civiltàdellatavola

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civiltàdellatavola
CIVILTÀ DELLA TAVOLA
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L I ANA
L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
ISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI
www.accademia1953.it
N. 229, LUGLIO 2011 / MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA
LA C U C
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D
TA
N. 229 ● LUGLIO 2011
ISSN 1974-2681
CIVILTÀ TAVOLA
DELLA
ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
S O M M A R I O
CARI ACCADEMICI...
3
Caro Gianni
(Giovanni Ballarini)
RICORDO
DI GIANNI FRANCESCHI
5
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Il Grillo parlante
Un indimenticabile amico
(Giovanni Marzi)
Ciao, Direttore
L’ASSEMBLEA DEI DELEGATI
10 Ballarini
confermato
Presidente
L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI
E DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO,
CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DONÀ
DALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHI
BASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA,
ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE,
GIAN LUIGI PONTI, GIÒ PONTI, DINO VILLANI,
EDOARDO VISCONTI DI MODRONE,
CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.
24 Il(Giancarlo
pemmican di Salgari
Burri)
25 Analisi
della storia
della cucina
(Donato Pasquariello)
(Francesco Ricciardi)
27 La(Sandro
mostarda fina di Carpi
Bellei)
30 Evoluzione
del piatto
(Alfredo Pelle)
32 America
“supersize”
(Marino de Medici)
CONSULTA ACCADEMICA
13 Sessione di primavera
IL CONVEGNO
INTERNAZIONALE
14 Identità
plurale
della cucina italiana
34 In(Pietro
val Resia
Adami)
35 A(Donatella
tavola con il Risorgimento
Clinanti)
37 L’arte
di fare i vini
(Giorgio Cirilli)
38 La(Luisa
cucina nei conventi
Benedetti)
40 Utilizzare
gli avanzi
(Tito Trombacco)
41 Più
uomini ai fornelli
(Antonio Ravidà)
PREMIO “ORIO VERGANI”
22 “Montalbano”
ritira il premio
(Silvia De Lorenzo)
BIBLIOTECA NAZIONALE
GIUSEPPE DELL’OSSO
28 Il(Lorena
“Libro novo” di Messisbugo
Gallina)
SICUREZZA & QUALITÀ
(Silvia De Lorenzo)
42 La(Gabriele
colazione degli italiani
Gasparro)
I NOSTRI CONVEGNI
16 Il(Maria
fantasma della fame
Cristina Carbonelli
di Letino)
18 Pepe
come cucina
rosa come donna
(Giovanni Canelli)
CULTURA & RICERCA
20 Cucina
d’Italia in Ungheria
(Szabó Gyözö)
LE RUBRICHE
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Calendario accademico
Ricette d’Autore
Accademici in primo piano
Notiziario
In libreria
Vita dell’Accademia
Carnet degli Accademici
Dalle Delegazioni
International Summary
La copertina: particolare di “Cuoca in cucina e banchetto del ricco Epulone” di Giacomo Legi (o Liegi), pittore attivo verso la metà del XVII secolo. L’opera fa parte della mostra “Vanitas - Lotto, Caravaggio, Guercino nella Collezione Doria Pamphilj”, Roma, Palazzo Doria Pamphilj, fino al 25 settembre.
La mostra affronta il tema della caducità delle cose terrene attraverso 4 sezioni tematiche: la pittura di genere e
la natura morta (di cui fa parte l’opera in copertina), il soggetto sacro, una galleria di ritratti di filosofi e le allegorie; oltre ai dipinti, sono in mostra sculture, oggetti decorativi, libri e musica. Tutti i pezzi - che comprendono
alcuni capolavori assoluti - sono tuttora parte del patrimonio della famiglia Doria Pamphilj, conservato nel proprio, storico, palazzo di via del Corso.
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COORDINATORI TERRITORIALI
Piemonte Est
Piero Bava
Piemonte Ovest
Paolo Bertani
Liguria
Paolo Lingua
Lombardia Est
Giuseppe Masserdotti
Lombardia Ovest
Umberto Guarnaschelli
Alto Adige
Ottokar Polasek
Veneto
Beppo Zoppelli
Friuli-Venezia Giulia
Renzo Mattioni
Emilia
Vittorio Brandonisio
Romagna
Gianni Carciofi
Toscana Est
Gianni Limberti
Toscana Ovest
Franco Cocco
Marche
Mauro Magagnini
Umbria
Guido Schiaroli
Lazio Roma
Gabriele Gasparro
Lazio provincia
Massimo Borghetti
Abruzzo
Mimmo D’Alessio
Molise
Giovanna M. Maj
Campania
Mario De Simone
Puglia
Luigi Altobella
Basilicata
in corso di attribuzione
Calabria
Francesco Menichini
Sicilia Est
Mario Ursino
Sicilia Ovest
Antonio Ravidà
Sardegna
Marcello Bedogni
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Caro Gianni
DI GIOVANNI BALLARINI
Presidente dell’Accademia
“Non un addio, caro Gianni,
perché ogni volta
che rileggeremo
uno dei tuoi scritti,
sarai di nuovo
e sempre con noi”.
ari Accademici, ogni volta che
mi rivolgo a voi in questa rubrica penso e penserò a Gianni Franceschi. Appena divenuto Presidente, infatti, chiesi a lui consiglio
su quale titolo dare all’articolo di
apertura di ogni numero della “Civiltà della Tavola” ed Egli, quasi di
getto, mi disse: “Cari Accademici”,
una intestazione semplice e diretta,
quale si addiceva allo scopo di dare
ai lettori una idea in cinquemila battute. Un consiglio che ho subito sposato e che di mese in mese mi ricorderà sempre l’amico Gianni.
Giovanni Battista Franceschi, giornalista, scrittore e soprattutto Accademico, alla fine di maggio ci ha lasciati.
Gianni per tutti gli Accademici e
come firmava i suoi pezzi, apparteneva a una razza di giornalisti sempre più rara, anche se non estinta.
Giornalista perché scriveva sui giornali ed era iscritto all’albo, ma soprattutto perché, da uomo di vasta e
profonda cultura quale era, si era
formato partendo dai fogli di provincia e dalla cronaca, dai fatti cioè, anche da quelli alimentari e gastronomici. Per questo non si era trovato a
disagio, anzi a suo completo comodo, quando a un certo punto della
sua lunga carriera umana e professionale e su invito di Franco Marenghi approdò alla rivista della nostra
Accademia, contribuendo in modo
significativo all’elevazione del suo livello culturale e partecipando in misura determinante a trasformarla
nell’attuale, molto apprezzata “Civiltà della Tavola”. Provincia - quella
di Reggio Emilia - e cronaca - quella
di tutti i giorni e di ogni tipo, anche
giudiziaria - furono la duplice faccia
di una severa palestra nella quale
imparò non solo a individuare i fatti,
ma soprattutto a comunicarli come
C
“notizia”, sempre esatta, e accompagnata da una presentazione, inquadramenti e pertinenti commenti che
gli derivavano da una vasta cultura,
ma soprattutto dal culto della verità
e della precisione. Di eccezionale
memoria e di vivacissimo intelletto è
stato un abilissimo uomo di penna,
capace, fino all’ultimo giorno, di
scrivere un articolo con un linguaggio fluido e a tutti accessibile, sempre di alto livello, mai banale, ricco
di riferimenti.
Tre erano le sue doti di giornalista:
precisione, precisione e precisione,
quindi anche controlli, controlli e
controlli, usando una grande memoria, ma sempre diffidandone. Severo
con se stesso, ma anche blandamente tollerante con gli altri, era abilissimo nel “taglio” degli articoli quando
doveva ricondurli alle dimensioni
imposte dagli equilibri editoriali della rivista (anche lo spazio è tiranno…) e debbo confessare che non
di rado ne ho io stesso approfittato,
con ottimi risultati.
Diversi i libri di Gianni Franceschi
e tra gli ultimi la trilogia della cucina
reggiana: “Duemila anni a tavola” (i
cibi della tradizione), “Duemila metri a tavola” (i cibi tipici del territorio) e “A tavola nel Duemila” (con
Giovanni Marzi, le nuove tendenze
di una cucina viva). Libri nei quali,
con una profonda ricerca e un attento studio, risaltano il saggio culto
della memoria e una chiara visione
di antiche rimembranze mai sopite,
come ben dimostrano le gustose testimonianze che corredano le ricette.
Reggiano di nascita e di sentimenti, è vissuto a lungo a Roma senza dimenticare le proprie origini ben radicate sulle rive del Crostolo. Accademico a tutto tondo nella Delegazione
di Reggio Emilia, perché qui è nata la
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sua passione gastronomica, stare a
tavola con Gianni Franceschi era un
vero piacere, in qualunque parte d’Italia, della quale conosceva la cucina
come le sue tasche. Un pranzo o una
cena con Gianni, assieme anche alla
sua Dolorita, nutriva forse più la
mente del corpo e quando si lasciava
la tavola si era sempre più ricchi. Un
Accademico informato e al tempo
stesso sempre a caccia di notizie,
abile nel nutrirsi quanto nel far crescere gli altri, fortemente legato alle
tradizioni, soprattutto a quelle della
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sua terra reggiana, ma aperto anche
a valutare le innovazioni, pur diffidando delle sperimentazioni e soprattutto di quelle più spericolate e
avventurose. Preciso e apprezzato
oratore, le sue relazioni hanno dato
smalto in tanti convegni accademici.
La vasta e variegata serie di scritti
che sono stati pubblicati su questa rivista è la migliore testimonianza di
quanto Gianni Franceschi abbia dato
non solo alla nostra Accademia, ma
anche alla cultura gastronomica italiana, formando un corpus che supe-
ra le contingenze dei singoli articoli e
segnando un lungo percorso culturale di saggezza e di buon senso o senso comune. E mai come in questi
tempi ci rendiamo conto di quanto il
“buon senso comune” sia poco comune.
Mentre altri in questo fascicolo ti ricorderanno, a Te, caro Gianni, non
un addio, perché ogni volta che io o
altri rileggeremo uno dei tuoi tanti
scritti, sarai sempre con noi.
GIOVANNI BALLARINI
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CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2011
SETTEMBRE
OTTOBRE
2 settembre - Campobasso
Convegno “Il Molise e l’Unità d’Italia:
storia, fonti documentarie, arte,
musica e gastronomia”
1-2 ottobre - Pisa
Cinquantennale della Delegazione
Convegno “Sensi e gastronomia”
2-4 settembre - Pollino-Policastro
Inaugurazione della Delegazione
a Maratea
15 ottobre - Lariana
Cinquantennale della Delegazione
Convegno “Cinquanta - Cento Centocinquanta”
9-11 settembre - Maremma-Presidi
Convegno a Saturnia “Maremma:
terra di sapori forti e di briganti”
20 ottobre - Cena ecumenica
“La cucina della frutta”
20 ottobre - Bergamo
Cinquantennale della Delegazione
10-11 settembre - Pescara
Convegno “L’acqua: risorsa per
l’ambiente ed elemento essenziale
per gli alimenti e per la cucina”
20 ottobre - Pisa
IV edizione del premio al miglior
allievo dell’Ipssar “Matteotti” di Pisa
15 settembre - Udine
Convegno “La cucina friulana
dopo l’Unità d’Italia”
22 ottobre - Trapani
Convegno “I venti piatti che hanno
unito l’Italia: 150 anni... di cucina”
17-18 settembre - Ancona
“Verdicchio d’oro” a Staffolo
28-30 ottobre - Bologna
Riunione della Consulta accademica
24 settembre - Gorizia
Convegno “La cucina mitteleuropea
a Gorizia”
24-25 settembre - Modena
Convegno “Aceti balsamici
di Modena. Usi e abusi”
11-13 novembre - Siena-Valdelsa
Decennale della Delegazione
Convegno “La cucina nell’arte senese
e toscana”
16-20 novembre - Londra
Escursione annuale
19 novembre - Lodi
Convegno “La cucina in televisione”
19 novembre - Londra
Cena di gala per i 150 anni
dell’Unità d’Italia
19 novembre - Padova
Cinquantennale della Delegazione
Convegno “Aspetti sociali della cucina
del Padovano dagli anni Sessanta a oggi”
Premio alla gastronomia che opera
nel sociale
25-26 novembre - Bruxelles
Venticinquantennale della Delegazione
26 novembre - Lucca
Cinquantennale della Delegazione
Convegno “I fagioli della Lucchesia”
NOVEMBRE
5 novembre - Prato
Venticinquennale della Delegazione
DICEMBRE
9 novembre - Reggio Emilia
Cinquantennale della Delegazione
1 dicembre - Cagliari
2 dicembre - Sassari
Seminario sulla celiachia
24-25 settembre - Vercelli
Cinquantennale della Delegazione
Convegno “Il risotto di Cavour”
25 settembre - Cento Città del Guercino
Quarantennale della Delegazione
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Il Grillo parlante
L’intervista a
Gianni Franceschi, raccolta
da Silvia De Lorenzo
in occasione
del cinquantenario
dell’Accademia e pubblicata
sul primo volume
della “Collana di cultura
gastronomica”.
C
ome è iniziato il suo lungo
cammino con l’Accademia e
quale era “lo stato di salute”
dell’Accademia stessa in quel periodo?
Mi ha introdotto nell’Accademia,
nel 1986, l’allora Segretario nazionale
Franco Marenghi, che mi ha subito
coinvolto nella redazione della rivista
accademica, che proprio allora aveva
preso il posto dell’antico bollettino
interno. Lo stato di salute? Era un momento di intensa febbre di crescenza.
Lei è, all’interno dell’Accademia,
“l’uomo della comunicazione”. Gran
parte dell’attività editoriale si svolge
sotto i suoi occhi e la sua penna. Iniziamo dalla rivista dell’Accademia,
di cui lei è Direttore da molti anni.
Ce ne potrebbe riassumere la storia?
Più che “uomo della comunicazione”, mi ritengo l’artigiano dell’informazione interna. E la rivista dell’Accademia è proprio un prodotto artigianale, che cerco di mantenere al
più alto livello possibile, sia pure attraverso alcune difficoltà, più che altro di carattere operativo.
La rivista ricopre anche la funzione fondamentale di organo di informazione dell’attività accademica in
Italia e all’estero. E l’informazione,
in quanto comunicazione, unisce,
crea un linguaggio proprio che accomuna lettori e redattori e lettori
tra loro. Come si traduce in pratica
questo ruolo di trait-d’union che la
rivista svolge per gli Accademici di
tutto il mondo?
Quando era in uso il latino, la Chiesa parlava con una voce sola. Oggi è
un coro a più voci. Così è la rivista
dell’Accademia (mi si perdoni il confronto forse irriverente), perché accoglie gli scritti degli Accademici d’ogni
parte d’Italia e del mondo, che usano
linguaggi ed espressioni di vario genere ma tutti concordanti verso un
unico obiettivo culturale: la civiltà
della tavola. E proprio “civiltà della
tavola” è diventata (da una proposta
di Francesco Ricciardi) la nuova testata della rivista, che non prende il
posto de “L’Accademia” ma ne prosegue, sia pure con una differente veste, l’attività e la storia.
E che progetti ha in mente per il
futuro, ora che anche chi naviga in
Internet ha accesso a questo bel periodico?
La rivista su Internet non è che la
proiezione multimediale della carta
stampata. Io lavoro per la carta stampata, se poi va a finire su Internet
non è né merito né colpa mia. Progetti per il futuro? Riuscire a mantenere sempre alto il livello culturale
della rivista, specialmente ora che
l’Accademia ha ricevuto il crisma ufficiale di istituzione culturale.
Nei “Quaderni dell’Accademia” trovano collocazione gli atti dei più importanti convegni di carattere culturale-gastronomico cui partecipano gli
Accademici. Quale è la fisionomia di
un convegno accademico (scelta dei
temi, obiettivi, svolgimento)?
Tranne i convegni biennali dedicati
alla civiltà della tavola, organizzati a
carattere nazionale direttamente dalla
Presidenza su indicazione del Centro
Studi, tutti gli altri vengono organizzati per iniziativa e cura delle varie
Delegazioni (o gruppi di Delegazioni). Proprio per questo la fisionomia
di un convegno varia da un luogo all’altro: sempre, però, nel solco di un
unico obiettivo culturale.
Le guide ai ristoranti dell’Accademia, nel corso degli anni, hanno as-
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sunto nomi diversi. A quale di queste
pubblicazioni va il suo ricordo più
affettuoso?
Ricordo con un po’ di rimpianto gli
“Itinerari della buona tavola”, di alto
livello culturale oltre che informativo,
in veste editoriale molto elegante, frutto di un impegno notevole da parte di
chi allora (io non ero ancora Accademico) si occupava dell’informazione.
Dal Centro Studi, di cui lei è VicePresidente, partono le proposte e le
elaborazioni dei programmi culturali dell’Accademia che poi vengono
sottoposti al Consiglio di Presidenza
per la loro esecuzione pratica. A
partire dalla sua costituzione, ogni
anno il Centro Studi ha elaborato
un documento sullo stato della cucina italiana. Quale è stato quello più
incisivo per l’argomento trattato e
per gli sviluppi successivi?
Non esiste il più o il meno. Ciascun
“rapporto” ha una propria fisionomia
come ogni anno si presenta, con caratteristiche diverse. Il Centro Studi
“fotografa” una realtà in continuo divenire, sempre diversa e mutevole.
Come è strutturato il Centro Studi
“Franco Marenghi”?
La struttura è molto semplice. I vari
componenti si riuniscono un paio di
volte all’anno per discutere non dei
massimi sistemi ma dei minimi denominatori della civiltà della tavola. Dato un tema, illustrato dal Presidente
del Centro Studi, si esprimono pareri,
si discute, si ascoltano consigli e proposte. Poi ciascuno elabora un testo
con le proprie considerazioni alla luce della discussione e delle proposte
e lo invia al Presidente che, con il Vice-Presidente e il Segretario, prepara
un documento finale da proporre alla
successiva riunione.
I giovani, dal “villaggio globale” in
cui attualmente vivono, come guardano alla tradizione gastronomica?
Le nuove generazioni, nate con il
fast food e cresciute con hamburger e
patatine, esaurita la curiosità per questi cibi extrafamiliari sono ora colte
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da ulteriori curiosità per quello che
hanno perduto o non hanno mai conosciuto. Così, dalla curiosità per i
piatti tradizionali possono passare all’interesse e quindi all’apprezzamento. È un cammino lungo e non facile,
ma comunque promettente.
quando assiste o partecipa a un convegno o a una tavola rotonda fa, o almeno dovrebbe fare, un profondo
esame di coscienza. E attraverso questo esame riesce a proiettare verso
l’esterno le proprie conoscenze e le
proprie convinzioni.
A suo parere, come si colloca l’Accademia di fronte alla globalizzazione?
Ci sono due tipi diversi di globalizzazione: quella evidente e quella strisciante. La seconda, ovviamente, è la
più pericolosa, perché è subdola, insinuante, spesso impercettibile. Ci troviamo “globalizzati” senza saperlo di
fronte alla frutta che arriva dall’emisfero meridionale, davanti a un piatto la
cui origine è ben lontana dalle nostre
abitudini e dalle altrettanto nostre tradizioni. Poi c’è la globalizzazione palese, quella che spesso non riconosciamo, che vede la nostra rete commerciale agroalimentare in gran parte
nelle mani di multinazionali che rappresentano solo un tessuto finanziario, ben diverso dall’esperienza imprenditoriale italiana o, almeno, europea. Se, poi, vogliamo tornare alle radici “storiche” dell’Accademia, potremmo affermare che Orio Vergani è
stato un “no global” ante litteram, un
veggente, un precursore, un saggio e
intelligente anticipatore del tempo che
sarà. È proprio questa la strada che, a
mio modesto parere, l’Accademia deve percorrere con determinazione,
proprio alla luce dell’importante riconoscimento ufficiale come istituzione
culturale, che impone a tutti una più
attiva e coerente partecipazione. La
storia dell’Accademia ci consente questo orgoglio e questa lealtà.
Qualche anno fa, lei è stato definito
dal Vice-Presidente dell’Accademia,
Giovanni Goria, il “Grillo parlante”, a
proposito delle sue osservazioni, sagge
e argute insieme, sulla figura dell’Accademico e sul ruolo delle Delegazioni. Si riconosce in questo ruolo?
Ritengo che l’amico Goria intendesse fare solo una battuta. Io spero
soltanto che non salti fuori qualche
Pinocchio a schiacciarmi contro il
muro con un martello di legno…
Ci vuole parlare della filosofia (e
anche della sua esperienza pratica)
riguardo agli eventi culturali e conviviali organizzati dall’Accademia?
Più che di filosofia accademica parlerei di coscienza accademica. Ogni
Accademico, infatti, quando approfondisce la propria conoscenza
della storia e della tradizione, quando
affronta una riunione conviviale,
Quale grido di dolore, lei pensa,
potrebbe levare oggi Orio Vergani,
sempre nell’ambito del panorama
della cultura gastronomica italiana,
e quale potrebbe essere la risposta
dell’Accademia?
Gridi di dolore si levano da ogni
parte d’Italia, come disse Vittorio
Emanuele II, gridi ai quali l’Accademia, come il re di Sardegna, non è insensibile. L’iniziativa promossa dal
Centro Studi di dedicare ogni anno a
un prodotto da proteggere è la risposta migliore.
L’Accademia ha appena compiuto
50 anni. Con quale augurio ha accompagnato il suo brindisi?
Brindando con spumante italiano,
naturalmente, e gridando “Cento di
questi anni”, senza mettere per questo un limite alla provvidenza divina.
C’è un argomento, che riguardi la
storia dell’Accademia, di cui non
abbiamo parlato e che le piacerebbe
invece ricordare in questa intervista?
Non s’è parlato del volontariato, del
disinteresse, della dedizione, della
passione, dell’altruismo degli Accademici. Credo che questi elementi siano
poi la chiave del nostro successo.
SILVIA DE LORENZO
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Un indimenticabile amico
DI GIOVANNI MARZI
Accademico di Reggio Emilia
La Delegazione reggiana,
della quale faceva parte
da 25 anni, ne ricorda
la discrezione, la signorilità,
l’amicizia.
n quel caldo pomeriggio del 22
maggio 2011 l’amico carissimo
Gianfranco (così lo chiamavo fin
da quando eravamo ragazzi) ha concluso i suoi tormenti. Le ripetute lotte
contro la malasorte avevano profondamente minato le sue speranze di
un ricupero fisico accettabile, che gli
consentisse, pur nei dovuti limiti, di
poter manifestare ancora la sua presenza nella famiglia, tra gli amici, nell’impegno di assolvere quei compiti
che gli erano stati da tempo affidati
nell’Accademia. Nella prestigiosa nostra rivista “Civiltà della Tavola” (da
lui diretta) non sono mai venuti meno i suoi contributi, anche quando le
complicanze di malaugurate fratture
lo costrinsero a sottomettersi alle severe norme ortopediche. Giornalista
di qualità, riuscì sempre a nobilitare il
suo lavoro coniugandolo sapientemente con l’attività accademica: ac-
I
canto ai libri e ai numerosi saggi di
cucina è stato parte attiva in tavole
rotonde e convegni in diverse città
non soltanto italiane.
Mentre scrivo queste tristissime note, il pensiero corre a quei giorni lontani, quando ci trovammo a essere vicini di casa e frequentatori, anche se
in classi diverse, dello stesso ginnasio. Posso dire di aver maturato con
lui quella sincera reggianità che in
anni recenti si sarebbe poi chiaramente manifestata. Usciti dal turbine
della seconda guerra mondiale, abbiamo intrapreso strade diverse, che
hanno condotto Gianfranco a muoversi prima nel campo della carta
stampata (quante belle edizioni di
opere letterarie famose ebbi agio di
conoscere per merito suo!), per dedicarsi poi totalmente a quel giornalismo che era stato per anni una componente silenziosa del suo carattere,
della sua cultura. Raggiunto il sospirato obiettivo, si trovò amaramente
costretto a lasciare la natia Reggio
per trasferirsi a Roma, dove ebbe modo di affermare, nei diversi campi ai
quali fu indirizzato, quella serietà intellettuale che lo ha accompagnato
con rara intensità per tutta la vita.
I suoi molteplici campi di interesse
non furono mai tali da offuscare la memoria dei suoi anni reggiani, ai quali
indirizzava spesso il pensiero, nei quali anzi amava rifugiarsi; non per evadere da quella realtà che tenacemente
aveva conquistato, ma piuttosto per
riaffermare in se stesso la sacralità dei
ricordi: ricordi di persone, di cose, di
luoghi soprattutto, ridisegnati con stupefacente chiarezza. Anche la voce si
addolciva, concedendosi tutta alla trasmissione dei sentimenti, riprendendosi poi in una franca risata all’improvviso richiamo di un episodio o di un
semplice particolare intensamente ri-
vissuto nel corso di un breve dialogo
tra amici. A Roma come a Reggio.
Acquista così significativo rilievo la
sua figura di Direttore della “Civiltà
della Tavola”, mentre come Accademico ritenne estremamente onorato il geloso rispetto delle sue radici quando
entrò a far parte della Delegazione
reggiana. Naturalmente le sue presenze tra noi non poterono essere che saltuarie, ma tutte intensamente vissute,
esaltate dalle condivise amicizie, nella
più aperta e serena convivialità. E
quando la Delegazione di Reggio deliberò di affrontare un piano editoriale
che illustrasse gli aspetti storici e gastronomici delle nostre terre, ecco in
prima fila Gianni Franceschi, pronto a
offrire la propria collaborazione, competente e appassionata. Nei cinque
volumi pubblicati da Tecnograf, dal
2005 al 2010, è stata puntualmente attiva la sua operosità, ora divenuta per
noi Accademici reggiani parte importante di quell’eredità culturale che l’amico Gianfranco ha voluto lasciarci,
con la discrezione e la signorilità che
lo hanno sempre caratterizzato. L’annuale appuntamento che riuniva in
una sala cittadina, con le autorità, un
vario pubblico di amici, di estimatori e
di curiosi, è sempre stato contrassegnato da diffusi consensi per quelle
iniziative che mettevano a fuoco
aspetti meno noti di una reggianità organicamente riscoperta e valorizzata.
“La cucina reggiana”, la fortunata
serie di questi ultimi anni, può ritenersi forse conclusa: riemergono nel
ricordo gli applausi che, mediati da
noi, erano diretti proprio anche a
Chi, nel suo silenzio lontano, sorrideva lieto della propria sempre rinnovata reggianità. Era il silenzio operoso di un uomo saggio, di un indimenticabile amico.
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Ciao, Direttore
Alcune testimonianze
per ricordare con affetto
Gianni Franceschi.
o saputo solo lo scorso anno
(perché me lo aveva detto lui)
che il suo vero nome di battesimo era
Giovanni Battista, ma che tutti in famiglia lo chiamavano Gianfranco;
per noi era Gianni. E così l’ho sempre chiamato, come tutti i suoi amici.
E io mi ritenevo tale, nonostante il
“tu” arrivato molto tardi come si conveniva a gente della nostra generazione.
Sono stato per trenta anni il suo
editore, prima come a.d. dell’Editrice
dell’Automobile e poi come responsabile editoriale dell’Accademia e,
proprio per questo, posso darne una
valutazione professionale obiettiva e
consapevole. Era della schiatta di
quei giornalisti “artigiani” che riuscivano a fare tutto e che oggi è difficile,
se non impossibile, trovare. La specializzazione anche in questo mestiere,
come lui lo chiamava, ha avuto il sopravvento, ma lui dimostrava ancora
di essere capace di adattarsi alle nuove tecnologie e ai nuovi lavori. Non a
caso, quando con l’allora Segretario
nazionale, Franco Marenghi, si decise
nel 1985 di trasformare un bollettino
in una rivista, si ricorse a lui per la direzione responsabile e a Francesco
Ricciardi per la direzione artistica.
Ci sentivamo raramente per problemi professionali perché non ce ne
era necessità: tutto andava “in automatico” sulla base di una fiducia reciproca. E quando lo facevamo era per
lo più per scambiarci parole di amicizia. Come è stato a metà maggio per
l’ultima volta. Ciao Gianni.
H
PAOLO BASILI
onobbi Gianni Franceschi nel
1976 quando, verso la metà di
ogni mese, veniva presso la redazione de “L’Automobile”, la rivista in cui
C
lavoravo, a portare l’articolo per la
rubrica “Andar per vino”, una proposta turistico-enologica che in questa
chiave proponeva con cadenza mensile ai lettori un piccolo pezzo del nostro Paese. Dopo qualche tempo la
rubrica venne soppressa; all’Automobile club d’Italia, di cui la rivista era
anche “house organ”, non sembrava
opportuno invitare gli automobilisti
italiani, dopo aver degustato, a mettersi al volante un po’ brilli... Sulle
strade d’Italia l’etilometro era di là da
venire, ma l’indicazione dell’editore
era ragionevole e fu accolta.
L’interruzione della collaborazione
fu però di breve durata, poco dopo
infatti, intorno al 1980, Gianni entrò a
far parte della redazione. Il lavoro si
era fatto più impegnativo e occorreva
per il ruolo di capo servizio un giornalista di esperienza. Gianni ne aveva da vendere. Era intorno alla cinquantina e, a parte la rubrichetta di
cui sopra scritta quasi per diletto, poteva vantare un curriculum di tutto rispetto: veniva dai quotidiani, giornalista esperto di cronaca mondana e
giudiziaria (oltre che di storia della
gastronomia), portava in quella redazione tutto il suo bagaglio di esperienza. Ebbi allora modo di conoscere la sua capacità sorprendente di
“macinare” testi, in quantità e qualità,
in tempi brevissimi.
Era un retaggio della gavetta fatta
nei quotidiani, una capacità che lasciava sbigottiti non solo il sottoscritto - che della rivista era il grafico e
scriveva solo saltuariamente - ma anche i colleghi, redattori di un mensile, dunque abituati a ritmi differenti e
più blandi.
Questa sua capacità Gianni l’ha
conservata fino all’ultimo: la sua penna e la sua testa hanno lavorato a
pieno ritmo anche quando - è storia
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 8
R I C O R D O
degli ultimi tre anni - sfortunati incidenti ne hanno accelerato il declino
fisico.
Dagli anni de “L’Automobile” la sua
strada non si è più allontanata dalla
mia. Nel 1985 Franco Marenghi ci
aveva affidato la redazione del notiziario dell’Accademia; insieme ne
avevamo fatto una vera rivista, un’esperienza condivisa fino alla triste sera del 22 maggio scorso.
Da quel 1976 sono trascorsi ben
trentacinque anni... una vita. Ero poco più che un ragazzo quando ho conosciuto Gianni; per tutti questi anni
abbiamo lavorato spalla a spalla e
nonostante la differenza di età tra noi
c’è stata subito amicizia. E rispetto reciproco; naturale e dovuto da parte
del collega più giovane verso l’anziano ma non scontato il contrario, specie nel nostro ambiente.
Un lungo percorso, durante il quale ci sarà stata - è naturale - qualche
incomprensione (subito chiarita),
qualche diversità di vedute (per contarle le dita di una mano sono largamente sufficienti), ma mai uno screzio tra noi.
Gianni è stato un signore, nella vita e sul lavoro. Con l’impegno e con
ciò che ci ha insegnato cercheremo
di far sentire un po’ meno la sua
mancanza. Sarà motivo d’orgoglio
per noi e - chissà - forse anche per
lui. Gli è dovuto.
FRANCESCO RICCIARDI
iao Gianni, è davvero difficile credere che tu non sia più con noi.
Abbiamo lavorato per oltre 25 anni e
voglio ringraziarti per quanto mi hai
dato sotto il profilo sia umano che
professionale. Da te ho imparato molto: te ne sono grata.
Insieme, ma per merito tuo, abbiamo visto crescere in bellezza e ricchezza di contenuti la rivista dell’Accademia da te coordinata e poi diretta dal
1996. Oggi è una vera rivista e giustamente ricordo il tuo disappunto quando qualcuno “osava” chiamarla ancora
“Notiziario” o, peggio, “Bollettino”.
Sei stato un protagonista importan-
C
D I
G I A N N I
F R A N C E S C H I
te del processo culturale che, soprattutto attraverso “Civiltà della Tavola”,
l’Accademia ha saputo far scaturire
nella società civile.
Ricorderò sempre la tua figura
esemplare di Accademico e di uomo
di cultura, la tua disponibilità e amicizia che concedevi a tutti. Un vero
amico: l’amico che tutti vorrebbero
avere.
TILDE MATTIELLO
i piace immaginare che sia partito per un altro dei suoi viaggi,
quelli che faceva come inviato per intervistare personaggi famosi, di cui
mi parlava spesso, qui in redazione.
Ma non era solo di questo che mi
parlava, perché non c’era argomento
per il quale, data la sua vasta cultura,
il suo acume e la sua sempre giovanile curiosità, gli mancassero parole,
giudizi, osservazioni.
Ed era un piacere ascoltarlo. Sì, ho
sfruttato molto il suo sapere e la sua
capacità di approfondire, ma anche
l’ottica giornalistica di arrivare al succo delle cose, delle notizie, degli avvenimenti. Nulla però cadeva dall’alto: la comunicazione era sempre
orizzontale, da pari a pari. Anzi, ricordo con nostalgia il nostro quasi
quotidiano “minuetto” nel passarci i
pezzi che scrivevamo: non ha mancato mai di sottoporre i suoi scritti al
vaglio di un secondo parere, pronto
ad accogliere, con molta modestia,
un’ottica diversa, anche se accadeva
di rado che ci fosse bisogno di revisioni. È stata questa sua capacità di
sapersi sempre mettere in discussione, di non dare mai niente per scontato, che in quasi dieci anni trascorsi
a lavorare fianco a fianco mi ha arricchito molto, sul piano professionale e
umano.
Ed è per questo che per chi resta
posso dire che se ne è andato un
Maestro, uno dei pochi che si ha la
fortuna di trovare e riconoscere nella vita, che mi ha lasciato molto più
ricca. Ma oggi, anche molto più povera.
M
SILVIA DE LORENZO
ianni Franceschi, che avevamo
imparato ad amare e apprezzare
dai suoi scritti, dal suo bel parlare,
dalla sua umanità, ha lasciato sospesa
la sua penna eccellente.
Ci uniamo al cordoglio di tutta l’Accademia nel rimpianto per un uomo
che ha tracciato, con il suo insegnamento e il suo esempio discreto, fondamentali linee guida del percorso
culturale di questa nostra istituzione.
È stato un onore e un piacere per
tutti noi aver conosciuto una persona
di così grande valore e lo ricorderemo sempre senza tanti aggettivi ma
solo con il nostro affettuoso e commosso rimpianto.Siamo onorati per
avergli conferito, proprio un anno
fa qui a Isernia, il “Premio alla carriera” per le sue impareggiabili
qualità di studioso, di uomo di cultura e di superbo narratore.
G
GIOVANNA MARIA MAJ
e la Delegazione di Isernia
a perdita di Gianni Franceschi ci
ha addolorato molto. A parte la
sua bravura giornalistica, in una conviviale a Termoli, cui partecipò con la
sua gentile signora, si fece apprezzare per il suo garbo e la sua non comune signorilità. Le più sentite condoglianze, a nome mio personale e di
tutti gli amici Accademici, come d’intesa col nostro Delegato Italo Sciarretta.
L
AMEDEO SANTARELLI
rofondamente rattristato dalla notizia della scomparsa di Gianni
Franceschi, desidero esprimere alla
Redazione i miei sentimenti di sincero cordoglio per la perdita dello storico Direttore della rivista, che ricordo
con grande stima e simpatia.
P
ROMOLO CIABATTI
i prego di far giungere le mie
sentite condoglianze alla famiglia
del collega Franceschi, un giornalista
professionista di grande valore e un
pilastro della nostra Accademia.
V
MARINO DE MEDICI
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L ’ A S S E M B L E A
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Ballarini confermato Presidente
DI
FRANCESCO RICCIARDI
La quattordicesima
Assemblea dei Delegati
si è riunita nella capitale,
confermando
Giovanni Ballarini
per un nuovo mandato.
opo i due grandi convegni di
Torino e Firenze, dedicati dall’Accademia ai 150 anni dell’Unità, il terzo e ultimo degli eventi
organizzati nelle tre capitali d’Italia si
è tenuto il 28 maggio a Roma: XXII
convegno internazionale sulla civiltà
della tavola, sul tema “Formazione di
una identità plurale della cucina in
Italia”.
Dunque, anche la quattordicesima
Assemblea dei Delegati dell’Accademia si è riunita nella capitale, confermando, come dato saliente, il Presidente uscente Giovanni Ballarini per
un nuovo mandato.
Nel suo discorso di apertura dei lavori, nelle sale dell’hotel “NH Vittorio
Veneto” (che ha fatto da base logistica ai vari impegni accademici), Ballarini si era congratulato per la folta
rappresentanza di Delegati, tra le più
alte degli ultimi anni, rivolgendo un
ringraziamento a quanti si erano adoperati per la buona riuscita dell’impegnativo appuntamento romano. Oltre
infatti al convegno internazionale e
D
all’Assemblea, alle votazioni per l’elezione delle nuove cariche, alle varie
riunioni, Consiglio di Presidenza e
Consulta accademica, per tutti erano
previsti tre momenti conviviali: la cena di benvenuto, la sera del venerdì,
e l’indomani un pranzo di lavoro a
buffet e la cena di gala in onore del
Presidente.
“Cari Accademici...” ha esordito
Ballarini nel dare inizio ai lavori, volendo in questo modo ricordare
Gianni Franceschi, Direttore della rivista “Civiltà della Tavola”, venuto a
mancare pochi giorni prima (22 maggio). Quest’occhiello, che accompagna i suoi editoriali sulla rivista, gli fu
infatti suggerito proprio da Franceschi. “La sua scomparsa è per noi
una grave perdita - ha detto Ballarini
- ma sono sicuro che Gianni non
avrebbe voluto essere ricordato con
il silenzio ma con l’operatività; dedichiamo dunque a lui questa giornata
di lavoro”.
Ballarini ha poi proseguito soffermandosi sul momento che stiamo vi-
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D E L E G A T I
CENA DI BENVENUTO
“NH Vittorio Veneto”, Roma - 27 maggio 2011
MENU
Carciofo alla romana
Spaghetti “cacio e pepe”
Mezze maniche all’amatriciana
Assaggio di trippa alla romana con la mentuccia
Saltimbocca alla romana con cicoria spadellata
Torta di ricotta classica
Caffè
VINI
Lazio bianco Igt “Antinoo” 2009, Casale del Giglio
Lazio rosso Igt “Madreselva” 2008, Casale del Giglio
Marsala “Rubino”, Pellegrino
vendo, che ha definito interessante e
difficile al tempo stesso; in una società che cambia, con le diverse stratificazioni culturali che nel loro riflesso nella cucina generano talvolta situazioni che possono lasciare perplessi, perfino turbati.
“È una sorta di «autunno dorato»
della grande cucina borghese quello
che stiamo vivendo, un momento nel
quale il ruolo della nostra Accademia
si fa indispensabile, quale soggetto
portatore di alta cultura, di convivialità e di amicizia”. Elementi questi,
che insieme allo stile, sono alla base
dell’autorevolezza e del successo raggiunti dall’Accademia; un’Accademia
in cambiamento ma che cambia nel
solco della tradizione.
“Abbiamo bisogno della tradizione”
ha aggiunto Ballarini, che poi è passato ad analizzare il biennio appena
concluso. Un biennio positivo, che ha
visto un salto di qualità nella “governance”, grazie all’impegno e al coinvolgimento degli amici del Consiglio
di Presidenza. Un’azione corale che si
è fatta carico dei vari compiti, tanto
onerosi e diversificati da non potere
essere assunti da una sola persona.
Attraverso la riforma dello Statuto e
del Regolamento, le deleghe ai Consiglieri, si sono creati un affiatamento
e un gioco di squadra che ha portato
a grandi risultati. La squadra ha funzionato grazie all’affiatamento e allo
svilupparsi dei rapporti di amicizia e
di collaborazione.
Ballarini si è poi soffermato su ciò
che ha definito “indicatori di attività”,
quali le riunioni conviviali e i convegni organizzati grazie agli apporti dei
Centri Studi territoriali.
“Stiamo costruendo un sistema che
suscita invidia e che desta stupore all’estero, come ho potuto constatare
nel corso dei miei frequenti rapporti
con l’Académie Internationale de la
Gastronomie”.
È stata quindi la volta dell’analisi
degli strumenti di comunicazione di
cui l’Accademia dispone per raggiungere sia gli Accademici sia la società
italiana.
Strumenti culturali, quali la rivista
“Civiltà della Tavola”, sempre più importante e strategica, scaricabile in
pdf dal sito in edizione italiana e internazionale, consultata quest’ultima
soprattutto dai giornalisti all’estero;
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quali la “Guida ai ristoranti” on line
sul sito e su i-phone (50.000 persone,
di cui 42.000 non accademici, consultano la guida attraverso i-phone);
quali la guida “Le buone tavole della
tradizione” curata dal Segretario Generale Paolo Petroni (che sta lavorando alla prossima edizione, integrata e
ampliata) e che ha riscosso un grande successo.
Ballarini ha poi citato i titoli pubblicati, a cadenza annuale, nella “Collana di cultura gastronomica” e in quella degli “Itinerari di cultura gastronomica”, accennando a un progetto di
informatizzazione per trasformarli
anche in e-book.
Passando al ricettario in lingua inglese “La Cucina”, ha reso noto che il
libro è stato venduto sul mercato
americano in 41.000 copie, un successo incredibile per una guida di solo testo, senza illustrazioni, piena solo di contenuti, diventata ormai una
sorta di “Bibbia” della cucina italiana
e utilizzata anche nelle scuole come
libro di testo.
In questo ambito Ballarini ha voluto sensibilizzare i presenti sul lavoro
necessario alla realizzazione dell’edizione aggiornata del “Ricettario nazionale” (in lingua italiana), un’opera
prestigiosa e strategica, da ultimare
per l’Expo 2015, e sull’incessante
azione di stimolo verso i Delegati finalizzata alla revisione critica delle ricette condotta da Paolo Petroni.
L’Accademia, istituzione culturale
della Repubblica italiana, affronta la
vigilia di questo importante appuntamento internazionale a piè fermo ha assicurato Ballarini -, forte anche
di rapporti saldi e consolidati nel
tempo con i Ministeri dei Beni culturali, delle Politiche agricole e degli
Affari esteri.
Il 2011 è stato ed è tuttora un anno
eccezionale. L’Accademia ha festeggiato i 150 anni dell’Unità d’Italia con
un libro prestigioso che ha riscosso
un grande successo, “I menu del Quirinale”, di cui lo stesso Presidente Napolitano si è mostrato entusiasta, volendo scriverne personalmente la
presentazione. Ballarini ha ringrazia-
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to gli Accademici che vi hanno lavorato, sottolineando come il Quirinale
abbia voluto 300 copie del volume e
il Ministero degli Affari esteri 50.
Ma l’Unità è stata celebrata anche
dai tre convegni nazionali organizzati
dall’Accademia nelle tre città (Torino,
Firenze e Roma) che, da capitali, sono state la guida della nazione.
Ulteriori approfondimenti sul tema
sono stati affidati alla “Collana di cultura gastronomica” con un volume,
già ultimato e di prossima distribuzione agli Accademici, dal titolo “18612011: la cucina nella formazione dell’identità nazionale”, e sviluppati nel
corso di molti convegni nazionali e
locali organizzati dalle varie Delegazioni.
“Si chiude dunque un biennio - ha
concluso Ballarini - caratterizzato da
risultati positivi e programmi chiari”.
La parola è dunque passata al Segretario Generale Paolo Petroni e al
Vice-Presidente vicario Severino Sani,
che hanno ricondotto l’Assemblea
nel solco della piena operatività, incentrata soprattutto sulle votazioni
per l’elezione dei nuovi organi direttivi dell’Accademia. Individuati gli
scrutatori si è passati al voto dei 148
Delegati convenuti a Roma, partecipazione tra le più consistenti della
storia recente dell’Accademia. A conclusione dello spoglio, Giovanni Bal-
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PRANZO A BUFFET
“NH Vittorio Veneto”, Roma - 28 maggio 2011
MENU
Pomodori ripieni di riso
Frittatine di asparagi
Prosciutto e melone
Varietà di torte rustiche
Strigoli al pesto leggero
Maccheroncini con fiori di zucca
Fantasia di dessert al taglio e al cucchiaio
VINI
Chardonnay del Veneto Igt, Palazzi
Cabernet del Veneto Igt, Palazzi
larini, nel commentare i risultati - 140
preferenze per lui - ha ringraziato
brevemente i presenti per la sua rielezione e con la sobrietà e la praticità
che lo contraddistinguono ha promesso uguale impegno per il prossimo biennio, invitando l’Assemblea a
proseguire i lavori.
Il Vice-Presidente vicario Severino
MICHELE BONINO E LUIGI MARRA
NELL’ALBO D’ONORE
Una parentesi intensa e densa di commozione è stata, a margine dei
lavori dell’Assemblea, l’annuncio dell’ingresso nell’albo d’onore dell’Accademico Michele Bonino, Presidente
uscente del Collegio dei Revisori dei conti, e
di Luigi Marra già Consigliere di Presidenza, Consultore e storico Delegato dell’Aquila. La breve cerimonia della consegna della
medaglia (un riconoscimento conferito a
Bonino e Marra per la lunga militanza accademica e per i ruoli ricoperti con competenza e dedizione a favore del nostro sodalizio) è stata accompagnata dagli applausi
di congratulazione dei Delegati.
Sani ha dunque annuciato la nuova
composizione dei Collegi dei Probiviri e dei Revisori dei conti (quest’ultimo con un nuovo Presidente nella
persona di Roberto Ariani, Delegato
di Firenze).
È stata poi la volta dei membri elettivi della Consulta accademica, che
ha visto l’ingresso nelle sue file di
Leonardo Bianchi, Cesare Bisantis,
David Bixio, Gianni Carciofi, Sergio
Corbino, Mimmo D’Alessio e Annabella di Montaperto.
Dopo uno spazio dedicato agli interventi di alcuni Delegati (tra cui Teresa Perissinotto, Giuseppe Masserdotti, Cettina Princi Lupini, Roberto
Pirino, Carlo Lincio, Giovanna Maj,
Pietro Fracanzani, Antonio Ravidà), si
è passati al momento conviviale rappresentato dal pranzo di lavoro a
buffet. Qui i Delegati sono stati raggiunti dagli accompagnatori, in prevalenza gentili signore, reduci da una
piacevole visita alla non lontana Galleria Borghese, un’alternativa per loro certo più allettante dell’Assemblea.
FRANCESCO RICCIARDI
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C O N S U L T A
A C C A D E M I C A
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Sessione di primavera
Le due riunioni
della Consulta Accademica:
le decisioni e i programmi.
abato 28 maggio, nelle sale dell’hotel “NH Vittorio Veneto”, la
Consulta accademica si è riunita
due volte, prima e dopo l’Assemblea
dei Delegati che ha eletto i nuovo organi direttivi dell’Accademia Italiana
della Cucina. La prima riunione della
Consulta è avvenuta alle 8,30 (presenti 21 Consultori, Consulta regolarmente costituita).
Dopo il saluto, il Presidente Ballarini ha ceduto subito la parola al Tesoriere Giuseppe De Martino che ha illustrato il conto consuntivo a confronto 2009-2010, soffermandosi in
particolare su alcuni aspetti e rivolgendo quindi uno speciale apprezzamento all’opera preziosa e meritoria
dei Revisori dei conti e del personale
dell’Accademia. Roberto Ariani ha
quindi dato lettura della relazione del
Collegio dei Revisori.
Si è passati poi alla cooptazione
dei nuovi membri della Consulta accademica, resasi necessaria a seguito
delle dimissioni di Luigi Marra. All’unanimità è stata approvata la proposta del Consiglio di Presidenza che
indicava Maurizio Moreno come
nuovo membro.
S
Il Segretario Generale Paolo Petroni ha quindi segnalato la disponibilità
di 15 membri elettivi, da votarsi da
parte dell’Assemblea.
Poi (ore 9,30) si è riunita l’Assemblea dei Delegati, di cui si è riferito a
parte. In seguito si è tenuta (ore
11,30) la seconda riunione della Consulta accademica, risultata anch’essa
regolarmente costituita grazie alla
presenza di 28 Consultori.
Il riconfermato Presidente Ballarini
ha introdotto i lavori con brevi parole
riconducibili al ruolo della Consulta,
ha rinnovato l’incarico di Segretario
verbalizzante a Gianni Fossati anche
per il biennio 2011-2013 e ha illustrato l’importanza del Consiglio di Presidenza e della scelta dei suoi componenti. Si è passati dunque alla votazione (votanti 28, voti validi 27, schede bianche 1) che ha visto eletti Paolo Basili, Mimmo D’Alessio, Giuseppe
De Martino, Benito Fiore, Giovanni
Fossati, Maurizio Moreno, Paolo Petroni, Severino Sani. A conclusione
della riunione è stata anche stabilita
la data della prossima Consulta accademica: 29 ottobre 2011.
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I N T E R N A Z I O N A L E
Identità plurale
della cucina italiana
DI SILVIA
DE LORENZO
Aperto sulle note dell’inno
di Mameli il convegno,
moderato dal Segretario
Generale Paolo Petroni,
si è articolato attraverso
le relazioni del Presidente
Giovanni Ballarini
e dei professori
Fiorenza Tarozzi,
Carlo Magni e
Alberto Capatti.
l XXII convegno internazionale
sulla civiltà della tavola, sul tema
“Formazione di un’identità plurale
della cucina in Italia”, è iniziato sulle
note dell’inno di Mameli: un momento di vera emozione e partecipazione
per i numerosi Accademici che riempivano la sala.
Ha aperto i lavori il Segretario Generale Paolo Petroni, presentando i
relatori ed entrando subito nel tema
di questo terzo convegno celebrativo
dei 150 anni dell’Unità d’Italia, dopo
quelli di Torino e Firenze. Paolo Petroni ha ricordato che la cucina italiana, evidentemente, già esisteva prima
dell’unificazione dello Stato: l’età aurea delle cuciniere regionali o comunque territoriali va collocata in Italia già nella prima metà del XIX secolo ed era comunque precedente (vedi “Il cuoco milanese”, “Il cuoco perfetto marchigiano”, “La cuciniera bo-
I
lognese”, “La cuciniera piemontese”,
“genovese”, ecc.) all’opera dell’Artusi. Si trattava però o di una cucina
povera, spesso “della fame”, che si
produceva in casa, o di una cucina di
corte, illustrata, nei loro trattati, dagli
stessi cuochi (vedi il Vialardi) dei palazzi reali. Una cucina, quest’ultima,
abbastanza uniforme ed esportabile
in qualsiasi posto la corte o il cuoco
si trasferissero. Solo alla fine del secolo, con l’opera di Pellegrino Artusi,
si riportò ordine in una cucina contaminata da francesismi e dalla contrapposizione tra cucina di palazzo e
cucina di famiglia, proponendo un libro di cucina nazionale, sia pure rivolto alle classi più agiate, e offrendo
alle famiglie i piatti tradizionali già
esistenti sul territorio.
Primo relatore, il Presidente Giovanni Ballarini che ha affrontato il
lungo cammino della formazione di
un’identità della cucina italiana, un’identità comunque “plurale”. Prendendo le mosse da Federico II, appassionato ricercatore e sperimentatore di ricette, passando a Dante per
citare il tema della continuità linguistica, il Presidente Ballarini ha tracciato un percorso attraverso i vecchi
e nuovi paradigmi di una società
che cambia anche nelle sue regole
alimentari. Intorno all’anno Mille,
nella società occidentale, viene individuato un nuovo paradigma che, sia
pure con alti e bassi, si mantiene per
poco meno di un millennio. È quello
di un “triplice popolo”, cioè di tre categorie o classi distinte e complementari: gli “oratores”, i “bellatores”
e i “laboratores”. Nel paradigma di
questa società tripartita, la cucina,
con le sue regole, ha un forte ruolo
identitario di ciascuna classe: cibo
penitente per gli “oratores” (i cenci o
frappe); cibi forti per i secondi (lasa-
gne bianche o rosse); cibi grossolani
per i terzi (tigelle). La tripartizione
della società, con i suoi riflessi sulla
cucina, in Occidente regge fino alla
Rivoluzione francese, passando, in
Italia, anche attraverso una cucina
ostensiva della ricchezza che sarà
esportata in Spagna, Francia e Germania. C’è ancora la presenza di tre
stati, ma la società tripartita si avvia a
un progressivo superamento.
Nel 1815 si sviluppa la cucina borghese europea e, in Italia, quella dei
1.000 campanili, una cucina familiare
urbana, che sa leggere il territorio, e
che essendo numerosa e multigenerazionale è capace di trasmettere conoscenza. Inizialmente, tuttavia, è anche una cucina che mantiene ancora
un rapporto con quella del palazzo.
Il periodo di dissoluzione della società tripartita in Italia coincide con i
primi centocinquanta anni dello Stato
italiano unitario, durante i quali la cucina borghese scopre anche il ruolo
dei ristoranti ai quali, negli anni Cinquanta del Novecento, volge la sua
attenzione Orio Vergani. Da allora a
oggi la società muta velocemente e
tramonta definitivamente anche il paradigma di una cucina borghese.
Nuove tecniche e nuovi modelli si
impongono: la cucina artistica dei
grandi chef, ma anche l’omologazione della cucina della Gdo e dei mezzi
di comunicazione. Nell’ambito di un
nuovo paradigma postmoderno e postoccidentale, quale è quello attuale,
sarà importante, ha concluso il Presidente, pensare al territorio, di cui il
cibo è diretta espressione, come elemento di diversità.
Donna e cucina è stato l’argomento
trattato dalla prof.ssa Fiorenza Tarozzi dell’Università di Bologna, che ha
esaminato il rapporto tra la donna e il
cibo attraverso una serie di modelli
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 1 4
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C O N V E G N O
culturali. Dalla donna vista come nutrice e procacciatrice di cibo, con l’allattamento - grazie alla quale noi
continuiamo nella nostra vita a “mangiare con i nostri ricordi” -, alla figura
della donna in cucina del periodo fascista, dove però la figura femminile
è anche protagonista della protesta
per il pane e il lavoro. Dalla donna
massaia, tutta casa e cucina, responsabile dell’economia domestica, alla
donna consumatrice sulla spinta della
I N T E R N A Z I O N A L E
pubblicità, ma da questa anche spesso considerata testimonial rassicurante di prodotti alimentari.
“Dalla rivoluzione della «boîte» ai
precucinati: stili di vita e abitudini alimentari dell’Italia industriale” il titolo
della relazione del prof. Carlo Magni,
dell’Università La Sapienza di Roma.
La rivoluzione alimentare industriale
prende le mosse, ha esordito Magni,
dai cibi conservati in scatola (“boîte”),
quelli standardizzati e porzionati, sul
CENA DI GALA IN ONORE DEL PRESIDENTE
“Palazzo Colonna - Galleria del cardinale”
Roma - 28 maggio 2011
MENU
Aperitivo
Marsala “Vergine” Mirabella con scaglie di parmigiano reggiano
spumante brut, Bellini e Mimosa, vino bianco secco
succo di ananas, succo di arancia, succo di pompelmo
Fagottino di melanzana con fiocchetto di erba cipollina su crostoncino,
piccola caprese con fogliolina al basilico su tartina di pane bianco,
blinis di grano saraceno con panna acida al caviale,
rotolino di salmone marinato e ribes su crostoncino di segale,
pomodorini cherry farciti con mousse di tonno e capperi,
piccolo involtino di pasta fresca farcito con ragù di verdure,
spiedini di salmone all’aneto, spiedini di pollo al curry
Al tavolo
Flan di zucchine con salsa besciamella,
parmigiano, uovo e menta croccante
Cavatelli al ragù di spigola e cicorietta selvatica
al sentore di peperoncino
Lombetto di vitello con battuto cremolato di limone e rosmarino,
melanzane grigliate e patate a lamelle gratinate
Semifreddo di crema e agrumi di Sicilia
con fili d’arancia caramellati e salsa al Grand Marnier
Caffè
Piccoli cannoli siciliani
Piccoli babà al rum
I VINI IN TAVOLA
Pinot grigio 2009, Collavini
Rosso di Montefalco 2008, Arnaldo Caprai
Marsala “Oro”, Pellegrino
modello americano del periodo bellico. Con il boom economico, finisce la
povertà di massa, si comincia a pranzare sul posto di lavoro e, successivamente, frigo, tv, pubblicità e supermercati cambiano gli stili di vita: dall’euforia degli anni Settanta si passa al
consumismo degli anni Ottanta-Novanta, fino ad arrivare, col nuovo millennio, alla ricerca della qualità, al richiamo del territorio, al cibo inteso
come soddisfazione del gusto. E poiché l’innovazione in cucina non si ferma, ha concluso Magni, sarà importante una sintesi fra tradizione e innovazione nel rispetto della qualità.
Ultimo intervento quello del prof.
Alberto Capatti, dell’Università di
Scienze gastronomiche di Pollenzo
(Cuneo), su “La cucina militare”, per
non dimenticare l’aspetto della disciplina militare, naturalmente dal punto di vista alimentare, nel processo
unitario. Il relatore si è proposto di dimostrare che non esiste differenza,
come invece si potrebbe supporre, tra
i canoni della cucina militare e quelli
della cucina civile. E per farlo ha esaminato una serie di testi, pubblicati
negli anni Trenta (“Il cuciniere militare”, “Le grandi cucine militari e conviviali”, ecc.), in cui le ricette riportate
spesso ricalcano quelle dell’Artusi,
quando non sono proprio identiche, e
comunque di quelle artusiane seguono la regionalità. Le ricette trainanti
nel cibo delle caserme sono infatti
principalmente quelle del Bolognese,
che costituisce il modello più appetibile, o del Milanese; non derivano da
regioni più a Sud di Napoli, tanto che
tutti i soldati meridionali non mangiarono, per molto tempo, altro che preparazioni del Centro Nord. Esempi artusiani si trovano anche nelle ricette
militari di pubblicazioni successive
per cui, ha concluso il relatore, la cucina militare sembrerebbe essere un
grande plagio, una sorta di fotocopia
della cucina artusiana.
Concluso il convegno, ha avuto
luogo la cena di gala nelle belle sale
del Palazzo Colonna, nel centro di
Roma.
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N O S T R I
C O N V E G N I
Il fantasma della fame
DI MARIA CRISTINA
CARBONELLI DI LETINO
Accademica di Isernia
La prima tappa
di un progetto che coinvolge
i giovani attraverso
la storia nazionale e quella
del Molise in particolare.
ella sala dell’Itis di Isernia si è
coronato il primo degli importanti, impegnativi progetti regionali promossi e attuati dal Centro
Studi del Molise e dalle tre Delegazioni della regione, condivisi e incoraggiati dal prefetto di Campobasso.
Il convegno, dal titolo “Il fantasma
della fame… storie nella storia d’Italia, 1861-2011”, è un primo contributo che la Delegazione di Isernia ha
dato per le celebrazioni dei 150 anni
dell’Unità d’Italia.
Questo progetto è nato con l’intento di dare ai giovani una maggiore conoscenza storica
dei problemi del
quotidiano, che
non può essere
ignorata, e la
consapevolezza
delle loro radici,
perché su di esse
si costruisce il futuro, e loro sono
il futuro, parte
continua di un
divenire storico.
Guidati dalla bravissima docente
di lettere prof.ssa
Ida Di Ianni, la risposta degli studenti
della classe III E del liceo scientifico
“E. Majorana” di Isernia, cui si è rivolto il progetto, è stata eccellente.
Nei mesi precedenti, gli studenti
hanno seguito con interesse incontri
formativi nati per promuovere la cultura gastronomica regionale attraverso
la pluralità dei saperi, nell’innesto storico, sociale, culturale e cinematografico dall’Unità d’Italia a oggi, attraverso
il filo conduttore della fame. Gli incontri sono stati organizzati dalla Delegazione di Isernia e tenuti da esperti
di chiara fama, studiosi del panorama
regionale e nazionale, quali il prof.
N
Norberto Lombardi, la prof.ssa Simonetta Tassinari, la prof.ssa Carmela di
Soccio, il prof. Giampaolo Colavita, il
dott. Enrico Gaudenzi, il dott. Tommaso Lucchetti che, generosamente, hanno attuato dei seminari e delle ore di
laboratorio, trattando temi fondamentali come l’emigrazione con i suoi effetti e le sue conseguenze, la cinematografia come specchio di costume, la
letteratura voce del tempo, l’alimentazione come scienza.
In occasione del convegno, introdotti dalle note dell’inno nazionale,
sono stati gli studenti stessi relatori e
protagonisti di
questo evento,
traendo le conclusioni, parlando di
quanto appreso
ed elaborato.
Dal tema della
fame, hanno ripercorso le tappe
che in questi 150
anni hanno dato
vita alla storia nazionale e a quella
del Molise in particolare. Il fantasma della fame è
stato presente come piaga comune
ma anche come realtà della storia,
perché il cibo non è una merce ma
una forza portante, e tutto quanto lo
concerne diventa costume, civiltà,
scienza. La storia della fame diventa
quindi quella del cibo, del suo valore
nella vita sociale, della cultura alimentare. Ripercorrendo le tappe essenziali
della centralità del cibo, l’Accademica
Ersilia Caporale, con molta capacità e
scioltezza, ha introdotto e accompagnato le relazioni dei ragazzi coordinando brillantemente questo incontro,
che è stato anche arricchito dalla presenza del dott. Giampaolo D’Uva e
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della prof.ssa Carmela di Soccio. Questi due bravissimi “attori” hanno
rafforzato e colorato il dire dei giovani
recitando poesie e brani in vernacolo,
dando voce a una cultura popolare e
saggia che, nata nel Molise, ha in sé significati che vanno ben oltre i confini
regionali. Piacevolissimo l’ultimo
estemporaneo duetto con cui magistralmente hanno raccontato il brigantaggio, una pagina di storia in un momento molto difficile del nostro Meridione. Molto applauditi sono stati la
sapiente colonna sonora di questo vivace, riuscitissimo incontro che ha
gratificato i giovani protagonisti e l’impegno di tutti loro anche nell’elaborazione tecnica delle proiezioni, nel
progetto grafico, nella sceneggiatura,
nell’accoglienza degli ospiti.
È stato coinvolto e interessato il numeroso pubblico dove tanti erano i
ragazzi, fra cui quelli dell’istituto alberghiero di Agnone e la loro dirigente scolastica, molti studenti liceali,
gli Accademici di Isernia e la Delegata di Campobasso. Questo progetto
ha dimostrato di avere una valenza
notevole, visti l’interesse suscitato e il
successo ottenuto, ed è stato accolto
con entusiasmo dal dirigente scolastico prof. Eugenio Silvestre, che ne ha
chiesto la prosecuzione anche per il
prossimo anno scolastico perché, per
la prima volta, gli studenti hanno avuto l’opportunità di conoscere la storia
dell’alimentazione locale “scoprendola” attraverso la storia della propria
regione e sarà quindi necessario un
approfondimento. L’evento, come da
programma regionale, verrà replicato
nei centri più importanti della provincia di Isernia e nuovamente realizzato e articolato dagli studenti del liceo
scientifico “Romita” di Campobasso,
e poi ripetuto in altre scuole della
stessa provincia.
Un incontro molto ben riuscito, che
premia nei risultati tutti quelli che
con passione e determinazione tanto
si sono impegnati alla sua organizzazione, a cui rivolgiamo il nostro grazie, e quanti vi hanno assistito con
manifestato piacere.
C O N V E G N I
LE RICETTE D’AUTORE
Le pesche
Si ritiene che le pesche, umide e fredde, non giovino allo stomaco, dato che inacidiscono immediatamente e si trasformano in umori flemmatici. Il loro uso, dal quale i medici negano che si ottenga qualche
nutrimento, non reca alcun vantaggio. Ciononostante le pesche mangiate prima del pasto stimolano l’appetito, sono diuretiche, sciolgono
l’intestino e levano il cattivo odore dall’alito. Mangiate secche dopo il
pasto, sebbene non siano nutrienti, sigillano lo stomaco perché hanno
un certo potere astringente. Alcuni affermano che dopo aver mangiato delle pesche convenga, prima di prendere altri cibi, bere del buon
vino per impedire che imputridiscano. Non è nemmeno da disapprovare il parere di altri, i quali asseriscono che dopo i pasti è bene mangiare pesche tagliate a pezzetti e messe a bagno in eccellente vino puro, perché così rinfrescano la bocca dello stomaco e la cavità orale,
cosa che però è da farsi dopo aver cenato con degli arrosti. Le foglie
del pesco, tritate e poste sul ventre, aiutano a espellere i vermi o li distruggono; fatte seccare e polverizzate, cicatrizzano le piaghe sanguinolente. Il nocciolo delle pesche, tritato e mescolato con un po’ di olio,
guarisce il mal di capo.
BARTOLOMEO PLATINA
da “De honesta voluptate” (1474)
Come se debbe tagliare li perseghi
Prenderai il Persico nella sinistra mano con la puncta del parvoletto
coltello il monderai tutto sottilmente, e havendoli tolta la scorza tutta
taglierai el resto a fette, e volendolo tagliare nell’aria: metrailo sopra
la forcina la frutta che e la più piccola: dico de quella parte che stano
attacati nello naturale arbore, e cosi el monderai, come del modo preditto: cominciando sempre nella sopranea cima: e anchora lo potrai
mondare in giu come il pero, hor dun modo, hor de unaltro potrai
fare con gratia e con destrezza.
GIOVAN FRANCESCO COLLE
da “Refugio de povero gentilhuomo” (1520)
Pesche nelle chicchere
Passa allo staccio tre belle pesche mature, uniscivi quattro once di
zuccaro in polvere, sei tuorli d’uovo ed un bicchiero di vino bianco.
Ciò fatto, riempine delle chicchere, che metterai a cuocere nel bagnomaria finchè la crema sia inspessita. Servila nelle stesse chicchere
fredda od anche gelata.
da “La cucina degli stomachi deboli” (1862)
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Pepe come cucina
rosa come donna
DI GIOVANNI CANELLI
Delegato di Vigevano e della Lomellina
“Il contributo femminile
alla crescita
del sistema Italia”.
Accademia ha promosso, come contributo storico dell’evolversi della cucina nei 150
anni dell’Unità d’Italia, tre convegni
nelle città che hanno assunto il ruolo di capitale dello stato unitario. La
Delegazione di Vigevano e della Lomellina, con un po’ di sfacciataggine, ha voluto aggiungere alle tre capitali una quarta: Vigevano. Nell’agosto del 1848 Carlo Alberto, infatti,
abbandonata Milano andò a Vigevano, ospite del vescovo Pio Vincenzo
Forzani, e per alcuni giorni la cittadina diventò capitale del Regno di
Sardegna. Qui il 10 agosto 1848 Carlo Alberto ratificò l’armistizio con gli
austriaci ed emanò un proclama “ai
popoli del regno” confermando la
volontà di proseguire la guerra per
l’indipendenza italiana.
Nel segno di Vigevano “capitale”
gli Accademici della Delegazione
hanno voluto celebrare anche i 25
anni di vita accademica, con il convegno intitolato “Peperosa, pepe come cucina rosa come donna”, che si
è fregiato del logo del Comitato nazionale per le manifestazioni. Grazie
alla Fondazione Piacenza e Vigevano il convegno ha trovato sede nel
prestigioso auditorium San Dionigi,
una vecchia chiesa risalente agli ultimi anni del Settecento.
Dopo i saluti al Presidente Giovanni Ballarini, al sindaco di Vigevano Sala, al vicario generale della diocesi di Vigevano mons. Zanotti, al
capitano Gennaro Cassese, comandante della compagnia dei Carabinieri di Vigevano, al maresciallo
Massimo Berolacci, ai Delegati stranieri, a quelli di molte regioni d’Italia, il Delegato Giovanni Canelli, nel
presentare il convegno, ha sottolineato il valore dei due termini: pepe
come serrata rivendicazione di quel
L’
diritto alla conoscenza che in cucina
alle donne non sempre viene riconosciuto; rosa, la regina dei fiori che
sboccia non solo nei giardini ma anche in cucina aprendo una nuova
strada, forse un po’ meno convenzionale, nella storia dell’evoluzione
al femminile della cucina.
Il “fil rouge” che ha legato le relazioni (economia, filosofia, arte e costume) è stato mirabilmente dipanato dal moderatore Gianni Fossati,
giornalista e componente del Consiglio di Presidenza dell’Accademia. Il
moderatore ha sottolineato che l’originalità del tema del convegno può
considerarsi un “topos” per la componente rosa dell’Accademia, poiché il contributo femminile alla crescita del sistema Italia è, nel mondo
del lavoro, della scienza e della cultura, fattore di innovazione, di progresso e di competitività.
La prof.ssa Emanuela Scarpellini,
docente di Storia contemporanea all’Università di Milano, ha tratteggiato
l’innovazione della cucina, nei 150
anni dell’Unità, dal punto di vista
della qualità e della quantità dei consumi alimentari. Pasti più ricchi, sani
e variati, ha concluso la relatrice,
non devono farci dimenticare la tradizione, intesa come pratica cucinaria, ma anche come rispetto per l’ambiente, confidando nell’equilibrio fra
tradizione e innovazione: la giusta
“ricetta” per il futuro della cucina.
Dall’economia alla filosofia. Teoria
e pratica del cucinar parole è il percorso che ha proposto la prof.ssa
Francesca Rigotti, docente di Concetti e metafore della politica all’Università della Svizzera italiana di Lugano. Molte sono le metafore alimentari (divorare un libro, ruminare
un’idea, parole dolci), che dicono
che pensare è cucinare, è trasforma-
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re le idee crude mediante il potere
del fuoco e di chi lo governa: il cuoco, che cucina cibi e parole. Il filosofo Platone accomunava in un’unica condanna cuochi e retori: cucina
e retorica. L’arte del mangiare e l’arte del parlare coincidono entrambe
nello stesso vizio: eccesso di cibo,
eccesso di parola. A tutti va ricordata la regola del pensiero greco: la
moderazione.
La prof.ssa Luigia Favalli, docente
di Farmacologia applicata all’Università di Pavia, ha ricordato le figure di
Ada Boni, Petronilla, Lisa Biondi, Ottorina Perna Bozzi, Annalisa Alberici
e tante altre che hanno lasciato
un’impronta nella storia della cucina
italiana.
Il difficile rapporto tra la donna e il
cibo, ricco di una complicata e contradittoria ambiguità, è stato il concetto sviluppato, con una simbolica
iconografia, da Maria Emilia Moro,
Accademica di Lodi e componente
del Centro Studi territoriale. Superati
antichi tabù, i pittori impressionisti
C O N V E G N I
sono stati testimoni di una donna
che in totale libertà si accosta al cibo
in locali pubblici, mentre nelle case,
non solo borghesi, si operava una rivalutazione del ruolo femminile in
cucina. Non più un ingrato dovere
ma il piacere di esprimere equilibrio,
sensibilità, fantasia - qualità femminili - nella preparazione del cibo.
“Petronilla, storia di una modernissima donna d’altri tempi” è il titolo
del libro che Alessandra De Vizzi,
giornalista, traduttrice e scrittrice, ha
scritto con Roberta Schira. Libro ricco di spunti e di aneddoti storici che
ci ha consegnato una Petronilla moglie, medico, popolarissima scrittrice
di cucina; un profilo di donna davvero eccezionale e coraggiosa che ha
incrociato le grandi figure femminili
del secolo scorso interpretando un
ruolo di femminista “ante litteram”.
Il Delegato Giovanni Canelli ha
chiuso il convegno, ricco di spunti
culturali, riconoscendo alla Delegazione di Vigevano e della Lomellina
di aver dato testimonianza che l’uo-
mo non è solo ciò che mangia ma
anche ciò che legge, realizzando
l’insegnamento del fondatore Orio
Vergani di salvaguardare non solo la
cucina ma soprattutto la cultura della civiltà della tavola.
Il Presidente Giovanni Ballarini ha
ribadito l’importanza della donna nel
mondo cucinario. Il ruolo femminile
sta proprio nel tramandare, nel tempo, usi, tradizioni, conoscenze raffinate e tecniche cucinarie. Grandi uomini come Artusi e Vergani sono stati
“accompagnati” e sostenuti da donne
che cucinavano per loro.
Il Presidente ha concluso con un
ringraziamento alla Delegazione di
Vigevano e della Lomellina e al Delegato Giovanni Canelli per l’impegno e per lo sforzo nell’organizzare
l’evento e per la scelta del tema,
“utile e profondo” e di grande attualità. Sono le donne le vere maestre
di cucina e attraverso il loro sapere
nessuno potrà mai affermare che la
cucina italiana è morta.
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IL PIATTO BLU
Si è svolta ad Albenga la seconda edizione del convegno della Delegazione, intitolato “Il piatto blu”. Questo piatto, che risale al I secolo d.C., è oggi custodito
in Palazzo Oddo insieme ad altri bellissimi reperti in
vetro di epoca romana che arricchiscono Albenga,
una città importante dal punto di vista storico e archeologico.
La rilevanza della città e del suo territorio per quanto riguarda le tradizioni agroalimentari ha ispirato
il Delegato Roberto Pirino, che ha ideato nel 2010
questo convegno, premiando ogni anno un grande
cuoco, interprete e ambasciatore della cucina italiana, con una riproduzione del famoso piatto, eseguita
dai maestri vetrai di Altare.
Quest’anno, accompagnato da Gualtiero Marchesi, è
stato premiato Ezio Santin, famoso cuoco e proprietario dell’“Antica Osteria del Ponte” di Cassinetta di
Lugagnano. Al convegno ha partecipato, in rappresentanza del Presidente Giovanni Ballarini, il Consultore nazionale Giorgio Zò.
Numerosi Delegati e Accademici hanno dato vita al
dibattito sullo stato attuale della cucina italiana, dopo aver ascoltato il pensiero e i ricordi dei due gran-
di maestri Santin e Marchesi, che hanno seguito in
questi ultimi 50 anni l’evoluzione del costume italiano a tavola.
Particolarmente interessante è stata la descrizione
del rapporto che lega i due grandi cuochi di origine
lombarda con i prodotti dell’Albenganese - i carciofi
spinosi, gli asparagi violetti, le zucchine trombette e i
pomodori cuore di bue - e con la Liguria di Ponente
e le sue tradizioni.
Tra le tante domande, molte sono state rivolte dai
giovani allievi dell’istituto alberghiero di Alassio, che
hanno anche presentato una loro ricetta con gli
asparagi di Albenga, molto apprezzata dal maestro
Santin, il quale ha donato alla Delegazione due sue
ricette innovative con gli asparagi e i carciofi.
La giornata si è conclusa con una cena al ristorante
“Pernambucco” di Albenga, durante la quale si è
svolta la cerimonia del passaggio della campana da
Silvio Torre a Roberto Pirino, alla presenza anche del
Coordinatore territoriale per la Liguria Paolo Lingua.
Un clima di festa e di amicizia accademica ha fatto
trascorrere a tutti una bellissima serata. (Roberto Pirino)
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R I C E R C A
Cucina d’Italia in Ungheria
DI SZABÓ GYÖZÖ
Università “Eötvös Loránd”, Budapest
L’articolo è tratto
dall’intervento del professore
ungherese al convegno
“Specificità e diversità
nella cucina italiana
a 150 anni dall’Unità”,
organizzato
dalla Delegazione
di Budapest, di cui
parleremo nel prossimo
numero della rivista.
redo che la parola Risorgimento non sia sconosciuta al pubblico ungherese colto, dato
che nel dizionario dei forestierismi
dell’ungherese, edito dall’Osiris, la
sua prima comparsa è datata al 1941.
A ogni modo, il termine che indica
l’epoca dell’unificazione d’Italia deriva dal verbo “risorgere”, i cui sinonimi sono “rinascere, rifiorire, riprendersi” e anche “levarsi in piedi”.
Quest’ultimo rievoca l’incitazione
“Talpra magyar” (“In piedi, ungheresi”), con la quale il poeta Sándor
Petöfi si rivolge nel ’48 ai propri
compatrioti. In un’altra sua poesia
intitolata “Olaszország” (“Italia”),
ispirata dai moti rivoluzionari italiani,
appare la stessa immagine: “Uno dopo l’altro si levano in piedi / i sospiri
in guerre dei cieli / si sono trasformati, e al posto delle catene tintinnano le spade. / Al posto delle pallide
arance, gli alberi del sud / di rose
rosse di sangue saranno carichi / essi
sono i tuoi gloriosi sacri soldati, /aiutali, dio della libertà!” (trad. di Gianni
Toti e Marinka Dallos).
Un altro poeta ungherese, Endre
Ady, definisce l’Italia “narancsvirágos ország”, paese dei fiori d’arancio. La parola “narancs” (arancia),
assurta a simbolo d’Italia, appartiene
al gruppo più nutrito dei primi prestiti italiani dell’ungherese, cioè a
quello relativo all’ortofrutticultura
mediterranea, comprendente anche
“füge” (fico), “mandula” (mandorla,
triestino “mándula”), “spárga” (asparago, triestino-giuliano “sparago,
spargo”), “articsóka” (carciofo, triestino-giuliano “articioco”), per menzionare soltanto i più noti. La sfera
delle parole ungheresi di origine italiana si è gradualmente ampliata nel
corso dei secoli, grazie al mantenimento ininterrotto dei rapporti dina-
C
stici, culturali, economici e commerciali italo-ungheresi, dal regno di
Santo Stefano, attraverso l’epoca angioina, fino al rinascimentale Mattia
Corvino. Con la seconda moglie del
sovrano, Beatrice, si stabilirono in
Ungheria anche cuochi italiani che
diffusero l’uso dello zafferano, della
castagna e di vari tipi di panini nonché di pastasciutta.
Dopo la morte di re Mattia i rapporti diretti italo-ungheresi divennero difficoltosi e nel periodo asburgico, succeduto al dominio ottomano,
la maggior parte dei prestiti lessicali
italiani pervenne in Ungheria con la
mediazione della lingua tedesca. Ma
all’inizio dell’Ottocento, con l’avvento della “primavera dei popoli”, risorse anche la fratellanza italo-ungherese. Ne saranno fulgidi esempi
la partecipazione della legione italiana di Alessandro Monti alle lotte
d’indipendenza del popolo ungherese e le gesta dei garibaldini ungheresi, capeggiati da Türr e Tüköry.
Ancora prima degli atti bellici, nella cosiddetta “età delle riforme”,
vengono fatte importanti e pacifiche
conquiste nella gastronomia ungherese. Soprattutto nell’arricchimento
della gamma delle varietà di gelati
possiamo notare un’influenza italiana, comprovata anche dai nomi dei
prodotti. I documenti d’allora attestano una ventina di gelati diversi,
soprattutto a base di frutta: maraschino, arancia, ananas, tutti frutti.
Nel 1848 una delle pasticcerie della
vecchia Pest proponeva ai clienti gelati stratificati rappresentanti il tricolore. Gli avventori nelle pasticcerie e
nelle caffetterie potevano già sorbire
anche limonate e “kapuziner”.
“Avventore” e “cliente” possono
essere tradotti in ungherese con
“vendég”, il cui primo significato è
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C U L T U R A
“ospite”. Chi avrebbe pensato, prima
della scoperta fatta dal linguista János Balázs nel 1978, che in questo
termine tanto gentile, si nascondesse
un “venedigo”, cioè un veneziano?
Infatti, erano prevalentemente veneziani i nostri primi “ospiti” stranieri
che, con San Gerardo in testa, ci aiutavano ad acquisire le nozioni della
civiltà latina e cristiana. L’elemento
“venedigo” è incastonato anche nella parola “vendégl” (trattoria), sebbene, a giudicare dalle targhe che
vediamo in giro, sia numericamente
superata da “étterem” o addirittura
da “ristorante”.
Con tutto ciò, una volta accomodati in un “vendégl” o in un “étte-
&
R I C E R C A
rem”, ci troviamo davanti a un
“tányér” (da “tagliere”), con accanto
la “szalvéta” (salvietta), mentre le
bevande vengono servite in una “tálca” (da “tazza”).
Con tutta probabilità non è attribuibile al caso che lo scrittore ungherese più suscettibile all’arte della
cucina, Gyula Krúdy, sia di remote
origini italiane. In una delle scene
leggendarie del film “Szindbád”, rievocante atmosfere “fin de siècle”,
tratto dalle opere dello scrittore, l’attore protagonista, studiando la carta
delle vivande, si rivolge così al cameriere: “Fagiano, ripieno di castagne. Ora sorge la domanda: queste
castagne sono italiane o ungheresi?”.
UN AFFRESCO ACCADEMICO
Filippo Cianfanelli, Accademico di Firenze, medico e pittore, ha
realizzato un affresco collocato nella “Sala delle miniature” in Palazzo Vecchio a Firenze, per ricordare la figura di Francesco Ferrucci, eroe, simbolo della libertà della Repubblica fiorentina, caduto durante l’assedio di Firenze del 1530. L’affresco, ispirato al ciclo
sugli “uomini e donne illustri” di Andrea Del Castagno, è stato realizzato con le tecniche tradizionali nella stessa bottega usata
dal maestro Talani per l’opera
che si trova all’interno della
stazione ferroviaria di Santa
Maria Novella a Firenze. Filippo Cianfanelli ha dipinto un
vero affresco con la tecnica
classica, ma l’opera è stata realizzata in un locale diverso da
quello di esposizione in quanto
in Palazzo Vecchio non è permesso dipingere direttamente
sull’intonaco. Successivamente
si è proceduto allo “strappo” dal
muro per riportare l’opera su
un supporto trasportabile. L’inaugurazione, alla presenza
delle autorità cittadine, è avvenuta a fine maggio, nel corso
di una cerimonia commemorativa in ricordo dei caduti nella
battaglia di Curtatone e Montanara. Filippo Cianfanelli è anche l’autore del nuovo diploma
dell’Accademia per i diversi riconoscimenti agli Accademici.
Negli anni Cinquanta del secolo
scorso, periodo definibile come l’inizio del secondo assoggettamento a
una potenza straniera, si poteva
viaggiare soltanto seduti al cinema.
Fortunatamente, molte pellicole italiane di qualità sono riuscite ad attraversare il muro. Guardando queste opere abbiamo potuto farci un’idea di come vivevano e mangiavano
gli italiani. Poiché la maggior parte
di questi film era ancora in bianco e
nero, non era del tutto chiaro con
che cosa fossero conditi gli spaghetti. Chi scrive, da bambino, pensava
che anche gli italiani mangiassero la
pastasciutta con la marmellata.
A cominciare dagli anni Settanta, il
mondo cominciava ad aprirsi ancora
di più. Nei mercati rispuntavano i
“brokkoli” dimenticati. Aprirono i
battenti i ristoranti italiani e italianizzanti. Accanto ai preesistenti “makaróni” e “spagetti”, apparvero “lazannya”
e “fuzili”. Le pizzerie gestite da ungheresi sfoggiavano e sfoggiano
tutt’ora insegne come “Don Pepe”.
“Sta nascendo un nuovo folclore ungherese - scrive Béla Fehér sul quotidiano “Magyar Nemzet” - che per ragioni imperscrutabili ha abbracciato
la cucina italiana, la sta piegando e
plasmando al proprio gusto. [...] Sono nate dal nulla nuove famiglie di
pizze”. Le pizze distinte con l’appellativo “Vesuvio” sono preparate in
generale con paprika piccantissima.
La piccantezza così cara al palato
ungherese viene segnalata da nomi
fantasiosi come “Bugaci betyáros”
(alla brigante di Bugac), “Égö Pokol”
(Inferno ardente), o “Piedone”, denominazione multiuso e preferita soprattutto per la pizza farcita di fagioli e cipolla.
Quest’ultima va anche sotto il nome “Botond” e poiché detta persona, un forzuto incursore ungaro, è
più nota per la sua mazza con cui
ruppe la porta di Bisanzio che per i
fagioli con la cipolla, la scelta del
nome può essere considerata una
delicata manifestazione dell’anima
ungherese.
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P R E M I O
“ O R I O
V E R G A N I ”
“Montalbano” ritira il premio
DI SILVIA
DE LORENZO
Il premio
ad Andrea Camilleri
e a Luca Zingaretti.
Consegna e conferenza
stampa a Roma
con numerosa
partecipazione
di giornalisti
.
Accanto, l’attestato
per Luca Zingaretti, analogo,
nella motivazione, a quello
di Andrea Camilleri.
ieta. “Questa probabilmente
è stata la parola che ho pronunciato addirittura prima di
dire mamma e papà”. Così esordisce
il commissario Montalbano, pardon,
Luca Zingaretti in occasione della
conferenza stampa organizzata dall’Accademia per la consegna del
premio “Vergani” 2011. Ma poi via
via si smentisce, perché come la
madre, che gli ha insegnato quella
prima parola, mostra invece di amare molto la buona cucina.
Una cucina che, come ha sottolineato il Presidente Ballarini, oggi
mostra spesso una “voglia di tradizione”, così come alla tradizione si è
ispirata l’Accademia nell’attribuire il
premio, intitolato al suo Fondatore,
a un personaggio che fosse testimone del valore della cucina italiana in
Italia e nel mondo. Già, un personaggio, ha fatto notare il Presidente
Ballarini, che però è un uomo reale,
come accade per quelle figure, per
esempio Ulisse o Sherlock Holmes,
D
che nell’immaginario collettivo sono
diventate vere, reali. Montalbano vive tramite Luca Zingaretti che ha assunto nella mente dei lettori e dei
telespettatori il ruolo di mediatore
tra lo scrittore e la realtà. Ma il personaggio non sarebbe così reale se
non mangiasse e Montalbano non
solo mangia ma è anche un critico
gastronomico quando, spesso, parla
di cucina con chi gli prepara i piatti
che gusta.
Luca Zingaretti ha dichiarato di
essere lusingato e onorato di ricevere il premio da un’Istituzione come
l’Accademia. Conoscerne gli obiettivi, ha detto, gli ha fatto ritornare il
sorriso e l’ha fatto sentire fiero di
essere italiano, sinonimo, nel mondo, di cultura, eleganza e qualità
della cucina.
Nel rispondere poi alle domande
che gli sono state rivolte dal Presidente Ballarini e dal Segretario Generale Paolo Petroni, oltre che dai
numerosi giornalisti intervenuti, si è
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P R E M I O
UN PRANZO SICILIANO
“Grand hotel Flora”, Roma
15 giugno 2011
Arancini e caponatina
Pasta al nero di seppia
Pasta con le sarde
Pasta alla Norma
Sarde a beccafico
Involtini di carne alla siciliana
Cannoli, formaggio ragusano
VINI
Santagostino bianco
Baglio Soria 2009 - Firriato
Harmonium 2008 - Firriato
Firriato Ecrù 2008 - Firriato
“ O R I O
V E R G A N I ”
soffermato a parlare del suo personaggio riconoscendogli il ruolo per
cui è stato premiato, insieme al suo
autore Andrea Camilleri: quello di
ambasciatore della cucina italiana di
qualità nel mondo, in quanto i libri
che lo vedono protagonista sono
diffusi e tradotti in moltissimi Paesi
stranieri.
Montalbano piace, ha aggiunto
Zingaretti, perché vive in pieno la
sua esistenza e trova dentro di sé
ciò di cui ha bisogno per essere felice. E la cultura della buona cucina,
un aspetto tipicamente italiano, è
per lui uno dei primi piaceri della
vita, oltre a essere un modo per leggere un ambiente, un territorio, una
storia. E a questo proposito Zingaretti si è soffermato, sollecitato anche dalle domande della stampa, a
parlare dei luoghi in cui vengono
girati gli episodi televisivi. Sono
quelli della provincia di Ragusa,
fuori dai circuiti turistici, caratterizzati dal candore e dalla semplicità
delle persone laboriose che li abitano. È in questi luoghi che anche lui,
ritrovandosi la sera a cena con la
troupe, ha conosciuto la vera cucina
regionale siciliana della quale ha
imparato ad apprezzare le ricette,
comprendendone anche i valori
identitari.
La conferenza stampa ha avuto un
seguito gastronomico, sulla terrazza
e poi nella bella veranda dell’hotel
“Flora”, a Roma, dove è stato servito
un pranzo con menu siciliano, interamente ispirato ai piatti preferiti
del commissario Montalbano.
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RASSEGNA
STAMPA
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C U L T U R A
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R I C E R C A
Il pemmican di Salgari
DI GIANCARLO BURRI
Accademico di Padova
Lo scrittore si è ispirato
agli “sfilacci”, antica e tipica
preparazione veneta.
Emilio Salgari con la sua famiglia.
ra i tanti, ottimi motivi per ricordare Emilio Salgari, nel centenario della sua tragica morte, ne
vorrei proporre uno di cultura gastronomica, legato alla memoria dello
scrittore degli avvincenti romanzi che
hanno caratterizzato la nostra adolescenza (Salgari è il quarto scrittore
letto e conosciuto al mondo).
In molti di essi (da “Sulle frontiere
del Far West” a “I minatori dell’Alaska”, da “I pescatori di balene” a “Le
T
meraviglie del Duemila”), ricorre la
citazione di un cibo che dalle verdi
praterie ai ghiacci del Nord gli avventurieri usavano consumare: il
pemmican.
Il vocabolo, originario del linguaggio dei pellirosse “Cree”, indica la
carne di bisonte, opportunamente
trattata in modo da poter essere conservata. Cosce, lombata, spalla, tagliate in strisce lunghe e sottili, lasciate essiccare per alcuni giorni al sole
su appositi trespoli sollevati dal terreno, poi finite di essiccare (e affumicare) sul fuoco, fino a quando la carne
non raggiungeva una consistenza tale
da poter essere sbriciolata e ridotta in
polvere. Impastata con sego, la carne
veniva poi “confezionata” in sacche
di pelle, pronta e di sicura conservazione per i lunghi viaggi e per lunghi
periodi. Non sappiamo se Salgari, veronese, avesse tratto ispirazione, citando il pemmican, dall’antica e tipica preparazione veneta, gli “sfilacci”,
certo è che anche l’Italia, in più zone,
vanta diverse tradizioni conserviere
di carni essiccate.
Gli sfilacci, prodotti - secondo la
più originale ricetta veneta - con carne di cavallo essiccata, affumicata e
sfilacciata (a mano, nella costumanza
artigianale), si presentano come filamenti di colore rosso scuro, di gusto
saporito. Vengono solitamente consumati assieme alla polenta oppure
conditi con olio, sale e limone, ma si
prestano anche a interessanti interpretazioni gastronomiche come ingrediente per salse, sughi, insalate.
Cibo usuale di tutti quelli che dovevano mangiare fuori casa, come i boscaioli, i pastori transumanti e gli zatterieri del Piave, le “pendole” bellunesi erano fatte utilizzando carni particolarmente saporite: di pecora, di
cavallo, di asino, di capra e di selvag-
gina (oggi si usa anche la carne del
suino). Con il nome di “pindulis” si
producono invece, in val Canale e
Canal del Ferro (Friuli), tranci di carne di ovino o caprino adulto, sgrassata, speziata, affumicata ed essiccata.
Diverse, nelle due zone, le speziature
e le essenze usate per i fumi.
Più a Nord, nata sempre dall’antica
esigenza di conservare a lungo la carne per il fabbisogno invernale della
famiglia, ecco la “motzetta” valdostana, carne essiccata di bovino, equino,
camoscio (ma anche cervo o cinghiale). Ideale come antipasto, non abbisogna di alcun condimento in quanto
il suo sapore, intriso di spezie e aromi di montagna, è già da sé completo. Antica specialità delle veraci
osterie romane le “coppiette”, tagli di
carne equina (oggi anche bovina e
suina), tradizionalmente piegati a
metà su un filo posto a essiccare davanti al fuoco. Vanno gustate tagliando delle fettine non troppo sottili,
che devono essere ammorbidite tenendole a lungo in bocca prima di
essere inghiottite.
Prodotto strettamente legato all’attività della pastorizia transumante, in
Abruzzo, la “micischia”, dal sapore
deciso e sapido piuttosto forte, dovuto alla carne di pecora (occasionalmente di capra), non giovane e non
troppo grassa, utilizzata.
Dalle zone collinari e montane del
Gargano ecco invece la “muscisca” di
capra (oggi anche di pecora e vitello), preparazione tipicamente pastorale, di origini antichissime, addirittura preistoriche. Questa elencazione,
che certamente non ha la pretesa di
essere completa, vuole essere ancora
un invito a scoprire un elemento inconsueto dei nostri più tradizionali
valori gastronomici regionali.
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C U L T U R A
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R I C E R C A
Analisi della storia della cucina
DI DONATO PASQUARIELLO
Accademico di Roma Appia
Un contributo metodologico
per spiegare l’evoluzione
di una materia, la cucina,
che può essere definita
scientifica.
a cucina - singolare prodotto
esperienziale e intellettivo dell’uomo, confinante per diversi
profili anche con l’estetica e con l’arte, e oggetto dei nostri vivi interessi
di Accademici - presenta requisiti
propri della “scienza” e quindi è tale
da prestarsi agevolmente ad approfondite analisi storiche, che valgano a spiegarne la naturale evoluzione. Lo stesso Pellegrino Artusi volle
adoperare, nel titolo del suo famoso
manuale pratico “La scienza in cucina
e l’arte di mangiar bene”, il termine
“scienza” nel limitato significato
“strumentale-applicativo”, a motivo
verosimilmente della inesauribile serie di norme, precetti e informazioni
pratiche, pure di tipo salutistico, che
egli si sentì in dovere di accompagnare alle sue ricette e che all’epoca
rappresentavano quanto di più aggiornato si potesse compendiare a livello di conoscenze scientifiche in tema di cucina.
La cucina può ben essere riguardata, sotto più di un aspetto, alla stregua di vera e propria scienza o quanto meno di materia che non può assolutamente prescindere dalle acquisizioni della scienza; costituiscono infatti connotazioni proprie delle scienze: i metodi sperimentali adottati, a
volte dettati dal caso ma comunque
legati alla sistematica osservazione di
caratteristiche e comportamenti di
quanto disponibile in natura per uso
alimentare; le conseguenti elaborazioni teorico-concettuali; le pratiche
e le tecniche di cucina escogitate e
consolidate nel tempo; il continuo
aggiornamento delle conoscenze in
fatto di assunzione di quanto ritenuto
utile all’organismo; le metodologie
preordinate alla preparazione, al
semplice accostamento o al più intenso trattamento delle materie pri-
L
me; i tempi, le modalità e le forme di
cottura e di conservazione degli alimenti; il sempre più diffuso ricorso
alle tecnologie nelle fasi strettamente
operative dei processi di cucina; la
perdurante esistenza di spazi teoricamente percorribili per l’affinamento
di pratiche e tecniche.
L’intera materia acquisisce poi
spessore, dimensioni e articolazioni
veramente ragguardevoli quando riferita alla italica civiltà della tavola, le
cui radici affondano in un passato a
volte anteriore alla stessa memoria
certa e le cui attuali espressioni risentono di una gamma di apporti storicamente determinanti, degni per loro
natura di approfondite e sistematiche
analisi.
Anche la cucina quindi, come la
scienza, non procede uniformemente
nel suo sviluppo storico, ma vede alternarsi fasi di accumulazione di
esperienze e conoscenze, tese al progressivo affinamento delle soluzioni
elaborate, con fasi contrassegnate da
profondi mutamenti, in senso “paradigmatico”, del contesto di riferimento, conseguenti a eventi del tutto
straordinari; questi ultimi risultano tali da imporre alle varie comunità familiari e sociali e ai maggiori interpreti della materia, vale a dire a quei
soggetti capaci nelle varie epoche di
emergere per creatività e originalità,
nuovi modi di vedere la realtà della
cucina e di ripensare criticamente all’insieme delle abitudini e delle credenze sino allora accumulate.
Eventi questi che, riconosciutane la
generale portata anche a livello di
circoscritte comunità, danno luogo a
veri e propri cambi di paradigma, ossia a nuove concezioni in materia da
utilizzarsi come base e riferimento
per i successivi sviluppi. Ciò determina in alcuni casi pure l’abbandono di
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C U L T U R A
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R I C E R C A
CENA ECUMENICA 2011
La cena ecumenica è ormai diventata istituzionale per l’Accademia. Quest’anno, quindi,
la riunione conviviale, che vedrà insieme, alla stessa mensa virtuale, gli oltre settemila Accademici in Italia e nel mondo, si svolgerà il
20 ottobre alle 20,30. I Delegati cureranno
che la cena ecumenica sia accompagnata da
una idonea relazione di carattere culturale
che illustri l’importante tema proposto.
preesistenti forme di vita, dando occasione e spazio per l’avvio di nuove
e vaste aree di esperienza e di conoscenza capaci di dar origine, col tempo, a tradizioni del tutto nuove sulle
ceneri di quelle di più antica data.
Scorrendo, sia pure grossolanamente per comprensibile ristrettezza
di spazio, la storia della nostra cucina, è facile osservare una infinità di
tali eventi, alcuni dello stesso tipo altri non categorizzabili in quanto del
tutto singolari, che hanno avuto impatti rivoluzionari su abitudini alimentari lungamente sperimentate.
Già in epoca preromana è accertato l’influsso esperienziale di popoli
più evoluti, quali gli Etruschi o i Greci colonizzatori di vaste aree del Meridione, sulle prassi di cucina delle
primitive popolazioni italiche. È seguito poi l’avvento dei Romani, con
le numerose guerre dell’età sia repubblicana sia imperiale, che ha dato
vita in tutti i campi, grazie a una
straordinaria capacità di discernimento e di assimilazione, a meravigliose
sintesi dei saperi dei popoli di volta
in volta sottomessi.
La caduta dell’impero romano e le
diverse invasioni barbariche, interessanti gran parte della penisola, sono
stati ulteriori eventi dirompenti anche
nella storia della cucina, per l’influenza che hanno avuto su tanti importanti aspetti, dalle forme di vita sociale ai profondi cambiamenti intervenuti nello stesso senso del gusto. Le
crociate cristiane medievali costitui-
rono a loro volta occasione di numerosi contatti, di ogni tipo, fra europei
e popoli del vicino Oriente.
L’insorgere e l’affermarsi delle comunità monastiche, con le conseguenti cure riservate al mantenimento e alla conservazione delle tradizioni, e le varie dominazioni straniere
succedutesi nel tempo (Longobardi,
Normanni, Arabi, Svevi, Angioini,
Spagnoli, Francesi, Austriaci ecc.),
per periodi non brevi in vaste aree
geografiche, non potevano non lasciare il segno sulle abitudini di cucina, a volte incorporando a volte trasmettendo le rispettive conoscenze
ed esperienze.
Quelli appena accennati sono, per
grandi linee, solo alcuni degli eventi
“rivoluzionari” che hanno favorito
l’incontro e il confronto tra popoli e
culture profondamente diversi consentendo, attraverso il reciproco arricchimento delle conoscenze, di selezionare il meglio delle acquisizioni
cui si era pervenuti e di modificare, a
volte anche radicalmente, abitudini e
prassi alimentari largamente in uso.
Altri eventi di differente natura si
sono altresì verificati con impatti di
assai variabile incidenza: per esempio, l’introduzione e il consumo di
nuovi prodotti, quali quelli importati
in Europa a seguito della scoperta
delle Americhe, che tanta rilevante
parte hanno poi finito per avere nella
nostra odierna cucina (mais, patata,
pomodoro, melanzana, peperone
ecc.); il progressivo utilizzo di mate-
rie prime esotiche e coloniali (tè,
caffè, cacao, spezie ecc.) provenienti
dai più remoti Paesi; l’avvento di
nuove tecnologie al servizio della cucina (dai primi rudimentali utensili a
quelli estremamente sofisticati di oggi); l’affermarsi di mode o nuovi stili
di vita, conseguenti alla progressiva
modernizzazione e, da ultimo, alla
sempre più spinta globalizzazione,
che permette di avvicinare, come mai
prima, popoli e culture attraverso
strumenti e reti facilmente accessibili
a soggetti di ogni parte del mondo.
A ciascun evento di carattere dirompente è sempre naturalmente seguita una lunga fase di riflessione, di
ripensamento e di assestamento - con
conseguente proliferazione di campi
conoscitivi, specializzazioni, pensieri
convergenti ma anche divergenti che ha permesso di sviluppare e cumulare tanti piccoli rivoli di esperienze essenziali per l’ulteriore, sia pur
lento, avanzamento della materia. La
cucina italiana comunque - per una
sua certa disomogenea configurazione, spiccatamente regionalistica se
non addirittura localistica, sulla quale
hanno diversamente pesato i singoli
eventi innanzi richiamati - può rivelarsi realtà troppo complessa per essere analizzata secondo un sistematico approccio di tipo globale del genere di quello delineato; occorre
considerare, d’altra parte, che una vera e propria cucina nazionale è cominciata lentamente ad affiorare solo
nella fase più matura, in tempi relativamente più vicini, del lungo processo di unificazione politica del Paese.
Risultati indubbiamente più produttivi potrebbero allora conseguirsi
attraverso preliminari e più circoscritte analisi, da condurre su base locale
a seconda della variabile sfera territoriale d’influenza, tendenti a far luce
su fatti ed eventi storicamente accertati che abbiano potuto avere conseguenze di rilievo sull’assetto strutturale e sulle dominanti fondamentali
delle singole cucine prima di una loro considerazione a livello nazionale.
DONATO PASQUARIELLO
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C U L T U R A
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R I C E R C A
La mostarda fina di Carpi
DI SANDRO BELLEI
Accademico di Modena
Recuperato il gusto
di un’antica preparazione.
a storia del territorio carpigiano
è assai ricca di ricette che trovano nell’uva l’indispensabile materia prima per realizzarle. Tra queste
occupa uno spazio importante la
mostarda fina di Carpi, una tipica
preparazione della stagione autunnale che, come si deduce dall’etimologia della parola, ha come partenza il
mosto. Della ricetta di questa mostarda si hanno testimonianze già dal
1300, ma la paternità è legata alla famiglia degli “speziali” carpigiani Sebellini, i quali, secondo la tradizione,
ne sarebbero stati i creatori. Alla corte dei Pio, i signori di Carpi, questa
specialità era conosciuta e apprezzata già nel Cinquecento, ma a differenza delle altre mostarde, quella nata a Carpi ebbe origini nobili. Ogni
famiglia abbiente conservava gelosamente la propria ricetta. Nel secolo
successivo, l’uso della mostarda fina
L
si diffuse, diventando una prelibatezza inviata in dono in Vaticano, a cardinali e papi. Nei documenti rinvenuti, si legge che questo prodotto
era talmente gradito da essere considerato un pegno per assolvere debiti
e tributi di servitù. Anche Alessandro
Tassoni nel suo poema “La secchia
rapita”, del 1622, la nomina nel novero dei doni che i modenesi offrono
al legato pontificio Ottaviano degli
Ubaldini, venuto da Roma a tentare
di fare da paciere nella contesa fra
modenesi e bolognesi. Nell’opera si
legge che “la città gli donò, fra l’altro, due cupelle di mostarda di Carpi
isquisitissime”.
Quella del Tassoni è la più lusinghiera menzione letteraria di questo
antico preparato gastronomico. Un altro che ne parla è Bartolomeo Stefani,
cuoco bolognese, attivo alla corte dei
Gonzaga a Mantova. Nell’opera intitolata “L’arte del ben cucinare et instruire i men periti in questa lodevole professione”, pubblicata nel 1662, nel descrivere le modalità di preparazione e
presentazione di molteplici portate a
base di pesce d’acqua dolce, accosta
a questi piatti “un intreccio di quattro
tondini di mostarda di Carpi, ornata
con canella e zuccaro”.
Purtroppo, alla fine del XIX secolo,
probabilmente con la scomparsa dell’ultimo speziale della famiglia Sebellini, che custodiva il segreto della ricetta, termina anche la produzione
della mostarda a Carpi. Nella ricetta
originale, un ingrediente fondamentale è la mela carpigiana Gagliardina,
una varietà molto dolce, divenuta introvabile dall’inizio del Novecento. A
distanza di oltre un secolo, dopo accurati studi di antiche ricette, e la
pubblicazione di un libro nel 2004, è
stato recuperato il raffinato gusto rinascimentale della mostarda fina di
Carpi, rivisitandolo per compiacere i
moderni palati.
Tra i vari utilizzi, la mostarda fina
può essere servita come accompagnamento di bolliti, compresi i classici zampone e cotechino, di formaggi
piccanti e ogni tipo di salume. Infine,
una curiosità: questo preparato aveva
dato origine, già dal XVI secolo, a
una maschera tipica carpigiana, il
Mostardino, che rappresentava il garzone di bottega dello speziale.
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LA RICETTA
Ingredienti per circa 2 kg di mostarda: 4 kg di mosto cotto (da uva
rossa); 1,5 kg di mele; 750 gr di pere; 350 gr di mele cotogne; la buccia di mezza arancia.
Preparazione: bollire il mosto per circa 15 ore, finché non si è ridotto
della metà e non ha assunto l’aspetto denso dello sciroppo. Privare la
buccia di arancia della parte bianca, tagliarla a pezzetti e lasciarla a
bagno per 24 ore, cambiando l’acqua 3 o 4 volte. Aggiungere al mosto cotto la frutta sbucciata e tagliata a pezzi, compresa la buccia
d’arancia, e lasciar bollire finché il volume non si è ridotto della
metà. Invasare la mostarda in contenitori preriscaldati, e conservarli
in un luogo fresco e asciutto, buio e ben aerato. Attendere almeno 12
giorni per consumarla.
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BIBLIOTECA
NAZIONALE
GIUSEPPE
DELL’OSSO
Il “Libro novo” di Messisbugo
DI LORENA
GALLINA
Sfarzosi banchetti
e ricchi menu
per soddisfare il palato
e il gusto artistico
della nobiltà.
a Biblioteca nazionale braidense conserva un prezioso esemplare del “Libro novo” di Cristoforo da Messisbugo, la cui prima
edizione venne realizzata a Ferrara
nel 1549, un anno dopo la scomparsa dell’autore; l’opera, un vero e
proprio trattato di costume, ebbe
una notevole fortuna editoriale tanto
da essere ristampata più volte fino ai
primi decenni del Seicento. L’edizione presente in Braidense, in ottimo
stato di conservazione, venne realizzata a Venezia nel 1564 per i tipi di
Francesco Leno.
Il Messisbugo nacque a Ferrara alla fine del Quattrocento, probabilmente da una famiglia originaria delle Fiandre, e grazie alle nozze con
una nobildonna entrò a far parte
della corte estense in veste di amministratore di fondi ducali e soprattutto di scalco, a quel tempo ruolo di
estremo prestigio; in virtù di questo
incarico, nel 1533 l’imperatore Carlo
V gli concesse il titolo di conte palatino.
Secondo la consuetudine del tempo, il “Libro novo” è introdotto da
una dedica a Ippolito d’Este, cardinale di Ferrara (1479-1520), seguita
dal “Memoriale per fare uno apparecchio generale, per la venuta di
ogni gran Principe, o per ogni andata, o Banchetti diversi, o per Nozze,
o qualunque altra cosa che possa accadere d’importanza”: si tratta di una
scrupolosa rassegna dell’apparecchiatura generale del palazzo di corte, che spazia dall’arredamento alla
tappezzeria alle provviste di cibo.
Ampio spazio è dedicato proprio
alle masserizie della cucina, comprendenti padelle, mortai, mestoli,
taglieri, e agli “offitiali”, ovvero il
personale: la lunga lista prevede un
siniscalco generale, uno che si occu-
L
pi della credenza e uno del tinello,
credenzieri e bottiglieri, due persone per la gestione della dispensa,
uomini per sbrigare le tavole e ravvivare il fuoco e altri che tolgano i
piatti dal tavolo per portarli in cucina, nonché personale per la mescita
del vino. Da non dimenticare cuochi, aiutanti e “guattari” (sguatteri)
per le provviste di legna e acqua e
una persona sempre presente alla
porta del palazzo, che si prenda cura degli ospiti in arrivo. Grazie al
“Memoriale” anche il lettore moderno può facilmente immaginare la cucina del tempo come una enorme
fucina, ricca di strumenti e di uomini
intenti a preparare scenografiche vivande in grado di soddisfare il palato nonché il gusto artistico del nobile padrone di casa e dei suoi ospiti.
Particolarmente apprezzato era l’intrattenimento ludico, soprattutto in
villa, la residenza di campagna in cui
la corte si trasferiva durante la stagione estiva. La credenza doveva essere
sempre ben fornita, con fornaio e
beccaio attivi in cucina, mentre a disposizione degli ospiti c’erano un
guardaroba con sarto e barbiere nonché una ricca collezione di armi per la
caccia, giochi, tra cui “pallette piccole
con le racchette”, antesignane del tennis moderno, e materiale di cancelleria (carta, calamai e forbicine).
Segue un elenco di dieci cene, tre
desinari e un festino approntato dal
Messisbugo nella sua residenza. Il ricettario dell’opera comprende ben
315 ricette suddivise in categorie:
dalle paste alle sfogliate al pesce alle
torte a potacci e brodi fino ai sapori
diversi, sì da grasso come da magro
ovvero le salse.
Appaiono evidenti al lettore di oggi lo sfarzoso allestimento dei banchetti e la pantagruelica ampiezza
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BIBLIOTECA
NAZIONALE
dei menu proposti, caratterizzati da
un alto numero di vivande e da preparazioni elaborate e ricche di spezie e sapori. Merita una menzione la
lista delle vivande servite al festino
del 14 febbraio 1548, in occasione
del Carnevale, nella dimora del Messisbugo, per il duca, il principe e i
loro ospiti, in tutto 27 invitati.
La serata ha inizio intorno alla
mezzanotte con la rappresentazione
della commedia “La notte”, opera di
Girolamo Parabosco da Bologna, la
cui messa in scena si conclude a
notte fonda (alle 3.30 del mattino!).
“Et finita la Comedia” fu apparecchiata una tavola. L’autore descrive
con dovizia di particolari l’imbandigione della tavola, illuminata da lucerne d’argento e sulla quale erano
disposti una salvietta, e coltello, un
pane intorno, e una “crescentina di
butiro, zuccaro, e torli d’uova” per
persona. Il menu è aperto da due insalate, una a base di radicchio, indivia e ramponzoli e l’altra con polpa
di pavone e spicchi di cedro, conditi
con zucchero, pepe e aceto rosato.
Si continua con salami, lingue e prosciutti seguiti da fiadoncelli d’uva
passa, polpette, pernici e piccioni.
Dopo aver portato agli ospiti acqua profumata per le mani, viene
servita la carne: pollastrelli, capponi,
fagiani arrosto, tortelle brusche di
fegatelli con zucchero e cannella,
caprettini da latte arrosto e un pavone. Seguono altre vivande sempre di
carne, dai petti di pollo alle porchette da latte arrosto fino ad arrivare a
“pastelli di ostreghe grandi e ostreghe numero 400 con arancie, e pevere”. Vengono poi servite in tavola
frutta - uva, pere e datteri - e “confettioni” ovvero sciroppi più e meno
forti.
A conclusione della cena la padrona di casa porta in tavola due cestelli
di fiori, uno per il duca e uno per il
principe, che provvedono a distribuire l’omaggio floreale a ciascun
commensale. Terminata la burla de
“i pachetti”, si sgombra la sala e si
aprono le danze che proseguono fino alle nove del mattino: l’allegra fe-
GIUSEPPE
sta trova il suo compimento ancora
una volta a tavola, con una colazione “d’acqua zuccarata, uva fresca, e
pome” e altre cosette.
Da notare il brevissimo paragrafo
dedicato ai vini (c. 38) in cui il Messisbugo afferma di aver volutamente
DELL’OSSO
tralasciato le bevande servite in ciascuno dei banchetti da lui descritti
nell’opera poiché, egli annota, si
mesce a ciascun commensale ciò
che desidera secondo gli appetiti di
ciascuno.
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ACCADEMICI IN PRIMO PIANO
L’Accademica Angela Barusi, della Delegazione di Barcellona, ha
ricevuto il “Premio speciale all’eccellenza nella comunicazione” in
occasione degli F&C award 2011.
L’Accademico di Asti Carlo Alberto Goria è stato rieletto sindaco di
San Paolo Solbrito (Asti).
L’Accademico di Asti Massimo Malfa è stato eletto presidente del Rotary club Asti per l’anno 2011-2012.
L’Accademica della Delegazione Roma Eur Tiziana Marconi Martino De Carles è stata eletta presidentessa del club Inner wheel Roma
Eur Centro per l’anno sociale 2011-2012.
Il Delegato di Brescia Giuseppe Masserdotti è stato nominato socio
del Rotary Salò e Desenzano.
L’Accademico Fabio Morvilli della Delegazione di Lussemburgo ha
ricevuto l’onorificenza di ufficiale dell’ordine al merito conferita dal
granduca Henri.
L’Accademico Raffaello Picchi, della Delegazione della Maremma
(Grosseto), è stato eletto presidente del Rotary club Grosseto per l’anno
2011-2012.
L’Accademico Raffaello Ragaglini della Delegazione Roma Olgiata
Sabazia-Cassia è stato confermato ai vertici dell’Unione delle associazioni degli industriali pastai europei.
L’Accademico Giancarlo Saran, della Delegazione di Treviso, è stato
eletto presidente della Fondazione “Giuseppe Mazzotti” per la civiltà veneta.
L’Accademico della Delegazione di Gorizia Rodolfo Vittori è stato eletto
presidente del Rotary club Monfalcone-Grado per l’anno 2011-2012.
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C U L T U R A
&
R I C E R C A
Evoluzione del piatto
DI ALFREDO PELLE
Accademico apuano
Centro Studi “F. Marenghi”
“Perfino il nome dei piatti
tende al diminutivo,
come se fosse peccato
mangiare”.
e è vero che è cambiato, negli
ultimi cinquant’anni, il modo di
produrre gli alimenti, perché sono cambiati l’agricoltura, l’allevamento, la preparazione dei cibi e la loro
conservazione, perché l’uomo ha tutto voluto e tutto avuto (parlo del
mondo occidentale, quello che non
sa più cos’è la fame), perché abbiamo
perso, in gran parte, l’orologio biologico, dato per scontato che sempre,
sulle nostre tavole, ci sono zucchine,
fagiolini, pomodori, indipendentemente dalla stagione e dall’intrinseca
bontà, se è vero tutto questo, mi sono
chiesto: come sono cambiati i piatti
nell’ultimo mezzo secolo?
Cosa mangiavamo quando, finita la
guerra e iniziato, qualche anno dopo,
il miracolo economico, le nostre tavole ci davano un piacere diverso da
quello che ancor oggi proviamo?
Ricordo quando, giovanissimo, alla
fine della guerra, mio padre invitava a
casa qualche suo amico. Gli diceva:
“Mangia, che ce n’è ancora” in segno
d’abbondanza. E l’ospite lasciava nel
piatto il “boccone della creanza”, cioè
una piccola parte del cibo, a dimostrazione che proprio non ce la faceva più
a terminare data l’abbondanza! Ora
abbiamo cambiato perfino il nome alle cose e al ristorante senti camerieri
che ti offrono un “antipastino” prima
di un “risottino” e poi ti propongono
un “filettino” di pesce e così via. Perfino il nome dei piatti tende al diminutivo, come se fosse peccato mangiare e
il peccato fosse minore secondo la
quantità. La verità è che in questi ultimi cinquant’anni il tempo che le donne dedicano al cibo è progressivamente diminuito perché la donna, nel
frattempo, è entrata nel mondo del lavoro in modo più determinato, il che
l’ha obbligata ad allontanarsi sempre
più dal fornello, dall’ago e da tutto
S
quel mondo “domestico” che l’aveva
vista, per secoli “domina”. Il che ha
portato a conseguenze ormai visibili
in modo sempre più palese: l’insalata
è in sacchetti prelavata (e ora anche
precondita), i banconi dei supermercati hanno decine di metri di prodotti
di gastronomia già pronti, il “similpollo” che mangiamo è tagliato secondo
necessità (cosce, fusi, petto, ali), sempre che non sia già stato arrostito sullo
spiedo industriale a gas del negoziante; le paste e i tortelli sono già pronti; i
sughi altrettanto e la surgelazione ha
tolto il senso del tempo e delle stagioni, oltre a dare piatti già pronti solo da
riscaldare.
E qui è la maggior differenza fra la
cucina d’oggi e quella di oltre mezzo
secolo fa: vi era, un tempo, oltre alla
maggior semplicità di “confezione”, la
prevalenza dell’impiego di prodotti
freschi di produzione locale, dato che
il commercio si teneva in ambiti più
ristretti (le comunicazioni erano più
difficoltose) di quanto non avvenga
ora. Altra variabile è l’uso della pentola a pressione: completamente sconosciuta alla fine della guerra si è imposta per un tipo di cucina che, sostanzialmente, elimina il tempo di cottura.
Il ragù di carne, quello d’anatra, i minestroni, le zuppe di verdura, le paste
e fagioli erano sul fuoco durante la
mattina e profumavano la casa; i
grandi pranzi festivi o delle ricorrenze
prevedevano tempi di preparazione
ancor più lunghi del solito. Il bollito
(non il lesso, quello che ci tocca ora
se vogliamo un buon brodo), aveva,
oltre al manzo, la gallina, il cappone,
anche la lingua, il cotechino, la testina, a volte anche i piedini e le costine
di maiale e tutto questo richiedeva
tempo, pentole e passione.
Poi gli arrosti, gli stracotti (che la
“nouvelle cuisine” ha fatto, in gran
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parte, abbandonare) e i dolci, in larga
misura casalinghi: ricordo certe torte
che mia madre portava di domenica
mattina al fornaio, che le cuoceva per
ora di pranzo, pagando un modesto
contributo. Ma ricordo anche la frutta
a fine pranzo, quasi un obbligo. D’inverno si facevano le mele o le pere al
forno, sulla stessa stufa a cerchi dove
si mettevano le bucce d’arancia per
profumare la cucina.
Poi, poco alla volta, la cucina cambiò e si fece largo la panna: vennero
nei ristoranti i piatti tris, quelli delle
tre P, ossia panna, prosciutto, piselli. I
locali iniziarono a servire la faraona
alla panna. I negozi d’alimentari cominciarono a proporre il roastbeef già
pronto, il vitello tonnato, l’insalata
russa, gli gnocchi alla romana solo da
&
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riscaldare: era l’inizio di un certo modo di mangiare d’oggi.
Ho sfogliato la “Cucina italiana” del
1952 e ho trovato un mondo di differenza: sempre nella stessa rivista, recentemente, si propone un “arrosto di
vitello con wuster (sic)” che prevede
un arrotolato con formaggio, salvia e
rosmarino e dentro tre “wurster”. Terrificante insieme gastronomico.
Cerchiamo, infine, di arrivare a una
sommaria conclusione. Ogni tanto
qualche buongustaio anziano dichiara: “La religione della buona tavola è
in decadenza, non ci si capisce più
niente”. Forse c’è una parte di vero. Di
sicuro c’è una generazione “in discesa” che cerca di consolarsi ricordando
i vent’anni, quando si facevano colossali mangiate; c’è l’inevitabile ritornel-
lo “ai nostri tempi...” che sembra dover umiliare le nuove generazioni e
invece è solo una romantica giaculatoria della propria gioventù. Di vero c’è
che, sicuramente, si mangia più in
fretta che in passato ma, certamente,
abbiamo più cose da mettere nei piatti
e il gusto si è affinato. E il mangiare è
talmente importante che, ancor oggi,
quando parliamo, per esempio, di un
bel libro, diciamo “È un romanzo che
si divora”, ma non si dice mai “È un
pranzo che si legge tanto è buono”. “È
difficile il confronto - scrisse Arnaldo
Fraccaroli - perché si tratta di due arti
diverse con ideali e scopi diversi, ma
certamente il mangiare è più universale del leggere”. Potete anche dissentire, ma è così che stanno le cose.
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RISO E RISORGIMENTO
Il 23 marzo 1849, l’esercito austriaco al comando del
maresciallo Radetzky, dopo aspri scontri con le truppe
piemontesi, è attestato alla periferia Sud di Novara, in
località Bicocca. È una zona dove giungono le ultime
propaggini delle colline moreniche, vestigia del tempo
delle glaciazioni, e inizia la pianura padana caratterizzata dalla linea dei fontanili, polle di acqua sorgiva, che costituiscono una preziosa riserva idrica grazie alla quale i monaci cistercensi avevano realizzato,
nel XV secolo, le famose marcite. Nello stesso secolo gli
Sforza, duchi di Milano, iniziarono a coltivare riso,
coltura originaria dell’Estremo Oriente. Le risaie offrivano diversi vantaggi: rendere redditizie molte zone
paludose, dare lavoro, ottenere una nuova fonte alimentare. Il piatto preferito dai novaresi divenne la
“paniscia”, una specie di risotto. A nord di Novara,
sulle colline moreniche, invece, si coltivano le viti, dalle quali si ottengono ottimi vini come il Gattinara, il
Ghemme, il Sizzano, il Boca, compagni della “paniscia”. Da qui il detto “Il riso nasce nell’acqua e muore
nel vino”. Con la battaglia di Novara termina la prima Guerra d’indipendenza e Carlo Alberto abdica in
favore del figlio Vittorio Emanuele che, a Vignale, una
frazione di Novara, in una cascina tutt’ora esistente,
concorda con Radetzky i termini dell’armistizio. Il 23
aprile 1859, dopo dieci anni dalla bruciante sconfitta
di Novara, l’ora della rivincita era giunta. È il Sabato
santo quando arriva a Torino l’ultimatum dell’Austria
ed è ciò che il Piemonte aspettava. Il 26 aprile l’ultimatum viene respinto: è l’inizio della seconda Guerra
d’indipendenza. In virtù di un precedente accordo il
Piemonte poteva contare sull’intervento della Francia
di Napoleone III, qualora il piccolo regno fosse stato
aggredito. È il trionfo della politica di Cavour, che dimostrò anche una brillante arguzia come stratega militare. È questo un evento poco noto. I francesi potevano giungere in Piemonte via mare o via terra, ma ciò
richiedeva tempo che i piemontesi non avevano. Il fiume Ticino costituiva il confine tra i due contendenti e
il grosso delle truppe austriache era a Pavia, a pochi
passi dal confine. Per consentire un tempestivo arrivo
degli alleati francesi, i piemontesi dovevano rallentare
il più possibile i movimenti delle truppe austriache
condotte da Gyulai, che aveva sostituito Radetzky. Cavour, con Alfonso Lamarmora ministro della guerra, e
l’ingegnere Carlo Noè, buon conoscitore della fitta rete
di fiumi, torrenti, canali della pianura piemontese,
mise a punto un ben preciso piano: allagare rapidamente le terre dove avrebbe dovuto transitare l’esercito
austriaco. Si tratta di un’area di ben 48.000 ettari,
che viene allagata e privata di ogni possibile riferimento (alberi, pali ecc.) in soli quattro giorni. Il 22 aprile
Lamarmora allerta il Noè, le operazioni di allagamento iniziano il 25 aprile e terminano quattro giorni dopo. Pur considerando che alla fine di aprile le risaie
sono già allagate, tutto ciò può configurarsi, per progettazione, realizzazione e tempestività, come un’operazione da manuale di cui andare fieri, disse Cavour.
E la fortuna arrise agli audaci; infatti, come si cantava allora, “Al Gyulai l’à turnà ‘dre cun la pauta tacà i
pé” (Il Gyulai è tornato indietro con il fango attaccato
ai piedi). (Pier Luigi Manachini)
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America “supersize”
DI MARINO DE MEDICI
Accademico della Virginia
“Vi sono città dove è
impossibile ordinare
una pietanza senza vedersi
portare un piatto stracolmo”.
ome tutti sanno, in America
non ci sono misure e dimensioni normali. Le pizze sono
large ed extra large, le uova jumbo o
extra large, le bevande gassate sono
“giant”, gli hamburger fanno paura,
dal Triple whopper al Colossal burger. I caffè sono altrettanto mostruosi, definiti da una catena con parole
italiane, “Venti” e “Trenta”. La stessa
catena di vendita del caffè, che ha
copiato l’espresso italiano e ne ha
corrotto la misura, la qualità e il gusto, ha recentemente introdotto infatti un formato di caffè americano
chiamato “Trenta”, che contiene,
guarda caso, 31 once ossia 916 ml.
Ha così scavalcato la misura precedente, quella del “Venti”, di ben 7
once, ossia 207 ml.
Ma il confronto è drammatico se si
pensa che venti anni fa una tazza di
caffè americano (non espresso), con
latte e zucchero, conteneva 8 once
ossia 236 ml, con un potere nutritivo
di 45 calorie. Oggi un gran “cafè mocha” con crema è costituito da 16
once (473 ml) per un totale di 330
calorie, le calorie, insomma, di un
pasto generico.
Benvenuti nell’America “supersize”, dove le porzioni dei ristoranti,
le misure delle bevande gassate o
no, e la quantità di snack supercarichi di calorie hanno innestato una
vera e propria epidemia, quella dell’obesità. Nel 1970, il 47% degli americani era sovrappeso o obeso. Nel
2011, si calcola che il 66% sia sovrappeso, e in particolare che gli
obesi siano passati dal 15 al 30%
della popolazione.
La ragione è sotto gli occhi di tutti:
il cibo americano è “supersize”, dagli hamburger alle salsicce, e vi sono
città dove è impossibile ordinare
una pietanza senza vedersi portare
C
un piatto stracolmo, sufficiente a nutrire più di tre persone. Le patate
fritte, o “French fries”, accompagnano praticamente ogni piatto in quantità superabbondanti. Si dice che fu
il presidente Jefferson il primo a servire patate “alla maniera francese” in
un pranzo alla Casa bianca nel 1802,
ma i belgi hanno costantemente rivendicato di essere stati loro i primi
a friggere le patate. Né si capisce
perché tengano tanto a questo primato. Ma c’è qualcosa di vero perché pare che furono i soldati americani in Belgio, nella prima guerra
mondiale, a gustare le patatine fritte
servite dall’esercito belga, che naturalmente parlava francese.
Nel 2004 ha fatto furore il documentario “Supersize me”, la storia di
un regista americano che, in vena di
provocazione, per trenta giorni si è
cibato esclusivamente presso la gigantesca catena McDonald’s, con il
risultato di ingrassare di oltre 11 chilogrammi, di arrivare a un altissimo
livello di colesterolo e di soffrire altre nocive conseguenze dell’incipiente obesità, dall’aumento della
pressione all’ingrossamento del fegato. Fu salvato dalla moglie che lo
disintossicò con piatti vegetariani.
Ma ci volle più di un anno.
Basti citare un fatto che, nel 1955,
quando la McDonald’s cominciò a
servire i suoi hamburger, un hamburger pesava 1,6 once, pari a 45
grammi. Oggi, la catena di ristoranti
più grande del mondo serve hamburger che in media pesano 8 once,
ossia 226 grammi. Quanto alle benemerite “French fries”, sono passate
da 2,4 once ossia 68 grammi a 8 once pari a 195 grammi. Un altro esempio: il sandwich di tacchino, un classico del lunch frettoloso, è passato
dalle 350 calorie a ben 850.
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Non mancano, è vero, i tentativi di
servire porzioni più piccole, ma per
una perversa legge di Gresham alimentare, i piatti cattivi scacciano
quelli buoni. Una catena di ristoranti
popolari ci ha provato, accompagnando le porzioni più ragionevoli
&
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con una brochure di informazioni
sui valori nutritivi di ogni piatto. La
novità è durata cinque mesi perché i
clienti non ne volevano sapere. E dire che altre due catene avevano cominciato a offrire porzioni più piccole a minor costo. Non è andata, e
LA PASTA CON LE SARDE
Ricetta depositata dalla Delegazione di Palermo
Si narra che il generale arabo Eufemio, durante la conquista della
Sicilia, si trovò nella necessità di escogitare qualcosa per dare da
mangiare ai soldati affamati.
Ordinò allora ai cuochi di darsi da fare, di andare in giro per
campi e spiagge e di portare tutto ciò che era possibile reperire. I
cuochi misero nelle pentole finocchietti selvatici e pesce, uva secca
e zafferano. Sarebbe nato così un condimento rimasto famoso. Ma
si tratta di una leggenda. Piatto base della cucina palermitana, erroneamente è considerato il più rappresentativo della gastronomia
di questa nobile città. Senza nulla togliere alla notorietà e al gusto
del piatto, non sempre è presentato sulle mense più signorili. In alcuni casi la ricetta rivisitata e arricchita poteva sostituire i timballi
di anelletti o i maccheroni, per tradizione primo piatto dei pranzi
festivi.
La ricetta che segue è un’antica ricetta di famiglia e si discosta in
alcuni ingredienti e nella presentazione da quella pubblicata da
Giuseppe Pitrè, famoso medico etnografo palermitano, nel 1886.
Ingredienti (per 6-8 persone): 4 mazzetti di finocchietti di montagna; 2 cipolle bianche; 5 acciughe sotto olio o salate; 700 gr di sarde freschissime; 700 gr di bucatini; 30 gr di uva passolina; 30 gr di
pinoli; 2 bustine di zafferano; 30 gr di graniglia di mandorle tostate; 1 bicchiere grande di olio extravergine di oliva, sale.
Preparazione: pulire accuratamente i finocchietti e lessarli in abbondante acqua, scolarli mettendo da parte l’acqua che servirà a
cuocere la pasta. Tritare finemente i finocchietti e metterli a insaporire in padella con la cipolla grattugiata e l’olio nel quale saranno già state sciolte le acciughe e lo zafferano. Pulire le sarde
privandole delle squame, delle lische e delle teste e sciacquarle in
acqua e sale, unirne 500 grammi all’intingolo di finocchietti, e
fare insaporire sul fuoco curando che si spezzettino un poco; aggiungere la passolina e i pinoli.
Cuocere molto al dente la pasta nell’acqua dei finocchietti, scolarla
bene in acqua fredda. Mescolare un poco più di metà dell’intingolo
con la pasta, preparare una teglia unta di olio e spolverata di pangrattato, sistemare uno strato di pasta e uno di condimento fino
all’esaurimento degli ingredienti.
Completare con uno strato di pasta ricoperto dai rimanenti 200
grammi di sarde ripassate in padella con un poco di olio e sale,
con l’accortezza di lasciarle jntere, spolverare con la graniglia di
mandorle. Passare in forno caldo per 8-10 minuti.
Ricetta di Maricetta Messina
tutti sanno perché. La grande maggioranza degli avventori dei ristoranti americani non finisce la pietanza
nel piatto ma chiede un recipiente di
plastica per portarsi a casa il resto
del pranzo. Un tempo avanzavano la
scusa del cane. Adesso non se ne
parla nemmeno.
A più livelli in America si dibatte
animatamente sulla natura dell’obesità. È una malattia o una condizione
particolare dell’organismo? Una cosa
è certa, ed è che l’obesità è la seconda maggior causa di morte evitabile,
dopo il fumo. Secondo gli esperti,
anzi, si avvia a divenire la prima. Tra
i tanti studi in materia, vale la pena
di segnalare quello dei ricercatori di
due università, Penn State e Clemson, secondo cui il 76% degli chef
interpellati giudica “regolari” le porzioni di cibo servite. Da parte loro,
le autorità federali nel settore dell’alimentazione contestano il fatto che
tali porzioni sono da due a quattro
volte superiori alle quantità suggerite nei loro studi.
Per esempio, gli studi in questione
raccomandano mezza “cup” ovvero
mezza tazza di pasta per porzione,
mentre i ristoranti servono porzioni
da una a due tazze. I cuochi più anziani si attengono alle porzioni più
ridotte che cucinavano all’inizio della professione, quelli giovani sono
evidentemente addestrati a eccedere. Le conseguenze di questa involuzione nelle cucine commerciali sono
pesanti, se si pensa che il 60% dei
pasti nei ristoranti contiene un 60%
di calorie in più rispetto a un pasto
casalingo. Fatto tanto più increscioso, in quanto gli americani in media
consumano ogni anno 209 pasti al
ristorante.
La conclusione è purtroppo questa: per una somma di ragioni – concorrenziali, finanziarie, sociali e ambientali - i ristoranti incoraggiano i
clienti a consumare più cibo. Osservava un ricercatore universitario: un
pasto singolo in un ristorante americano basterebbe a nutrire un’intera
famiglia sudamericana.
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In val Resia
DI PIETRO ADAMI
Accademico di Udine
Un’isola culturale
e gastronomica
con un’identità
molto marcata.
hiamata anche Valle dei Fiori,
la val Resia è un’isola culturale
con profili linguistici particolarmente marcati. La vallata è suddivisa
in cinque principali frazioni; ci vive
una popolazione che si fa risalire al
VII secolo e che vi si è insediata dopo
aver abbandonato il nomadismo. Ebbe una certa importanza sotto il dominio veneziano per la difesa delle selle
di Carnizza e di Guarda, che permettevano di raggiungere la valle dall’Isonzo in Slovenia. A questo scopo vi
fu anche la presenza di una guarnigione militare con fortificazioni a Stolvizza e a San Giorgio. I resiani custodiscono gelosamente i loro costumi. Il
territorio è povero in termini di risorse agricole e strutture produttive e
quindi l’alimentazione tradizionale un
tempo era basata su polenta, patate,
legumi, derivati del latte e uova.
Alcuni piatti tipici della valle costi-
C
tuiscono interessanti testimonianze
etnografiche, come, per esempio, il
“mucnik”, una polenta molle su cui si
versava del latte caldo; la “panada”,
pane raffermo cotto nell’acqua con
l’aggiunta di burro, uovo e offerto in
particolare alle puerpere; il “calcüne”, gnocchi di patate dalla particolare forma, ripieni con erbe e conditi
con burro fuso; lo “zmirhle”, lardo a
pezzettini o salsiccia tagliata a fette,
fritti nel burro o nella panna. In primavera si usa fare un foro nel contenitore dell’aceto e mettere un pezzo
di corteccia a mo’ di grondaia. Si lascia uscire la linfa e la si raccoglie 3
litri al giorno in un recipiente. Si prepara quindi la “minjëctra ziz briznjo”,
minestra a base di linfa di betulla, ottenuta alla stessa guisa della linfa d’acero. Popolare è l’“ovän”, cioè il
montone, che può essere preparato
semplicemente con cipolla, aglio, carota, sedano selvatico, pepe, sale, salvia, oppure sotto forma di
“teowncwje klobasce”, cioè salsicce
con sale, pepe, mosto di frutta e spicchi d’aglio, o con vino di ciliege
(“teowncwje kühane klobasce”); o
ancora con rape acide, bacche di ginepro e spicchi d’aglio e strutto (“suk
anu klobasce”); o con ricotta affumicata, maggiorana, timo, burro cotto,
mosto fermentato di mele, aglio
(“ovän ziz sküto”, “to ta-na petrë”).
Non va dimenticata poi la “öwca”,
cioè la pecora cucinata in diversi modi: con maggiorana, farina di mais, cipolla, aglio, sale, pepe, strutto (“ziz
majarunon”), oppure in padella, con
patate, rape, cuore di verza, strutto,
sale, pepe, aglio, cipolla, mosto, timo, maggiorana (“tu-w pondwë”), o
ancora sotto la campana, con rape
acide, lardo, bacche di ginepro, foglie di alloro, sale, mosto (“ta-pod
arjavico”).
Per Pasqua, o comunque per i giorni di festa, è corrente ancora oggi il
“bujadnik”, tipico dolce che non ha
una forma particolare poiché un tempo l’impasto veniva cotto non in contenitori, ma avvolto in foglie di verza
collocate nel focolare sotto la cenere
e le braci. Oggi l’impasto (composto
di farina di granoturco e frumento,
uova, zucchero, panna, mele o pere,
fichi secchi, uva sultanina, frutta secca, lievito, semi di finocchio selvatico,
cannella o carrube) viene completamente sparso sulla piastra del forno,
di cui assume la forma, e cotto a temperatura moderata per mezz’ora.
Va ricordato che di grande importanza è l’“ai di Resie” ovvero “roganski Strok”, la cui produzione interessa
le frazioni di S. Giorgio, Oseacco,
Stolvizza, Pustigost, Scia, Ruscis. Vi
viene coltivato in piccoli appezzamenti sparsi qua e là fino a 1.000 metri di altitudine.
Peculiari sono le caratteristiche organolettiche di questo aglio, che si
manifestano in aroma e sapore molto più accentuati degli agli normalmente in commercio.
Vi sono numerose occasioni in cui
è possibile lasciarsi sorprendere dall'inconfondibile gusto dello “Strok” in
tutte le sue declinazioni. Basta ricordare, per esempio: la “miniëstra is”,
minestra d’aglio con patate, brodo
vegetale, sale e pepe; “tö rosajanskö
smuskänö”, una sorta di pesto resiano, con silene, formaggio stravecchio, noci, sale e pepe. Va ricordato
infine il “masti”, ovvero il burro all’aglio di Resia che si ottiene pestando
in un mortaio tre spicchi di “Strok” e
amalgamandoli con 50 grammi di
burro ammorbidito e sale; si lavora la
crema con un cucchiaio di legno e si
fa raffreddare.
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A tavola con il Risorgimento
DI
DONATELLA CLINANTI
Accademica di Asti
La contessa di Castiglione
brillò anche per la sua
competenza gastronomica.
el corso dell’Ottocento, il Piemonte svolse sempre di più il
ruolo di sintesi tra Italia e
Francia in campo gastronomico, divenendo un vivaio di cuochi, tra cui i
due più importanti furono Vialardi e
Chapusot. Tuttavia le abitudini del re
Vittorio Emanuele II non erano quelle di un gastronomo Doc: era un gran
bevitore, soprattutto di Barbera, adorava le rustiche mangiate in campagna durante le cacce e i piatti ben
agliati che gli preparava la sua Rosin,
ma rifuggiva la raffinatezza dei pranzi
di corte (dicono i maligni dell’epoca
che fosse perché non aveva grande
dimestichezza con l’uso delle posate). Da buon piemontese, però, amava molto il tartufo. Si narra che Vialardi avesse inventato per lui una corroborante minestra costituita da una
vellutata di carni di selvaggina e arricchita da lamelle di ovolo reale e da
una ricca grattata di trifola.
Vanno inoltre sottolineati alcuni
eventi gastronomici che si verificarono durante il suo regno: i piemontesi
mandati a combattere in Crimea portarono con sé dei piselli, che un lungimirante nicese di nome Cirio aveva
trovato il modo di conservare in scatola. In questo stesso periodo, Giuseppe Gibelli, direttore dell’orto botanico di Torino, incominciò a studiare il tartufo. Nel 1870, Domenico Rossi, pasticciere in Casale, creò i suoi
celebri biscotti, i krumiri, dando loro
la forma dei baffi del re.
Di Cavour si diceva che parlasse in
francese, pensasse in italiano e mangiasse in piemontese. Grande gastronomo e fiero mangiatore, stupiva i
genitori, fin dalla più tenera età, per
le dosi di cibo che riusciva a ingurgitare. Con il passare degli anni, da
mangione diventò gastronomo: non
gli bastava fare scorpacciate dei suoi
N
cibi preferiti, ma volle anche imparare
a cucinarli. Scendeva nelle cucine per
elaborare in particolare piatti di carne, che amava arrostire o brasare arricchiti da frattaglie di pollo o di selvaggina, aromatizzandoli con erbe
spontanee. E fu uno dei primi a introdurre l’uso del Marsala nella cottura
delle carni. Naturalmente adorava il
tartufo e pare avesse inventato, con la
collaborazione dei cuochi de “Il Cambio”, due piatti che ancora oggi si
possono trovare nei menu di grandi
ristoranti piemontesi. Uno è progenitore della “ciotola del trifolao”: uno
strato di funghi trifolati adagiato su un
crostone di polenta, poi un uovo al
paletto e una nevicata di tartufo. Il secondo è l’intingolo di fegatini e funghi su letto di polenta, coperto di
trifola.
Per le bevande, era un grande
amante del “bicerin”, rigorosamente
mai sorbito dopo mezzogiorno, e del
Vermouth, sempre presente sui suoi
tavolini. Grazie a Cavour il Barolo assurge alla dignità di grande vino, in
grado di competere con Bordeaux e
Borgogna, e a seguirlo in quest’impresa fu Giulia Colbert Falletti, marchesa di Barolo. E fu Cavour a introdurre la moda, presso i senatori del
parlamento di Torino, di masticare
delle pastiglie balsamiche alla liquirizia prodotte da un artigiano di Alba,
tale Luigi Leone, che le battezza “senateur”. La trovata ha grande successo, vengono apprezzate anche altre
pastiglie e Leone sposta l’attività a
Torino, dove in breve tempo diventa
fornitore della real casa. Da qui deriva il detto “Marca Leone” per indicare
un lavoro fatto a regola d’arte.
Anche Mazzini, severo e ieratico
pensatore, aveva un suo lato debole,
pur non indulgendo molto ai piaceri
della buona tavola. Adorava il cioc-
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colato ed era felice quando l’amica e
compagna di battaglie Giuditta Sidoli
gli confezionava una sobria torta a
base di pasta sfoglia su cui veniva
adagiato un composto di mandorle,
zucchero, uova e scorza di limone.
Garibaldi era invece un gran mangiatore dei cibi semplici della sua terra natia, ma ben si adattava ai piatti
tipici del territorio in cui si trovava.
Prima di andare in Sudamerica mangiava pochissima carne e privilegiava
“panisse”, “pissaladière”, “pan bagnat” e “pistou”, i piatti classici della
sua Nizza; raramente si concedeva un
bollito. In Sudamerica assaggerà
“churrasco” e “asado” e diventerà carnivoro. Da buon marinaio (e soprattutto a Caprera) amava mangiare il
pesce pescato, appena tolto dalla lenza e pulito, senza neppure condirlo.
La leggenda narra che l’abbinamento di maccheroni e vermicelli col
sugo di pomodoro fu inventato per
celebrare il rosso delle camicie dei liberatori. Ma è certo che fu grazie alla
spedizione dei Mille che il pomodoro
arrivò in Piemonte come alimento.
Ad aprirgli la strada furono i due
grandi dell’epoca, Chapusot e Vialardi, che ne capirono la freschezza e la
leggerezza. Il solito lungimirante Cirio ne arguì l’importanza e pensò di
inscatolarli, per permettere ai piemontesi di condire i vermicelli e i
maccheroni portati dai garibaldini nel
viaggio di ritorno, anche fuori stagione, con quello che diventerà un’icona della cucina italiana all’estero.
Bella, intelligente, golosissima e
anche ottima cuoca: Virginia di Castiglione. Pare che durante il suo soggiorno a Parigi, Cavour, fra le altre
prebende, le facesse versare 25.000
franchi al mese per i dolciumi, che
comparivano in tutte le stanze, alcova compresa, delle sue residenze.
Certo gli uomini che impazzivano per
lei non la frequentavano per le sue
doti cucinarie, ma in Francia brillò
anche per la sua competenza gastronomica. Fu lei che fece battezzare
uno dei suoi formaggi preferiti col
nome del paese d’origine, ed è così
che nacque il camembert. Amava cu-
&
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cinare per Napoleone III, con grande
rabbia dell’imperatrice Eugenia, la
selvaggina, soprattutto il paté di fagiano, naturalmente ben arricchito da
una pioggia di tartufi.
In occasione di una visita di Francesco Giuseppe a Parigi, promise a Costantino Nigra: “Farò ingoiare a Cecco
Beppe il tricolore”, e inventò un piatto in cui la pasta degli agnolotti era
rossa (per l’aggiunta di barbabietole),
verde (spinaci) e bianca (in purezza).
Il Kaiser mangiò con gusto, ma il giorno dopo qualcuno (pare ci fosse lo
zampino di Eugenia) gli fece notare la
particolarità del piatto e si rischiò l’incidente diplomatico.
Per la “par condicio” voglio citare
anche Francesco Giuseppe, che ebbe
un’escalation gastronomica molto interessante. La sua infanzia e la sua
giovinezza non furono certo caratterizzate da ricchi pasti o ghiotte merende, perché la madre, l’austera e
severissima Sofia di Baviera, non ammetteva che il figlio indulgesse ai piaceri della buona tavola. La giovane
sposa, la splendida Sissi, frustrata dall’etichetta e dal bigottismo che la suocera aveva imposto alla corte asburgica, ben presto si ammalò di anoressia: quindi per il povero imperatore
ai noiosissimi pranzi ufficiali si alternavano quelli solitari o in compagnia
di una moglie che si nutriva del liquido che fuoriusciva da bistecche scottate e pressate al torchio.
Poi un giorno i suoi destini si incrociarono con quelli di Katharina Sch-
ratt, giovane attrice dagli appetiti vivaci. Figlia di un mugnaio, era da
sempre abituata a mangiare bene e a
cucinare cibi semplici, ma ghiotti. E
da quel momento le abitudini gastronomiche del Kaiser cambiarono: si alzava all’alba per poter essere dall’amata e fare con lei la prima colazione
e pare divorasse mezza dozzina di
uova fritte accompagnate da quei
prodotti da forno nella cui esecuzione
la Schratt era maestra. Da veloce
mangiatore, tanto per nutrirsi, l’imperatore diventò non solo un buon
mangiatore, ma anche un gastronomo. Mantenne una ricca corrispondenza con Katharina, ove, fra gli altri
argomenti, si dissertava anche di cucina. Da allora cominciarono a trovarsi
nei più famosi locali di Vienna piatti il
cui nome era preceduto dalla dicitura
Kaiser per indicare che erano stati
elaborati per lui o che erano i suoi
preferiti. Deliziosa è la Kaisersuppe,
una crema di pollo arricchita di mandorle che la Schratt inventò per lui, e
così pure la Kaiserfleisch (arista di
maiale leggermente affumicata) e le
Kaiserscharrn (crêpe dolci servite coperte di zucchero vanigliato e accompagnate da marmellata di ribes).
Dovei parlare anche di Ferdinando
II e Francesco II di Borbone, ma la
cucina del Regno delle due Sicilie di
quell’epoca è così ricca e variegata
per la presenza dei “monzù” che merita da sola una chiacchierata.
DONATELLA CLINANTI
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IL NUOVO PIATTO D’ARGENTO DELL’ACCADEMIA
L’Accademia ha fatto realizzare un nuovo
piatto in silver plate, in formato più grande
ed elegante, che reca inciso, sul fondo, il tempietto accademico, il tutto circondato da una
corona di stelle traforate che intendono rappresentare l’universalità della nostra Accademia. Questo oggetto simbolico è consigliato
come omaggio da consegnare ai ristoratori visitati che si siano dimostrati particolarmente meritevoli. Per ogni ulteriore notizia in merito e
per le eventuali richieste i Delegati possono rivolgersi alla Segreteria di
Milano ([email protected]).
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C U L T U R A
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L’arte di fare i vini
DI GIORGIO CIRILLI
Delegato del Tigullio
Un volume
del Cinquecento
che tratta
della conservazione
dei vini.
a riscoperta di antiche prassi si
può trovare nel volume “Le vinti giornate dell’agricoltura” del
nobile bresciano messer Agostino
Gallo (1499-1569), contenente un vasto repertorio di informazioni sulla
bevanda principe della tavola. Il testo
data attorno al 1560 e già dalle sue
prime edizioni, nella Venezia dei
tempi del Manuzio, ebbe vasta diffusione non solo in Italia ma nell’Europa, con ristampe fino al Settecento.
La narrazione si avvale della formula, insolita per l’argomento trattato, del
dialogo tra due personaggi, i nobili
messer Gio.Battista Avogadro e messer Vincenzo Maggio, il primo quale
“cultore della materia” e il secondo
desideroso di apprendere. La trattazione, in lingua volgare dell’Italia settentrionale, assai chiara, insegna tecniche
di coltivazione con modi di scienza
empirica, priva di contenuti eruditi. Vi
L
si trova, in sintesi, la trama di un credo
laico derivato da razionali pratiche
agricole: l’arte del ben coltivare. Il fine
dell’opera è riconducibile a tre aspetti:
pratico, pedagogico, morale. Tra le
venti giornate in cui è divisa l’opera, la
quarta è dedicata al vino, che “essendo bevuto con misura, conforta il calor naturale, chiarifica il sangue torbido, apre tutti i meati del corpo, leva
ogni opilazione del fegato, e le tenebrose fumosità del cuore generazione
d’ogni tristezza: dimostrando la sua
gran virtù; non pure nelle membra de
i corpi nostri, ma eziandio nell’anima
facendola stare allegra acciochè sia
maggiormente capace d’investigar le
cose sottili e difficili”.
Andando a leggere, dopo la coltivazione della vite e i modi di vendemmiare, si trovano trattati i metodi
per ben conservare il vino con l’aggiunta, in varie proporzioni, di sostanze assai diverse: zolfo, allume di
rocca, sale, mercurio, pepe, noce
moscata, olio, aromi vari. Nel nostro
tempo, così attento alle coltivazioni
bio e a km 0, gli accorgimenti indicati
dall’agronomo Agostino Gallo suscitano grande interesse. Si scoprono
così ben dieci pratiche, invero di natura singolare. La prima consiste nell’aggiunta di 3 once di allume di rocca, ben pestato e setacciato, poi rinchiuso in sacchetti “cartocci” che si
pongono nel vino che si vuol conservare, in rapporto di 1 per “brenta”,
misura di quantità allora in uso, circa
50 litri. La seconda pratica richiede di
aggiungere a una “brenta” di vino 12
once di allume, quindi fare bollire il
tutto e schiumare “per cinque bolli”;
quando tutto si è raffreddato si aggiungeranno 11 “brente” travasando
in un “vasello”, botticella in legno, in
modo che “si manterrà benissimo per
la compositione, che sarà entrata nel-
la feccia secca e nel legno”. La terza
prescrive l’aggiunta al travasato di 6
once di sale e 6 once di allume per 12
“brente” di vino. La quarta pratica aggiunge a 12 “brente” di vino 8 once di
sale e 4 di zolfo, pestati tra loro e mescolati al vino, che viene poi chiuso
in “vasello” per 4 giorni. La quinta,
per 12 “brente”, consiglia di prendere
da 8 a 10 pugni di ghiaia lavata di torrente posti in una scodella, poi rovesciata sul coperchio del “vasello”, sigillato con creta, a far peso, così il vino non potendo “esalare” si rinforza
come se “fusse acquaviva”. La sesta
pratica prevede, “volendo conciare 12
brente”, di aggiungere 12x3 once di
acquavite “di quattro cotte”. La settima, nel caso di vini “deboli”, consiglia
di aggiungere 12 once di sale ben bollito con 4 once di acquavite. L’ottava è
sicuramente la più singolare in quanto
prevede l’immersione, sospesa a metà
del livello del vino, di un’ampolla sigillata con ceralacca, contenente mercurio (“argento vivo”). La nona, più
rassicurante, consiglia di versare 4 once di olio che, galleggiando sulla superficie, evita il contatto con l’aria. La
decima, infine, consiglia l’aggiunta di
aromatizzanti quali: zolfo, chiodi di
garofano, incenso, meleghetta, cinnamomo, pepe, noce moscata, tra loro
pestati e diluiti a caldo nel vino che si
intende trattare. Non sfugge che i
“trattamenti” correttivi, come indicati,
dovessero sortire effetti assai variegati
sulla qualità finale del vino; se lo scopo era la conservazione e lo schiarimento, resta molto incerto il gusto finale della preziosa bevanda, che però
all’epoca sembravano apprezzare. Ne
fa fede il proverbio tramandatoci sempre da Agostino Gallo: “Non lodar mai
(intendi contadino) tua bella moglie,
caval o buon vino”.
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La cucina nei conventi
DI LUISA BENEDETTI
Accademica di Biella
Le ricette della badessa
Maria Caterina Operti
conquistarono
i nobili piemontesi.
argomento non è certo nuovo, ed è stato affrontato già
diverse volte: esistono infatti
parecchie pubblicazioni, ormai, sulla
cucina dei conventi e il cibo dei pellegrini. Ma intanto il luogo dove si è
svolta questa relazione, lo splendido
complesso monastico dello Juvarra, è
sicuramente uno tra i più indicati per
riparlarne. Poi, c’è da sottolineare
l’importanza del turismo religioso nel
nostro Paese, cresciuto parecchio
proprio in questi ultimi anni. Un po’
una moda, qualcuno potrebbe dire,
ma comunque un dato importante.
Sono sempre di più i turisti, soprattutto stranieri, che desiderano trascorrere qualche giorno in un monastero,
nel silenzio e nella quiete di strutture
per lo più antiche, di grande fascino,
che ci portano indietro nel tempo, oltretutto a prezzi molto convenienti.
Non solo un ritiro spirituale, quindi,
L’
ma un avvicinarsi alla semplicità e alla genuinità di posti che purtroppo
stanno scomparendo, anche a causa
del calo delle vocazioni, e un modo
per visitare le bellezze della zona. In
queste strutture, è noto, si mangia anche molto bene, con prodotti genuini
che spesso derivano dai loro orti, e
con ricette antiche che si continua per
fortuna a tramandare.
Se infatti fino all’anno Mille nei
conventi si mangiavano solo pane e
legumi, uova e formaggi (e solo nei
giorni consentiti) e qualche frutto di
stagione, ecco che, dopo il periodo
medievale, digiuni e astinenze cominciarono ad alternarsi a diversi
giorni di festa distribuiti nell’arco dell’anno, in cui il piacere della tavola
coincideva con un ringraziamento a
Dio e ai prodotti della terra. L’antico
detto spagnolo “Pane e vino fanno il
cammino” lasciò il posto a ricette via
via sempre più elaborate. Diventarono quindi parecchi i giorni durante
l’anno in cui si poteva consumare un
pasto completo e ricco di piatti gustosi, tanto che cominciarono ad arrivare da fuori non solo pellegrini affamati ma anche signori benestanti che
non disdegnavano la genuina cucina
dei conventi, anzi, cominciarono ad
apprezzarla. Poche cose reperite negli orti, ma anche verdure selvatiche
e carni di animali da cortile. La regola
di San Benedetto “De mensura cibi”
(per cui il cibo deve essere anche
ben presentato e trattato con profondo rispetto), ci insegna che mangiare
bene è importante quasi come pregare. Umili minestre di erbe e cereali si
arricchirono della tipica focaccia in
Liguria, della frittata di uova con patate (a imitare la tortilla spagnola) sul
cammino di Santiago de Compostela,
di lenticchie e pane fritto nel Teramano, della caponata nella zona di Pa-
lermo, della fonduta di formaggio caratteristica del tratto della via Francigena al valico del Gran San Bernardo, e della polenta concia con le tome d’alpeggio nata proprio nella zona del santuario di Oropa, per superare freddo e fatica. E qui a Oropa,
non dimentichiamo il dolce tipico, il
mucroncino (con amaretti, cioccolato
e nocciole), e il liquore Ratafià.
Ancora oggi nei conventi si possono acquistare ottimi prodotti gastronomici: soprattutto le marmellate, il
miele, la cioccolata, le tisane, gli oli
d’oliva, i vini e tutti i distillati (liquori
a base di china e di eucalipto, di gemme di abete o centerbe, nocino, grappe). Non dimentichiamo, infatti, che
proprio nei monasteri vengono ancora oggi conservati numerosi libri di
scienza, botanica e agricoltura, che riportano lo studio preciso e attento di
piante e fiori, specialmente di quelle
ritenute salutari e commestibili, che
potevano quindi curare disturbi e malattie e poi essere usate in cucina. Negli orti dei monaci non mancavano
mai salvia, rosmarino, borragine, melissa e valeriana, tutte erbe che venivano utilizzate in creme e unguenti
medicamentosi. E cosa dire delle birre che nacquero proprio nei conventi
dei frati trappisti? Senza dubbio, ancora oggi sono tra le più apprezzate.
Ma dato che siamo nell’anno che celebra il 150° dell’Unità d’Italia, ricordiamo volentieri Maria Caterina Operti di
Cervasca, nata nel 1801 nel Marchesato di Saluzzo, divenuta badessa del
monastero della Santissima Annunziata. Intorno al 1831, all’epoca dei moti
mazziniani, il convento accolse numerosi feriti, e fra questi vi era un soldato
che si innamorò, ricambiato, della badessa. La religiosa decise di abbandonare il monastero e seguì il soldato diventando vivandiera. In seguito a un’e-
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pidemia, purtroppo l’amato morì e la
badessa si rifugiò a Torino dove trovò
un posto presso le cucine della corte
dei Savoia, nascondendo però la sua
vera identità. Qui ebbe modo di imparare la raffinata cucina di corte, fino a
diventare, per la sua bravura, la cuciniera personale della regina Maria Teresa
d’Asburgo, moglie di Carlo Alberto. E fu
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proprio la regina a convincerla a tornare in convento come badessa dopo
aver scoperto la sua vera identità. Maria
Caterina riprese quindi il suo ruolo, ma
ormai la sua fama di abile cuoca si era
diffusa tanto da far arrivare al suo convento numerosi nobili piemontesi e alti
prelati che potevano unire il ritiro spirituale a cibi perfetti. Della sua cucina si
conservano alcune ricette, soprattutto
minestre, bolliti e ortaggi, alcune particolarmente raffinate, come l’insalata di
robiola, le frittelle di topinambur con
fonduta al tartufo, il rifreddo di salmone; altre più rustiche, come proprio la
polenta concia della badessa, che somiglia molto a quella di Oropa.
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MENU PIEMONTESI IN MOSTRA
Nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, l’Accademico Domenico Musci, membro
del Centro Studi territoriali del Piemonte, ha contribuito
con l’apporto di materiale (menu, libri di cucina, scatole
pubblicitarie, insegne) e relativa consulenza, a diverse
iniziative piemontesi. In particolare ha avuto l’occasione
di far conoscere e commentare la sua ampia raccolta di
menu piemontesi in due mostre: la prima a Torino, presso la Biblioteca della Regione Piemonte: “Menu piemontesi dall’Unità d’Italia al primo conflitto mondiale”; la seconda a Forlimpopoli presso CasArtusi: “Piemontesi a tavola” (nell’ambito dell’annuale “Festa artusiana”). Le
due mostre hanno naturalmente menu e impostazioni
diversi; la prima segue un ordine cronologico, la seconda privilegia i temi suddivisi in: Pranzi al ristorante, Ristoranti d’albergo, Pranzi di nozze, Combattenti, reduci
e coscritti, Cavalieri della Corona d’Italia, Pranzi d’onore, Associazioni e comitati, Festeggiamenti e inaugurazioni, Grafici e stili, Ridere a tavola. In entrambe, si è
fornito materiale storico con l’intendimento di far conoscere la cucina piemontese da un punto di vista inusuale, non attraverso i libri di cucina, ma attraverso lo svolgimento dei pranzi dai menu originali che ne svelano
anche gli aspetti sociali, del costume, del gusto grafico e
naturalmente della gastronomia. Nessun documento è
più affidabile del menu posto a tavola per riportare con
esattezza inconfutabile la successione delle portate, la
data e la specifica occasione. Il Piemonte, a confronto
con altre regioni d’Italia, grazie alla sua storia particolare, dispone di un enorme patrimonio di queste “piccole
carte” che sono state conservate sia da enti pubblici sia
da collezionisti privati, per raccontarci la storia a tavola
dei momenti di festa, indicando esplicitamente l’andamento dei tempi, splendore o mediocrità, opulenza o ristrettezza. In tutti e due i casi, la rassegna dei menu piemontesi attraversa tre periodi del regno di casa Savoia,
da Vittorio Emanuele II a Umberto I e a Vittorio Emanuele III, in situazioni di grande fermento storico, dalla
nascita della capitale a Torino fino al doloroso trasferimento e alla caparbia rinascita come capitale artigianale e industriale, testimoniata dalle numerose esposizioni
nazionali e universali. Nei menu è possibile riscontrare
la testimonianza della vita che scorre, in tutte le sue manifestazioni, sia pubbliche che private, non necessaria-
mente legata solo ad avvenimenti e a personaggi famosi,
ma cogliendo piuttosto il pulsare della vita quotidiana,
rivelando un’umanità che coglie ogni occasione per incontrarsi a tavola. Il menu si evolve da “menu aristocratico” a “menu borghese” con una lenta trasformazione
che abolisce i prodotti lussuosi e il numero delle portate,
scopre gli alimenti freschi del territorio ed evita le preparazioni complesse e occultate, mantenendo tuttavia
una riconoscibile schematizzazione dell’impostazione
iniziale: la prima voce del menu diventa l’antipasto, ma
il vero primo posto spetta alla minestra, servita all’inizio
del pasto come ci informa il cuoco reale Giovanni Vialardi: “Le buone zuppe o minestre sono l’annunzio foriero di un buon pranzo, e preparano lo stomaco a ben
pranzare”. Seguiva un piatto di pesce o il fritto, che precedeva le grandi portate di carni; è poi la volta del “rilievo” (relevé), appunto costituito da un grande piatto
di carne rossa (bue alla moda, brasato, filetto) con relativa guarnizione di legumi. Viene mantenuta la portata
degli arrosti, costituita da pollame o selvaggina arrostita, effettuando l’alternanza di carne rossa e carne
bianca. Frutta e formaggio concludono il pranzo insieme al dessert, con tante variabili dovute alle diverse occasioni e luoghi. Per i vini è naturale che la scelta sia
per la vasta gamma dei rossi del territorio, dal Grignolino alla Barbera, alla Bonarda, al Dolcetto, al Nebbiolo,
al Barolo, e anche dei più locali Freisa, Lessona, Vigliano, Gattinara, mentre tra i vini bianchi serviti a inizio
pasto, prevalgono il Capri bianco, il pugliese S. Severo, il
siciliano Corvo, la sarda Vernaccia, il napoletano Vesusio blanc. Il brindisi finale privilegia lo Champagne
frappé (ghiacciato), mentre fanno timidamente capolino gli spumanti italiani delle emergenti produttrici Cinzano, Gancia e più tardi Martini & Rossi. Curiosa è l’assegnazione della quantità di vino segnata nei menu
più popolari, come quelli delle società operaie o dei coscritti, in cui viene appositamente segnata la dicitura
“Un litro di vino cadauno e una bottiglia ogni quattro”.
Il menu testimonia una consolidata tradizione gastronomica piemontese maturata nel tempo, conferma una
cultura derivata dalla somma di quanti hanno operato
per la sua esistenza, per la sua conservazione, diventando un patrimonio che merita di essere conosciuto e
tramandato. (Domenico Musci)
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Utilizzare gli avanzi
DI TITO TROMBACCO
Accademico di Bologna dei Bentivoglio
L’opera di Olindo Guerrini
insegna l’arte
di una cucina povera.
ur non essendoci ricorrenze
particolari da celebrare, come
invece accade quest’anno per
l’Artusi, vorrei ricordare la figura di
Olindo Guerrini e la sua opera “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa”, pubblicata dopo la sua morte,
nel 1918. Se la “Scienza” dell’Artusi è
da tutti considerata l’opera che ha
sancito la nascita di una cucina nazionale, codificando le ricette di un’Italia unificata, “L’arte” del Guerrini
ha avuto nel tempo, per una ricostruzione storica della cucina italiana, un
impatto di altrettanta importanza,
rappresentando una cucina quotidiana con meno disponibilità, una cucina più povera, dove la donna si ingegna a rendere quel poco che ha, o
che può trovare, il più possibile soddisfacente e saziante. Una testimonianza diretta di un percorso, di un
utilizzo concreto e pratico, dei tanti
P
momenti in cui nelle case della maggioranza degli italiani solo l’ingegnosità e l’operosità della donna hanno
consentito nel tempo, prima la sopravvivenza, poi lo sviluppo, sino all’attuale benessere. Si potrebbe affermare che le due opere si integrano e
si completano a formare un documentato, completo e generale quadro per una storia della civiltà della
tavola e del cibo italiano.
L’opera del Guerrini rappresenta la
fatica di mettere insieme e conciliare
il pranzo con la cena, tutti i giorni
del mese, per tutto l’anno, comprese
le domeniche, gli anniversari e le feste comandate. È la storia della cucina italiana, che si ripresenta anche
negli anni seguiti alle due guerre
mondiali, negli anni dell’autarchia,
tutti periodi nei quali in cucina non
si buttava via niente, compresi quelli
successivi, in cui in molti casi si economizzava non per necessità, ma per
ragioni morali, e l’uso dell’avanzo
era comunque la misura di una buona economia. A volte, anche nelle
case meno abbienti, l’imbandire
pranzi ricchi e sostanziosi era lecito,
perché dopo, con gli avanzi, si sbarcava il lunario per una settimana.
Concretamente “L’arte” del Guerrini è una raccolta di ricette spigolate
qua e là nei libri italiani, e talora stranieri, o nei giornali di cucina dell’epoca, dove sono sparpagliate, tenendo conto che la bibliografia e la letteratura dei trattati di cucina, in buona
parte, erano ancora quelle elitarie di
fine Ottocento-inizio Novecento, le
cui ricette e piatti non erano per tutte
le cucine, dove il recupero e l’utilizzo degli ingredienti era ancora legato
e riservato a un numero abbastanza
limitato di famiglie.
Con la graduale diffusione del benessere si è avuta sempre più la pos-
sibilità di utilizzare gli avanzi di pasti
sempre più ricchi; oggi, si è raggiunto un cumulo di sprechi e rifiuti non
utilizzati veramente impressionante,
e si guarda con sospetto un piatto di
polpette che qualche vecchia trattoria ci propone, cucinato seguendo i
canoni di una tipica vecchia ricetta.
Eppure, solo pochi decenni fa, la
polpettina era tra i piatti più comuni,
non solo di casa, e non c’era famiglia o trattoria che non avesse la sua
ricetta tipica ed esclusiva delle polpette in umido, prelibato utilizzo
delle carni avanzate dai pranzi domenicali. Altro classico era il polpettone, uno dei prodotti più rappresentativi usciti dal genio cucinario e
dalla fantasia della donna di casa italiana, dove anche solo una parvenza
di carne, o come variante di magro
del venerdì il tonno, era sufficiente
ad arricchire, con un uovo, un poco
di formaggio grana, aglio e prezzemolo tritati, il grosso impasto di pane ammorbidito nel latte, il tutto ben
amalgamato, così da ottenere un volume e un peso tali da poter accontentare le tante bocche da sfamare.
Questo tipo di cucina, come già accennato, era stato anche la base della cucina italiana autarchica, quando
le ricette di Petronilla, o quelle della
rivista “La cucina italiana” e di altre
pubblicazioni, in parte rispecchiavano i canoni e i sani principi della cucina degli avanzi.
Anche se la diffusione del volume
del Guerrini non ha raggiunto, per
numero di edizioni e copie vendute,
la fama e la notorietà del lavoro dell’Artusi, ha non di meno avuto un
peso e una rilevanza, seppur indiretti, egualmente fondamentali per lo
sviluppo e l’affermazione delle realtà
della cucina italiana.
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Più uomini ai fornelli
DI ANTONIO RAVIDÀ
Delegato di Palermo Mondello
“Spesso nella coppia
all’opera in cucina,
lui dirige l’orchestra
e lei va di rincalzo”.
anto trionfale (dunque ben più
che determinata dalla carriera)
è la marcia degli chef uomini
nel mondo cosiddetto civilizzato,
quanto fragile e cagionevole, marginalizzato e persino umiliato appare il
ruolo delle donne, a cominciare dalle
cucine dei ristoranti pluristellati. Forse le generazioni a venire, da come si
stanno mettendo le cose, utilizzeranno le ricette del nonno e non più
quelle delle nonne, spesso geniali e
sentimentalmente ispirate all’amore
familiare.
Anche nelle case, pian piano, a
grandi passi avanza la figura del padre-marito-compagno-figlio (anche
nonno) in cucina, che sempre più
spesso diventa terreno di scontroconfronto tra i due sessi. È un fatto significativo e importante - che la gastronomia e soprattutto l’ideazione
del piatto e la sua preparazione coin-
T
volgano direttamente un crescente
numero di ragazzi forse più che di ragazze. E tutt’altro che di rado, nella
coppia all’opera in cucina, lui dirige
l’orchestra e lei va di rincalzo. Sta avvenendo una rivoluzione? Certo se ne
avvertono i prodromi.
È da elogiare quanto l’Accademia fa
ponendo attenzione al ruolo delle
donne. Lo scorso anno, la Delegazione di Reggio Calabria ha individuato
molti obiettivi nell’incontro sul tema “I
valori dell’universo femminile attraverso la civiltà della tavola”.
E quest’anno, a Roma, nel convegno sulla civiltà della tavola, la professoressa Fiorenza Tarozzi, storica dell’Università di Bologna, ha illustrato i
profili più interessanti delle problematiche femminili.
Ma alle donne desidero dire di non
temere di essere soppiantate tra i fornelli dagli uomini, infatti sono le
donne, a centinaia di milioni, a cucinare per le loro famiglie (e i single
uomini le rimpiangono) ed è insensato chi finge di ignorare che comunque in gran parte dei ristoranti, delle
trattorie, delle osterie, sono pur sempre le donne d’ogni età in cucina, anche se spesso in ruoli
meno appariscenti. In ogni
caso, anche al di là di meriti e
demeriti, è il galateo a gettare
un’ancora di salvezza in soccorso del bistrattato (gastronomicamente) “sesso debole”.
Anche quando è il padrone di casa
a cucinare, la gestione complessiva
dell’evento “stasera pranzo da noi” è
per lo più al femminile. Non occorre una lezione di bon ton
per ricordare che è la padrona
di casa a fare gli inviti e che
sempre lei ha il carico dei fiori, della tavola ben apparecchiata, delle candele, dell’asse-
gnazione dei posti, della distribuzione delle pietanze.
Ci si accorge, allora, che la vera regina è lei. Se pensiamo a quando le
donne, specialmente nel contesto rurale, cucinavano per gli uomini e
mangiavano a parte in cucina, sembrano trascorsi mille anni e non neppure un secolo.
In ultima analisi si potrebbe meglio
dire che anche in questo campo l’ideale è la felice corrispondenza tra
uomo e donna, magari in leale confronto, non tanto tra i due sessi ma
nell’intento comune della buona cucina e dello stare insieme bene anche
a tavola.
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S I C U R E Z Z A
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Q U A L I T À
La colazione degli italiani
al mattino, quando ci si avvia al
lavoro, e si prende il tradizionale cappuccino al bar, che ci accorgiamo dello strisciante aumento
dei prezzi. Per un caffè o un cappuccino, con il classico cornetto, cominciamo a spendere più di 2 euro, quasi il
13,5% in più rispetto allo scorso anno,
e non va meglio a casa, dove si risparmia qualcosa, ma si spende sempre
molto per il lievitare dei costi di tutti i
prodotti. I rincari incidono non solo
sul portafogli, ma anche sugli stili di
vita degli italiani: secondo un sondaggio dell’Associazione consumatori
Adoc è in aumento il numero degli
italiani che la mattina non fa più colazione fuori casa. I prezzi elevati dei
bar spingono l’86% dei consumatori a
fare abitualmente, almeno 5 giorni a
settimana, colazione a casa. Percentuale che scende al 77% nel weekend
e durante le feste. Che cosa mangiano
gli italiani di primo mattino? Il 60%
prepara una colazione semplice, composta da una bevanda e da un alimento solido; il 23% aggiunge una bevanda o un alimento in più e solo l’11% la
fa abbondante, con una o due bevande e due o più alimenti. Infine il 6% si
accontenta di una sola tazzina di caffè.
È
EMERGENZE SANITARIE
La preoccupazione degli italiani sulle contaminazioni del cibo, che in questi ultimi anni sono cresciute sempre di
più, ha avuto recentemente una nuova
impennata dopo il diffondersi del “batterio killer” di provenienza tedesca.
Un’indagine “Eurobarometro” ha evidenziato che il fenomeno delle emergenze sanitarie preoccupa ben l’86%
degli italiani. La sicurezza del cibo è
addirittura associata a un rischio potenziale superiore alla criminalità, agli
incidenti automobilistici, alle malattie.
Secondo la ricerca, il 57% degli italiani
teme le contaminazioni del cibo a causa delle confezioni, l’80% del virus dell’influenza aviaria, l’82% è preoccupato
che nelle carni ci siano ormoni e l’83%
teme la presenza di mercurio nel pesce o di diossina nella carne. In queste
situazioni di psicosi collettiva, il settore
agroalimentare, specialmente quello
primario, soffre danni notevolissimi,
che si aggiungono ad altri fattori di crisi che affliggono il comparto produttivo. Nelle situazioni ormai ricorrenti di
contaminazioni alimentari, la comunicazione della carta stampata e della televisione contribuisce a enfatizzare
l’accaduto, non essendo, fra l’altro, in
grado di dare informazioni certe o comunque rassicuranti. Il consumatore
deve essere edotto e, se vogliamo, opportunamente “istruito” su come acquisire corrette informazioni su come
si acquista, sulle indicazioni riportate
sul prodotto ecc. In proposito l’indagine ha rivelato che il 20% dei negozi di
frutta e verdura espone ancora un’etichetta irregolare e non indica la provenienza del prodotto agricolo. La conseguenza è che gli italiani, se non capiscono da dove arriva il prodotto che
stanno per comprare, si astengono
dall’acquisto. Di ciò soffre non solo chi
vende ma tutta la filiera, che parte dai
campi e arriva ai punti vendita.
LE ANGUILLE
DEL LAGO DI GARDA
“Conosci tu il paese, dove fioriscono
i limoni?”. Questi sono i versi di una famosa poesia di Goethe del 1876, nella
quale egli esprime la sua nostalgia per
il nostro Paese e per i nostri meravigliosi agrumi. Il grande poeta era ispirato dall’incantevole visione del lago
di Garda, l’antico “Benacus” dei Romani, tanto decantato dal poeta Catullo.
Ora questo vanto del nostro Paese, il
più grande e il più caratteristico dei laghi prealpini, dall’azzurro inconfondibile delle sue acque, ha subito l’oltraggio del terribile inquinamento da diossina. Nei suoi pesci, e in particolare
nelle anguille, vanto della gastronomia
locale, si è riscontrata la presenza di tale sostanza. La sottosegretaria alla Salute, Francesca Martini, ha firmato
un’ordinanza che, per un anno, proibisce di immettere sul mercato o commercializzare al dettaglio le anguille. I
consumatori del luogo dovranno essere informati, dalle locali amministrazioni, sui rischi per la salute legati al
consumo delle anguille. La diossina,
che è considerata una delle più tossiche sostanze prodotte dall’uomo, può
trovarsi a elevate concentrazioni negli
alimenti soltanto quando accadono degli incidenti industriali, come per esempio accadde a Seveso. Quindi, molto
probabilmente, sono state versate nelle
acque del lago sostante molto tossiche.
Le prelibatezze gastronomiche locali
subiranno l’assenza di una delle specialità più tipiche del lago, l’anguilla alla gardesana, una vecchia ricetta che ritroviamo anche nel “Libro de arte coquinaria” del grande Mastro Martino da
Como (il più importante cuoco del XV
secolo), caposaldo della letteratura gastronomica italiana, che testimonia il
passaggio dalla cucina medievale a
quella rinascimentale. Le anguille alla
gardesana sono cotte semplicemente
sulla griglia per permettere l’ottimale
sgrassamento delle carni; accompagnate da un buon bicchiere di Chiaretto
del Garda, sono una delizia da gustarsi
su una delle trattorie con vista sul lago.
Speriamo che presto si possa bonificare il luogo individuando la fonte dell’inquinamento.
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 2
GABRIELE GASPARRO
Delegato di Roma
N O T I Z I A R I O
PASTA FRESCA, ADDIO
La Confederazione italiana
agricoltori, in un’indagine presentata nel corso della Conferenza economica a Lecce, ha
dato l’allarme circa il consumo
della pasta fresca. Pur rimanendo la pasta uno dei piatti
più amati dagli italiani, ogni
anno scende, in modo sensibile, il numero delle persone in
grado di farla in casa. Solo 2
persone su 100 (principalmente ultrasessantenni) hanno dimestichezza con matterello,
uova, acqua e farina e nel
2020 questa percentuale scenderà allo 0,4. Una tradizione
così tipica della buona cucina
italiana è quindi vicina all’estinzione, tenuta in vita da pochi gourmet e da corsi e iniziative per riportare gli italiani alla pasta fatta in casa, anche se
non numerosi - nel 2010 e nei
primi quattro mesi del 2011 in
Italia si sono organizzati meno
di cento laboratori di cucina,
escludendo quelli a pagamento o scolastici -, ma questa disaffezione è sempre più palese
e include anche il pane fatto in
casa. Potrebbe accadere, dunque, che termini come “semola di grano duro”, “trafilata al
bronzo” o “lievito madre” diventino patrimonio di sapienza per pochi, visto che l’85%
degli italiani che leggono l’etichetta della pasta fa caso al
peso, al prezzo e ai minuti che
servono per cuocerla, mostrando disinteresse per ingredienti e metodi di produzione.
E pensare che se si cronometra il tempo che occorre a preparare quattro piatti di pasta
fatta a mano (certamente da
mani esperte), ci si accorge
che i dieci minuti necessari per
farlo sono anche inferiori al
tempo che occorre per uscire
di casa, recarsi in negozio,
comprare la pasta e tornare.
ridotto del 39% rispetto ai non
bevitori di caffè. L’evidenza di
un effetto protettivo della bevanda su una patologia di elevata incidenza riveste anche
una notevole importanza nel
campo della prevenzione. Per
questo studio la dottoressa Galeone ha ottenuto, nel 2010, il
premio “Giulio Maccacaro” riservato ai giovani ricercatori.
GIORNATA DELLA
CULTURA DEL VINO
AZIONE PROTETTIVA
DEL CAFFÈ
CONTRO I TUMORI
Il caffè, una bevanda molto
diffusa nel mondo, è stato oggetto fin dagli anni Settanta di
numerosi studi in relazione all’insorgenza di tumori dell’apparato digerente. Tali studi
avevano già messo in evidenza una possibile azione protettiva del caffè rispetto al tumore
del colon retto, senza tuttavia
poter escludere l’effetto di
molti altri fattori. Un recente
studio, condotto in America e
in Europa su oltre 5.000 soggetti con oltre 9.000 controlli,
è stato pubblicato dalla dottoressa Carlotta Galeone dell’Istituto “Mario Negri” di Milano.
Vi si dimostra che i soggetti
che avevano consumato 4 o
più tazzine di caffè al giorno,
avevano un rischio di tumore
del cavo orale e della faringe
È un appuntamento importante e Ais Veneto non poteva
mancare. È la prima volta, infatti, che in Italia si festeggia la
cultura del vino con un evento
nazionale.
Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia,
le strutture regionali dell’Ais
hanno dato vita a una serie di
incontri e dibattiti per divulgare la conoscenza del vino al
grande pubblico nella manifestazione “Vino in villa”, sul tema dell’anno: “Fatto a mano”.
In questa occasione, infatti, si
è parlato di vino come di
espressione del sapere manuale dell’uomo, di un’abilità che,
nei secoli, i viticoltori italiani
hanno saputo conservare e
sviluppare. Il “sapere manuale” dei viticoltori italiani non
ha permesso solo di ottenere
vini espressione di terroir unici, ma anche di conservare
ambienti straordinari. Oggi, in
BUONE VACANZE
Gli uffici della Segreteria di Milano resteranno chiusi,
per le vacanze estive, dal 15 al 28 agosto.
La redazione di Roma resterà chiusa dall’8 al 28 agosto.
Un amichevole augurio di buone vacanze
a tutti gli Accademici.
Italia, come è stato ricordato
nel convegno che si è svolto al
castello di San Salvatore di Susegana (Treviso), solo 7 milioni di consumatori conoscono
adeguatamente il vino e la cultura che c’è dietro. Gli altri lo
bevono in maniera non del
tutto consapevole, senza gli
strumenti necessari per avvicinarsi a questa bevanda nel
modo giusto e responsabile.
Solo mettendo la cultura al
centro del “sistema vino” si
possono ricreare attenzione e
cultura verso questo prodotto.
MATURITÀ
E ALIMENTAZIONE
“Siamo ciò che mangiamo?”, si
chiedeva Feuerbach. Dopo un
secolo e mezzo gli hanno risposto 500.000 studenti, che
hanno scelto il tema sull’alimentazione alla prima prova
dell’esame di maturità di quest’anno. Sarà che le riflessioni
intorno al cibo, sotto tanti
aspetti, sono sempre più presenti nella quotidianità, fatto
sta che gli studenti hanno affrontato le implicazioni che l’alimentazione ha per la salute,
e il fatto che mangiare sia
qualcosa da “pianificare” con
attenzione e non come capita.
E ancora gli stili di vita che
cambiano il modo di mangiare, con sempre più persone
che mangiano davanti a un
computer in ufficio o in un
bar. E, ovviamente, gli effetti
sociali e ambientali che lo stile
alimentare implica, l’impatto
sulla salute pubblica, sull’economia, sul lavoro e sui paesaggi. La scelta di un tema così è
un fatto importante, che potrebbe anche aiutare a misurare la consapevolezza dei giovani in tema di alimentazione,
su quello che rappresenta e, di
conseguenza, anche sul ruolo
che ha oggi per loro tutta la filiera del cibo.
a cura di
SILVIA DE LORENZO
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 3
I N
DIMAGRIRE
SENZA BILANCIA
di Maria Makarovic
Mondadori
www.geomondadori.com
€ 19,00
“Devo proprio usare la bilancia? Devo controllare la quantità di tutto quello che mangio?
Come mi piacerebbe una dieta
dove non devo pesare nulla!”.
Il modo sincero e diretto con il
quale alcuni pazienti che vogliono perdere qualche chilo
le si rivolgono ha indotto la
dott.ssa Maria Makarovic (specializzata in Scienze dell’alimentazione, lavora a Milano e
Gorizia ed è docente presso
l’Academy school of practical
esthetic medicine - Aspem) a
realizzare questo libro.
È basata infatti sull’immagine
la nuova dieta proposta dalla
nota nutrizionista milanese,
che in quest’ultimo libro, il decimo (con Mondadori ha pubblicato nel 2007 “Più sane più
snelle” e “Più forti più magri”),
propone due programmi studiati per perdere rispettivamente 3 chili in 21 giorni e 1
chilo in 3 giorni, seguendo la
formula del “vedi ciò che mangi”. Una formula che consiste
nell’imparare a misurare gli alimenti a occhio, senza pesarli,
grazie alle porzioni presentate
nei piatti illustrati da efficaci
fotografie, e già calibrate nella
dose corretta da assumere
ogni giorno.
L I B R E R I A
ELENCO DEI DONATORI DELLA BIBLIOTECA
NAZIONALE “GIUSEPPE DELL’OSSO”
Wladimiro Abbate - Delegato di Caserta
Luigi Altobella - Delegato di Foggia-Lucera
Marco Battiglia - Accademico di Pinerolo
Remigio Bazzano - Accademico di Novara
Mario Boeri - Delegato di Santo Domingo
Ottavio Cavalcanti - Accademico onorario di Cosenza
Gerardo Landulfo - Delegato di San Paolo del Brasile
Domenico Musci - Accademico di Ciriè
Gerardo Rasetti - Delegato di Pescara Aternum
Antonio Vincelli - Delegato onorario di Campobasso
Orazio Patti
Delegazione di Napoli
Alfredo Guida editore - Napoli
Arnoldo Mondadori Editore - Verona
Locali storici d’Italia - Milano
Zefiro - Fermo-Perugia
L’introduzione presenta le caratteristiche delle diete proposte, fornisce una panoramica
sui principi generali dell’alimentazione, sul benessere e
l’importanza dell’attività fisica.
Poi vengono le diete, illustrate
giorno per giorno e suddivise
tra colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena. All’interno di ogni tipologia di piatto primo, secondo, contorno... si danno tre alternative (sia
perché la dieta possa essere
seguita anche fuori casa sia
per renderla più libera possibile). Le pietanze proposte sono
dunque interscambiabili e abbinabili a piacere tra loro. Si
impara così a pesare “a occhio” gli alimenti (di cui sono
comunque indicati il peso e le
calorie). Ogni giorno è accompagnato da uno o più box di
approfondimento su singoli temi: proprietà nutritive, abbinamenti consigliati, vitamine, l’uso delle spezie, i grassi e altro.
Alcune tabelle forniscono il
valore calorico per 100 grammi dei principali alimenti a
crudo e, quando variano molto, anche cotti.
LE RICETTE ABRUZZESI
DI ALBERTO E CARLOTTA
di Barbara D’Egidio
Casa Editrice Tinari
Contrada Fonte Grande, 30
66010 Villamagna (Chieti)
€ 27,00
Un percorso, quello dell’Accademica di Pescara Aternum,
attraverso le ricette antiche tradizionali del territorio compreso tra Castellammare Adriatico
e le pendici del Gran Sasso.
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 4
L’indagine condotta presso i
vecchi marinai della costa, i
contadini e i pastori delle vallate e dei monti garantisce che
i piatti sono quelli di un tempo, così come gli ingredienti,
che sono quelli prodotti, trasformati e conservati in terra
abruzzese. Ci sono poi, nelle
ricette, le caratteristiche proprie della massaia d’Abruzzo,
parca nelle spese e nei consumi, che non ammette sprechi e
che impiega in modo gustoso
anche gli avanzi.
E così si snodano nel libro le
ricette, arricchite anche da
informazioni che ne raccontano la storia, di quasi duecento
preparazioni, da quelle più antiche, come le patellotte o le
granitte con le fave, ai cinque
classici, i gioielli cucinari d’Abruzzo: maccheroni alla chitarra e scrippelle “’mbusse”, il
timballo di scrippelle e le meno conosciute panciocche, fino alle famose virtù. Con garbo e con passione, l’autrice riserva al lettore un lungo viaggio gastronomico in terra d’Abruzzo che fa venire la voglia
di riscoprire antichi sapori.
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
● Parcheggio
incustodito e
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie dall’1 gennaio al 10 febbraio; giorno
di chiusura lunedì e martedì
a pranzo. ●Valutazione 8;
prezzo € 35,00.
PIEMONTE
ALBA-LANGHE
28 aprile 2011
“Ristorante del Real Castello
di Verduno” della famiglia
Burlotto, fondato nel 1953.
●Via Umberto I 9, Verduno
(Cuneo); =0172 470125,
fax 0172 470298; coperti 40.
●Parcheggio custodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie da dicembre a
febbraio; giorno di chiusura
mercoledì. ●Valutazione 8;
prezzo € 60,00; elegante.
Le vivande servite: Vermut
e stuzzichini; baccalà mantecato con patate e olive taggiasche; “macarun del fret” al
ragù di salsiccia; finanziera;
glace alla Cavour; savoiardi;
caffè, grappa, Marsala e Barolo chinato.
I vini in tavola: Langhe Favorita (F.lli Alessandria); Verduno Pelaverga (Castello di
Verduno); Barbaresco (Bondonio); Moscato d’Asti (Vajra).
Commenti: Nell’ambito dei
festeggiamenti per i 150 anni
dell’Unità d’Italia si è voluto
preparare un menu che ne
cogliesse lo spirito, con un
omaggio alla Liguria da cui
partirono i Mille. Maccheroni
perché ogni regione ha il suo
maccherone; poi, la finanziera diventata famosa nell’Ottocento quando da pietanza dei
poveri si trasforma in un manicaretto per l’alta società e
piatto molto gradito a Cavour.
Le settecentesche sale del
piano terra del castello hanno
fatto da cornice ai piatti delle
cucine, accompagnati da
grandi vini di Langa. Amabilità e competenza delle signore Burlotto nel suggerire e
preparare i piatti.
ALESSANDRIA
16 aprile 2011
Ristorante “Da Fausto” di
Fausto Ivaldi e Rosella Olivieri,
fondato nel 2000. ●Località
Valle Prati 2, Cavatore (Alessandria); =0144 325387, fax
0144 325384; coperti 60.
Le vivande servite: aperitivo della casa con salumi e
frittelle di verdure con Prosecco; uova ripiene; tortino
di carciofi e fricassea di capretto con polenta; capretto
al forno con patate; costine
di capretto impanate con insalata; gelato di Rosella al
fior di latte e nocciola e colomba pasquale.
un’antica cascina che Fausto
ha recentemente restaurato
con l’aiuto di un giovane architetto del luogo, aggiungendo un bel dehors. La
giornata splendida ci ha permesso di godere della magnifica vista sull’Acquese verde
di primavera. I Simposiarchi
Baccalario e Benzi, che per
l’occasione hanno presentato
un menu veramente originale, hanno eliminato un primo
per inserire una classica fricassea di capretto con polenta, da tutti gradita. Ottimo il
capretto cucinato nelle due
tradizionali forme ma eccezionale il gelato di Rosella
che ha chiuso il pranzo.
I vini in tavola: Prosecco di
Valdobbiadene, Pinot grigio
e Roero Arneis, Chianti e Moscato di Strevi.
CIRIÈ
14 aprile 2011
Commenti: La riunione conviviale ha avuto luogo in
Ristorante “Locanda del Sole”
di Daniela Buzio, fondato
nel 2007. ● Via Roma 16,
Chivasso (Torino); =011
9121229, fax 011 9131968;
coperti 90. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie dal 7
al 24 agosto; giorno di chiusura domenica sera e lunedì.
●Valutazione 7,50; prezzo €
40,00; elegante, accogliente.
Le vivande servite: rotolino
di trota della Valchiusella con
ristretto di aceto balsamico e
insalata novella; vellutata di
carote e zucchine con gambero in bellavista; fagottini ai
tre arrosti fatti a mano; risotto
alle verdure dell’orto; filetto
di fassone della “Locanda”
con asparagi e patate novelle
al forno; fagottino con mele
e crema pasticciera.
I vini in tavola: Erbaluce di
Caluso; Rosso canavese; Passito di Caluso.
INDICE
Piemonte
Liguria, Lombardia
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia Romagna
Toscana
Marche, Umbria
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania, Puglia
Basilicata, Sicilia
Europa
Nel mondo
CARNET DEGLI ACCADEMICI
DALLE DELEGAZIONI
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Ai Delegati: imprescindibili ragioni editoriali rendono necessario
mantenere i “Commenti” delle riunioni conviviali in uno spazio limitato. La direzione della rivista ha provveduto a tagliare i “Commenti” che superano il limite, indicato (peraltro da sempre) sulle
schede prestampate, di dieci righe dattiloscritte. La decisione è stata
presa nella convinzione che le ragioni di fondo che l’hanno determinata verranno comprese e applicate.
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 5
Commenti: Ambiente elegante e sobrio, cucina raffinata ma tradizionale e familiare, molti primi sono fatti a
mano dai proprietari secondo antiche ricette. Molto piacevole pranzare e cenare nel
giardino d’inverno. La cena è
stata ispirata alle ricette di
Pellegrino Artusi e in particolare a quelle n. 464, 8, 75,
340, 70, tutte rivisitate secondo il gusto moderno, ma con
l’attenzione al famoso autore,
del quale, durante la serata, è
stato tracciato un profilo storico e gastronomico.
CUNEO-SALUZZO
20 maggio 2011
Ristorante “Locanda da Elisa”
di Patrizia Chesta e Irma Sarace, fondato nel 2010. ●Via
IV Novembre 86, Pradleves
(Cuneo); =340 2180173; coperti 60. ●Parcheggio custodito; prenotazione consigliabile; ferie dall’1 all’8 settembre; giorno di chiusura da
lunedì a mercoledì. ●Valutazione 7,68; prezzo € 38,00;
tradizionale, accogliente,
caratteristico.
Le vivande servite: trota
salmonata della valle Grana
marinata con crostini di pane
integrale; battuta di carne
cruda con sale nero di Cipro;
tonno di coniglio servito in
burnia con verdurine; gnocchi al castelmagno; stracotto
al Barbera con patate; gelatina di pera; mousse al cioccolato con fragole al Rum.
I vini in tavola: Barbera
(Bric dei Banditi - Franco
Martinetti); Sauvignon.
Commenti: Il giovane cuoco Matteo Fumero, beato tra
le donne, non ha deluso le
nostre aspettative. In sala ci
hanno accolto due cugine, Irma e Patrizia, che ci hanno
raccontato di aver coltivato
per ben 23 anni il sogno della ristorazione. Particolarmente gradito tra gli antipasti
è stato il tonno di coniglio sia
per la sua eccellente qualità
che per la sua originale presentazione. Gli gnocchi hanno riscosso un indiscusso
successo e il secondo è stato
apprezzato soprattutto per la
sua morbidezza, sinonimo di
qualità della materia prima e
di cottura azzeccata. Si tratta
sicuramente di un posto in
cui ritornare. Bravi.
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
PIEMONTE segue
IVREA
29 aprile 2011
Ristorante “Cantine Morbelli” di Giovanni Morbelli,
fondato nel 1890. ●Via Dora Baltea 20/A, Ivrea (Torino); =0125 641675; coperti 80. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile. ● Valutazione 7,80; prezzo € 40,00;
rustico.
Le vivande servite: aperitivo con degustazione di stuzzichini; frittelle di baccalà su
fonduta al basilico; involtino
delle “Cantine” di tometta
della Valchiusella avvolto in
bresaola e saltato in padella
su rucola al balsamico; taglierini all’uovo saltati al burro di
montagna, agretto e parmigiano reggiano; cosciotto di
anatra magret disossato in
glassatura fumé agli agrumi
con sauté di mele verdi; crema al Passito di Pantelleria
con cantucci fatti in casa.
I vini in tavola: Franciacorta Blanc de Blanc Docg,
sboccatura 2005 da Jéroboam
(Cavalleri); Terlaner classico
Alto Adige Doc 2009 (Kellerei Terlan); Vitiano rosso Umbria Igt 2008 (Falesco); Monferrato rosso “Le Grive” Docg
2008 (Forteto della Luja); Pinot nero “Ritratti” Trentino
Doc 2006 (cantine La Vis);
Passito di Pantelleria naturale
“Nes” 2006 (Duca di Castelmonte).
Commenti: Serata riuscita in
un’antica enoteca di Ivrea,
fondata nel 1890 dai nonni
degli attuali gestori come
azienda vinicola e nota in Canavese per l’ottima selezione
dei vini. Da una decina d’anni l’offerta dell’enoteca è
estesa a un servizio di cucina
che ha raggiunto un livello di
tutto rispetto e oggi è un vero e proprio ristorante. Il risultato lo si è visto nella serata, ben organizzata dalla Simposiarca Laura Salvetti, che
ha ricevuto i complimenti del
Delegato, e in cui il tema dell’abbinamento portate-vini
ha assunto un ruolo centrale.
Ogni piatto è stato abbinato
a un vino specifico che ben
ne esaltava il sapore. Molto
apprezzati i taglierini all’agretto e la crema di Passito.
Tutti graditi i vini anche se
qualcuno non ha trovato ottimale l’abbinamento Le Grive-taglierini. L’ottimo servi-
zio, gentile e attento, e la
grande cordialità dei gestori
hanno reso la serata decisamente simpatica, con gran finale nella fornitissima cantina dove è stato servito il dessert e si sono stappate bottiglie d’epoca.
graduatoria per quanto riguarda l’indice di gradimento dei vari piatti.
VERBANO
CUSIO OSSOLA
28 aprile 2011
nuti a questa bella festa che
si è svolta in un clima di amicizia e di grande partecipazione, allietato anche dalla
bella serata primaverile. Servizio attento e preciso, vini
ottimi e sala accogliente per
una riunione conviviale che
resterà nella memoria di tutti.
Consorzio del pesto genovese, ha intrattenuto i convitati
sulla sua attività di rappresentante della cucina ligure
all’estero e sul lavoro svolto
nelle competenti sedi istituzionali per la difesa della tipicità e unicità di questa specialità ligure.
GENOVA
20 aprile 2011
LIGURIA
Ristorante “La Sacca” di
Wanda Pozzoni con le figlie,
Manuela e Loredana, fondato nel 1931. ●Via Sempione,
Stresa (Novara); = 0323
31165. ●Parcheggio incustodito ma comodo e ben in vista; ferie da novembre a
gennaio. ●Valutazione 8,15;
prezzo € 35,00; accogliente,
gradevole e con ottima vista
sul lago Maggiore.
Le vivande servite: involtini
di mazzancolle e alghe in
tempura con caramello al peperoncino; capesante gratinate al mosto di vino; scampo del Mediterraneo leggermente scottato al burro di cacao, succo d’arancia, sedano
bianco, cipolla di Tropea e
polvere di liquirizia; spaghetti di Gragnano alla carbonara
di mare leggermente affumicati, astice, zabaione di ricci,
lardo di Colonnata e pepe di
Sechuan; pesce spada in crosta di patate, moutarde de
meaux, salsa al mandarino
fiore farcito con alicette e
provola; soufflé ai frutti della
passione, crema al cioccolato
bianco e bocche di leone;
caffè e golosità.
I vini in tavola: aperitivo
Ca’ del Bosco cuvée Prestige;
Gewurztraminer aa Ritterhof
2010; Moscato di Pantelleria
Kabir di Donnafugata.
Commenti: La scelta del
menu, inizialmente ipotizzata a base di pesce di lago e
quindi legata al territorio, ha
dovuto essere forzatamente
orientata al pesce di mare a
causa della temporanea
scarsità delle varietà disponibili e del periodo di divieto per alcune specie. Nell’occasione, lo chef Doriani,
oltre che a disporre di ottimi
prodotti, è riuscito, grazie alla sua grande abilità, a entusiasmare tutti i commensali
con inusuali e coraggiose
preparazioni, al punto da
rendere difficile stilare una
ALBENGA
E DEL PONENTE LIGURE
8 maggio 2011
Ristorante “Pernambucco”
di Luciano e Ivana Alessandri, fondato nel 1972. ●Viale Italia 35, Albenga (Savona); =0182 555118, fax
0182 53458; coperti 50+20.
● Parcheggio incustodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie dall’1 al
10 ottobre; giorno di chiusura mercoledì. ●Valutazione
8,50; prezzo € 60,00; elegante, tradizionale, cucina
del territorio con particolare
ricerca delle materie prime
locali.
Le vivande servite: insalata
di asparagi violetti di Albenga con code di gamberi e
olio extravergine di oliva;
asparagi violetti di Albenga
“mimosa”; asparagi violetti di
Albenga alla parmigiana; ravioli di verdure con gamberi
di Oneglia e punte di asparagi; dentice di lenza al forno
con carciofi spinosi di Albenga; parfait al “Pernambucco”
con sorbetto di frutti di bosco
e frutta secca.
I vini in tavola: Riviera Ligure di Ponente Pigato ”Vigne veggie” Doc 2009; Rosso
“A Seiana” 2007 (azienda
agricola Massimo Alessandri,
Ranzo).
Commenti: Per celebrare
Ezio Santin, il premio “Il Piatto blu” e il passaggio della
campana, il Delegato Roberto Pirino ha organizzato una
cena a base di asparagi e carciofi di Albenga, uniti ai migliori prodotti offerti dal Mar
Ligure e dai campi della piana. Un successo senza precedenti, che ha visto nell’insalata di asparagi e gamberi, nei
ravioli e nel pesce le vette
più alte. Unanime apprezzamento da parte degli Accademici e dei Delegati interve-
Ristorante “Da Andrea” di
Andrea Della Gatta, fondato
nel 1978. ●Via Trieste 9/C,
Genova; =010 312033, anche fax; coperti 50. ● Parcheggio incustodito; prenotazione consigliabile; ferie
agosto; giorno di chiusura
domenica sera e lunedì.
●Valutazione 7,50; prezzo €
45,00; accogliente.
Le vivande servite: antipasto con cuculli di baccalà, cuculli di gamberi con erbette
liguri e cozze ripiene; trenette al pesto con pinoli, fagiolini e patate; sorbetto al limone; baccalà alla “catramai”
con patate, cipolle e peperoni, cotto al forno e gratinato;
crema bavarese ai frutti di
bosco guarnita con panna
montata; quaresimali (tradizionali dolcetti genovesi di
mandorle e zucchero, privi di
latte, uova e grassi animali)
della pasticceria “Tagliafico”.
I vini in tavola: spumante
“Tertium Millennium”, Vermentino Colli di Luni “Lunae”
etichetta grigia e rosso Colli
di Luni “Auxo” (cantine Lunae Bosoni); Passito “Acini
Rari” (Bisson).
Commenti: La serata ha
avuto per tema la Quaresima,
con piatti della cucina genovese, come il baccalà e i quaresimali, che sono stati illustrati dall’Accademico Mario
Lombardi. Nella norma i cuculli, rigorose le trenette con
un ottimo pesto. Particolarmente apprezzato il baccalà
alla “catramai”, versione rivisitata di un piatto preparato
una volta per i lavoratori del
porto, i cui componenti, elaborati separatamente, vengono riuniti nella fase finale,
dando al tutto un sapore
equilibrato e deciso al tempo
stesso. Etichette regionali per
i vini, tutti validi con una
menzione particolare per il
Passito. Al termine della cena
il titolare, presidente del
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 6
LOMBARDIA
ALTO MANTOVANO
GARDA BRESCIANO
27 aprile 2011
Albergo ristorante “Monte
Ubaldo” di Mario Usardi,
fondato nel 1957. ●Via Porto 29, Limone del Garda
(Brescia); =0365 954021,
anche fax; coperti 60. ●Parcheggio custodito; prenotazione consigliabile; ferie novembre, aprile; giorno di
chiusura nessuno. ●Valutazione 7,50; prezzo € 50,00;
accogliente.
Le vivande servite: mantecato di tinca con polentina di
grano saraceno e tapenade di
olive gardesane; tronchetto
di anguilla marinata con cipolla della val di Cresta e
bacche di ginepro; insalatina
di salmerino stufato, finocchi
e capperi al profumo di limone; strigoli al coregone, punte di asparagi e dadolata di
mele croccanti; tagliata di
persico e porcini su fondo
Parmentier alla maggiorana;
carpaccio di limone fresco,
zucchero di canna all’olio di
limone; semifreddo di pandolce e cedro candito del
Garda.
I vini in tavola: Soave (Pieropan); Shoner (cantina
Montecicogna); Bianco di
Custoza (azienda agricola
Cavalchina); Lugana San Benedetto (cantine Zenato);
Soave Tomellini (Le Bine di
Costiola).
Commenti: La Delegazione
ha “scoperto”, a Limone del
Garda, questo ristorante, gestito in cucina da un giovane
(30 anni) e capace chef del
luogo che ai clienti propone
uno sconto se scelgono pro-
V I T A
dotti del territorio. Una cucina curata che raggiunge livelli di alta qualità in grado di
nobilitare il pescato fresco
del lago. Nel menu servito
particolare menzione va agli
antipasti. Ottimo il rapporto
qualità/prezzo, al punto di
meritare la vetrofania dell’Accademia. Non trascurabile,
infine, la posizione eccezionale del ristorante le cui finestre si affacciano sul delizioso porticciolo. Arrivare a Limone del Garda richiede
tempo, ma si è ampiamente
ripagati da una squisita accoglienza, come sottolineato
dall’alta votazione espressa
dagli Accademici.
ALTO MILANESE
17 maggio 2011
Ristorante “Hostaria al Visconte” di Luciano Fiore,
fondato nel 2006. ● Largo
Sant’Angelo 6/8, Canegrate
(Milano); =0331 441318,
anche fax; coperti 50. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie 16-21 agosto;
chiusura a mezzogiorno.
● Valutazione 8; prezzo €
30,00; familiare, accogliente.
Le vivande servite: paté
per crostini toscani; paté di
fegatini di pollo con scorza
di arancia; paté di fegatini di
coniglio al Marsala; lingua
bollita; pipette condite con
perdè di pollo e fegatini; busecca alla milanese; polenta
di Storo; cuore con cipolline; fegato alla veneta; rognoncini trifolati; perdè di
pollo alla rumena; “frutura”
(padellata di frattaglie in piccoli tranci); animelle e giustacuore saporiti.
I vini in tavola: Barbaresco
2005 (Fondatore Domizio).
Commenti: L’indole particolarmente amichevole dei proprietari, i coniugi Fiore, e la
preparazione cucinaria di Luciano, fanno di questo piccolo locale una simpatica oasi
di serenità conviviale pronta
ad accogliere anche le richieste di una cena realizzata interamente con le frattaglie.
Chiacchierando con lo chef
patron i ricordi hanno seguito
un filo conduttore che si è
srotolato nel tempo e ha consentito di parlare di momenti
caratterizzati da povertà e indigenza, ma rivalutati dalla
D E L L ’ A C C A D E M I A
fantasia della massaie italiane
che, anche con gli scarti, riuscivano a realizzare preparazioni diventate tradizione e
simbolo di alcuni territori.
Una cena che ha lasciato tutti
più che soddisfatti.
BERGAMO
12 maggio 2011
Ristorante “Papillon” di Antonio Ghilardi, fondato nel
1981. ●Via Gaito 36, Torre
Boldone (Bergamo); =035
340555, anche fax; coperti
130. ●Parcheggio custodito;
prenotazione consigliabile;
ferie mai; giorno di chiusura
lunedì. ●Valutazione 8,10;
prezzo € 47,00; elegante.
Le vivande servite: fiori di
zucca in pastella con acqua
frizzante e nipitella; sfoglia
croccante con cicoria e verdure primaverili; spicchi di
carciofi fritti; finger food di
caprino, uva e noci; puntarelle e guanciale croccante; rosso fresco di pomodoro e provatura di bufala; crostini con
ragù di cinghiale; crema di
fagioli e pecorino; polpettine
vegetali con salsa di zafferano; crostini alla mediterranea; spiedini di cipolle candite all’aceto di ciliegie; budino
di piselli e peperoni a listarelle; fave fresche con guanciale; spaghetti “a cacio e pepe”;
abbacchio arrosto con patate
al rosmarino e carciofi alla
romana; budino di ricotta fresca con sciroppo di visciole e
pasticcetti di gnocchi.
I vini in tavola: Frascati
Doc 2010, azienda Fontana
Candida; Est! Est!! Est!!! San
Flaviano Doc 2010 e Rufus
Colli Etruschi Doc 2010, cantina di Montefiascone.
Commenti: Continuando un
viaggio virtuale fra le cucine
regionali più note, la Delegazione è giunta a Roma, terza
capitale d’Italia dopo Torino
e Firenze, e, sull’argomento,
l’impareggiabile chef Antonio Ghilardi ha centrato un
menu davvero tipico. Dopo
un gran numero di antipasti,
tutti riferiti al Lazio, ha toccato vette davvero alte con un
perfetto abbacchio che si
scioglieva in bocca. Nel salone centrale dell’elegante ristorante, gli Accademici hanno goduto anche di uno
splendido panorama verso
l’imbocco della val Seriana e
di una dotta illustrazione a
stampa dei piatti gustati, redatta dal Vice-Delegato Paolo Fuzier che l’ha esposta dopo una relazione del Delegato Lucio Piombi relativa alle
splendide manifestazioni accademiche di Torino e Firenze alle quali aveva partecipato. Si sono poi festeggiati i
nuovi ingressi che erano tutti
“rosa”.
DESTRA OGLIO
12 maggio 2011
Ristorante “Osteria Terra” di
Antonio Mori, fondato nel
2010. ●Via Pangona 76, Cogozzo di Viadana (Mantova); =0375 833858; coperti
50. ●Parcheggio sufficiente;
prenotazione consigliabile;
ferie non comunicate; giorno di chiusura martedì.
●Valutazione 6,50; prezzo €
35,00; elegante.
Le vivande servite: battuta
al coltello di fassona con carciofi bio e capperi di Sicilia;
ravioli con sfoglia di carrube
ripieni al formaggio fresco di
capra aromatizzato al limone;
guancialino di vitello da latte
di fassona brasato a bassa
temperatura con asparagi nostrani; mousse di cioccolato
fondente Amadei.
I vini in tavola: Prosecco
(azienda agricola Coste Piane); Langhett (azienda agricola Giulio Viglione); Moscato d’Asti (azienda agricola
Pera).
Commenti: All’interno del
Lavadera Village, in ambienti
belli e curati con ampi spazi
anche all’esterno, è stato riaperto il ristorante con la gestione di Antonio Mori, un
nome storico della ristorazione viadanese. Il nome del locale ha come sotto titolo
“materia prima” per esprime
la volontà di mettere al centro della proposta la qualità
dei prodotti usati in cucina e
la chef Claudia Dellavecchia
ha predisposto il menu per
mostrarci l’assunto. In tavola
sono stati apprezzati lo
straordinario sapore della
battuta di fassona e il gusto
originale dei ravioli con sfoglia di carrube e ripieno di
formaggio di capra; qualche
imbarazzo ha invece suscitato la dura consistenza del
guancialino di vitello. I tempi
di servizio sono stati esaspe-
ranti mentre ottimi la qualità
e la quantità dei vini e il rapporto qualità/prezzo.
LECCO
30 aprile 2011
Ristorante “Dac a Tra’” di
Roberto Donadoni, Marco
Spreafico, Mauro Tassotti,
fondato nel 2009. ●Via San
Lorenzo 1, Castello di Brianza (Lecco); =039 5312410;
coperti 35. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie
agosto; giorno di chiusura
martedì. ●Valutazione 7,10;
prezzo € 50,00; elegante.
Le vivande servite: terrina
di branzino e mazzancolle,
salsa alla crema acida; carnaroli mantecato alla bietola
rossa e zafferano; carré di
agnello in crosta di pistacchi
di Bronte; bavarese alla vaniglia con coulis di fragole; piccola pasticceria.
I vini in tavola: Bollicine
“Blanquette de Limoux” brut
(Aimery); bianco “Costamolino” Vermentino di Sardegna
2008 (Argiolas); rosso “Grumello” 2008 Valtellina superiore (Mamete Prevostini).
Commenti: Il Simposiarca
Massimo Campidori ha organizzato la riunione conviviale
pasquale, che ha previsto
una prima visita ufficiale della Delegazione a un locale
frequentato nel passato un
paio di volte con altra gestione e altra filosofia di ristorazione. Gli Accademici hanno
ritrovato lo chef Mirco Zanlorenzi, conosciuto precedentemente in altri locali, che
qui ha messo a disposizione
la sua esperienza e la sua
fantasia, coadiuvato dal figlio
Nicholas. Nel complesso una
piacevole serata, con particolare apprezzamento per il risotto alla bietola rossa e zafferano, sia per il gusto che
per l’aspetto cromatico. Gradevole l’ambiente, buono il
servizio, discreto l’abbinamento cibi/vini, equilibrato il
rapporto qualità/prezzo.
MILANO BRERA
12 maggio 2011
Ristorante “Il Sale Grosso”.
●Via Ippolito Nievo 33, Milano; =02 341290. ●Giorno
di chiusura sabato a mezzo-
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 7
giorno e domenica. ●Valutazione 6,90; prezzo € 60,00;
accogliente.
Le vivande servite: aperitivo di benvenuto, selezione
di crudi di pesce (carpacci di
tonno, ricciola, salmone, calamaretto, capasanta); tartare
di spada, salmone, tonno,
scampetto di San Benedetto,
gambero rosso di Mazara;
polpo croccante con schiacciata di patate e stracciatella;
insalatina tiepida di mare, capasanta gratinata, alici fritte,
risotto con scampetti zucchine e i loro fiori, grigliatina di
pesce (pescatrice, ricciola,
scampo, gamberone, calamaretto); assaggio di fritturina
leggera (calamaretto, gamberetti, zucchine e patate chips);
insalatina di stagione mista;
sorbetto artigianale alla mela
verde.
I vini in tavola: Ribolla gialla “Polencic”.
Commenti: Serata molto
piacevole, in un nuovo ristorante con cucina di pesce
aperto da un anno. Il patron
Fabrizio Chiappini, di origine
marchigiana, ha proposto
una cucina tradizionale con
materia prima freschissima.
Da segnalare soprattutto i
numerosi antipasti e in particolare il polpo croccante,
l’insalatina tiepida di mare e
la capasanta gratinata. Nonostante il numero elevato di
Accademici e ospiti, il risotto
con scampetti e fiori di zucchine è risultato buono e ben
cucinato. La relazione del
prof. Roberto Giacomelli (ordinario di Glottologia e linguistica), con il titolo “Cucina
creativa o tradizionale? Divagazioni tra cucina e linguaggio”, ha suscitato molto interesse. Il prof. Giacomelli è
autore del libro di cucina “La
cucina del professore”, che è
stato donato ai commensali
dai Simposiarchi Luisa Tedeschi e Francesco Malerba.
Senza infamia e senza lode la
grigliata arrivata tiepida, forse per il prolungarsi della
conversazione. Ottimi la Ribolla gialla e il rapporto qualità/prezzo.
MILANO DUOMO
14 aprile 2011
Ristorante “Moscara Charlie
Brown” di Antonio Moscara,
fondato nel 1986. ● Via
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
LOMBARDIA segue
Spartaco 37, Milano; =02
55010609, fax 02 5453834;
coperti 200. ●Parcheggio incustodito; prenotazione necessaria; ferie Natale, Pasqua e Capodanno; giorno
di chiusura nessuno. ●Valutazione 7,54; prezzo €
55,00; caratteristico.
Le vivande servite: puntarelle croccanti con stracciatella; misto di latticini pugliesi; scurtighiata; ferretti, pomodoro e ricotta; orecchiette,
ricotta di pecora e sfilaccino
di cavallo; maialino con cime
di rapa; sorbetto al pompelmo rosa; biscottini pugliesi.
I vini in tavola: Negramaro
“Il Nobile” 2009.
Commenti: Grazie all’interessamento delle due Simposiarche, Annelie Kleffman e
Marisa Zipoli, è proseguita la
ricerca di locali che continuano e sviluppano le tradizioni
delle varie regioni italiane.
Questa volta è stato il turno
della Puglia. Il menu ha riportato l’attenzione degli Accademici sulla cucina delle
verdure, assai di rado presenti sulle tavole della ristorazione milanese. Materie
prime di notevole freschezza,
con arrivi pressoché giornalieri, cucinate secondo ricette
antiche; preparazioni nuove
per il gusto di Milano, sconosciute alla maggioranza degli
Accademici, come per esempio gli sfilaccini di cavallo
abbinati alle orecchiette e alla ricotta di pecora. Notevole
il gradimento da parte di tutti
gli Accademici che hanno dimostrato di apprezzare particolarmente una cucina diversa, variegata, ma con salde
radici nella tradizione custodita e tramandata nei tempi.
VALLECAMONICA
13 maggio 2011
Ristorante “La Storia” di Mino d’Amico e Stefano Azzini,
fondato nel 1997. ●Via Fontanelli 1, Darfo Boario Terme
(Brescia); =0364 538787;
coperti 120. ●Parcheggio sufficiente; prenotazione non
necessaria; ferie mai; giorno
di chiusura mercoledì. ●Valutazione 8,50; prezzo €
35,00; accogliente.
Le vivande servite: frittatina
in riccioli; sformato di finocchi; crostini di fegatini e ac-
ciughe; tortelli di carne di piccione in brodo; risotto nero
con le seppie; pappardelle col
sugo di coniglio; arrosto morto di pollo alla bolognese; costolette di agnello vestite; torta di mele caramellate in pasta
sfoglia, torta alle noci.
I vini in tavola: Chiaretto
del Garda Rosamara “Costaripa”; Chianti classico toscano;
Moscato “La Bruciata”.
Commenti: Cena artusiana,
con ricette della tradizione,
portata a termine con grande
sapienza e gusto dallo chef
Stefano Azzini, che ha riproposto alcune delle ricette contenute nel libro di Pellegrino
Artusi “La scienza in cucina e
l’arte di mangiar bene”, dimostrando che, nonostante siano
passati oltre 100 anni dalla
prima edizione di questo libro, si tratta di ricette ancora
attuali e saporite. Eccezionali
il risotto e la torta alle noci
che, fatta senza utilizzare farina, può essere proposta anche nei menu per celiaci.
VARESE
14 aprile 2011
Ristorante “L’Osteria di Nerito” di Rosy e Valter Nerito,
fondato nel 1990. ●Via Roma 4, Cantello (Varese);
=0332 417802; coperti 50.
●Parcheggio incustodito, insufficiente; ferie agosto; giorno di chiusura martedì.
●Valutazione 7,50; prezzo €
40,00; caratteristico.
Le vivande servite: quiche
agli asparagi con asparagi in
carpione; assaggio di sformatino agli asparagi; risotto; tortello crespella agli asparagi;
rollato di coniglio ruspante
agli asparagi; zuccotto alla
frutta o “bunet”.
I vini in tavola: Brut Marchesini Franciacorta; Riesling
renano San Giovanni Reissende Tier 12,5; Rosso di
Montalcino San Giorgio
Ciampoleto 13,5.
Commenti: Dopo tanti anni
la Delegazione è ritornata
all’“Osteria” di Cantello, ove
tutto è rimasto com’era. L’arredo modesto da osteria di
una volta, ma molto curato e
pulito, la cucina piccolissima,
il banco bar dove Valter serve le bevande riportano alla
memoria un locale di 50 anni
fa. La cena è stata discreta,
contrariamente all’eccellenza
raggiunta durante una visita
fatta alcune settimane prima
da quattro Accademici; di qui
la decisione di contenere, in
futuro, il numero dei partecipanti per favorire la qualità.
Le portate più apprezzate sono state la quiche, il tortello e
il “bunet”, mentre il risotto e
il coniglio, specialità del ristorante, sono stati giudicati
scarsi di sapore. Simposiarca
della serata è stato il simpatico Fausto Bianchi, che ha
raccontato alcuni aneddoti
sulle tradizioni del locale e la
composizione dei piatti. I vini sono stati scelti, portati e
commentati dall’amico Manuel Pezzoli (aspirante Accademico). Gradito ospite è
stato Roberto Restelli. La Delegazione ritornerà quando
sarà terminato il periodo degli asparagi, per degustare la
tradizionale cucina di Rosy
sempre piena di proposte e
idee originali.
VOGHERA-OLTREPÒ
PAVESE
30 aprile 2011
Agriturismo “Chiericoni” di
Alberto Lucotti, fondato nel
2002. ●Cascina Chiericoni,
Rivanazzano (Pavia);
=0383 92957; coperti 40.
●Parcheggio comodo; prenotazione consigliata; ferie
mai; giorno di chiusura da
lunedì a giovedì. ●Prezzo €
30,00; rustico, accogliente.
Le vivande servite: crostoni
all’aglio selvatico; tagliere di
salumi; frittatina di luppolo;
risotto alle ortiche; ravioli di
grano saraceno al tarassaco;
petto di faraona alle erbe fini
con patate al forno; crostata
di mele.
I vini in tavola: vini di produzione propria.
Commenti: “Le piante aromatiche, belle, buone, selvatiche” è stato il tema sviluppato in collaborazione con la
dott.ssa Barbara Gatti, esperta di piante ed erbe del Museo di scienze naturali di Voghera. La giornata è iniziata
alle 10.30 del mattino con un
interessante percorso guidato
attraverso i sentieri dell’azienda agricola biologica all’interno della quale si trova
l’agriturismo. Al termine, è
seguita una piacevole lezio-
ne della relatrice. Il pranzo è
stato il culmine della giornata: semplice, genuino, cucinato con perizia e tutto di
stagione. Bravi i signori Lucotti per la conduzione (faticosa) dell’azienda e per la
gestione del ristorante, che
tra l’altro è arredato con
grande gusto. Il locale è tramandato da generazioni poiché è stato ricavato nella vecchia casa di famiglia, dove i
mobili e le suppellettili sono
sempre rimasti al loro posto.
ha fatto intuire l’elevata qualità della cucina. Una particolare menzione va alla presentazione delle portate, originale e curata nei dettagli. Buono l’antipasto e in particolare
il piccolo sandwich con il
petto d’anatra tiepido e croccante, ottima la crema di patate, che ha riscosso il successo maggiore, tanto che se
ne sarebbe gradita una porzione più abbondante. Il capretto purtroppo è risultato
scarso, piuttosto salato e alcuni pezzi un po’ duri; la cena ha ripreso comunque
quota con gli sfiziosi dessert:
lo “Scheiterhaufen” (antico
dolce alle mele) in versione
moderna è stato presentato
con la salsa di vaniglia, ottimo il gelato di pistacchio, deliziosa la piccola pasticceria.
Gradevoli i vini.
TRENTINO - ALTO ADIGE
BOLZANO
19 maggio 2011
MERANO
10 maggio 2011
Ristorante “Sassegg” della famiglia Mafertheiner, fondato
nel 2003. ● Via Sciliar 9,
Siusi (Bolzano); = 0471
704290, anche fax; coperti
40. ●Parcheggio incustodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie tre settimane a giugno e tre a ottobre; giorno di chiusura lunedì e dal martedì al sabato
a mezzogiorno. ●Valutazione 8,20; prezzo € 50,00; elegante, accogliente.
Ristorante “Miil” di Othmar
Raich, fondato nel 2010.
●Via Pallade 1, Cermes (Bolzano); =0473 56733; coperti 50. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie variabili;
giorno di chiusura domenica sera e lunedì. ●Valutazione 7,40; prezzo € 65,00; accogliente, caratteristico.
Le vivande servite: saluto
dalla cucina (crema di carote
e zenzero, piccolo hamburger, canederlino su insalata di
cappucci); piccolo sandwich
di brioche con petto d’anatra
affumicato e fegato grasso
d’oca; crema di patate della
nonna con animelle; capretto
al forno con erbette dell’orto
su patate novelle e verdure
miste; “Scheiterhaufen” su
crema alla vaniglia e gelato al
pistacchio; piccola pasticceria.
I vini in tavola: Prosecco
Jeio; Kerner Prepositus 2009
(cantina di Novacella); Merlot Fihl 2006 (Peter Dipoli);
Riesling Spätlese Juval 2008
(cantina Unterortl).
Commenti: I Simposiarchi
Ferruccio Rosanelli e Giancarlo Burei hanno organizzato con cura e ottimo risultato
questa riunione conviviale e
già l’aperitivo offerto assieme
a piccole tartine di vari tipi
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 8
Le vivande servite: insalatina di erbe selvatiche, speck e
uovo affogato; tortelloni ripieni con asparagi e crema
alla senape; agnello brasato
con verdure e patate; dado di
cioccolato ripieno di crema
allo yogurt.
I vini in tavola: Spumante
Haderburg pas dosé 2009; Pinot bianco (tenuta Kraenzl)
2009; Nebbiolo (Rinaldi)
2008.
Commenti: Una sapiente ristrutturazione ha dato nuovo
lustro a questo vecchio mulino che ora dispone anche di
un romantico giardino. Ma
anche in cucina ci sono novità. La nuova gestione di
Othmar Raich cerca di presentare piatti moderni e leggermente elaborati. Il “finger
food” iniziale agli asparagi
era squisito, croccante e con
presentazione originale. Rinfrescante l’insalata di erbe
con l’uovo affogato. Buoni i
tortelloni con qualche riserva
sulla salsa, troppo carica di
V I T A
senape. Il tenero agnello nostrano ha incontrato il favore
dei commensali. Accattivante
il dado di cioccolato ripieno
di fresca crema di yogurt. In
complesso una cucina interessante e attenta alle materie
prime. Autentica sorpresa il
Pinot bianco del conte Pfeil,
talmente carico di aroma da
far pensare a una vendemmia tardiva. La serata è stata
allietata dalla presenza di numerosi Accademici e amici di
altre Delegazioni. Grazie a
Patricia Benussi, Andreas
Plannger, Piergiorgio Barrucchello, Paolo Foradori, Elio
Franzone, Andrea Radice per
aver fatto tanta strada.
TRENTO
5 maggio 2011
Trattoria “Maso Finisterre”.
● Località Vela di Trento,
Trento; =0461 825752; coperti 80. ●Parcheggio comodo; prenotazione consigliabile; giorno di chiusura lunedì. ● Valutazione 7,70;
prezzo € 40,00; tradizionale, rustico.
Le vivande servite: antipasto con asparagi di Zambana,
uovo sodo e salsa bolzanina;
tagliolini con salsa agli asparagi verdi e pomodorini; capretto alla trentina con polenta di patate alla piastra, radicchietto di campo e dentice
di cane; mosaico di frutta fresca con gelato al fior di latte.
I vini in tavola: Spumante
Altemasi riserva 2006; Müller
Thurgau Bottega dei Vinai;
Merzemino Grigoletti.
Commenti: Opportuna riscoperta di un locale dove il
cuoco, a Trento dalla Bielorussia dopo Chernobyl, si è
dedicato a mantenere i piatti
della tradizione locale. Quella cucina che in passato apparteneva alle famiglie attente nel tramandare le ricette di
piatti semplici ma sani e appetitosi. Il ristorante, posto su
un’altura da cui si gode uno
spettacolare colpo d’occhio
sulla città, e la serata proposta, hanno incontrato la piena approvazione degli Accademici. Felice la scelta del
menu per una cena di primavera: i celebrati asparagi di
Zambana, località che sta a
pochi chilometri più a Nord,
e poi il capretto arrosto. Vale
a dire i piatti della tradizione
D E L L ’ A C C A D E M I A
pasquale. Appropriata anche
la scelta delle bevande con
un ottimo Müller Thurgau assieme ad asparagi e tagliolini,
e un gradevole Marzemino,
che bene si accoppiava alla
carne bianca. La serata è filata via tra aneddoti e piacevoli
conversazioni.
VENETO
ALTO VICENTINO
4 maggio 2011
Ristorante “La Marescialla”
della famiglia Bertola, fondato nel 1997. ●Via Capitello 3, Montebello Vicentino
(Vicenza); =0444 649216,
fax 0444 686456; coperti 46.
● Parcheggio incustodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie 1-6 gennaio e 10-31 agosto; giorno
di chiusura domenica sera e
lunedì. ●Valutazione 7,50;
prezzo € 38,00; elegante, familiare, accogliente.
Le vivande servite: stuzzichini della casa, ossocolo
con sfogliatina, verdure fritte
di stagione; mazzancolle al
vapore, asparagi bianchi di
Montebello marinati, sfilacci
di pomodoro e burrata; risotto con piselli di Grancona
croccanti e capesante di laguna scottate; capretto bianco di Gambellara con coradella, polentina, radicchietto
e tarassaco alla vecchia maniera; zabaione morbido di
Recioto con piccoli frutti di
stagione; frittelle dolci all’erba maresina.
I vini in tavola: Durello
spumante Doc metodo charmat (Cantina di Gambellara);
Durello La Marescialla Doc
36 mesi metodo classico
(azienda agricola Marcato);
Ca’ Fischele Gambellara classico Doc 2010 (azienda agricola Dal Maso Luigino); Carmenere più rosso veneto Igt
2008 (azienda agricola Inama); Recioto passito podere
Il Giangio Doc 2004 (azienda
agricola Zonin).
Commenti: La Delegazione
ha degustato dei piatti di sta-
gione presentati dal Simposiarca Enzo Dalla Valle. Dopo un assaggio degli stuzzichini, si è passati all’antipasto, piatto molto fresco e invitante con le mazzancolle
delicate di sapore, abbinate
armoniosamente alla burrata
e al pomodoro sfilettato. Ottimo il risotto, perfetto nella
cottura, dal gusto equilibrato
e deciso, con i piselli di stagione provenienti da una località vicina, abbinati alle capesante. Buono anche il classico capretto bianco di Gambellara con gli aromi e contorno di radicchietto e di tarassaco passato in padella
come si faceva una volta. Per
finire una coppa di zabaione
morbido, realizzato con del
Recioto passito di Gambellara. Complimenti allo staff del
ristorante, al quale è stato
consegnato il piatto dell’Accademia per la buona riuscita
della serata, curata nei minimi particolari, compreso l’abbinamento piatto-vino.
PADOVA
29 aprile 2011
Ristorante “Dorio” di Davide
Benetton, fondato nel 1865.
●Via Roma 26/A, Vigodarzere (Padova); =049 700854,
anche fax; coperti 60. ●Parcheggio comodo, incustodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie seconda
settimana di agosto e di gennaio; giorno di chiusura domenica. ● Valutazione 8;
prezzo € 45,00; elegante.
Le vivande servite: chips di
sardine al mais e zenzero;
frittura di seppioline; mazzancolle al forno al miele, limone e rosmarino; risotto di
mare; dentice con salsa di
zafferano ed erbe fresche;
variazioni di cioccolati.
I vini in tavola: Prosecco
Verv brut Doc Andreola; Lugana Limne Doc 2009 tenuta
Roveglia; Sauvignon blanc
Doc 2009 Castel Sollegg; Sangue Morlacco Luxardo.
Commenti: Il ristorante, in
circa 150 anni, ha superato
varie vicissitudini, con cambi
di gestione e due periodi bellici a cui è sopravvissuto. Recentemente ristrutturato e
completamente rinnovato
nelle preparazioni, si propone come punto d’incontro
per momenti di convivialità,
con nuove idee di fare cucina, mantenendo le migliori
scelte di pesce ma non tralasciando mai il rispetto e la
salvaguardia delle tradizioni
del territorio, anche quelle
più antiche. La sala, calda e
accogliente, ricca di oggetti
d’arredo dal design moderno, è stata studiata per esaltare i piaceri del buon cibo. Un
plauso al giovane chef Davide Benetton e al sommelier
Luciano Zanovello e un grazie alle due Siniscalche: Matilde Bevilacqua Zambusi e
Maria Pavanato Bandelloni.
ROVIGO
ADRIA-CHIOGGIA
12 maggio 2011
Ristorante “Osteria del Gallo” di Ilaria Canali & C. sas,
fondato nel 1999. ●Via Cigno 25, Badia Polesine (Rovigo); =0425 594760; coperti 40+20. ●Parcheggio comodo; prenotazione consigliabile; ferie una settimana
a gennaio e due tra luglio e
agosto; giorno di chiusura
lunedì sera e martedì. ●Valutazione 7,85; prezzo €
45,00; elegante, accogliente.
Le vivande servite: aperitivo in giardino (grissini con
prosciutto crudo di Montagnana e con lardo di Moncalieri, pecorino di Pienza, peperoncini rossi farciti al tonno, piccole brioche al formaggio); saccottino di pasta
fillo al monte veronese con
miele e noci; fiore di zucca ripieno di ricotta su crema di
parmigiano; carpaccio di angus al pepe rosa con insalatina; risotto con asparagi e
Morlacco del Grappa; copertina di spalla di vitello al forno con contorni di stagione
(patate al forno, erbe di campo in padella, piselli con pancetta); delizia al cioccolato.
I vini in tavola: Prosecco
extra dry (Vito Piazza); Lugana Prestige 2009 (cantine
Provenza); Pinot nero Alto
Adige 2009 (Cantina di Terlano); Recioto della Valpolicella Domini Veneti 2008 (Cantina di Negrar).
Commenti: Ottima cena in
questo bel ristorantino del
centro storico badiese. Ilaria
Canali, brava e ben coadiuvata dallo chef Alex Bellan,
ha dimostrato tutta la sua
passione per la cucina e la
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 4 9
cura nei particolari con un
menu ispirato ai prodotti di
stagione che ha riscosso unanimi apprezzamenti. Dopo il
gradevole aperitivo in giardino, la cena è proseguita con
uno splendido tris di antipasti (8), cui sono seguiti un
classico risotto (8) e una tenerissima copertina di spalla
di vitello, taglio “povero” ma
saporitissimo, che ha entusiasmato i presenti (8,20), abbinata a buoni contorni di stagione (7,60). Un originale
dolce al cioccolato (7,60) ha
chiuso la piacevole serata,
ben accompagnata da vini all’altezza (7,70), soprattutto il
Recioto, il cui abbinamento
con il dolce è stato particolarmente apprezzato. Prima
della consegna del guidoncino e dei meritati applausi, il
Delegato Giorgio Golfetti ha
intrattenuto i presenti con
cenni e aneddoti sull’antica
“Osteria del Gallo”, storico
locale badiese che cessò l’attività negli anni Sessanta, e
ha sottolineato, oltre che la
qualità della cucina, l’impegno e la cura nella scelta degli ingredienti.
TREVISO
19 maggio 2011
Ristorante “Miron” di Roberto
Miron, fondato nel 1959.
●Via Brigata Aosta 26, Nervesa della Battaglia (Treviso);
=0422 885185, fax 0422
885165; coperti 60. ● Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie 15 giorni a febbraio e
15 giorni a luglio; giorno di
chiusura lunedì. ●Valutazione 6,60; prezzo € 45,00; tradizionale.
Le vivande servite: asparagi
fritti, fricassea con spugnole,
sfogliatine con erbette spontanee; baccalà mantecato con
pane di seppia; porcino all’Angela; risotto alle morchelle; capretto con funghi di primavera e polentina alle erbe;
sorbetto di frutta e tortino ai
frutti rossi.
I vini in tavola: Prosecco
“Sur Lie”, F. Follador, S. Stefano di Valdobbiadene (TV);
Friulano (Tokai) Branco, Cormons (GO); Colli di Conegliano rosso “Ser Bele” Sorelle Bronca, Colbertaldo (TV);
Moscato rosa passito, azienda agricola Zeni, S. Michele
all’Adige (TN).
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
VENETO segue
Commenti: Altalena di apprezzamenti e critiche per un
menu concordato con il gestore Roberto Miron che, come ha spiegato il Simposiarca Paolo Trevisi, ha proposto
un connubio tra le erbette di
stagione e i rari funghi di primavera. Apprezzate, proprio
perché rare in questo periodo, le uova strapazzate con
le spugnole (o morchelle) insieme alle sfogliatine con erbette; dubbi sugli asparagi,
non più teneri per la stagione
in chiusura, e il pane al nero
di seppia che accompagnava
un buon baccalà mantecato.
Delicato e insieme saporito
l’antipasto, con un unico
neo: la non stagionalità locale del porcino. Bene accolto,
in generale, il risotto alle
morchelle, cui ha fatto seguito il capretto con funghi di
primavera e polentina alle erbe, che ha un po’ deluso parte dei commensali per l’atipicità della cottura. A consolare
i palati, il fresco sorbetto alla
frutta e il dolcissimo tortino
ai frutti rossi, sicuramente di
stagione. Fra i vini: apprezzato il Friulano (Tokai), qualche riserva per gli altri. Dopo
una riflessione conclusiva
della Delegata, Teresa Vendramel Perissinotto, con l’invito a sentirsi Accademici anche nelle “uscite vacanziere”,
la consegna del guidoncino
dell’Accademia a Roberto Miron e al suo staff (i figli Enrica e Andrea) e dei menu firmati da tutti i commensali a
due stagisti di cucina dell’istituto alberghiero “Alberini”.
TREVISO
ALTA MARCA
28 aprile 2011
Ristorante “Alla Torre” di
Luigi Artuso, fondato nel
1969. ● Via Castellaro 25,
San Zenone degli Ezzelini
(Treviso); =0423 567086,
anche fax; coperti 150.
● Parcheggio incustodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie 1-15 gennaio; giorno di chiusura
mercoledì a mezzogiorno e
martedì. ●Valutazione 6,50;
prezzo € 42,00; elegante,
accogliente.
Le vivande servite: tempura di fiori di sambuco, fiori di
acacia, salvia selvatica e
asparagi di Bassano; “fortaje”
alle erbe spontanee; risotto ai
bruscandoli; gnocchetti di
patate alle ortiche con asparagi e casatella; capretto allo
spiedo con patate al forno e
asparagi di Bassano alla griglia; crostatina di pasta frolla
con confettura di bacche di
sambuco e focaccia con crema vaniglia.
I vini in tavola: Verdiso sur
Lie (azienda Gregoletto);
Garganega Doc 2010 (cantina Vignato); Cabernet 2008
(cantina Torreselli); Recioto
spumante (cantina Vignato).
Commenti: La riunione conviviale di primavera, che la
Delegazione ogni anno dedica alle erbe spontanee, ha
avuto come sede un ristorante di nuova acquisizione territoriale ma che vanta una
ricca tradizione. Il posto suggestivo, all’ombra della torre
degli Ezzelini, ha fatto da
scenario per l’aperitivo servito con il Verdiso, la frittura
saporita e croccante e le frittatine di tante erbe e fiori raccolti dal proprietario. A tavola, si sono succeduti interventi dell’esperto botanico
Silvano Rodato e dei due
Simposiarchi Gasparetto e
Granzotto che hanno diffusamente commentato sia i piatti
che le erbe utilizzate. I primi,
soprattutto il risotto, sono
stati degni di menzione e
hanno trovato ampi consensi
mentre per il capretto, fatto
allo spiedo, non si è avuto il
risultato sperato. È arrivato in
tavola, per molti, poco cotto
e per qualcuno molto indietro di cottura. Segno che la
cottura dello spiedo non è
avvenuta in modo uniforme.
Di questo ha preso atto anche il cuoco al quale, alla fine della serata conviviale, è
stato ugualmente rilasciato il
guidoncino della Delegazione con le firme.
VERONA
28 aprile 2011
Trattoria “Lavarini” di Maria Lavarini, fondata nel
1910. ●Via Monte Pastello 79, Lughezzano (Verona);
=045 7085111; coperti 55.
●Parcheggio comodo; prenotazione consigliata; ferie settembre; giorno di chiusura
mercoledì. ● Valutazione
7,40; prezzo € 35,00; familiare.
Le vivande servite: assaggio di antipasti; fagottino di
asparagi gratinato al forno;
tortelli all’Amarone; gnocchi
di malga con farina integrale
al burro fuso e ricotta affumicata; lonza di maiale in crosta
di pane alla crema di aceto
balsamico di Modena; patate
saltate all’olio di oliva e rosmarino; cestino di erbette;
primizie della casa.
I vini in tavola: Durello
Marcato; Verduzzo friulano
in caraffa: Rafael Tommasi;
Passito Le Mandolare.
Commenti: Serata piacevole
caratterizzata da una cucina
tradizionale, rinnovata dalla
signora Mara che ha divertito
i commensali con sapori e
presentazioni veramente ammirevoli. Il locale, vecchia
osteria diventata locanda e
poi trattoria, vanta una tradizione nella preparazione della sala, nell’atmosfera di
montagna, nell’abbinamento
di cibi e di vini piacevoli.
GRAZIE DELLA COLLABORAZIONE
Si ricorda che, come già specificato nelle istruzioni per la collaborazione alla rivista, non sono e non saranno pubblicate
le schede giunte in Segreteria oltre il termine di 30 giorni
dalla data di effettuazione della riunione conviviale.
Particolarmente apprezzati la
mousse di formaggi della
Lessinia tra gli antipasti, i tortelli all’Amarone, i gustosi
contorni serviti in crostini di
patata. Il Delegato ha letto
una relazione predisposta
dall’Accademico Antonio Peretti, assente per motivi personali, sullo zafferano, con
dati e curiosità interessanti.
Alla fine, dopo vari commenti, c’è stata la consegna del
piatto accademico.
FRIULI - VENEZIA GIULIA
GORIZIA
13 maggio 2011
Ristorante “Al Cjant dal Rusignul” della famiglia Sgubin. ●Frazione Mernico 8/1,
Dolegna del Collio (Gorizia);
=0481 639966, fax 0481
634356; coperti 200. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile nei giorni festivi; ferie da definire; giorno di
chiusura da lunedì a mercoledì. ●Valutazione 8; prezzo
€ 45,00; accogliente, elegante.
Le vivande servite: vol-auvent caldo di benvenuto; flan
alle erbe spontanee di primavera con briciole di salame
all’aceto; orzotto agli asparagi di Medea e bruscandoli
con crema di montasio e
ovetto di quaglia; ravioli di
coniglio su letto di cipolla
novella e favette; carré di
agnello dorato al timo con
asparagi verdi dorati; gelatina
di Verduzzo con pesche e
lamponi; omelette al miele
con composta di fragole e
lamponi.
I vini in tavola: Spumante
Aurora, azienda Pez Norina;
Sauvignon “Petruss” 2009,
azienda Ferruccio Sgubin;
Redmont (Merlot) 2007,
azienda Ferruccio Sgubin; Picolit.
Commenti: Gli Accademici
sono rimasti piacevolmente
colpiti dall’accoglienza affabile e dal servizio premuroso
e professionale. I piatti e i vi-
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 5 0
ni, così come la storia dell’azienda, sono stati illustrati dal
patron Gianni Sgubin e dalla
chef Lucia Sgubin, assistiti in
sala dalla consorte di Gianni,
Nadia. Particolarmente graditi sono stati il flan alle erbe
spontanee accompagnato dal
salame all’aceto (un classico
della cucina friulana) e il
carré d’agnello (prima leggermente dorato e poi passato in forno), ma l’applauso
spontaneo è stato riservato
all’omelette al miele con
composta di fragole e lamponi, davvero eccellente. Molto
interessante è stato giudicato
anche l’orzotto (preferito al
risotto per sottolineare ulteriormente il legame del menu con il territorio) agli asparagi. La serata, assai ben riuscita, ha dimostrato come
con l’impegno e la serietà anche locali capaci di accogliere grandi numeri possano fare cucina di alta qualità.
PORDENONE
16 aprile 2011
Ristorante “Al Gallo” di Andrea Spina e Diletta Pitton,
fondato nel 1850. ●Via San
Marco 10, Pordenone;
=0434 521610, anche fax;
coperti 50+15. ●Parcheggio
nelle vicinanze; prenotazione consigliabile; ferie primo
fine settimana di febbraio e
secondo e terzo di agosto;
giorno di chiusura lunedì.
●Valutazione 7,50; prezzo €
55,00; accogliente.
Le vivande servite: cicchetti
del “Gallo”; insalata di grancevola al naturale con aria di
prezzemolo; millefoglie di
baccalà mantecato con pane
carasau; paccheri di Gragnano con sarde fresche, pomodoro, uvetta e pinoli; “boreto” di rombo alla gradese con
polenta bianca; tortino al pistacchio cotto al vapore con
gelato alla nocciola.
I vini in tavola: Prosecco
extra dry (Cantone di Rauscedo); Malvasia (Fiegl, Oslavia); Sauvignon (Villa Russiz); Merlot e Traminer passito (Borgo delle Oche, Valvasone).
Commenti: Andrea Spina
propone pietanze di mare,
legate alla sua permanenza
in quel di Grado. Piatti aggiornati, dice, non “rivisitati”.
Estro e abbondanza nei suoi
V I T A
cicchetti, che già da soli possono fare cena; tanto per citare, una scioglievole piovra
e un capolavoro di piccolo
fritto, poi gamberi, seppie
con presentazioni, queste sì,
innovative. Per la grancevola,
unica rivoluzione una “nuvola” di profumo di prezzemolo. Baccalà giustamente delicato, ma con personalità, insolitamante presentato con il
pane sardo. Gustosi e particolari i paccheri con le sarde
fresche arricchite da uvetta e
pinoli. Da elogiare l’interpretazione del “boreto” di rombo. Altissimo il voto per il
tortino di pistacchio che ha
chiuso il convivio. Vini ben
abbinati, menzione per il
Sauvignon. Servizio di buonissimo livello.
D E L L ’ A C C A D E M I A
ti è stata graditissima la presenza del noto professore Michele Mirabella, cui il Delegato, Renzo Mattioni, ha richiesto un’opinione sull’“unità”
della cucina italiana nel centocinquantesimo anniversario dell’unificazione d’Italia.
Il professor Mirabella, convinto assertore dell’italianità
con la sua pluralità di contributi antropologici, ritiene
che si debbano mantenere
vive le cucine regionali e locali perché tutte sono guidate e sorrette dalla saggezza
antichissima che contraddistingue questo Paese. E ogni
regione riflette la sua storia
anche nella cucina.
CENTO
CITTÀ DEL GUERCINO
15 maggio 2011
UDINE
16 aprile 2011
Ristorante “Da Toni” di Aldo
Morassutti. ●Via Sentinis 1,
Gradiscutta di Varmo (Udine); =0432 778003; coperti
120. ●Parcheggio custodito;
prenotazione consigliabile;
giorno di chiusura lunedì.
●Valutazione 8,50; prezzo €
50,00; elegante, accogliente.
Le vivande servite: calice di
benvenuto con fritti di erbe
spontanee del Tagliamento e
bocconcini di prosciutto e
melone; composizione di
punte viola, “tale”, ricotta al
dolce sapore di fumo; crema
di ortiche con formaggio
montasio; capretto della val
Tramontina allo spiedo, patate novelle, insalatina e rapanelli; sorbetto allo zenzero;
dolce pasqualino.
I vini in tavola: Spumante
brut vigneti Pittaro, riserva
“Al Camarin”; Friulano Doc
Castello di Spessa 2009;
Chardonnay Doc Cof azienda agricola Benincasa 2009;
Merlot Doc Collio Russig superiore 2008; Valzer in Rosa
vigneti Pittaro.
Commenti: La Vice-Delegata, Pucci Stroili, aveva provveduto a orchestrare il menu
scegliendo le pietanze che
più si addicono al periodo,
nel rigoroso rispetto della
tradizione. Non è mancato il
capretto, e si sono gustati
piatti con erbe di stagione
elaborati sapientemente e
con fantasia dal cuoco Roberto Cozzarolo. Fra gli ospi-
pietanze è denominato il
principe dei funghi, hanno
riscosso vivo apprezzamento. Il Simposiarca della riunione conviviale, Luigi Fedele, nel suo intervento ricco di
curiosità sulla natura magica
di questo fungo e soprattutto
sulle sue proprietà organolettiche, ha catturato l’attenzione di tutti i commensali
per la chiarezza degli argomenti trattati. Prelibati i tagliolini al sugo di prugnolo e
la frittata di prugnoli. Piatti
unici nella loro preparazione, dal gusto delicato grazie
al profumo intenso che tale
fungo riesce a fornire nella
preparazione. Adeguati i vini, ottimo il rapporto qualità/
prezzo. Soddisfacente il servizio.
EMILIA ROMAGNA
BORGO VAL DI TARO
30 aprile 2011
Ristorante “Berzolla” di Anita
Berzolla, fondato nel 1888.
●Via della Repubblica 29, Albareto (Parma); =0525
999828; coperti 200. ●Parcheggio insufficiente; prenotazione non necessaria; ferie
mai; giorno di chiusura venerdì. ● Valutazione 7,30;
prezzo € 30,00; tradizionale, familiare.
Le vivande servite: torta
d’erbe, di patate e riso, crostini caldi con crema di funghi
prugnoli; tagliolini ai funghi
porcini prugnoli; arrosto di
vitello con funghi prugnoli
trifolati; frittata di prugnoli;
crêpe con crema e fragoline
di bosco.
Ristorante “Osteria Razmataz” di Monica Gardosi e C.,
fondato nel 2009. ●Via Garibaldi 29, Crevalcore (Bologna); =051 983218; coperti
30. ●Parcheggio incustodito;
prenotazione consigliabile;
ferie due settimane a giugno; giorno di chiusura lunedì, sabato a pranzo. ●Valutazione 7,50; prezzo €
38,00; accogliente, familiare, caratteristico.
Le vivande servite: tonno
di coniglio con zucchine tostate e pomodorini; risotto alla parmigiana di basilico; tagliata di scamone su letto di
misticanza; Tropea fritta e
patate arrosto; spuma di yogurt e fragole; biscotteria.
I vini in tavola: Malvasia
dei Colli Parmensi; Chianti
della cantina Berzolla.
I vini in tavola: Ferrari
perlé (cantine Ferrari); Malamatta Collio bianco Doc 2009
(Marco Felluga); Camastra
Nero d’Avola/Merlot Igt 2006
(Tasca d’Almerita); Pignoletto
passito Colli Bolognesi (Bonfiglio).
Commenti: La riunione
conviviale ad Albereto ha
inaugurato l’apertura della
stagione del fungo prugnolo,
detto fungo di San Giorgio,
in quanto si raccoglie solo in
periodo primaverile, tipico
prodotto della val di Taro. Le
pietanze, improntate all’esaltazione del sapore di questo
fungo, a molti sconosciuto,
ma che per il profumo che
emana e il sapore che dà alle
Commenti: Il Simposiarca
Roberto Vicenzi ha proposto,
per la riunione conviviale dedicata all’Unità d’Italia, questo simpatico e accogliente
locale che Piero Pedroni e
Monica Gardosi in cucina
conducono con passione,
competenza e spontanea disponibilità verso il cliente.
L’approvazione per la scelta
è stata incondizionata. Il tonno di coniglio ha ottenuto il
massimo della valutazione
per il curioso e intelligente
uso della materia prima, per
la delicata armonia dei sapori
e la bella presentazione a richiamare il tricolore. Ottima
e giustamente apprezzata la
scelta dei vini nel segno dell’Unità, dal Friuli alla Sicilia.
In apertura della riunione
conviviale, l’Accademico
Paolo Borghi ha svolto un’interessante e dotta relazione
sulla sicurezza alimentare
dall’Unità d’Italia ai giorni
nostri, seguita con grande interesse e attenzione.
CERVIA
14 aprile 2011
Ristorante “Osteria del Gran
Fritto” di Stefano Bartolini,
fondato nel 2004. ● Viale
Leoncavallo 11, Milano Marittima (Ravenna); =0544
974348, anche fax; coperti
160+120. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie dal
2-30 novembre; dal 16 settembre al 16 aprile aperto
solo nei week-end. ●Valutazione 8,10; prezzo € 40,00;
accogliente, elegante.
Le vivande servite: aperitivo di benvenuto; sardoncino
al cartoccio in olio e limone;
cozze del mercato di Cesenatico gratinate; risotto alla moda di una volta; saraghina alla griglia con piadina, radicchio e cipolla; gran fritto di
pesce del Mare Adriatico;
crema di gelato alle bucce di
arancia e caramello.
I vini in tavola: Lambrusco
Grasparossa Doc 2009 (vigneto E. Cialdini); La mia Albana Doc Albana 2010 (vit.
Conti); Petrignone Sangiovese riserva 2008 Doc (cantina
Tre Monti, Imola); Arrocco
Albana passita Doc 2007 (fattoria Zerbina)
Commenti: La Delegazione
ha organizzato la riunione
conviviale presso questa
struttura posizionata a pochissimi metri dal mare; il
menu riprende ricette semplici e genuine dei vecchi pescatori del luogo. Il Delegato,
dopo i saluti rivolti agli Accademici e ai graditi ospiti, tra
cui il Vice-Presidente vicario
Severino Sani, il Presidente
del Collegio dei Revisori dei
conti Michele Bonino, il Consultore nazionale Umberto
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 5 1
Cenni e il Coordinatore territoriale Gianni Carciofi, ha dato inizio alla riunione conviviale attraverso il tocco della
campana. Le pietanze servite
hanno trovato riscontri più
che positivi; delicato il risotto; giusti i vini abbinati ai
piatti e gradevole il Grasparossa servito nell’aperitivo. A
conclusione della serata, il
Delegato, assieme al VicePresidente vicario, dinanzi alla brigata di cucina, ha consegnato al titolare del locale
il meritato guidoncino tricolore dell’Accademia e la vetrofania 2011.
CESENA
14 aprile 2011
Ristorante “Il Mare nel Castello” di Gianmarco Casadei, fondato nel 2008.
●Piazza Castello 30, Savignano sul Rubicone (ForlìCesena); =0541 944432;
coperti 50. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie
mai; giorno di chiusura
martedì. ● Valutazione 8;
prezzo € 55,00; raffinato,
accogliente, caratteristico.
Le vivande servite: pesce
bianco al vapore, insalatina
di mare e pesce azzurro marinato; polentina di riso con
vongole bianche; carciofo ripieno di mazzancolle gratinato al forno; filetto di sgombro croccante su crema di fagioli cannellini; strozzapreti
fatti in casa ai sapori di mare;
pesce cotto sulla teglia di
Montetiffi; semifreddo al
miele e pistacchi di Bronte
con caramello all’arancia.
I vini in tavola: Franciacorta Docg Blanc de blancs brut
(Cavalleri); Sauvignon Winkl
2009 (Terlano); Albana di Romagna Docg Ladoro 2009
(tenuta Volpe).
Commenti: Il Simposiarca
Wilfrido Franceschini ha proposto un menu a base di pesce fresco in un ristorante
non ancora visitato dalla Delegazione. Il locale, situato
nel suggestivo centro storico
di Savignano sul Rubicone, è
stato recentemente ristrutturato con il recupero di antiche grotte e arredato con gusto in un gradevole equilibrio
fra antico e moderno. Nella
lunga sequenza di piatti, tutti
ben preparati e serviti, sono
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
EMILIA ROMAGNA segue
stati particolarmente apprezzati gli antipasti, composti da
diverse portate fredde e calde, abbondanti e gustose, e
propriamente accompagnate
da un ottimo Sauvignon
Winkl, il pesce cotto sulla teglia di Montetiffi, nonché il
delicato semifreddo al miele
e pistacchi che ha completato degnamente la cena. Più
controverso il giudizio sul
carciofo ripieno di mazzancolle e gratinato al forno, anche in relazione al difficile
abbinamento con il vino. Ottimo il rapporto qualità/prezzo. In complesso un’esperienza molto positiva nello
spirito di ricerca della cultura
gastronomica ed enologica
del territorio.
FAENZA
18 aprile 2011
Ristorante “La Cavallina” di
Vincenzo Casadio, fondato
nel 2002. ●Via Antonio Masironi 6, Brisighella (Ravenna); = 0546 80520, fax
0546 81828; coperti 60+70.
● Parcheggio incustodito;
prenotazione consigliabile;
ferie due settimane a ottobre
e febbraio; giorno di chiusura martedì. ● Valutazione
7,50; prezzo € 30,00; accogliente.
Le vivande servite: bavarese di formaggio caprino;
“curzul” con guanciale e scalogno; guanciale di vitellone
su vellutata di fagioli cannellini; millefoglie con crema
chantilly e fragole.
I vini in tavola: bianco Manzoni 2009 (cantina Furlan); Pignoletto frizzante (cantina
Quattro Ville); Sangiovese superiore Novilunio (cantina
Romandiola); Moscato d’Asti
(cantina La Gatta).
Commenti: La riunione conviviale si è svolta presso questo piacevole locale immerso
nella valle del Lamone a 300
metri dal centro storico di
Brisighella. La struttura, ricavata da antichi edifici rurali,
era una vecchia stazione di
posta dell’Ottocento. I piatti
serviti, sapientemente presentati dal proprietario, il sig.
Vincenzo Casadio, sono stati
abilmente preparati, con prodotti del territorio, dallo chef,
il figlio Marco. Molto apprezzati la bavarese di caprino, i
“curzul” conditi con un sugo
particolarmente equilibrato e
il dessert. Unico aspetto poco favorevole del locale, l’acustica. Buono il rapporto
qualità/prezzo.
FERRARA
5 maggio 2011
“Il Ristorantino di Colomba”
di Colomba Ghiglia, fondato
nel 2002. ● Vicolo Mozzo
della Agucchie 15, Ferrara;
=0532 761517, anche fax;
coperti 40. ●Parcheggio scomodo; prenotazione consigliabile; ferie dal 4 al 20 luglio; giorno di chiusura
mercoledì. ● Valutazione
7,50; prezzo € 50,00; accogliente.
Le vivande servite: melanzane alla giudia su crostini
con salsa di melanzana affumicata e melone; salame
d’oca e petto d’oca affumicato e affettato con insalatina di misticanza; pappardelle di kamut e segale integrale condite con sugo vegetariano; girello di manzo affumicato a legna in carpaccio
su insalata di finocchi, mele
e arance; crostata di mele alla giudia.
I vini in tavola: Roero Arneis
2009 (azienda Cornarea);
Refosco dal Peduncolo rosso
(azienda Conte D’Attimis Maniago); Liquore Mon Amour di
Fortana (azienda Mattarelli).
Commenti: Il menu ha rievocato alcune tradizioni della
cucina ebraica ed è stato
molto gradito. Particolarmente apprezzato un vino liquoroso proprio della tradizione
ebraica. A fine cena la chef
Colomba Ghiglia, lasciati i
fornelli, ha dottamente intrattenuto i convitati su abitudini, usanze e preparazioni di
cibi di cultura ebraica.
LUGO DI ROMAGNA
14 aprile 2011
Ristorante “Roccà” di Lorenzo Xella, Alessandro Dembech e Fabrizio Marchetti, fondato nel 2011. ●Via Magnapassi 22, Lugo (Ravenna);
=093 0551670; coperti 70.
●Parcheggio scomodo; prenotazione consigliabile; ferie
ottobre; giorno di chiusura
lunedì. ●Valutazione 7,20;
prezzo € 45,00; tradizionale, caratteristico.
Le vivande servite: tartare
di filetto di manzo con mozzarella di bufala e avocado;
tortelli ripieni di ricotta con
fave fresche al profumo di
zenzero; tagliata di manzo al
sale di Cervia con sfiandrine
grigliate; mascarpone di
Dembech.
I vini in tavola: Tocai Collio
Doc 2009 (Gradis’ Ciutta San
Floriano del Collio, Friuli);
Estremo 2009 Igt (tenuta Pennita, Forlì); Drei Donà Doc
2007 (Sauvignon superiore riserva, tenuta La Palazza).
Commenti: La riunione conviviale si apre con un originale antipasto, bianco rosso
e verde in tema con i festeggiamenti relativi ai 150 anni
di Unità nazionale. I sapori si
sposano perfettamente con i
due vini: il fresco Tocai e il
particolare Estremo. I tortelli
sono delicati ma di poca personalità, un poco insipidi, le
fave sono deliziose. La pasta
arriva un po’ scotta e non si
sente lo zenzero. La carne è
di ottima qualità e molto tenera, accompagnata con funghi assai saporiti. Il mascarpone è molto particolare,
certamente abbondante, e lo
chef Dembech ha creato una
mousse leggera e deliziosa.
PARMA
BASSA PARMENSE
18 maggio 2011
Ristorante “Locanda Stendhal”
di Federica e Laura Monici,
fondato nel 1946. ●Località
Sacca 80, Colorno (Parma);
=0521 815493, anche fax;
coperti 100. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile. ●Valutazione 7,50; prezzo €
40,00; elegante, tradizionale, accogliente.
Le vivande servite: selezione di salumi; sformatino di ricotta al parmigiano con vellutata di piselli, uova di quaglia
e tartufo nero; bomba di riso
al piccione; bomba di riso all’anatra; verdure gratinate e al
forno; sorbetto salvia e timo.
I vini in tavola: Lambrusco,
Malvasia (ambedue dello
“Stendhal”).
Commenti: Piacevolissima
serata alla scoperta di un
piatto di grande tradizione
ma di rara presenza nella ri-
storazione. Le Simposiarche
Giusi Sassi e Roberta Paladini
hanno pensato di proporre la
bomba di riso, piatto del
quale Elisabetta Farnese, regina di Spagna (moglie di Filippo V), era particolarmente
ghiotta. Questa è un’antica
specialità che veniva preparata in occasione della festa
della Madonna, il 15 agosto.
Il Delegato Massimo Gelati
ha introdotto i due relatori
d’eccezione, il dott. Andrea
Zanlari, presidente della Camera di commercio locale e
docente di storia della cucina, e il dott. Marino Marini,
bibliotecario di “Alma”, che
hanno deliziato i presenti
con interessanti aneddoti sulla storia della bomba di riso.
Presente il Coordinatore territoriale Vittorio Brandonisio.
Molto apprezzate le preparazioni dello chef, sia nella versione di bomba al piccione
che di bomba all’anatra.
REGGIO EMILIA
27 aprile 2011
Ristorante “La Ruota” di Giacomo Quantelli, fondato nel
2005. ●Via Livatino 8, Dinazano di Casalgrande (Reggio
Emilia); =0522 848266, fax
0522 722450; coperti 50.
● Parcheggio incustodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie 15 giorni
in agosto; giorno di chiusura
domenica. ● Valutazione
7,50; prezzo € 35,00; raffinato, tradizionale, familiare.
Le vivande servite: aperitivo
con stuzzichini; crema di ceci
con chips di pancetta; risotto
con asparagi; tortelli di bietole
alla “Ruota”; tagliata di scottona con soffritto; scaldadito di
agnello con contorno di bastoncini di zucchine in tempura; sorbetti di frutta assortiti; torte e dolci della casa.
I vini in tavola: Prosecco
Motivo (azienda agricola Borgo Melino - Treviso); Lambrusco di Sorbara Dop (cantina
Villa di Corlo); Sangiovese di
Romagna Vqprd 2008 (Medonio di Bertinoro).
Commenti: Numerosi Accademici reggiani si sono ritrovati in un locale, non ancora
visitato dalla Delegazione,
ove hanno gustato dei piatti
sapientemente preparati secondo un menu predisposto
dal Simposiarca Renzo Casta-
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 5 2
gnetti. Nelle varie portate si
alternavano piatti tradizionali
e altri frutto della fantasia e
dell’abilità del cuoco. Buono
nel complesso il giudizio (se
espresso come valutazione
complessiva della cucina ancora migliore: 8 anziché 7,50).
REGGIO EMILIA
18 maggio 2011
Trattoria “Osteria Giardino” di Curzio Carretta, fondata nel 2010. ●Strada statale 63 m 275, Santa Vittoria di Gualtieri (Reggio
Emilia); =348 4555610;
coperti 200. ● Parcheggio
incustodito, sufficiente; prenotazione non necessaria;
ferie 13-20 agosto; giorno
di chiusura lunedì sera e
martedì. ● Valutazione
7,70; prezzo € 30,00; tradizionale, familiare, accogliente, caratteristico.
Le vivande servite: aperitivo con stuzzichini (scaglie di
grana, ciccioli, polenta fritta,
frittatine ecc); tortelli verdi di
spinacetti e ricotta con burro
e salvia; risotto “Biliana” con
salsiccia; lombo di maiale al
forno, punta di vitella al forno; contorni (spinaci al burro
e patate al forno); crema
mantecata con fragole; zuppa inglese “vittorina”.
I vini in tavola: Lambrusco
(cantina Chiara del Pescatore); Lambrusco mantovano
(Cantina di Sabbioneta);
Lambruscone reggiano (cantina Casali); Gutturnio piacentino; Prosecco di Valdobbiadene (Cantina di Soligo).
Commenti: Numerosi Accademici e familiari sono intervenuti alla “cena all’osteria”,
che si avvia a essere una tradizione della Delegazione. In
questa occasione il Delegato
ha illustrato i punti principali
del programma autunnale che
comprende anche la celebrazione del cinquantenario della Delegazione reggiana. La
cena ha meritato un’eccellente valutazione gastronomica
che ha avuto i punti forti nel
ricco aperitivo svoltosi nel
giardino fiorito del locale, nel
risotto con la salsiccia preparato con il riso della storica risaia locale Biliana, nelle carni
al forno, nella zuppa inglese
con le varianti locali. Buoni i
vini serviti in abbinamento
con le varie portate.
V I T A
RICCIONE
E CATTOLICA
17 maggio 2011
Ristorante “Le Vele” di Fabio
Venturini, fondato nel 1999.
●Via Litoranea sud, spiaggia
zona 70, Misano Adriatico
(Rimini); =0541 611399,
anche fax; coperti 90. ●Parcheggio incustodito; prenotazione consigliabile; ferie
dal 10 al 20 febbraio; giorno
di chiusura mercoledì (tranne in agosto). ●Valutazione
8,90; prezzo € 50,00; accogliente.
Le vivande servite: panetti
tostati con burro salato, salmone selvatico Alaska e alici
spagnole; zuppetta di canocchie; baccalà crudo, cotto e
mantecato; risotto al sugo di
vongole e cannelli; trancio di
ombrina alla griglia con spinacio croccante e finocchio
gratinato; sorbetto esotico al
frutto della passione, granita
al lime e acqua di fragole.
I vini in tavola: Brut cuvée
Prestige 2011 Docg Franciacorta (Ca’ del Bosco, Erbusco
- BS); Verdicchio dei Castelli
di Jesi Doc classico “Le Vaglie” 2010 e Verdicchio dei
Castelli di Jesi Doc classico riserva “Le Vaglie” 2008 (ambedue dell’azienda Santa Barbara di Stefano Antonucci, Barbara - AN).
Commenti: Il ristorante si
trova sulla spiaggia di Misano
Adriatico. Il titolare signor
Fabio Leardini accoglie gli
avventori con entusiasmo e
passione, doti che ha saputo
trasfondere a tutti i suoi collaboratori, in sala e in cucina,
formando due brigate molto
ben organizzate. I piatti proposti agli Accademici e ai loro ospiti si sono rivelati eccellenti sia per le materie prime
utilizzate, sia per la presentazione, sia per la loro piacevolezza al palato; una menzione
particolare meritano la zuppetta di canocchie, l’ombrina
e il sorbetto. Molto gradito
l’abbinamento con i vini, cordiale ed efficiente il servizio,
piacevole l’ambiente.
RIMINI
19 maggio 2011
Ristorante “Il Pesce Innamorato” di Bruno e Daniele
Angeli, fondato nel 2009.
● Via Trieste 3/A, Rimini;
D E L L ’ A C C A D E M I A
=0541 55305, anche fax;
coperti 100. ● Parcheggio
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie variabili;
giorno di chiusura lunedì.
● Valutazione 7; prezzo €
48,00; caratteristico.
ce di balsamico; risotto allo
zafferano di Navelli con gelato di parmigiano delle vacche rosse; ossobuco di vitello
e cappuccino di patate; cristalli di sorbetto alla mela
verde su coulis di fragole.
Le vivande servite: insalata
di crostacei al pompelmo rosa
e olive nere, misticanza d’insalate all’olio vanigliato; filetto
di ombrina marinato al miele
e rosolato al rosmarino con
crema di cannellini e porri
croccanti; involtino di rombo
con asparagi e guanciale su
crudo di germogli e asparagi;
timballo di riso, piselli e pesce
spada con parmigiana fluida
di spinaci; gnocchetti neri con
cipollotti, branzino e peperoni in emulsione di basilico; filetto di orata, patate e carciofi
in salsa caprese tiepida; semifreddo alle nocciole e anice
glassato.
I vini in tavola: Le Volte
(Tenuta dell’Ornellaia).
I vini in tavola: Gewürztraminer (Hofstätter).
Commenti: Il ristorante è un
locale caratteristico di Rimini,
molto frequentato e di successo. Non è molto grande,
ma è arredato piacevolmente, con possibilità nel periodo estivo di mangiare all’esterno. Lo chef Loris Casanova è molto fantasioso, proponendo piatti di pesce tradizionali con gradevoli rivisitazioni. Il menu offerto, quindi,
ha sorpreso positivamente e
sono stati frequenti i commenti degli Accademici, che
cercavano di capire le modifiche apportate alle varie pietanze. Il vino Gewürztraminer esaltava i piatti proposti
ed è stato molto apprezzato.
SALSOMAGGIORE
TERME
5 maggio 2011
Ristorante “I Due Foscari” di
Marco Bergonzi e Roberto
Morsia, fondato nel 1965.
●Piazza Carlo Rossi 15, Busseto (Parma); = 0524
930039, fax 0524 91625;
coperti 35. ●Parcheggio incustodito; prenotazione consigliabile; ferie prime tre settimane di agosto; giorno di
chiusura lunedì. ● Valutazione 8; prezzo € 63,00; elegante.
Le vivande servite: millefoglie di foie gras d’oca e cotechino con gel al Porto e goc-
Commenti: Il ristorante si
conferma uno dei migliori ritrovi enogastronomici della
zona. Come ha sottolineato il
Vice-Delegato Roberto Tanzi,
la riunione conviviale è stata
resa particolarmente interessante dalla relazione dell’Accademico Elio Rinaldi, che ha
avuto come argomento “Il lardo di Colonnata: alimento e…
farmaco”. Apprezzato anche il
menu concordato dall’Accademico Simposiarca Angelo
Campanini con Marco Bergonzi e Roberto Morsia, una
proposta di piatti non ancora
in carta che gli Accademici
hanno positivamente valutato. L’antipasto ha incontrato
profumi e sapori di tre nazioni, mentre il primo ha fuso la
tradizione del risotto accompagnandolo con l’innovazione di un gelato di parmigiano.
Innovazione proseguita col
secondo, una particolarissima
variante dell’ossobuco, dove
osso e midollo sono stati cucinati insieme e l’osso ricreato
da un sedano rapa con all’interno la pasta ottenuta con
questa particolare preparazione. Poi un finissimo sorbetto
e, a tutto pasto, la personalità
di un vino della Tenuta dell’Ornellaia.
SALSOMAGGIORE
TERME
19 maggio 2011
Ristorante dell’agriturismo
“Ciao Latte” di Roberto Peveri, fondato nel 2004. ●Via
Borghetto 15, Borghetto di
Noceto (Parma); =0521
624035, fax 0521 624400;
coperti 100. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie
gennaio e dal 15 luglio al 15
agosto; aperto venerdì e sabato sera, domenica a mezzogiorno. ●Valutazione 6,50;
prezzo € 25,00; rustico.
al prezzemolo e peperone;
tosone condito con cipolle
cotte al forno e uvetta sultanina; bocconcini di ricotta
con salsa di legumi, prezzemolo e mele; crema di formaggio e schiacciatina; palline di parmigiano e di ricotta
fritte, con salsa di cipolle; frittatina alle ortiche; polenta
fritta, stracchino e rucolina;
tortelli d’erbette; risotto ai
formaggi; guancialini di manzo in umido; torta del vescovo; torta di ricotta.
I vini in tavola: Gutturnio
(Sforza Fogliani); Gutturnio
(azienda agricola Roberto
Carciofi di Bacedasco); Franciacorta brut (Fratus).
Commenti: La Delegazione
ha posto attenzione agli
agriturismi del territorio visitando il “Ciao Latte” di Borghetto di Noceto. La riunione conviviale ha avuto come
ospiti il Delegato di Parma
Gioacchino Iapichino e il
Past-Delegato Giorgio Orlandini, assieme ad alcuni altri
Accademici parmigiani. Simposiarca della serata è stato il
Vice-Delegato Roberto Tanzi,
che tracciando una breve storia del luogo, posto lungo la
via dei pellegrini romei, ha
spiegato come si sia voluto
focalizzare il menu della serata sui prodotti lattiero-caseari di un agriturismo vocato all’agricoltura biologica.
L’allevamento di capi bovini
di razza frisona e vacche rosse reggiane con foraggi e cereali biologici fa risaltare il ciclo produttivo della trasformazione del latte in parmigiano reggiano e permettere
la lavorazione di formaggi di
qualità superiore. Questo il
motivo di una lunga ma piacevole sequenza di antipasti
a base di tutti i tipi di formaggi prodotti direttamente nel
caseificio aziendale e presentati con abbinamenti curiosi
e interessanti. Prodotti caseari alla base anche dei due primi, mentre i guancialini in
umido provengono dagli animali allevati in loco.
Le vivande servite: scaglie
di parmigiano con salsa di cipolle e peperoni, e pere cotte nel vino rosso; fiocchi di
ricotta di giornata con salsa
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TOSCANA
APUANA
19 maggio 2011
Ristorante “Gene” del “Bagno
Conte” di Manuel e Nicola
Frediani, fondato nel 2011.
●Viale Amerigo Vespucci 46,
Marina di Carrara (Massa
Carrara); =0585 855335,
fax 0585 630209; coperti
50+70. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie una
settimana a novembre e una
a gennaio; giorno di chiusura lunedì (da settembre a
giugno). ●Valutazione 7,20;
prezzo € 45,00; elegante.
Le vivande servite: tapas
di mare: tartara di palamita
con terryaki e wasabi; salmone con dijon e aneto;
cannolicchio scottato all’aglio; polpo con patate, porro
e olive taggiasche; pacchero
con ragù di pesce di fondale; spada alla fiamma con
salmoriglio di capperi e olive e verdure croccanti; nido
di pasta cataifi con fragole e
crema chantilly.
I vini in tavola: Ribolla gialla e Friulano (ambedue di
Cozzarolo 2010); Chardonnay Di Leonardo.
Commenti: Serata dedicata
alle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, durante
la quale il dott. Lanmarco
Laquidara ha presentato una
relazione dal titolo “La cucina del Risorgimento”, con
un’appendice di ricette che
si richiamavano al periodo
risorgimentale. Per l’occasione si sono attivati due Simposiarchi, Vannini e Maggini, che hanno curato sia gli
aspetti storici che quelli gastronomici. Il locale è piacevole, posto su una terrazza
sul mare dove si è gustato
l’aperitivo osservando il tramonto dietro l’isola del Tino. Molto godibile la cena,
curata la presentazione dei
piatti con un servizio semplice ma svelto. Eccellenti i
paccheri al ragù di pesce di
fondale. Gli Accademici, solitamente parchi nel formu-
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
TOSCANA segue
lare i giudizi, nell’occasione
hanno elargito votazioni importanti. La Delegazione rivisiterà il locale, tra qualche
mese, per verificare se lo
standard della cucina rimane
così buono o, meglio ancora, si eleva maggiormente.
Ha partecipato Franco Cocco, Coordinatore territoriale,
che ha portato i saluti del
Presidente Ballarini.
CHIANCIANO
30 aprile 2011
Ristorante “Zaira” di F. Fastelli e D. Rubechi, fondato
nel 1960. ●Via Arunte 12,
Chiusi (Siena); = 0578
20260; coperti 60. ● Parcheggio incustodito, scomodo; prenotazione consigliabile; ferie da stabilire; giorno
di chiusura lunedì. ●Valutazione 7,50; prezzo € 40,00;
tradizionale, accogliente.
Le vivande servite: frittura
di verdure di stagione, cipolle cotte al forno, patate al sale grosso; gnocchetti di pane
al pecorino di Pienza in crosta; tagliatelle ai porcini e
zafferano; noce di vitellina
impepata con macedonia di
verdura; anatra disossata con
finocchio selvatico e sformato di zucca; crostata di farro;
bavarese al caffè.
I vini in tavola: Prosecco
superiore Valdobbiadene
Mionetto; Chianti Poggio alle
Ripe 2006; Brunello di Montalcino Campogiovanni 2005;
Muffa Nobile azienda Palazzone 2007.
Commenti: Ristorante di
vecchia tradizione ora preso
in gestione dai familiari del
precedente proprietario. Cucina tradizionale molto curata. Molto apprezzati gli
gnocchetti di pane al pecorino di Pienza e l’anatra al finocchio selvatico. Ottima la
scelta dei vini.
COSTA
DEGLI ETRUSCHI
25 marzo 2011
Ristorante “Bagatelle” di Fabio Creatini e Mauro Bazzichi, fondato nel 1992.
●Via Carlo Ginori 51, Cecina Mare (Livorno); =0586
620089; coperti 50+20.
● Parcheggio incustodito;
prenotazione consigliabile;
giorno di chiusura mercoledì, giovedì a pranzo. ●Valutazione 7,50; prezzo €
45,00; accogliente, elegante.
Le vivande servite: aperitivo con il suo arancino; tonno
in crosta di riso nero con salsa di Franciacorta e pistacchi;
stoccafisso e polenta alla garibaldina; chitarrine astice e
tartufo; raviolo di patata all’affumicato con calamari e
asparagi; spigola di mare con
spuma di gambero, cotta sottovuoto con crema di crostacei e tortino di spinaci; bonetto dei Mille.
I vini in tavola: Valentina
Vermentino Doc 2009, Gualdo del Re; Falanghina Docg
2009, Cantina dei Monaci;
Moscato d’Asti Docg, Gianni
Doglia.
Commenti: In occasione
del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la Delegazione
ha organizzato una riunione
conviviale nell’intento di ricordare quest’avvenimento
con riferimento ai particolari
legami tra Garibaldi e il nostro territorio. Oltre ad Accademici e gentili ospiti hanno
partecipato alla serata: Giampaolo Ladu, Delegato di Pisa-Valdera, e Maurizio Luperi, Delegato di Volterra. Rossana Ragionieri, giornalista e
scrittrice, appassionata di
storia del Risorgimento, nonché Accademica di Empoli,
ci ha parlato del suo bel libro “Garibaldi a Livorno”. In
particolare ha fatto riferimento al Garibaldi a tavola,
con notizie sulle sue pietanze preferite e illustrando gusti e curiosità cucinarie legate all’Eroe dei due mondi.
Fra i piatti serviti due in particolare hanno ricordato la
speciale occasione della serata: lo stoccafisso e polenta
alla garibaldina e il bonetto
dei Mille. Apprezzati il tonno
in crosta di riso nero, le chitarrine astice e tartufo e il
dolce. Buono il servizio, veloce e competente.
EMPOLI
11 maggio 2011
Agriturismo “Tenuta Bacco
a Petroio” della famiglia
Pratelli, fondato nel 2010.
● Via Villa Alessandri 18,
Vinci (Firenze); = 0571
509583, fax 0571 1833447;
coperti 50. ●Parcheggio in-
custodito; prenotazione consigliabile; giorno di chiusura
mercoledì a mezzogiorno.
●Valutazione 7,20; prezzo €
35,00; familiare, tradizionale, accogliente, caratteristico.
Le vivande servite: aperitivo con schiacciate toscane
all’olio extravergine d’oliva;
antipasto di salumi di cinta
senese, crostini tipici toscani
ai fegatini, pomodorini freschi e bruschetta all’olio extravergine d’oliva con sott’oli,
pane arrostito con cavolfiore
bollito e condito con olio extravergine d’oliva; coniglio in
umido con carducci e carciofi; formaggio e pere; torta di
mele.
I vini in tavola: Orpello Igt,
Sangiovese Igt, Chianti riserva Sagace Docg, Vin santo
Doc (tutti della tenuta Bacco
a Petroio).
Commenti: Il menu scelto
centra l’obiettivo dell’Accademia: conoscere, recuperare e salvare i prodotti tipici
della cucina tradizionale locale. In questa fattoria, proprietà della famiglia Pratelli,
viene curata la produzione
dell’olivo, vengono allevati
bovini di razza chianina e
suini di cinta senese. Lo
chef non è uno solo ma
un’intera famiglia. Il Simposiarca Simone Pezzatini ha
svolto egregiamente il suo
ruolo riscuotendo l’apprezzamento degli Accademici.
LIVORNO
16 aprile 2011
Circolo ufficiali della Marina militare “Amm. F. Mimbelli”, diretto dal comandante Luigi Grossi. ●Valutazione non effettuata.
Le vivande servite: crostini
all’acciuga sotto sale, melanzane in carrozza e trancio di
pissaladiere; involtini di ricotta e verdure al sugo di pomodoro; stoccafisso alla garibaldina; bignè alla crema e al
cioccolato, torta di noci.
I vini in tavola: Vino rosso
e vino rosato di aziende delle
colline livornesi annata 2009,
della cantina del Circolo.
Commenti: Il pranzo tematico “Garibaldi a tavola e…
innamorato”, si è svolto nell’elegante contesto del Circo-
lo ufficiali della Marina militare di Livorno, grazie all’interessamento del comandante dell’Accademia navale ammiraglio Pier Luigi Rosati,
presente con il Segretario
Generale dell’Accademia
Paolo Petroni, e altre autorità
accademiche e cittadine.
Molto apprezzata la scelta
delle pietanze, svolta mediante un “confronto ai fornelli” di qualche giorno prima nell’istituto alberghiero
statale di Rosignano Solvay,
tra uno degli chef dell’Accademia navale, Riccardo Bracaloni, e la contitolare e chef
del ristorante enoteca “Via di
Guinceri” (Collesalvetti), signora Cristina Fagiolini. Non
molti conoscevano la pizza
bianca alle cipolle, o pissaladiere, di origine nizzarda,
che era molto cara all’Eroe
dei due mondi.
LUCCA
29 aprile 2011
Ristorante “Al Lombardo” di
Anna Maria Puccetti, fondato nel 1960. ●Località Pieve
Santo Stefano, Lucca; =0583
394268, fax 0583 349091;
coperti 80. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione necessaria; ferie gennaio; giorno di chiusura lunedì. ● Valutazione 7,40;
prezzo € 35,00; familiare.
Le vivande servite: verdure
fritte e bocconcini di grana;
tortino di melanzane, pomodori e salsa di parmigiano; tortelli di carne al ragù; lombo di
coniglio farcito con cipolline
padellate; pepolino fagioli
cannellini e patate; semifreddo
di biadina lucchese e pinoli.
I vini in tavola: Prosecco;
Urlo di Lupo, fattoria Maria
Teresa.
Commenti: La brava Francesca, figlia della proprietaria, ci ha servito per dessert
un semifreddo di pinoli e
biadina, secondo un’antica
ricetta lucchese, ricca di un
mélange di vari liquori. La serata si è svolta in un clima di
particolare convivialità, come
non si vedeva da tempo: cene come questa, che hanno il
sapore delle vecchie gite fuori porta, andrebbero fatte più
spesso perché gli ambienti
campestri stimolano la serenità più di ogni altro; il servizio, piuttosto lento, è stato
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 5 4
tuttavia molto preciso; gradevole l’ambiente, molto disponibili i proprietari. Giusto il
rapporto qualità/prezzo.
LUCCA
13 maggio 2011
Ristorante “Bar Tambellini”
di Manuela Tambellini, fondato nel 1870. ● Via per
Sant’Alessio 1043, Sant’Alessio (Lucca); =0583 342077;
coperti 45. ●Parcheggio incustodito; ferie agosto; giorno di chiusura domenica.
●Valutazione 7,65; prezzo €
35,00; raffinato.
Le vivande servite: entrée
di garmugia; risotto all’antica;
scottiglia; dolce della casa.
I vini in tavola: Prosecco di
Valdobbiadene Casalini; Rosso della Colline Lucchesi
azienda agricola “Val di Sole”.
Commenti: La serata si è
svolta in un clima di familiarità grazie all’ambiente piacevole e allo stile di una locanda ben arredata, ma soprattutto grazie alla sapiente organizzazione del Simposiarca, l’Accademico Pierluigi
Pierallini, che ha saputo mettere la signora Manuela Tambellini in condizione di esprimere le sue doti cucinarie,
che hanno regalato piatti della tradizione lucchese assai
ben cucinati e presentati. La
serata ha avuto inizio nel cortile dove è stato servito l’aperitivo, molto apprezzato. Il risotto al ragù era cucinato come una volta. Il dessert infine
era ottimo. Una bella serata
gastronomica basata su piatti
semplici ma ottimamente cucinati con gran merito, degli
artefici, che gli Accademici e i
numerosi ospiti hanno dimostrato di gradire molto, così
come gli interventi del Delegato, del Simposiarca e della
signora Manuela Tambellini,
che ha illustrato le scelte dei
piatti nonché la loro origine.
MAREMMA
(GROSSETO)
15 aprile 2011
Ristorante “Terra di Nello,
Osteria Rurale” di Gianni
Massai, fondato nel 2006.
●Località Poggetti, Castiglione della Pescaia (Grosseto);
=347 9546258; coperti 40.
●Parcheggio custodito; pre-
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
notazione consigliabile; ferie
dal 2 novembre al 15 dicembre e due settimane in primavera; giorno di chiusura
martedì. ●Valutazione 7,40;
prezzo € 40,00; accogliente.
sto; giorno di chiusura da lunedì a mercoledì, domenica,
e dal giovedì al sabato a
mezzogiorno. ●Valutazione
7,70; prezzo € 40,00; accogliente, caratteristico.
Le vivande servite: uovo in
coppetta di pasta sfoglia con
pomodorini al forno, scaglie
di pecorino e condita di fave
sbucciate; pan di ricotta e
anacini con capocollo in carta gialla e salsa verde all’aglietto selvatico; cannellone
di ricotta e patate con ragù
bianco di asparagina in secondo raccolto e asparagi
selvatici; fricassea d’agnello;
brasato di guancia e garretto
di manzo con olive taggiasche; fagioli cannellini ripassati in rosso con bietole selvatiche; crostata di ricotta al
profumo di Maraschino.
Le vivande servite: antipasto a buffet (frittelline di fiori
di zucca, zuppa toscana,
pappa col pomodoro, torta
di verdura, formaggi con
composta di radicchio, piccole crêpe ripiene di melanzana e tartufo); tagliolini alla
pernice; raviolotti di Pienza
con ripieno di pecorino e pinoli con scaglie di parmigiano e tartufo nero; filetti di
maiale al Porto con pistacchi
e nocciole; peposo con polenta; assaggi di torta tenerina, sfoglie con crema chantilly e tiramisu alle fragole.
I vini in tavola: Ciliegiolo in
purezza Rotulaia 2009 (azienda Rascioni Cecconello in
Fonteblanda); Senziente Igt
(podere Ranieri in Massa Marittima); Moscato d’Asti Vigna
Senza Nome (Giacomo Bologna Braida in Asti).
Commenti: Il ristorante, situato subito fuori dal centro
abitato, è definito rurale ma
in realtà è molto accogliente,
rifinito nei dettagli, con stile
semplice che ti fa sentire subito bene. Si può comunque
definire un pezzo di Maremma vera anche se modernizzata. Il menu, scelto dal Simposiarca Ulisse Vivarelli, è
stato in stile col carattere rurale del posto e ha ripercorso
la tradizione locale adoperando materie prime trattate con
attenzione e capacità dalla
chef Alessia Morabito. Durante lo svolgimento della riunione conviviale il proprietario Gianni Massai ha illustrato
le portate con vero amore e
dovizia di particolari. La serata è risultata piacevole e ha
incontrato il favore degli Accademici e degli ospiti.
PISA
19 aprile 2011
Ristorante “Al Canto del Maggio” di Daniela e Fiorella
Bacciardi, fondato nel 2003.
●Via Pugnano 10, Valtriano
di Fauglia (Pisa); =050
642263; coperti 45+15 all’aperto. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie 7-21 ago-
I vini in tavola: Cenaia Vermentino Igt 2007, Pitti rosso
Igt 2007, Torre del Vajo rosso
Igt 2006, Dolce Peccato Igt
2006 (tutti i vini proposti sono prodotti dall’azienda agricola Torre a Cenaia di Crespina, Toscana).
Commenti: La Delegazione
ha ripreso il programma volto alla riscoperta di esercizi
di ristorazione situati fuori
dalla cinta del comune, alla
ricerca di antichi sapori. Il locale visitato si presenta come
osteria-enoteca vocata a offrire “sapori genuini di Toscana secondo tradizione”, come riportato sul proprio biglietto da visita, e ha proposto, in accordo con il Simposiarca Savino Sardella, un
menu particolarmente inte-
ressante sia come cibo che
come cantina. Gli Accademici hanno apprezzato le varie
portate; molto graditi gli ottimi secondi, in particolare il
sapido peposo, ottimi e ben
presentati gli assaggi del dessert, la preparazione dei quali purtroppo ha fatto dilatare i
tempi del servizio, inconveniente sottolineato da diversi
partecipanti. Graditi i vini e il
loro abbinamento.
VALDINIEVOLE
20 maggio 2011
Ristorante “La Pecora Nera”
di Luciana Armento Cenni,
fondato nel 2010. ●Via San
Martino 18, Montecatini
Terme (Pistoia); = 057
270331, fax 057 271624;
coperti 45. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie
gennaio; chiusura a mezzogiorno e il lunedì in inverno. ● Valutazione 7,80;
prezzo € 40,00; raffinato,
elegante.
Le vivande servite: aperitivi
con crostini con gelato di
parmigiano, melone e scamorza, prosciutto di Praga,
mela renetta e Calvados, frittelline di zucchine con menta
e caprino, finger di culatello
e melone; asparagi al vapore
ai tre sapori; risotto allo
Champagne e provola affumicata; reginette con mozzarella di bufala, pomodoro
fresco e carciofi croccanti;
carré di maialino al tè nero
Lapsang con purè di patate al
camembert; coniglio in umi-
do alla “Pecora Nera”; tagliata di frutta con gelato.
I vini in tavola: Loccareto
2008, di solo Canaiolo (fattoria Casabianca).
Commenti: Per iniziativa
dell’amico Alberto Scalabrino la Delegazione torna in
questo locale, che della gioventù mostra la voglia di
nuovo e l’originalità, e dall’esperienza della gestione trae
misura e buon gusto. Ci torna volentieri, nella convinzione di trovare qualcosa di
non usuale e scontato, ma al
riparo da sperimentazioni fini a se stesse. Aspettativa anche stavolta soddisfatta: ambiente d’eleganza nota, servizio puntuale e attento sotto
il controllo premuroso della
titolare Luciana Armento
Cenni. Il ricco menu ha presentato un saggio assai apprezzato della varia offerta
del locale: particolarmente
graditi il risotto e le carni, la
cui preparazione conferma
la già detta tendenza alla
“variazione”, sempre un po’
ostica ai toscani. Una menzione merita la tagliata di
frutta per l’eleganza e la fantasia della presentazione.
Molto buono il vino. Insomma una serata ben riuscita,
confermata anche dal prezzo
in rapporto alla prestazione.
VERSILIA STORICA
6 maggio 2011
Ristorante “Bistrot”. ●Viale
Franceschi 14, Forte dei
Marmi (Lucca); =0584
89879; coperti 70-120. ●Parcheggio custodito, sufficiente;
prenotazione consigliabile;
chiusura martedì e a mezzogiorno tranne sabato e domenica. ●Valutazione 8-9;
prezzo € 80-160; elegante e
raffinato con un’enoteca fornita.
Le vivande servite: antipasti
con saltimbocca di pescatrice
con patatine saporite e battuto di pomodoro e olive taggiasche, gambero in crosta di
mandorle, cipolline brasate
ed emulsione di sedano e
mela verde; classica bavettina
sul pesce; rombo chiodato
croccante agli aromi e spezie,
con fave, pisellini novelli, calamaretti e salsa ai fiori di
zucca; composta di frutta e
sorbetti o flan alla Nutella e
mantecato di mandorle.
I vini in tavola: Ribolla gialla Borgo Conventi.
Commenti: Antipasti originali e appetitosi. Per la classica bavettina si riconosce la
maestria dello chef: è il suo
piatto forte. Ottimo il pesce
servito con verdurine di stagione. Apprezzato il dessert
per la particolare presentazione. Curato il servizio. La Delegata Anna Ricci, Simposiarca per la serata, ha presentato
il menu e ha ringraziato a nome della Delegazione il titolare David Vaiani per aver presenziato come giurato al 1°
concorso enogastronomico
“La cucina delle terre medicee tra innovazione e tradizione”. Al termine della riunione conviviale il Segretario
LA CARNE “HALÀDA” DELLA VALLE CAMONICA
Nel primo dopoguerra nasce la carne salata della Valle Camonica. Giacché in Valle Camonica erano usati molti cavalli, muli e asini, quando un animale moriva o doveva essere abbattuto non si poteva sprecarne la carne e di conseguenza l’unico modo per
conservarne grosse quantità era di ricoprirla con sale e mantenerla nei luoghi più freschi della casa, solitamente la cantina, in botti o direttamente in fosse scavate nel pavimento delle cantine stesse. Quando si voleva mangiare questa carne, per togliere l’odore
dovuto a una non proprio adeguata conservazione essa veniva fatta bollire con spezie e
aromi e si condiva con la cipolla. Era comunque l’unico modo per assicurarsi la possibilità di mangiare una carne molto nutriente, ricca di proteine e ferro. Col passare degli anni, la carne salata venne prodotta nelle macellerie con pezzi di scarto, riposta in
barili e ricoperta di sale per almeno un mese prima di essere venduta. Oggi la carne salata della Valle Camonica è stata reinventata da una macelleria della zona che la realizza con carne fresca massaggiata con sale e aromi e cotta al vapore.
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V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
TOSCANA segue
Generale Paolo Petroni, presente assieme al Coordinatore Toscana Ovest, Franco
Cocco, si è complimentato
per l’ottima riuscita del concorso e della riunione conviviale, consegnando il nuovo
piatto d’argento dell’Accademia al titolare del ristorante.
La piacevole serata si è conclusa sorseggiando un ottimo
Marsala offerto dal Segretario
Generale per ricordare i 150
anni dell’Unità d’Italia.
MARCHE
ANCONA
17 aprile 2011
Ristorante “La Pianella” di
Raul Ballarini e famiglia,
fondato nel 1995. ● Via
Gramsci, Serra San Quirico
(Ancona); =0731 880054,
anche fax; coperti 80. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie novembre e
gennaio; giorno di chiusura
lunedì. ●Valutazione 8,50;
prezzo € 40,00; familiare,
rustico, immerso nel bosco
con ampio spazio esterno.
Le vivande servite: a buffet
ciauscolo, pecorino, formaggio di fossa, prosciutto, salame di cinghiale, lardo, ricotta, pizza al formaggio, calcioni, guanciale con aceto e salvia, frittata con carciofi, frittata alle erbe pasquali, baccalà
fritto, uova sode con battuto
di acciughe; a tavola coratella di agnello con carciofi e
budellucci, frittata ai consigli
e pomodoro, trippa, ciambella pasquale, crema abbrustolita e semifreddo al
bacio, caffè di cicoria con
Varnelli; in giardino spaghetti primavera.
I vini in tavola: Brut rosé
(azienda Garofoli); Verdicchio dei Castelli di Jesi; Lacrima di Morro d’Alba; liquori
ditta Varnelli.
Commenti: La tradizionale
rievocazione della colazione
di Pasqua, che documenti
fanno risalire al XVI secolo,
ha avuto anche quest’anno
(XII edizione) grande successo nel riproporre, in mezzo
al bosco, i piatti più tradizionali, e in parte ormai abbandonati, della tradizione pasquale marchigiana. Splendida la frittata con il sugo dei
consigli e pomodoro. Il dolce
di Raul - crema abbrustolita e
semifreddo al bacio - e la
ciambella pasquale hanno
completato un cammino gastronomico delizioso; il tutto
prima che, in finale, nel giardino arrivassero ottimi spaghetti con sugo alle erbe.
Erano presenti il Delegato di
Cesena e Giuseppe Fatati
della Delegazione di Terni.
Un’esperienza esclusiva e indimenticabile per originalità
e per le tante squisitezze rivisitate e gustate. Un modo originale di fare Accademia che
ci si augura possa continuare. Il tradizionale omaggio
del Delegato, un piattino decorato a mano e l’uovo pinto,
ha concluso la manifestazione in un clima gioioso.
ANCONA
RIVIERA DEL CONERO
MACERATA
15 maggio 2011
Agriturismo “L’Antico Gusto” di Stefania Moretti, fondato nel 2001. ●Contrada
Biordi 12, Penna San Giovanni (Macerata); =0733
669293; coperti 90. ● Parcheggio custodito; prenotazione consigliabile. ●Valutazione 6,50; prezzo € 28,00;
familiare.
Le vivande servite: affettati
di salumi (ciauscolo, coppa,
lonzino), formaggi freschi e
ricotta di pecora, tutti e tre
dell’azienda, coratella di
agnello, fagioli con cotiche;
frescarelli; lasagne con rigaglie di pollo; carni alla brace;
zuppa inglese.
I vini in tavola: vino rosso
di produzione aziendale.
Commenti: La riunione conviviale organizzata dalle due
Delegazioni di Macerata e
Ancona-Riviera del Conero si
è svolta in un agriturismo a
conduzione familiare, in posizione incantevole, immerso
nella natura. Eccellente la
scelta delle materie prime
che si è evidenziata sin dagli
antipasti. Meno brillante è
apparsa la cura della carne
alla brace. Molto apprezzate
le lasagne al forno con sugo
di rigaglie di pollo. Gli interventi dei Delegati Ugo Bellesi e Sandro Marani sono serviti a illustrare l’origine e le
caratteristiche dei “vincisgrassi”, nettamente diversi
dalle lasagne. Nel complesso
è stato un appuntamento gastronomico piacevole, concluso con la consegna alla
chef Stefania Moretti del piatto d’argento dell’Accademia
e con un doveroso ringraziamento ai Simposiarchi Luciano Squartini e Gianni Cammertoni. Da segnalare il giusto rapporto qualità/prezzo e
l’ottimo servizio ai tavoli.
FERMO
8 aprile 2011
Ristorante “Nautilus” presso
l’hotel “Royal” di Royalre srl,
fondato nel 1993. ●Piazza O.
Adami, Casabiaca di Fermo
(Fermo); =0734 642244; coperti 120. ●Parcheggio sufficiente; prenotazione necessaria; ferie non previste;
giorno di chiusura nessuno.
● Valutazione 8; prezzo €
50,00; elegante.
Le vivande servite: entrée
di melanzane Elia (mousse di
melanzane con paprika dolce); felafel (polpettine di legumi e vegetali fritte); uova
nere (uova sode bollite con
fondi di caffè); hummus
(mousse di ceci); palline di
azzime in brodo di carne;
gnocchi di Pesach (gnocchi
di patate al burro fuso e zenzero); agnello arrosto; carciofi alla giudia; frittelle di zucca
allo zenzero; charoset (mostarda di frutta secca al cucchiaio); datteri.
I vini in tavola: Lacrima di
Morro d’Alba (azienda Velenosi); Rosso Piceno superiore Brecciarolo.
Commenti: La Delegazione
ha celebrato il mese della
cultura sostenendo l’iniziativa dell’Accademica Clarissa
Marzialetti, la quale ha proposto un itinerario che, partendo dal libro di Moni Ovadia, “Il conto dell’ultima cena”, ha condotto alla realizzazione di un convivio con
piatti della cucina ebraica.
Grazie alla passione e all’entusiasmo della Simposiarca e
alla “complicità” dei due giovani e bravi cuochi, Massimiliano Fabi e Simone Amabili,
gli Accademici sono stati piacevolmente conquistati da
questa cucina etnica, povera
di ingredienti (legumi, verdure, pane azzimo in molteplici
usi di cucina) ma ricca di aromi (zenzero, paprika, cumino, cannella). Altro elemento
importante è stato la molteplicità degli interventi degli
Accademici con domande sui
vari piatti cui esaurientemente ha fornito spiegazioni la
Simposiarca. Il gradimento
degli Accademici per questa
degustazione sta a dimostrare la grande professionalità
dello staff del “Nautilus”, anche quando viene chiamato a
cimentarsi con una cucina distante dalla routine quotidiana, nella quale peraltro raggiunge degli ottimi livelli, come abbiamo potuto appurare
in altre occasioni.
MACERATA
14 aprile 2011
Ristorante “Apollo 17” di
Maria Cristina Sagretti, fondato nel 1966. ●Via Liguria
2, Colbuccaro (Macerata);
=0733 203250, fax 0733
203935; coperti 250. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione necessaria; ferie 10-20 agosto;
giorno di chiusura sabato.
●Valutazione 7,50; prezzo €
30,00; familiare.
Le vivande servite: coratella d’agnello con le uova; pizza dolce, “crescia” di Pasqua,
ciauscolo e uova sode dipinte; caciù; minestra con fette
di pane indorate nell’uovo,
fritte e immerse in brodo di
gallina; agnello alla Diana;
braciole di agnello fritte e a
scottadito; frittata di mentuccia; insalata fiorita; ciammella
di Pasqua; “picù”.
I vini in tavola: vino della
casa.
Commenti: La riunione conviviale si è svolta in una sala
riservata allestita con tavoli
apparecchiati in modo sobrio
e ben curato. Cucina esclusivamente tradizionale, molto
attenta sotto l’aspetto gastronomico e nella scelta della
materia prima, privilegiando
l’origine locale. Molto apprezzati sono stati: la pizza dolce,
la crescia di Pasqua, i caciù,
tutte le carni e i dolci. Buone
la professionalità del ristoratore e l’accoglienza degli addetti
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di sala. Presente alla manifestazione il Coordinatore territoriale Mauro Magagnini il
quale ha avuto parole di encomio per la bravura della
chef Silvana - che ci ha fatto
apprezzare alcuni antichi sapori della locale tradizione
pasquale - facendole omaggio
del piatto dell’Accademia.
UMBRIA
PERUGIA
16 aprile 2011
Ristorante “Bigi” di Alviero
Bigi. ● Località Ponte alla
Pietra, Perugia; = 075
388160, anche fax. ● Parcheggio esterno non custodito; giorno di chiusura lunedì. ● Valutazione 7,50;
prezzo € 45,00.
Le vivande servite: fritto di
carciofi, funghetti e cipolla,
scaglie di pecorino; quadrucci di grano saraceno con ceci
di Colfiorito; carrello di bolliti
misti (petto di manzo, lingua,
pollo, testina e zampetti di
maiale, zampone e stinco di
vitello, salsa verde, mostarda
di frutta, salsa alla diavola, all’aglio, tartara, vinaigrette, radici di rafano e senape); assortimento di verdure bollite
e crudité; gran buffet di dolci
e frutta.
I vini in tavola: Prosecco di
Valdobbiadene; Monterone
Grechetto Doc 2009, Colli del
Trasimeno; Nero Cavalieri Pinot nero Igt 2007 Umbria,
cantine Castello di Magione.
Commenti: La Delegazione
ha celebrato il pranzo del
bollito ormai entrato di diritto
fra gli appuntamenti tradizionali. Il forte richiamo esercitato sugli Accademici dal bollito è forse dovuto al fatto che
in Umbria non esiste una
consuetudine per questa preparazione, essendo la nostra
terra adusa al consumo di cibi tipici della cucina contadina, tendenzialmente povera e
legata ai campi. I numerosi
Accademici e i loro ospiti
hanno particolarmente apprezzato i quadrucci di grano
V I T A
saraceno con ceci di Colfiorito al profumo di rosmarino e
hanno fatto onore alla ricchissima varietà di carni, contorni
e salse proposti in abbondanza dallo chef Alviero Bigi, vero intenditore e appassionato
a questa preparazione. Particolarmente apprezzato è risultato il vino Nero Cavalieri
2007. Ha partecipato al convivio, ospite del Delegato Mannarino, l’attore Paolo Villaggio, che ha intrattenuto i
commensali con un gustoso e
paradossale intervento sulle
sue personali preferenze in
materia di bolliti. Per la qualità del pranzo, per la piacevolezza della giornata, per
l’ottima accoglienza, gli Accademici hanno salutato e ringraziato il Delegato con un
lungo applauso.
SPOLETO
29 aprile 2011
Ristorante “La Torretta” di
Elio e Stefano Salvucci. ●Via
Filitteria 43, Spoleto (Perugia); =0743 44954, anche
fax; coperti 45+20. ●Giorno
di chiusura martedì. ●Valutazione 7,70; prezzo € 30,00.
Le vivande servite: bruschetta con purea di fave, involtino rustico, insalata di farro, salumi, carciofino pastellato; gnocchetti con fave fresche e prosciutto; strengozzi
alla spoletina con asparagi al
pomodoro; piccata di manzo
in insalata ai carciofi freschi e
scaglie di parmigiano; dolci
misti al cucchiaio.
I vini in tavola: Rosso di
Montefalco (Scacciadiavoli).
Commenti: Il locale è situato nella cantina di un antico
palazzo con una vecchia torre medievale; all’esterno c’è
una bella vista della parte antica della città, l’interno è gradevole e simpatico, l’apparecchiatura è curata e il servizio cortese e attento. Molti
turisti frequentano il ristorante grazie alla vicinanza con i
principali monumenti, ma
questo non ha snaturato la
qualità dell’offerta, anzi si
possono provare piatti tipici
e prodotti locali spesso preparati in maniera semplice e
leggera. La visita occasionale
ha confermato la buona memoria che gli Accademici
avevano del locale; piccole
modifiche alle ricette tradi-
D E L L ’ A C C A D E M I A
zionali offrono pietanze di
gradevole aspetto che non risultano mai troppo grasse né
pesanti. Risultato: piatti piacevoli da assaggiare in cui le
verdure di stagione dominano o fanno da condimento e
al termine ci si alza da tavola
senza alcuna pesantezza.
TERNI
11 maggio 2011
Ristorante “Taverna La Mola” di Anna Maria Felci,
fondato nel 1998. ●Via del
Sacramento 2, Stroncone
(Terni); =0744 608100, fax
0744 609252; coperti 120.
●Parcheggio sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie
variabili; chiusura a mezzogiorno tranne domenica e
festivi. ●Valutazione 8; prezzo € 37,00; tradizionale, familiare.
Le vivande servite: antipasto di crostini tipici di fegatini, salsetta piccante, lardo
caldo, olive nere; maltagliati
della nonna; taglierini Anna
Maria; capretto di montagna
girato alla fiamma; patata sotto la cenere e insalatina di radicchio e rucola all’aceto caldo; zuppa inglese.
I vini in tavola: Bianco delle Regine 2008, Castello delle
Regine, Amelia; Le Difese
2009, tenuta San Guido, Bolgheri; Bacca Rossa 2006, La
Palazzola, Stroncone.
Commenti: Il locale è stato
riservato alla riunione conviviale e uno splendido tavolo
imperiale accoglie gli Accademici; servizio professionale, il tutto orchestrato da Anna Maria Felci, chef, e da suo
marito Massimo. Merito anche dei giovani Simposiarchi
Giuseppe Malvetani e Luca
Cipiccia che si sono dedicati
alla serata con particolare cura: il risultato è stato eccellente. L’antipasto rispetta la
tradizione del paese, ma il
meglio arriva con i maltagliati
della nonna, ricetta di famiglia che segue la stagione:
pasta all’uovo tirata a mano,
cotta al punto giusto e amalgamata da una vellutata crema di piselli, salsiccia, il resto
è segreto della chef. Seguono
i taglierini: pasta sempre perfetta, un accenno di pomodoro, profumo di erbe aromatiche, giusto livello di piccante. Capolavoro della sera-
ta il capretto di montagna girato alla fiamma, presentato
allo spiedo e subito servito,
caldo e fragrante di profumi
e sapori. Non allo stesso livello la zuppa inglese, risultata un po’ asciutta: l’uso della “bagna” (mix di liquori sul
pan di Spagna) è stato intenzionalmente ridotto per non
interferire con il passito Bacca Rossa, gioiello dell’azienda stroncolina La Palazzola,
che l’ha accompagnata. Dei
vini ottimo il rosso curato a
Bolgheri da Giacomo Tachis,
in abbinamento con il capretto. Gradimento unanime.
LAZIO
CIOCIARIA
16 aprile 2011
Ristorante “Lo Schiaffo” di
Guido Tagliaboschi, fondato
nel 1996. ●Via Vittorio Emanuele 270, Anagni (Frosinone); =0775 739148; coperti
60. ●Parcheggio incustodito;
prenotazione gradita; ferie
ultima settimana di luglio;
giorno di chiusura lunedì.
●Valutazione 7,67; prezzo €
40,00; più locali molto accoglienti di ambientazione
moderna.
Le vivande servite: fiori di
zucca farciti di ricotta al vapore, purea di patate e prosciutto di Guarcino; finifini
con guanciale, asparagi selvatici e caciotta primo sale;
agnello da latte al forno con
salsa di alici; cicorie di campo e patate arrosto; sfogliatine con crema, pere mandorlate e cioccolato tiepido.
I vini in tavola: Spumante
azienda Garofoli (metodo
charmat); bianco Satrico, Casal del Piglio, Aprilia; Alagna,
Cesanese del Piglio; Moscato
di Terracina, Templum, azienda agricola Sant’Andrea.
Commenti: All’insegna della
cultura e della buona tavola,
la Delegazione ha trascorso
una piacevolissima giornata
ad Anagni, ospite Publio Viola, Coordinatore territoriale
del Lazio. La Delegata, Valeria
Marasca Mancini, Simposiarca per l’occasione, ha predisposto prima della colazione
una visita guidata alla cattedrale. Al ristorante, dopo i saluti di benvenuto, la Delegata
ha raccontato con mirabile
sintesi la storia della Delegazione e le iniziative intraprese
nell’arco dei 25 anni trascorsi.
È seguita, rallegrata da ottimi
vini, una piacevole, ottima
colazione. Dalla votazione
delle portate è risultato che le
preferenze sono andate ai
fiori di zucca farciti, ai finifini
con guanciale e asparagi selvatici ma, ancor di più, alla
buonissima sfogliatina con
crema, pere mandorlate e
cioccolato tiepido. Durante la
colazione Publio Viola ha intrattenuto brillantemente i
commensali sui principi formatori dell’Accademia e sulle
sue finalità, spronando gli Accademici (con il suggerimento di aumentarne il numero)
a lavorare per la salvaguardia
dei prodotti e dei piatti tipici
di zona e a incontrarsi con le
altre Delegazioni limitrofe
per uno scambio di idee e di
iniziative.
CIVITAVECCHIA
10 maggio 2011
Ristorante “Taverna dell’Olmo” di Carla Di Michele,
fondato nel 1991. ●Via Tevere 4, Civitavecchia (Roma);
=0766 501331; coperti 80.
● Parcheggio incustodito;
prenotazione consigliabile;
ferie metà novembre; giorno
di chiusura lunedì. ●Valutazione 8; prezzo € 35,00; accogliente.
Le vivande servite: foglie di
spinaci in pastella; macedonia
di polpo su foglie di mango e
melone invernale; alici di paranza marinate con insalatina
di finocchi e aceto balsamico
di Modena; caprese di pesce
con pesto di rucola e porro
croccante; polpettine di tonno
su vellutata di ceci; tortellini
di pescatrice con salsa di Pachino al basilico su crema allo
zafferano; risotto all’astice su
cestino di grana; crostacei in
crosta di lardo di pata negra
su flan di asparagi; trancetti di
pesce al finocchio selvatico;
duchesse aromatiche; torta al
limone su crema inglese al
mandarinetto.
I vini in tavola: Prosecco
cuvée Heritage rosé Neirano
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(Te. Ne. Spa Mombaruzzo);
bianco Doc Terre di Franciacorta (azienda agricola Fratelli Berlucchi, Cortefranca);
bianco Doc Masaccio (azienda agricola Fazi e Battaglia);
bianco Dies (Abbazia Novacella, Vigneti delle Dolomiti).
Commenti: Simposiarca
l’Accademica Gabriella Sarracco che ha proposto la visita conviviale. La cuoca signora Carla ha preparato e servito le varie pietanze con professionalità e bravura. A partire dalla varietà degli antipasti per finire ai crostacei in
crosta di lardo di pata negra,
è stato un susseguirsi di piacevoli piatti. Unanime, quindi, la valutazione positiva degli Accademici anche se con
una nota stonata (l’unica):
dover stare strettissimi intorno ai tavoli e quindi mangiare scomodamente, data la ristrettezza della sala.
LATINA
17 aprile 2011
Ristorante “Il Seminario” di
Gianni Fiori, fondato nel
1995. ●Via Foresta II tratto
48, Sezze (Latina); =0773
803243, anche fax; coperti
200. ●Parcheggio custodito;
prenotazione consigliabile;
ferie dal 15 al 30 ottobre;
giorno di chiusura lunedì.
●Prezzo € 25,00; familiare,
accogliente, rustico.
Le vivande servite: antipasto al “Seminario”; lacne e fagioli; tonnarelli ai carciofi; capretto e pollo al forno; carciofi e insalata; sorbetto, dolcetti.
I vini in tavola: rosso Rudestro e Bianco di Caprolace,
cantina Villa Gianna di Sabaudia.
Commenti: Convivio per la
ricorrenza della Santa Pasqua. All’inizio, dopo il saluto del Delegato Benedetto
Prandi e la presentazione degli ospiti fatta dal Vice-Delegato Gianluigi Chizzoni, la
Simposiarca della manifestazione Anna De Donato Nascani ha tenuto una bellissima relazione sul carciofo. Per
quanto riguarda l’aspetto cucinario della manifestazione,
il pranzo è stato gradito e di
altro livello; le pietanze, il vino e il servizio hanno meritato il plauso. Lode a Gianni
Fiori e alla sua équipe.
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
LAZIO segue
ROMA
18 aprile 2011
Ristorante pizzeria “Sforno”
di Antonio Praticò e Stefano
Caligari. ●Via Statilio Ottato 110/116, Roma; = 06
71546118; coperti 45. ●Parcheggio scomodo; prenotazione necessaria; ferie variabili;
giorno di chiusura domenica. ●Valutazione 8; prezzo €
40,00; tradizionale.
Le vivande servite: selezione di antipasti; pizza cacio e
pepe; pizza Greenwich; pizza Testarossa; pizza Iblea;
panzanella di baccalà; verdure grigliate; sorbetti; degustazione di birre.
Commenti: Simposiarchi gli
Accademici Sandro Tomassi
e Luca Fortis, che hanno testato una delle più celebri
pizzerie di Roma, a Cinecittà.
Ottime le pizze fatte con lievitazioni lunghe e mix di farina su misura: la più interessante è stata la Greenwich
(mozzarella, blue stilton, riduzione di Porto). Molto
buona anche la Margherita,
vero banco di prova di ogni
pizzaiolo che si rispetti. Il ristorante si segnala anche per
l’eccellente qualità del baccalà, fatto sia in panzanelle
che fritto per le crocchette, i
supplì e gli anelli di cipolla.
Infine tutte le portate sono
state accompagnate da
un’ottima degustazione di
birre artigianali. Voto complessivo 8. Il ristorante è
consigliato per chi cerca un
posto con un giusto mix tra
le vecchie trattorie di un
tempo e gli orientamenti moderni. I giovani della Delegazione continuano a verificare
le nuove tendenze della ristorazione, specialmente
quella che risponde alle esigenze dei consumatori più
giovani, controllando che
anche nella nuova offerta si
mantenga alta la qualità e il
riferimento alle esigenze di
un gusto selezionato.
ROMA APPIA
20 maggio 2011
Ristorante “Osteria del Velodromo Vecchio” di Matteo
Ballarini e Alessandra Sabelli, fondato nel 1995. ●Via
Genzano 139, Roma; =06
7886793, anche fax; coperti
50+15. ●Parcheggio scomodo; prenotazione consiglia-
bile; ferie dalla seconda settimana alla fine del mese di
agosto; giorno di chiusura
domenica. ● Valutazione
7,70; prezzo € 43,00; tradizionale, familiare.
Le vivande servite: antipasti misti a base di pesce (con
il pescato del giorno); quadrucci con piselli freschi in
brodo di arzilla; linguine al
coccio; cernia in guazzetto
con patate; concia di zucchine; torta di ricotta e cioccolato, crostata di visciole.
I vini in tavola: Greco 2009
(Cantine di Taurasi); Passito
speciale del “Velodromo”.
Commenti: Simposiarca il
Vice-Delegato Donato Pasquariello, che nei consueti
riferimenti di apertura della
serata ha illustrato le caratteristiche del locale e le scelte
che hanno guidato la preparazione del menu, in stretta
collaborazione con lo chef
Matteo Ballarini. La Delegazione ha riproposto, a distanza di alcuni anni, questo tradizionale locale romano, che
prende il nome dal velodromo. I commensali - tra i quali
il Delegato Publio Viola e
quello di Latina Benedetto
Prandi - hanno avuto la possibilità di gustare, in un ambiente familiare, alcune riuscite soluzioni di cucina marinara romana, preparate con
prodotti stagionali rigorosamente del territorio. Particolare gradimento è stato espresso, oltre che per alcuni dei
numerosi antipasti, per le
classiche linguine al coccio e
la squisita cernia in guazzetto, nonché per i tradizionali
dolci fatti in casa. Unica nota
stonata una certa lungaggine
del servizio, che ha dilatato i
tempi di chiusura della pur
piacevole e simpatica serata.
VITERBO
27 aprile 2011
Ristorante “Al Girasole” di
Ginevra Nevi De Dominicis,
fondato nel 1980. ●Località
Cerasa snc, Marta (Viterbo);
=0761 871448; coperti
120+70. ●Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie non
previste; giorno di chiusura
martedì. ● Valutazione 7;
prezzo € 35,00; familiare.
Le vivande servite: carpac-
cio di salmone, insalatina tiepida di calamari con carciofi,
zuppetta di vongole; tagliatelle strette con scampetti, gamberi, canocchie, calamari,
cozze e vongole; filetto di coregone in guazzetto con cicorietta di campo; lattarini dorati con insalatina; semifreddo
al torroncino con caramello
al miele; frutta in bambù.
I vini in tavola: Pecorino
d’Abruzzo Unico.
Commenti: L’Accademico e
Consultore Mario Quatrini è
stato organizzatore e Simposiarca di una riunione conviviale presso un ristorante a
conduzione familiare (madre
in cucina e figlie in sala) in
Marta, sul lago di Bolsena.
Numerosa presenza di Accademici. La figlia della proprietaria, dott.ssa Laura, ha
piacevolmente intrattenuto
gli ospiti sui prodotti del lago
e l’economia della zona, elargendo preziosi consigli sulla
cucina e in particolare sul pescato del lago. Serata ben riuscita, graditi il menu misto di
pesci di mare e di lago, la fattura e la simpatica ed esauriente relazione sul tema,
non disgiunta dalla cordialità
della famiglia titolare della
struttura.
ABRUZZO
CHIETI
28 aprile 2011
Ristorante “Osteria la Volpe
e l’Uva” di Marcello Potente,
fondato nel 2009. ●Via XX
Settembre 33, Cupello
(Chieti); =0873 316631,
anche fax; coperti 25.
● Parcheggio incustodito;
prenotazione consigliabile;
ferie settembre; giorno di
chiusura mercoledì e domenica sera d’inverno. ●Valutazione 7,50; prezzo €
30,00; rustico.
Le vivande servite: mazzaferrata a cavallo; tre calori di
Cupello; maccheroncini alla
cynara; polentina della campana muta; sapori alla coppa;
pupe e core di mamme.
I vini in tavola: Trento Doc
(Cantina d’Isere); Cerasuolo
d’Abruzzo Doc e Capammond e Core d’Eure (ambedue dell’azienda Sergio del
Casale).
Commenti: Una serata eccezionale è stata quella organizzata sotto la guida pregevole del Simposiarca, l’Accademico Filippo Pietrocola,
dedicata all’impareggiabile
carciofo di Cupello, capitale
abruzzese della straordinaria
specie mazzaferrata. L’altro
aspetto di eccezionalità l’ha
dato il giovane chef, Marcello
Potente, che è riuscito a superarsi con un menu capace
di esaltare tutte le qualità e
l’estrema duttilità cucinaria
del carciofo di Cupello, nonché di raccontare, con i piatti, nicchie di particolare importanza della tradizione della cittadina e del suo circondario. Preziosa e illuminante
è stata la consulenza del dott.
Antonio D’Adamo, direttore
della Coop San Rocco, che
ogni anno lavora da uno a tre
milioni di succulenti carciofi
per i mercati italiani e di tutto
il mondo.
CHIETI
14 maggio 2011
Ristorante “Al Vecchio Teatro” di Armando Carusi,
fondato nel 1996. ● Corso
Garibaldi 35, Ortona (Chieti); =085 9064495; coperti
60. ●Parcheggio insufficiente; prenotazione consigliabile; ferie mai; giorno di chiusura mercoledì. ●Valutazione 8; prezzo € 84,00; accogliente.
Le vivande servite: preludio di pesci nell’orto; sinfonia dei trinciarelli; duetto della pescatrice e della spigola;
romanza del pasticciere; nevola dal vivo.
I vini in tavola: Pecorino
brut Igt Terre di Chieti Unico
(tenuta Ulisse); Rosato Igt
Terre di Chieti Lapis e Passito
di Montepulciano Suavitis
(ambedue di Dora Sarchese).
Commenti: La spettacolare
veduta del mare di Ortona e
la squisita arte cucinaria dello
chef Armando Carusi e della
sua brigata di cucina hanno
allietato gli Accademici, in
occasione della giornata dedicata a un importante even-
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 5 8
to culturale: la registrazione,
con atto notarile, della ricetta
della nevola, dolce tipico di
Ortona, le cui radici storiche
risalgono all’epoca romana e
la cui tradizionale preparazione è patrimonio di tutte le
case ortonesi. La riunione
conviviale ha vissuto momenti esaltanti a partire dagli
antipasti di pesce sposato
con ortaggi di stagione, passando per i trinciarelli con
scampi, fave e piselli; poi per
il duetto di spigola e pescatrice fino ad arrivare a un primo dolce di gelato e torta di
mele che ha introdotto la nevola, realizzata, come tradizione vuole, direttamente davanti ai commensali con la
maestria e l’abilità necessarie
a preparare una pasta cotta
in un ferro da cialda e lavorata, a mano, a forma di cono:
una specialità unica.
PESCARA ATERNUM
17 aprile 2011
Ristorante “Villa Alessandra” di Riccardo De Melis,
fondato nel 1973. ● Via
D’Annunzio 15, Alanno
(Pescara); =085 8573108,
fax 085 8573687; coperti
250. ●Parcheggio custodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; giorno di chiusura domenica sera e martedì. ● Valutazione 8,25;
prezzo € 35,00.
Le vivande servite: gran antipasto di Pasqua: tortino di
zucchine, purea di fave con
crostini, torta rustica agli
asparagi, fiadone, fegatini
d’agnello cacio e ovo, uova
sode e polpettine di ricotta;
brodo con tagliolini tricolore;
timballino di scrippelle;
agnello farcito alla menta selvatica con ventaglio di patate
e insalata di campo; cialda
con fragole al limone; tris di
dolci dei 150 anni (mont
blanc, pastiera e cassata).
I vini in tavola: Cerasuolo
Villa Gemma Doc (azienda
vinicola Masciarelli); Incanto
Doc (azienda vinicola Marramiero); Moscato d’Asti Docg
Le Fronde riserva.
Commenti: Nella splendida
cornice del ristorante, gli Accademici hanno festeggiato
la tradizionale riunione conviviale della Domenica delle
palme. La Simposiarca Barbara D’Egidio ha scelto come
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
titolo del simposio “La Pasqua e i 150 anni dell’Unità
d’Italia”, creando un menu tipico della tradizione, arricchito con i piatti preferiti dai
personaggi dell’epoca. Si è
iniziato con un gran antipasto di Pasqua composto da
varie pietanze in un’alternanza di sapori che ha riscosso
grande successo. Delicato il
brodo con i tagliolini tricolore, molto buono l’immancabile timballino di scrippelle,
eccezionale l’agnello farcito
alla menta selvatica, portato
intero in sala: tutti sono rimasti entusiasti dell’armonico
accostamento dei sapori.
Croccante la cialda con le fragole, un’ovazione per il tris
di dolci. Perfetto l’abbinamento con i vini.
La chitarrina all’ortica all’unanimità è risultata il piatto
più gustoso (la ricetta è un
segreto della titolare, come i
suoi deliziosi amaretti). Anche l’entrecote in salsa di senape e zucchine è risultata
un piatto molto apprezzato.
La cena si è conclusa con la
crostata di ricotta e gli amaretti fatta in casa dalla signora Maria Di Felice, alla quale
va il nostro plauso così come
al figlio e allo chef Giuseppe
Fiadone. La Delegata Paola
Pelino, tra gli applausi, ha
consegnato la vetrofania dell’Accademia annoverando il
ristorante tra i consigliati della cucina italiana.
SULMONA
27 maggio 2011
Ristorante “La Tana della
Volpe” di Maria Iaconi, fondato nel 1970. ●Via Mirabilii 20, Sant’Onofrio (Teramo); =0861 553267, anche
fax; coperti 70. ●Parcheggio
scomodo; prenotazione consigliabile; giorno di chiusura
lunedì. ●Valutazione 8,50;
prezzo € 30,00; rustico.
Ristorante “Excelsior” di Maria Di Felice, fondato nel
1984. ● Località Corfinio,
(L’Aquila); =0864 728300;
coperti 100+50. ●Parcheggio
comodo, privato; ferie 1-15
novembre; giorno di chiusura lunedì. ●Valutazione 8;
prezzo € 30,00; familiare,
accogliente.
Le vivande servite: varietà
di affettati e formaggi locali,
castrato in umido con carciofi, polpettine cacio e uovo,
insalata di farro tiepida, caciotta di capra in padella; chitarrina all’ortica e strozzapreti
all’“Excelsior”; entrecote in
salsa di senape e zucchine;
contorni dell’orto; grigliata di
verdure; tagliata di frutta;
crostata di ricotta e amaretti.
I vini in tavola: Montepulciano, Trebbiano e Cerasuolo
d’Abruzzo linea Cerano di
Pietrantoni; Vittorito.
Commenti: Su suggerimento del Delegato di Livorno, la
consueta cena di inizio estate si è svolta presso questo
ristorante, nel ridente paese
di Corfinio, antica capitale
del popolo italico. L’accoglienza viene fatta da Marianna, nuora della titolare,
che ha anche curato il menu
con bravura e competenza.
Buoni gli antipasti, specialmente le polpettine cacio e
uova e il castrato in umido
con carciofi. Gustose le mozzarelline allo zafferano e la
caciotta di capra in padella.
TERAMO
15 aprile 2011
Le vivande servite: crostini
con sardelle e peperoni fritti;
“‘ndocca ‘ndocca”; mazzarella al forno, granitti; tagliolini
e fagioli; timballo della tradizione teramana; spezzatino
di agnello con profumi del
territorio e verze strascinate;
costatella di maiale con insalata mista; pizza “dogge”, pizza di Pasqua, cestino di frutta
tradizionale.
I vini in tavola: Pecorino Igt
2009, Montepulciano d’Abruzzo 2007, Sammarco rosso Colli Aprutini Igt 2002,
Montepulciano d’Abruzzo
Docg 2004, vino cotto (tutti
dell’azienda vitivinicola Scialletti).
Commenti: Aria da osteria ricreata nella taverna in occasione della riunione conviviale superbamente organizzata
dal Simposiarca Fausto Camillini: già nel corso dell’aperitivo, i numerosi ospiti e Accademici sono entrati nel clima,
con una confusione festosa.
Sulle lunghe tavolate, illuminate da candele su vecchie
fiaschette impagliate, sono
giunti gli antipasti “robusti”
come da antica tradizione teramana. Le portate sono state
abbinate non con vini da
osteria, ma con prelibati rossi
dell’azienda Scialletti, che ha
offerto una degustazione in
crescendo della sua produzione. Agnello e maiale sono stati protagonisti dei secondi, cucinati secondo le antiche tradizioni caserecce della cuoca
Maria, che ha consentito di
riassaporare antichi gusti che
solo le nostre mamme sapevano creare con i pochi mezzi
allora a disposizione.
nivano riempite: in molti
hanno degustato solo questo
piatto tralasciando i secondi,
egualmente buoni ma più
comuni sulle tavole. Le virtù,
invece, hanno vita breve,
potendosi allestire solo nei
primi giorni di maggio,
quando l’orto è al culmine
della sua produzione di spezie, verdure e aromi, poi,
ahimè, come tutte le cose
preziose, scompaiono rapidamente. E bisogna aspettare un altro anno.
TERAMO
7 maggio 2011
Ristorante “Antico Cantinone” di Paolo Pompa, fondato
nel 1906. ●Via Ciotti 5, Teramo; =0861 250881, anche fax; coperti 90. ● Parcheggio scomodo; prenotazione consigliabile; ferie una
settimana a luglio; giorno di
chiusura mercoledì. ●Valutazione 8,50; prezzo €
35,00; caratteristico.
Le vivande servite: appetitosi della casa; virtù teramane; agnello della “Laga” agli
odori e mazzarella di primavera con patatine alla ghiotta,
insalatina di stagione; pizza
dolce all’antica; frutta fresca.
I vini in tavola: Pecorino
Doc “Ekuo” 2010, “Mario’s
37” (da uve trebbiano), Montepulciano d’Abruzzo Doc
“Lui” 2009 (tutti dell’azienda
agricola tenuta Terraviva Tortoreto alto, Teramo).
Commenti: I numerosi Accademici e ospiti si sono ritrovati nella sala dello storico locale, il più antico della
città, per degustare le virtù
più classiche della tradizione, e non sono rimasti delusi. Dopo un aperitivo stuzzicante, innaffiato dai vini dell’azienda Terraviva, che si è
presentata al pubblico in
questa occasione, sono state
prontamente servite le virtù
in zuppiere fumanti e degustate in un silenzio quasi religioso. Difficile descrivere
questo piatto, che si presenta all’apparenza come un
minestrone, ma in realtà è
tutt’altra cosa: tripudio di
aromi, mix di verdure, di legumi e di paste secche e all’uovo, la cui difficoltà consiste esclusivamente nel far sì
che nulla prevarichi e qui è
l’abilità del cuoco. Le zuppiere, rapidamente vuotate,
altrettanto rapidamente ve-
MOLISE
CAMPOBASSO
8 aprile 2011
Ristorante “Miseria e Nobiltà” di Maria Assunta Palazzo, fondato nel 2000.
●Via Sant’Abate 16, Campobasso; =0874 94268, anche
fax; coperti 79. ●Parcheggio
scomodo; prenotazione consigliabile; ferie ultime due
settimane di luglio e una settimana inizio anno; giorno
di chiusura domenica. ●Valutazione 8,19; prezzo €
35,00; raffinato.
Le vivande servite: patate,
fagioli e laccio; lasagne con
stinco di maiale; crioli all’unto e cipolla con spiedo di coniglio e agnello; cagliata tricolore.
I vini in tavola: Biberius
Montepulciano del Molise
(azienda agricola Salvatore,
Ururi, CB).
Commenti: Riuscitissima interpretazione a tavola del tema del convegno sulla società molisana al tempo dell’Unità d’Italia. Tre sole portate a rappresentare i tre ceti
dell’epoca, tre piatti composti di primo e secondo insieme, presentati con cura anche nella scelta del pane di
accompagnamento per ognuno: con farina di polenta per
il piatto del cafone, una zuppa di fagioli patate e sedano,
con due rondelle di cotenna
di maiale farcita al cacio e
uovo; pane bianco invece
per il piatto del galantuomo,
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 5 9
nel quale una delicatissima
lasagna ha rappresentato i
pasticci sulle tavole dei ricchi
e così pure lo stinco di maiale, esempio di carni dalle
lunghe cotture; pane nero infine per il piatto del brigante,
semplice pasta fatta in casa, a
base di sola farina e acqua,
condita con l’essenziale ma
saporitissimo grasso di maiale e cipolla, e due piccoli
spiedi di carne di agnello e
coniglio. A conclusione, per
dessert, una cagliata freschissima di formaggio, dolcificato con miele, posta al centro
del piatto, tra una crema inglese alla menta e un coulis
di fragole. Tricolori anche le
decorazioni a tavola dell’Accademica Elisabetta Guarino,
e arricchita del logo dell’Accademia la coccarda, offerta
dal simposiarca Michelangelo De Socio.
TERMOLI
16 aprile 2011
Ristorante “Casina del Porto” di Stefania Toschi, fondato nel 2002. ● Via Kennedy 77, Campomarino Lido
(Campobasso); = 0875
539145; coperti 40+50.
●Parcheggio sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie
mai; giorno di chiusura
mercoledì. ● Valutazione
7,40; prezzo € 38,00; familiare, rustico.
Le vivande servite: soppressata e filetto di maiale;
fiadoni salati; ortaggi di stagione in pastella fritti; “lambasciun e ove”; frittata di
asparagi; fave in padella con
cipollina fresca; coratella d’agnello; “pallott cac’ e ove”; ricottine fresche e pecorino
primo sale con mostarda casereccia; lasagne rosse al forno; agnello con patate al forno; crostata di ricotta; fragole
al limone.
I vini in tavola: Montepulciano Doc “Gironia” (cantina
Borgo di Colloredo).
Commenti: Il Delegato e il
Segretario, organizzatori dell’incontro conviviale “Il pranzo di Pasqua”, hanno inteso
tornare a gustare i manicaretti approntati da Laura,
provetta cuoca del ristorante,
in considerazione della sua
disponibilità ad accogliere
precise richieste gastronomiche e della sua ottima co-
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
MOLISE segue
noscenza delle tradizionali
ricette della locale cucina
delle ricorrenze religiose. Il
Delegato, dopo i saluti, ha
presentato la professoressa
Fernanda Pugliese, ammessa alla frequenza del periodo di postulantato, quindi
ha illustrato il menu, concertato nel rispetto della tradizione e della genuinità e
caratterizzato dalla presenza, in tutte le portate, dell’uovo, simbolo della rinascita dell’uomo e della risurrezione del Cristo. Simpatico l’intervento della Pugliese imperniato su brevi aneddoti relativi ad alcune delle
pietanze servite. Ottimi tutti
gli antipasti, molto buone le
lasagne rosse, troppo asciutto e poco sapido l’agnello.
Indovinato l’abbinamento a
tutto pasto del vino della locale rinomata cantina della
famiglia Di Giulio.
CAMPANIA
NAPOLI
11 aprile 2011
Ristorante “Tres Jolì” di Cataldo Montesano, fondato
nel 2010. ●Via Posillipo 267,
Posillipo (Napoli); =081
5753589; coperti 50. ●Parcheggio incustodito; prenotazione consigliabile; ferie
agosto; giorno di chiusura
lunedì. ● Valutazione 7;
prezzo € 40,00; elegante,
accogliente.
Le vivande servite: insalata
di gamberi e cuscus alle verdurine con nastri di seppie e
fichi; raviolo di ricotta infornata e maggiorata in salsa di
datteri e verdurine croccanti;
in alternativa risotto con
astice marinato al basilico,
cremoso di melanzana affumicata ed erbette di Provenza; filetto di ricciola cristallizzata alla vaniglia con
pommes ratter e insalatina
aromatica; millefoglie composta in crema di vaniglia
con scaglie di cioccolato e
amarena.
I vini in tavola: Falanghina
del Taburno.
Commenti: L’Accademica
Daniela Rapolla ha segnalato
questo locale da poco inaugurato, molto grazioso, sulla
collina di Posillipo. Simposiarca della serata è stata la
stessa Daniela. L’ambiente è
risultato un po’ rumoroso e
non si è gradito che gli odori
della cucina arrivassero in sala. Molto apprezzato l’antipasto di gamberi con cuscus alle verdurine con nastri di
seppie e fichi. Graditi i vini;
qualche critica è stata spesa
per il pesce sospettato di allevamento. È stata ospite la
scrittrice Annamaria Liberatore che ha parlato del suo ultimo libro, “Insalavitudine”,
presentato dal Delegato Leonardo Bianchi.
PENISOLA
SORRENTINA
6 maggio 2011
Ristorante “Lo Stuzzichino”
di Mimmo De Gregorio, fondato nel 1989. ●Via Deserto
1, Sant’Agata sui due Golfi
(Napoli); =081 5330010;
coperti 50. ●Parcheggio sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie febbraio; giorno di chiusura mercoledì.
●Valutazione 8,50; prezzo €
35,00; tradizionale, familiare, accogliente.
Le vivande servite: gamberetti di Crapolla sale e pepe;
aperitivo stuzzichino (mozzarella in carrozza, panzarotto,
crocchetta di patate); pasta e
patate con provolone del
monaco; mezzo pacchero di
Gragnano con carciofo violetto di Castellammare e provola affumicata; ricciola del
golfo alle erbe aromatiche
con scarola “imbuttunata”
(imbottita di uvetta, pinoli,
olive); semifreddo alle noci
di Sorrento con salsa al caramello.
I vini in tavola: Spumante
Gran Cuvée Satin di Franciacorta, azienda agricola Bellavista, Erbusco (Brescia);
Aglianico “Il Preliminare”
(rosso vinificato in bianco),
azienda agricola Cantina del
Notaio, Rionero in Vulture;
Grappa di Aglianico “Bue
apis” azienda agricola Cantina del Taburno.
Commenti: I gamberetti
passati in padella con olio,
sale e pepe, portati al ristorante pochi minuti prima del-
l’inizio della riunione conviviale da due pescatori, sembravano venuti fuori da un
presepio napoletano dell’Ottocento. La pasta e patate
nella quale era stato disciolto
il provolone del monaco,
una delle grandi specialità
del cuoco, padre del titolare,
veniva velocemente divorata
ed era poi seguita da un’altra
specialità di stagione, un
mezzo pacchero con carciofi
stufati e ridotti quasi a crema
dalla provola affumicata, fusa
al suo interno, altra pietanza
che riscuoteva grandi approvazioni. La ricciola del golfo
alla griglia, bene aromatizzata da un misto di erbe spontanee della macchia mediterranea, è stata apprezzata da
tutti, al pari del semifreddo
alle noci. Ottimo il vino, un
rosso vinificato in bianco. Veloce ed efficiente il servizio
diretto da Mimmo, il titolare
(cui è stato donato il piatto in
silver in ricordo della piacevole serata), coadiuvato in
sala dalla moglie e da un
esperto sommelier. Giudizio
complessivamente positivo
per l’ottimo rapporto qualità/
prezzo. Locale assolutamente
raccomandabile.
PUGLIA
BARI
20 maggio 2011
Ristorante “Perbacco” di
Giuseppe Schino, fondato
nel 1998. ●Via Abbrescia 99,
Bari; =080 5588563; coperti 34. ●Prenotazione consigliabile; ferie luglio, agosto,
Natale; giorno di chiusura
sabato a mezzogiorno e domenica. ●Valutazione 7,50;
prezzo € 40,00; accogliente.
Le vivande servite: sformato di carciofi; frittelle di riso;
zuppa con uova e cozze;
seppie con piselli; torta di pinoli.
I vini in tavola: Bombino
bianco di Giancarlo Ceci, Castel del Monte Doc; Fucsia
rosato di Paolo Leo, Salento
Igt; Parco Marano, Nero di
Troia di Giancarlo Ceci.
Commenti: La cena artusiana ha riscosso un notevole
successo ed è stata molto apprezzata da Accademici,
ospiti e amici. Una dotta prolusione del Delegato, Nicola
Sbisà, ha inaugurato la serata. Prolusione che ha illuminato l’uditorio sulle caratteristiche più significative dell’importante opera del grande gastronomo. Ne sono
emersi il ruolo svolto da Pellegrino Artusi e dal suo “La
scienza in cucina e l’arte di
mangiar bene”, nonché il
prezioso contributo da lui
stesso fornito ai fini dell’unificazione nazionale, attraverso la promozione non soltanto di una cucina comune, ma
anche di una lingua e di una
cultura comuni.
BRINDISI
MANDURIA
6 maggio 2011
Ristorante “Stella del Sud” di
Rocco Cane, fondato nel
2007. ●Via Torre Santa Susanna 79, Oria (Brindisi);
= 0831 816914, anche fax;
coperti 60+20. ●Parcheggio
incustodito; prenotazione
consigliabile; ferie ultima
settimana di agosto; giorno
di chiusura nessuno. ●Valutazione 8; prezzo € 35,00;
elegante.
Le vivande servite: carpaccio di polpo in bottiglia; tagliolini all’uovo con fiori di
zucca e speck; “fejoada”;
churrasco di lombo di maiale, cupin e picanha accompagnato dai suoi contorni; ananas caldo; “stella del Sud”
(dessert a sorpresa).
I vini in tavola: Blangé
(cantine Cerretto); Arneis
Doc; Taras Primitivo Salento
Igp e Aleatico passito Igp
(ambedue delle tenute Albano Carrisi).
Commenti: Il proprietario
non proviene dalla ristorazione, ma ha trascorso, per
motivi di lavoro, molti anni
in Sud America e ha avuto la
possibilità di individuare alcuni piatti della cucina brasiliana riproponibili a Oria,
paese d’origine della sua famiglia. Un’accorta scelta delle materie prime di produzione locale (verdure, formaggi, latticini, paste e altro)
completa l’offerta, già oltremodo positiva. Un’ottima e
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 0
fornita cantina, dove alle
produzioni regionali sono affiancate produzioni nazionali
e internazionali altrettanto
prestigiose, aggiunge un ulteriore motivo di apprezzamento. Il forno a legna, che
campeggia all’ingresso del
locale, assicura l’ottima produzione giornaliera di pane e
quant’altro.
CASTEL DEL MONTE
18 maggio 2011
Ristorante “Corteinfiore Osteria” di Ma.Sca sas di Michele
Matera & C., fondato nel
2000. ●Via Ognissanti 18,
Trani (Bari); = 0883
508402; coperti 65. ● Parcheggio incustodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; ferie gennaio; giorno di chiusura lunedì. ●Valutazione 8; prezzo € 40,00;
elegante, accogliente.
Le vivande servite: filetto di
triglia alla verbena; coda di
gambero dorato in panure al
limone; sformatino di baccalà; patate e pomodorini al
Sole; quiche di melanzane in
pasta fillo sulla pappa al pomodoro; paccheri fatti in casa con scampetti di Molfetta
e turioni di asparagi; medaglioni di pescatrice e pancetta croccante su verdurine alla
brace; zuppa al Moscato di
Trani con crema chantilly alle
mandorle e corbeille di frutta
di stagione ed esotica.
I vini in tavola: Brut rosé
(D’Araprì); bianco Nero di
Troia (Carpentiere); rosso
Primitivo Elè (Chiaromonte);
Moscato di Trani (Bottà).
Commenti: Con una partecipazione numerosa di Accademici e di ospiti, il Delegato Antonio Giorgino, in
apertura della serata, ha comunicato la nomina a Delegato onorario, da parte del
Consiglio di Presidenza, di
Tommaso Jannuzzi, Delegato per tredici anni della Delegazione. La cena è stata
realizzata in un ristorante ricavato all’interno di un palazzo del Cinquecento, in un
giardino interno con alberi
di loti, melegrane, agrumi e
albicocche, con un menu a
base prevalentemente di pesce. Nell’occasione il Simposiarca Roberto Claudio Mazzocca ha svolto una riflessione culturale enogastronomi-
V I T A
ca sul tema “L’importanza
del vino nella buona cucina
italiana”. Gli Accademici
hanno apprezzato la qualità
delle pietanze, l’accostamento del vino, la celerità del
servizio. Al titolare del ristorante Michele Matera il Delegato ha consegnato il piatto
del 2011 e il guidoncino della Delegazione.
D E L L ’ A C C A D E M I A
numerosi. Il vino non all’altezza del resto. Merita una
seconda visita per migliorare
il giudizio espresso.
cheggio incustodito, sufficiente; prenotazione necessaria; ferie agosto. ●Prezzo
€ 35,00; raffinato.
SICILIA
Le vivande servite: aperitivo con spumante, canapè e
pasticcini di pasta sfoglia; uova monachelle e crostino di
pane nero con paté di fegatini di pollo; lasagne dei Borboni; aspic ai gamberi e verdurine; arrotolato tricolore
con patate in tortino; crostata
di ricotta; affettato di frutta.
CALTAGIRONE
17 aprile 2011
BASILICATA
POLLINO POLICASTRO
20 maggio 2011
Ristorante “U Zifaro “ di Vito
Troccoli, fondato nel 1979.
●Via Lungomare 43, località
Scario - San Giovanni a Piro
(Salerno); =0974 986397,
fax 0974 986271; coperti 40.
●Parcheggio scomodo; prenotazione necessaria; ferie
dicembre e gennaio; giorno
di chiusura nessuno. ●Valutazione 6; prezzo € 30,00;
rustico.
Le vivande servite: filetti di
tonnetto con cipolle di Tropea e aceto balsamico; insalatina tiepida di polpo con
patate e pesto di rucola;
gamberi in tempura alla glassa di balsamico; agliata di alici; strascinati al ragù di baccalà e scaglie di parmigiano;
linguine ai ricci di mare; calamaretti su letto di purea di
patate; zuppa di alici con
crostino caldo.
Commenti: “U zifaro” è il
nome di un uccello pescatore che, sulle sponde del mare
cilentano, si industria, per
mangiare, a tuffarsi molte
volte in acqua riemergendo
alla fine sazio. Il ristorante
avrebbe potuto rappresentare il rito dello “zifaro”: gustare più piatti, apprezzarne i
sapori e restarne soddisfatti.
Situato sul molo di Scario
questo piccolo locale promette ottimi piatti di cucina
cilentana e marinara, anche
se qualche piccola sbavatura
non consente di dare un giudizio elevato come meriterebbe. Nel complesso una
cena apprezzata da quasi tutti gli Accademici, intervenuti
Ristorante “Tenuta di Bellaprima” di Luigi Jacona, fondato nel 2010. ●Contrada
Carrubba, Caltagirone (Catania); =389 0334422; coperti 200. ●Parcheggio custodito, sufficiente; prenotazione consigliabile; giorno
di chiusura lunedì. ●Valutazione 7,30; prezzo €
25,00; caratteristico.
Le vivande servite: spremuta di arance; salatini; frittatine
di piselli e asparagi; pecorino
con fave fresche; caponata;
uova alla monachina; pennette alla rucola; costolette ripiene; caponata di carciofi;
arance brinate; biancomangiare con cannella.
I vini in tavola: vino della
casa; Prosecco.
Commenti: Quest’anno ci
siamo scambiati gli auguri di
Pasqua nell’agriturismo sito
nell’antica tenuta di Bellaprima. Numerosi gli Accademici
e gli ospiti fusi in una scambievole cordialità. Accolti dal
padrone di casa e dalla signora Milena con molta cortesia,
ci si è trovati davanti a una tavolata deliziosamente ornata
con vasetti di fiori di campo,
opera di Cetti e Mariella. Sorprendenti i menu di Colomba
per l’originalità dell’ideazione
e la finezza dell’esecuzione. Il
pranzo è stato gradito soprattutto per l’ambiente e l’efficienza del servizio.
CALTANISSETTA
20 aprile 2011
Ristorante dell’agriturismo
“Gabilia” di Pietro Stella,
fondato nel 2005. ●Contrada Gabilia, Santa Caterina
(Caltanissetta); = 0934
586486; coperti 200. ●Par-
I vini in tavola: Quadra
Franciacorta, brut Saten Docg;
Principe di Corleone, azienda
Pollara, Chardonnay Igt Sicilia;
Sachia, azienda Caruso & Alini, Perricone Igt Sicilia.
Commenti: Per celebrare i
150 dell’Unità d’Italia la Delegazione ha scelto questo
elegante agriturismo, del
quale apprezza la cucina. Il
Simposiarca e relatore della
serata, il Consultore Pierluigi
Assennato, ha selezionato alcune pietanze che proponevano una rilettura dell’evoluzione della gastronomia in
Italia e che volevano ricordare la cucina delle case di una
volta, richiamando alla memoria dei commensali antichi ricordi di famiglia. Bravo
lo chef Salvatore Bellanca a
interpretare i piatti di una
volta. Ottime le lasagne dei
Borboni, un piatto opulento
arricchito dalle partenopee
polpettine di carne trita con
ricotta e salsa di pomodoro.
Gentilissimi e disponibili gli
ospiti Pietro Stella e la consorte Geraldine Alesi Stella
che hanno collaborato con
gli Accademici per la riuscita
della serata.
CEFALÙ
17 maggio 2011
Ristorante “Duomo” di Pasquale Serio. ●Piazza Duomo 19, Cefalù (Palermo).
●Valutazione 8,20; prezzo €
32,00; elegante e accogliente.
Le vivande servite: tortino
di polenta con cuore di porcini, pomodoro gratinato e carciofo alla romana; vellutata di
verdure; spaghetti all’italiana;
baccalà alla garibaldina; dessert e torta Unità d’Italia.
I vini in tavola: Mandraffino spumante rosso e Nero
d’Avola; Calatrasi Terre di Gi-
nestra Cabernet Sauvignon
Franc; Ottoventi Nero d’Avola/Syrah.
Commenti: Incontro per ricordare i 150 anni dell’Unità
d’Italia, su cui ha relazionato
con affabile simpatia e con
spessore culturale il Simposiarca Franco Lupo. Il menu,
attentamente curato dal ristoratore e dallo chef, ha soddisfatto i commensali non solo
per la qualità del cibo, ma
anche per la presentazione
dei piatti, attenta a ogni particolare per ricordare il tricolore e i piatti graditi agli eroi
del Risorgimento.
PALERMO
15 aprile 2011
Ristorante del “Genoardo
Park Hotel “Teodora” di Rosaria Interguglielmi, fondato
nel 2006. ●Via Aquino 126,
Palermo; =091 6466511,
fax 091 6466599; coperti
200. ●Parcheggio custodito,
sufficiente; prenotazione necessaria. ● Valutazione 8;
prezzo € 40,00; elegante.
Le vivande servite: verdure
fresche e fiori di zucca in pastella di birra; lonza di maialino affumicato; mousse di ricotta alle erbe su crostino;
caponata di zucca rossa in
carpione; lingotti di panelle e
“cazzilli” dorati; castellane al
ragù di salsiccia fresca; bocconcini di agnello aggrassato
con patate novelle; spiedo di
stigliole di capretto; carciofo
ripieno; sorbetto di mandarino; cassata siciliana.
I vini in tavola: Aurora rosé
Spumante; Nero d’Avola e
bianco Alcamo (Rapitalà).
Commenti: Riunione conviviale affollata di Accademici,
consorti e ospiti. Menu tipico
tradizionale pasquale molto
apprezzato, specie l’aperitivo
servito a buffet. Al tavolo, un
piccolo gruppo folkloristico
in costume siciliano ha allietato i commensali durante
tutta la cena riscuotendo applausi. Omaggio di uova pasquali alle signore.
RAGUSA
17 aprile 2011
Ristorante “La Locandina”
di Antonio Cicero e Carmelo
Di Pasquale, fondato nel
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 1
2009. ●Via Orfanotrofio 39,
Ragusa; =0932 220231; coperti 100. ●Parcheggio incustodito; prenotazione consigliabile; ferie variabili; giorno
di chiusura giovedì. ●Valutazione 7,10; prezzo € 45,00;
elegante.
Le vivande servite: assaggio d’olio ibleo Primo di Cutrera; soufflé di ragusano con
salsa di pere e cipolla rossa
in agrodolce; gnocchetti di
patate con ragù di maiale,
crema di ricotta al ragusano e
olio al balsamico; maialino
da latte arrosto con caponatina siciliana; panino di sfoglia
leggera con crema di mele e
cioccolato su coulis di frutti
di bosco.
I vini in tavola: Frappato di
Vittoria “Tami” Igt (azienda
agricola Arianna Occhipinti,
Vittoria).
Commenti: Grazie a Gianni
Antoci, Simposiarca attento e
alacre, gli Accademici si sono
scambiati gli auguri di Pasqua in un luogo di grande
fascino e con un menu interessante, caratterizzato anche
dalla speciale attenzione per
i vini del territorio. Più che
apprezzabile il servizio. Resta
qualche perplessità circa il
rapporto qualità/prezzo.
SIRACUSA
13 maggio 2011
Ristorante “Cantina Malavoglia” di Barbara Lo Manto,
fondato nel 2011. ●Via delle
Carceri Vecchie 22, Ortigia
(Siracusa); =0931 24095;
coperti 100. ●Parcheggio custodito nei pressi; prenotazione necessaria; ferie da
metà gennaio a metà febbraio; giorno di chiusura
martedì. ●Valutazione 7,80;
prezzo € 35,00; accogliente,
caratteristico.
Le vivande servite: antipasto di “purpiteddi” alla carrettiera, “vota-vota”, “scoppolaricchi” fritti, arancini di Adelina, caponata; “cuscusu di pisci”; spigola all’acqua pazza;
cannola di ricotta e “cassateddi”.
I vini in tavola: Alcamo Dop
2010 e Nero d’Avola Igt Sicilia
2010 (cantine Cusumano, Trapani); Moscato di Siracusa
Don Nuzzo 2010 (Antiche
Cantine Gulino, Siracusa).
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
SICILIA segue
Commenti: Un vero tributo
ad Andrea Camilleri e al suo
personaggio, il commissario
Montalbano (goloso e continuamente affetto da un “pitìtto” smisurato), nel simposio
di maggio. Il Delegato Tamburini ha introdotto la figura
di Camilleri, e ha poi invitato
l’avv. Di Quattro, proprietario della casa di Marinella,
per ascoltare da lui alcune
chicche sulla realizzazione
della fiction televisiva. A seguire il Delegato ha invitato
Vittorio Pianese a presentare
la relazione su: “Cuscusu di
pisci: Montalbano, cucina,
donne, idiosincrasie”. Chi
ama Montalbano conosce il
suo strettissimo rapporto con
l’arte della cucina; ma “scopriamo che Montalbano somatizza, quando litiga con Livia, quando incontra il questore o quando un’indagine
presenta difficoltà apparentemente insormontabili, gli si
chiude la bocca dello stomaco e gli passa l’appetito”. Ringraziamenti del Delegato al
relatore per l’impegno e la
capacità di ben districarsi, da
genovese, anche con la pronuncia del siciliano. La cucina del commissario Montalbano, festosamente e con
grande apprezzamento, anche se con un servizio approssimativo, ha completato
il simposio.
EUROPA
FRANCIA
BORDEAUX
8 aprile 2011
Ristorante “Fellini” di Les
Italiens, fondato nel 2010.
● Quartiere BT 59, Bègles;
= 055 6493974; coperti
100. ● Parcheggio facile;
giorno di chiusura lunedì e
martedì la sera, sabato a
mezzogiorno, domenica.
● Valutazione 7; prezzo €
32,00; moderno.
Le vivande servite: spritz
(Prosecco e Aperol) con focaccia e pizza a pezzetti; ta-
gliatelle fatte in casa al sugo
di pomodoro, melanzana e
zucchini con parmigiano reggiano; saltimbocca alla romana con caponata alla siciliana; tiramisu e semifreddo al
pistacchio di Bronte.
I vini in tavola: Dolcetto
d’Acqui 2009 Ca’ Bianca; Primitivo Salento 2009 Castello
Monaci.
Commenti: Locale simpatico con molti riferimenti al cinema in bianco e nero. È
aperto da qualche mese, fondato da una squadra di giovani italiani con già alcune
esperienze nella ristorazione.
Il menu è ricco: abbondano
gli antipasti e i primi piatti
mentre in proporzione i secondi di pesce e carne non
propongono niente di particolare, probabilmente in
considerazione del fatto che
in Francia i clienti hanno l’abitudine di prendere solo il
primo o una pizza e poi il
dolce. Molto buone le pizze
(pizzaiolo Roberto Spada) e i
semifreddi.
GERMANIA
COLONIA
10 maggio 2011
Ristorante “Amarcord” di
Nunzio Ascione, Franco Brunetto e Pasquale Vitiello, fondato nel 2008. ●Rothkampstrasse 18, Frechen (Colonia); =02234 6980450, anche fax; coperti 60. ●Parcheggio incustodito, sufficiente;
prenotazione consigliabile; ferie mai; giorno di chiusura
nessuno. ● Valutazione 7;
prezzo € 40; accogliente, caratteristico.
Le vivande servite: stuzzichini vari; insalata di rinforzo; parmigiana di melanzane
con e senza carne; macedonia di frutta.
I vini in tavola: Prosecco
Phetecusa brut (Tommasone); Vermentino di Sardegna
Doc 2009 (Tyros); Negroamaro 2005 (Sarmenti).
Commenti: Terza e ultima
riunione conviviale dedicata
a un piatto unico. Dopo
quella del timballo del Gattopardo e la seconda dedicata al cuscus, ecco ora la
terza con al centro la parmigiana di melanzane. Per es-
sere precisi con due parmigiane: quella con carne e
quella tradizionale alla napoletana solo con la mozzarella di bufala. Ottimo il successo ottenuto dal cuoco
Pasquale Vitiello nella preparazione della parmigiana,
specialmente quella tradizionale napoletana, e molto
lodato il Vermentino di Sardegna. Stranamente, senza
volerlo, le tre serate dedicate a un piatto unico hanno
riguardato solo il Sud: la Sicilia con il timballo e il cuscus del Trapanese e la
Campania, appunto, con la
parmigiana. Ottima serata
con vari ospiti in un’atmosfera molto rilassata.
MONACO DI BAVIERA
13 maggio 2011
Ristorante “Hippocampus”
di Sergio Artiaco e Mimmo
Ruggier o, fondato nel
1996. ● Mühlbauerstrasse
5, Monaco di Baviera;
= 089 475855, fax 089
47027187; coperti 45.
● Parcheggio incustodito,
sufficiente; prenotazione
consigliabile; ferie mai;
giorno di chiusura sabato a
mezzogiorno. ●Valutazione
7,60; prezzo € 65,00; raffinato, elegante.
Le vivande servite: polpo
alla griglia con cannellini,
maggiorana e pomodori secchi; risotto agli asparagi, basilico e parmigiano; coniglio
disossato al forno con carciofo arrosto, salsa di pomodoro, capperi e olive; panna
cotta con rabarbaro e sorbetto alla banana.
I vini in tavola: Marmorelle
2010 Doc, tenuta Rubino (Puglia); Chianti classico 2007
Docg, Le Corti (Toscana).
Commenti: Dopo parecchio tempo abbiamo visitato
nuovamente questo noto e
amato ristorante. La serata,
grazie all’ottima organizzazione del Simposiarca Gerd
Duerre, si è svolta in un’atmosfera particolarmente gradevole con una valida presentazione, da parte dei due
proprietari, del menu primaverile. Ottimi il polpo alla
griglia e il risotto agli asparagi di Schrobenhausen (Baviera), rinomata zona di produzione, mentre il coniglio,
preparato in maniera decisa-
mente raffinata, ha suscitato
pareri discordanti tra gli Accademici. Valido l’accostamento dei vini.
REGNO UNITO
LONDRA
9 maggio 2011
Ristorante “Tempo” di Henry
Togna, fondato nel 2010.
●54 Curzon Street, Londra;
=207 6292742; coperti 56.
●Parcheggio scomodo; prenotazione consigliabile; ferie
mai; giorno di chiusura domenica. ●Valutazione 7,40;
prezzo € 65,00; elegante.
Le vivande servite: bocconcini croccanti di maiale; carta
da musica con ricotta e purea
di asparagi; merluzzo in tempura; carpaccio di spigola
selvaggia con fettine di finocchio e melagrana; tortelli di
pisellini primavera con ricotta e pecorino al gusto di salvia e menta; filetto di trota di
mare con salsa verde su letto
di patate e finocchio marino;
torta al limone con lamponi e
panna acida.
I vini in tavola: Prosecco
Doc (Bixio); Soave 2010 (Pieropan); Valpolicella 2010 (Allegrini); Moscato d’Asti 2009
(Viajra).
Commenti: Situato nell’elegante ed esclusiva zona di
Mayfair, il ristorante è stato
lo scenario di una raffinata
cena dove la cultura gastronomica italiana si è incontrata e fusa con quella giapponese. Il brillante chef Yoshi
Yamada, giapponese, grazie
al suo amore per l’Italia e alle sue passate esperienze in
stellati ristoranti italiani, ha
proposto un menu di alta
qualità. In particolare, nei
commenti del dopocena sono stati apprezzati il filetto di
trota di mare e il dessert. Il
servizio, sempre sotto l’attenta supervisione del proprietario, ha avuto una buona valutazione nonostante il
ristorante fosse quasi al limite della capienza per la numerosa partecipazione. Gli
Accademici e i loro ospiti sono stati calorosamente accolti e intrattenuti dal Simposiarca Stefano Porcari e dalla
gentile signora Lorena che
hanno ricevuto molti elogi
per la particolarità della riunione conviviale.
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 2
SPAGNA
BARCELLONA
23 maggio 2011
Ristorante “Le Quattro Stagioni” di Susanna Passola,
fondato nel 1989. ● Calle
Doctor Roux 37, Barcellona;
=93 2052279; coperti 60.
● Parcheggio insufficiente;
prenotazione consigliabile;
ferie metà agosto; giorno di
chiusura lunedì. ●Valutazione 8; prezzo € 40,00; elegante.
Le vivande servite: fiori di
zucca con ricotta in tempura;
zuppa fredda di pomodoro e
fragole con sardine marinate;
ravioli di gorgonzola, basilico
e pinoli tostati; arrosto di
spalla d’agnello con pesto di
erbe e melanzane; panna
cotta di vaniglia e mascarpone con marmellata di limone
e crumble.
I vini in tavola: bianco Inzolia Sicilia (Bodegas Feudo
Arancio).
Commenti: Si tratta di un locale di tipo italiano e internazionale, ben conosciuto in
Spagna. Ambiente molto piacevole, attenzione di alta
qualità al cliente.
UNGHERIA
BUDAPEST
26 maggio 2011
Trattoria “Pomo d’Oro” di
Gianni Annoni, fondata nel
2001. ● Arany Janos u. 9,
Budapest; =36 13026473;
coperti 150. ● Parcheggio
scomodo; prenotazione consigliabile; ferie ultima settimana di luglio, prima di
agosto; giorno di chiusura
nessuno. ● Valutazione
7,40; prezzo hf 17.000 (€
64,00); tradizionale, accogliente.
Le vivande servite: aperitivo la mia terra (bufalina con
pomodoro infornato e sfogliatella al basilico); antipasto caldo-freddo marinaro
(gran piatto con capasanta
gratinata, tartarina di tonno
rosso, coda di scampo al pepe rosa, sarda in “saor”, alice
marinata, fogliette di polpo
e scaglie di grana all’aceto
balsamico); cappellacci al
branzino con vongole veraci
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
al pesto leggero; scialatielli
di rucola con gamberi e zucchine in fiore; assaggio di risotto al nero di seppia; sorbetto al Campari e arancia;
agnello arrosto alla mediterranea con asparagi pancettati e funghi porcini marinati;
savarin al limoncello con
crema chantilly e frutti di
bosco.
I vini in tavola: Prosecco
Giallo Oro (Ruggeri Valdobbiadene); Venica Collio Pinot
bianco 2009; Montepulciano
d’Abruzzo Doc 2007 (Nicola
Di Scipio).
Commenti: La riunione
conviviale di maggio è stata
una rivisitazione di questo
ristorante, che è uno dei più
popolari di Budapest, perché nel frattempo il locale è
stato del tutto rinnovato nell’arredamento. Lo chef Rosario, di origine partenopea,
ha riorganizzato il menu e i
sapori delle ricette. Con l’occasione è stato inaugurato
un nuovo settore del locale
in zona riservata, che ha reso significativamente piacevole la serata. Le vivande sono state apprezzate dai commensali con particolare
menzione al sontuoso antipasto, ai cappellacci al branzino, così come all’agnello e
al dessert partenopeo. Buoni
i vini scelti dal sommelier
che li ha ben presentati in
tavola in abbinamento con
le portate. Unico neo di questa eccellente serata è stato
la lentezza del servizio, dovuta al fatto che molti piatti
erano preparati al momento.
Il Simposiarca ci ha brevemente intrattenuto sul tema
“Cucina e social-network”,
mentre il gestore Gianni Annoni, molto noto nelle Tv
ungheresi, ha presentato il
suo gruppo di collaboratori
sia in sala che in cucina, che
rappresenta veramente la
notevolmente migliorata
qualità, verso l’eccellenza,
della ristorazione italiana in
Budapest.
Durante la serata è stato presentato il nuovo Accademico
Francesco Trigari, anche lui
piemontese, di Mondovì. Alla
fine della cena, la qualità della cucina di Picchi è stata riconosciuta nelle schede di
valutazione con molti voti
superiori alla media.
N E L
M O N D O
AUSTRALIA
BRASILE
BRISBANE
15 aprile 2011
SAN PAOLO
10 maggio 2011
Ristorante “Beccofino” di
Paolo Biscaro, fondato nel
2004. ●10 Vernon Tce, Teneriffe (Brisbane); =07
36660207, fax 07 36660208;
coperti 120. ●Parcheggio sufficiente; prenotazione non
necessaria; giorno di chiusura lunedì. ●Valutazione 8;
prezzo aus$ 90,00; elegante.
Ristorante “Picchi” di Pier
Paolo Picchi, fondato nel
2007. ● Rua Jerônimo da
Veiga 36, San Paolo;
=005511 30789119; coperti
60. ●Parcheggio custodito;
prenotazione consigliabile;
ferie da Natale alla prima
settimana di gennaio; giorno di chiusura domenica.
●Valutazione 8; prezzo reais
160,00 (€ 67,00); tradizionale, ambiente moderno.
Le vivande servite: calamari
fritti con rucola; bresaola con
uova; pizze miste; scelta tra risotto del giorno, pappardelle
al ragù d’anatra, polpette con
polenta, filetti d’agnello, pesce del giorno; patate, insalata
con rucola; panna cotta.
I vini in tavola: Valdobbiadene Prosecco superiore
Docg (Gancia); Soave Doc
(Borgoletto); Brachetto d’Aqui Docg (Gancia); Amarone
Valpolicella classico Doc (La
Corte del Pozzo).
Commenti: La riunione conviviale della Delegazione ha
offerto l’occasione di concedersi una raffinata cucina italiana a Brisbane. Il menu partiva da una selezione di calamari fritti con rucola, bresaola
con uova e pizze miste. Gli
Accademici hanno poi gustato delle eccellenti pappardelle
al ragù d’anatra come piatto
di accompagnamento. “Beccofino” è ben conosciuto per
la sua panna cotta e durante
la serata se ne è capito il motivo. Tutti i piatti sono stati accompagnati da un assortimento appropriato di vini. A
questa meravigliosa serata ha
partecipato, quale ospite speciale, la produttrice televisiva
Carole Horne. Una piacevole
cena con un’eccellente qualità
dei cibi proposti e un buon
rapporto qualità/prezzo.
Le vivande servite: peperoni alla piemontese; agnolotti
del “plin” al burro e salvia;
brasato al vino rosso con purea di patate; torta di pere e
cioccolato.
I vini in tavola: Roero Arneis Docg 2009 Le Madri,
Dolcetto d’Alba Doc 2009 Le
Coste, Barbera d’Asti superiore Doc 2006 I Cipressi della Court (tutti di Michele
Chiarlo).
Commenti: La cena è stata
dedicata alla cucina piemontese, con piatti tradizionali
della regione preparati dal
giovane chef Pier Paolo Picchi, di origine chiaramente
toscana, ma grande conoscitore della cucina del Piemonte, dove ha studiato e lavorato all’inizio della sua carriera.
Non potevano mancare quindi i peperoni ripieni, i caratteristici agnolotti del “plin” e
un brasato di manzo molto
saporito, oltre ai buoni vini
di Michele Chiarlo, uno dei
più rinomati viticoltori piemontesi. Come gradita sorpresa, non prevista nel menu, il Simposiarca Marco
Fracchia (nato a Casale Monferrato) ha fatto servire il formaggio castelmagno con la
tradizionalissima “cugnà”.
SAN PAOLO SUD
25 aprile 2011
Ristorante “Così” di Renato
Carioni e Leonardo Recalde,
fondato nel 2011. ●R. Jacques Felix 381, San Paolo;
=011 36720089; coperti 74.
●Parcheggio custodito; prenotazione necessaria; ferie
mai; giorno di chiusura nessuno. ●Valutazione 8; prezzo € 60,00; accogliente.
Le vivande servite: uova
mollet in camicia alla crema
di funghi porcini e ragù di
asparagi freschi; spalla di
agnello con semolino al tartufo e minicarote glassé; pesce al forno con miniverdure
e pesto alla genovese; torta
brulée al limone con salsa di
fragole.
a un folto gruppo di Accademici delle due Delegazioni
della città.
GIAPPONE
TOKYO
26 maggio 2011
Ristorante “Osteria Pippo’s”
di Salvatore Garraffo, fondato nel 2010. ●Al pianterreno dell’hotel “Avanshell”,
2-14-14 Akasaka, MinatoKu, Tokyo; =03 3588 4568;
coperti 30. ●Parcheggio nelle
vicinanze, facile, a pagamento; prenotazione consigliabile; ferie mai; giorno di
chiusura domenica. ●Valutazione 7,84; prezzo yen
10.000; moderno, semplice,
accogliente.
Le vivande servite: carpaccio di pesce del giorno; maccheroni alla Norma; risotto
alla pescatora; ghiotta alla
messinese; involtini di vitello
alla palermitana con broccoli
saltati; cassata, cannolo alla
siciliana.
I vini in tavola: Don Pietro
bianco e Don Pietro rosso
(Spadafora).
I vini in tavola: Spumante
Duca di Salaparuta brut riserva; Chardonnay Grecanico e
Nero d’Avola, Piana dei Cieli;
Passito di Pantelleria.
Commenti: È da vari anni
che la Delegazione accompagna l’attività di Renato Carioni e mai è stata delusa. Anche in questo caso, nel suo
nuovo ristorante, in un ambiente semplice ma di molto
buon gusto, i convitati sono
stati piacevolmente sorpresi
dall’eccellenza della sua cucina. Grande entusiasmo ha
suscitato l’uovo mollet o bazzotto, infarinato e fritto al
punto giusto e con il tuorlo,
ben morbido, accompagnato
da soave crema. La spalla di
agnello tenera e saporita. Il
pesce freschissimo: un vero
piacere per i commensali.
Sorpresa al dessert con la
presentazione della torta al
limone con i colori della bandiera italiana per ricordare i
150 anni dell’Unità. Purtroppo non altrettanto positiva la
qualità del vino. Ma questo
in Brasile è un discorso a
parte: le imposte per l’importazione dei vini europei sono
molto alte. Una gran bella serata che ha visto la partecipazione del Delegato onorario
Marco Marmiroli della Delegazione di San Paolo insieme
Commenti: Locale di recente apertura al centro di
Tokyo, nel prestigioso quartiere di Akasaka, si rifà alle
tradizionali ricette siciliane.
Salvatore (Pippo) Garraffo,
chef siciliano di Paternò, affiancato da Sebastiano al servizio, siciliano di Siracusa, ha
proposto un mix di ricette
tradizionali, non comuni da
trovare oltre i confini dell’isola. Il carpaccio di pesce, nobilitato dal profumo di agrumi, ha indicato immediatamente che la serata sarebbe
stata un successo. I maccheroni alla Norma, profumati e
“veri”, seguiti da un risotto alla pescatora, hanno confermato l’impressione positiva,
per poi culminare con una
strepitosa ghiotta alla messinese, preparata con ventresca di pesce spada, apprezzatissima. L’involtino di vitello alla palermitana, profumato alla scorza di limone e i
broccoli stufati con cipolla e
vino rosso, interessanti, hanno deliziato i numerosi convitati. I vini, selezionati da
Pippo, buoni e originali, si
sono perfettamente accom-
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 3
V I T A
D E L L ’ A C C A D E M I A
GIAPPONE segue
pagnati alle pietanze. A finire
una cassata siciliana profumata e freschissima, un cannolo di ricotta gustosissimo,
preparati personalmente da
Pippo, hanno coronato il
successo della serata, terminata con un sensazionale
Passito di Pantelleria. Il prezzo, in rapporto al menu e al
servizio, garbato e attento, è
stato più che ragionevole.
QATAR
DOHA
9 maggio 2011
Ristorante “Teatro” del “Four
Seasons Hotel”. ●Parcheggio
custodito; prenotazione consigliabile; ferie mai; giorno
di chiusura nessuno. ●Valutazione 8; prezzo € 70,00;
raffinato.
Le vivande servite: cono di
polenta e baccalà mantecato,
capasanta avvolta nel bacon
e lenticchie di Castelluccio,
gamberone in crosta di mandorle con macco di fave e ricotta; ravioli di melanzane affumicate e pecorino stagionato di Pienza; filetto di dentice
scottato, cuscus al nero di
seppia, guazzetto di cozze e
vongole del Mediterraneo;
torta alla ricotta con ananas
marinata e il suo coulis.
I vini in tavola: Chardonnay 2008, Forchir; Rosso di
Montalcino 2008, Castiglion
del Bosco.
Commenti: Particolarmente
raffinata la riunione conviviale organizzata dalle Accademiche Danielle Khoury e Basma Borno. Nel corso della
serata la Delegata Maria Grazia Mattarella ha passato le
consegne a Danielle Khoury.
Elegantissime le tavole preparate dal ristorante e piacevolissima l’atmosfera resa ancora più accogliente da una
pianista di talento. Lo chef
Matteo Arvonio, da poco arri-
vato a Doha, ha entusiasmato con la sua cucina che unisce tratti regionali siciliani,
come il macco di fave e il cuscus di pesce, con accostamenti nuovi. Particolarmente
apprezzati sono stati i ravioli
di melanzane affumicate con
il pecorino di Pienza. Buoni i
vini.
STATI UNITI
LOS ANGELES
27 aprile 2011
Ristorante “Ado” di Antonio
Murè e Paolo Cesaro, fondato nel 2009. ● 796 Main
Street, Venice; =310 399
9010; coperti 60. ●Parcheggio con servizio di valet
parking; prenotazione consigliabile; ferie mai; giorno di
chiusura nessuno. ●Valutazione 8,20; prezzo us$
100,00.
Le vivande servite: tartare
di tonno al cucchiaio; bruschetta al granchio; canapè al
caviale; prosciutto d’anatra
casereccio con salsa al dolcelatte; fegato d’oca con pane
brioche e purè di pere caramellate; tagliolini di rape rosse con ragù di quaglia al Marsala su fondue al taleggio; raviolini di coda alla vaccinara
in salsa d’aglio arrosto e rosmarino; dentice alla griglia
con “cucuzza” e salsa di sanguinelle; filetto di cervo con
purè di fagioli bianchi in salsa di lampone e Porto bianco; pastiera napoletana.
I vini in tavola: Prosecco
Isabella; Barone di Villa
Grande, Etna bianco superiore; Elixir Gewurztraminer;
Barbaresco Pio Cesare; Lieti
Conversari, Manzoni bianco;
Amarone della Valpolicella
classico, Corte Linguin; Malvasia Passito delle Lipari, Villagrande.
Commenti: Il ristorante ha
sede in una casetta caratteri-
stica a due piani, fino al 1908
sede della Pacific electric
railway. La cucina di Antonio
Murè si contraddistingue per
il notevole estro creativo, la
grande ricercatezza nella
qualità dei prodotti esclusivamente reperiti nei mercati locali e l’originale presentazione di piatti preparati con
un’attenta combinazione di
sapori, talora contrastanti o
giustapposti. Lo chef riesce a
combinare sapientemente
piatti tipici della sua regione
natale, la Sicilia, con la cucina tipica del Nord Italia e in
particolare del Veneto, regione in cui è avvenuta la sua
formazione. Il servizio attento e informale bene si adatta
alla clientela eclettica della
zona e a quella più esigente
internazionale che ama ritrovarsi da “Ado”. Per la riunione conviviale era stato concordato un menu ispirato all’Unità d’Italia che lo chef ha
appassionatamente illustrato.
NEW JERSEY
18 maggio 2011
Ristorante “Bella Italia” di
Salvatore Granata, fondato
nel 1972. ● 535 Central
Avenue, Orange; = 973
6785538, fax 973 6782673;
coperti 250. ● Parcheggio
custodito; prenotazione
consigliabile; ferie mai;
giorno di chiusura lunedì.
●Valutazione 8; prezzo us$
75,00; tradizionale.
Le vivande servite: antipasto rustico; vari formaggi; insalata caprese; trittico di paste (trenette al pesto, spaghetti alla carbonara, ziti al
pomodoro); braciola di manzo; vitello al limone; salsiccia
con broccoli di rapa; panettone; sfogliatelle napoletane,
cannoli siciliani.
I vini in tavola: Prosecco
Ruffino; Nero d’Avola 2008,
Feudo Arancio; Pighin Friuli
Grave Pinot grigio 2008.
Commenti: Con questa riunione conviviale, il Simposiarca, Delegato Carlo Porcaro, ha voluto celebrare i 150
anni dell’Unità d’Italia. Ospite
graditissimo il console italiano del New Jersey, Andrea
Barbaria, che ha ricordato la
storia dell’Unità d’Italia, il
contributo degli italiani alla
crescita dell’America e ha
chiuso il suo intervento con
un simpatico “Good bless
America” e “Viva l’Italia”. Lo
chef e proprietario del ristorante, Salvatore, ha preparato
piatti reppresentativi del
Nord e Sud della penisola e
ha fatto sì che in ogni portata
venissero riportati i colori
della nostra bandiera. Ambiente molto accogliente e
servizio impeccabile hanno
contribuito alla buona riuscita
della serata. Tra i piatti, molto
graditi i tre assaggi di paste e
tra i secondi il vitello al limone. Generalmente apprezzati
i dolci e i vini che hanno accompagnato le vivande.
VIRGINIA
14 maggio 2011
Ristorante “Panino” di Lydia
Patierno, fondato nel 1991.
●9116 Mathis Avenue, Manassas; =703 335 2566; coperti 80. ●Parcheggio comodo; prenotazione consigliabile; ferie Natale, Capodanno, 4 luglio, Thanksgiving;
giorno di chiusura domenica. ●Valutazione 8; prezzo
us$ 72,00.
Le vivande servite: crostini
assortiti; cappellacci di zucca
in salsa di burro e salvia;
branzino con rapini all’aceto
balsamico; pere con parmigiano reggiano e biscotti.
I vini in tavola: Prosecco
Conegliano; Pinot grigio
2009, Sette Ventiquattro delle
Venezie; Orvieto Rasenna
2009, Tenuta Le Velette; Moscato Poggio delle Robinie.
Commenti: Lo chef Lou Patierno, di origine marchigiana, ha dimostrato di aver appreso a fondo l’arte di cucinare sia sull’Adriatico sia negli anni trascorsi a Ferrara e
dintorni. La riunione conviviale, nel ristorante della moglie Lydia, ha avuto un ottimo Simposiarca nell’Accademico Philip Pate, che ha intrattenuto gli Accademici e i
loro ospiti con una brillante
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 4
dotta esposizione, dedicata
in parte alla memoria del
Presidente Dell’Osso che
presenziò all’inaugurazione
della Delegazione. In regioni
come le Marche, ha concluso
il relatore, per la sua natura
semplice e genuina la cucina
locale è “facile da apprezzare” e “facile esca alla conversazione tra i commensali”.
WASHINGTON
3 maggio 2011
Ristorante “Bibiana” di
Ashok Bajaj, fondato nel
2009. ●100 New York Avenue, Washington; = 202
216 9550; coperti 120.
●Parcheggio custodito; prenotazione consigliabile;
giorno di chiusura domenica. ●Valutazione 8; prezzo
us$ 100,00; familiare.
Le vivande servite: stuzzichini, arancini di riso allo zafferano con piselli, prosciutto
e mozzarella; bucatini con
sarde, noci e uvetta; branzino
con caponata; cassata con
crosta di pistacchio e marzapane.
I vini in tavola: Lanzara,
Rosa d’Avola n.v. Fondo antico, Versi Inzolia, Grecanico
2009; Donnafugata, Anthilia
Arsonica, Cataratto 2009;
Hauner, Salina, Nerello Mescalese, Nero d’Avola; Fondo
Antico, Baccadoro Grillo, Zibibbo 2008.
Commenti: La Delegazione
si è riunita in questo piacevole e moderno ristorante nel
cuore della capitale. Il Simposiarca, Joseph Novello, ha
introdotto il menu rifacendosi alla lunga storia delle innumerevoli invasioni che hanno lasciato una profonda impronta nella cucina della Sicilia. Lo chef ha preparato un
menu classico siciliano. Gli
arancini di riso, gialli di zafferano, si presentavano in un
delizioso sugo di pomodoro.
I bucatini erano gustosi, ma
purtroppo le sarde, importate
dal Mediterraneo, risentivano
del lungo viaggio. Ottimo il
branzino adagiato su una caponata che offriva un arcobaleno di colori e sapori. La
cassata chiudeva, con un tocco di origine araba, una cena
buona e gustosa accompagnata da vini bianchi freschi
e originali e da un Nero d’Avola di alta qualità.
C A R N E T
NUOVI
ACCADEMICI
LIGURIA
Albenga e del Ponente Ligure
Enrico Conserva
Erika Noberasco Geddo
D E G L I
A C C A D E M I C I
EMILIA ROMAGNA
CAMPANIA
Bologna
Romano Garagnani
Benevento
Danila Carlucci
Cesena
Piergiorgio Pellicioni
Nola
Enrico Capece Minutolo di Canosa
Parma-Bassa Parmense
Franco Ferroni
PUGLIA
LOMBARDIA
Bergamo
Anna Marina Bisutti
Guardo Colleoni
Donatella De Quarti
Mario Locatelli
Ernesto Tucci
Lecco
Roberto Campidori
Milano Duomo
Alessandro Pisello
Francesco Venturi
Ravenna
Anna Amoroso
Davide Pirone
TOSCANA
Bari
Francesco Montrone
Antonio Padula
Vito Leonardo Plantamura
Francesco Paolo Selvaggi
Maremma (Grosseto)
Raffaele De Luca
Aldo Focacci
Gianemilio Franchini
Luciana Perelli
BASILICATA
Pisa Valdera
Carlo Bellucci
Carlo Borsari
SICILIA
Milano Navigli
Anna Besozzi
UMBRIA
Sondrio
Grazia Rossi
Orvieto
Luigi Lionetti
Giuseppe Marsala
VENETO
Pollino-Policastro
Michele Manzi
Nicola Trotta
Catania
Rosanna La Piana
Lucia Silvana Roccasalva
Enna
Dante Ferrari
Michelangelo Fabio M. Montesano
Stefania Rizzo
Marina Taglialavore
LAZIO
Cortina d’Ampezzo
Luigi Alverà
Civitavecchia
Daniela Etna
SARDEGNA
Gallura
Fabrizio Ruggero
Legnago-Basso Veronese
e Polesine Ovest
Ernesto Bassani
Ciociaria (Frosinone)
Gianfranca Pirolli Spinelli
Treviso-Alta Marca
Enzo Stefanelli
Roma Appia
Maurizio De Carli
Vicenza
Valentino Campagnolo
Walter Faggin
Giovanni Periz
ABRUZZO
Montreal-Quebec
Giuseppe Pascale
Pescara Aternum
Enio Barbarossa
Toronto-Ontario
Stephen Bianco
FRIULI-VENEZIA GIULIA
MOLISE
Muggia-Capodistria
Gloriana Candusso
Termoli
Ettore Fabrizio
CANADA
GERMANIA
Francoforte
Vincenzo Mancuso
Daniel Sailer
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 5
C A R N E T
D E G L I
A C C A D E M I C I
QATAR
PRINCIPATO DI MONACO
Doha
Marco Dondi
Therese Haddad Asfour
Monaco
Marianne Sparr
(dalla Delegazione di Monaco di Baviera)
SINGAPORE-MALAYSIA-INDONESIA
VARIAZIONE INCARICHI
Singapore-Malaysia-Indonesia
Marco Bardelli
Giovanni Bussu
LIGURIA
Tigullio
Delegato onorario
David Mario Bixio
Delegato
Giorgio Cirilli
SPAGNA
Madrid
Leonardo Visconti di Modrone
Accademico onorario
LOMBARDIA
Destra Oglio
Delegato
Giovanni Bovis
STATI UNITI
Boston
Francesco Colangelo
Salvatore Napoli
Anthony Pannozzo
Lecco
Delegato
Claudio Bolla
Chicago
Roberto Baldi
Enrico Benedetti
Marco Casalino
Michele Gambera
Alfredo Longhi
Joseph Talarico
Chiara Toffanin
Heinrich Plunger
Consultori
Hugo Agostini
Bruno Barbieri
Aldo Clementi
Dario Dal Medico
Martin Hora
Josef Alois Pircher
Raoul Ragazzi (Segretario)
FRIULI-VENEZIA GIULIA
Muggia-Capodistria
Delegato onorario
Dario Samer
Delegato
Euro Ponte
Vice-Delegati
Maurizio Tremul
Marino Vocci
Consultori
Michela Angelini
Sergio Ashiku
Veit Karl Heinichen
Luciano Pastor
Alessandro Piazzi (Tesoriere)
Alida Rova Ponte
(Segretaria)
TRENTINO-ALTO ADIGE
Bolzano
Delegato
Giancarlo Massari
Vice-Delegati
Jone Isabella Beretta
(Segretaria Tesoriera)
Matteo Paolo Bonvicini
Consultori
Sergio Coletti
Otto Cologna
Andrea Galantini
Carlo Perseghin
Paolo Prinoth
Ferruccio Rosanelli
New York Soho
Giorgio Gorini
Gabriel Monzon Cortarelli
TRASFERIMENTI
PIEMONTE
Torino
Shouei Chin Bertoldo
(dalla Delegazione di Tokyo)
Bressanone
Delegato
Piergiorgio Baruchello
LIGURIA
Riviera dei Fiori
Carmelo Mazza
(dalla Delegazione di Milano Duomo)
Merano
Delegato
Ferdinand Tessadri
Vice-Delegati
Piero Bernabè
EMILIA ROMAGNA
Cesena
Delegato
Norberto Fantini
Piacenza
Delegato
Giovanni Marchesi
Salsomaggiore Terme
Delegato
Roberto Tanzi
Parma-Bassa Parmense
Delegato
Massimo Gelati
Consultori
Pietro Silva (Segretario)
Giulio Dall’Olio
Roberta Paladini
Chiara Prati
Danilo Ranieri
Giuseppe Scaltriti
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 6
C A R N E T
LAZIO
Latina
Consultrice
Annunziata Raponi Perroni
Roma Eur
Delegato
Claudio Nacca
Vice-Delegato
Giacomo Cavallo
Consultori
Fiorella Collalti Giuffrida
(Segretaria Tesoriera)
Massimo Grimaldi
Tiziana Marconi
Maurizio Minotti
Francesco Ricciardi
CAMPANIA
Napoli-Capri
Delegato
Elio Palombi
Delegato onorario
Massimo Pisani
D E G L I
A C C A D E M I C I
Delegato onorario
Franco Ceciarelli
EMILIA ROMAGNA
Ferrara
Claudio Gulinelli
QATAR
Doha
Delegata
Danielle Khoury
Reggio Emilia
Gianni Franceschi
TOSCANA
SINGAPORE-MALAYSIA-INDONESIA
Arezzo
Enrico Romanelli
Singapore-Malaysia-Indonesia
Accademico onorario
Folco De Luca Gabrielli
Empoli
Mario Caponi
STATI UNITI
Maremma (Grosseto)
Mario Fratini
Houston-Texas
Delegata
Susan Apple Magnani
San Francisco
Tesoriere
Claudio Tarchi
CAMPANIA
Napoli-Capri
Maria Orsini Natale
PUGLIA
ARGENTINA
Buenos Aires
Consultore
Antonio Paolini (Tesoriere)
AUSTRALIA
Melbourne
Tesoriere (ad interim)
Miro Gjergja
LIBANO
NON SONO
PIÙ TRA NOI
Bari
Roberto Gadaleta
LIGURIA
Foggia
Rodolfo Borghesan
Tigullio
Gabriella Castagnola
CALABRIA
LOMBARDIA
Cosenza
Vincenzo Bavasso
Alto Mantovano
e Garda Bresciano
Antonio Langella
Beirut
Joseph Chemali
Denise Safa
MESSICO
Città del Messico
Delegata
Marilena Moneta Caglio
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 7
Aggiornamenti a cura di
CARMEN SOGA, ILENIA CALLEGARO
e LORENA GALLINA
D A L L E
PIEMONTE
BIELLA
GRAND DINER A OROPA
La concomitanza dei 50 anni di
vita accademica della Delegazione con il centocinquantennale dell’Unità di Italia è stata
celebrata con diversi eventi. I
festeggiamenti hanno avuto
inizio nella sede storica presso
il Circolo sociale biellese con le
autorità locali e accademiche.
Quindi, a Torino, una folta rappresentanza della Delegazione
ha partecipato al convegno
sull’Unità d’Italia dove tra i relatori c’era l’Accademico biellese Giorgio Lozia, storico di gastronomia. Il clou è stato infine
a Oropa dove, in maggio, alla
presenza del Presidente Giovanni Ballarini e di numerosi
Delegati, si è svolto, all’aperto,
un simpatico sketch in dialetto
tra il conte Camillo Benso di
Cavour e sua maestà Vittorio
Emanuele II, impersonati dall’Accademico Massimo Dughera e dal signor Achille Pozzo.
Per i non piemontesi era a disposizione una traduzione. Il
copione era opera dell’Accademico Claudio Aquili. Dopo
uno stuzzicante aperitivo, il
convivio vero e proprio è iniziato con il saluto del Delegato
che ha spiegato la ragione del
menu scelto, in parte fondato
su quello del “grand diner” con
il quale il re e i suoi ministri celebrarono, nel Palazzo reale di
Torino, la proclamazione del
Regno di Italia.
Il menu originale, reperito grazie alla certosina ricerca di
Giorgio Lozia, rivisitato in chiave moderna, è stato sapientemente realizzato da Ivan Ramella e Dino Andreoli con la
regia di Franco Ramella del ristorante “La Croce Bianca”.
A conclusione della giornata,
la giornalista e nuova Accademica Luisa Benedetti ha brevemente dissertato sulla cucina
nei conventi con riferimento al
Biellese. Come da consuetudi-
D E L E G A Z I O N I
ne, il Presidente ha chiuso brillantemente il convivio complimentandosi vivamente e premiando la brigata di cucina e la
Delegazione di Biella. Sempre
a proposito di premi, tutti gli
intervenuti hanno ricevuto come ricordo una “biellina”, tipico recipiente artigianale di terracotta locale, appositamente
creata per l’occasione, e altri
contributi offerti dagli Accademici Bigliocca, Caldesi e Piacenza.
TORINO
CENA A PALAZZO
CAVOUR
La Delegazione, grazie all’iniziativa degli Accademici Ernesto Viganò e Cesare Salvadori,
ha avuta l’opportunità di visitare la mostra dedicata a “Cavour genio, seduttore, gourmet”, ideata e curata dalla contessa Consolata Pralormo. La
mostra era situata nella splendida e suggestiva cornice di
Palazzo Cavour, aperto al pubblico in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, uno dei migliori
esempi dell’architettura barocca del Settecento e dimora di
Cavour, in cui si discussero e si
concretizzarono le sorti della
nuova patria italiana. Nel susseguirsi delle sale gli Accademici hanno potuto carpire i segreti della corrispondenza epistolare tra Cavour e le donne
che lo amarono, ammirare la
raffinatezza delle tavole imbandite per i pranzi di gala e
leggere i menu e le ricette che
famosi cuochi dell’epoca utilizzavano per queste occasioni, servendosi degli utensili
che facevano bella mostra in
una cucina perfettamente ricostruita. Una parte della mostra
è stata dedicata inoltre alle antiche botteghe e laboratori della Torino del 1861, capitale vivace e dinamica del nuovo Regno e in grado di accogliere
nuove idee. Partendo da que-
sti spunti storici è stato elaborato il menu servito durante la
serata in una delle sale del palazzo. Dopo un aperitivo con il
classico Punt e Mes e una buona scelta di stuzzichini, gli
asparagi di Santena con ovette
di quaglia e parmigiano, croccanti e ben conditi, gli agnolotti “al tovagliolo” e una coccottina di riso delle Tenute di
Leri, mentre la faraona era accompagnata da una ratatouille
di verdure. In chiusura un dolce, fresco e ovviamente tricolore, che ha suscitato unanime
consenso. Il servizio è stato rapido e cortese, nell’ambito di
una cornice storica e architettonica ovviamente splendida.
VERBANO-CUSIO-OSSOLA
VINI DI SUCCESSO
A inizio serata, al ristorante “La
Sacca” di Stresa, il Simposiarca
Pompeo Tringali con dovizia di
particolari ha illustrato le caratteristiche del Gewurztraminer,
il vino nell’occasione scelto a
tutto pasto. Successivamente
l’Accademico Gian Mauro Mottini dell’Istituto per l’agricoltura
e l’ambiente di Crodo ha reso
noto che la Commissione d’assaggio della Camera di commercio ha approvato la nuova
Doc Valli Ossolane bianco per
il vino Chardonnay da uve coltivate nei vigneti sperimentali
della scuola stessa, posti a oltre
500 m di altitudine nella valle
del Toce. Infine il dott. Barantani, endocrinologo del Centro
auxologico di Piancavallo, ha
presentato alcune interessanti
considerazioni sul tema “L’alimentazione nel rispetto della
salute”. A fine serata lo chef
Doriani, invitato in sala, oltre a
presentare le sue varie esperienze con grandi maestri della
cucina quali Gualtiero Marchesi
e Roger Vergé, ha illustrato alcune delle sue specialità che
spaziano dalla lavorazione del
pesce a quella delle farine, sia
nel salato che nel dolce, meri-
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 6 8
tandosi un caloroso applauso e
la consegna del piatto dell’Accademia quale riconoscimento
per l’ottimo successo della riunione conviviale. (Pier Carlo
Lincio)
LIGURIA
ALBENGA E DEL PONENTE
LIGURE
CARTOLINE PREALPINE
La Delegazione ha organizzato
un interessante convegno che
ha avuto come ospite la signora
Carla Urban, giornalista e autrice di testi di cultura enogastronomica che ha coordinato anche gli interventi degli altri relatori. Ha quindi dato la parola a
una giovane produttrice di
aglio di Vessalico, poi a un rappresentante degli olivicoltori di
oliva taggiasca, a un esperto di
pesca del Mar Ligure di Ponente, ad agricoltori che coltivano i
famosi carciofi spinosi, gli
asparagi violetti di Albenga e
bellissime piante aromatiche, a
vignaioli che producono Pigato
e Vermentino. Un percorso
ideale che parte dalla piana sino alle Prealpi, con le vallate
che uniscono al Piemonte, e
che si compone nel piatto con
la bontà e la freschezza che
questi prodotti unici possono
donare. È stato proiettato un
documentario trasmesso in televisione proprio sulle storie di
queste zone, e un altro sulla val
Leogra in provincia di Vicenza,
entrambi girati dalla signora Urban su temi legati al cibo: dai
caprini stagionati ai formaggi di
malga di Schio alla soppressa
di Malo, ai dolci di Costabissara
e al miele di Leguzzano. Diverse Prealpi, diverse regioni e diverse tradizioni, unite dall’impegno di chi lavora la terra, e
dalla cultura del territorio che
diventa aggregazione in un’Italia unita a tavola con alimenti
che l’uomo e la natura offrono
a chi li sa apprezzare. La sala
era gremita da numerosi Acca-
D A L L E
demici, da tutti gli allievi dell’ultimo anno dell’istituto alberghiero di Alassio con i loro
docenti, e da un folto pubblico
di cittadini: tutti hanno ascoltato con vivo interesse questi
racconti che hanno donato
spunti di riflessione per una
migliore conoscenza dei prodotti che compongono l’essenza di una cucina italiana di
qualità. (Roberto Pirino)
GENOVA
A SCUOLA
CON LA TRADIZIONE
La Delegazione, quasi al completo, e con numerosi amici e
ospiti, si è riunita presso l’istituto professionale alberghiero
“Marco Polo”, ospite dell’Accademico di Asti e Direttore del
Centro studi territoriale della
Liguria, Enrico Alloero, preside
dell’istituto. La Delegazione è
stata accolta con grande gentilezza e professionalità, ma anche con amicizia. Un’occasione importante per approfondire la conoscenza di questo istituto, assai noto e stimato, che
cerca di formare al meglio coloro che dovranno tenere alto
in futuro il nome e le caratteristiche della nostra cucina. La
formazione di questi giovani è
il migliore presupposto per ritenere che la cultura della buona tavola possa avere un
confortante avvenire. Professori e studenti hanno predisposto
al meglio una cena che ha avuto come tema conduttore “Le
erbe del nostro territorio” e il
loro impiego nella cucina genovese. Lo stesso preside ha
voluto, con una breve introduzione, porre in evidenza la presenza e la funzione fondamentale delle erbe nell’alimentazione tradizionale delle popolazioni liguri che, nonostante il
diretto rapporto con il mare,
hanno saputo valorizzare i prodotti di un’agricoltura di tradizione mediterranea svolta in
condizioni ambientali assai di-
D E L E G A Z I O N I
sagiate. È stato molto apprezzato, per le scelte tradizionali e
innovative nello stesso tempo,
il menu offerto nella circostanza. Dopo un inizio leggero con
un aperitivo con stuzzichini, ha
servito a tavola, in un’atmosfera serena e rilassata, un gruppo
di studenti, sotto lo sguardo attento del docente che li prepara per il servizio di sala: il risultato è stato di notevole professionalità. Il menu si apriva con
la cima magra del Ponente ligure con salsa di fave e menta,
un’antica ricetta ben difficile
ormai da assaporare in altri
contesti. Hanno fatto seguito
due primi: cucuzzù in passato
di legumi e cereali e pansotti
ripieni con “prebuggiun” in
salsa di noci all’antica, quest’ultima, come si dovrebbe, senza
panna a falsare il sapore originale. Notevole l’apprezzamento del cosciotto di cappone ripieno su giardinetto all’agrodolce; coreografico e anche
molto gradito il dessert, insalata di frutta flambé con sorbetto
al limone e salsa di fragola.
Il tutto innaffiato da un Dolcetto d’Asti (azienda agricola Montarello di Vigliano d’Asti) e Zibibbo passito delle cantine Pellegrino di Marsala (Trapani).
Un applauso convinto e riconoscente ha salutato gli ideatori
e gli artefici del convito, che si
sono affacciati in sala alla fine
del pranzo. Un modo cordiale
per dimostrare l’apprezzamento dei commensali per la capacità dei professori e degli studenti di tenere fede al motto
dell’istituto, che recita “De
ospitalitatis arte”. (Paola Massa)
LOMBARDIA
ALTO MILANESE
DUE ESPERIENZE
“POVERE” D’ALTRI TEMPI
Il teatro della memoria e la fantasia che è insita in ogni uomo
sono stati certamente solleticati
dalle due esperienze consecu-
tive che gli Accademici della
Delegazione hanno voluto
proporre anche agli amici,
coinvolgendoli in riunioni conviviali proiettate a ritroso nel
tempo. Un primo riuscitissimo
esperimento è stato realizzato
grazie all’impegno delle Accademiche Adelisa Ferrario e
Ambrogina Pravettoni che, con
l’aiuto del Consultore Ezio Croci, hanno realizzato personalmente una cena della domenica di una famiglia contadina di
fine Ottocento.
Al posto del solito piatto unico
che veniva proposto sui deschi
quotidiani, la cena ha avuto
esordio con un assaggio di salame crudo a pasta morbida
proveniente dalla zona di Luino e una mortadella di fegato
cotta, calda e fumante accompagnata dal “brusco” (verdure
scottate nell’aceto) e dal pane
giallo realizzato da un panettiere che ancora conserva le indicazioni delle vecchie miscele
di farine e cuoce l’impasto nel
forno a legna. Trionfo della cena è stato comunque il primo
piatto (quello che da sempre
serviva per riempire lo stomaco dei numerosi componenti
della famiglia e sedare i morsi
della fame). Seguendo con certosina cura la ricetta ritrovata
fra gli appunti di cucina della
sua famiglia, Adelisa ha realizzato una minestra di “ris e erburin” che ha catturato l’olfatto
di tutti sin dalla sua presentazione col profumo di prezzemolo e l’intenso aroma di brodo di manzo, ottenuto con ossa e parti poco nobili ma molto
saporite.
La qualità di riso utilizzato
(Baldo) ha consentito di dare
quella giusta cremosità alla minestra. Durante la serata poi si
è avuto in interessantissimo intervento del dott. Giacomo
Molaschi relativo alla cultura
del riso e sulle motivazioni che
inducono sempre di più i consumatori a restringere il loro
campo di scelta del riso a una
o al massimo a due o tre qualità. Le altre portate, pur otti-
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me, sono scivolate un po’ in
sordina anche se non è giusto
che le cipolle con la lonza di
maiale e la torta di pane vengano passate sotto silenzio.
La seconda iniziativa, sulla scia
di quella promossa poco tempo fa dal Comune di Busto Arsizio, è stata di organizzare una
“cena bustocca” così come raccontata nel volume di Carlo
Azimonti, recentemente riedito, che contiene una vasta
gamma di pietanze dense dei
sapori legati agli ingredienti e
alla cultura locale. Grazie alla
collaborazione dello chef Davide Crespi di Busto Arsizio è
stata imbandita una tavola che
ha visto susseguirsi, in ordine
crescente di gusto e “untuosità”, mondeghili, polpette di
verze alla maniera bustocca,
“pulti fasoeu e verzi”, risotto
con vino rosso e basilico, “stuà
in conscia”, “rustisciana”, e per
chiudere il dolce: “pan moeui”.
Quale annotazione storica particolare si ricorda che lo “stuà
in conscia” (volgarmente lo si
potrebbe avvicinare a uno stracotto di carne e patate, anche
se le sue origini sono ben più
nobili) era conosciuto anche
come piatto dei promessi sposi
poiché era quello che la famiglia della ragazza preparava la
sera in cui il fidanzato veniva
ammesso ufficialmente a visitare in casa la fidanzata. Le varie,
abbondanti portate sono state
inframezzate da piccole soste
che hanno condotto gli Accademici nella cucina, dove lo
chef e i suoi collaboratori hanno mostrato in diretta l’ultimazione di alcune pietanze. L’interesse suscitato dalle due
esperienze ha indotto gli Accademici a confermare il convincimento di quanto sia necessario concentrare l’attenzione e
l’impegno sulla strada intrapresa qualche anno fa, così da riscoprire e se possibile canonizzare in modo definitivo alcune
preparazioni di piatti che stanno purtroppo scomparendo
dalla nostre tavole. (Franco
Rossi)
D A L L E
VENETO
EUGANIA
BASSO PADOVANO
CONSEGNATA
LA BORSA DI STUDIO
“GIUSEPPE DELL’OSSO”
D E L E G A Z I O N I
Un menu realizzato con maestria che ha confermato l’alto livello dell’alberghiero di Montagnana, che in effetti attira studenti anche dai territori vicentino e veronese.
TREVISO-ALTA MARCA
È stata intitolata a Giuseppe
Dell’Osso la borsa di studio
con cui la Delegazione ha voluto premiare un neodiplomato, con il massimo dei voti,
dell’istituto professionale alberghiero e per la ristorazione
di Montagnana. Nel contesto
di una cerimonia semplice ma
significativa, svoltasi presso il
rinnovato istituto “Jacopo da
Montagnana”, il Delegato Pietro Vincenzo Fracanzani, accompagnato dal Segretario
Bruno Businarolo e dal Consultore Piero Massagrande, ha
consegnato all’alunno Massimo Rizzo, attualmente brillante studente di Scienze e tecnologie agroalimentari all’Università di Padova, un assegno di
500 euro e una pergamena.
Erano presenti la dirigente
scolastica dottoressa Emilia
Tornincasa, il professor Andrea Ferrarese, docente di sala
bar, e numerosi altri docenti,
oltre ai genitori del ragazzo. È
seguito un pranzo preparato
dagli studenti della classe terza,
sotto la guida del professor Riccardo Malanchin: strudel di spinaci e prosciutto; tortello bianco di pollo e fegato grasso in
crema d’asparagi; petto d’anatra al miele e spezie; tortino di
ricotta con salsa all’arancia, tutto innaffiato da Chardonnay
Doc Colli Euganei, Valpolicella
Doc Ripasso e Fior d’Arancio
Doc Colli Euganei.
A TAVOLA
CON I FRATI CAPPUCCINI
La vicinanza a Venezia è, per i
trevigiani, una ricorrente tentazione di visitarla per goderla
sempre più compiutamente
con l’approfondimento della
sua affascinante storia e delle
sue tradizioni anche gastronomiche. Questa volta la Delegazione, quasi al completo, ha
voluto visitare l’isola della Giudecca con la basilica del Redentore e l’annesso convento
dei frati cappuccini. La visita,
ben organizzata grazie all’interessamento della Dogale confraternita del baccalà mantecato, ha avuto il suo inizio, già
sulla barca, con gli interventi
dello storico Lazzaro Marini,
che, con grande competenza,
ha tracciato un’affascinante
spiegazione delle storie patrizie che i palazzi circostanti gli
suggerivano. Storie minori che,
però, consentono di percepire
meglio il modo di vivere di
quella grande società marinara
che è stata la Repubblica Serenissima. Arrivati alla Giudecca,
la Delegazione è stata accolta
da frate Andrea, un giovane
cappuccino che ci ha subito
introdotti nella sua comunità,
tracciandocene la storia che risale alla prima metà del Cinquecento. I segni di quel periodo si possono trovare presso la chiesetta di S. Maria degli
Angeli, consacrata nel 1536. A
fianco è stata elevata una seconda chiesetta più capiente,
oggi preferita dai frati (circa
25) per svolgere le loro funzioni religiose. Il convento si
sviluppa a fianco della basilica
del Redentore e, attraverso
successivi chiostri e un ampio
terreno ricco di vegetazione
utilizzato in parte come orto,
si accede alla laguna. La prima visita è stata dedicata all’antica farmacia, dove si conservano alambicchi e vasi nei
quali una volta tutti i farmaci
venivano preparati artigianalmente. Il percorso ha interessato successivamente la biblioteca, ricca di opere consultate anche da studiosi
esterni, soprattutto quelle di
argomento teologico, filosofico e pedagogico. La Delegazione, poi, è stata ospitata nel
refettorio per gustare i piatti
cucinati personalmente dai
frati. Per l’occasione è stato
offerto, come primo piatto, un
minestrone vegetale gustosissimo con i prodotti dell’orto
del convento e, come secondo, una loro specialità costituita dal baccalà alla cappuccina cucinato da frate Agostino, un personaggio semplice
e sempre sorridente, che alla
fine non ha fatto alcuna difficoltà a darci la sua ricetta, che
risulta essere la più semplice
tra quelle conosciute, solitamente arricchite con pinoli e
uvetta. In verità a Venezia il
baccalà è quello mantecato
ma bisogna riconoscere che, a
parere dell’Accademico Ranieri Da Mosto, anche lui gradito ospite e relatore su vari e
simpatici aneddoti di storia
veneziana, è conosciuta anche la ricetta del baccalà alla
cappuccina, da attribuire proprio ai frati cappuccini. Essere
con la comunità dei religiosi,
insieme a tavola nel loro refettorio, è stato un privilegio
che tutti gli Accademici hanno
apprezzato insieme al cibo, di
ottimo livello. Il loro baccalà
alla cappuccina, realizzato
con la migliore qualità di baccalà procurato tramite la Dogale confraternita, ha avuto
unanimi consensi per il gusto
delicato e armonico. Al padre
guardiano, responsabile di tutta la comunità religiosa, è stato donato il libro dell’Accademia “La cucina delle festività
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religiose”, proprio per significare l’impegno accademico di
perseguire e salvaguardare la
cultura della buona tavola e
per rendere atto che anche le
comunità religiose, nei secoli,
hanno contribuito a conservare ricette e piatti che sono arrivati fino a noi. La visita si è
conclusa alla basilica del Redentore, progettata dall’architetto Andrea Palladio nel 1577
e voluta dal Senato della Repubblica, che aveva fatto voto
di costruire una chiesa intitolata al Redentore se fosse cessata la peste. Ci ha accompagnato in basilica, illustrandone
gli innumerevoli significati
simbolici, il giovane frate Davide. Presso la sacrestia ci si è
trovati di fronte a un vero e
proprio museo con opere dei
più importanti pittori vissuti a
Venezia. Lo storico Marini, infine, ha completato il percorso
con interessanti interventi sugli altari laterali e le varie connessioni ai personaggi veneziani che hanno condizionato
la storia della basilica. (Nazzareno Acquistucci)
VENEZIA
LONTANO DALL’OMBRA
DEL CAMPANILE
Il desiderio di allontanarci dall’ombra del campanile di San
Marco per il tempo di una riunione conviviale, ha condotto
gli Accademici della Delegazione a Jesolo. Il ristorante “Da
Guido”, molto conosciuto nella zona, è stato scelto dall’Accademico Simposiarca Beppe
Saccomani. Siamo stati accolti
con simpatia nella spaziosa sala e nell’ampio giardino. Il menu, molto vario, ha soddisfatto
quasi tutti i commensali ed è
stato preparato con cura da
Guido, che si è soffermato un
po’ a lungo sulle preparazioni
di pesce crudo. Per l’aperitivo,
c’erano tante piccole delizie
“di cotte e di crude”, con il
classico e insostituibile calice
D A L L E
di Prosecco. A tavola, accuratamente preparata, sono stati
gustati due antipasti molto
particolari: tartate di tonno e
salmone con mascarpone salato, capesante in salsa di sesamo con porcini e polenta fritta,
abbinamenti azzeccati. Risotto
di branzino, buono ma non
troppo; ottimo il filetto di rombo con asparagi. Vino Malvasia del Collio. Gelato di vaniglia con salsa di fragole, bagnato con Moscato d’Asti.
(Laura Ghittino Courir)
VENEZIA
MAGICO MESTOLO
Tanti, tantissimi libri di cucina
ci vengono proposti da anni,
ma fra le innumerevoli pubblicazioni ogni tanto spunta qualcuna che si distingue. È il caso
de “Il mestolo magico”. Un nome semplice che descrive tutta
la genuinità dell’intento. Un libro di famiglia, per la famiglia,
un insieme di ricette facili, genuine, riunite da Maria Teresa
D’Angelo Sponza in anni di ricerche, di prove, di perfezionamenti. Maria Teresa viene dalla
prestigiosa scuola dell’hotel
“Gritti”, fondata da Massimo Alberini, indimenticato Presidente d’onore e, mi piace ricordarlo, appartenente alla Delegazione di Venezia. Ed è proprio
al “Gritti” che Maria Teresa ha
voluto presentare il suo volume, con accompagnamento
musicale mirato nella scelta dei
brani, tratti dal “Flauto magico”,
eseguiti dalla giovane pianista
russa Angela Zhivova. La parte
pratica più significativa, preparata dallo chef Daniele Turco, è
stata quasi una panoramica del
libro, tante erano le proposte
presentate. Nella meravigliosa
terrazza sul Canal grande, con
lo sfondo della basilica della
Salute, abbiamo assaggiato: fiori di zucca fritti, tartine varie,
paté di tonno, mousse di prosciutto, purè di fegatini, uova di
quaglia al prosciutto, salumi,
D E L E G A Z I O N I
spuma di dentice, baccalà mantecato, tortino Filadelfia, mousse della dogaressa, caramel, tenerina di cioccolato, zaleti.
(Laura Ghittino Courir)
VENEZIA MESTRE
UN RISTORANTE
RITROVATO
Riunione conviviale della riscoperta, dopo alcuni anni, del ristorante “Le Guaiane” di Noventa di Piave. Simposiarchi gli
Accademici Carlo Mazzanti,
Florindo De Polli e Paola Comacchio. Il locale è storico: aprì
i battenti verso il 1950, quando
Antonio De Nardi, reduce dalla
prigionia in Germania, decise
di trasformare in trattoria la
vecchia osteria con annesso
negozio di alimentari e generi
vari. La signora Lena aveva gestito da sola osteria e negozio,
durante i difficili anni della
guerra, e già allora si dedicava
ai “cicheti”, ai manicaretti della
tradizione vicentina e alla proposta dei prodotti tipici della
campagna veneziana e trevigiana. Antonio ebbe l’idea di puntare sulla buona cucina, con
piatti che inizialmente erano
quelli caratteristici della cucina
veneta. Successivamente si indirizzò anche verso i piatti di pesce. Nel 1991 la trattoria è entrata a far parte dei “Ristoranti
del buon ricordo”, proponendo
come proprio piatto gli “scampi
sofegài”, sostituito nel 2003 con
il “gransoporo a la venexiana”.
Attualmente il menu è indirizzato prevalentemente verso
piatti di pesce, con una ben nutrita e qualificata lista di vini, sia
nazionali che esteri. Nel 1996 la
famiglia ha trasferito ai propri
collaboratori di cucina e di sala
la gestione del locale, assicurando così la continuità nella
condotta del ristorante, con la
fedele conferma di ogni sua caratteristica. Da diversi anni il locale era uscito da quelli visitati
dalla Delegazione, ma la nuova
esperienza è risultata oltremo-
do positiva. Introduzione, come sempre, dedicata alla cultura dell’alimentazione e della civiltà della tavola, affidata alla
docente universitaria Carla Coco, scrittrice e autrice di diversi
libri, tra i quali “Venezia in cucina” e “Venezia quotidiana”, che
ha affrontato il tema della cucina del pesce a Venezia e nella
terraferma. Appassionata la
presentazione della storia del
territorio del Veneto orientale
da parte dell’Accademico Carlo
Mazzanti, dalle origini della mitica Eraclea ai giorni drammatici
della Grande guerra e della bonifica che permise il recupero
della fertilità di una terra generosa e della salubrità dell’aria,
dopo la falcidia di migliaia di
persone, in tempo di pace e di
guerra, per la malaria. In bella
mostra in tavola, il cartoncino
del menu, i cui piatti sono stati
presentati dall’Accademica Paola Comacchio. Asparagi dorati e
sardoni fritti per un’entrée accompagnata da una Ribolla
gialla di Collavini. Bis di gamberi con verdure abbinato a un
Incrocio Manzoni “Vigna Dogarina”, seguito dal tradizionale risotto di “gò” e, dopo l’immancabile “sgropin”, tre splendidi
esemplari di branzini di mare al
forno con verdure. Per restare
coerenti alla stagionalità della
pesca veneziana, un piatto di
“moeche” fritte su cui si è molto
dissertato tra gli Accademici.
Ospiti nella sua terra, non poteva mancare l’intervento del
collega De Polli, simpatico ricercatore e dicitore di epigrammi che ha recitato una bellissima poesia di Lisa Davanzo,
“Na volta”, in dialetto veneto,
poesia ricca di sentimenti nostalgici per un tempo lontano.
Al termine, i complimenti all’intera brigata di cucina e di
sala, ottimo esempio di una gestione collettiva della ristorazione che ha riqualificato positivamente il locale, e l’impegno
a ritornare per ritrovare i vecchi piatti della tradizione gastronomica della terraferma.
(Ettore Bonalberti)
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FRIULI-VENEZIA GIULIA
PORDENONE
SEDE PRESTIGIOSA
E ABILE IL CUOCO
Luigi Campello ha curato l’organizzazione del convivio di
primavera, ospiti, per la serata,
dell’Unione industriali di Pordenone nella sede di rappresentanza a Palazzo di PrataFerro, conosciuto anche come
Palazzo Klefisch, edificio di interesse storico, situato nel centro di Pordenone. Il Simposiarca, nella sua relazione introduttiva, ha delineato la storia
della residenza signorile. Non
è noto quando il primo nucleo
fu edificato, anche se sembra
attribuibile ai da Prata. Andrea
Benedetti, infatti, scrive che la
famiglia, quando fu proclamata nobile dall’arciduca d’Austria nel 1447, già possedeva la
dimora. L’attuale struttura è il
risultato di successivi riadattamenti nel Seicento e nei secoli
successivi. Lo acquisirono a fine Ottocento i Klefisch, famiglia di origine tedesca, ultimi
proprietari ai quali, nella memoria recente dei pordenonesi, il nome dell’edificio è rimasto legato. Sede prestigiosa e
altrettanto prestigioso il cuoco.
Andrea Spina, cuoco e gestore
con Diletta Pitton del ristorante “Al Gallo” - situato in altro
edificio testimone del passato,
risalente al 1850 - vista la ridotta capienza del suo locale, almeno per il numero di Accademici intervenuti, si è reso disponibile a dare spettacolo
fuori casa, utilizzando l’attrezzatissima cucina di Palazzo
Klefisch. Il tema della seconda
parte della relazione - la laguna in primavera - ha introdotto
anche le peculiarità della cucina di Andrea, che, dopo esperienze in Australia e in California e in alcuni locali di pregio
del Pordenonese, è approdato
a Grado dove ha acquisito i
piatti lagunari. Cucina marinara con attenzione alla stagio-
D A L L E
nalità del pescato e piatti tradizionali rivisitati o, forse meglio,
aggiornati; piatti di pesce povero “arricchito”. Tra questi, Campello si è soffermato sul “boreto
alla graisana”, ricetta tipica depositata dalla Delegazione di
Gorizia, piatto principe della serata. Ne ha ricordato l’origine
dai pescatori che soggiornavano nei casoni della laguna di
Grado, sfruttando il pesce ritenuto non proponibile alla vendita, sicuramente con varietà
non nobili. Olio di semi, aglio e
aceto, che servivano forse a celare la scarsa qualità del pesce,
erano il condimento. Cucinato
in una casseruola di ferro, cosparso abbondantemente di pepe, si consumava con polenta
bianca. Realizzato con il rombo,
diventa pietanza degna della tavola del buongustaio, che lo
apprezza di più se accompagnato da un vino rosso giovane.
Di rilievo l’interpretazione dell’abile cuoco, come, del resto,
l’intera sequenza delle pietanze.
Gradita presenza di Alberto
Marchiori, presidente dell’Ascom. Sentito e doveroso il ringraziamento, a fine serata, del
Delegato Stefano Zanolin agli
artefici dell’incontro, Simposiarca e personale di cucina e di sala. Un grazie particolare all’Unione industriali di Pordenone,
rappresentata dal direttore Paolo Candotti. (Giorgio Viel)
EMILIA ROMAGNA
BOLOGNA-SAN LUCA
IL CENTENARIO
DI EMILIO SALGARI
Dopo due speciali riunioni conviviali dedicate a Guglielmo
Marconi e a Filippo Tommaso
Marinetti e in attesa di quella in
onore di Pellegrino Artusi, la
Delegazione ha voluto ricordare anche Emilio Salgari nel centenario della morte. Nelle Prealpi venete i salici sono chiamati
“salgàri” e il loro nome da sempre si pronuncia con l’accento
D E L E G A Z I O N I
sulla seconda “a” (e in tale modo sarebbe corretto pronunciare anche il cognome del creatore di Sandokan). Nel 1862 Verona ha dato i natali a Emilio Salgari, uno degli scrittori più prolifici, più amati e più sfortunati
del nostro Paese e del mondo
intero. Imperscrutabili e misteriose sono le ragioni per cui la
sventura si sia accanita contro
un uomo come lui, del tutto immeritevole di una così perversa
attenzione. Emilio, afflitto in vita da costanti ristrettezze economiche, tiranneggiato da editori
rapaci, rimaneva immerso in
quei sogni fantastici che sapeva
così mirabilmente trasferire nelle sue pagine, ma proprio per
questo, era incapace di affrontare con concretezza la quotidianità. A un secolo dalla morte
si può affermare che Salgari si è
preso la sua rivincita, perché
possiamo ben dire che sulla sua
opera non appare per ora nessun accenno di tramonto ed è
continuamente ristampata. Il
suo grande limite artistico è
causato dal fatto che doveva
scrivere come un forsennato ed
ecco il perché di tante imprecisioni, ripetizioni, incongruenze,
ma i suoi personaggi sono dei
giganti, scolpiti nell’immaginario collettivo. Abbandonati gli
studi, nonostante l’ardente desiderio di solcare gli oceani, s’imbarcò su una nave mercantile
che faceva il piccolo cabotaggio
nell’Adriatico, fra le coste italiane e dalmate. Si spinse fino a
Brindisi per poi tornare a Venezia dopo tre mesi di navigazione
e ricongiungersi a Verona con la
famiglia. Fu questa la sua unica
esperienza di mare e di viaggi,
la minuscola miccia che accese
la sua fervida fantasia di scrittore
di romanzi esotici e avventurosi.
In meno di trent’anni di attività
letteraria alcuni fra i più importanti editori dell’epoca, Treves,
Bemporad, Paravia e Donath,
gli pubblicarono più di cento
racconti e ottantacinque romanzi, alcuni dei quali raggiunsero
tirature altissime per quei tempi,
sino a sfiorare le centomila co-
pie. In Italia lo leggevano e lo
leggono varie categorie di persone, non solo i ragazzi, perché
i suoi eroi sono intramontabili e
sono l’espressione più genuina
e popolare dell’eterna lotta fra il
bene e il male. L’interesse per
Salgari si è di recente nuovamente allargato al di fuori dei
confini dell’Italia. “Un ragazzo
che legge Salgari non potrà essere razzista”, come affermano
Luis Sepúlveda e Paco Taibo, recente vincitore del premio “Corsaro Nero” che si assegna a Verona. La riunione conviviale si è
svolta, come sempre con grande successo, presso l’agriturismo “Le Conchiglie” a Lagune di
Sasso Marconi, di proprietà dell’Accademico Romano Foschi
che era anche Simposiarca. Il
menu salgariano, preparato brillantemente dagli chef Sandra e
Fabio, era il seguente: tortiglioni
alla Sandokan, medaglioni del
Corsaro Nero, perla di Labuan,
sorseggiando alla fine Arak della
Malesia e Rhum della Giamaica.
Le tre ricette sono state create
appositamente dalla Delegazione. (Maurizio Campiverdi)
CARPI-CORREGGIO
LA CUCINA AUTARCHICA
Buona partecipazione degli Accademici della Delegazione alla
riunione conviviale che è stata
anche l’occasione per lo scambio degli auguri pasquali. Il Simposiarca della serata, l’Accademico Carlo Paolini, ha scelto un
locale della tradizione della Bassa modenese: l’enoteca “Quattrochiacchiere”, una vecchia
osteria ben restaurata e trasformata in enoteca di qualità, dove
ai piatti della tradizione vengono
accostati piatti innovativi. Il locale è situato nel pieno centro di
Mirandola, in una deliziosa piazzetta, e il suo ambiente è caldo e
gradevole. Il Simposiarca, dopo
una breve presentazione del ristorante e la descrizione del menu, ha introdotto il tema della
serata: “La cucina autarchica. Chi
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mangia troppo deruba la patria”.
Relatore l’Accademico modenese Sandro Bellei, autore di molte
pubblicazioni sui temi più vari.
La serata ha dato l’occasione al
relatore di presentare una sua
pubblicazione del 2007 dal titolo
“La cucina autarchica e del tempo di guerra”. Le parole d’ordine
per chi stava ai fornelli e non solo, nel periodo dell’autarchia,
che parte nel 1935 con le sanzioni della Società delle Nazioni all’Italia per l’avventura coloniale
in Africa, erano: semplicità e
niente sprechi. Risparmio e
avanzi, con dignità di ingredienti, danno così vita a una cucina
che si potrebbe chiamare del
“senza”: il brodo senza carne, il
sugo senza carne e così via.
Mentre oggi la sostituzione di un
ingrediente della ricetta serve a
dare un sapore più delicato, a
renderla più leggera o a dare un
gusto diverso, ieri era l’esatto
contrario. La prima parte del libro è più squisitamente storica,
la seconda parte è più propriamente cucinaria, con la riproposizione di ricette dell’epoca tratte
dagli opuscoli che il governo distribuiva alle famiglie per sopportare meglio i rigori che l’austerità del momento comportava, fino a formare una rassegna
di oltre 150 ricette, tutte ripetibili
e tutte ancora di straordinaria attualità, grazie al loro buon apporto nutritivo unito a un basso
contenuto calorico. Il relatore ha
concluso leggendo due ricette
per meglio far comprendere l’atmosfera dell’epoca. (Giuseppina
Baggio Rubbiani)
FAENZA E CASTEL
SAN PIETRO-FIRENZUOLA
OSPITI DEL RIONE GIALLO
In occasione della riunione
conviviale della cultura, le due
Delegazioni si sono ritrovate
per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia presso il Rione
Giallo di Faenza, uno dei cinque rioni che ogni mese di giugno si contendono il Palio del
D A L L E
Niballo e la Bigorda d’oro. La
riunione conviviale è stata molto sapientemente organizzata
dall’Accademico faentino Danilo Tozzi. Il menu prescelto dallo Scalco Tomaso Emaldi ha
fornito l’occasione per introdurre il tema della serata ovvero: “La Romagna ai tempi dell’Unità d’Italia: cucina e storia”.
Il vice-sindaco di Faenza, Massimo Isola, ha affrontato l’argomento da un punto di vista storico, con una dettagliata disamina degli aspetti artistici, letterari ed economici di Faenza. Lo
Scalco Tomaso Emaldi ha dissertato sulla gastronomia romagnola ai tempi dell’Unità d’Italia. Inoltre, nel corso della serata, l’Accademico Danilo Tozzi
ha proposto alcune immagini
rievocative dei palii degli ultimi
vent’anni, che sono state commentate in modo molto interessante dal capo ufficio della Cultura del Comune di Faenza,
nonché organizzatore del palio,
il sig. Aldo Ghetti. In tavola un
menu di stretta tradizione romagnola, perfettamente cucinato dai soci del Rione Giallo:
antipasto tricolore, pinzimonio
di verdure, lasagne al forno,
pollo alla cacciatora con patate,
zuppa inglese, il tutto accompagnato da un idoneo Sangiovese di Romagna. A fine serata,
è seguita la visita del museo
rionale nel quale sono esposti i
trofei vinti nel corso degli anni
e dove trovano collocazione gli
abiti e le armature che vengono
indossati nel corso della sfilata
storica. Nutrita la presenza dei
soci della Delegazione di Castel
San Pietro-Firenzuola con in testa il Delegato Giambattista
Borzatta. (Giovanni Zauli)
D E L E G A Z I O N I
una riunione conviviale dedicata alla presentazione del nuovo
libro dello scrittore Graziano
Pozzetto: “Le minestre romagnole di ieri e di oggi”. Graziano
Pozzetto è giornalista, scrittore,
gastronomo, bibliofilo, ricercatore e divulgatore appassionato.
Ha narrato, in riferimento a fonti, documenti, testimonianze ed
esperienze, l’affascinante mosaico delle ricchezze enogastronomiche che esprimono la civiltà e
la storia del territorio e della sua
gente. Il menu proposto dal ristorante prevedeva, oltre al solito aperitivo con stuzzicheria,
una misticanza con scaglie di
parmigiano, un dessert di fragoloni con gelato e ben cinque minestre: piccoli garganelli in brodo; minestra nel sacchetto (il
sacchetto va riempito con un
impasto di farina, formaggio
vaccino, pangrattato, uova, acqua e latte); pancotto del ricco
(che si ottiene cuocendo lentamente del pane vecchio con acqua o latte, insieme ad aglio o
cipolla tritati; quando si avrà
una densa poltiglia, si aggiungono in pentola tre cucchiai di olio
e una manciata di parmigiano o
pecorino); tortelli di ortica e raveggiolo con strigoli; strozzapreti imolesi con scalogno, pancetta e pomodoro. Graziano
Pozzetto ha concluso poi la riunione conviviale sottolineando
come la stesura del libro gli abbia permesso di incontrare minestre della memoria contadina,
di antica e radicata consuetudine, di identità paesane, con soffritti “matti” perché privi di carne, oppure con brodi “matti”,
anch’essi ottenuti senza carne.
Tali minestre riescono ancora a
raccontare sapori, profumi e
suadenze del cuore e del palato.
(Gianni Mita)
IMOLA
CENA CON
GRAZIANO POZZETTO
REGGIO EMILIA
LA TORTELLATA
Presso il ristorante “Molino Rosso”, gli Accademici della Delegazione si sono riuniti con i soci
del Lyons club di Imola host per
L’ultimo appuntamento della
Delegazione reggiana, prima
della pausa estiva, anche que-
st’anno è stata la tradizionale
tortellata di San Giovanni, organizzata sulle rive di un piccolo lago di risorgiva presso
Castelnuovo di Sotto, nella
proprietà dell’Accademico
Gianfranco Mattioli e della
moglie Mirella. I coniugi Mattioli hanno preparato una tortellata millenaria per numero
di tortelli, cotti e conditi secondo le migliori regole gastronomiche per valorizzare al massimo la qualità di un cibo, di per
sé semplice ma con caratteristiche tali da offrire, quando si
rispetta correttamente la tradizione, i piaceri della grande
cucina. Basti ricordare che i
tortelli alla reggiana vanno
preparati con predominanza di
erbe (bietole e/o spinaci: si
chiamano infatti “tortelli verdi”), molto parmigiano reggiano grattugiato e, se si vuole,
pochissima ricotta, conditi e
quindi consumati dopo un
breve periodo di riposo senza
raffreddare. Il condimento dei
tortelli è così specificato nella
tradizione: “annegati nel burro, che è asciugato con formaggio parmigiano reggiano”.
Tutte queste condizioni sono
state rispettate dai generosi anfitrioni cui è stata espressa la
riconoscenza di tutti. Va anche
detto che i tortelli non sono
stati l’unica delizia per il palato; apprezzatissimi anche il salame “di casa” e un tosone
(striscia di formaggio prima
della salatura) che ricordava
quello di una volta, il gnocco
fritto, senza parlare della monumentale spalla cotta di San
Secondo e dei dessert con frutta, in buona parte degli alberi
del terreno attorno al lago. La
serata è stata anche la migliore
occasione per consegnare agli
Accademici il volume “I menu
del Quirinale”, il cui significato
gastronomico è certamente paragonabile a quello della serata reggiana, ove non è mancata la ormai tradizionale distribuzione del Nocino del Delegato. Vivissimi ringraziamenti
agli ospiti e congratulazioni al-
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la signora Mirella, in funzione
di cuoca, cui le consorti degli
Accademici hanno voluto consegnare un simpatico ricordo
della bella serata unitamente ai
generali sentimenti di gratitudine che, sia pure solo in parte, hanno corrisposto quanto
dovuto alla generosa amicizia
dei coniugi Mattioli. (Cesare
Corradini)
LAZIO
CIVITAVECCHIA
VALORIZZARE
LA ZUPPA DI PESCE
Il Delegato Massimo Borghetti
ha organizzato, con il patrocinio del Comune di Civitavecchia, una manifestazione per
la valorizzazione della zuppa
di pesce civitavecchiese. Per
coinvolgere anche e soprattutto la ristorazione locale, il Delegato si è rivolto alla Delegazione della Federazione italiana cuochi affinché i ristoratori
offrissero la zuppa di pesce a
cittadini e turisti a un prezzo
politico, con l’impegno di ripetere tale offerta tutti i giovedì
fino a settembre.
Alla conferenza, aperta al pubblico, svolta nel pomeriggio in
una sala del Comune di Civitavecchia, alla presenza di autorità cittadine, hanno partecipato quali oratori, oltre al Delegato, anche la preside dell’istituto alberghiero di Civitavecchia prof.ssa Stefania Tinti, e
Pietro Migliaccio della Delegazione di Roma Olgiata Sabazia-Cassia, illustre nutrizionista. Lo scopo della manifestazione, ha detto il Delegato
Borghetti, è quello di sensibilizzare il turismo alla conoscenza della zuppa di pesce civitavecchiese, poiché in tutti i
libri che trattano ricette di cucina vengono solamente citate
la bouillabaisse francese, il
cacciucco livornese, la buridda
ligure e quella sarda, il brodetto anconetano e quello rimine-
D A L L E
se, ma è assolutamente assente
la zuppa civitavecchiese. La caratteristica del nostro mare, poco profondo sotto costa e con
la particolarità di essere forse il
più ricco di iodio d’Europa, è
quella di avere una grande varietà di pesci anche grazie alla
presenza delle alghe posidonie, importantissime per la fauna marina e che danno origine
a vere e proprie praterie sottomarine ricche di vita animale,
ospitando anche idrozoi e
briozoi, alimento essenziale
per polpi, seppie, gamberi e
pesci vari. Alla luce di ciò, la
zuppa di pesce di Civitavecchia, pur se poco conosciuta,
ha il vanto di essere composta
da una grande varietà di pesci,
molluschi e bivalvi pescati sottocosta, che non hanno bisogno di grandi aiuti aromatici
per rendere più sapide le loro
carni. (Massimo Borghetti)
LATINA
TRADIZIONE PASQUALE
Gli Accademici pontini con i
loro amici, fra i quali il prefetto
di Latina dott. Antonio D’Acunto e l’ex presidente del Tribunale di Frosinone dott. Ottavio Archidiacono, si sono ritrovati presso il ristorante “Il Seminario” di Sezze. Era presente all’incontro anche il Coordinatore territoriale nonché Delegato di Roma Appia Publio
Viola, accompagnato dal alcuni membri della sua Delegazione.
L’incontro si è tenuto nella Domenica delle palme e per l’occasione sono stati ricordati i
commoventi versi del poeta
Pietro Mastri: “Lo sai che su
tutti gli altari, oggi benedicon
l’olivo?... Chiedine un piccolo
ramo, di quell’olivo di pace:
portalo a casa con te”. Ascoltando questi versi gli Accademici hanno potuto partecipare
spiritualmente all’evento religioso e rivivere il ricordo dell’infanzia riassaporando le vi-
D E L E G A Z I O N I
vande della tradizione preparate da gastronomi capaci di riconquistare odori e sapori conosciuti, forse perduti ma non
dimenticati. Merito di Gianni
Fiori se siamo riusciti a rivivere
quel passato felice immersi in
una natura ancora incontaminata. All’inizio del convivio il
Delegato Benedetto Prandi ha
rivolto un caloroso saluto di
benvenuto; successivamente il
Vice-Delegato Gianluigi Chizzoni ha comunicato i nomi degli ospiti.
Ha preso quindi la parola la
Simposiarca della manifestazione Anna De Donato Nascani che ha tenuto un’interessante relazione sul carciofo, facendo anche ricorso a ricordi
mitologici. Per il brindisi accademico è intervenuto Publio
Viola che, dopo aver ricordato
la bontà del carciofo e dopo
averne messo in evidenza la
ricchezza in sostanze antiossidanti capaci di combattere l’invecchiamento, ha invitato tutti
a brindare insieme per rinnovare l’amicizia. Per quanto riguarda l’aspetto prettamente
gastronomico della manifestazione, il pranzo è stato di alto
livello; fra le pietanze presentate un particolare apprezzamento hanno meritato l’antipasto al “Seminario”, i tonnarelli
ai carciofi e il secondo rappresentato da capretto e pollo al
forno. L’ambiente familiare,
accogliente e rustico ha facilitato i rapporti reciproci di amicizia; i vini bianco e rosso della cantina Villa Gianna sono
stati apprezzati. Il convivio è
terminato con il suono della
campana del Delegato e la totale soddisfazione di tutti.
ROMA EUR
CENA ARTUSIANA
A TOR CARBONE
Anche quest’anno la Delegazione ha consegnato due borse di studio agli allievi dell’Ipssar “Tor Carbone” che, a con-
clusione dell’anno scolastico
2009-10, hanno conseguito il
diploma di maturità con il
massimo dei voti. La serata è
stata impreziosita dalla concomitanza di altri due eventi illustrati dal Delegato Claudio
Nacca, Simposiarca della riunione conviviale accademica
che ha preceduto la premiazione. Nell’occasione, la Delegazione ha voluto infatti presentare in anteprima ai propri
Accademici, nell’ambito delle
celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità nazionale, il
volume “I menu del Quirinale”, che vede come coautore
l’amico Francesco Ricciardi,
Accademico di Roma Eur, e
come collaboratori per il reperimento di parte della documentazione: Domenico Santamaria, responsabile dei servizi
di sala del Quirinale, Fabrizio
Boca, capo servizio cucina del
Quirinale, e le dottoresse Laura Cunti e Manuela Cacioli dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, tutti
presenti alla riunione conviviale. Dopo una breve illustrazione dell’opera e del lavoro svolto, effettuata da Francesco Ricciardi, Domenico Santamaria,
ex allievo dell’Ipssar “Tor Carbone”, si è rivolto agli allievi in
sala per curare il servizio, parlando loro della propria esperienza professionale, senz’altro
singolare e prestigiosa, per la
quale lui stesso si ritiene un
privilegiato. Ha voluto sottolineare, inoltre, l’importanza del
bagaglio culturale e scientifico
acquisito durante gli anni di
studio all’istituto alberghiero,
un patrimonio del quale ogni
allievo dovrebbe aver cura sin
dalla fase scolastica per poi
utilizzarlo come fondamento
di crescita attraverso lo sviluppo del personale talento, durante il proprio percorso professionale di approfondimento
e perfezionamento.
Scienza e arte sono anche i termini che spiccano nel titolo
dell’opera più famosa di Pellegrino Artusi, del quale si cele-
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bra quest’anno il centenario
della scomparsa e che, a buon
diritto, è oggi ritenuto il padre
e l’unificatore della cucina italiana, così come Cavour lo fu
nel panorama politico e Garibaldi sui campi di battaglia.
Il Delegato ha tracciato un minuzioso profilo del celebre gastronomo e del suo lavoro,
mettendone in risalto i punti di
contatto con il processo di unificazione nazionale, soprattutto nell’affermazione del potere
emergente di una nuova classe
sociale, la borghesia. Sono stati altresì compiutamente illustrati i criteri che hanno spinto
la Delegazione a celebrare la
conviviale artusiana in un contesto nel quale la divulgazione
e lo studio dei principi teorizzati dal celebre gastronomo
trovano quotidiana e naturale
applicazione nell’esercizio didattico. Nella composizione
del menu, il Delegato Simposiarca e il prof. Marco Protopapa, docente tecnico di cucina
e responsabile delle relazioni
esterne dell’istituto, hanno voluto inserire due pietanze, la
fregola ai crostacei e i mignon
di torta ricciolina e coulis ai
frutti di bosco, come rielaborazioni di due ricette originali
dell’Artusi per renderle maggiormente attuali. Altrettanti
consensi sono stati riscossi dagli stuzzichini che hanno accompagnato gli aperitivi, serviti nello splendido parco della
villa sede dell’istituto, dal filetto di maccarello tiepido all’aceto balsamico e dal flan di
pecorino di fossa con salsa alle
pere e miele di castagno, che
hanno introdotto la cena servita dagli allievi del quarto anno
del corso di sala e preparata
da quelli del terzo anno del
corso di cucina.
Le pietanze sono state accompagnate da un Roero Arneis
Docg che ha esaltato il sapore
di antipasti e primi piatti, da
una Falanghina del Sannio
Doc in abbinamento al secondo piatto e da un Brachetto
d’Acqui spumante Docg che
D A L L E
ha fatto da giusto contrappunto al dolce. Il successo della
riunione conviviale di quest’anno è stato completato dall’eccellente livello qualitativo
della cucina e del servizio.
Il Delegato e la vice-preside
prof.ssa Carmelina Orlando, in
rappresentanza della dirigente
scolastica, prof.ssa Rosalia Di
Piazza, al termine della serata,
hanno proceduto alla consegna dei premi agli allievi vincitori delle borse di studio.
Un particolare ringraziamento
è stato rivolto dalla prof.ssa
Orlando alla Delegazione e
all’Accademia per il sostegno
fornito in questi anni di proficua collaborazione, con l’auspicio che, in un prossimo futuro, possano essere sperimentate anche altre forme di
sinergia di reciproco interesse
e soddisfazione. (Claudio
Nacca)
CAMPANIA
SALERNO
D E L E G A Z I O N I
ri”. Con i fichi e con l’antica ricetta, sono stati preparati il pane e il dessert della riunione
conviviale. Il menu, una foto
fatta da Monica Martino e personalizzato per ciascun convitato, è stato accompagnato da
un disco sulle bellezze del Cilento e da una piccola ricerca
sul suo fico.
Ottimo il pranzo, in cui sono
stati particolarmente apprezzati il carpaccio di polpo, i ravioli a base di pesce e la grigliata
di pesce. Il tutto innaffiato da
un buon vino del Cilento, un
Fiano di Agropoli dell’azienda
Marino. Tutta la famiglia Cuono, dai genitori Antonio e Carmela ai figli Natalia e Marco, si
dedica con grande cura alla
gestione e alla preparazione
delle ottime pietanze servite
dal ristorante. Molto spesso
viene cucinato il pesce appena
pescato da Antonio nel mare
antistante il locale. Salutando
gli ospiti Maria Monica Martino
ha offerto a tutti il suo ultimo
lavoro “La rada”, che ha come
contenuto pagine e foto di vita
del posto. (Raffaele Martino)
IL FICO BIANCO
DEL CILENTO
SALERNO
Gli Accademici della Delegazione si sono incontrati, a S.
Marco di Castellabate, nella
bella casa sul mare di Raffaele
e Maria Monica Martino per un
aperitivo prima di recarsi al ristorante “Lo Scoglio”, visitato
già negli anni precedenti.
Questa volta il tema della riunione conviviale era “Il fico
bianco del Cilento”. E su questo tema si è intrattenuta la
dott.ssa Monica Martino per illustrare la bontà di questa
pianta, l’antica utilizzazione
presso i Greci e i Romani, fino
alla preparazione che se ne faceva da parte dei contadini per
sfamarsi in queste terre povere. Infatti, il contenuto altamente zuccherino permetteva
di immagazzinare le energie
necessarie a coloro che lavoravano duramente: il pane con i
fichi era detto “pane dei pove-
GITA A NAPOLI
Un gruppo di amici Accademici e ospiti ha visitato, a Napoli,
il bellissimo Palazzo reale, la
cappella palatina, il teatrino di
corte e, dulcis in fundo, la mostra della regina Margherita. La
gita, piacevolmente curata dalla dott.ssa Maria Monica Martino, coadiuvata da Renata Stromillo dell’agenzia Curcio di Salerno, si è conclusa al ristorante “Amici Miei”, con una cucina
all’insegna della napoletanità e
con i menu personalizzati, donati ai commensali da Maria
Monica che li aveva realizzati.
Al pranzo hanno partecipato
anche alcuni amici napoletani:
Leonardo Bianchi, Delegato di
Napoli, e Mario De Simone,
Coordinatore territoriale della
Campania.
PUGLIA
MANDURIA E BRINDISI
CENA BRASILIANA
PER LE DUE DELEGAZIONI
Tutto ha avuto inizio quando
uno dei più giovani Accademici della Delegazione di Manduria, Luigi De Francesco, ha
proposto una serata accademica presso il ristorante “La Stella
del Sud”, in Oria. Il proprietario, dott. Rocco Cane, originario di Oria, prima di dedicarsi
alla ristorazione ha ricoperto
importanti incarichi manageriali in Sud America, dove si è
manifestata la sua passione
per la cucina brasiliana. Attualmente in pensione, ama dedicarsi al suo hobby con successo e quasi a tempo pieno. Il ristorante è nel territorio della
Delegazione di Brindisi e si è
quindi deciso di coinvolgere la
Delegazione di appartenenza
per due motivi: i rapporti esistenti tra le due Delegazioni
sono ottimi, l’organizzazione di
una manifestazione congiunta
era in essere da molto tempo,
ma non si era mai concretizzata. Si è concordato di lasciare
alla Delegazione di Manduria
l’organizzazione della serata e
di investire la Delegazione di
Brindisi della paternità dell’evento. Il menu, impostato dal
Simposiarca, l’Accademico Luigi De Francesco, ha avuto come base il churrasco brasiliano, piatto rappresentativo del
locale, adattato alle esigenze di
maggiore leggerezza: anziché
la versione classica, che prevede l’utilizzo di nove tipi di carne, si è scelta una versione ridotta, solo tre tipi, risultati tutti
di ottima qualità. Non sono
mancati gli intermezzi particolarmente interessanti quali la
“fajoada” e l’ananas caldo, per
finire con il dessert, particolarmente ricco, una sorpresa della
casa, consistente in una miscellanea di varie tipologie di dolci. I vini sono stati molto interessanti, a partire da un Arneis
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delle cantine Cerretto, che tradisce la lunga permanenza piemontese del proprietario, passando per un Taras, Primitivo
del Salento delle cantine Albano Carrisi, per concludere con
un Aleatico Passito, sempre
delle cantine Albano Carrisi. A
fine serata l’immancabile incontro con la gestione del ristorante ha permesso di soddisfare le curiosità degli Accademici ed esprimere, concordemente, un parere più che favorevole. Il locale era stato riservato solo agli Accademici e
l’atmosfera è risultata particolarmente piacevole e serena.
SICILIA
CALTAGIRONE
I FORMAGGI SICILIANI
DOP
“Sapori e saperi, un’allitterazione nella quale è condensato il senso dell’incontro di oggi”, così ha esordito l’Accademico Maurizio Pedi per introdurre la conferenza “I formaggi siciliani Dop” - relatore il
prof. Giovanni Vitale, insegnante di tecniche di caseificazione e di degustazione di
prodotti caseari - che si è tenuta a Caltagirone nella sala conferenze dell’educandato “San
Luigi”. Continuare a produrre
formaggi tradizionali di qualità, ha continuato Maurizio
Pedi, presuppone infatti da
parte del consumatore la loro
riconoscibilità e, per questo, il
mantenimento costante della
memoria del gusto, in controtendenza al processo di standardizzazione del cibo della
grande distribuzione. Nell’intento dunque di offrire al consumatore maggiori consapevolezze, la manifestazione promossa da Maurizio Pedi ha
previsto due distinti momenti,
una parte teorica per spiegare
la storia, i processi di lavorazione, le caratteristiche e i disciplinari dei formaggi siciliani
D A L L E
Dop, e una parte pratica con
una degustazione guidata.
Con l’ausilio di immagini e filmati il prof. Vitale ha illustrato i
quattro formaggi siciliani Dop.
Il ragusano, uno dei più antichi
della Sicilia, al quale è stato
conferito il marchio Dop nel
1995, è così chiamato per la sua
zona di produzione. Il disciplinare prevede l’uso di latte intero e crudo, preferibilmente della mucca modicana, razza autoctona che si nutre dei pascoli
locali dell’altopiano ibleo. La
stagionatura avviene dopo un
tempo di salamoia appenden-
D E L E G A Z I O N I
do in verticale, con corde vegetali, i formaggi, ai quali è stata
data una forma di parallelepipedo. Diversi i tipi di ragusano
in base ai tempi di stagionatura,
che via via lo rendono più sapido e consistente. Il pecorino siciliano si ottiene invece con il
latte delle pecore di razza Pinzirita, Comisana o Valle del Belice; la pasta è bianca con una
leggera occhiatura dalla quale
si può definire il grasso che
conferisce un piacevole sapore
dolce-sapido. La “vastedda”
della Valle del Belice è un formaggio raro che si ottiene dal
latte ovino mediante una delicata manipolazione della pasta
filata. Resta un formaggio fresco anche se non umido, dal
gradevole sapore lievemente
acidulo, che si presenta in piccole forme tonde, morbide e
schiacciate. In ultimo, il piacentino ennese, che nel 2007 ha ricevuto il marchio Dop, è un
pecorino stagionato dal caratteristico colore giallo ottenuto
con l’aggiunta di zafferano durante la lavorazione della pasta.
Al termine dell’applaudita conferenza, il pubblico si è trasferito per la degustazione guidata
presso l’agriturismo “Il Casale
delle Rose”. Sono stati serviti
otto tipi di formaggio, dal più
fresco al più stagionato; di
ognuno il prof. Vitale ha suggerito l’approccio visivo, olfattivo
e gustativo più adeguato per
coglierne le peculiari caratteristiche. Il vivo interesse e l’attenta esecuzione delle tecniche di
degustazione da parte dei commensali hanno dato la misura
del grande successo dell’iniziativa della Delegazione: un momento di cultura gastronomica,
ma anche un modo concreto e
incisivo per riappropriarci della
INCONTRO CON LE DELEGAZIONI DI STOCCOLMA E DI BEIRUT
In occasione dell’incontro con le Delegazioni di Stoccolma e di Beirut, la Delegazione siracusana, guidata da
Angelo Tamburini, ha organizzato una suggestiva
escursione ai monumenti più significativi del territorio,
tra i quali il tempio di Apollo, il duomo, il Palazzo Beneventano del Bosco (dove ha fatto gli onori di casa il
barone Pietro Beneventano), la Soprintendenza ai Beni
archeologici di Siracusa (accolti dalla soprintendente
dott.ssa Concetta Ciurcina), la chiesa di Santa Lucia alla Badìa con “Il seppellimento di Santa Lucia” di Caravaggio, il Parco archeologico della Neapolis, con la guida della direttrice del parco dott.ssa M. Amalia Mastelloni, il teatro greco e l’anfiteatro romano. A seguire, la visita al Museo archeologico “Paolo Orsi”, accolti dalla
direttrice dott.ssa Beatrice Basile. Una mattinata è stata
dedicata alla visita della città barocca di Modica con la
casa natale di Salvatore Quasimodo (con la guida della
dott.ssa Maria Teresa Di Blasi) e solennizzata dal benvenuto del sindaco di Modica Antonello Buscema, del
presidente della Fondazione “Grimaldi” prof. Orazio
Sortino e del direttore del Consorzio del cioccolato di
Modica Nino Scivoletto. A Modica gli Accademici, oltre
al tipico cioccolato, hanno potuto gustare e apprezzare
altri sapori iblei. Tappa culturale immancabile per gli
ospiti: assistere al teatro greco di Siracusa agli spettacoli
“Filottéte” (di Sofocle) e “Andromaca” (di Euripide), due
rappresentazioni tragiche di altissimo livello. Siracusa è
stata, quindi, al centro dell’attenzione dell’Accademia
per cinque giornate e ha accolto cinquanta Accademici
provenienti da tutto il mondo e fra questi: il Presidente
Giovanni Ballarini; la signora Anna Maria Dell’Osso;
Benito Fiore Vice-Presidente dell’Accademia; i componenti della Consulta Giuseppe Di Lenardo e Mario Ursino; la direttrice del Centro Studi Sicilia orientale Cettina
Pipitone Voza; il Delegato di Stoccolma Paolo Parini e il
Delegato onorario Giovanni Gozzo; il Delegato di Bei-
rut Mario Haddad e una numerosa rappresentanza; la
Delegata di Caltagirone Gaetana Bartoli Gravina; il Delegato di Ragusa Francesco Milazzo; la Delegata di Caltanissetta Cinzia Militello di Castagna; il Delegato di
Modica Carlo Ottaviano; la Delegata di Catania Est
Francesca Ferreri Dell’Anguilla; il Delegato di Etnea
Francesco Cancelliere; la Delegata di Val di Noto Agatina Frigintini Canicarao; Accademici e amici da Londra,
Helsinki, Monaco di Baviera, Ginevra, Stoccolma, Beirut. Siracusa, già definita da Cicerone “la più grande e
la più bella di tutte le città greche”, dal 2005 dichiarata
patrimonio dell’umanità dall’Unesco e che anticamente
fu chiamata anche Pentapoli in quanto costituita da
ben cinque quartieri grandi come città, non è famosa
nel mondo soltanto per la sua storia e per le bellezze archeologiche ma anche per i piatti tipici, soprattutto a base di pesce, crostacei e frutti di mare, che hanno deliziato il palato degli ospiti, unitamente ai vini autoctoni.
Non sono mancati i dolci tipici quali la cassata, i cannoli di ricotta, le paste di mandorla di Avola e le deliziose
granite di mandorla, di fragola di Cassibile e di limone
femminello di Siracusa. Gli Accademici hanno altresì
potuto visitare al castello di Targia le cantine Pupillo e
apprezzarne la produzione. Momento scenografico la
realizzazione del dessert “divina Triscele” dallo staff del
maître Sergio Manenti contemporaneamente su cinque
lampade nella sala “Laudien” del “Grand hotel Villa Politi”. Gli ospiti hanno potuto gustare anche molte altre tipicità gastronomiche realizzate esclusivamente con prodotti del territorio (pomodoro Pachino, melanzana, melone retato, olio extravergine di oliva tonda iblea, formaggi tipici locali, miele di Sortino), prelibatezze che
creano suggestioni, completano e connotano il messaggio culturale di Siracusa e dei suoi dintorni e che rafforzano e contestualizzano la missione accademica. (Angelo Tamburini)
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D A L L E
memoria di odori e sapori ricchi e variegati nei quali si racchiude la millenaria esperienza
dell’attività casearia siciliana.
(Colomba Cicirata)
CALTAGIRONE
UN PICCOLO RISTORANTE
DI GRANDE QUALITÀ
Interessante imbattersi, visitando il territorio della Delegazione, in realtà nascoste che piacevolmente ci sorprendono. È
accaduto all’Accademica Mariella Amoroso che ha scoperto
a Vizzini un piccolo ma interessante ristorante che ha subito proposto alla Delegazione.
Proprio all’ingresso del paese,
tra le antiche case del centro
storico, si trova il ristorante
“Heroe’s Club”. Il locale, una
cantina dalle volte a crociera,
nasce come birreria, della quale ha mantenuto il nome e l’atmosfera. Il ristoratore-chef, il
signor Gianfranco Piluso, negli
anni Ottanta, lascia la propria
terra per emigrare in Svizzera.
L’esigenza di mantenersi lo
porta a lavorare in un ristorante dove ha l’occasione di frequentare un grande chef come
Michel Olivier, dal quale apprende l’arte di cucinare. Rientrato in Sicilia, mette a frutto
questa esperienza puntando
sull’eccellenza degli alimenti
siciliani. La sua cucina si caratterizza infatti per la scelta di
prodotti rigorosamente siciliani
Dop e Doc. Da perfetta Simposiarca, Mariella Amoroso, insieme al signor Piluso, ha scelto il
menu conciliando i principi
dell’Accademia con le peculiarità e lo stile del ristorante. La
briosa presentazione della Simposiarca ha subito coinvolto i
commensali che hanno gustato
con particolare attenzione le
pietanze, delle quali di volta in
volta lo chef ha illustrato la
preparazione e gli ingredienti.
La cena è stata all’altezza delle
aspettative perché la qualità
delle materie prima ha conferi-
D E L E G A Z I O N I
to a ogni piatto carattere e ricercatezza. L’antipasto è stato
una ricca carrellata dei migliori
salumi e formaggi siciliani. I
primi, ravioli di farina di carrubo ripieni di ricotta e cavatelli
al pesto di finocchietto selvatico, sono stati particolarmente
apprezzati; anche il vitello all’agrodolce e il dessert, setteveli al limone, non sono stati da
meno. A conclusione della serata, oltre al sentito apprezzamento del Vice-Delegato Domenico Amoroso, che ha consegnato allo chef il guidoncino
dell’Accademia, anche l’impegno di ritornare presto all’“Heroe’s Club” per uno dei prossimi convivi. (Colomba Cicirata)
SIRACUSA
A TAVOLA
CON CAMILLERI
Un vero omaggio alla fervida
fantasia di Andrea Camilleri e al
suo personaggio, il commissario Montalbano, si è celebrato
nel simposio di maggio della
Delegazione. Il Delegato Tamburini ha dato il benvenuto ai
graditi ospiti: il presidente di
Confindustria Siracusa dott. Aldo Garozzo, il direttore dell’Asp 8 Siracusa dott. Franco Maniscalco, l’avv. Di Quattro (proprietario della ormai famosa casa di Montalbano). Ha poi brevemente introdotto la figura di
Andrea Camilleri, il cui successo editoriale si è amplificato
con l’avventura televisiva. Ha
quindi spaziato sull’universo
gastronomico dello scrittore,
espresso attraverso Montalbano, goloso e continuamente affetto da un “pitìtto” smisurato,
con un’antologia gustosa come
una tavolata ben imbandita. Il
cibo diventa protagonista trasversale di tutte le storie e acquista una valenza affettiva
molto forte. A questo si aggiunga la bellezza naturale dei luoghi in cui gli episodi sono stati
girati, luoghi come la tonnara
di Scopello e quella di Capo
Passero, il castello di Donnafugata e quello di Portopalo,
piazza Duomo di Siracusa: la
Sicilia senza tempo, senza precisi riferimenti geografici, ma
un viaggio del cuore. Il Delegato ha poi fatto intervenire l’avv.
Di Quattro per ascoltare alcuni
aneddoti sulla località di Marinella (in effetti Donnaluca nel
Ragusano). Un caloroso applauso per il simpatico e interessante intervento. A seguire
l’Accademico Vittorio Pianese
ha presentato la relazione: “Cuscusu di pisci: Montalbano, cucina, donne, idiosincrasie”. Egli
ha così esordito: “Chi ama
Montalbano conosce il suo
strettissimo rapporto con la cucina, o meglio: con l’arte della
cucina. Un’arte che si mischia
alla Sicilia, prendendone a prestito i colori, gli odori, i sapori, i
suoni”. È il suo un viaggio nel
mondo dei sensi, una sorta di
percorso di formazione, che
rende più sensibili e competenti, volto a creare “il gusto” della
tavola. Applausi anche per Vittorio Pianese, uniti al ringraziamento del Delegato per l’impegno e la capacità di ben districarsi, da genovese, anche con
la pronuncia del siciliano. Naturale, a questo punto, passare alla degustazione dei piatti in tavola: “rapìpitìttu” (“purpiteddi”
alla carrettiera, “vota-vota”,
“scoppolarìcchi” fritti, arancini
di Adelina e “capunata”), una
vera sinfonia di sapori; “cuscusu di pisci” (saporito e gustoso);
spigola all’acqua pazza; cannola di ricotta e “cassateddi”. Festosamente e con grande apprezzamento, anche se con
qualche difficoltà del servizio, si
è concluso un simposio dedicato al fenomeno letterario Andrea Camilleri e alla sua opera,
che continua a coinvolgerci con
grande intensità. Infine il Delegato ha consegnato il guidoncino accademico al proprietario
Giancarlo Lo Manto e al maestro di cucina Dario Tartaglia
per la capace interpretazione
della “cucina di Montalbano”.
(Angelo Tamburini)
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SARDEGNA
CAGLIARI E ORISTANO
INCONTRO
TRA DELEGAZIONI
Le due Delegazioni sarde si sono incontrate per favorire e
rafforzare i legami accademici di
amicizia e la conoscenza gastronomica territoriale dell’Oristanese. Il Simposiarca della riunione
conviviale, l’Accademico Bruno
Vacca, originario di questi luoghi, ha organizzato l’incontro in
maniera superba. La prima parte
ha avuto un taglio culturale con
la visita alla chiesa di San Paolo
a Milis, chiesa dell’XI secolo, dove oltre a un altare ligneo di notevole fattura, ci sono delle tele
del XIII secolo, recentemente
restaurate. È seguita una visita
all’azienda di floricoltura “I
Campi”, che crea dei giardini
particolari con il recupero di
vecchie piante. Per il pranzo gli
Accademici si sono recati a “Casa Bagnolo”, struttura che si trova nell’antica comunità di Milis,
vicino a Oristano. Il complesso
è stato recentemente ristrutturato, con un bel cortile interno dove sono stati serviti gli aperitivi,
degustati con golosità e curiosità per l’abbinamento della bottarga, prodotto locale, con tartine alle pesche e al melone. Il
pranzo conviviale è stato largamente apprezzato, come ha indicato la buona votazione
espressa nei confronti dello chef
Sergio, al quale è stato consegnato il piatto dell’Accademia
come segno di riconoscimento
alla qualità del locale. La riunione, eccezionalmente numerosa,
anche per la presenza degli
ospiti, è stata aperta dall’intervento della Delegata Mariangela
Pinna che ha donato alla Delegata di Oristano Paola Meconcelli un libro sui murales sardi,
evidenziando anche come la
convivialità sia sinonimo di festa, celebrazione di momenti
fondamentali della vita, piacere
di condivisione. Tutti valori da
preservare gelosamente.
I N T E R N A T I O N A L
S U M M A R Y
DEAR ACCADEMIA MEMBERS...
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DEAR GIANNI
ear Academicians, every time I
D
address you in this “Dear
Academicians” missive I do and always
will, think about Gianni Franceschi. In
fact, upon assuming the office of
president, I asked him what I should call
the opening article of each issue of The
Civilization of the Table and immediately
replied “Dear Academicians”, a simple
and direct title that suits the purpose of
conveying to the readers an idea in 5,000
characters. I immediately was wed to the
idea and with each month’s letter I always
fondly remember my friend Gianni.
Giovanni Battista Franceschi, journalist,
writer, and above all, Academician right
up to his passing at the end of May.
This man who always signed his articles
“Gianni”, was the kind of journalist that is
becoming an increasingly rare if not
extinct species. He was a journalist
because he wrote for several newspapers
and was on the professional register, but
most of all because, as a man of vast and
profound culture, he began his career as
a reporter for provincial papers and went
on to specialize in news, also in
nutritional and gastronomic news. For
this reason he was completely
comfortable when, at one point in his
long personal and professional career he
landed at the Academy’s magazine at the
invitation of Franco Marenghi. He
significantly contributed to its cultural
elevation and was a major player in the
magazine’s transformation into the
current and esteemed Civilization of the
Table. Provincial news from Reggio
Emilia, and multifaceted daily reportage
were the two fields in which he learned
not only to determine the facts, but
above all to communicate them as
“news”. His writing was characterized by
an accurate presentation of the facts
through a commentary that was pertinent
and well framed, with a reverence for
truth and precision. With his excellent
memory and vivacious intellect he was
an able writer who right up to his final
days was capable of writing an article
with a fluid and readable style, always of
the highest quality with many and varied
references. As a journalist he had three
great gifts: precision, precision, and
precision which easily translated into
control, control, and control. He took
advantage of his exceptional memory,
but was always careful to verify his facts.
He was hard on himself, but openly
tolerant with others. He was also a gifted
editor when it came to cutting his articles
to comply with the magazine’s editorial
constraints (even space can be a
tyrant…). I must confess that I myself
often benefited from that skill, with
excellent results. Gianni Franceschi wrote
many books, and among the most recent
was the trilogy about Reggiana cuisine:
Two Thousand Years at the Table (The
Traditional Foods),The Two Thousand
Meter Table (The Typical Foods of the
Region) and with Giovanni Marzi, At the
Table in the year Two Thousand (New
Tendencies in a Living Cuisine). With
their in depth research and careful study,
these books demonstrate a wise devotion
to culinary memory and a clear portrayal
of ancient recollections that have never
been silenced, as the mouth watering
testimonials that accompany the recipes
demonstrate.
A Reggiano by birth and temperament,
he lived in Rome for many years without
ever forgetting his origins that were
rooted on the banks of the Crostolo
River. He was a well rounded member of
the Reggio Emilia Delegation because
that was where is gastronomic passion
was born. To be at the table with Gianni
Franceschi anywhere in Italy, which he
knew like the back of his hand, was a
real pleasure. A lunch or dinner with
Gianni, together with his wife Dolorita,
perhaps was even greater a feast for the
mind than for the body, and one was
always the richer for the experience. He
was a well-informed Academician and
the same time always on the prowl for
news, skilled at gathering information
while enriching others. He was closely
tied to tradition, especially those of his
native Reggio Emilia but open to
innovation, yet wary of experimentation
for its own sake. As a precise and much
appreciated speaker, his reports gave
luster to many Academy meetings.
The vast and varied series of his writings
published in this magazine constitute the
best evidence of how much Gianni
Franceschi has given not only to our
Academy but to Italian gastronomic
culture in general. His body of work goes
beyond a mere series of articles,
signifying a long cultural journey
characterized by wisdom and common
sense. Today more than ever before we
can see just how uncommon “good
common sense” really is.
Other voices in this issue will pay tribute
to you, but this is not a farewell, dear
Gianni, because every time we reread
one of your writings you will once again
be with us.
GIOVANNI BALLARINI
JIMINY CRICKET
see page 5
An interview with Gianni Franceschi, or
“Jiminy Cricket”, as he was called by the
then Vice President of the Academy
Giovanni Goria. The interview features
many of Franceschi’s wise and clever
observations on the Academician’s style
and the role of the Delegations.
AN UNFORGETTABLE FRIEND
see page 7
Giovanni Marzi, who met Gianni
Franceschi in high school, talks about his
unforgettable and much admired friend.
GOOD BYE, CHIEF!
see page 8
Some Academicians, friends, and
collaborators of Gianni Franceschi bear
witness to his passion for the Italian
Academy of Cuisine.
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I N T E R N A T I O N A L
S U M M A R Y
BALLARINI CONFIRMED
PRESIDENT
PEPEROSA: PEPPER AS IN THE
KITCHEN, THE ROSE AS A WOMAN
see page 10
see page 18
The Fourteenth Assembly of the
Delegates met in Rome on May 28 and
renewed President Ballarini’s mandate.
In the afternoon, the twenty-second
International Conference on the
Civilization of the Table was held with a
discussion on “The Birth of a Plural
Identity of Italian Cuisine”.
The Delegation of Vigevano and
Lomellina devoted a conference to
Italian unification and 25 years of the
Delegation’s existence. The theme of the
conference on was “Peperosa, Pepper as
in the Kitchen, the Rose as a Woman”.
The Delegate emphasized the
significance of those two definitions:
pepper as a vindication of the right to
knowledge in the kitchen that for
women went long unrecognized; and
the rose, the queen of flowers, that
blooms not just in the gardens but in the
kitchen as well.
SPRING SESSION
see page 13
On May 28, the Academic Council met
twice in the hall of the Vittorio Veneto
Hotel, before and after the Delegates’
Assembly. Programs and decisions are
herein reported.
ice fields: pemmican. This is a word in
the language of the Cree Indians,
according to the Padua Academician
Giancarlo Burri. Pemmican is nothing
other than buffalo meat, properly
treated for long conservation.
AN ANALYSIS
OF THE HISTORY OF CUISINE
see page 25
Cuisine presents requirements that are
in the domain of science, and thus it
lends itself to deep historical analysis
that is helpful in explaining its natural
evolution. Cuisine may be analyzed as a
legitimate science, as Donato
Pasquariello, Roma Appia Academician,
states.
ITALIAN CUISINE IN HUNGARY
see page 20
THE FINE MUSTARD OF CARPI
THE PLURAL IDENTITY
OF ITALIAN CUISINE
see page 14
The twenty-second International
Conference on the Civilization
of the Table, devoted to a discussion
on “The Birth of a Plural Identity
of Italian Cuisine” opened with the
playing of the Italian nation anthem.
The Academy’s General Secretary Paolo
Petroni was the moderator. Professor
Fiorenza Tarozzi, Professor Carlo Magni
and Professor Alberto Capatti presented
papers for a discussion by the
participants.
THE PHANTOM OF HUNGER
see page 16
The first of a series of important regional
projects to be promoted and organized
by the Study Center of Molise and three
Delegations of this region was held.
The session bore the title “The Phantom
of Hunger in Italian History, 1861-2011”.
The session itself was meant to be a
contribution by the Isernia Delegation to
the celebrations of 150 years of Italian
unification.
This article is based on an address by
the Hungarian Professor Szabó Gyözö at
the Symposium devoted to “The
Specificity and Diversity of Italian
Cuisine After 150 Years of Unification”,
sponsored by the Budapest Delegation.
The article points out that many
gastronomic terms, still in use in
Hungary, are of Italian origin.
see page 27
The story of the Carpi territory
constitutes a cornucopia of recipes of
which grapes are an indispensible
component. Among such recipes, a
special place is claimed by the fine
mustard of Carpi, generally concocted in
the fall, starting with a base made of
must.
“MONTALBANO”
PICKS UP HIS PRIZE
THE LIBRO NOVO BY MESSISBUGO
see page 22
see page 28
Luca Zingaretti received the 2011
Vergani Award during a press
conference in Rome. The prize was
awarded for his contribution to the
civilization of the Italian table in his
acclaimed interpretation of the popular
police inspector Montalbano.
The Braidense National Library boasts a
precious work by Cristoforo da
Messisbugo, the Libro Novo, whose first
edition was printed in Ferrara in 1549.
This is a true treatise on lifestyles. It met
immediately with great success and
went through numerous reprintings
until the first decades of the 17th
century.
SALGARI’S PEMMICAN
see page 24
THE EVOLUTION OF A DISH
In many adventure novels penned by
the Italian writer Emilio Salgari one finds
repeated references to the kind of food
that his daring characters consumed,
from the green prairies to the northern
see page 30
How did dishes and nutritional habits
evolve over the past half century?
Certainly, we eat faster than before and
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I N T E R N A T I O N A L
S U M M A R Y
CIVILTÀ TAVOLA
DELLA
ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
LUGLIO 2011 / N. 229
we surely have more food to put on the
plate, and taste has become more
refined. Eating is so important, as the
Apuan Academician Alfredo Pelle points
out, that even today, we still use the
expression “to devour” a good book.
until the 18th century. The Twenty
Days of Agriculture by Messer Agostino
Gallo is a vast compendium of
information about wine, narrated in the
form of a dialogue between two
characters.
DIRETTORE RESPONSABILE
GIOVANNI BALLARINI
VICEDIRETTORE E DIRETTORE ARTISTICO
FRANCESCO RICCIARDI
COORDINAMENTO REDAZIONALE
SILVIA DE LORENZO
SEGRETERIA DI REDAZIONE
TILDE MATTIELLO
SUPERSIZE AMERICA
CUISINE IN CONVENTS
see page 32
see page 38
As everybody knows, there are no
normal measures or dimensions in
America. Marino de Medici, Virginia
Academician, reminds us that restaurant
portions, the size of drinks and the
quantity of snacks loaded with calories
have all given rise to a true epidemic:
obesity.
Following the Middle Ages, the cuisine
in convents was enriched by new
recipes and tasty dishes, many of them
cooked to sustain the tired pilgrims
who found solace in those convents.
Even today one can buy their excellent
gastronomic products, wines and
distilled spirits. The monasteries also
keep a large number of scientific books
on botany and agriculture.
IN VAL RESIA
see page 34
UTILIZE THE LEFTOVERS
Val Resia, known as the Valley of
Flowers, is a cultural island with well
defined linguistic profiles and a
traditional gastronomy based on
polenta, potatoes, legumes and food
products with milk and eggs. A few
special foods of the valley bring to light
interesting ethnographic issues, as
described by Pietro Adami, Udine
Academician.
see page 40
Tito Trombacco, Academician of
Bologna dei Bentivoglio, describes the
personality of Olindo Guerrini and his
work The Art of Utilizing the Leftovers
of the Table, published after his death
in 1918. This volume played an
important role in daily cooking in times
of poverty when people did their best
to cook a healthy meal with few
ingredients.
THE RISORGIMENTO
AT THE TABLE
see page 35
MORE MEN AT THE STOVE
see page 41
Donatella Clinanti, Asti Academician,
tells us about the habits and the
gastronomic penchant of some
protagonists of the Italian
Risorgimento, from Cavour to Emperor
Franz Josef.
THE ART OF MAKING WINE
see page 37
Giorgio Cirilli, Tigullio Academician,
describes a fascinating book that
enjoyed great popularity in Italy and
Europe, with reprints that occurred up
The triumphal march of male chefs
goes on and more than ever before,
even at home it is the man who does
the cooking. According to Antonio
Ravidà, Delegate of Palermo Mondello,
it is noteworthy that gastronomy, and
the creation and the preparation of a
dish directly involve an increasing
number of men.
Translators
NICOLA LEA FURLAN
DONALD J. CLARK
Summarized
FEDERICA GUERCIOTTI
C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 • N . 2 2 9 • PA G I N A 8 0
IMPAGINAZIONE
MARIA TERESA PASQUALI
IN QUESTO NUMERO SCRITTI E RICETTE DI
Pietro Adami, Paolo Basili, Sandro Bellei,
Luisa Benedetti, Giancarlo Burri, Giovanni
Canelli, Maria Cristina Carbonelli di Letino,
Romolo Ciabatti, Giorgio Cirilli,
Donatella Clinanti, Giovan Francesco Colle,
Silvia De Lorenzo, Marino de Medici,
Lorena Gallina, Gabriele Gasparro,
Szabó Gyözö, Giovanna Maria Maj, Pier Luigi
Manachini, Giovanni Marzi, Tilde Mattiello,
Maricetta Messina, Domenico Musci,
Donato Pasquariello, Alfredo Pelle,
Roberto Pirino, Bartolomeo Platina,
Antonio Ravidà, Francesco Ricciardi,
Angelo Tamburini, Tito Trombacco.
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