemartini in Resoconto del 2. Congresso
dell'Emigrazione temporanea tenutosi in Milano nei giorni 13 e 14 gennaio 1907 promosso dalla
«Società Umanitaria», Milano, 1907
si poteva disciplinarlo per farne un fattore di emancipazione e di progresso sociale e civile310.
Poiché il Commissariato Generale dell’emigrazione si occupava quasi esclusivamente di quella
transoceanica, a sopperire alla mancanza di un’organica iniziativa dello Stato in materia di
emigrazione temporanea continentale (in Francia, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Austria),
sorgono i Segretariati per l’assistenza all’emigrazione311 nelle località in cui era particolarmente
rilevante, primo fra tutti nel 1990 quello di Udine312 fondato da Giovanni Cosattini,313
I Segretariati e sindacati di categoria come la “Federazione dell’edilizia” proposero di costituire un
ufficio di coordinamento da affidare all’Umanitaria314, coinvolgendo studiosi e organizzatori del
mondo socialista: Dino Rondani, Giovanni Montemartini, Angiolo Cabrini, Antonio Vergnanini,
Felice Quaglino, Augusto Osimo, Alessandro Schiavi. Al 1. congresso nazionale dell’emigrazione
temporanea, svoltosi il 22-23 settembre 1903, Osimo a nome dell’Umanitaria presentò il progetto
di un Ufficio fondato sulle organizzazioni professionali locali e sui Segretariati invece che su
personale stipendiato e della ricerca del concorso finanziario di altri enti e di un’intesa col Regio
Commissariato dell’emigrazione.
Lo statuto fissava come scopo l'istituzione di uffici per l’emigrazione temporanea in Europa nei
paesi da cui partiva l’emigrazione e in quelli verso cui era diretta, ma si puntò anche sulla
propaganda da svolgere all’interno per far conoscere le condizioni di lavoro e la legislazione
sociale dei paesi di destinazione e per informarli della situazione del mercato del lavoro, onde
evitare i luoghi in cui erano in corso scioperi dei lavoratori, ciò che implicava accordi con le
organizzazioni operaie dei paesi europei.
Alla fine del 1903 il servizio in via sperimentale fu affidato all’Ufficio del lavoro dell'Umanitaria
diretto da Alessandro Schiavi, che, disponendo di una somma appositamente stanziata, si valse
dell’opera degli ispettori viaggiatori dell’Ufficio del lavoro Ernesto Piemonte, O.Schiassi, Nino
Mazzoni, A.Toscani, M.Todeschini, A.Rivolta e Dino Rondani. Mentre Felice Quaglino, segretario
della Federazione dell’edilizia, già aveva iniziato un’azione basata sulle campagne invernali
310 Era l'opinione dei socialisti, espressa nell' OdG votato al congresso di Firenze, che
riprendeva la mozione Ellenbogen al congresso di Stoccarda del 1907 dell'Internazionale (10.
congresso nazionale del PSI, Firenze, 19-22 settembre 1908. Il Partito Socialista Italiano e la
politica dell'emigrazione. Angiolo Cabrini relatore. Roma. 1908).
311 D.Franchetti "Il segretariato di emigrazione della CdL di Varese. (1904-1924)" In
"Emigrazione e territorio", Varese, 1999; P.Corti "Il segretariato biellese dell'emigrazione. Strutture
organizzative, tradizione migratoria, spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte
dell'Ottocento", Milano, 1995
312
L'opera della Società Umanitaria dalla sua fondazione ad oggi, I. maggio 1906, Milano,
1906, pp. 49-51. La provincia di Udine era alla testa dell'emigrazione temporanea. Secondo stime
ufficiali nel 1902 aveva dato 45.125 emigranti temporanei, su un totale di 222.725 (“Bollettino della
emigrazione”, n. 8. 1903).
313
P. Alatri Giovanni Cosattini (1878-1954) : una vita per il socialismo e la libertà, Udine, 1994
314
M. Punzo La Società' Umanitaria e l'emigrazione. dagli inizi del secolo alla prima guerra
mondiale, in A.Riosa “Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo”, Milano, 1981
nell’Ossola e lago Maggiore, nell’inverno tra il 1903 ed il 1904 furono visitati il Friuli e le provincie
di Sondrio, Belluno, Padova, Parma, Bologna, Rovigo, Mantova.
Il Consorzio tra l’Umanitaria, le province di Reggio Emilia, di Mantova (entrambe amministrate dai
socialisti) e di Sondrio e i Segretariati per l’emigrazione venne istituito il 23 settembre 1904 presso
l’Umanitaria per un periodo di cinque anni, diretto da un consiglio di nove membri315 Dino Rondani
coadiuvato da Benedetto Giani fu assunto dal Consorzio che gli affidò come compito principale le
ispezioni all’estero. I compiti degli ispettori, il cui numero era limitato a causa del bilancio di 15.000
lire annuali, erano immensi: in Italia avrebbero visitato durante l’inverno i centri di emigrazione per
assumere le necessarie informazioni sul presunto esodo della stagione estiva e sulla sua
destinazione316, diffondere notizie, fornire gli indirizzi delle persone e delle organizzazioni cui fare
riferimento nelle varie località, adoperarsi per l’istituzione di scuole popolari e di scuole
professionali, cercare di fondare nuovi segretariati. All’estero avrebbero dovuto occuparsi del
collocamento e della tutela degli emigranti, assumendone anche il patrocinio
Cabrini però riteneva che l’azione dovesse basarsi sulla rete di segretariati in Italia e di organismi
analoghi all’estero e insisteva che «Il lavoro che si compie all’estero, forzatamente slegato, incerto,
insufficiente, non vale quello compiuto nella stagione invernale, quando gli emigranti son tornati
alle proprie case», consigliava di collaborare con le organizzazioni tedesche e proponeva che
sull’azione del Consorzio vigilasse il Segretariato nazionale della resistenza (dal 1906
Confederazione generale del lavoro CgdL) 317 Sull’idea che l’azione del Consorzio dovesse basarsi
«sul perno dell’organizzazione operaia» concordavano sia il presidente Giovanni Montemartini sia
Alessandro Schiavi, che ne aveva avviato il funzionamento.
Il lavoro del Consorzio rivolto all’estero, iniziato con la corrispondenza con le organizzazioni
operaie svizzere, austriache, tedesche, proseguì nell’estate del 1904 con i viaggi di Cabrini in
Germania, di Rivolta in Francia in Svizzera e di Rondani in Lussemburgo e in Germania, che
consentirono di delineare una mappa dei problemi dell’emigrazione temporanea nei diversi paesi e
di individuare gli interlocutori: erano pronti a collaborare i sindacati svizzeri, tedeschi e austriaci, a
patto che parte italiana vi fosse l’impegno di favorire l’iscrizione alle federazioni di mestiere ma
in Francia non fu possibile stabilire accordi con la Federazione delle borse del lavoro di Parigi.
Erano state previste due agenzie sul confine italo-svizzero e due su quello svizzero-tedesco, con
funzione sia di patronato che di statistica, per individuare i luoghi di destinazione; esse furono
istituite a Basilea (gestito dalla comunità italiana), a Chiasso (affidato alla Camera del lavoro di
315
Comprendeva Giovanni Montemartini (presidente) Angiolo Cabrini ed era affiancato da un
comitato in cui erano rappresentate le organizzazioni professionali. di cui facevano parte Cosattini
e Quaglino. Le province aderenti passarono da 3 a 11 ma il loro contributo fu assai scarso a
confronto dell’impegno finanziario dell’Umanitaria.
316
Scrivendo a Rondani, che in quel momento si dedicava alla propaganda invernale in Italia,
Schiavi sottolineava l'importanza delle statistiche: «A me poi occorre avere per ogni centro che
visiterai una inchiesta sommaria del numero degli emigranti abitualmente ogni anno, sul mestiere
che fanno in patria e relativo salario, sul paese dove emigrano mestiere che vanno a fare, salario
che percepiscono e pericoli che ordinariamente incontrano (Archivio Società Umanitaria (da ora
ASU), f. 2 e., lettera in data 8.12.1903).
317
ASU, b. E XXVI11-3. f. 764. Seduta del Consorzio dell' 8 settembre 1904.
Lugano), a Losanna (curato dalla “Federazione muraria di lingua italiana” che assunse una grande
importanza per l’apertura del Sempione), e a Bellinzona. La funzione degli uffici di confine era di
aiuto agli emigranti nelle pratiche ferroviarie, facendo loro ottenere le tariffe preferenziali cui
avevano diritto, fornendo loro informazioni e in qualche caso fungeva da ufficio di collocamento,
suscitando le diffidenze degli organizzatori operai.
Nel 1906 col contributo del comune di Milano cominciò a funzionare presso la stazione centrale la
Casa degli emigranti che offriva un ricovero gratuito, cucina, informazioni sugli itinerari e i mercati
del lavoro con una media annua di 40-50 mila passaggi,, con punte di 90.000 nel 1911.
A Fontaneto d’Agogna (Novara) fu organizzato un Congresso dell’emigrazione il 1 gennaio 1907,
presieduto da Dino Rondani. Si discusse della partecipazione degli emigranti alle elezioni invernali,
degli uffici di confine, dell’adesione alle organizzazioni economiche all’estero e dell’emigrazione
interna. Il Congresso collegiale socialista di Borgomanero espresse voti per l’istituzione di un
Segretariato d’emigrazione in collaborazione con l’Umanitaria e, nello stesso anno, sorse ad Arona
il Segretariato d’emigrazione per il Lago Maggiore,
L’Umanitaria all’inizio del 1906 costituì il Segretariato per l’emigrazione interna, per il collocamento
e l’assistenza dei lavoratori dei campi durante i mesi di sosta dell’emigrazione europea, e
nell’ottobre coordinò tra loro le attività dell’Ufficio dell’emigrazione interna, del Consorzio per
l’emigrazione temporanea in Europa e dell’Ufficio di collocamento gestito assieme alla Camera del
lavoro, affidandone la supervisione ad Angelo Cabrini.
Rondani veniva a trovarsi in una posizione delicata, poiché l’Umanitaria assumeva di fatto la
direzione del Consorzio e Cabrini nella primavera del 1907 preparò un progetto318 che ne
prevedeva lo scioglimento. I segretariati dell’emigrazione sarebbero passati al nuovo ufficio per
diventare «una delle tante branche», con questi obiettivi: “Azione netta precisa concreta. Cardine
dell’azione stessa sia questo concetto: l’Ufficio sorge a integrare l’azione delle organizzazioni
proletarie in quella parte che riguarda l’emigrazione temporanea in Europa. L’Ufficio non deve
pretendere di sostituirsi alla divina provvidenza per ridursi a sfarfalleggiare su mille questioni
diverse e non esaminarne alcuna ... Le funzioni di «Croce Rossa» si lasci ad altri Istituti: è al
mercato del lavoro che si deve tendere lo sguardo e dirigere l’opera. L’asilo-ricovero, la riduzione
ferroviaria, l’assistenza infortuni siano funzioni accessorie: l’Ufficio si applichi a disciplinare il
collocamento insieme con le organizzazioni di mestiere; a rimuovere le cause del crumiraggio;
agevolare alle organizzazioni di mestiere la stipulazione di convenzioni internazionali; a
promuovere nei diversi Stati accordi legislativi favorevoli agli emigranti”.
L’ufficio di Milano compilò guide dei singoli paesi e un servizio di informazione sulle offerte di
lavoro e sulle condizioni di vita delle singole località.
Il 19 luglio 1907 Cabrini, Della Torre, Osimo, Pagliari, Schiavi e Samoggia decidevano, d’accordo
con l’Umanitaria, di procedere allo scioglimento del Consorzio. Il Direttivo il 30 luglio 1907 della
CGdL espresse parere favorevole e il 17 settembre era ratificava la decisione.
Mentre si procedeva alla chiusura degli uffici di confine319, si svolse un’indagine. Rondani veniva
318
ASU b. E XIV 1. f. Interrogatori a Milano, Reggio, Udine ecc. Rondani, Cabrini, Schiavi,
Pagliari, Ciani, Mazzoni, Quaglino, Vergnanini, Cosattini, relazione e proposta di Cabrini.
319
Continuarono a funzionare l'ufficio di Chiasso e la Casa degli emigranti di Milano. Nel
novembre 1908 venne aperto anche un ufficio a Pontebba dal Segretariato di Udine.
accusato di privilegiare le funzioni ispettive a scapito di quelle direttive320 del Consorzio. I
corrispondenti di Berna e di Basilea lo accusarono di avere svolto con le sue ispezioni un lavoro
inconcludente, secondo quelli di Berna sarebbe stato meglio istituire nei centri principali della
Svizzera degli uffici con personale fisso, ciò avrebbe permesso di affrontare con maggiore serietà
anche il collocamento, che veniva considerato la funzione più difficile. Da un altro lato giungeva
l'accusa di Serrati di interventi assistenziali non classisti e dell'assenza degli emigranti al
convegno organizzato dalla Camera del Lavoro con l’Umanitaria. Per Rondani queste parole
sono il frutto di un temperamento critico e ingiusto, che lo portava “a commettere delle azioni che
per un nemico sarebbero delle bricconate letterari e per un amico delle bricconate autentiche”321
Rondani protestò per il licenziamento da direttore ma accettò di collaborare svolgendo il compito,
per cui veniva ritenuto più adatto, di ispettore322 e l’Ufficio dell’emigrazione dell’Umanitaria, sotto la
direzione di Osimo e di Cabrini323, proseguì il lavoro in precedenza svolto dal Consorzio senza
spezzarne la continuità. 324
Le ispezioni di Rondani costituirono nel corso del 1908 e 1909 un’attività fondamentale del nuovo
ufficio.325 Il loro scopo doveva essere quello di organizzare in Italia uffici e segretariati per
l’emigrazione e il collocamento dei contadini, in collaborazione con l’Ufficio agrario, cooperando al
buon andamento ed all’incremento degli uffici e dei segretariati già esistenti. Gli ispettori dovevano
anche effettuare visite, sia in Italia sia all’estero, per importanti collocamenti di mano d’opera e per
assumere notizie dirette sulle condizioni del mercato del lavoro. Non vi era quindi, a parte la
collaborazione tra i vari uffici dell’Umanitaria che si occupavano di collocamento, nessuna
sostanziale novità rispetto alle linee generali di azione del Consorzio, segno che una volta
eliminata la causa che ne aveva inceppato lo sviluppo, la sua opera veniva considerata nel
complesso positiva.
L’esperienza del Consorzio aveva consigliato di porre limiti precisi ai poteri d’intervento degli
ispettori e di assicurare con una specificazione dei compiti l’organizzazione del servizio, al cui
funzionamento doveva provvedere la Direzione cui spettava assegnare le zone di lavoro agli
ispettori, che dovevano inviare giornalmente un rapporto dettagliato, la corrispondenza e le
trattative con l’estero. Un accordo sulle competenze fu raggiunto l’11ottobre 1908 a Torino tra il
Direttivo della CgdL, i Segretariati laici dell’emigrazione e l’Umanitaria, stabilendo “spettare alla
320
ASU, b. E XXVI11-3 f. 764, seduta del Consorzio del 12 gennaio 1907.
321
D. Rondani, in ” L’Avvertire del lavoratore”, Lugano, 19.1.1907
322
ASU, b. E XIV-1, f. 1040, lettera di Rondani del 16 novembre al presidente dell'Umanitaria
323
Nel novembre 1906 Cabrini si era dimesso dal CdA del Consorzio, in seguito all'incarico
affidategli dal consiglio dell'Umanitaria «per lo sviluppo dell'assistenza all'emigrazione per l'interno
e l'estero»
324
Sull'ordinamento del nuovo ufficio, L'Umanitaria e la sua opera, p. 90; Note illustrative del
Bilancio preventivo per l'esercizio 1908, s.d., « II nuovo ordinamento dei servizi di emigrazione ».
325
08
In ASU, b. E XIV-2 sono contenute le relazioni delle ispezioni di Rondani e altri nel 1907-
CgdL e alle federazioni nazionali di mestiere la direzione della politica sindacale dell’emigrazione
(organizzazione, tariffe, convenzioni internazionali, ecc.) e agli uffici e segretariati degli emigranti
quell’opera di assistenza che si estrinseca con iniziative di istruzione popolare, di patrocinio legale,
di rilievi statistici. Tali uffici e segretariati devono peraltro integrare l’azione dei sindacati di mestiere
anche nel campo dell’organizzazione di classe, procedendo però sempre d’accordo con la
Confederazione generale del lavoro e le federazioni interessate”.
Questa formulazione rigida del principio di non scavalcare i sindacati concedeva in effetti ai
segretariati e all’Umanitaria un margine di iniziativa una volta che si fossero dichiarati ligi alle loro
direttive e in questo modo fu possibile che il collocamento, su cui la Federterra si era espressa in
termini rigidi,326 divenisse poi il campo di un'iniziativa dell’ Ufficio emigrazione327, in collaborazione
con il settore cooperativo328.
Al 3. Convegno degli uffici e segretariati dell’emigrazione329 l’Ufficio centrale poteva mostrare di
aver superato il periodo iniziale della propria attività e di attraversare una fase di ulteriore
espansione: erano ormai in funzione 21 tra segretariati e uffici locali dell’emigrazione, mentre si
infittiva la rete dei corrispondenti all’estero330. Grande era anche la mole del lavoro di assistenza
per infortunio, collocamento, vertenza coi padroni per salari, maltrattamenti e altre eventualità e
per la compilazione di pratiche per cui vi era bisogno di un interprete331. A questo si aggiungeva il
costante sforzo per costituire biblioteche per emigranti332 e quello per una legislazione a favore
dell’emigrazione, per la quale si prodigò soprattutto Cabrini. Per sviluppare questo settore nel
1909 Cabrini fondò un ufficio romano per l’azione parlamentare e legislativa333. I segretariati
326
3.Congresso nazionale lavoratori della terra, Reggio Emilia, 7-8-9 marzo 1908. I problemi
dell'emigrazione e i lavoratori della terra. Angiolo Cabrini, relatore per l'Ufficio dell'Emigrazione
dell'Umanitaria, Milano, 1908.
327
Società Umanitaria. Ufficio di emigrazione, IV Convegno annuale dei segretariati laici di
emigrazione, Milano, 24 febbraio !911. Verbale del convegno e relazioni sommarie dei Segretariati
aderenti per l'anno 1910, Milano, 1911, Relazione di Vaiar, pp. 17-19.
328
ASU. b. XIV 17, f. 548, lettera di Cabrini e C. De Michelis, regio addetto dell'emigrazione
italiana in Svizzera, in data 15 ottobre 1908; f. 1038, pratiche di intesa colla Lega nazionale delle
cooperative di Milano per un servizio di ispezione alle cooperative di consumo italiane in Svizzera.
329
Società umanitaria. Ufficio dell'emigrazione, L'assistenza laica dell'Emigrazione
temporanea in Italia e all' estero. Relazioni al 3. convegno degli Uffici e Segretariati
dell'Emigrazione, Milano 15,11.1909, Udine, 1910.
330
ASU, b. E XIV-7 e 12.
331
ASU, b. XIII 1.
332
Già il Consorzio aveva istituito le biblioteche per gli emigranti “Edmondo De Amicis”,
finanziate con il concorso del regio commissariato dell'emigrazione (L'Umanitaria e la sua opera,
cit., p. 91).
laici dell’emigrazione continuavano a svilupparsi334 anche nel Sud. La propaganda invernale, fulcro
dell’attività dell’Ufficio, stava dando buoni risultati: gli italiani avevano finalmente perso la fama di
crumiri, di cinesi d’Europa e di rompi-sciopero.
9. Tra impresa libica, grande guerra, dopoguerra
L'impresa libica ebbe gravi ricadute sul socialismo italiano che al congresso di Reggio Emilia del
1912 espulse dal partito i riformisti di destra filotripolini, mentre i riformisti di centro (Turati) e di
sinistra (Modigliani) furono colti di sorpresa e spiazzati da questa svolta della politica giolittiana che
bloccava il loro avvicinamento al presidente del consiglio e finirono per adottare l'impostazione
salveminiana e liberista dell'antitripolismo, che proponeva un criterio differenziato nella valutazione
del colonialismo in rapporto al modello liberoscambista inglese, e sulla stampa e nei comizi
usarono le accuse di «tradimento» e «ingiustificata pazzia». Solo la frazione intransigente si
oppose all'impresa libica rivendicando la concezione dottrinaria del socialismo.
Prima del congresso la guerra aveva provocato una momentanea scissione nel Gruppo
Parlamentare (GPS) nel febbraio con la contrapposizione di due linee: mentre Pescetti proponeva
di prendere la parola alla Camera per esprimere l’omaggio ai caduti, Turati sosteneva che si
dovesse essere presenti senza però partecipare alla cerimonia di omaggio, e il suo OdG venne
votato da Rondani, che votò anche, a differenza del resto del Gruppo Parlamentare, l'annessione
della Tripolitania e della Cirenaica al Regno d'Italia.335
Con lo scoppio del conflitto mondiale la sua fedeltà al riformismo turatiano, sorretta dal legame con
il movimento dei lavoratori socialisti, gli impedì le ambiguità interventiste del deputato socialista di
Santhià Umberto Savio. Il suo impegno politico fu particolarmente rivolto ai doveri elettorali ed agli
incarichi di natura sociale svolti per l’Umanitaria, e rivolti all’assistenza ai disoccupati e, a guerra
finita, al rimpatrio dei profughi e dei prigionieri.
Dopo la guerra fu rieletto alla Camera dei deputati nel 1919 e 1921 non più per il collegio
uninominale di Cossato ma, nelle prime elezioni a suffragio universale maschile con il sistema
proporzionale, per il collegio della provincia di Novara.
Nel febbraio 1920 si recò in Calabria presso la Lega di S.Giovanni in Fiore336 per verificare
333
Relazioni di Cabrini al IV (op. cit.. pp. 23-36) e al V congresso: Società umanitaria, Ufficio
di emigrazione, V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, Milano 3-4 dicembre
1911. Verbali del Convegno e relazioni annuali dei Segretariati aderenti, Milano, 1912, pp. 29-32
334
IV Convegno nazionale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 3-23; V Convegno
annuale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 16-27; 40-49;64-65. ASU, b. R 111 1 f. 1912,
VI convegno dei segretariati laici dell'emigrazione, Milano, 4-6 dicembre 1912; b. R III 2, f. 1914.
deliberazioni del VII convegno dei segretariati laici di assistenza agli emigrati (Milano, 20-21-22
dicembre 1913); b. R IV 1, f. 1914, relazione al regio commissario per l'emigrazione sull'attività
svolta nel 1913, in data 14 maggio 1914.
335
"perchè leggero" secondo Turati. Carteggio T.-Kuliscioff, Vol.3, p.680 e
336
“Corriere Biellese” 24.2.1920
703.
l’applicazione del decreto Visocchi337 a marzo in Svizzera per i renitenti e disertori lì rifugiati, poi a
Trento e di nuovo a maggio in Sicilia e Calabria
Fece parte della delegazione del PSI al II Congresso dell’Internazionale comunista (Mosca, luglio
1920) come rappresentante del gruppo parlamentare, ma la sua voce nei dibattiti interni del partito
risuonava sempre meno: partecipò senza intervenire ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919),
Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922). Al congresso di Milano aderisce alla mozione
intermedia (tra Serrati e Turati) di Cesare Alessandri, a quello di Roma vota la mozione riformista
aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la
dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri. Fa parte
con altri sei (Caldara, ecc.) della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che
sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all’indomani dell’attentato Zaniboni.
10. Esilio a Nizza
Il fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre 1926, attribuito al giovane Anteo
Zamboni, fu utilizzato per deliberare il 5 novembre la soppressione dei giornali antifascisti, lo
scioglimento dei partiti, l’istituzione del confino di polizia e del Tribunale speciale per i reati contro il
regime338. Come in occasione dei fatti del ‘98, quando era riuscito al espatriare in Svizzera prima
dell’arresto saltando da un treno in corsa, così ora evitò il confino inflitto a tutti gli antifascisti noti
grazie alle sue doti di prudenza e preveggenza. Ad ottobre aveva richiesto un passaporto per
Londra come esportatore e giusto in tempo prima dell'introduzione delle leggi eccezionali,
evitando l’espatrio clandestino cui dovette ricorrere Turati, riparò a Nizza, dove con Baldini, Turati,
Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collaborò alla ricostruzione del Partito socialista unitario
del lavoratori italiani (PSULI).
Il PSULI ha un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti e dispone di tre sezioni (Parigi,
Tolosa e Lione) contro le sette massimaliste, ma poteva contare su dirigenti di notorietà
internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni
dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti della
ricostituita CgdL. Collabora, oltre che a ""Rinascita socialista" al «Corriere degli Italiani», fondato
da ""popolare" Luigi Donati.
Già nel 1927 divenne presidente per la regione delle Alpi marittime (Nizza) della ""Lega italiana dei
diritti dell'uomo" (Lidu)339 fondata da Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris, entrando quindi nella
Concentrazione antifascista che, con il suo programma di propaganda e di assistenza, le sue radici
liberal-massoniche, i suoi legami con Turati, Treves e Modigliani sembrava ricostituire l'ambiente
della sua giovinezza di propagandista viaggiante e di esule politico: raccolta di sottoscrizioni per i
giornali antifascisti, conferenze e feste familiari per il 1. maggio, per commemorare Garibaldi o
Matteotti, aiuto ai connazionali e contemporaneamente una serie svariata di contatti e incontri dal
337
Decreto Visocchi (2 settembre 1919) sulle concessioni di terreni incolti a cooperative da
parte dei prefetti.
338
C.Longhitano, Il Tribunale di Mussolini: storia del Tribunale Speciale 1926-1943 1994;
A.Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1978
339
Dove è attestata una sua conferenza il 24 giugno 1927
1927 al 1930 soprattutto con gli ambienti inglesi del Labour Party e del gabinetto di Ramsay Mac
Donald, ma anche con il duca di Canterbury zio del re d'Inghilterra che villeggiava a St. Jean Cap
Ferrat.
Nel 1927, organizzò con il giovane Sandro Pertini, a Nizza, un ufficio di assistenza legale per gli
emigrati e, insieme a Francesco Cicciotti, fu difensore dello stesso Pertini nel processo del 1929
per la radio clandestina.
Fece parte del ""Comitato per l'azione in Italia" costituito nel 1928, e nel 1929 della ""Commissione
per la propaganda in Italia", presiedute entrambe da De Ambris.
E' delegato della sezione di Nizza al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio
1930, che è anche il congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala
guidata da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) (segretario politico
Ugo Coccia).
Si occupò con alterna fortuna in traffici commerciali che, come membro dell’Alleanza cooperativa
internazionale, agli inizi della stagione calda lo portavano regolarmente nel nord dell'Europa e in
particolare a Londra.
Vera Modigliani ne tracciò questo ritratto: Se il suo fisico vi si prestasse, se fosse, cioè, più alto e
meno rotondetto, potrebbe passare per il «gentleman» inglese di cui ha tutto il modo di fare.
Vissuto a lungo in Inghilterra (è, come Bocconi; un veterano dell’esilio: era già stato profugo nel
‘98) trova che tutto ciò che è inglese è buono e bello. Elegante, inappuntabile, per un difetto della
vista porta spesso la caramella all’occhio, si ostina – e ci riesce! - a non voler invecchiare. Porta
con disinvoltura la sua calvizie ed i suoi capelli grigi; sempre perfettamente raso, tiene appena due
baffetti tagliati con arte sapiente. È un igienista: adora i frutti, i fiori, le lunghe camminate per le
strade di montagna. Vive bene nel clima di Nizza non si è lasciato adescare da Parigi e fa vivere
bene quelli che gli stanno intorno perché, non sprovvisto di mezzi, è generoso e buono. E siccome
è anche in buona salute, si mantiene speranzoso e studia e fa studiare i problemi della
ricostruzione italiana nel dopo fascismo e dopo guerra nella luce del proprio ottimismo” 340
Dal 1931, dopo la proclamazione della Repubblica in Spagna, gli esuli italiani guardavano a
Madrid, e molti vi si erano trasferiti, da Rosselli, Bassanesi, De Rosa, Tarchiani, al repubblicano
Natoli, allo stesso Rondani 341
Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un'accelerazione: in Germania arriva al potere Hitler
e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello
scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d'azione
con i comunisti e dell'impegno in Spagna. Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità
per diventare oggetto di discussione.
Al 22. Congresso, tenuto a Marsiglia nell'aprile 1933 non è presente ma invia un telegramma di
adesione da Barcellona.
Nel 1934, dopo il patto d'unità d’azione con i comunisti, quando si accende il dibattito sul pacifismo
socialista, fa sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per la sua stessa natura
340
Vera Modiglioni: Esilio. Milano, 1946 pag. 159-60
341
E.Santarelli, Pietro Nenni, Torino, 1988, pag. 182
sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e propugna il «disfattismo rivoluzionario»
da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.
Al 23. congresso, tenuto a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937 è delegato, con Filippo Amedeo e
Saragat, della Federazione del Sudest e Centro che conta più di 50 sezioni. Presenta un OdG con
Pedrono che dice ""il congresso invita la Direzione a nominare un Comitato che prepari i materiali
teorici e tecnici per lo studio dei problemi italiani e internazionali. Ed a pubblicare su questi
problemi una serie di opuscoli per orientare il lavoro intellettuale del partito" 342
Amareggiato dalle discordie che dividevano i fuorusciti antifascisti, dopo il 1937, rallentò la sua
attività: lasciò la Lidu per diventare presidente della sezione di Nizza della Unione popolare
italiana, a cui aveva aderito anche Campolonghi.
Alla fine del 1939 la direzione socialista emana un documento343, stilato da Tasca, in cui l’URSS e i
regimi fascisti sono accomunati dallo stesso carattere totalitario e dice Morgari in un suo
documento 344 che la politica socialista è perciò compatibile con l’alleanza anglo-francese ma
esclude per ciò stesso i comunisti dal campo antifascista.
Nel 1940 quando il regime di Vichy sciolse d’autorità le autorizzazioni politiche, era segretario della
sezione socialista di Nizza.
Ha 73 anni quando, il 7 dicembre 1940, spinto dalla sua compagna Dorina Segala si reca dal
commissario di P.S. Baranco, fa atto di sottomissione al regime e chiede di poter rientrare in Italia.,
ma non attua questo proposito:“Prudentissimo ma dignitoso nel riaffermare i suoi ideali socialisti”
lo ricordava Giorgio Amendola345 che lo conobbe a Nizza nel 1942.
In risposta allo sbarco anglo-americano nell’Africa settentrionale, Hitler abolisce lo stato fantoccio
di Vichy e lo occupa militarmente. Gli oppositori del fascismo vengono arrestati e consegnati alla
polizia italiana. Con la medesima dignità attraversò alla fine dello stesso anno, settantacinquenne
e semicieco, la durissima e umiliante prova della estradizione nell’Italia fascista, degli interrogatori,
delle minacce, del carcere, del domicilio coatto. E’ catturato il 29 novembre di quell’anno; dopo 18
giorni nel carcere di Mentone è trasferito a Forlì dove, semicieco, scrive una domanda di grazia a
Mussolini, senza pronunziare mortificanti abiure. Viene scarcerato il 27 dicembre con obbligo di
residenza a Milano presso una parente. Dopo la caduta del regime, nel luglio 1943, si trasferisce a
Villaguardia (CO) e poi in una casa di cura di Como, sotto sorveglianza. Dimesso a febbraio
riprende l’attività clandestina ed è arrestato a marzo e si salva dalla deportazione in Germania,
liberato fortunosamente il 25 aprile.
342
Pedone, cit., vol 4, pag. 151
343
Il PSI e la situazione internazionale, “Il nuovo Avanti”, 23.12.1939 e “Libera stampa”, 2 e
4.1.1940
344
O.M., Criteri realisti di una politica dell'antifascismo italiano”, cit. in L.Rapone, Da Turati a
Nenni, pag.282
345
G.Amendola, Lettere a Milano, Roma, 1973, pp 66
12 Nel secondo dopoguerra (1945-1951)
Espatriato da Biella nell’ottobre 1926, poco prima che fossero emanate le leggi eccezionali, vi
ritorna dopo un ventennio e si inserisce nella attività del Partito tenendo conferenze con Ernesto
Carpano e Virgilio Luisetti in occasione delle elezioni per la Costituente. Torna poi però a Nizza,
dove era stato nominato commissario per le opere assistenziali del Consolato italiano346 e dove
presiede la “Società amici della Francia”
E’ presente comunque al congresso straordinario del PSI tenuto a Genova dal 27 giugno al 1°
luglio 1948, dopo la sconfitta elettorale del fronte popolare avvenuta il 18 aprile. Furono presentate
tre liste: “Riscossa”, favorevole al mantenimento del Patto d’unità d’azione ma non al Fronte, i cui
esponenti erano il novarese Alberto Jacometti, il sindacalista Fernando Santi347, Giovanni
Pieraccini348 e due “azionisti” confluiti nel PSI: Riccardo Lombardi e Vittorio Foa; “Sinistra”, firmatari
Nenni, Morandi, Luzzatto, Tolloy, Lizzadri, per la riconferma della politica unitaria; “Per il
socialismo” firmata dai piemontesi Giuseppe Romita, Luisetti e Passoni, da Calogero, Carlo
Spinelli,Lopardi, Orlandi, e dal sindacalista Viglianesi, secondo cui occorreva un partito socialista
riunificato, autonomo e sciolto dall’unità d’azione col PCI, con cui erano possibili intese per la
difesa delle libertà democratiche. Egli segue questa corrente che ottiene il 26% dei voti, conto il
42% di “Riscossa socialista” e il 31% della Sinistra.
Al successivo 28. Congresso di Firenze nel maggio 1949 la “Sinistra” conquistò la maggioranza e
Rondani come gli altri seguaci della mozione di Romita che aveva ottenuto solo il 9% dei voti uscì
dal PSI, confluendo dopo breve tempo nel PSDI di Saragat. Fu questa la sua ultima presenza
attiva nel socialismo italiano.
Ritiratosi definitivamente a Nizza, qui si spense il 24 giugno 1951, all'età di 83 anni349
346
“Corriere Biellese”, 7.3.1946
347
Parma, 1902-1969; Fernando Santi e il ruolo del sindacato nella democrazia italiana:
Roma, 1980; R.Spocci Fernando Santi: un uomo, un’idea, Parma, 2002; F.Persio Fernando Santi:
l'uomo, il sindacalista, il politico, Roma, 2005
348
Viareggio 1918. Ministro durante i primi governi di centro-sinistra, ex direttore dell'Avanti!
349
Viene commemorato nella seduta di giovedì 28 giugno 1951 da Pirazzi Maffiola. Atti della
Camera p. 29037
Appendice:
GENERAZIONI E PERCORSI DEL MASSIMALISMO SOCIALISTA IN LOMBARDIA
1. Origini del massimalismo socialista
2. Impostazione della ricerca
3. Profili biografici
Ezio Riboldi
Francesco Buffoni
Giovanni Bitelli
Ines Oddone Bitelli350
Riccardo Momigliano
Alberto Malatesta
350
I profili di Ines Oddone, Maria Giudice, Abigaille Zanetta e il paragrafo 5 (La componente
femminile) sono di Anna Baj
Maria Giudice
Bruno Fortichiari
Abigaille Zanetta
4. “Sociologia” degli intransigenti
5. La componente femminile
6. Conclusione
1. Origini del massimalismo socialista
“Il massimalismo socialista, che tanta parte ha avuto nel movimento operaio italiano, è tanto ricco
di storia e di personaggi, quanto povero di studi d'insieme e di monografie”351; esso nasce dalla
frazione “intransigente” formatasi al congresso di Roma del 1906 (si veda il paragrafo relativo nella
biografia di Giovanni Lerda). Al congresso di Firenze del 1908 la corrente ha una buona
affermazione in Lombardia (40%) con punte significative a Milano (63%), Como (86%), Bergamo
(81%), Mantova (54%). Al congresso di Reggio Emilia (1912) in Lombardia la corrente passa da
400 voti a 1.300 con la conquista della sezione di Milano (420 voti) e una buona affermazione nel
comasco, mantovano e pavese352.
La guerra determina profonde modifiche all'interno del partito tanto nei quadri quanto nella stessa
base sociale, per cui occorre distinguere tra intransigentismo e massimalismo (rispettivamente
prima e dopo la guerra), perchè se il primo fu l'indubbia matrice del secondo, dell’originario gruppo
dirigente della frazione solo pochi mantennero una posizione di primo piano (Serrati, Vella), alcuni
concorsero alla formazione del PCdI mentre molti degli esponenti più rappresentativi
dell’anteguerra confluirono su posizioni più moderate alla fine del conflitto, anche in relazione alla
rivoluzione russa.
2. Impostazione della ricerca
Abbiamo raccolto e messo a confronto le biografie (evidenziandone i tratti significativi specie negli
snodi dell’epoca: grande guerra, fascismo…) di nove “massimalisti” che hanno operato in
Lombardia nel periodo che va dall'età giolittiana al dopoguerra Gli esponenti del massimalismo
socialista in Lombardia erano naturalmente molto più numerosi di quelli qui trattati, e andrebbe
proseguito un lavoro di “scavo” in ogni singola provincia utilizzando le biografie dei militanti di base
(ma è di ostacolo la mancanza di strumenti quali un repertorio del movimento operaio come quello
351
G.Bosio “L’occupazione delle fabbriche e i gruppi dirigenti e di pressione del movimento
operaio” in “Il Ponte”, 1970, n.10. Da allora però qualcosa è stato pubblicato: A.Natta “Serrati: vita
e lettere di un rivoluzionario”, Roma, 2001; U.Chiaramonte “Arturo Vella e il socialismo
massimalista”, Manduria, 2002; E.Giovannini “L’Italia massimalista”, Roma, 2001; S.Noiret
“Massimalismo e crisi dello stato liberale: Nicola Bombacci”, Milano, 1992
352
M.Degl'Innocenti "Geografia e istituzioni del socialismo italiano, 1892-1914", Bari, 1983.
esistente in Francia353).
Ci sembra comunque che la ricerca individui, come ipotesi di lavoro da verificare, una tipologia di
quadri intermedi a livello provinciale i quali, pur compiendo itinerari personali e politici quanto mai
vari, presentano un denominatore comune che va al di la del mero intrecciarsi di percorsi che li
vede svolgere lo stesso ruolo o ricoprire responsabilità negli stessi luoghi in tempi successivi.
Gli elementi presi in considerazione sono: 1) il dato anagrafico, vale a dire l'appartenenza alla
classe dei nati nel ventennio '75-'95 dell'Ottocento; 2) l’ attività come organizzatori di strutture
socialiste (Camere del lavoro, federazioni, giornali…) a livello provinciale e regionale, escludendo
sia coloro che operarono a livello nazionale, sia i militanti di base.
3. Profili biografici
3.1 Ezio Riboldi354
Nato a Vimercate nel 1878 cresce in clima laico e democratico (il padre, artigiano sarto, radicale,
aveva fondato la prima società di mutuo soccorso del suo comune); dopo le lauree in lettere e poi
in legge (conquistate con sforzo per le sue modeste condizioni economiche) e l’adesione al
socialismo nel clima dei moti del ’98, si trasferisce a Monza per insegnare all’istituto tecnico
commerciale.
Qui trova una leadership già consolidata con cui deve confrontarsi e competere, rappresentata da
Enrico Reina (nato nel 1871)355, affermato organizzatore sindacale dei cappellai, segretario della
Camera del lavoro e autorevole esponente riformista. Nella sezione monzese Riboldi si pone
all’opposizione finché nel 1912 la corrente intransigente prende la guida sia del PSI al congresso
di Reggio Emilia sia a livello locale, provocando la rottura dell’alleanza “bloccarla” coi radicali che
reggeva il Comune. Le conseguenti elezioni vedono la vittoria dei clerico-moderati, ma la loro
amministrazione non ebbe vita lunga per dissensi interni e si torna a votare nella primavera del
1914.
La lista socialista, pur presentatasi da sola (ma giovandosi dell’assenza dei radicali) ottiene una
brillante vittoria portando alla guida del Comune il Riboldi, che diede comunque spazio alla
corrente riformista minoritaria affidando l’assessorato all’istruzione al Reina.356
Direttore del settimanale socialista “la Brianza”, si impegna attivamente nella lotta contro la guerra
diffondendo le parole d’ordine della conferenza di Zimmerwald. Eletto deputato nel 1919, al
congresso di Livorno (1921) appoggia la mozione “comunista unitaria” di Serrati; è incaricato nello
353
J.Maitron “Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier en France”, 1964 –R. Michels
Storia critica del movimento socialista italiano fino al 1911 Firenze, 1921; W. Gianinazzi Intellettuali
in bilico : Pagine libere e i sindacalisti rivoluzionari prima del fascismo Milano, 1996
354
Scheda biografica di Tommaso Detti, in F.Andreucci-T.Detti, (a c. di),”Il movimento operaio
italiano. Dizionario biografico” Roma, 1975-79, vol. 4. D’ora in poi: “Andreucci-Detti”; ha pubblicato
nel 1964 (un anno prima della morte) un volume di memorie Riboldi “Vicende socialiste. Trent’anni
di vita italiana nei ricordi di un deputato massimalista”, Milano, 1964
355
G. Longoni “Ettore Reina. La vicenda di un riformista”, Milano, 1983
stesso anno, con Fabrizio Maffi (nato nel 1868 in provincia di Pavia, ma che non prendiamo in
considerazione perché svolse la sua attività nel vercellese, dove esercitava la professione di
medico condotto) e Costantino Lazzari (cremonese, ma della classe 1857, quindi di una
generazione precedente), di perorare al terzo congresso dell’Internazionale Comunista le ragioni
del PSI nel contrasto sulle condizioni di adesione.
Fondata, in occasione del congresso di Milano dell’ottobre 1921 la frazione terzinternazionalista,
che si proponeva l’espulsione dei riformisti e la fusione con il Partito Comunista d’Italia, egli ne è
uno dei principali dirigenti, ed al congresso di Roma dell’anno seguente è eletto membro della
direzione del partito epurato dei riformisti. Dopo la sconfitta subita dai sostenitori della fusione col
PCdI al congresso di Milano dell’aprile 1923, con Serrati, Maffi, Francesco Buffoni e Mario
Malatesta è redattore della nuova rivista “terzina” “Pagine Rosse”, la cui pubblicazione costò a lui e
agli altri l’espulsione dal PSI357.
Candidato nelle liste comuni tra terzini e comunisti per le elezioni dell’aprile 1924, è per la terza
volta eletto nella circoscrizione lombarda. Entrato nel PCI con la fusione dell’estate dello stesso
anno, dirige con il Buffoni l’ufficio giuridico del soccorso vittime politiche (conosciuto anche come
Soccorso Rosso) e collabora al nuovo quotidiano del partito “L’Unità”.
Arrestato nel novembre del 1926 e assegnato al confino a Pantelleria, viene condannato a 17 anni.
La domanda di grazia inoltrata nel 1933 lo mette in libertà ma comporta l’ espulsione dal PCdI.
Emarginato anche dal regime, che allo scoppio della guerra lo interna per alcuni mesi in Abruzzo,
nel periodo 1940-43 collabora al periodico “La Verità” diretto dal già massimalista Nicola Bombacci
(nato nel 1879) che svolse opera di fiancheggiamento del regime dal 1936 fino a guerra
inoltrata358, pubblicandovi articoli di politica estera. Dopo la guerra non riprese più vita politica
attiva, pur non estraniandosi dalle vicende del movimento operaio.
3.2 Francesco Buffoni359
Nato a Gallarate nel 1882, in una famiglia agiata (il padre esattore) inizia la sua vita politica come
repubblicano e già durante gli studi giuridici svolge una intensa attività di pubblicista, collaborando
ai giornali locali di tendenza progressista e fondando egli stesso nel 1902 il settimanale “Popolo e
libertà”. Sebbene già nel 1894 fosse stato fondato un “Circolo socialista gallaratese” e nel 1902
356
A. M. Orecchia “Il Novecento: storia politica e sociale” in”Monza. La sua storia”,
Monza,2002; I. Granata, G. Longoni “L’armonia dei produttori: impresa, sindacato e
amministrazione a Monza 1893-1963”, Roma, 1964
357
T.Detti “Serrati e la formazione del partito comunista :storia della frazione
terzinternazionalista”, Roma, 1972
358
P.Chiantera-Stutte, A.Guiso “Fascismo e bolscevismo in una rivista di confine: “La Verità”
di Nicola Bombacci (1936-1943)” in “Ventunesimo secolo” , 2003, n.3.
359
Scheda di B. Anitra, Dizionario biografico degli italiani”Roma, 1972, vol.15; di Tommaso
Detti in ”Andreucci-Detti”, di Roberto Ghiringhelli in “Il parlamento italiano”, Roma, 1988, vol. 10, di
Guido Sironi in “Rivista gallaratese di storia e arte”, 1951, n.2
una Camera del lavoro360 solo nel 1905 aderisce al socialismo e si dedica ad una intensa attività
come consigliere e assessore a Busto Arsizio e Gallarate, e sindaco di Crenna, piccolo comune in
cui risiedeva.
Collabora tra il 1914 e il 1917 alla rivista riformista “Critica sociale”. Eletto alla Camera nel 1919 e
riconfermato nel 1921, dapprima massimalista unitario (Serrati), nel gennaio 1922 prende
posizione a favore della frazione “terzinternazionalista”.
Al congresso di Roma dell’ottobre 1922 entra a far parte della direzione del PSI come
rappresentante del Gruppo parlamentare socialista; al Congresso di Milano dell’aprile 1923 è il
presentatore della mozione “terzina” e con Maffi, Serrati, Riboldi e Mario Malatesta dà vita alla
rivista di corrente “Pagine Rosse”, cosa che provoca l’espulsione dal Partito
Diviene redattore capo del”L’Unità” in rappresentanza della frazione, carica che mantiene anche
dopo la fusione. Negli anni tra il 1924 e il 1926 è anche membro del comitato esecutivo della
Federazione lombarda del PCdI e si dedica alla difesa degli antifascisti congiuntamente al Riboldi.
Viene condannato nel novembre 1926 a cinque anni di confino, in contumacia perché era riuscito a
sottrarsi in tempo alla cattura rifugiandosi in Francia. Poco dopo il suo arrivo comincia ad
allontanarsi dalla linea del Partito, aderendo all’Unione dei giornalisti “Giovanni Amendola”. Posto
sotto inchiesta per questo motivo e per essere entrato in contatto con la “Concentrazione
antifascista”, alla fine del 1929 viene espulso per aver partecipato alle onoranze tributate a Turati
in occasione del suo compleanno. Si iscrive allora nuovamente al Partito socialista e nel 1930
partecipa al congresso di riunificazione tra PSI e PSULI. Non svolge tuttavia un’attività di primo
piano dedicandosi principalmente all’attività di pubblicista.
Rientrato in Italia nel 1946, diventa membro del comitato esecutivo della federazione di Varese del
PSI, sindaco di Gallarate e deputato all’Assemblea costituente, e nel 1948 senatore di diritto
3.3 Giovanni Bitelli361
Nato a Bologna nel 1875 dove consegue il diploma magistrale e si mette in luce negli ambienti
sindacali locali; nel 1906 viene chiamato a dirigere la Camera del lavoro di Gallarate e qui si
trasferisce con la moglie Ines Oddone dedicandosi anche ad attività collaterali come la costituzione
della Cooperativa di consumo “Emancipazione” (1907) e il progetto dell’edificazione di una “Casa
del proletariato” (1910) che, interrotto per mancanza di fondi, fu ripreso nel periodo 1920-22362.
Dopo essere espatriato a Lugano per sfuggire alle conseguenze delle manifestazioni contro
l’impresa libica, viene chiamato a sostituire Michele Bianchi (allora esponente di punta del
sindacalismo rivoluzionario e futuro ras fascista) alla segreteria della Camera del lavoro di Ferrara
nel 1912, dove “promuove uno sciopero agrario che, impostato senza adeguata preparazione
360
V.Bernardi “Origini e sviluppi del movimento socialista nel gallaratese (1902-1904)” in
“Tracce”, 1984, n.4
361
Scheda di A. Roveri in “Andreucci-Detti”
362
C.Magni-S.Norcini “Il movimenti operaio, la Camera del lavoro e la Casa del Proletariato a
Gallarate (1880-1922), Gallarate, 1993
secondo moduli anarcosindacalisti, si risolve in una grave sconfitta”363
La sua carriera politica non si interrompe nel 1914, perchè ci risultano attribuibili a lui libri che
testimoniano un profondo mutamento di prospettiva (“Filippo Corridoni”, 1925; “Benito Mussolini”,
1937 e succ. ed.; “Cottolengo”, 1934; “Caterina da Siena”, 1942; “Giuseppe Cafasso”, 1959) oltre
alla cura di numerose volumi per l’infanzia; risulta anche la sua collaborazione alla già citata rivista
collaborazionista di Bombacci “La Verità”.
Il Bitelli ha una collocazione ai confini tra intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario, e non si
può trascurare il fatto che la piccola Camera del lavoro di Gallarate (la sua consistenza oscillava
tra i 3270 iscritti del 1911 ed i 1500 del 1914, con una trentina di leghe) costituita nel 1902, ebbe
come primo segretario il “sindacalista-rivoluzionario” Agostino Scarpa e fu, con quella bresciana
diretta dal 1907 da Gino Muller364, l’unica della Lombardia ad avere segretari di questa corrente.
Pur restando la Camera del Lavoro di Gallarate fino al 1914 associata alla CGdL, il Bitelli è tra i
fondatori della centrale sindacalista rivoluzionaria USI al congresso di Modena del 1912365.
3.4 Ines Oddone Bitelli366
Nasce a Cairo Montenotte (SV) nel 1874, figlia di un ingegnere delle ferrovie, cresce nel centro
Italia dove il padre si era stabilito per lavoro. Frequenta il Collegio a San Elpidio a Mare, prosegue
gli studi magistrali e poi all’Università di Roma, dove la sua famiglia si trasferisce. Diventa
insegnante nelle scuole della capitale e si distingue per essere tra le prime organizzatrici sindacali
della sua categoria.
Nel 1904 si sposa con Giovanni Bitelli, maestro elementare e sindacalista di Bologna, città dove si
trasferisce col marito e dove viene chiamata a collaborare con la locale Camera del Lavoro. Al
Congresso nazionale delle Camere del Lavoro del 1905 sostiene la mozione sindacalistarivoluzionaria per l’indipendenza del movimento economico da quello politico. In quegli anni fonda
“La Donna socialista” settimanale che esce prima a Bologna e poi a Gallarate. Questo, come altri
periodici, erano nati per educare ai principi fondamentali della dottrina socialista larghi strati della
popolazione femminile ed erano i primi strumenti per una alfabetizzazione politica dedicata alle
donne. Il foglio chiude le pubblicazioni nel 1906 per motivi economici.
Nel 1906 si trasferisce a Gallarate col marito, chiamato a dirigere la Camera del Lavoro, e qui nel
363
A. Roveri “Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agrario e socialismo nel
ferrarese (1870-1920)”, Firenze, 1972.
364
R.Bernardi “Sindacalismo rivoluzionario e movimento operaio a Brescia dall’inizio del ‘900
alla dittatura fascista” Milano, 1984
365
I.Barbadoro “Storia del sindacalismo italiano” Firenze, 1977, vol.2.
366
S. Minonzio, “Ines Oddone Bitelli sindacalista e socialista a Gallarate”, Tracce, 1984,1;
I.Monti Ottoleghi in “Andreucci-Detti”, di A. Coruzzi, Una “donna moderna”, in “La donna socialista:
Ines Oddone Bitelli, una donna un giornale”, Bologna, 2003.
1907 fonda l’organo camerale “La lotta di classe: giornale settimanale delle organizzazioni
proletarie del gallaratese” caratterizzato da un taglio sindacalista-rivoluzionario. Nel 1908 pubblica
l’opuscolo “Parole alle donne proletarie”, raccolta di articoli pubblicati nei due periodici da lei diretti,
che affronta i temi delle emancipazioniste del tempo: sessualità, maternità, lavoro femminile,
divorzio, aborto, prostituzione, diritto di voto. Sempre nel 1908 viene condannata per il reato di
propaganda antimilitarista ed espulsa dalle scuole di Gallarate. Si rifugia a Lugano per sfuggire al
carcere venendo poi assunta in un piccolo comune svizzero in qualità di insegnante.
Dopo l’amnistia del 1909 fa ritorno a Gallarate e l’anno dopo viene nominata dirigente del
Segretariato del Popolo, ufficio della Camera del Lavoro che si occupava di problemi assistenziali.
Ha un nuovo incarico presso le scuole elementari di Crenna, frazione di Gallarate, nonostante
l’opposizione dei clericali. Muore alla vigilia della guerra, nel maggio 1914.
3.5 Riccardo Momigliano367
Di famiglia ebraica368, fa parte di “quel manipolo di volonterosi studenti (ebrei che) optò per le
Camere del lavoro abbandonando gli studi e impegnandosi nella vita politica di quegli anni”369
Nell’autobiografia370, dopo aver tratteggiato l’infanzia a Cuneo (dove era nato nel 1879) e la
giovanile militanza nella sezione socialista torinese ancora influenzata dalle grandi figure dei
“socialisti della cattedra” Graf, Cena, Balsamo-Crivelli, De Amicis quando egli frequenta la facoltà
di medicina di quell’ateneo, descrive in pagine suggestive l’ambiente socialista e proletario della
provincia di Varese, dalla cui Camera del lavoro era stato assunto mediante concorso nel 1902: “la
Camera del lavoro che io dovevo dirigere era una cosa ben misera, raccogliendo a mala pena due
migliaia di iscritti e modestissima era la sua sede: uno stanzino per le riunioni e due sgabuzzini:
uno per la segreteria e uno per il comitato esecutivo”371
Fonda il periodico “Il nuovo ideale” e si dedica alla costituzione di Case del popolo e di
cooperative, specie nei mesi invernali in cui gli scalpellini emigrati tornavano alle loro case;
descrive gli scontri con i parroci di campagna che cercavano di impedire i comizi suonando a
stormo le campane, la dura competizione coi repubblicani che erano saldamente impiantati nel
capoluogo e in Valganna.
367
Scheda di Franca Taddei in “Andreucci-Detti” ; di Alberto Cavaglion in C.Simiand “I deputati
piemontesi all’Assemblea Costituente”, Milano, 1999; P.Robotti “Riccardo Momigliano dal
socialismo rivoluzionario alla socialdemocrazia”, 1999 tesi di laurea alla facoltà di scienze politiche
dell’Università di Milano
368
Della famiglia dei Momigliano di Caraglio (CN) fanno parte gli studiosi Attilio e Arnaldo e
A.C.Jemolo. Si veda l’albero genealogico in L.Berardo “Socialisti e comunisti nel feudo di Giolitti” in
“Notiziario dell’istituto storico della resistenza di Cuneo”, 1999, n.1;
369
A.Cavaglion “Gli ebrei e il socialismo: il caso italiano”, in “Stato nazionale ed
emancipazione ebraica”, Roma, 1992
370
“I buoni artieri”, a cura di A.Schiavi, vol 3. , Roma, 1958
371
Ibid.
Resta a Varese fino al 1910 (con un soggiorno a Como nel 1903-4) quando si sposta alla Camera
del lavoro di Bologna e poi a Biella (1912-19) alla direzione del “Corriere biellese”372, settimanale
della Federazione socialista e della Camera del Lavoro. Rientrato nel 1919 a Varese come
assessore al comune e deputato della Circoscrizione di Como-Sondrio per due legislature, inizia
ora una parabola che lo porterà su posizioni sempre più moderate.
Si schiera coi “comunisti unitari” (Serrati) al congresso di Livorno; è membro della corrente di
“difesa socialista” contraria alla fusione con il PCdI; all’inizio del 1926 sostituisce Nenni alla
direzione dell’”Avanti!” fino alle leggi eccezionali ed alla soppressione del giornale. Scontato un
anno di confino a Lipari, nel 1927 si trasferisce a Torino abbandonando la vita politica attiva. Nel
1943 si rifugia in Svizzera e nel 1945 rientra in Italia e viene rieletto nel suo collegio di Como alla
Costituente; al momento della scissione socialista nel 1947 segue l’ala saragattiana.
3.6 Alberto Malatesta373
Nato in provincia di Massa nel 1879 nella famiglia di un medico condotto, e vissuto a La Spezia,
studi in medicina interrotti al quarto anno, è chiamato nel 1909 a dirigere il periodico socialista
“L’aurora” di Pallanza e poi la piccola Camera del lavoro di Intra che contava 25 leghe con 1800
soci nel 1907 e 16 con 883 nel 1910374.
Nel frattempo aveva partecipato ai congressi nazionali di Milano (1910) dove vota la mozione
riformista di sinistra di Modigliani e Salvemini e di Reggio Emilia (1912). Nel settembre 1913 è
chiamato a sostituire Riccardo Momigliano alla direzione de ”Il nuovo ideale” di Varese, fino al
maggio 1914 quando accetta l’incarico di organizzare a Massa una Camera del lavoro in
contrapposizione a quella di Carrara aderente all’USI.
Rientrato a Milano lo stesso anno per collaborare all’Avanti! chiamato da Mussolini, sostiene vivaci
contradditori con gli interventisti nell’aprile del 1915. Cessate le ostilità, che passò presso ospedali
del fronte, ritorna alla redazione dell’Avanti e, candidato dai socialisti dell’Ossola, è eletto per la
circoscrizione di Novara; nel 1920 si trasferisce a Novara dove assunse la direzione de “Il
Lavoratore” e la segreteria provinciale.
Nel dibattito interno si era allontanato nel frattempo alle posizioni di Serrati che aveva sostenuto al
congresso di Livorno, aderendo prima alla frazione “unitaria” di Baratono e dopo il 19.Congresso
dell’ottobre 1922 aderendo al Partito socialista unitario (riformista).
Inizia allora un ripensamento che lo porterà ad uscire dalla politica attiva per dedicarsi a lavori di
compilazione come il “Dizionario biografico del parlamentari a partire dall’Unità”. Il fratello Mario, di
12 anni più giovane, fu redattore del già citato “Pagine rosse” con Buffoni e Riboldi. Entrato dopo la
fusione nel comitato centrale del PCdI, interrompe il suo impegno fino a collaborare al già citato
periodico di Bombacci nel 1941.
372
M.Neirotti “Il dibattito e l’informazione del Corriere biellese” sulla rivoluzione russa (191719)” in “L’impegno” giugno 1982
373
Scheda di Gian Mario Bravo in “Andreucci-Detti”.
374
U.Chiaramonte “Industrializzazione e movimento operaio in Valdossola”, Milano, 1984
Dopo la guerra collabora con Bruno Fortichiari alla “Federazione milanese cooperative e mutue”,
organizzazione facente capo ai partiti di sinistra, PCI e PSI.
3.7 Maria Giudice375
Nasce a Codevilla, nell’Oltrepo’ pavese, nel 1880, in una famiglia della piccola borghesia
progressista (il padre era reduce garibaldino) ed entra in contatto con il partito socialista all’epoca
dell’incarico di insegnante elementare a Voghera, centro ricco di piccole industrie tessili segnate
da numerosi licenziamenti, in cui era già radicata l’idea socialista. Alla scuola di Ernesto Majocchi,
fondatore del foglio “L’uomo che ride” di Voghera376, arriva a padroneggiare lo stile giornalistico
stendendo articoli propagandistici improntati a una semplicità di linguaggio ricercata, perché
riteneva che il socialismo dovesse esser “offerto” alle masse contadine e operaie con un processo
educativo graduale. D’altronde la sua cultura politica non era frutto di un’approfondita preparazione
teorica.
In quegli anni conosce l’anarchico Carlo Civardi al quale si legherà in “libera unione” e dal quale
avrà sette figli. Nel 1903 diventa segretario della Camera del lavoro di Voghera e dopo poco tempo
si trasferisce, con lo stesso incarico, a quella di Fidenza (PR), che si contrappone alla
“sindacalista” Parma.
In seguito a una condanna a tre mesi per aver pubblicato una violenta invettiva per l’eccidio di
Torre Annunziata, si rifugia in Svizzera – dove fonda con Angelica Balabanoff377 il periodico “Su
compagne” – e dopo 15 mesi rientra in Italia trasferendosi nel 1910 a Milano dove viene assunta
come maestra elementare del comune (allora autonomo) di Musocco.378
In questo periodo, dopo aver partecipato alle attività della locale sezione socialista, commenta
negativamente le attività cooperativistiche e sociali svolte dalla stessa sezione che giudica carente
nell’attività di propaganda. L’Amministrazione comunale coglie l’occasione per chiederne nel 1913
il licenziamento, adducendo negligenze professionali e personali di varia natura. La Giudice aveva
reagito alla diffamazione schiaffeggiando il segretario comunale e per questi fatti subì un processo
per lesioni che si concluse con la condanna al pagamento di una multa.
Dal 1912 collabora al giornale della Kulishoff “La difesa delle lavoratrici”. Non furono anni facili: i
rapporti di lavoro con la Kulishoff379 erano freddi a causa della certezza di quest’ultima di avere a
375
Scheda di Franca Pieroni Bortolotti in “Andreucci-Detti” e di M.A.Serci in “Dizionario
biografico degli italiani”., vol. 56. Del 1991 è la biografia di Vittorio Poma “Una maestra tra i
socialisti. L’itinerario politico di Maria Giudice “Rivista milanese di economia” n.20 e del 1996 il
volume di Jole Calapso, Una donna intransigente, Palermo, 1996
376
A.Scotti L' "uomo che ride" di Ernesto Majocchi : grafica, progresso tecnico e cultura
socialista nel giornalismo vogherese di fine Ottocento, “ Annali di storia Pavese” 1981, 6-7
377
A.Balabanoff “La mia vita di rivoluzionaria” , Milano, 1979
378
E.Bielli, L’universo socialista di Musocco “Storia in Lombardia” 1990, n.2
379
M.Casalini, La signora del socialismo italiano, Roma, 1987
che fare con una redazione di donne provinciali e poco colte; tuttavia ciò non impedì alla Giudice di
continuare a sperare che il suo messaggio educativo portasse a costruire una cultura di base
socialista nelle classi sociali più basse.
Nel 1913 si trasferisce a Borgosesia (VC) dove dirige il periodico “La campana socialista” e si
distingue nello sciopero della “Manifattura Lane”, subendo una condanna a venti giorni di
reclusione e trecento lire di multa380. Nel 1914 è delegata al Congresso nazionale di Ancona dove
“invitò i deputati ad intensificare l’azione antimilitarista”.381
Nel 1916 rimane vedova del compagno – partito volontario e ucciso all’inizio della guerra – e
viene chiamata a reggere la segreteria provinciale del Partito a Torino rimasta vacante per i
richiami per il fronte, dirigendo per breve tempo anche il settimanale socialista “Il grido del popolo”.
Non sempre viene apprezzata la semplicità del linguaggio che la Giudice ritiene invece essenziale
per raggiungere anche le fasce di popolazione non acculturate; per esempio i giovani guidati da
Antonio Gramsci contestano la “banalizzazione” dei concetti espressi382.
Partecipa alla propaganda antibellica del 1917 per la quale viene arrestata una prima volta
assieme al giovane Umberto Terracini; quando per la mancanza del pane scoppia l’insurrezione
torinese dell’agosto la Giudice viene di nuovo arrestata assieme ad altri esponenti locali e a Serrati
e condannata a tre anni dal Tribunale militare.
Un’amnistia le permette di ritornare libera nel 1919 e di mettersi al lavoro prima a Torino e poi a
Civitavecchia; da ultimo la direzione del partito le assegna l’incarico di organizzare una serie di
incontri in Sicilia dove si stabilirà, legandosi all’avvocato socialista Sapienza, da cui avrà la ottava
e ultima figlia, Goliarda, attrice pirandelliana e scrittrice.
Nel 1922 viene ancora arrestata per “eccitamento all’odio di classe” ed è inserita nella lista delle
persone potenzialmente “pericolose”. Nel 1923 viene scarcerata e in quegli anni abbandona la
militanza politica attiva a causa dello scioglimento di tutte le associazioni politiche. Nel 1931 viene
tolta dall’elenco e nel 1941 si trasferisce a Roma dove muore nel 1953 senza più riprendere
l’attività politica.
380
A.Pirruccio “Borgosesia 1914. Sciopero alla manifattura lane”, Vercelli, 1983; L.Moranino
“Le donne socialiste nel biellese”, Vercelli, 1984
381
F.Pedone “Il PSI nei suoi congressi”, vol.2: 1902-17, Roma, 1961
382
P.Spriano “Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1972
3.8 Bruno Fortichiari383
Nato nel 1892 a Luzzara, un piccolo centro della provincia di Reggio Emilia, cresce nell’ambiente
del socialismo reggiano (il padre, proprietario di una macelleria, aveva costituito la sezione locale)
fortemente influenzato dalla esemplare figura di Camillo Prampolini, alto borghese ribelle alla sua
classe che si era dedicato alla redenzione degli sfruttati organizzando i braccianti e i coltivatori
diretti.
Dopo la licenza tecnica viene assunto nel 1919 dal giornale delle cooperative reggiane “La
Giustizia” diretto da Giovanni Zibordi, autorevole esponente riformista, realizzando la sua passione
giovanile per il giornalismo. Nello stesso 1910 partecipa al Congresso della Federazione giovanile
socialista (FGS) a Firenze e frequenta un corso per organizzatori cooperativi e sindacali indetto
dalla Società Umanitaria. Al termine del corso viene assunto dalla sede dell’Umanitaria di
Piacenza, entrando anche nella redazione del giornale socialista locale.
Il contatto con l’ambiente parmense-piacentino in cui i sindacalisti rivoluzionari di Alceste De
Ambris e Cesare Rossi estendevano la loro influenza sugli operai delusi dal riformismo spicciolo
delle organizzazioni locali e il disinganno per la debole risposta del partito alla politica libica di
Giolitti determina il suo distacco dalle posizioni riformiste “reggiane”.
Partecipa al congresso della FGS di Bologna del 1912 dove conosce Amadeo Bordiga.
Alla fine del 1912 viene assunto mediante concorso per riorganizzare la federazione provinciale di
Milano e la sezione cittadina. Giunto quasi contemporaneamente a Mussolini che assumeva la
direzione dell’”Avanti!”, incontra altri compagni di corrente: Celestino Ratti, ex incisore seguace di
Lazzari, l’illustre medico igienista Angelo Filippetti futuro sindaco di Milano nel dopoguerra, la
rifugiata russa Angelica Balabanoff, ma si lega sopratutto all’insegnante Abigaille Zanetta, al
farmacista Livio Agostini e al metalmeccanico Luigi Repossi, popolare leader di Porta Ticinese.
Fortichiari organizza nei quartieri operai sedi rionali ed inizia un lavoro di lenta penetrazione nella
“Vandea”, cioè nei comuni rurali che circondavano allora Milano. Visto il suo attivismo e la sua
capacità organizzativa, gli viene affidata, nonostante la giovane età, sia la segreteria cittadina che
quella provinciale. Allo scoppio del conflitto contribuisce all’espulsione di Mussolini dalla sezione
milanese e si impegna nella lotta neutralista anche dopo l’entrata in guerra dell’Italia, tanto da
essere condannato e internato in un piccolo centro dell’Abruzzo, assieme alla Zanetta. Ripreso il
proprio posto alla segreteria provinciale ed eletto consigliere comunale nel 1920, si avvicina
sempre più alle posizioni di Bordiga.
Fortichiari rappresenta una componente, accanto alla astensionista e alla “ordinovista”, costituita
da numerosi gruppi massimalisti, di cui quello milanese pur essendosi diviso (la Zanetta e Agostini
rimasero nel PSI) ebbe un peso tutt’altro che secondario nella nascita del PCdI. In questo
momento è al vertice del partito: gli viene affidato il settore del lavoro illegale ed è uno dei cinque
membri del comitato esecutivo. Entrato in contrasto con la nuova direzione “centrista” ed espulso
nel 1929 per “bordigismo”, si ritira a vita privata.
383
Scheda di T. Detti in “Andreucci-Detti”, di Giuseppe Siriana in “Dizionario biografico degli
italiani”, vol 49; di C. Beltrami e J.V.Maggiani “Vita e idee di Bruno Fortichiari” in “Ricerche
storiche”,1995, n.76. Ha scritto un libro di vivaci “Memorie (dal 1896 al 1943)” raccolte in un
volume antologico pubblicato nel 1992, che si possono leggere anche su Internet, sito
“marxist.org/italiano”.
Nel 1944 chiede la riammissione nel partito pur conservando i contatti coi compagni di frazione e
nel dopoguerra gli viene affidata la direzione della “Federazione delle cooperative e mutue
milanesi”.
3.9 Abigaille Zanetta384
Nasce a Suno novarese nel 1875; il padre, impiegato nella pubblica amministrazione, democratico
risorgimentale (a differenza della famiglia materna, aristocratica e reazionaria) aveva lasciato in
eredità alla figlia il desiderio di aiutare gli altri e la capacità di esercitare varie attività manuali. Si
diploma come maestra come la sorella Erminia e fino al 1899, quando vince un concorso del
Comune di Milano insegna in un pensionato svizzero dove, in un clima internazionale,
multiculturale ed aperto a religioni differenti, impara il rispetto per le opinioni altrui.
Di formazione cattolica, a partire dal 1906 inizia una profonda crisi spirituale, testimoniata dalla
collaborazione a “La scuola popolare”, organo sindacale della corrente socialista dei maestri
elementari. La Zanetta percepisce che la carità e la beneficenza, in quanto accettazione passiva
del proprio stato, dovevano essere sostituite dalla previdenza sociale pubblica.
Nel 1909 si iscrive alla “Lega per la tutela degli interessi femminili” e ciò le permette di conoscere
Anna Kulishoff, Angelica Balabanoff, Linda Malnati, presentando per conto di quella Associazione
al quinto Congresso della previdenza (Macerata, 1909) una relazione, sulle casse di maternità.
L’iscrizione alla “Lega delle cooperative” le permette di svolgere la sua azione nel campo
mutualistico, cooperativistico, femminile e di incontrare diversi uomini politici.
Nel 1910 si iscrive al Partito Socialista presentata dalla Kulishoff, cui rimane legata nonostante
col tempo si orienti in senso intransigente a seguito di contatti con Bruno Fortichiari. Partecipa a
numerose organizzazioni come rappresentante del partito: componente del Consorzio delle
biblioteche popolari, del Consiglio generale della Federazione italiana delle Cooperative e delle
Società di Mutuo soccorso, del Gruppo femminile della Sezione milanese del PSI , nel comitato
esecutivo della CGdL.385
Allo scopo anche di sostenere candidature a deputato (come quella di Giacomo Matteotti in
Polesine) è chiamata a svolgere attività propagandistica sostenendo anche contradditori nelle
piazze. Con lo scoppio della guerra è impegnata continuamente in riunioni e conferenze contro la
guerra e il 14 marzo, per protesta contro una circolare del Ministro Salandra con la quale erano
stato proibite le riunioni pubbliche, è oratrice alla manifestazione all’Arena di Milano che si
concluse con cariche della polizia, feriti e arresti.
All’interno del Partito coesistevano tendenze diverse: di fronte ai riformisti, tra cui il sindaco
socialista Emilio Caldara, propensi ad una collaborazione “tecnica” con le autorità statali per
384
Oltre la scheda di T. Detti in “Andreucci-Detti”, esiste il libro di memorie: B.Fortichiari,
M.Malatesta “Abigaille Zanetta: 1875-1945”, Milano, 1945; del Fondo Zanetta, giacente presso
l’INSMLI di Milano e comprendente 4 buste, è stato fatto un inventariato consultabile sul sito
dell’Istituto.
385
M.Mingardo, Mussolini, Turati e Fortichiari: La formazione della sinistra socialista a Milano.
1912-18, Genova, 1992
quanto concerneva l’assistenza alle famiglie dei combattenti e l’opera di calmiere dei prezzi,386 il
segretario della sezione milanese Fortichiari era intransigente sul fatto di tenere un comportamento
fermo di condanna contro la guerra. La Zanetta e il Fortichiari costituiscono un gruppo che viene
chiamato dagli avversari “Comitato analfabeta” in senso spregiativo, che partecipa al primo
convegno clandestino della frazione di sinistra del PSI a Firenze nel novembre 1917.
Questo gruppo si orienta su posizioni sempre più radicali in base ai deliberati dei convegni
internazionali di Zimmerwald e Kiental. Nel 1917 tutto il direttivo del Comitato, Zanetta e Fortichiari
compresi, viene condannato a sei mesi di carcere per aver diffuso un manifesto contro la guerra. In
seguito Fortichiari viene incarcerato e per un po’ di tempo la Zanetta lo sostituisce alla direzione
della sezione milanese.
Nel 1917 è all’apice della sua carriera politica e nel 1918 per lei e Fortichiari si profila l’ingiunzione
per il confino. Saranno ospiti di un piccolo paese in provincia dell’Aquila, San Demetrio dei Vestini;
la Zanetta inizia una fitta corrispondenza con la sorella Erminia alla quale descrive la vita che
scorre in questa paese fra i monti abruzzesi.
Il 19 maggio i carabinieri si presentano al loro domicilio di confinati e li arrestano traducendoli
ammanettati a Milano, “sotto l’accusa di incitamento alla guerra civile, all’odio fra le classi sociali, al
tradimento, al saccheggio, per discorsi tenuti precedentemente a Milano e per propaganda
stampata”387. Queste accuse, inconsistenti, cadono durante l’istruttoria; Fortichiari è rimandato a
San Demetrio mentre la Zanetta viene raggiunta da un altro mandato di cattura, con l’accusa di
disfattismo, per aver “commesso atti idonei a deprimere lo spirito pubblico e a diminuire la
resistenza del Paese in guerra”. Si è pensato che queste accuse provenissero dall’ambiente
scolastico frequentato dalla Zanetta, anche se la direttrice della scuola dove aveva insegnato
smentì completamente le accuse e la giudicò “insegnante modello per intelligenza, zelo e qualità
didattiche..”.
Dal carcere scrive molte lettere alla sorella non perdendo i contatti con il mondo esterno e
cercando di dare di sé una immagine serena e positiva anche per le altre carcerate. L’8 novembre
1918 viene assolta per inesistenza di reato.
Nel 1919 assume nuovi e importanti incarichi sia nella Federazione provinciale che in quella
milanese; continua a partecipare a riunioni, conferenze e continua la propaganda politica. Durante
un comizio nel cortile del Palazzo Sforzesco, indetto per l’ottenimento delle libertà civili e
dell’amnistia, ci sono dei gravi incidenti con morti e feriti, a causa dell’intervento armato delle prime
squadre fasciste. Le scaramucce proseguono per tutto il giorno in altre zone di Milano.
L’11 luglio 1920 viene citata da un giudice per il comizio tenuto il 13 aprile con l’accusa di
“incitamento della folla all’odio fra classi sociali, alla guerra civile e al saccheggio”. La Zanetta
risponde all’interrogatorio riaffermando il programma socialista. Intanto è sottoposta a continui
pedinamenti e perquisizioni.
A differenza di Fortichiari e Repossi, che all’inizio del 1921 fondano con Bordiga il PCdI a Livorno,
la Zanetta prosegue la lotta di corrente nel PSI schierandosi con la frazione terzinternazionalista,
fino alla fusione nel 1924 (insieme a Maffi, Riboldi, Buffoni) con il PCdI, chiamata a far parte del
386 M.Punzo La grande guerra e il primo dopoguerra in “Storia di Milano”, 1995
387 B.Fortichiari-M.Malatesta, cit.
direttivo della federazione provinciale milanese388.
Intanto continua a lavorare nella scuola, fino a quando, nel 1927 un'ordinanza dispensa dal
servizio gli insegnanti giudicati sovversivi non presentando “sufficiente adattamento alle direttive
politiche del regime”389.
Tutti i ricorsi presentati dagli accusati sono inutili e il 14 giugno viene arrestata e rinchiusa a san
Vittore con l’accusa di far parte del “Soccorso Rosso” cioè di ricevere somme dalla Russia per
distribuirle alle vittime politiche. Il lungo periodo di detenzione in carcere dal giugno al dicembre del
1927 mette a dura prova il suo fisico. Continua a tenere corrispondenza con la sorella Erminia e
con alcune sue ex allieve.
Quando viene scarcerata viene messa sotto sorveglianza della polizia sino alla morte. A causa
dello scoppio della seconda guerra mondiale si trasferisce con la sorella Erminia a Borgosesia
(NO) dove muore nel 1945.
4. “Sociologia” degli intransigenti
Proviamo ora a trarre delle conclusioni dalla rassegna di profili biografici: la provenienza sociale è
dalla piccola (Riboldi e Fortichiari) o più spesso media borghesia390 (Buffoni, Giudice, Momigliano,
Malatesta, Zanetta, Oddone) con un retroterra politico-culturale generalmente di famiglie liberali,
che coltivavano talvolta ancor fresche memorie garibaldine (Giudice, Riboldi, Zanetta) ma lontane
(tranne Fortichiari) dal socialismo
Ciò conferma la tesi che vede “il passaggio tra le file del socialismo della sinistra
intellettuale….proveniente dalla piccola e media borghesia , spesso con una cultura universitaria di
stampo positivista.. sotto il segno di una ideologia evoluzionistica rassicurante per la borghesia” 391
ma, a differenza di quanto ritiene l’autore citato, la loro adesione al socialismo non “segna
l’assoggettamento operaio all’egemonia borghese…l’abdicazione alla autonomia di classe”: si
trattava spesso di una sofferta scelta di campo cui seguivano lacerazioni famigliari e rotture con le
forze politiche che si erano fino ad allora considerate tutrici delle organizzazioni mutualistiche e
cooperative operaie (si veda il caso di Momigliano e di Buffoni nei confronti dei repubblicani,
rispettivamente varesini e bustocchi).
388
Così la ricorda Teresa Noce (Rivoluzionaria professionale, Milano, 1977, pag. 86) che
frequentò la sua "abitazione grande e signorile che intimidiva un po' anche me" dove si
svolgevano le riunioni femminili del Partito: "molto colta e di famiglia borghese era una zitella
attempata ma con un carattere dolce, calmo e riflessivo"
389
Ibid.
390
Secondo S. Noiret “Protagonismo delle masse e crisi dello stato liberale: riflessioni sul
massimalismo nel biennio rosso”, “Intersezioni”, 1988, n.2, il massimalismo nasce dall’incontro fra
un organizzatore politico d’estrazione piccolo borghese e di provenienza urbana con le masse
proletarizzate delle campagne
391
Del Carria Proletari senza rivoluzione, Milano, 1975, vol 1, pag. 232
L'assenza di quadri dirigenti di estrazione operaia, che pure abbiamo incontrato nelle pagine
precedenti, come i milanesi Celestino Ratti e Luigi Repossi, ci porta ad una seconda
considerazione, che deriva dalla preparazione scolastica: di fronte a un Fortichiari con licenza
tecnica (che corrispondeva al diploma di scuola media), abbiamo quattro maestri(Bitelli, Giudice,
Zanetta, Oddone), due con studi universitari non conclusi (Momigliano, Malatesta) due laureati in
legge(Riboldi e Buffoni), ciò che identifica un gruppo di persone per quel tempo acculturato,
requisito ritenuto necessario per dirigere Camere del lavoro e periodici di partito.
Alla carenza di preparazione scolastica del ceto operaio si era cercato di porre riparo con
l'istituzione di corsi di formazione per cooperatori e sindacalisti, organizzati in particolare dalla
Società Umanitaria di Milano; e nettamente diversa era la situazione dei quadri sindacali (che si
collocavano quasi tutti nell'area riformista): i responsabili nazionali delle federazioni di mestiere da
Rigola a Dell'Avalle a Buozzi e, a maggior ragione, quelli a livello locale sono di estrazione operaia.
La preparazione scolastica era invece considerata indispensabile come bagaglio culturale e anche
tecnico che consentiva di dirigere giornali, sia pure locali, ed organizzazioni complesse come
erano allora le Camere del lavoro, sulla cui realtà è necessario aprire una breve parentesi:
statutariamente nate per far incontrare la domanda e l'offerta di lavoro come uffici di collocamento,
si erano in effetti sviluppate come luogo fisico che conteneva tutte le organizzazioni proletarie di un
determinato territorio. La scelta del responsabile era decisa a livello locale tramite concorso e
rispecchiava l'orientamento politico del territorio (in Romagna i dirigenti erano repubblicani, ad
Ancona, La Spezia, Carrara anarchici) e non comportava solo compiti rivendicativi sindacali ma
aveva ancor più una funzione identitaria392
5. La componente femminile
Vogliamo a questo punto fare una riflessione sulle tre figure femminili: il loro impegno politico,
l’assunzione di responsabilità nel partito e nelle organizzazioni sindacali e economiche, già per il
solo fatto di operare in un contesto che non favoriva l’inserimento delle donne in politica sia per
l’organizzazione famigliare che per l’etica e la morale del tempo, giustifica ampiamente la
trattazione.
“In queste figure di militanti predomina una cultura del “fare”, della concretezza…(…)…viene posto
in primo piano il comunicare, il trasmettere. Molte di loro sono buone oratrici più che teoriche”393
Colpisce particolarmente la situazione di una di loro, la Giudice, madre di sette figli: ci si può
392
Si veda la suggestiva descrizione di Angelo Tasca, in “Nascita e avvento del fascismo” ed.
del 1950 (il brano non è stato ripubblicato nelle edizioni successive): “Nella Camera del lavoro e
nella Casa del popolo in cui quasi sempre aveva la sua sede,i lavoratori italiani vedevano assai più
che un semplice ufficio di difesa dei loro interessi immediati. Tutta o quasi la loro vita vi affluiva e vi
si concentrava: là si passava la domenica, là si acquistava nello spaccio cooperativo per non
portare il denaro ai “borghesi”, là si correva alla prima notizia che turbava o esaltava gli animi,
come nel Medioevo al Palazzo del Comune o alla Cattedrale. Si creava così, nel mondo ostile e
contro di esso, una specie di “corpus separatum” che a poco a poco avrebbe dovuto includere il
restante territorio dov’erano posti i capitali della speranza, i presentimenti di un nuovo ordine
sociale che a poco a poco si accrescevano, si precisavano”
393
L. Motti, Rita Majerotti. Il romanzo di una maestra, Roma, 1995
immaginare quanto la dedizione alla “causa” pesasse su di lei più che sui compagni di sesso
maschile.
Un altro aspetto che colpisce è la percentuale di donne politicamente e socialmente impegnate che
in questo “campione” abbiamo trovato: ben un terzo, molto più alta della media italiana di allora (e
anche di oggi).
La possibilità di portare a termine gli studi ed acquisire il diploma di maestra permette loro di
rendersi “indipendenti” dal punto di vista economico e di entrare in contatto con il mondo della
politica, del sindacato, della cultura, dell’editoria. Fondano riviste, pubblicano articoli, tengono
rubriche con i lettori. Partecipano a convegni in qualità di oratori e la loro mobilità sul territorio
nazionale, tenuto conto dell’epoca, è elevata.
E’ inoltre opportuno rilevare quanta importanza queste donne abbiano dedicato all’educazione
politica, intesa come capacità di comprensione di fenomeni complessi, in un’epoca in cui
l’alfabetizzazione delle masse era ancora lontana e i destinatari delle loro “lezioni politiche” erano
persone semplici che dovevano ricevere un messaggio chiaro.
Non dobbiamo dimenticare il loro impegno sociale: anticipatrici di uno “stato sociale” costruito dal
basso coglievano le essenziali necessità del popolo. Le privazioni, lo sfruttamento e la mancanza
di una tutela sul lavoro erano argomenti che venivano trattati nelle assemblee e nei comizi. E come
non riflettere sul loro pensiero “al femminile”; la loro particolare attenzione nei confronti delle donne
e delle loro problematiche, il lavoro, la famiglia, i figli, e l’impegno “affettivo” della perdita di mariti e
figli in guerra.
6. Conclusione
Per concludere, la generazione del 1875-'95 si politicizza nel pieno della modernizzazione
economica e sociale del paese, influenzata dalla critica al sistema politico liberale proveniente da
varie fonti (Salvemini, i seguaci italiani del sindacalismo rivoluzionario di Sorel…) e ciò differenzia
nettamente questa generazione da quella precedente, di matrice positivista oppure giunta al
socialismo per afflato evangelico e umanitario. Questa generazione394 partita contestando il
gradualismo riformista e il sistema politico giolittiano anche quando l'ambiente di provenienza (il
riformismo reggiano nel caso di Fortichiari, il progressismo evoluzionista in altri) avrebbe dovuto
indirizzarli altrimenti, dalla grande guerra, che rappresentò per tutti un momento cruciale di svolta,
è spinta con decisa accelerazione verso posizioni più conseguentemente rivoluzionarie, cui si
sarebbe di lì a poco aggiunto il mito di Lenin e la parola d’ordine di “fare come in Russia”.
L’avvento del fascismo determina con tempi e modalità differenti altri percorsi politici e di vita, non
sempre rettilinei: in alcuni il disimpegno, in altri il fiancheggiamento al regime quando sembrava
che non ci fossero più alternative, in altri ancora la fedeltà alle proprie idee nonostante le difficoltà.
Solo alcuni cenni per concludere sulla storia di questa corrente: il troncone di partito “massimalista”
che resta dopo le scissioni ed espulsioni intervenute dal 1921 al 1924 (dei comunisti, dei riformisti,
dei “terzini”) al momento della soppressione delle libertà statutarie, nel 1926, porta la direzione in
Francia, dove vivevano numerosi lavoratori simpatizzanti già stabilitisi sia per lavoro sia per
sfuggire alle persecuzioni fasciste, raggruppati in sezioni e federazioni regionali.
Una nuova scissione interviene di lì a poco: alla fusione con i riformisti del PSULI (al Congresso di
Marsiglia del 1930) voluta da Nenni e dai più noti esponenti dell’emigrazione non partecipa un
394
R.Wohl, La generazione del 1914, Milano, 1984
nucleo, di cui l’esponente più noto è Angelica Balabanoff, composto per lo più di militanti operai.395
Questo residuo partito, pur ridotto a piccole cifre (secondo un’informativa al capo della polizia
italiana del novembre 1934 gli iscritti effettivi sarebbero 684 di cui 60 a Parigi396) prosegue l’ attività
(6 congressi dal 1928 al 1937) fino alla guerra che ne segna la fine definitiva.
Nel secondo dopoguerra, anche se nel movimento operaio italiano l’ “animus” massimalista
persiste, il termine stesso è screditato e usato solo in contesti negativi.
Una riedizione di massimalismo socialista può essere considerato l’ esperienza del PSIUP (196372), nato dal confluire, all’interno e all’esterno del PSI, di varie tendenze (operista,
luxemburghiana) e forti personalità (Lelio Basso, Vittorio Foa, Emilio Lussu).
Ma questa è un’altra generazione e un’altra storia.
395
S.Sozzi, Il PSI massimalista ed Elmo Simoncini”, in “Antifascisti romagnoli in esilio”,
Firenze, 1983, pag.256
396
Ibid.