13-22 Tancredi - Infanzia e Adolescenza

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13-22 Tancredi - Infanzia e Adolescenza
infanzia
e
adolescenza
Vol. 7, n. 1, 2008
La diagnosi di autismo nella prima infanzia
e i disturbi della relazione e comunicazione nella CD:0-3R
RAFFAELLA TANCREDI1, FILIPPO MURATORI2
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IRCCS Stella Maris - Calambrone-Pisa
Università degli Studi di Pisa - IRCCS Stella Maris
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RIASSUNTO: Background: Il costrutto diagnostico dei Disturbi Multisistemici dello Sviluppo nella CD:03 è stato rivisto nella CD:0-3R alla luce degli studi recenti sull’autismo nei primi tre anni di vita, sulla stabilità della diagnosi fatta a questa età e sui problemi sollevati dall’incerto destino evolutivo dei DPSNAS. Obiettivo: Mettere in evidenza la complessità della diagnosi dei disturbi dello spettro autistico nella prima infanzia. Metodologia: Vengono criticamente esaminati i contributi sperimentali dedicati negli ultimi anni allo
studio dell’autismo e della sua evoluzione nei primi tre anni di vita, sia in popolazioni cliniche che in soggetti considerati a rischio in quanto fratelli di soggetti affetti. Discussione critica e conclusioni: Alla luce
degli studi presenti in letteratura viene discussa criticamente la decisione, assunta nella CD:0-3R, di limitare l’uso della diagnosi di Disturbo Multisistemico dello Sviluppo ai bambini di età inferiore ai 2 anni e vengono enucleate alcune raccomandazioni cliniche sulla diagnosi e il trattamento in questa fascia di età.
PAROLE CHIAVE: Autismo, Sviluppo, Diagnosi precoce, Disturbi multisistemici.
ABSTRACT: Background: Concept of Multisystemic Developmental Disorder was analysed within DC:03 and DC:0-3R focalising on news studies about first years of life in autistic children, stability of diagnosis
during that period of life, and problems linked with prognosis of subjects with PDD-NOS. Objective: The
purpose of this review is to point out the complexity in making diagnosis of severe developmental disorders during first years of life. Method: We examined most recent papers about first years of life in sample
with autistic subjects and subjects with high risk. Critical discussion and conclusions: We discuss the
guidelines made by DC:0-3R about diagnosis of Multisystemic Developmental Disorder and we analyse clinical suggest on treatment and diagnosis during first two years of life.
KEY WORDS: Autism, Development, Early Diagnosis, Multisystemic Developmental Disorders.
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non avevano un corrispettivo nel DSM, e di cui era necessario studiare l’evoluzione nel tempo (Emde, 2003).
In questo secondo gruppo rientrano i Disturbi della Regolazione (DR) e i Disturbi Multisistemici dello Sviluppo (DMSS). Tali quadri clinici sono stati posti in continuità l’uno con l’altro, in quanto i DMSS erano descritti come disturbi della relazione e comunicazione
secondari ad un disturbo della regolazione, a differenza dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) in cui il
deficit sociale è primario. La difficoltà di relazione presente nei DMSS non era considerata un deficit permanente e fisso; piuttosto era considerato transitorio e
mobile, soprattutto se trattato. Così definiti i DMSS andavano quindi intesi “non come DPS sottosoglia o parziali, ma piuttosto come Disturbi della Regolazione che
I Disturbi Multisistemici
La pubblicazione della CD:0-3, nel 1994 (Zero-to
Three, 1994), ha rappresentato un enorme passo avanti nella descrizione dei disturbi mentali della prima infanzia. Essa introduceva importanti novità rispetto ai sistemi diagnostici tradizionali, prevedendo un sistema
multiassiale in cui erano codificati oltre ai disturbi sull’asse I, anche la qualità della relazione fra il bambino
e i suoi caregiver, e il livello di sviluppo funzionaleemotivo raggiunto. Per quanto riguarda i disturbi sull’asse 1, la CD:0-3 intendeva rispondere al suo scopo
descrivendo, da una parte, criteri diagnostici appropriati al livello di sviluppo per i disturbi già presenti nel
DSM IV (APA, 1994), e dall’altra nuove sindromi, che
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numero speciale dedicato a tale classificazione del
Journal of Infant Mental Health, Emde (2003) annoverava fra i compiti da affrontare nel processo di revisione della classificazione proprio la risposta alla domanda se i DMSS “non siano la stessa cosa dei DPS”.
Nel successivo procedere della revisione della CD:03, l’utilità della categoria diagnostica dei DMSS è stata
molto discussa fra gli esperti consultati dalla Task Force. Nonostante alcuni segnalassero la mancanza di evidenze a supporto di una categoria diagnostica effettivamente diversa da quella dei DPS, un certo numero di
clinici continuava a segnalarne l’utilità. Come soluzione di compromesso la CD:0-3R (Zero-to Three, 2005)
consente l’uso dell’etichetta diagnostica di DMSS solo
per bambini di età inferiore ai 2 anni, ritenendo che per
descrivere i disturbi della relazione e della comunicazione in bambini di età superiore ai due anni sia sufficiente la categoria dei DPS e del nuovo concetto di Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) che nel frattempo
si era andato affermando. Tale decisione rientra peraltro nello sforzo generale della CD:0-3R di andare, con
più decisione, nella direzione di una integrazione, e
non di una sostituzione, dei sistemi di classificazione
esistenti, fornendo criteri appropriati sulla base del livello di sviluppo per gli stessi disturbi descritti nel DSM
IV, cercando di integrare in quest’ultimo anche i suggerimenti per la prima infanzia e per l’età prescolare della Task Force della American Academy of Child and
Adolescent Psychiatry (RDC-PA Task Force, 2003).
Per quanto riguarda la diagnosi di DMSS nei primi
due anni di vita la CD:0-3R non descrive quadri clinici distinti ma fa riferimento ad una compromissione di
intensità variabile in 4 aree: competenze relazionali
(sociali ed emotive), competenze comunicative (verbali e non verbali), processazione sensoriale, pianificazione motoria. La classificazione prende comunque
atto della possibilità di diagnosticare la presenza di un
DPS anche prima dei due anni di età e della obbligatorietà di porre tale diagnosi a partire dal secondo
compleanno, invitando il clinico a porre tale diagnosi
seguendo i criteri diagnostici previsti dal DSM-IV.
comportano importanti difficoltà nell’ambito delle condotte sociali e comunicative, tanto da farli somigliare ai
DPS” (Muratori, Cosenza e Parrini, 2001).
I criteri di diagnosi differenziale fra DPS e DMSS per
quanto apparentemente lineari, risultavano tuttavia fin
dall’inizio non del tutto accettabili sul piano concettuale. Si confrontavano infatti quadri clinici descritti in sistemi di classificazione profondamente diversi l’uno
dall’altro: basata su criteri unicamente descrittivi, la
classificazione del DSM IV; ricca di ipotesi patogenetiche, di una organizzazione dei dati in senso evolutivo e di implicazioni sul piano terapeutico e preventivo, la CD:0-3.
Lo scopo della descrizione dettagliata di diversi pattern comportamentali precoci nei DMSS era quello di
allargare la nostra conoscenza dei difetti sociali nei primi anni di vita, apportando dati utili sia alla conoscenza delle traiettorie evolutive che alla comprensione di
quadri psicopatologici di confine rispetto all’autismo
classico. Tuttavia la descrizione dei DMSS nella CD:03 era sostanzialmente “priva di basi empiriche” (Volkmar, Chawarska e Klin, 2005): mancano in essa algoritmi diagnostici precisi e i casi descritti appaiono “indistinguibili rispetto al disturbo autistico… a parte
l’accento posto sulle difficoltà di elaborazione sensoriale” (Scheeringa, 2001). Secondo Scheeringa l’etichetta diagnostica rispondeva al bisogno di “rinominare l’intero continuum autistico con un termine meno
negativo” e di integrare nella diagnosi il ruolo centrale attribuito da S. Greenspan e S. Weider (1998) alle
difficoltà di elaborazione sensoriale nella genesi dei
disturbi dello sviluppo. Del resto l’intera cornice teorica della CD:0-3 ruota intorno al concetto di disturbi
di regolazione (Guedeney e Maestro, 2003).
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Dalla CD:0-3 alla CD:0-3R
Benché le conoscenze a proposito delle manifestazioni precoci dei disturbi autistici e della relativa sensibilità del deficit socio-comunicativo agli interventi terapeutici precoci siano andate aumentando esponenzialmente in questi anni, non siamo ancora in grado,
ad oggi, di indicare quali deficit alla base dell’autismo
siano “unici”, piuttosto che comuni a vari disturbi,
“specifici”, piuttosto che generali, “universali”, cioè presenti in tutti i soggetti malati (Sigman, Spence e Wang,
2006). Ciò ha ulteriormente messo in discussione la
possibilità di distinguere tra DPS e DMSS sulle basi
enunciate dalla CD:0-3. Nel suo articolo di commento
agli studi clinici condotti con la CD:0-3 presentati nel
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Disturbo autistico precoce e criteri DSM
I criteri del DSM-IV non sono del tutto adeguati al
livello di sviluppo di bambini di età inferiore ai tre anni: essi infatti sono stati selezionati in quanto, negli studi sul campo, confluivano in un algoritmo diagnostico
che dimostrava un buon equilibrio fra sensibilità e specificità quando applicato a bambini di età compresa fra
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R. Tancredi, F. Muratori: Autismo nella prima infanzia e disturbi della relazione e comunicazione nella CD:0-3R
i tre e i cinque anni. Analoghi studi non sono stati condotti su larga scala in bambini più piccoli, per i quali
alcuni dei criteri diagnostici sono chiaramente non applicabili. Questo compito, del resto, si prospetta come
particolarmente difficile, per l’influenza tumultuosa, in
questa fascia di età, delle dinamiche evolutive sulla
espressività sintomatologica. Attualmente il problema,
dal punto di vista della diagnosi precoce, non è tanto
quello di differenziare l’autismo dallo sviluppo tipico studi retrospettivi sui filmati familiari mettono infatti in
evidenza anomalie riconoscibili nello sviluppo sociocomunicativo già prima dei nove mesi di vita (Maestro,
Muratori, Cesari, Cavallaro, Paziente, Pecini, Grassi,
Manfredi e Sommario, 2005) - quanto quello di studiare le traiettorie evolutive dei deficit socio-comunicativi precoci verificando la stabilità della diagnosi nel
tempo. Studiare le traiettorie evolutive è essenziale anche per l’impostazione dei programmi di screening. A
questo proposito è importante tener presente due evidenze: 1) che gli studi sulla stabilità diagnostica segnalano in un certo numero di casi la ‘guarigione’ a tre anni, di bambini che a 2 avevano ricevuto la diagnosi di
DSA; 2) che gli studi sulle modalità di esordio segnalano nel secondo anno di vita l’emergere di deficit socio-comunicativi in bambini che apparivano del tutto
sani nel corso del loro primo anno di vita. Ne consegue l’opportunità, sul piano preventivo e dell’utilizzo di
strumenti di screening, di continuare i controlli sullo
sviluppo almeno per tutto il secondo anno di vita.
Gli studi sulla evoluzione dell’autismo nei primi anni di vita sono difficilmente confrontabili tra loro perché si differenziano per metodologia, popolazioni e
variabili indagate. Rispetto agli studi tradizionali condotti con metodi retrospettivi (interviste ai genitori, filmati familiari) gli studi prospettici condotti su soggetti considerati a rischio, in quanto fratelli di soggetti affetti, appaiono particolarmente promettenti non solo ai
fini dell’individuazione di indici diagnostici e prognostici precoci, ma anche ai fini dell’evidenziazione, nell’autismo ‘statu nascendi’, dei meccanismi potenzialmente in grado di mettere in moto la cascata di eventi che porterà al quadro comportamentale completo.
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Roberts, Brian e Szatmari, 2005), sono state trovate anomalie già nel primo anno di vita sia negli aspetti comportamentali e nelle risposte alle prove di shifting attentivo, che nelle misure del temperamento e dello sviluppo delle funzioni comunicative. Flanagan e Landa
(2007) hanno trovato che i fratelli di bambini con autismo che più tardi ricevevano diagnosi di DPS, a 6 mesi manifestavano anomalie sul piano motorio. Durante
i primi mesi di vita le anomalie comunque risultavano
variabili e in alcuni casi erano del tutto assenti. Landa e
Garrett-Mayer (2006) hanno visto che i fratelli che più
tardi ricevono diagnosi di autismo, a 6 mesi non mostravano un profilo di sviluppo diverso da quello di bambini con sviluppo tipico o con ritardo del linguaggio; a
14 mesi però questi stessi bambini con DPS presentavano già un profilo di sviluppo significativamente compromesso rispetto ai bambini con sviluppo tipico (ad eccezione della recezione visiva), ma non si differenziavano
dai bambini con Disturbo del linguaggio fino ai 24 mesi (epoca in cui rispetto a questi mostrano una maggiore compromissione sul piano motorio e nella comprensione del linguaggio). Successivamente, nel corso
del secondo anno di vita i fratelli che sviluppavano un
DPS mostravano un significativo appiattimento della
curva di sviluppo sia rispetto ai bambini con sviluppo
tipico che a quelli con Disturbo del linguaggio.
Particolare interesse rivestono gli studi condotti sui
comportamenti socio-comunicativi ed affettivi dei bambini a rischio. Lo studio di Yirmiya, Gamliel, Pilowsky,
Feldman, Baron Cohen e Sigman (2006) sulla risposta
al paradigma della ‘still face’ mostra che i bambini a rischio di autismo dimostrano a 4 mesi una minore frequenza della reazione affettiva negativa rispetto ai controlli non a rischio. Lo studio di Merin, Young, Ozonoff
e Rogers (2007) non ha però replicato i risultati dello
studio di Yirmiya sulla risposta alla still face; utilizzando la metodologia dell’eye tracking, ha però rilevato
una ridotta direzionalità dello sguardo verso gli occhi
della madre ed un aumento della direzionalità verso la
bocca. Per quanto promettenti, gli studi condotti su
soggetti a rischio forniscono risultati che vanno considerati con prudenza, in quanto si riferiscono a soggetti per i quali non sempre sono già disponibili followup condotti fino ad una età in cui è possibile stabilire
una diagnosi certa e ragionevolmente stabile.
Gli studi su popolazioni a rischio costituite
da fratelli di bambini con autismo
In uno studio sui fratelli di bambini già diagnosticati
come affetti da autismo, e che secondo gli studi di genetica costituiscono una popolazione a rischio per lo
sviluppo di un DSA (Zwageinbaum, Bryson, Rogers,
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Studi su popolazioni cliniche
Gli studi sulla stabilità della diagnosi in popolazioni di bambini molto piccoli hanno dato risultati discor15
Infanzia e adolescenza, 7, 1, 2008
lità diagnostica (80%) all’interno dei DSA: dei bambini con diagnosi di autismo il 70% manteneva la stessa
diagnosi, il 15% riceveva una diagnosi di DPSNAS, il
9% una diagnosi di ritardo di sviluppo, e il 6% non riceveva alcuna diagnosi; fra i bambini che avevano ricevuto la diagnosi di DPSNAS il 33% manteneva la
stessa diagnosi, un altro 33% usciva dallo spettro, il
20% non riceveva alcuna diagnosi, e il 13% riceveva
una diagnosi di autismo. Complessivamente l’85% dei
bambini che avevano ricevuto a 2 anni la diagnosi di
autismo (e solo il 47% dei bambini con diagnosi di
DPSNAS) ricevevano a 4 anni una diagnosi comunque
riferibile allo spettro.
La stabilità della diagnosi fatta a 2 anni si ritrova anche in follow -up di più lunga durata: fra i 2 e i 7 anni (Charman, Taylor, Drew, Cockerill, Brown e Baird,
2005) e fra i 2 e i 9 anni (Lord, Risi, Di Lavore, Shulman, Thurm e Pickles, 2006; Turner, Stone, Pozdol e
Coonrod, 2006). Anche in questi casi tuttavia una percentuale che si aggira fra il 10% e il 15% dei casi diagnosticati come DPS a 2 anni, esce dallo spettro nel
corso dello sviluppo. I cambiamenti maggiori si osservano comunque tra i 2 e i 5 anni (Lord et al., 2006).
In direzione opposta vanno i risultati di uno studio
recente di Turner e Stone (2007) i quali hanno riscontrato una instabilità diagnostica maggiore di quella riportata in studi precedenti anche condotti dal loro
stesso gruppo (Turner et al., 2006). In questo più recente studio, solo il 68% dei bambini che avevano ricevuto una diagnosi di autismo fra i 2 e i 3 anni e il
40% dei bambini con diagnosi di DPSNAS, ricevevano
la stessa diagnosi a 4 anni. In particolare, la diagnosi
era meno stabile quando veniva posta per bambini di
età inferiore a 30 mesi, con sintomi più lievi e livello
cognitivo più elevato. Gli Autori discutono nel dettaglio le possibili spiegazioni di un dato così poco incoraggiante ai fini della diagnosi precoce rispetto a
quanto riportato in studi precedenti. I bambini erano
inseriti in programmi terapeutici specifici (il cui effetto non era valutabile perché lo studio non era stato disegnato a questo scopo) ma gli Autori non escludono
che, grazie alle più diffuse conoscenze sull’autismo,
arrivino oggi a consultazione precoce bambini meno
compromessi rispetto a quelli che arrivavano in passato, e quindi destinati ad un recupero spontaneo almeno parziale. I bambini che in questo studio a 4 anni non ricevono più diagnosi di DPS, manifestano comunque ritardi di sviluppo o disturbi del linguaggio.
Le conclusioni che gli Autori traggono da questi risultati si traducono in vere e proprie raccomandazioni sul
piano clinico. I clinici che comunicano la diagnosi ai
danti. Circa un terzo dei bambini che intorno al primo
compleanno manifestano segni di deficit socio-comunicativi compatibili con una diagnosi di DPS mostrano una spiccata instabilità diagnostica (Landa, 2005).
Due studi importanti hanno invece evidenziato una
buona stabilità a breve termine della diagnosi fatta intorno ai 20 mesi (Cox, Charman, Baron-Cohen, Drew,
Klein, Baird, Swettenham e Wheelwright, 1999;
Chawarska, Klin, Paul e Volkmar, 2007). In particolare il più recente studio di Chawarska è interessante
perché, a differenza di quanto riscontrato negli studi
precedenti, dimostra una buona stabilità diagnostica
fra la diagnosi fatta a due anni e la diagnosi fatta a tre
anche per i bambini con DPSNAS, che presentano un
pattern sintomatologico differente rispetto ai bambini
con diagnosi di autismo. Si tratta infatti di bambini che
più facilmente si impegnano in scambi diadici, mostrano emergenti competenze socio-comunicative, hanno
più frequenti vocalizzazioni ed espressioni facciali dirette ad altri, possono presentare sorriso sociale e condivisione del divertimento, vi è una più frequente integrazione dello sguardo con altri canali comunicativi,
vi sono più frequenti iniziative di attenzione condivisa, e hanno meno manierismi motori e interessi sensoriali anomali. Queste caratteristiche non si differenziano molto dalla descrizione che viene fatta di DMSS
la cui identificazione ha d’altronde preso origine proprio dal volere esplorare quel contenitore clinico abbastanza eterogeneo costituito dai DPSNAS. Il pattern
sintomatologico identificato nei bambini di due anni
ricalca quanto osservabile nei bambini più grandi con
diagnosi di DPSNAS (Walker, Thompson, Zwaigenbaum, Goldberg, Bryson, Mahoney, Strawbridge e
Szatmari, 2004). Fra i due e i tre anni in entrambi i
gruppi (autismo e DPSNAS) si osserva un miglioramento nelle risposte all’attenzione condivisa che però
non si accompagna ad un miglioramento nelle iniziative di attenzione condivisa. Non è tuttora chiaro se
questo miglioramento delle risposte sia da attribuire
ad una risposta condizionata che viene acquisita nel
corso del trattamento e a cui non corrisponde una autentica comprensione del significato del valore comunicativo dello sguardo e dei gesti. Non si osserva invece in questa fascia di età un incremento delle stereotipie, che sono riferibili alla terza area sintomatologia,
e diventano chiare solo ad una età successiva verso i
4 anni.
Un altro studio (Kleinman, Ventola, Pandey, Verbalis, Barton, Hodgson, Green, Dumont-Mathieu, Robins
e Fein, 2008) ha confrontato la diagnosi a 2 anni e la
diagnosi a 4/5 anni, ed ha trovato una relativa stabi16
R. Tancredi, F. Muratori: Autismo nella prima infanzia e disturbi della relazione e comunicazione nella CD:0-3R
genitori di bambini piccoli devono informarli della
possibilità che la diagnosi cambi, e che questo vale soprattutto per i bambini di età inferiore ai 30 mesi, con
sintomi più lievi e livello cognitivo meno compromesso. È necessario seguire tali bambini con follow-up
ravvicinati per valutare se il programma di intervento
è sempre adeguato alla diagnosi e al livello di sviluppo raggiunto. Infine i risultati di tali studi invitano ad
usare cautela nell’interpretazione dei dati relativi all’efficacia degli interventi terapeutici precoci. Tale cautela appare ancora più necessaria alla luce dei risultati
di uno studio di Sutera e collaboratori (Sutera, Pandey,
Esser, Rosenthal, Wilson, Barton, Green, Hodgson,
Robins, Dumont-Mathieu e Fein, 2007) in cui un certo numero di bambini che avevano ricevuto la diagnosi di DPS a 2 anni, a 4 anni non ricevevano più alcuna diagnosi; si trattava del 39% dei bambini che avevano ricevuto una diagnosi di DPSNAS e dell’11% dei
bambini che avevano ricevuto una diagnosi di autismo. Il dato sorprendente di questo studio, è che i
bambini che a 4 anni apparivano ‘guariti’ non si differenziavano significativamente all’età di 2 anni dai coetanei che a 4 anni continuavano ad avere la stessa diagnosi, se non per il fatto che la diagnosi era più frequentemente di DPSNAS e per il migliore livello
motorio.
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volta controllato il livello di sviluppo del linguaggio
solo quattro degli item della M-CHAT rimangono significativamente differenti: si tratta di pointing richiestivi,
pointing dichiarativo, risposta al nome, capacità di seguire il gesto indicativo. Il fatto che solo pochi item
differenzino i bambini con DPS dai bambini con altri
disturbi di sviluppo, una volta che sia controllato il livello di sviluppo del linguaggio, indica che alcune
delle differenze tra popolazioni cliniche diverse sono
legate unicamente al livello di sviluppo del linguaggio.
Il più evidente deficit di competenze di attenzione
condivisa nei bambini con DPS rispetto ad altri disturbi dello sviluppo è generalmente rilevato in tutti gli
studi sull’argomento (Wetherby, Woods, Allen, Cleary,
Dickinson e Lord, 2004). Per esempio in un altro studio (Wetherby, Watt, Morgan e Shumway, 2006) sono
stati studiati in dettaglio i profili socio-comunicativi
nella seconda metà del secondo anno di vita, e le loro correlazioni con la gravità dell’autismo e con la
compromissione dello sviluppo a tre anni. In questo
studio è stato trovato che i bambini con DPS differiscono significativamente dai bambini con ritardo di
sviluppo per cinque degli item selezionati: shift dello
sguardo, seguire lo sguardo e il gesto indicativo, frequenza della comunicazione, iniziativa di attenzione
condivisa, repertorio gestuale. Questi stessi autori, sulla base degli item predittivi della gravità dell’autismo
a 3 anni hanno descritto quindi cinque competenze
‘cardine’ (pivot) che rappresenterebbero il fenotipo
socio-comunicativo nel secondo anno di vita: 1) iniziativa comunicativa; 2) comportamenti convenzionali; 3)
rappresentazione; 4) riferimento sociale; 5) frequenza
della comunicazione. Rispetto alla centralità dei deficit a livello dell’attenzione condivisa sono da notare i
risultati di un altro studio (Trillingsgaard, Sorensen,
Nemec, Jorgensen, 2005) che, sulla base di una intervista ai genitori, ha trovato differenze significative fra
DPS e altri disturbi di sviluppo (ritardo di sviluppo, ritardo del linguaggio, iperattività) solo per tre item. In
particolare i genitori di bambini con altri disturbi dello sviluppo segnalano più frequentemente difficoltà
nel consolare i bambini nei primi mesi di vita (cosa
che può considerarsi espressione di maggiori disturbi
di regolazione in questo gruppo). Al contrario i genitori di bambini con DPS segnalano più frequentemente la presenza di movimenti ripetitivi e stereotipi nel
secondo anno di vita. In questo stesso studio, all’osservazione clinica non tutti gli item che riguardano lo sviluppo socio-comunicativo differenziano in modo significativo i due gruppi, in particolare non sono significativamente differenti i comportamenti, sia verbali
DMSS, DPS e Disturbi di Sviluppo
La variabilità dei risultati degli studi sulla stabilità
diagnostica devono essere letti alla luce del fatto che
lo strumento più affidabile in questa fascia di età è
considerato il giudizio clinico ‘basato su un corpus di
conoscenze che è più ampio di quello previsto dalle
linee guida’ (Volkmar et al., 2005). La maggior parte
degli studi è condotta da gruppi di clinici esperti che
utilizzano sia il giudizio clinico che i dati derivanti da
valutazioni diagnostiche standardizzate. Non si deve
pensare che la stabilità della diagnosi verificata da
gruppi di esperti sia trasferibile senza problemi in contesti clinici di diversa esperienza. Un aspetto critico è
quello relativo alla differenziazione precoce dei DPS
rispetto ai disturbi dello sviluppo di altro genere. Bambini di età compresa fra i 16 e i 32 mesi con ritardi di
sviluppo o disturbo del linguaggio presentano un punteggio patologico quando valutati con uno strumento
di screening per l’autismo come ad esempio la MCHAT (Ventola, Kleinman, Pandey, Wilson, Esser,
Boorstein e Dumont–Mathieu, 2007). Tuttavia, i bambini con DPS riportano punteggi più patologici e una
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ta anomalie più o meno evidenti nello sviluppo sociale già nel primo anno di vita (Maestro, Casella, Milone, Muratori e Palacio Espasa, 1999; Maestro, Muratori, Cesari, Pecini, Apicella e Stern, 2006). Come suggeriscono Werner et al. (2005) occorre distinguere la
modalità di esordio (esordio precoce, nel primo anno
di vita, o tardivo, tra i 12 e i 18 mesi) dal fenomeno
della regressione con perdita vera e propria di competenze. I due fenomeni non vanno confusi perché un
bambino che ha una regressione vera e propria può
essere stato o no asintomatico nel primo anno di vita.
La maggior parte degli studi sull’esordio dell’autismo si è focalizzata sull’emergere del deficit nell’area
socio-comunicativa, probabilmente a causa della più
tardiva evidenza dei comportamenti ristretti e ripetitivi. Generalmente gli studi su questa terza area sintomatologica segnalano la scarsità dei sintomi nei bambini nel secondo (Cox et al., 1999) e nel terzo anno di
vita (Stone, Lee Ashford, Brissie, Hepburn, Coonrod e
Weiss, 1999). Tuttavia Lord (Lord et al., 2006) segnala
che già a due anni è possibile mettere in evidenza un
interessamento della terza area all’interno della quale
viene suggerito di distinguere due fattori: un fattore
sensomotorio (manierismi motori, uso ripetitivo degli
oggetti, uso anomalo dei canali sensoriali) ed un fattore connesso alle difficoltà al cambiamento. Moore e
Goodson (2003) hanno trovato una maggiore presenza di sintomi della terza area nei soggetti con DPS di
2 anni, rispetto ai bambini con sviluppo tipico e con
ritardo di sviluppo, ma tale differenza riguarda solo i
sintomi che rientrano nel fattore sensomotorio, e non
quelli che rientrano nel fattore connesso alle difficoltà
al cambiamento.
che non verbali, riferibili a competenze di attenzione
condivisa. Al contrario i due gruppi si differenziano
per la assenza nei DPS di comportamenti richiestivi.
Questo dato richiama l’attenzione sull’importanza di
leggere l’assenza delle condotte di attenzione condivisa alla luce del più generale livello di sviluppo del
bambino; sembrerebbe infatti che entrambi i gruppi
che fanno parte di questo campione non avessero
raggiunto il livello di sviluppo necessario a sostenere
la presenza di comportamenti dichiarativi.
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Il problema dell’esordio dei DPS
Nell’ambito di uno studio finalizzato a mettere in
evidenza le modalità di esordio dei DPS attraverso
una intervista semistrutturata, modificata con la tecnica LIFE per migliorare il ricordo dei genitori, Werner,
Dawson, Munson e Osterling (2005) hanno confrontato bambini con DPS, bambini con sviluppo tipico e
bambini con ritardo di sviluppo. Fino ai 13-15 mesi i
genitori di bambini con DPS descrivono maggiori sintomi nell’area sociale rispetto ai bambini con sviluppo
tipico, ma non rispetto ai bambini con ritardo di sviluppo. Similmente riportano maggiori sintomi nell’area
della comunicazione e degli interessi stereotipati fin
dall’inizio rispetto ai bambini con sviluppo tipico, ma
solo dai 16-18 mesi nell’area degli interessi ristretti e
stereotipati, e dai 19-21 mesi per l’area della comunicazione, rispetto ai bambini con ritardo di sviluppo.
Inoltre riportano fin dall’inizio più sintomi indicativi di
un disturbo di regolazione rispetto ai bambini con
sviluppo tipico, ma non rispetto ai bambini con ritardo di sviluppo, perlomeno fino ai 2 anni. In sintesi i
risultati di questo studio dicono che: alcuni sintomi associati con l’autismo emergono molto precocemente
(almeno a 3-6 mesi) ma che differenze specifiche fra
DPS e ritardi di sviluppo emergono solo successivamente nel secondo anno di vita, e sono soprattutto relative a sintomi nell’area sociale come l’assente risposta al nome e la mancanza di contatto visivo. Circa il
25% dei soggetti con DPS è riportato come asintomatico a 10-12 mesi.
Un’ampia letteratura sull’autismo è dedicata al problema dell’esordio regressivo, con perdita di competenze nel secondo anno di vita. La frequenza di tale
forma di esordio varia a seconda dei criteri più o meno stringenti con cui viene definita la regressione. Gli
studi convergono comunque nel confermare l’esistenza del fenomeno della regressione, anche se in alcuni casi questa si manifesta in un bambino che presen-
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DPS, disturbi attentivi e disturbi
di regolazione
Per quanto numerosi, gli studi sulla stabilità diagnostica dell’autismo non si interrogano particolarmente
sull’evoluzione psicopatologica dei bambini per i quali lo studio longitudinale non conferma la diagnosi di
DPS ricevuta a 2 anni. Uno studio di Kelley, Paul,
Fein e Naigles (2006) mostra in questi bambini residue sottili anomalie nel linguaggio. Lo studio di Fein,
Dixon, Paul e Levin (2005) è uno dei pochi che entra
maggiormente nel merito di questo problema descrivendo caratteristiche residue di deficit sociale di marca non autistica; in questo studio i bambini che nel
corso dello sviluppo escono dallo spettro, possono
presentare una sindrome da deficit di attenzione e
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R. Tancredi, F. Muratori: Autismo nella prima infanzia e disturbi della relazione e comunicazione nella CD:0-3R
iperattività ed apparire sul piano della condotta sociale ‘impulsivi, immaturi e goffi’ piuttosto che ‘strani o
isolati’. Sul piano teorico gli autori avanzano diverse
ipotesi: la prima ipotesi è che i casi descritti presentino comorbidità fra ADHD e DPS e che il deficit attentivo diventi più evidente una volta che si sia ridotto il
deficit sociale. Un’altra possibilità è che questi bambini abbiano una forma grave di ADHD che si manifesta precocemente come DPS. La terza ipotesi è che il
disturbo attentivo presente nei DPS sia più resistente
ai trattamenti precoci rispetto alla compromissione sociale. Gli Autori riprendono l’ipotesi di Kinsbourne
(1991) sulla centralità del deficit attentivo nell’autismo, per cui ADHD e DPS si collocherebbero lungo
un continuum nella dimensione della disregolazione
dell’attenzione e della modulazione dell’arousal. Kinsbourne ha presentato uno dei pochi modelli teorici in
grado di mettere in relazione l’ADHD con l’autismo.
Egli ha postulato una sindrome che include aspetti sia
dello spettro autistico che dell’ADHD: il cosiddetto
bambino ‘iperfocalizzato’ (overfocused) caratterizzato
da attenzione focalizzata e ritiro sociale. Questa sindrome è vista come un set di comportamenti utili per
difendersi contro un instabile sistema dell’arousal. Il
bambino iperfocalizzato può avere interessi ristretti e
stereotipati, movimenti ripetitivi e deficit sociale ma
non ha disturbi né del linguaggio né dell’intelligenza
ed è capace di caldi attaccamenti sociali. Un altro quadro clinico nel quale deficit attentivo e deficit sociale
vanno insieme è il DAMP (deficit nell’attenzione, nel
controllo motorio e nella percezione) descritto da Gillberg (2003).
La possibilità che ADHD e DPS si collochino lungo
un continuum ci riporta alla questione dei rapporti fra
disturbi della relazione e della comunicazione e disturbi della regolazione, dei quali è stato studiato, anche
se con risultati variabili, il valore predittivo nei confronti dell’ADHD (Becker, Holtmann, Laucht e Schmidt, 2004). Il concetto di regolazione è un concetto
che proviene dalla pediatria, anche se i disturbi di regolazione intesi come categoria diagnostica discreta
sono stati introdotti solo dalla CD:0-3. Esso ha ricevuto molte definizioni differenti a seconda del punto di
vista teorico con cui è studiato. Lo sviluppo dei meccanismi di autoregolazione viene comunque considerato il legame cruciale fra le predisposizioni genetiche
e le esperienze relazionali, in quanto lo sviluppo ontogenetico dei regolatori biologici è assicurato dal funzionamento della diade madre-bambino. Per alcuni,
da un punto di vista neuropsicologico il fattore comune sottostante a tutte le forme di autoregolazione an-
drebbe riconosciuto nell’aspetto esecutivo dell’attenzione (Berger, Kofman, Livneh e Henik, 2007), per
quanto non manchino approcci teorici alternativi nello stesso ambito neuropsicologico che, per esempio,
sottolineano l’importanza della working memory (Davidson, Amso, Anderson e Diamond, 2006). L’orientamento dell’attenzione contribuirebbe in modo significativo a modulare il livello di arousal (Harman, Rothbart e Poster, 1997).
Per quanto riguarda i rapporti fra disturbi di regolazione e DPS un recente lavoro ha studiato gli aspetti temperamentali (Bryson, Zwaigenbaum, Roberts,
Szatmari, Rombough e McDermott, 2007) di 9 bambini ‘a rischio’ che hanno poi ricevuto a 3 anni la diagnosi di DPS. Il lavoro ha studiato non solo l’esordio,
la gravità della sintomatologia clinica e l’eventuale deterioramento sul piano cognitivo, ma anche il temperamento e l’atipia sensoriale e motoria. Gli autori individuano due profili di sviluppo: in un gruppo i sintomi autistici compaiono più precocemente e si
osserva un deterioramento del funzionamento cognitivo fra i 12 e i 36 mesi; nell’altro gruppo i sintomi autistici si manifestano più tardivamente e non si osserva un deterioramento sul piano cognitivo. Entrambi i
gruppi presentano marcata irritabilità e disturbi della
regolazione. La questione se un particolare profilo
temperamentale è associato o precede l’emergenza di
sintomi autistici non è del tutto chiara; alcuni bambini sono inizialmente più passivi e ‘facili’, e con l’emergenza della sintomatologia autistica cambiano e diventano irritabili e difficili da consolare; in altri bambini il
temperamento difficile era evidente fin dai 6 mesi e
peggiorava con l’emergenza della sintomatologia autistica. Una caratteristica che gli autori hanno riscontrato in tutti i 9 bambini era l’assenza di flessibilità dell’attenzione, coerente con l’ipotesi di una disfunzione
esecutiva nell’autismo; tale tratto fa sembrare che il
bambino diventi sempre più sensibilizzato a varie forme di stimolazione e che questo giochi un ruolo, non
necessariamente causale, nella loro diminuita responsività (Bryson et al., 2007). Non è possibile in questa
sede entrare ulteriormente nel merito di questi problemi, che evidentemente segnalano quanto rimanga
aperta in età precoce la questione della eterogeneità,
sia sul piano clinico che patogenetico, dei disturbi socio-comunicativi. Per una revisione dell’argomento si
rimanda a Scheeringa (2001) il quale tratta criticamente i diversi costrutti diagnostici descritti per dar conto
di tale eterogeneità.
I dati derivanti da questi studi attendono ancora di
essere affidabilmente operazionalizzati in criteri dia19
Infanzia e adolescenza, 7, 1, 2008
di sotto del quale è ancora consentita la diagnosi di
DMSS. Da una parte non si vorrebbe che tale etichetta diagnostica venisse usata come passe partout per
tutti i bambini di età inferiore ai due anni, compresi
quelli che presentano un quadro di autismo conclamato. Dall’altra, occorre tener presente che benché la diagnosi di autismo fatta fra i due e i tre anni possa considerarsi relativamente stabile, essa, in una percentuale di bambini variabile a seconda degli studi, non
viene riconfermata a quattro anni. Questo vale soprattutto per i bambini di età inferiore ai 30 mesi, con diagnosi di DPSNAS, e con livello cognitivo più elevato.
Particolare attenzione va posta ai risultati degli studi
più recenti che, almeno in qualche caso, segnalano la
possibilità che l’outcome dei bambini che rientrano
nelle casistiche attuali sia diversa, generalmente migliore, di quanto non si ritenesse in passato, presumibilmente anche per l’avvio di programmi di trattamento tempestivi. Peraltro, l’instabilità diagnostica va vista
non solo in senso migliorativo (bambini che escono
dallo spettro autistico) ma anche nel senso inverso
(bambini con DPSNAS che ricevono più tardi una diagnosi di autismo). Ad un altro livello i deficit di attenzione condivisa, considerati un marker diagnostico assolutamente tipico dell’autismo, debbono essere comunque interpretati alla luce del più globale livello di
sviluppo. Un aspetto degli studi qui descritti, e nel
quale non siamo entrati per brevità, è riferibile alla valutazione critica che gli Autori hanno fatto in merito all’uso di strumenti diagnostici e alla valorizzazione del
giudizio clinico come gold standard in questa fascia di
età. Derivano da questi studi importanti raccomandazioni cliniche, in merito all’opportunità di integrare, in
un giudizio clinico esperto, i dati provenienti da una
valutazione multidisciplinare e dall’uso di strumenti
standardizzati, per arrivare ad una formulazione diagnostica in cui, la parola autismo, se si ritiene necessario usarla, perda l’abituale significato di “catastrofe”
e si accompagni piuttosto ad indicazioni terapeutiche
tempestivamente applicate.
gnostici che siano adeguati al livello di sviluppo. La
prognosi per i bambini che ricevono una diagnosi di
DPS prima dei tre anni rimane incerta ma, suggerisce
Landa (2008), “piuttosto che concentrarsi sulla prognosi i clinici dovrebbero focalizzarsi sul fornire interventi appropriati e continuare il follow-up”. Piani di intervento appropriati non possono tuttavia prescindere
dalla descrizione di profili individuali che catturino il
funzionamento eterogeneo che bambini con la stessa
diagnosi possono avere. Particolarmente impegnata
in questa direzione è la posizione dell’Interdisciplinary
Council on Devolopmental and Learning Disorders
(ICDLD, 2005), che permane fortemente influenzata
dal pensiero di S. Greenspan in merito alla centralità
dei disturbi della regolazione nella psicopatologia infantile. Nel Diagnostic Manual for Infancy and Early
Childhood (ICDLD, 2005) i Disturbi Neuroevolutivi
della Relazione e della Comunicazione vengono descritti in modo unitario comprendendo al loro interno
sia i DPS che i DMSS. In tal modo S. Greenspan, a cui
si deve la introduzione del concetto di DMSS, corregge l’incertezza, che rischiava di diventare talora confusione, concettuale e pratica, provocata dalla netta
differenziazione tra DMSS e DPS sostenuta dalla CD:03 e mitigata, anche se ancora presente, nella CD:0-3R.
I disturbi neuroevolutivi della relazione e comunicazione vengono differenziati fra loro per livello generale di funzionamento sociale, intellettuale ed emotivo, e per profilo sensoriale associato. A tali profili si
può fare riferimento per avviare programmi di intervento terapeutico specifico basati sul modello DIR.
Tale classificazione presenta tutte le debolezze e le difficoltà legate ad un impianto fortemente teorico, con
limitate basi empiriche; essa tuttavia fornisce un orientamento prezioso in merito all’avvio di un trattamento basato sulla conoscenza del livello di sviluppo e del
profilo sensoriale biologicamente determinato del singolo bambino e saldamente ancorato ad una cornice
relazionale ed affettiva.
■
Conclusioni
■ Bibliografia
Possiamo dire che il dibattito che si è aperto, nel
corso del processo di revisione della CD:0-3, fra coloro che ritengono utile la categoria diagnostica dei
DMSS e coloro che ritengono sufficiente, per descrivere i disturbi della relazione e della comunicazione nella prima infanzia, la categoria dei DPS, è espressione
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott.ssa Raffaella Tancredi
Via dei Giacinti, 2
56018 Calambrone (Pisa)
E-mail: [email protected]
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