Bollettino n.184 - Galleria Il Milione
Transcript
Bollettino n.184 - Galleria Il Milione
IL MILIONE BOLLETTINO DELLA GALLERIA DEL MILIONE 184 NUOVA SERIE 6 N O V E M B R E - 1 0 D I C E M B R E 2 0 1 2 - V I A M A R O N C E L L I , 7 - M I L A N O - T E L . E FA X 0 2 2 9 0 6 3 2 7 2 Prego, farsi riconoscere al citofono Severino Salvemini dal 6 Novembre al 10 Dicembre 2012 Galleria Il Milione Via Maroncelli, 7 - 20154 Milano - Tel. e Fax 02 29063272 [email protected] www.galleriailmilione.it Ore 10.30/13.00 - 15.30/19.00 i giorni feriali, sabato su appuntamento Prego, farsi riconoscere al citofono Acquarelli 2008-2012 Severino Salvemini “Casa Italia, citofono guasto?” di Beppe Severgnini Poeti, musicisti e pittori vedono la bellezza nella normalità. Fortunati loro, e fortunati noi quando ci suggeriscono occasioni e percorsi. Il citofono è una metafora. Rappresenta tutto ciò che sta dietro (dentro, sopra, oltre). Confesso che mi ha sempre affascinato questa autorappresentazione di una comunità (palazzo, condominio, famiglia). Spesso, infatti, rivela più di quanto vorrebbe; è un’operazione letteraria, delegata agli elettricisti. Appena ho visto gli acquarelli di Severino Salvemini ho pensato, quasi con invidia: ecco, lui ha dipinto quello che io avevo soltanto intuito. L’arte contemporanea si è spesso cimentata con la vita quotidiana. Gli esempi sono innumerevoli, da Piero Manzoni a Andy Warhol. Talvolta, per chi guarda, il passaggio dalla materia prima all’opera d’arte è brusco. L’oggetto diventa icona, affascina ma intimidisce, cambia categoria. Nessuno penserebbe mai di attaccare con l’apriscatole la zuppa Campbell’s di Warhol: sarebbe irrispettoso. Nessuno aprirebbe mai le lattine di Manzoni: troppo rischioso. I citofoni di Salvemini, invece, vien voglia di suonarli. L’acquarello addolcisce, le città affascinano, i nomi attirano. Chi abiterà al 41, Donegall Street di Belfast? Cosa accade all’hotel Costantini di Firenze (secondo piano, aria condizionata)? Quali i rapporti tra i signori Tognetti e Molquist di Pietrasanta? I citofoni non sono strumenti meccanici. Sono anticipazioni, promesse, indovinelli. Il citofono ha radici antiche: “cito” significa “presto” in latino; “phoné” vuol dire “suono, voce” in greco. È uno dei tanti nomi composti cui la nostra società è ricorsa davanti alla novità: fonografo, televisione, ecografia. Il citofono non è nuovo - i primi risalgono all’inizio del XIX secolo, ma probabilmente Leonardo da Vinci realizzò un prototipo funzionante - e ha ambizioni più modeste: per questo piace e rassicura. Permette a chi sta fuori di trovare chi sta dentro; e a chi sta dentro di sentire - oggi anche di vedere - chi sta fuori. Ha un grande avversario, il cellulare. La nostra pigrizia spinge a chiamare dall’automobile o dal marciapiede, invece di affrontare la mappa del citofono. Mappa misteriosa, spesso. Addirittura irritante, in qualche caso. Salvemini, in questo, è spietato: non cerca citofoni romantici, dipinge citofoni evocativi. Se oggi molti residenti scelgono di rinunciare al nome in favore di un numero - non sempre si capisce perché - l’autore dipinge numeri (a Roma come a Parigi). Se il citofono è trascurato, svitato, imbrattato lui riproduce gli adesivi, i fili, le macchie. Me lo vedo, l’acquarellista peripatetico, mentre si avvicina al citofono e resta muto a studiarlo, poi a fotografarlo. Chissà quanti sospetti ha suscitato. Lo scrivo senza imbarazzo e con ammirazione: questi acquarelli mi hanno emozionato. Profumano di città, di vita, e di amore per la vita nelle città. Lo stesso che sento nei dipinti e nei racconti milanesi di Dino Buzzati: vedeva una luce in una finestra, e capiva che illuminava un mondo. Le città si guardano col cuore, la testa e la pancia; gli occhi sono solo strumenti. Di tutte le opere esposte, com’è ovvio, alcune mi hanno colpito più di altre. “Farsi riconoscere al citofono” (Milano), sintesi magistrale della nuova città diffidente. Diversi citofoni di New York, grigi e precisi come cimiteri. Uno sfacciato “92” a Palma di Mallorca (gran numero, bel colore). Un discreto citofono di Abu Dhabi, i campanelli sorridenti e disordinati di Rio de Janeiro. L’immagine preferita in assoluto, però, è “Citofono guasto”. Dipinta sempre a Milano, la nostra città pudica e magica, mi sembra l’allegoria perfetta di questi tempi italiani: molti chiamano, nessuno risponde. Aggiustiamo il citifono, aggiustiamo l’Italia: è venuto il tempo. Un diverso biglietto da visita, tra prestigio e degrado di Severino Salvemini Tutto inizia da un citofono di un palazzo di Colonia su cui era caduto il mio occhio. Un manufatto moderno, coerente con l’architettura dello stabile un po’ minimalista e in sintonia con lo stile riconoscibile della Germania mitteleuropea. Quel citofono non avrei mai potuto trovarlo in Sicilia o in Spagna o a Marsiglia. Era quasi un’opera concettuale, molto poco figurativa. Il fatto poi che fosse sovraccarico di graffiti e di pittura nera testimoniava che quell’abitazione - e probabilmente anche i suoi abitanti - non aveva avuto una vita tranquilla, come normalmente accade a chi si ritrova nei quartieri un po’ decentrati. Così come altrettanto interessante fu il citofono che trovai alcune settimane dopo su cancello di una villa del Lido di Venezia. Fatto di un ottone ormai non più in commercio, la forma dei pulsanti tradiva un’eleganza decadente da casa di fine ottocento. Il contesto del lido veneziano aggiungeva una raffinatezza d’antan che ben si sposava a quello strumento di comunicazione oggi un po’ ossidato, ma che aveva sicuramente ascoltato davanti a sé la voce di molta bella gente. Un’immagine molto lontana dalla contemporaneità del suo omologo del condominio tedesco. Da lì ho cominciato a scrutare con sguardo più attento i citofoni nelle diverse città del mondo e nei diversi quartieri. E ho capito che essi non sono oggetti banali e impersonali. Anzi, essi sono un simbolo esplicito ed esteriore di chi abita un luogo specifico e sono un carattere dell’ambiente urbano, così come altri elementi decorativi più nobili al nostro immaginario. Nei citofoni si decifra il censo (le case delle classi abbienti comunicano attraverso strumenti esclusivi e ricercati, mentre tra i ceti più popolari si ritrovano apparecchi più standard), la massificazione (nell’hinterland ci sono oggetti che raggruppano anche centinaia di condòmini, mentre nei quartieri più residenziali i proprietari con cui entri in contatto sono pochissime unità), la diversa geografia (la globalizzazione per fortuna non ha ancora annullato le differenze di longitudine e di latitudine: a New York sono visibili placche diverse da Rio de Janeiro e così a Parigi rispetto a Londra o a Padova rispetto a Napoli). E più vado in giro per il mondo e più mi accorgo quanto questa piccola cosa sia una spia molto pregnante dell’arredo urbano. Insomma, il citofono è un artefatto culturale. Incarna attraverso un banale strumento di comunicazione valori, credenze e identità di chi vive in un certo spazio. L’abitante del palazzo magari non lo sa, ma la sua cultura è in piazza. E neanche troppo implicitamente. Milano Barcellona Alba Antwerp Belfast Berlino Bilbao Dublino Firenze Firenze Firenze New York Milano Parigi Santu Lussurgiu New York Firenze Palma de Mallorca Nuoro Rio de Janeiro Sankt Mortiz Roma Venezia Lido Milano New York Capri Courmayeur Treviso Abu Dhabi Venezia Lido Berlino © 2012 presentazione: Beppe Severgnini fotolito: Gierre srl, Bergamo tipografia: Novecento Grafico sas, Bergamo Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 IL MILIONE BOLLETTINO DELLA GALLERIA DEL MILIONE 184 NUOVA SERIE 6 N O V E M B R E - 1 0 D I C E M B R E 2 0 1 2 - V I A M A R O N C E L L I , 7 - M I L A N O - T E L . E FA X 0 2 2 9 0 6 3 2 7 2 Prego, farsi riconoscere al citofono Severino Salvemini dal 6 Novembre al 10 Dicembre 2012 Galleria Il Milione Via Maroncelli, 7 - 20154 Milano - Tel. e Fax 02 29063272 [email protected] www.galleriailmilione.it Ore 10.30/13.00 - 15.30/19.00 i giorni feriali, sabato su appuntamento